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Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono è il sonetto proemiale del Canzoniere.

Fu scritto probabilmente intorno al 1350 e quindi posteriore alla morte di Laura, come dimostra il
fatto che l'autore guarda in modo retrospettivo al suo amore infelice: Petrarca lo definisce un
"giovenile errore" dal quale si è in parte liberato con la maturità, consapevole di essere venuto
meno alla sua dignità di intellettuale e di essersi esposto alle derisioni del mondo, con una
concezione classica che rimanda forse al carme 8 di Catullo. La raffinatezza retorica della
costruzione impreziosisce la lirica, che apre il "Canzoniere" con uno stile decisamente elevato e
ricercato.
Temi chiave

 L’amore come errore giovanile


 La vergogna e il pentimento del poeta
 La vanità di tutte le cose

Riassunto del testo

 Prima quartina – Il poeta si rivolge ai lettori presentando la sua opera poetica come
prodotto di una prolungata illusione d’amore, un peccato di gioventù, quando egli era un
altro uomo rispetto a ciò che è diventato;
 Seconda quartina – chiede a coloro che hanno vissuto esperienze amorose di avere pietà
per il dolore provato e perdono per le illusioni di cui si è nutrito, materia trattata con varietà
di stili (vario stile) in base al mutevole stato d’animo;
 Prima terzina – consapevole delle chiacchiere e delle dicerie che ha suscitato in passato
tra la gente per il suo innamoramento che lo ha reso ridicolo, ora si vergogna di sé stesso
e della propria illusione amorosa;
 Seconda terzina –pentito ora capisce perfettamente quanto illusorie siano le passioni
terrene.
E’ la storia del cambiamento del poeta in un percorso che va:
• da un amore nutrito per ammissione del poeta da vane speranze e van dolore,
• al conseguente senso di vergogna per aver subito questa schiavitù amorosa,
• fino al pentimento e all’affermazione della vanità delle cose mondane.
Nel sonetto si contrappongono pertanto:
• il passato, passato cortese in cui il poeta è stato completamente assorbito dalla passione,
• il presente di pentimento in prospettiva cristiana basato su nuovi valori.
Questa opposizione tra passato e presente emerge anche dalla compresenza di:
• Riferimenti a elementi tradizionali della poesia cortese e stilnovistica, per es.: il
coinvolgimento del lettore, il rimando a un pubblico di anime elette capaci di amare (v.7),
la terminologia relativa alla materia amorosa (sospiri, core, piango et ragiono, speranze e
dolore, amore).
• Riferimenti alla prospettiva cristiana: il richiamo alla conversione, al cambiamento
(quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, v.4), il rimando alla vergogna, il motivo
dell’illusorietà delle cose terrene (vane speranze e van dolore, v.6), il pentimento (‘l
pentersi), la richiesta di perdono.
Struttura
Il sonetto ha una struttura bipartita:
• La parte delle due quartine: le due quartine sono unite in un unico ampio periodo,
caratterizzate da un anacoluto: la lirica inizia alla seconda persona plurale (Voi
ch’ascoltate) per proseguire alla prima persona singolare ([io] spero trovar pietà). Questo
artificio retorico serve per dare risalto all’invocazione rivolta dal poeta al lettore con la
richiesta di pietà e perdono, inoltre le quartine insistono sul concetto dell’illusione
d’amore, il giovenile errore, inteso come smarrimento amoroso.
• La parte delle due terzine: le due terzine si basano invece sulla disillusione e sul
superamento dei valori cortesi a favore di quelli cristiani. Vi è un volgersi del poeta su sé
stesso, sul pentimento, il senso di vergogna e il nuovo giudizio sull’amore, approfondito e
portato a conclusione nell’ultima terzina.
Gli interlocutori del poeta
Con l’apostrofe iniziale (Voi, v.1) Petrarca sembra che voglia rivolgersi ad un pubblico indistinto,
all’umanità intera, ma al verso 7 il poeta indica precisamente a chi si rivolge: chi per prova intenda
amore, ovvero a coloro che, come il poeta, abbia fatto diretta esperienza d’amore. Sono loro gli
interlocutori ideali a cui Petrarca parla e dai quali spera di ottenere pietà e perdono.
Petrarca chiede al suo pubblico di essere perdonato per tre motivi:
• La vana illusione amorosa che ha caratterizzato la sua vita passata,
• La varietà dello stile condizionato dal suo stato d’animo ora angosciato, ora felice;
• La frammentarietà della sua produzione poetica.
Richiami letterari
• v.5 piango et ragiono, ricorda Dante, Inferno, l’incontro tra Francesca e il conte Ugolino:
Francesca dice: come colui che piange e dice e il conte Ugolino: parlar e lagrimar vedrai
insieme;
• v.10-11 - favola fui gran tempo, onde sovente / di me medesmo meco mi vergogno,
desunto da Orazio, Epodi – XI, 7-8: Ohimè quanto sono stato chiacchierato per la città,
infatti mi vergogno di così grave danno. Questo concetto è presente anche nella lirica: Solo
e pensoso.
• v.14 - quanto piace al mondo è breve sogno, rimanda al passo della Bibbia, Ecclesiaste I, 2,
sulla vanità delle cose umane – vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanità delle vanità!
Tutto è vanità)
Analisi metrica

 Sonetto di 14 versi endecasillabi ripartiti in 4 strofe


 rima incrociata nelle quartine
 rima replicata nelle terzine.
Figure retoriche
Allitterazioni
• Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva, vv.1/2 – in s ri sp;
• del vario stile in ch’io piango et ragiono / fra le vane speranze e ’l van dolore, / ove sia chi
per prova intenda amore, / spero trovar pietà, nonché perdono, vv.5/8 – in va var van;
• favola fui, v.10 – in f;
• di me medesmo meco mi vergogno, v.11 – in m;
• …vaneggiar vergogna…, v.12 – in v;
• …conoscer chiaramente / che…, vv.13-14 – in c;
Anastrofe (Inversione dell'ordine abituale di due parole di un gruppo)
• Ma ben veggio or sì come al popol tutto / favola fui gran tempo, vv.9/10;
• et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, v.12;
• che quanto piace al mondo è breve sogno, v.15.
Chiasmo
• … piango et ragiono / fra le vane speranze e ’l van dolore, vv.5/6 – a piango corrisponde
dolore e a ragiono corrisponde speranze.
Metonimia
• …rime…, v.1 - la parte per il tutto, rime per dire poesie, strofe.
Paronomasia
• … suono…sono…sogno, vv.1, 4 e 14 – termini con significati diversi ma che si richiamano
perché hanno un suono simile.
Polisindeto
• et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, / e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente, vv.12-13
– il polisindeto et…e…e rallenta il discorso e accompagna la lenta chiusa del sonetto.
I temi del sonetto:

 rievocazione dell’amore

 l’apparizione sovrannaturale di Laura

 il decadere della bellezza fisica

Tutto il componimento è giocato sul contrasto tra:

 la Laura del primo incontro, quand'era giovane e bellissima

 e quella del presente, invecchiata e la cui bellezza esteriore è sfiorita

La prima è descritta coi tratti distintivi della donna-angelo dello Stilnovo, quindi dai capelli biondi
("capei d'oro"), con gli occhi pieni di un "vago lume", dotata di un incedere che la fa sembrare una
"angelica forma" e di una voce superiore a quella umana, paragonata a uno spirito celeste e a un
"vivo sole"; della seconda è detto solo che i suoi occhi sono "scarsi" della luminosità di un tempo,
intendendo che la donna è invecchiata e reca sul volto i segni del tempo, cosa che tuttavia non fa
diminuire l'amore di Petrarca per lei.

L'invecchiamento di Laura è l'aspetto che più la allontana dallo stereotipo della donna-angelo
stilnovista richiamato solo dalla descrizione esteriore, dal momento che essa è una donna umana
priva di qualunque significato religioso e per cui il poeta prova un amore passionale, centrato
soprattutto sulla sua bellezza fisica; il tema si ricollega a un brano del Secretum, in cui S.
Agostino accusava Francesco di amare l'aspetto esteriore di Laura e lui ribatteva dicendo che
anche adesso che lei è invecchiata i suoi sentimenti restano immutati. 

In questo sonetto Petrarca riprende e rielabora la tradizione stilnovistica e dantesca, soprattutto


nella scelta lessicale e nell’uso delle metafore: la descrizione della donna angelicata, l’amore
come un fuoco che arde, innamoramento come una piaga.

A differenza della donna amata da Dante, Beatrice, Laura non ha una funzione salvifica, ma può
diventare simbolo della poesia stessa attraverso il gioco di parole tra il nome della donna e il
lauro poetico. C’è poi un continuo passaggio tra presente e passato, espresso da imperfetti e
passati remoti (“arsi” e “vidi”). Ed il tempo passato è proprio della dimensione del ricordo e della
visione di Laura, da una parte con un valore di indefinitezza (l’imperfetto “Erano”, “sonavano”),
dall’altra come indicazione precisa di un’azione; il presente invece rappresenta l’incertezza del
poeta (v. 6 “non so se è vero o falso”) e l’affermazione finale di amore assoluto, estraneo alla
dimensione temporale.

1
 a l’aura: Il gioco onomastico "l’aura - Laura" è ricorrente nel Canzoniere petrarchesco. Anche in
conseguenza di questi giochi linguistici e semantici, il personaggio di Laura diventa presenza
costanza in tutte le pagine dei Rerum vulgarium fragmenta. Significativo che l'incipit ricordi la
descrizione virgilaina della dea Venere (Eneide, I, 323: dederat comam diffundere ventis, "aveva
lasciato i capelli spargersi al vento")

2
 Si noti la dovizia di particolari di cui si carica il ritratto della donna amata: i capelli “d’oro” che
il vento scompiglia in mille boccoli, la luce splendente degli occhi e, nella terzina che segue, il
colorito del volto. La descrizione si carica di concretezza e vitalità, una vitalità presto negata dalla
clausola “ch’or ne son sì scarsi”, che introduce l’immagine di cupezza e di morte, che fa da
controcanto all’intero libro.

3
 non so se vero o falso: realtà e immaginazione si fondono in un rapporto osmotico

5
 d’angelica forma: da intendersi diversamente rispetto alla produzione dello Stilnovo; Laura, infatti,
non pare affatto portatrice di una forma di salvezza o di elevazione dal mondo terrestre (qual
era invece la Beatrice raffigurata nel sonetto dantesco Tanto gentile e tanto onesta pare), quanto
piuttosto un elemento che tormenta il poeta fino allo sfinimento.

6
 L’immagine dell’arco che allenta la sua corda (ovvero metafora che rimanda allo sfiorire della
bellezza umana di Laura) chiude efficacemente il sonetto, con l’icasticità che già aveva
caratterizzato la prima quartina.

Il testo rappresenta la rievocazione da parte del poeta di un incontro con Laura.

Si svolge sulle rive del Sorga, il fiume che scorre nei pressi di Valchiusa descritto in molte altre
liriche della raccolta e dove la donna era solita fare il bagno: gli elementi del paesaggio
circostante formano un locus amoenus di derivazione classica e stilnovistica.

Laura viene descritta con alcuni moduli tipici della "donna-angelo" (le trecce bionde, l'aspetto
e il portamento divino...), ma anche come oggetto di un amore terreno e sensuale che è molto
distante dalla tradizione precedente e si rifà, piuttosto, alla visione propria del mondo classico.

La donna viene anche mostrata nella sua crudeltà verso il poeta di cui respinge gli inviti
all'amore, col definirla "fera bella et mansüeta" (v. 29) e augurandosi che possa impietosirsi di
lui dopo la morte.
La canzone si fonda tutta sulla contrapposizione tra:
 il passato, la memoria dell’incontro con Laura
 il presente, in cui Petrarca si sente prossimo alla morte per le sofferenze amorose e
desidera essere sepolto in quel luogo che ama.
All'inizio si rivolge agli elementi del paesaggio (le acque del fiume, il ramo, l'erba, i fiori, l'aria)
pregandoli di ascoltare il suo lamento amoroso, quindi esprime il desiderio che Laura torni lì e
pianga sulla sua tomba, invocando per lui il perdono divino, nella consapevolezza che il suo
amore è frutto del peccato e da condannare sul piano morale.

Il ricordo di Laura sulle rive del Sorga è una descrizione idilliaca e ricca di immagini tratte
dalla tradizione classica, in cui Laura sembra più una divinità pagana che non la "donna-
angelo" di ispirazione stilnovista:
la donna siede morbidamente sull'erba con la "gonna / leggiadra", mentre dai rami degli alberi
scende una pioggia di fiori simile a un "amoroso nembo" che si posano su di lei e sugli
elementi del paesaggio con un leggiadro volteggiare, con una ripresa di immagini della
mitologia classica (il dio Amore, la simbologia dei petali...) che, a differenza dei poeti
precedenti, sono del tutto sganciate da qualunque spiritualizzazione, fanno da sfondo a un
amore terreno e dalle implicazioni sensuali inequivocabili (al v. 9 l'"angelico seno" è proprio il
seno di Laura appoggiato all'erba, per cui la donna è mostrata nella sua nudità e con la
bellezza seducente del suo giovane corpo).
1
 donna: dal latino domina, “signora”, e quindi con la facoltà di comandare il cuore del poeta e
di rappresentare, ai suoi occhi, l’unica degna rappresentante di tutto il genere femminile.

2
 gentil ramo: si noti la ripresa del termine-chiave “gentile”, fondamentale in tutta la poetica
stilnovistica, con cui Petrarca si confronta da vicino.

6
 fra voi: Petrarca, tormentato ed annichilito da Amore, si immagina una sepoltura beata
nell’Eden terrestre della Valchiusa.

7
 quel dubbioso passo: è chiaramente la morte, il cui pensiero occupa ossessivamente la seconda
strofe della canzone. Il legame Amore-Morte è del resto uno dei temi cardinali della raccolta.

8
 Il poeta ovviamente intende con questa espressione il giorno, santo e fatale,
dell'innamoramento per Laura.

9
 Il poeta immagina che Laura, non più "fera", torni a trovarlo una volta morto e,
finalmente benevola e pietosa nei suoi confronti, induca Dio a concedergli il perdono.

10
 L'immagine de "l'amoroso nembo" è di ascendenza letteraria; circonfusa di fiori appare
infatti Beatrice a Dante nel trentesimo canto del Purgatorio, nel momento del loro incontro

11
 La natura valorizza Laura in tutta la sua bellezza: si noti la ricercatezza delle immagini e
l’efficacia della similitudine, con la quale Petrarca paragona le trecce di lei ad oro e perle.

13
 La bellezza di Laura ha in sé qualcosa di ultraterreno: una constatazione che si accompagna
a un senso di impotenza e annichilimento, al punto tale da rendere l’amante “carco d’oblio”, e
dubbioso sul luogo in cui egli si trovi realmente (“credendo d’esser in ciel”, v. 63).Il gioco tra realtà
ed illusione proietta l’amore per Laura in una dimensione slegata dal tempo, eterna ed
immutabile.

14
 Chiare, fresche et dolci acque si presenta anche come una sintesi dell'intera vicenda amorosa
tra il poeta e Laura: alla spiritualizzazione della figura femminile (creatura nata "in Paradiso", v. 55)
si aggiunge la sofferenza elegiaca del poeta (che ragiona tra sé e sé "sospirando" per le pene
d'amore, v. 61) e la ricerca senza soluzione della "pace"

15
 L’intonazione del congedo è affidata al congiuntivo ottativo, ad esprimere il desiderio che la
canzone possa diffondersi tra il pubblico.

Figure retoriche

 sinestesia: “chiare, fresche et dolci acque”


 enjambements: sono altrettanto numerosi (es. vv. 7-8, 27-28, 34-35...)
 perifrasi: “colei che sola a me par donna”
 anafore: “qual”
 personificazione: prima di Amore e, nel congedo, della canzone stessa.
 paronomasia: “pieta”-"pietre"

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