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L'AMOROSO PENSIERO DI MARCO SANTAGATA

PREAMBOLO

(RVF 1)
L'uomo che racconta si sente diverso dall'uomo che quella storia ha vissuto. L'amore giovanile aveva tutti i caratteri
della passione: l'innamorato, schiavo del suo oggetto di desiderio, viveva in un continuo e instabile alternarsi di gioia e
dolore,speranza e angoscia. Sentimenti vani, privi di valore e consistenza, che avevano come unico risultato di
sconvolgerlo e di gettarlo in una penosa incertezza. Sono gli effetti dell'alienazione amorosa.
Ecco perché l'uomo maturo e ravveduto ha deciso di raccoglierle: per fare vedere in atto gli effetti psicologicamente e
moralmente devastanti della passione e con ciò prenderne le distanze e condannarla.
L'uomo maturo che adesso racconta si vergogna di quel passato, se ne pente, lo condanna.
Da quella malattia amorosa si può guarire recuperando il controllo di sé stesso. È quanto ha fatto il saggio che adesso
guarda alla sua passata follia e la giudica.
Ma l'amore è anche un peccato? Al riguardo il sonetto è elusivo e reticente. Il "pentimento" non sembra scaturire dal
profondo di una coscienza cristiana lacerata. Il tema biblico della labilità dei piaceri terreni più che una decisa
affermazione di distacco sembra quasi una sorta di amaro compianto per la fugacità di quei piaceri e di quelle illusioni,
ai quali l'uomo resta pur sempre legato.
L'avvertimento che Petrarca sente di dover dare a coloro che si accingono a leggere il libro è chiaro: leggeranno un libro
che racconterà la storia d'amore dello scrivente allo scopo di mostrare la dannosa vanità e che perciò si concluderà con
un pentimento e una drastica condanna morale. Di Laura nel sonetto non è solo assente il nome, ma non si fa neppure
accenno. L'oggetto d'amore è assente, ma il soggetto è onnipresente.
Il soggetto che parla nel primo sonetto e che sarà il protagonista del libro è dunque un convertito.
Petrarca intende affiancare alla produzione umanistica di tipo storico ed epico, alla quale si era dedicato fino ad allora,
una produzione di carattere morale incentrata sul proprio Io e di intenzione autobiografica; un autobiografismo
particolare, mirato a costruire un ritratto ideale di sé mescolando liberamente realtà e finzione.
Da secoli il libro di rime per Laura è chiamato semplicemente Canzoniere, cioè il nome del genere letterario a cui ha
dato origine, proprio come avviene con la Commedia di Dante, ma a differenza di Dante, Petrarca aveva assegnato un
titolo al suo libro: Rerum Vulgarium fragmenta.
Il Canzoniere ha una lunga storia, che dal 1349 arriva fino all'anno di morte del suo autore (1374). nel tempo si sono
succedute numerose redazioni, sempre però mantenendo saldo e riconoscibile il nucleo originario.
Esso conteneva 171 componimenti, corrispondenti ai numero 1-142 e 264-292 del Canzoniere definitivo. Rispetto al
libro completo, 366 poesie, quel Canzoniere era meno della metà.

IL PRIMO CANZONIERE

IL PROLOGO (1-10)

Le avvertenze che nel primo sonetto Petrarca impartisce ai lettori sono chiare. Quella che essi leggeranno è una storia
d'amore da lui vissuta in età giovanile e adesso conclusa. Il libro la racconterà con lo sguardo distaccato di chi ne è
uscito, la osserva da una raggiunta condizione di saggezza e la giudica. Giudizio negativo: passione e desiderio
travolgono chi ne è preda, gli tolgono la lucidità razionale.
Però le prefazioni si scrivono a libro ultimato, mentre quando lui nel 1349 compone il suo avviso ai lettori, la raccolta
era ancora tutta da montare.
Petrarca ha ben chiare quali saranno le modalità con i quali il libro che si appresta a comporre dimostrerà la sua tesi. Lo
farà costruendo un racconto, una sorta di romanzo, tramite l'assemblaggio di componimenti lirici ciascuno dei quali è in
sé autonomo e autosufficiente. Il libro mostrerà come sia cresciuta la consapevolezza del soggetto innamorato, fino al
rigetto e alla condanna morale di quel legame che lo aveva incatenato.
A quello proemiale seguono quattro sonetti, pur legati al tema amoroso, appaiono a prima vista scollegati tra loro.
Nel primo Francesco racconta che la sua virtù era preparata a contrastare l'attacco che Amore gli avrebbe portato per
vendicarsi di essere stato fino ad allora respinto, ma che l'assalto fu così improvviso e violento che la virtù non fece in
tempo ad armarsi e nemmeno a guidare la ritirata del soggetto in un luogo sicuro, la rocca della razionalità che
nell'uomo è situata in alto, nel capo (RVF 2).
il secondo sonetto spiega che al momento dell'assalto Francesco era disarmato e che quindi Amore non vinse in modo
onorevole, tanto più che si guardò bene non solo di ferire, ma perfino di minacciare Laura. Francesco, dunque, si
innamora di una donna che non lo ama.
Era disarmato perché perché era il giorno dell'anniversario della morte di Cristo, il venerdì santo, e quindi mai avrebbe
immaginato che in quel giorno di lutto per tutta la cristianità un sentimento così profano potesse penetrare, grazie alla
visione dei begli occhi di una donna, fin dentro al suo cuore (RVF 3). Il suo sentimento era nato sotto il segno del
peccato.
Mentre i primi due sonetti parlano dell'innamorato, i secondi due danno alcune informazioni sulla donna che lo fece
innamorare.
Il primo dei due sonetti che informano sulla protagonista femminile spiega che Dio, incarnandosi in Cristo, non aveva
scelto di nascere nella capitale dell'Impero, ma in Giudea, e che, per lo steso motivo, aveva disposto che Laura venisse
al mondo i un piccolo paese (RVF 4)
Petrarca costruisce una storia d'amore assemblando anche poesie che nulla avevano a che fare con Laura, ma vuole che
di quella storia lei appaia come l'unica protagonista. E perciò, appena ne ha occasione, ricorre a elementi di realtà noti ai
lettori contemporanei. È un modo per certificare la veridicità di quanto sta scrivendo.
Il parallelismo fra Cristo e Laura: Cristo è luce che rischiarale profezie,Laura è un sole; entrambi nascono in luoghi
defilati; entrambi sono doni divini.
I quattro sonetti che a prima vista sembravano scollegati fra loro, a guardar meglio appaiono strettamente congiunti.
Tradizione antico-latina: il teso proemiale fornisce la chiave per interpretare il libro, i quattro che seguono illustrano le
circostanze o argomenti che introducono alla narrazione vera e propria. I primi due rispondono alla domanda “perché?”
e “quando?”, mentre i secondi due rispondo alle domande “dove (è nata)?” e “chi è? Come si chiama?”.
Quel libro rappresentava una novità. Prima del Canzoniere, circolavano già raccolte di testi lirici in volgare, ma nessuna
di esse si presentava come libro organico. Nessuna raccolta precedente si snodava lungo un asse narrativo, e tanto meno
ambiva a dimostrare una tesi morale. Il canzoniere-romanzo è un'invenzione di Petrarca.
Qualcosa di analogo c'era, ed era la Vita nova di Dante. Il Canzoniere è anche una sfida a Dante.

La storia d'amore comincia come storia di follia irrazionale, di perdizione morale, di alienazione e di impotenza, senza
nemmeno il conforto di smarrirsi per qualcosa (RVF 6)
comincia, ma si ferma subito. Seguono, infatti, quattro sonetti, vagamente connessi al tema amoroso, scritti per amici.
Tutti e quattro hanno l'aspetto di biglietti, di messaggi di cortesia.
Il primo è il più impegnativo . Era stato inviato a un amico, studioso e scrittore, per pregarlo di non abbandonare una
sua impresa letteraria, nonostante i tempi fossero avversi allo studio e alla poesia: la natura umana aveva smarrito la
strada verso il bene e la virtù, nessuno aspirava più alla gloria poetica (RVF 7).
Il quadro fosco della società contemporanea è lo sfondo sul quale si proietta il disordine morale dell'innamorato
descritto nel sonetto precedente. Il quadro è riferito ad Avignone, città presentata come il luogo della perdizione di
Francesco e insieme della corruzione pubblica.

Avignone, agli occhi di Petrarca, appare come la capitale dei traffici,dei commerci,della corruzione, di tutto ciò che si
contrappone al gratuito lavoro del filosofo,dello storico e del letterato. Si sente estraneo a questa città.
Avignone ha un ruolo importante nel primo Canzoniere perché ha un ruolo importante nel progetto dell'autobiografia
ideale. Per Petrarca chiudere con Avignone non significava solo cercare un altro cielo sotto il quale vivere,ma
significava sopratutto dichiarare conclusa,in primo luogo a sé stesso, una stagione culturale e cercare nuove strade.

Molto più leggeri gli altri tre sonetti. Uno accompagnava il dono di una coppia di volatili catturati nella piana dove
Laura era nata; un altro quello di un frutto primaverile che nasce sotto terra;l'ultimo è una letterina con la quale Petrarca
invitava un Colonna residente a Roma a raggiungerlo nella quiete di Valchiusa (RVF 10)
potrà stupire che un libro costruito su un elevato assunto etico raccolga anche poesia come queste,poco più di biglietti
amicali o di cortesia effettivamente spediti ai loro destinatari. Ma la rischiosa scommessa di Petrarca era proprio di
erigere un monumento con materiali estemporanei e di poso peso come questi. Non conta quale fosse la loro natura
originaria,conta quale ruolo assumono nella compagine.
La struttura complessiva dei primi dieci sonetti è : 1+4; 1+4; il prologo classico si allarga a un secondo prologo dal
quale i lettori vengono resi edotti che quel libro era contemporaneamente di Laura e dei Colonna. Più in generale,era la
rievocazione dell'epoca vissuta dall'autore ad Avignone. Un'epoca che il Petrarca maturo colloca sotto il segno del
peccato, del disordine,ma che tuttavia,nel momento in cui è rivissuta, ridà vita ai sogni, alle illusioni,alle speranze di
quegli anni e finisce per imprimere all'opera un'affascinante e incancellabile ambiguità.

Che il Canzoniere di Laura sia anche il Canzoniere dei Colonna è dimostrato dal fatto che, poco prima dell'inizio dei
testi in morte della protagonista, Petrarca conteggia gli anni del suo servizio amoroso insieme a quelli del servizio
prestato al cardinale Giovanni Colonna.
Ai Colonna egli deve quasi tutto: il benessere economico,la possibilità di studiare gli amati classici latini,la fama
precoce. Erano stati loro a promuovere e organizzare nel Capidoglio di Roma nel 1341 la sua incoronazione a poeta e
storico.
Tuttavia, negli anni Quaranta le cose erano cambiate. A guastare i rapporti era intervenuto l'affare di Cola di Rienzo
(nemico dei Colonna). Eppure Petrarca non aveva esitato a diffondere epistole in prosa ed egloghe con le quali si
schierava a favore del nemico dei suoi protettori. Un tradimento che portò a una rottura con la famiglia.
Ma del mutato atteggiamento nei confronti del Colonna nel Canzoniere non vi è traccia.
DESIDERIO E FRUSTAZIONE (11-66)
Nel racconto c'è un antefatto non detto. Il fatidico venerdì santo del peccaminoso colpo di fulmine segna la nascita
dell'amore di Francesco per Laura, ma non quella di un rapporto condiviso. Francesco, cioè, non si rivela. Egli l'ha
frequentata in società mantenendo segreti i suoi sentimenti. Poi, un giorno, li manifesta.
La reazione di Laura non può che essere di rifiuto. E così a storia del rapporto a due comincia con un innamorato che
chiede e un oggetto d'amore che si nega.
Una poesia racconta come Laura abbia cambiato il suo atteggiamento:un tempo, quando le erano ignoti i sentimenti
dell'innamorato, mostrava liberamente il suo viso,ma adesso che li ha conosciuti copre i biondi capelli con un velo e
non gli rivolge più lo sguardo (RVF 11).
Nella lirica medievale la componente sessuale quasi sempre è nascosta e sublimata dietro alla richiesta dell'amante di
avere qualche segnale di contraccambio. Petrarca, però, non si lascia sfuggire la possibilità di esprimere il desiderio di
possesso fisico che un genere particolare di poesia, quello delle sestine, gli concedeva. (RVF 11).
Petrarca ritorna alla sestina per formulare l'irrealizzabile auspicio che Laura non gli si sottragga come Dafne aveva fatto
per pollo trasformandosi in alloro, ma finalmente accetti di trascorrere con lui un interminabile notte d'amore (RVF 22).
A prescindere da quale sia stata la realtà dei sentimenti per Laura,per giustificare un pentimento e una conversione
Petrarca deve costruire un mito erotico nel quale abbiano spazio anche i peccati dei sensi.
La canzone collocata subito dopo la sestina (RVF 23), utilizzando alcune delle favole delle Metamorfosi di Ovidio,
racconta come l'amante sia trasformato in cigno, in sasso, in fonte, in selce e in cervo, come punizione in quanto non
cessa di manifestare con parole e con scritti il suo desiderio e di chiederne il soddisfacimento. Posta quasi all'inizio della
storia,la canzone è una sorta di manifesto dell'amore sensuale.

Francesco è caduto preda dell'amore passione e da quel momento ha perso il controllo di sé. Laura gli ha tolto il libero
arbitrio, la capacità di scegliere e decidere. Lui ne è pienamente consapevole.
Il desiderio è una voglia feroce che procura solo angoscia, una voglia ossessiva di cui non è possibile liberarsi. L'amore
conduce a comportamenti socialmente riprovevoli. Tali sono il fuggire la compagnia degli uomini e isolarsi in
solitudine.
Al desiderio non si può resistere. Non lo possono domare né la ragione né la volontà. Gli occhi di Laura attirano e
ardono Francesco come il fuoco attrae e brucia le falene, e tuttavia sapendo che cosa l'attende, Francesco non può fare a
meno di cercare quelle luci.
Sono stati gli astri a infondergli, al momento della nascita, un desiderio che sembra addirittura trascendere i limiti della
natura umana: benché lui sia morale il suo “fermo desir vien da le stelle”. Solo la morte potrà estinguerlo; fino a quel
momento Francesco resterà sempre fedele al “dolce lauro”.

Laura è insensibile come una pietra, ma una pietra molto particolare, cioè una selce o pietra focaia: fredda e dura, e però
capace di accendere con le sue scintille il fuoco amoroso. Il rapporto tra i due non può che essere una “lunga guerra”.
Laura fugge come la Dafne di Ovidio, come la donna Pietra dantesca rifiuta di corrispondere all'amore.
Francesco arriva ad accusarla di essere incapace di amare, di amare solo se stessa.
Davanti allo specchio il suo egoistico narcisismo si appaga della contemplazione della propria bellezza (RVF 45).

In effetti la sua bellezza è proclamata più volte, ma quasi mai descritta. Ridotti al minimo sono gli accenni alle virtù
morali e alle doti intellettuali, mancano pure quelle allusioni alle qualità soprannaturali che accompagnano la
rappresentazione delle donne dello Stil Novo. È come se Francesco fosse interamente concentrato su di sé, sui suoi
impulsi, sulle sue frustrazioni, sulla sua disperazione. Laura è onnipresente e allo stesso tempo assente.
Quando è presente, in realtà Laura sembra assente; invece, essa riacquista pienezza fisica e psicologica nel ricordo.

Eppure, quasi all'inizio del racconto, con una poesia Francesco benedice il luogo e il momento in cui per la prima volta
ha visto quella nobile donna e ringrazia di avere avuto un simile onore; lei lo guida per un cammino sicuro alla
salvezza, e lui è certo della sua beatitudine (RVF 13).
Il Canzoniere è pieno di simili contraddizioni. Petrarca fornisce interpretazioni opposte e inconciliabili sia della sua
concezione dell'amore sia del ruolo di Laura. Esistono due Laure tra loro antitetiche: alla donna crudele, destinataria di
un desiderio che non può essere soddisfatto, una donna che priva l'amante della libertà e lo colma dell'angoscia, si
contrappone la donna rasserenatrice, beatificante, sorella delle dame angeliche che fanno frequenti apparizioni nei testi
d'impronta cortese e stilnovista.
Non sono due Laure, ma due modi diversi di vedere Laura.
Le due immagini di Laura convivono, a volte, addirittura nello stesso componimento, ma se osserviamo il libro da un
punto di vista che lo comprenda tutto, vediamo che in realtà la loro distribuzione è molto diversa.
La Laura nemica è predominante nella serie di testi che va dall'inizio alla canzone 70, una serie che corrisponde
grossomodo alla prima metà delle rime per Laura vivente nel primo Canzoniere.
Francesco si dibatte nella morsa tra desiderio e rifiuto. Poesia dopo poesia una coazione irresistibile lo stringe nel
circolo vizioso desiderio-frustrazione. Ne scaturiscono sofferenza, angoscia, pianto.
Non gli resta che pregare Amore, non che la sua passione possa farsi meno ardente, ma che pure Laura ossa provarla
almeno in parte: (RVF 65).
Ma è più facile che si prosciughino i l mare, i laghi e i fiumi prima che in Laura si sciolga il ghiaccio del cuore e si
addolcisca l'aspetto sdegnoso : (RVF 66).

Le dame della poesia medievale quasi mai corrispondono all'amore dei poeti innamorati. Pertanto le loro poesia
echeggiano di lamenti e di pianti. Secondo Guido Cavalcanti la morte è spesso la normale conseguenza dell'amore. Ma
la morte è per lo più una morte metaforica, un'immagine che riassume il senso di una vita distrutta dalla passione e una
morte morale, la perdita della razionalità.
Anche i lamenti e i pianti di Petrarca provengono da quella tradizione, tuttavia l'ossessività del suo pianto finiscono per
suscitare l'impressione che lo stato angoscioso si rivesta, sì, di panni letterari, ma riveli anche un'intima e reale
condizione di sofferenza dello scrivente. Quando parla di morte Francesco parla della morte fisica; più volte si affaccia
alla tentazione del suicidio.
Il motivo del suicidio per amore non era ignoto alla lirica precedente, mai nessuno però lo aveva elaborato con
l'intensità e la frequenza di Petrarca (RVF 36).
Ma siccome pensa che sarebbe solo un passaggio dalle pene amorose a quelle infernali, alle quali il suicida è
condannato, si trattiene, e vive una vita che di per sé assomiglia alla morte. A fermarlo è il pensiero della dannazione.

Francesco chiede, Laura rifiuta. Francesco si dispera, Laura resta indifferente: il copione si mantiene immutabile nel
tempo. Uno stallo che impedisce al libro di svilupparsi in senso narrativo.
Non che vi manchino episodi e aneddoti, anzi. La serie è punteggiata di riferimenti a fatti della vita quotidiana di
ciascuno dei due protagonisti.
Sappiamo che Petrarca, quando gli è possibile, cerca di dare sostanza al autobiografica al racconto alludendo ad
aneddoti noti ai lettori, o comunque da loro verificabili.

È strano, pensa Francesco, come gli uomini provino piacere ad amare qualunque cosa li faccia piangere; anche lui,
comunque,è uno a cui piace piangere: (RVF 37).
E perciò gli piace riandare continuamente con il pensiero alla donna lontana, alla sua bellezza, alla sua virtù e ai suoi
benefici effetti, insomma, a tutto ciò che adesso ha perduto e dispera di riottenere: RVF 37; la canzone designa il ritratto
di una Laura molto diversa dalla Laura nemica che angoscia l'amate nella prima parte del libro. Qui, nella memoria,
prendono forme le trecce d'oro, lo sguardo sereno, le mani bianche e sottili, il bel petto. La rappresentazione si estende
anche alle doti intellettuali e morali.

La situazione è bloccata, i personaggi non evolvono, il racconto non progredisce. A progredire è invece il tempo. Il suo
scorrere veloce e inarrestabile, l'incombere della morte, la fragile provvisorietà della vita sono un pensiero fisso di
Petrarca, ossessionato dalla paura dell'annullamento e del vuoto.
Attraverso l'invenzione degli anniversari del primo incontro il tempo diventa uno degli assi strutturali del racconto.
La notazione cronologica, collocata senza particolare rilievo nel corpo di una sestina, più che sottolineare il trascorrere
del tempo mette in risalto l'immutabilità del desiderio. Se nel sonetto del venerdì santo fosse stata scritta la data, questa
sestina sarebbe riferita al venerdì santo del 1334; ma nel sonetto la data non c'è, e dunque il libro non autorizza a fare
questi conti, né qui né per gli anniversari successivi.
Diverso è il terzo anniversario, quello dell'undicesimo anno. Non si risolve in una rapida annotazione,ma impegna una
poesia nella sua interessa: RVF 62; adesso è proprio la meditazione sul Cristo crocifisso a suscitare in Francesco
pensieri di contrizione, quel crocifisso a cui allora non aveva rivolto gli occhi presi dalla bellezza di Laura. Per la prima
volta echeggia chiara la condanna della passione amorosa: essa non solo ha reso inoperose le giornate e vaneggianti le
notti, gli ha fato dissipare la vita.

ABBAGLIATO DAL BELLO (67-73)


Nel primo Canzoniere le poesie dedicate a Laura in vita sono 145. A metà della serie è collocato un trittico di sonetti,
67, 68 e 69, dei quali i due esterni raccontano di un viaggio per mare lungo le coste toscane e quello centrale quali
effetti la città di Roma produca sull'animo di Francesco.
Nel 1338, dopo essere rientrato da Roma, Petrarca scrive da Valchiusa un'epistola in versi all'amico Giacomo Colonna
nella quale racconta che, dopo essere vissuto per dieci anni sotto il gioco d'Amore, con l'aiuto di Dio e grazie ai suoi
lunghi viaggi, era riuscito faticosamente a liberarsi. Tuttavia, non appena era ritornato ad Avignone l'amore lo aveva di
nuovo catturato. Si era allora rifugiato a Valchiusa,ma anche lì l'immagine di Laura lo inseguiva e lo turbava.
Nel Canzoniere gli aspetti realistici di quella crisi sono molto attenuati,mentre un forte rilievo è dato alla localizzazione
romana, di cui Petrarca intende esaltare il ruolo simbolico.
Il sonetto centrale della triade, indirizzato a un personaggio romano non nominato, si apre parlando della sacralità di
Roma. È il primo componimento nel quale si svela un dissidio interiore. Roma fa da catalizzatore a un moto interiore di
pentimento e nello stesso tempo indica quale sia la strada della salvezza. Il pentimento,però, non è né definitivo né
duraturo:il desiderio di rivedere Laura si riaffaccia a contrastarlo.

Il racconto era cominciato ad Avignone, luogo del traviamento di Francesco e dell'intera società, ed era proseguito
ruotando intorno al tema della follia amorosa. Che i prodromi di una possibile uscita da quella situazione di
autodistruzione psichica si manifestino a Roma acquista allora un significato particolare:Roma è la vera sede di Pietro,
la naturale antagonista di Avignone.
La crisi qui ambientata fa da preludio alla svolta enunciata nel compatto gruppo di canzoni che seguono (70-74). In esse
Francesco ripudia la concezione sensuale e negativa dell'amore in nome di un sentimento spirituale e positivo.

La svolta è enunciata nella canone 70.le prime tre stanze sono quasi un compendio della condizione di Francesco
descritta nelle poesie precedenti; egli è senza speranze. Laura rifiuta perfino di ascoltare le sue preghiere,cioè le sue
poesie. Fantastica di un improbabile futuro nel quale l'amata non solo si degnerà di ascoltarlo, ma sarà lei stessa a
sollecitarlo a poetare d'amore.
Quei sogni sono irrealizzabili perché Laura ha il cuore troppo duro: non gli resta che “indurare” il suo cuore quanto è
duro quello dell'amata e “inasprire” la sua poesia quanto è aspra la sua condizione.
Ma ecco la svolta: sia il desiderio di essere corrisposto, sia l'impossibilità di soddisfarlo appaiono a Francesco come
delirio e colpevole autoinganno.
Non sono Laura e il fato i colpevoli della sua sofferenza: la responsabilità è tutta sua. Le creature sono tutte buone in
quanto opere della Bontà divina: anche Laura, dunque, non è colpevole dell'affanno che provoca. Colpevole è lui, che
non ne coglie l'intera spiritualità e si arresta alle forme corporee. È la finitezza della natura umana a far sì che il suo
occhio non penetri la scorza fisica, e anche quando riesce a intravedere lo splendore dell'anima, non possa sopportare la
visione di tanta luce.
Laura perde ogni connotazione di colpa;la sua durezza appare come la giusta risposta alle richieste improprie di un
amante mosso da desideri troppo terreni.
Questa è una vera palinodia. è come se Petrarca,a metà delle rime per Laura vivente, volesse porre un primo termine
alla storia amorosa.

La presa di coscienza di Francesco si riverbera sulla figura di Laura e sul suo ruolo. Le tre canzoni 71, 72, 73 ( in esse il
discorso è rivolto agli occhi dell'amata) sviluppano un'ampia argomentazione in tre tempi, il cui scopo è mostrare come
adesso Francesco giudichi positivamente i comportamenti di Laura. La condizione di Francesco non è mutata, ma
continua a desiderare l'impossibile. Il desiderio ha ucciso la ragione e lo conduce a suo piacimento. Amore lo strazia in
modo così intollerabile che, se non temesse le pene dell'inferno, lui lo avrebbe già trovato il modo di porre fine
rapidamente alla sua vita.
Nuova è l'accusa diretta a Laura. Con una mossa molto simile a quella che segnava la svolta nella canzone precedente,
all'improvviso Francesco cambia tono e discorso: RVF 71; egli non vuole parlare del suo dolore, vuole concentrarsi
unicamente sulla lode degli occhi di Laura.

Una palinodia molto simile è riscontrabile nella Vita nova di Dante ed è anch'essa collocata proprio intorno alla metà
della sezione del libro che precede la morte della protagonista. La felicità di Dante consisteva nel fatto che Beatrice
ricambiava il suo saluto, ma poi, un giorno, Beatrice glielo aveva negato. Quel segno era il fine dei suoi desideri; venuto
meno Dante precipita nella dolorosa condizione dell'amante frustrato. Quando una improvvisa illuminazione lo
restituisce a una beatitudine persino maggiore della precedente: il vero amore non chiede, non vuole essere
contraccambiato; il vero amore si appaga totalmente nel contemplare e lodare il suo oggetto del desiderio.
La svolta di Petrarca è meno radicale: lui pure chiedeva di essere corrisposto, solo che le sue erano richieste sbagliate,
nate dal desiderio dei sensi. Poi,improvvisamente, ha capito che il suo sguardo doveva penetrare oltre l'aspetto fisico per
cogliere la spiritualità di Laura.
Comune a Dante e a Petrarca è il superamento della tradizionale concezione dell'amore cortese.

STANCHEZZA, MEMORIA, NOSTALGIA (74-139)


Non aspettiamoci che il libro prosegua in maniera lineare e coerente con la nuova impostazione. Petrarca è l'uomo del
dubbio, della contraddizione, dell'andare e venire.
Le poesie, in grande maggioranza, risalivano ad anni anteriori e pertanto erano state scritte nelle situazioni e con gli
intendimenti più svariati. Selezionarle e ordinarle in odo da costruire un discorso omogeneo e progressivo era
estremamente difficile. Per conferire al libro un andamento evolutivo che sostanziasse la tesi morale che esso vuol
dimostrare, Petrarca doveva scrivere ex novo i componimento portanti. Il sonetto proemiale e i gruppi di canzoni della
svolta risalgono agli anni a cavallo tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '50. agli stessi anni sono rapportabili anche i
testi che segneranno la seconda svolta del racconto.

Amore ha ricondotto Francesco “a la prigione antica”; adesso si sta liberando e ritorna “in libertà”. Ormai è troppo
stanco per pensare continuamente a Laura (RVF 74).
Sono 14 anni che si consuma sotto il giogo d'Amore.
In una sestina racconta che la vita è simile a una barca esposta ai pericoli del mare: lui, sperando erroneamente di poter
attraccare in un buon porto, ne aveva affidato la direzione a una brezza (l'aura, cioè Laura) che all'inizio sembrava
soave, ma che poi lo aveva condotto fra gli scogli. A lungo era vissuto come un cieco, senza mai alzare gli occhi per
controllare dove lo stesse portando la sua vela: Dio, tuttavia, si era degnato di salvarlo dal naufragio e di mostrargli in
lontananza il porto. Tuttavia, non è sicuro di poter raggiungere quel porto, poiché la sua barca è troppo fragile. Perciò
invoca l'aiuto del Signore (RVF 80).

Le poesie collocate subito dopo la svolta riprendono e amplificano i motivi enunciati nei testi che alludevano alla crisi
spirituale innescata dalla sacralità di Roma. Nello stesso tempo, sviluppano un nuovo ritratto di Laura come creatura
celeste; la sua immagine precedente era caratterizzata proprio dall'assenza di connotazioni angeliche. Adesso due sonetti
(77,78) ne celebrano in modo iperbolico la natura paradisiaca.

Laura non può perdere del tutto i tratti della “nemica”, ma ora può essere chiamata “ dolce nemica”. Mentre si diradano
gli accenni alla sua crudeltà, si infittiscono quelli alla sua bellezza e alla sua bontà, a partire dal riconoscimento della
sua natura angelica.
Laura adesso assume quei segni del divino che prima le erano stati negati. Parallelamente ella acquista fattezze fisiche:
una serie di riferimenti a singole parti anatomiche, dalle bionde trecce sciolte, alle labbra che spiccano sul candore del
volto.
Altro particolare realistico è l'accenno al' “angelico canto”; Petrarca ricorda più volte Laura che canta.

Il nome Laura è sovrapponibile a quello del lauro, l'alloro, e di alloro è contesta la laurea. Il lauro è dunque simbolo di
poesia. Ma proprio in quella pianta si è trasformata la ninfa Dafne per non cedere alle voglie del dio Apollo, e perciò il
lauro è anche simbolo della frustrazione amorosa.
In tutta la sezione del libro nella quale essa è prevalentemente nemica, il gioco metaforico intorno a quella pianta
sempreverde è continuo e insistito
invece, dopo che Francesco ha preso coscienza che quella dell'amata non è crudeltà ma virtù, la Laura-lauro scompare
quasi del tutto. Al suo posto appare Laura-l'aura, cioè il vento leggero, la brezza. Laura è una brezza che conforta (RVF
109).

In parallelo con la metamorfosi di Laura cambia anche l'atteggiamento di Francesco nei suoi confronti, e cambia il
mondo con il quale egli vive il desiderio. Il Francesco di questa seconda parte non accusa e non recrimina, c'è in lui una
sorta di rassegnazione. Il desiderio non è più lancinante come in passato: gli occhi di Laura possono ancora riscaldarlo,
ma non fino al punto di bruciarlo.
Francesco non lotta più contro la sua nemica, adesso combatte una battaglia con sé stesso. Il desiderio non è più una
passione che spossessa, un po' alla vota si è trasformato in una condizione esistenziale di pena sorda e persistente.
Il libro era partito mettendo in scena lo scontro reiterato e senza sbocco tra un amante che chiedeva e un'amata che si
negava. Gradatamente i due protagonisti sembrano essersi allontanati l'uno dall'altro: lei, chiusa nella sua celestiale
perfezione; lui concentrato sul suo disagio interiore.
È l'incapacità di Francesco di risolvere le sue contraddizioni a impedire, al momento, che la storia d'amore evolva nella
direzione preannunciata nel sonetto proemiale.
Appare chiaro che le pene amorose mascherano più profonde e laceranti ferite esistenziali.

Il vero motore della storia raccontata da questo libro è il tempo. Il suo fuggire ingigantisce il fantasma della morte, un
fantasma che si materializza con insistenza.
Il trascorrere del tempo è misurabile anche nell'aspetto fisico dei due protagonisti.
La distanza temporale proietta Laura in una dimensione fantasmatica che soppianta fin quasi annullarla la realtà
presente. Non è solo il desiderio a riempirsi di memoria, ma sono le immagini stesse sulle quali il desiderio si proietta a
emergere dal passato ancora vive e fascinose.
Anche se il fiore della giovinezza appassiva visibilmente con il passare del tempo, con gli anni cresceva la bellezza
dell'animo. Il ricordo della bellezza fisica vince l'apprezzamento di quella dell'animo.
Non meraviglia, quindi, che il sonetto dedicato alla rovina della bellezza di Laura si rovesci paradossalmente nella più
ispirata e partecipe celebrazione della sua divina avvenenza (RVF 90).

Vale la pena soffermarsi su un sonetto nel quale Francesco rivolge a coloro che stanno per innamorarsi e a quelli che già
ardono nel fuoco della passione un pressante invito a ritornare indietro, perché anche se lui si è salato, neppure un
innamorato su mille riesce a farlo: RVF 88

L'amore sembra vivere di ricordi, la passione languente della memoria degli ardori che furono.
Un sonetto, inviato a Sennuccio del Bene, è un concentrato dei luoghi e dei momenti il cui ricordo ritorna con insistenza
nelle poesie di questa parte del libro (RVF 112)
I componimenti collocati prima della svolta romana parlano spesso di partenze e di ritorni del protagonista, ma questi
viaggi non si dispongono in modo ordinato e coerente, non delineano un percorso.
Non è così, invece, nella parte del libro che dalla svolta romana arriva alla morte di Laura. Qui i luoghi che hanno
contato nella vita di Petrarca sono tutti presenti, ciascuno con un definito spazio testuale e un ruolo riconoscibile nel
racconto.
La successione dei viaggi di Francesco corrisponde circa a quella dei viaggi di Petrarca negli anni '40.
Ma ciascuno dei luoghi indicati non è una semplice località geografica: ognuna è portatore , in negativo o in positivo, di
significati importanti tanto per la storia amorosa quanto per la sua interpretazione in termini etici. Insieme alla
dimensione temporale, lo spazio è il più potente strumento strategico che Petrarca utilizza per infondere organicità e
dinamismo al suo libro.

“E VEGGIO 'L MEGLIO, ED AL PEGGIOR M'APPIGLIO” (140-266 [=145]).


Se vuole liberarsi dalla passione, Francesco deve lasciare la Provenza. E in effetti parte. Del viaggio e della meta nulla è
detto, ma che la meta sia Roma lo possiamo ricostruire: RVF 142; per molti anni Laura lo aveva difeso dagli stimoli dei
sensi. Ma con il trascorrere del tempo, una luce diversa da quella che lo aveva guidato prima, la luce della Grazia, lo
aveva spinto a decidere di liberarsi da quell'amore. E così adesso la brevità della vita gli mostra un'altra strada per salire
in cielo. Adesso cerca un altro amore, un'altra guida, altri colli: RVF 142.
fino a quel momento a indicare la strada per salire in paradiso era stata Laura. Adesso Francesco cerca un altro amore;
in tutti i componimenti precedenti solo un luogo mostra “la via de salir al ciel”, ed è Roma. Roma era stata il teatro della
prima crisi di Francesco, dunque potrebbe essere il teatro anche di questa seconda palinodia, della presa di coscienza
che l'amore puro non basta per conquistare la salvezza. Quanto al tempo, potrebbe essere quello penitenziale della
settimana santa.
Proprio in relazione alla passione e morte di Cristo si compie la trasformazione del lauro nell'altra e ben diversa pianta
che Francesco ora ricerca: le fronde dell'alloro diventano la corona di spine di Cristo.

A Roma non rimanda nessuna allusione esplicita, ma si noti che con l'ultimo componimento in cui Laura figura ancora
in vita (RVF 264), Francesco chiede scusa al cardinale Giovanni Colonna perché ritarda il suo ritorno in Provenza. Nel
racconto del libro, dunque, esso indica chiaramente che Francesco si trovava in Italia.
Petrarca ambienta a Roma la sua seconda e più radicale crisi spirituale: lo fa perché a Roma, vera Gerusalemme
contrapposta ad Avignone-Babilonia, è il luogo simbolico per eccellenza della liberazione e della rinascita.

L'ultimo componimento prima della morte di Laura è il sonetto con il quale Petrarca si scusa con Giovanni Colonna
perché sta ritardando il suo ritorno in Provenza; il sonetto fu realmente inviato al cardinale. Sul piano della narrazione il
sonetto attesta che Francesco si trovava lontano dalla Provenza; esso però si presenta anche come un doppio consuntivo:
18 anni di amore per Laura, 15 di servizio al cardinale. Questo bilancio cronologico conferisce al sonetto il valore di
testo di chiusura.
Laura e i Colonna sono i due centri intorno ai quali ha ruotato la poesia lirica di Petrarca sino alla fine degli anni '40 e
rappresentano quindi i punti salienti di quella stagione avignonese che questo libro rievoca nel momento in cui prefigge
di dichiararla chiusa.

IN MORTE DI LAURA (267 [=146]-292[=171]).


La catastrofe è piombata improvvisa e inaspettata. Francesco pensa al giorno in cui si era congedato da Laura, a tutte le
speranze che la sua morte si era portata con sé. Petrarca è a Parma quando nel maggio del 1348 una lettera di Socrate gli
comunica la morte della donna amata. E poi, nel luglio, muore anche il cardinale Giovanni Colonna.
Ecco che uno stesso sonetto accomuna le due perdite recenti: RVF 269.
Petrarca non sente il bisogno di fornire indicazioni cronologiche perché era noto a tutti che quelle moti risalivano al
1348. In ogni caso, pochi numeri dopo un sonetto lo rende esplicito: RVF 271.

Fra l'ultimo componimento in cui si parla di Laura ancora viva e quello che ne annuncia la morte c'è un salto di tre anni.
Potrebbe essere il seno che la conversione è operante e che Francesco si è effettivamente allontanato dall'amore; ma la
lacuna potrebbe anche testimoniare che il progetto imperniato sulla conversione a quarant'anni era entrato in crisi o
evidenziare quanto fosse difficoltoso agganciare la sezione in morte a una storia d'amore che avrebbe dovuto essere
giunta a una svolta decisiva già alcuni anni prima.
Un fatto che l rime in morte presentano un'impostazione diversa da quella della prima parte, meno legata ad aspetti
etico-simbolici e più vicina all'esperienza biografica dell'autore.

Fin dalle prime battute ci si imbatte in un episodio piuttosto strano. Amore consola l'amante, che disperato per la perdita
subita, medita addirittura il suicidio (RVF 268).
Laura lo prega di non smettere di celebrarla in poesia, di non estinguere così la fama di lei, di rendere la sua gloria più
illustre. Ebbene, quasi a ridosso di questa dichiarazione, una canzone afferma che Amore sta tentando Francesco un'altra
volta per sottometterlo al “giogo antico” della passione. Afferma Francesco che Amore potrà vincere questa seconda
guerra solo se riuscirà a riportare in vita Laura perché nessun'altra donna può avere spazio nel suo cuore: RVF 270.
La perdita dell'amata getta Francesco in una cupa disperazione. Corteggia l'idea del suicidio. La prima canzone in morte
comincia con i versi : RVF 268.
La tentazione del suicidio ritorna a poca distanza: RVF 272. Qui il tono è molto più drammatico. Nel primo caso il
desiderio di morire era pur sempre inserito in un discorso d'amore. Questo sonetto, invece, non si presenta subito come
un testo amoroso. C'è da chiedersi, allora, da cosa sia scatenata una crisi esistenziale tanto acuta. La labilità della vita, la
fuga inarrestabile del tempo e l'incombere della morte, la paura della fine e dell'annullamento, sono sicuramente causa
d'angoscia.
I ricordi generano pena così come le aspettative. I ricordi sono dolorosi perché riportano alla memoria eventuali
dolcezze perdute, le aspettative sono dolorose perché preannunciano un futuro privo di speranze.
Una metafora della vita come nave in viaggio presenta il futuro pieno di pericoli esterni e il soggetto privo degli
strumenti necessari per fronteggiarli.
Tra i motivi che rendono così incerto e disperato l'esito della navigazione l'ultimo verso elenca anche la circostanza che
gli occhi dell'amata, i quali, come le stelle i naviganti, solevano guidarlo, sono stati spenti dalla morte.
Qual è la causa di tanta disperazione?il testo non indica una causa precisa, un evento o una perdita scatenanti. È una
negatività che non si specifica e che non è giustificata: anzi, appare quasi come la normale condizione della vita di
questo soggetto, preda di un male di vivere che nemmeno lui stesso sa definire. Noi oggi la chiameremmo sindrome
depressiva; Petrarca riteneva che quello stato malinconico della coscienza fosse sì un male, un morbo, ma un morbo
moralmente peccaminoso: l'accidia.
L'accidia, lo stato depressivo, con la connessa incapacità di guardare avanti, affiora più volte ne versi del Canzoniere, è
quasi un sottofondo esistenziale che tinge la storia d'amore di una tonalità ignota a qualunque altro poeta medievale.
È la verità psicologica di Francesco il più forte tratto autobiografico del libro.

Il sole dei suoi occhi si è “oscurato”, l'unico rimedio che il suo cuore aveva contro i crucci e i fastidi della vita gli è stato
tolto dalla morte: Francesco è smarrito e sconfortata è la sua vita che è rimasta senza guida.
Non può non riandare al passato, che adesso gli appare felice,ma sa bene che i ricordi non fanno che accrescere la sua
pena (RVF 273).
la sua massima aspirazione adesso è di trovare pace, quella pace che Laura gli aveva tolto in vita e che seguita a
togliergli anche dopo morta. E dunque desidera morire: RVF 276.
Morire sarebbe anche il modo per ritrovare Laura, che dal celo infonde in lui il desiderio di raggiungerla: RVF 278.

“Oggi è terzo anno!”; questa è l'unica indicazione di anniversario della sezione in morte. Tra anni dal 1348, perciò
siamo nel 1351.i componimenti successivi sono ambientati a Valchiusa. Cronologia reale e fittizia finiscono per
combaciare.
Petrarca ripartirà alla volta dell'Italia nella primavera del 1353 e vi resterà fino alla morte, ma di quel ritorno in Italia nel
Canzoniere non vi traccia.
Il racconto del libro è circolare, la storia ritorna là da dove aveva preso le mosse e là si conclude. L'autobiografa,
dunque, cede ben presto a una ricostruzione ideale e simbolica.
Il simbolismo che ha l'effetto di smentire il progetto che fino a questo punto aveva dato un senso alla gestione dello
spazio e del tempo.

Quando Laura era viva, a Valchiusa tutto parlava d'amore; ebbene, in quella valle tutto parla d'amore anche dopo la sua
morte. L'effetto Valchiusa è proprio questo: trasformare l'assenza in presenza.
L'irrimediabile lontananza provocata dalla morte non fa che accentuare quell'effetto.
Laura non è mai stata così viva come adesso che è morta. Ci voleva la sua sparizione fisica perché essa si trasformasse
in un personaggio, un personaggio che agisce e si rapporta con Francesco in un dialogo che vince la morte proprio
grazie alla morte. Eccola allora apparirgli in sogno: RVF 282.
Ed eccola assumere un ruolo attivo di maestra e di guida: RVF 280.
La Laura che abbiamo conosciuto come “aspra fera” e “acerba nemica” o come angelo paradisiaco, nelle fantasie di
Francesco diventa donna.
Non il lauro che si trasforma, non l'aura che fugge, ma una donna come tante, affettuosa come una madre, innamorata
come una moglie, ardente come una amante. Una donna sentimentalmente coinvolta con il suo uomo: RVF 285.
Mai Laura aveva avuto una personalità così completa; ci era sempre apparsa passiva.
Adesso è lei che vede e che sa, si è resa autonoma, al punto che i ruoli si sono rovesciati: è Francesco l'oggetto di cure
amorose.

La morale del libro è contenuta in due sonetti successivi. Il primo: RVF 289; il secondo:RVF 290.
in entrambi i sonetti assistiamo a una presa di coscienza. Il succo della storia sarebbe che il rifiuto di Laura, la sua
castità,si è rivelato provvidenziale per la salvezza di Francesco.
Così si chiude il primo Canzoniere.
La morte di Laura è un trauma, una perdita che costringe al silenzio, non un evento che apre un'altra e diversa storia
spirituale. Del resto, i componimenti in morte, nel loro complesso, non hanno fatto altro che argomentare che la
salvezza viene proprio da Laura.

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