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VIII / 3, 2005
viella
Gaia Gubbini
Amare
crucior,
morior
vulnere, quo glorior.
Eia, si me sanare
uno vellet osculo,
que cor felici iaculo
gaudet vulnerare!
Estas in exilium, CB 69
1. Riprendo e sviluppo alcuni temi affrontati nella mia tesi di laurea, discus-
sa il 18 luglio 2002, dal titolo Il Tatto amoroso nella lirica trobadorica, relatore il
prof. R. Antonelli, correlatore il prof. P. Canettieri.
2. Cfr. Ch. Camproux, Le joy d’amour des troubadours, Montpellier 1965;
cfr. anche M. L. Meneghetti, Il pubblico dei trovatori. Ricezione e riuso dei testi
lirici cortesi fino al XIV secolo, Torino 1992, p. 77.
3. Cfr. L. Leonardi, Guittone d’Arezzo, Canzoniere. I sonetti d’amore del
codice Laurenziano, Torino 1994, in part. cfr. p. XXXIX.
Ecce video alios vulneratos, alios ligatos, alios languentes, alios deficientes;
et totum a caritate. Caritas vulnerat, caritas ligat, caritas languidum facit, ca-
ritas defectum adducit.(…) Vultis audire de caritate vulnerante? Vulnerasti
cor meum, soror mea, sponsa, in uno oculorum tuorum et uno crine colli tui.
Vultis audire de caritate ligante? In funiculis Adam traham eos in vinculis
caritatis. (…) Caritas vincula habet, caritas vulnera facit6.
Primum enim gradum diximus qui vulnerat, secundum qui ligat7.
Il vulnus e il laqueus sembrano quindi configurarsi come ele-
menti fondanti l’aspetto patiens8 del discorso amoroso – di quello
sacro, come di quello profano – e, per così dire, della corporeità
nella lirica trobadorica: a partire dal luogo rambaldiano in questio-
ne, proviamo a seguirne alcuni snodi lirici.
Raimbaut d’Aurenga sembra essere fra i primi ad impiegare
il verbo nafrar9. In particolare, l’attestazione del lemma nafrar e
del tema della ferita nella lirica rambaldiana Un vers farai de tal
mena sembra possedere una dimensione assolutamente “corpo-
rea”, come ben mostra il raro rimante vena10, luogo dello strazio
6. Riccardo di San Vittore, De quatuor gradibus violentae caritatis, a cura di
M. Sanson, Parma 1993, cap. 4, p. 64; si veda inoltre l’introduzione della curatrice
al trattatello di Riccardo per le analogie con la lirica trobadorica.
7. De quatuor gradibus cit., cap. 7, p. 70.
8. Si utilizza qui la formula “aspetto patiens” per indicare la sfera dolorosa e
patita, subìta dall’io lirico, con un valore simile a quello posseduto dall’espressio-
ne «tratto patico», impiegata da Paul Ricoeur a proposito della memoria storica:
«Prima di parlare, il testimone ha visto, sentito, provato (…), insomma è stato
“impressionato”, colpito, choccato, ferito, in ogni caso raggiunto e toccato dal
fatto. Ciò che il suo dire trasmette è qualcosa di quell’esser-impressionato da; in
questo senso si può parlare dell’impronta del fatto anteriore, anteriore alla testi-
monianza stessa, impronta di una certa foggia trasmessa dalla testimonianza, che
comporta una faccia di passività, di páthos (…). Questo tratto “patico” si ritrova
al livello della coscienza storica nella forma dotta assegnatale da Gadamer, quan-
do parla della “coscienza dell’effetto della storia” (Wirkungsgeschichtliches
Bewußtsein), espressione che possiamo tradurre con l’esser-impressionato dalla
storia» (cfr. P. Ricoeur, Das Rätsel der Vergangenheit. Erinnern – Vergessen –
Verzeihen [1998], tr. it. Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato,
Bologna 2004, p. 18).
9. Indagine condotta sul database Trobadors. Concordanze della lirica tro-
dadorica, a cura di R. Distilo, Roma 2001.
10. Il rimante vena compare infatti solo 4 volte, di cui due in contesto schiet-
tamente amoroso: cfr., oltre all’attestazione rambaldiana, l’occorrenza di Bernart
Marti, Amar dei, v. 35 «tant ha blava vena», in F. Beggiato, Il trovatore Bernart
Marti, Modena 1984, pp. 53-64.
11. Raimbaut d’Aurenga, Un vers farai de tal mena, vv. 22-23, in Milone, El
trobar ‘envers’ cit., pp. 103-107.
12. Cfr. Farai un vers, pos mi sonelh, vv. 69-70 in Guglielmo IX, Poesie, ed.
critica a cura di N. Pasero, Modena 1973, pp. 113-155. Cfr. anche Marcabruno, Dire
vos vuoill ses doptanssa, v. 65, in Marcabru. A critical edition, by S. Gaunt, R. Har-
vey and L. Paterson, Cambridge 2000, pp. 237-263. Per la ponha d’amor rudelliana
rispetto alle “punture” del moralista Marcabruno cfr. L. Spitzer, L’amour lointain de
Jaufré Rudel et le sens de la poésie des troubadours, Chapel Hill 1944, in part.
p. 48, luogo del saggio già commentato da C. Bologna, Da Poitiers a Blaia: prima
giornata del pellegrinaggio d’amore, Messina 1991, p. 34.
La ponha d’amor e la cadena 785
De dezir mos cors no fina / vas selha ren qu’ieu plus am, / e cre que volers
m’enguana / si cobezeza la·m tol; / que plus es ponhens qu’espina / la dolors
qu’ab joi sana: / don ja non vuolh qu’om m’en planha25.
Ancora, non sarà immotivato rilevare che, congiuntamente agli
altri elementi rinvenuti, anche il motivo del fuoco – rappresentato
con insistenza nei passi gregoriani in esame attraverso la doppia
presenza del termine flamma, e del verbo inardescere – è reperibile
nella rudelliana Quan lo rius de la fontana, vv. 109-110: ‹‹Pois del
tot m’en falh aizina, / no·m meravilh s’ieu n’aflam››; pur trattando-
si di motivo topico e già ovidiano, l’attestazione rudelliana sembra
costituire una delle prime presenze “cortesi” del tema in ambito
trobadorico.
L’altro luogo rudelliano della ferita ci ripresenta la ponha
d’amor, congiuntamente al colps de joi:
Colps de joi me fer, que m’ausi, / e ponha d’amor que·m sostra / la carn,
don lo cors magrira; / et anc mais tan greu no·m feri / ni per nuill colp tan no
langui, / quar no conve ni no s’esca. a a26.
Come è possibile notare, in entrambi i passi del corpus rudel-
liano specificamente dedicati al motivo del vulnus, un elemento
fisso è quello della “puntura”, verbalizzato attraverso i lemmi ponha
e ponhens, e corroborato dal paragone con l’espina; le altre com-
ponenti centrali sono il colps de joi e la dolors qu’ab joi sana; an-
che qui sembra possibile trovare un parallelo in alcuni passi di
Gregorio Magno, sia in termini lessicali, nella presenza “pungente”
di termini come iaculum e spiculum, avvicinabili alla ponha e
all’espina rudelliane, sia in termini concettuali, come segnalano il
motivo della ferita che sana27:
Occidit enim ut vivificet, percutit ut sanet; quia idcirco foras verbera admo-
vet ut intus vulnera delictorum curet. Aliquando autem etiam si flagella exte-
rius cessare videantur, intus vulnera infligit, quia mentis nostrae duritiam
suo desiderio percutit, sed percutiendo sanat, quia terroris suo iaculo tran-
sfixos ad sensum nos rectitudinis revocat. Corda enim nostra male sana sunt,
cum nullo Dei amore sauciantur, cum peregrinationis suae aerumnam non
sentiunt (…). Sed vulnerantur ut sanentur, quia amoris sui spiculis mentes
Deus insensibiles percutit, moxque eas sensibiles per ardorem caritatis red-
dit. (…) percussa autem caritatis eius spiculis, vulneratur in intimis affectu
pietatis, ardet desiderio contemplationis et miro modo vivificatur ex vulnere
quae prius mortua iacebat in salute. Aestuat, anhelat et iam videre desiderat
quam fugiebat28.
e il tema della compunctio che suscita in moerore laetitia:
Sed hoc inter se utraque haec differunt, quod plagae percussionum dolent, la-
menta compunctionum sapiunt. Illae affligentes cruciant, ista reficiunt, dum af-
fligunt. Per illas in afflictione moeror est, per haec in moerore laetitia29.
In conclusione, sembra si possa ipotizzare nella corporea ponha
d’amor che sostra / la carn di Jaufre Rudel una stratificazione di
materiali di diversa provenienza: l’originaria accezione medica del-
la compunctio, in cui essa «désigne les élancements d’une douleur
aiguë, d’un mal physique»30, ed il suo reimpiego in senso mistico –
soprattutto nella compunctio amoris di Gregorio Magno, «posses-
sion obscure, dont la conscience ne dure pas, et dont, par consé-
quent, naissent le regret de la voir disparaître et le désir de la re-
trouver»31 – appaiono infatti aleggiare sulla ponha d’amor e sulla
dolors plus ponhens qu’espina del corpus rudelliano.
L’attestazione del vulnus presente nella lirica rambaldiana Un
vers farai de tal mena da cui siamo partiti al principio – e cfr. in
particolare i vv. 22-23 «Ben m’a nafrat en tal vena / est’amors
qu’era·m refresca» – sembra, nella sua dimensione “corporea”, una
possibile “erede” in termini espressivi delle ferite rudelliane32. Ma,
al di là di tale sfera comune ad entrambi i testi, è possibile indivi-
28. Moralia, VI XXV 2-26, PL 76, col. 752. Questo passo di Gregorio Magno
è segnalato, sulla scorta delle osservazioni di Jean Leclercq, anche da L. Pertile ne
La puttana e il gigante. Dal «cantico dei Cantici» al Paradiso Terrestre di Dante,
Ravenna 1998, in part. p. 99, a proposito dell’analisi della “ferita d’amore che sa-
na” nell’opera dantesca.
29. Gregorius I, Moralia, PL 76, col. 275.
30. Cfr. Leclercq, L’Amour des lettres cit., pp. 34-35.
31. Ibid., p. 35.
32. Nella lirica in esame di Raimbaut d’Aurenga, Un vers farai de tal mena
– come vedremo fra poco più distesamente – sarà invece la cadena, subito dopo
l’attestazione del vulnus, ad essere in particolare definita doussa: «Qu’amors m’a
mes tal cadena / plus doussa que mel de bresca» (vv. 29-30).
33. Cfr. le osservazioni di Milone, El trobar ‘envers’ cit., p. 203. Sulla ferita
di Jaufre cfr. Bologna, Da Poitiers cit., pp. 42-48.
34. Milone, El trobar ‘envers’ cit., p. 105. Si segnala una tenue memoria ru-
delliana anche al v. 28 di Un vers farai de tal mena: «lo mal que ins el cor
m’esconh» che sembra infatti richiamare il v. 30 della lirica di Jaufre Pro ai del
chan essenhadors: «ves l’amor que ins el cor m’enclau».
35. Cfr. Milone, El trobar ‘envers’ cit., introduzione, p. 29 ss.; cfr. ancora
per l’influenza di Jaufre Rudel sulla lirica rambaldiana Aissi mou un sonet nou
p. 131, nota ai vv. 18-19 e p. 133, nota al v. 32.
36. Per la centralità ben “rudelliana” dell’aggettivo lonh nella lirica rambal-
diana Un vers farai de tal mena cfr. ibid., p. 201. Sul valore della parola-rima lonh
nella lirica rudelliana cfr. Au. Roncaglia, L’invenzione della sestina, in «Metrica»
2 (1981), pp. 3-41, in part. pp. 16-17.
37. Cfr. Milone, El trobar ‘envers’ cit., p. 201.
La ponha d’amor e la cadena 791
e· rosinhols s’estendilha
qe·m nafra d’amor tendilh,
si que ·l cor m’art, mas no·m rima
ren de foras, mas dinz rim42
38. Raimbaut d’Aurenga, Aissi mou un sonet nou, vv. 25-28, in Milone,
Cinque canzoni cit., pp. 57-61.
39. Ab joi mou lo vers e·l comens, vv. 45-48, in C. Appel, Bernart von Ven-
tadorn: seine Lieder mit Einleitung und Glossar, Halle 1915, pp. 1-10.
40. Lo ferm voler qu’el cor m’intra, v. 15, in Arnaut Daniel. Il sirventese e
le canzoni, a cura di M. Eusebi, Milano 1984, pp. 128-136.
41. Sull’influenza rambaldiana in Arnaut Daniel cfr. P. Canettieri, Il gioco
delle forme nella lirica dei trovatori, Roma 1996, in part. pp. 110-112 e 190-194.
42. Raimbaut d’Aurenga, En aital rimeta prima, vv. 23-26, in Pattison, The
Life and Works cit., pp. 72-75. Sulla lirica rambaldiana cfr. Canettieri, Il gioco
delle forme cit., pp. 191-194.
Nam ipse Salomon mulierum amator fuit, et reprobatus est a Deo: et usque
adeo laqueus fuit illa cupiditas, ut a mulieribus etiam idolis sacrificare coge-
retur, sicut de illo Scriptura testis est56.
Il laqueus par excellence sarà, molto più tardi, in Marbodo di
Rennes, la donna stessa:
Innumeros inter laqueos, quos callidus hostis
Omnes per mundi calles camposque tetendit,
Maximus est et quem vix quisquam fallere possit,
Femina, triste caput, mala stirps, vitiosa propago57.
61. Su Bertran de Born cfr. almeno P. G. Beltrami, Bertran de Born poeta ga-
lante: la canzone della dompna soiseubuda, in Ensi firent li ancessor. Mélanges de
philologie médiévale offerts à Marc-René Jung, Alessandria 1996, I, pp. 101-117;
M. Mancini, Metafora feudale. Per una storia dei trovatori, Bologna 1993, pp. 133-
161 e il recente contributo di S. Asperti, L’eredità lirica di Bertran de Born, in «Cul-
tura neolatina», 44 (2004), 3-4, pp. 475-525, cui ricorrere anche per ulteriori riferi-
menti bibliografici.
62. Cfr. Fratta, Peire d’Alvernhe, cit., p. 21.
63. Bertran de Born, Casutz sui de mal en pena, vv. 5-9 dall’ed. a cura di G.
Gouiran, L’amour et la guerre. L’oeuvre de Bertran de Born, Aix-en-Provence
1985, pp. 55-72
64. Cfr. Un vers farai de tal mena, vv. 3-4, ed. Gouiran cit., p. 56. Cfr. per
sintonia concettuale, nonché per la presenza del verbo descargar, Arnaut Da-
La ponha d’amor e la cadena 797
renza del verbo descargar con il lessema fais65 presente nel testo di
Bertran de Born appare modellata sulla lirica rudelliana Belhs m’es
l’estius e ·l temps floritz, vv. 54-56, e probabilmente per opposita,
dal momento che Jaufre affermava: «E sapchatz tug cominalmen /
qu’ie·m tenc per ric e per manen, / car soi descargatz de fol fais»66.
Che poi Bertran si richiami direttamente a Jaufre Rudel in questo
luogo sembra ipotizzabile a partire dal seguente dato: la lirica ru-
delliana e quella bertrandiana sono gli unici due testi, congiunta-
mente ad un’attestazione più tarda di Folquet de Lunel in una can-
zone religiosa67, a presentare la co-occorrenza del verbo descargar
e del lessema fais in tutto il trobar. La ripresa di matrice rudelliana
operata da Bertran, seppur cambiata di segno, potrebbe quindi es-
sere funzionale, congiuntamente alla contigua immagine della ca-
dena / don mailla no-is descontena, all’affermazione di un amore
“totalizzante” da parte del cantore delle armi.
Un amore totalizzante e totale, che pone al centro il corpo,
come emerge dall’originale e appassionata descriptio puellae che
investe i vv. 25-36:
niel, Si·m fos Amors de joi donar tan larga, vv. 43-44: «qu’ieu non ai cor ni
poder que·m descarc / del ferm voler que non es de retomba» (cito da M. Euse-
bi, Arnaut Daniel. L’aur’amara. Paradossi e rituali dell’amor cortese, Parma
1995, pp. 145-153).
65. Per un’analisi del termine fais in Guglielmo IX cfr. S. Bianchini, Scon-
venienti convenienze. Sondaggi guglielmini, Roma 2000, pp. 49-63.
66. Su questa ripresa di matrice rudelliana in Bertran de Born cfr. Mancini,
Metafora feudale cit., pp. 143-144. È molto probabilmente a questo luogo rudelliano
che Marcabruno si rivolge polemicamente in Ans que·l termini verdei, vv. 21-22:
«Ben es cargatz de fol fais, / qui d’amor es en pantais» (cito da Marcabru. A critical
edition, ed. by S. Gaunt, R. Harvey, L. Paterson, Cambridge 2000, pp. 108-116),
come è stato rilevato da L. Topsfield, Troubadours and Love, Cambridge 1975, p.
57, e poi precisato da L. Paterson, Marcabru’s rhetoric and the dialectic of trobar.
“Ans que·l termini verdei” (PC 293.7) and Jaufre Rudel in Conjunctures: Medieval
Studies in Honor of Douglas Kelly, ed. K. Busby and N. J. Lacy, Amsterdam and
Atlanta 1994, pp. 407-423, in part. pp. 416-421. Difficile invece dire se nel passo
menzionato di Bertran de Born sia ravvisabile un’eco del «tema abelardiano», pre-
sente nella lirica rudelliana Belhs m’es l’estius e ·l temps floritz, e poi riemerso nella
rambaldiana Lonc temps ai estat cubertz secondo la proposta interpretativa di Bolo-
gna, cui si rimanda (Bologna, Da Poitiers cit., pp. 23-42).
67. Cfr. Folquet de Lunel, Dompna bona bel’e plazens, v. 35, in F. J. Oroz
Arizcuren, La lírica religiosa en la literatura provenzal antigua, Pamplona 1972,
pp. 126-133.
68. Casutz sui de mal en pena, vv. 25-36, da Gouiran, L’amour et la guerre
cit., pp. 55-72, passo già esaminato in Beltrami, Bertran de Born cit., p. 104.
69. Cfr. M. L. Meneghetti, «Nutz en ma camisa». Idéologie et métaphore ve-
stimentaire dans la poésie des troubadours, in Le corps et sa parure/The Body
and its Adornment = «Micrologus» 15 (2007), pp. 157-172, in part. p. 171.
70. Sull’influenza di Raimbaut d’Aurenga su Bertran de Born, anche se più
da un punto di vista formale che concettuale, cfr. C. Appel, Raimbaut d’Aurenga
und Bertran de Born, in «Studi medievali», n. s., 2 (1929), pp. 391-408, in parti-
colare cfr. p. 391: «In der Tat aber ist in der Formen seiner Lieder kein anderer so
deutlich als Vorbild Bertrans zu erkennen wie Raïmbaut d’Aurenga»; cfr. anche
W. D. Jr. Paden, T. Sankovitch, P. H. Stäblein, The Poems of the troubadour Ber-
tran de Born, Berkeley-London 1986, p. 49.
71. Cfr. Milone, Cinque canzoni cit., p. 45.
72. Sul no-poder cfr. L. Milone, Retorica del potere e poetica dell’oscuro da
Guglielmo IX a Raimbaut d’Aurenga, in Retorica e poetica, Atti del III Convegno
italo-tedesco (Bressanone, 1975), Padova 1979, pp. 149-177.
La ponha d’amor e la cadena 799
73. Cfr. Erich Köhler, Zum “trobar clus” der Trobadors, in «Romanische
Forschungen», 64 (1952), pp. 71-101, poi in Id. Sociologia della Fin’Amor. Saggi
trobadorici, Padova 1976, pp. 163-193, in part. cfr. p. 187; cfr. recentemente
R. Antonelli, Oscurità e piacere, in Obscuritas. Retorica poetica dell’oscuro, Atti
del XXVIII Convegno Interuniversitario di Bressanone (12-15 luglio 2001), Tren-
to 2004, pp. 47-58, in part. pp. 55-56.
74. Casutz sui de mal en pena, vv. 43-44. La lirica di Bernart de Ventadorn,
Amors, e que.us es vejaire, vv. 61-64 si cita da Appel, Bernart de Ventadorn cit.,
pp. 20-27.
80. Autet e bas entre·ls prims fuelhs, vv. 39-40, in Arnaut Daniel. Il sirven-
tese cit., pp. 49-54.
81. Ibid., vv. 17-18.
82. Cfr. P. Bec, La douleur et son univers poétique chez Bernart de Venta-
dour, in ‹‹Cahiers de civilisation médiévale››, 11 (1968), pp. 545-571.