Sei sulla pagina 1di 3

Lucano

Lucano, nipote di Seneca e infatti nato a Cordova, venne introdotto nell'ambiente di corte di
Nerone da Seneca stesso. Studiò filosofia con lo stoico Anneo Cornuto e retorica col nonno Seneca
il Retore. Entrò a far parte anche della cohors amicorum di Nerone per volontà dello stesso, il
quale gli conferì poi anche la carica della questura; celebrò i fasti del princeps con delle opere, e
nello stesso tempo iniziò il “Bellum civile”. Lesse pubblicamente le prime parti nelle recitationes,
anche se poi venne interrotto forse per le posizioni repubblicane o, addirittura, per invidia dello
stesso Nerone, anch'egli scrittore, che riconobbe la sua superiore bravura; nonostante ciò la
continuò di nascosto. Prese parte alla congiura dei Pisoni e per questo venne condannato a morte
dall’imperatore. Scrisse altre opere che tuttavia andarono perdute. Riguardo il Bellum civile,
chiamato anche “Pharsalia”, sappiamo che parla della guerra tra Cesare e Pompeo, con il culmine
decisivo proprio nella battaglia di Farsaglia. È composto da dieci libri ed è rimasto privo degli ultimi
due – il suo obiettivo era quello di raggiungere lo stesso numero di libri dell’Eneide – in quanto
l’autore morì prima della sua conclusione, ma nonostante ciò si può ritenere un'opera grossomodo
completa in quanto gli ultimi due libri sarebbero dovuti andare oltre, fino al suicidio di Catone
l’Uticense. Tito Livio, repubblicano come Lucano, fu la fonte principale, anche se vi sono distinte
modifiche apportate in base a qualche leggera differenza ideologica dello scrittore. A differenza
dei poemi epici precedenti, questo non ha intenti celebrativi; difatti, non solo mancano le
esaltazioni verso la capitale, ma inoltre l’opera è impostata come il racconto degli eventi principali
che hanno portato alla caduta della libertas repubblicana, descritti tutti negativamente e con toni
deplorevoli, caratteristici soprattutto nella frequente trattazione del tema della morte. Nonostante
fosse, appunto, un poema epico, tutti i canoni del genere sono però qui ribaltati, com’è altrettanto
ribadito il contrasto con Virgilio e la sua Eneide; difatti, non vi è alcun eroe, e i due protagonisti
tendono all’eccesso: Cesare è presentato come un genio del male empio senza freni, cose che lo
rendono totalmente opposto a Enea, mentre Pompeo, simbolo della Repubblica, è descritto come
un guerriero ormai in decadenza, come allo stesso modo la stessa istituzione. L’unico cenno di
distacco da tutto questo pessimismo segue la figura di Catone l’Uticense, incarnazione della
libertas repubblicana e dello stoicismo tanto apprezzato dallo scrittore, che decise di andare
contro al volere degli dei e perciò moralmente superiore ad essi. Vi sono infatti, al posto del divino
e del fato, l’uso del fantastico e della magia, con la presenza di profezie e veggenti. Il narratore è
interno e quindi soggettivo, e per questo interviene nel racconto. Lo stile è quasi tragico ed
elevato, vista la presenza di pathos e sententiae.

Persio
Aulo Persio Flacco nacque a Volterra nel 34 d.C. e fu figlio di una ricca famiglia equestre. Anch’egli
come Lucano fu allievo di Anneo Cornuto il quale si curò della pubblicazione, postuma alla morte
di Persio, delle Satire. È ricordato per la sua opera più importante, le Satire appunto, composta da
sei satire scritte prevalentemente in esametri. Per comporre la sua opera considerò come suo
modello Orazio che considerava la satira come un genere diverso da quelli più alti diffusi tra i
contemporanei; da qui parte una critica nei confronti dell’inattendibilità di alcuni poeti moderni
e, nel caso delle recitationes, la riduzione dell’arte a oggetto di piacere e intrattenimento in cui
risulta priva di qualsiasi consistenza morale (tema Satira I). Per Persio non era importante quanto
formale fosse lo stile se poi gli argomenti trattati erano immorali. La seconda satira è invece
dedicata agli dei e sottolinea l'importanza delle preghiere e critica chi prega solo per qualcosa in
cambio. La terza satira si basa sul tema filosofico e ricorda "Il giorno" di Parini. Il quarto parla del
noscite ipsum, che vuol dire "conosci te stesso per il benessere personale". La quinta invece, parla
nuovamente della filosofia e la dedica al suo maestro Anneo Cornuto in cui, affida allo stesso
maestro il chiarimento del concetto di liberato che, stoicamente (Persio si ispira alla filosofia
stoica), la libertà consiste nel vivere secondo ragione, quindi l’unico veramente libero è il saggio La
sesta è infine dedicata a un amico, che però è criticato per la sua poca presenza nella relazione.
Persio già dalla prima satira ci fa capire che egli serve del verum per scrivere le sue satire, come già
fatto in precedenza da Lucilio e Orazio, ma con le satire a seguire noteremo che questa realtà è
costituta dai comportamenti umani che Persio considera ormai corrotti. Infatti, il compito del
poeta satirico (un po’ come quello della filosofia per Seneca) consiste in una sorta di intervento
media per curarli tramite l’uso dell’ingenua lupus (scherzo non volgare). Sul piano formale, Persio
riprese moduli come la satira a tema, rivolta a un destinatario e a epistola. L’applicazione di questi
moduli non si capisce poiché gli argomenti non vengono trattati in maniera ordinata, con
abbondante uso di esempi, scenette e aneddoti. Prese le distanze dalle satire rozze di Lucilio e da
quelle molto curate di Orazio, che usa la forma callida, e quindi mostra l'uso dei termini più
appropriati possibili; difatti, Persio rappresenta una via di mezzo. Un'altra differenza è che Lucilio
seguiva un modo di scrivere aggressivo e visse durante il periodo repubblicano, mentre Orazio era
equilibrato, in quanto visse nel periodo di Ottaviano e Cesare. In più, Persio era molto filosofico.
Nonostante scelse per la sua opera il livello del sermo, lo stile risulta lo stesso difficile per delle
inclinazioni divergenti: d’un lato l’utilizzo del linguaggio comune e dall’altro il voler manipolare la
lingua. Lo stile è aspro, sintetico e poco curato.

Petronio
Petronio Arbitro, non sappiamo in realtà chi sia. Sappiamo solo da Tacito che fosse un personaggio
appartenente alla corte di Nerone e definito elegantiae arbiter, in quanto fu preso come modello
di riferimento dallo stesso princeps per il suo stile e per le sue abitudini. Tuttavia, ciò provocò
invidie da parte di Tigellino, che lo fece considerare come uno dei congiurati a favore di Pisone e
per questo venne condannato a morte. Si dice di Petronio che era solito tagliarsi le vene più volte
a banchetto, per poi ricucirsele (?????). Petronio scrisse un testamento privato a Nerone, che era
però un capo d'accusa nei suoi confronti, in quanto parlò dei suoi eccessi sessuali e delle
numerose condanne a morte da lui ordite. Però, in quanto opera privata, la scrisse come per dire
"posso sputtanarti ma non lo faccio perché me ne fotto di te". Visto il limitato numero di
informazioni su Petronio, non sappiamo se fu effettivamente lui l'autore del Satyricon, ma lo
prendiamo per buono. (Manca una parte del Satyricon) Nei dodici libri dell'opera mette assieme
prosa e poesia, anche se ci arrivò così tanto poco materiale da unire il tutto in un solo libro diviso
in 141 capitoli. Tutto questo materiale è ambientato in Marsiglia, una città campana, forse Napoli,
e Crotone, dove finisce. Gli argomenti trattati sono il sesso, filo conduttore, il danaro e la morte,
trattata in modo ironico. I tre personaggi principali sono Encolpio, Gitone e Ascilto; Encolpio è il
più anziano dei tre. Tenendo sempre a mente il fatto che manca gran parte della storia, vediamo
che parla di una storia d'amore, in cui inizia a vedersi l'ironia petroniana, in quanto si parte con i
canoni tradizionali dell'amore, tra cui anche il tradimento, l'abbandono e il ritorno; l'ironia sta nel
fatto che questo amore è omosessuale ed è da parte di un uomo più anziano, nemmeno abbiente,
nei confronti di due più giovani, come se fosse un esempio di pedofilia. Il perno del desiderio è
Gitone, per via del suo fascino. All'inizio Encolpio incontra Agamennone. Col loro discorso il tono si
innalza come anche lo stile, cambiamento necessario per questa conversazione filosofica sulla
decadenza della retorica. Un'altra scena avviene in un banchetto molto pacchiano, dove poi
Trimalchione mette in scena il suo futuro funerale, tra fuochi d'artificio e altra roba pacchiana, a
tal punto da dover fare intervenire anche i vigili del fuoco, facendo scappare Trimalchione. Quindi
Trimalchione può essere considerato anche come simbolo di volgarità dell'intera società. La scena
del banchetto ci è pervenuta quasi interamente, racchiudendo al suo interno anche altre novelle.
Arriva poi Eumolpo, poeta, che cita la distruzione di Troia e le sue conseguenze, tutto ciò in versi,
estraendole da opere antiche. Eumolpo entra a tutti gli effetti a far parte della storia in quanto
tutti i personaggi, tranne Agamennone e Trimalchione, si recheranno a Crotone, dove, per
racimolare soldi, Encolpio si finge un anziano ricchissimo con al fianco i suoi servi, che lascerà la
sua eredità a chi li accudirà; grazie a questo scroccherà banchetti e regali. Tuttavia, non ammise
che lascerà la sua eredità solo a chi avrà il coraggio di mangiare il suo corpo da morto. Il Satyricon
venne scritto per divertimento, senza alcuno scopo didattico, solo per prendere in giro i vizi delle
persone più abbienti. Riguardo lo stile, vi è il sermo vulgaris, parlato dal popolo e molto esplicito,
così da poter riprodurre scene di vita quotidiana del popolo, viste però dall'alto; la sua ironia
sapeva infatti un po' di spocchia, anche perché apparteneva o al ceto equestre o al ceto
aristocratico. Perciò, l'opera è molto originale. Anche perché non è una storia d'amore
tradizionale, fa finta di morire alla fine, ma per quanto casino crea rischia veramente di morire.

Potrebbero piacerti anche