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ORAZIO

LA VITA
Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa l’8 dicembre del 65 A.C. l poeta era di umili origini, però
la sua condizione economica non era disagiata, infatti poté seguire un regolare corso di studi,
prima a Roma, poi ad Atene, dove frequentò le scuole di filosofia. Dalla tranquillità degli studi
lo distolse la guerra civile tra i cesaricidi Bruto e Cassio e Antonio e Ottaviano, dove lui si
arruolò nell’esercito di Bruto e partecipò alla battaglia di Filippi con il grado di tribuno militare.
La svolta decisiva della sua vita avvenne nell’anno 38 A.C, quando Virgilio è Vario lo
presentarono a Mecenate che, dopo nove mesi lo ammise nel suo circolo. Da allora tutta la vita
di Orazio era dedita alla letteratura. Egli non si sposò e non ebbe figli. A Mecenate fu legato da
un’amicizia intima e affettuosa e a lui dedico la maggior parte delle sue opere. Orazio diede il
suo contributo alla propaganda augustea componendo carmi celebrativi e politicamente
impegnati, tra cui spiccano le odi romane. Nel 17 A.C, in occasione dei Ludi saeculares, fu
incaricato da Augusto della composizione di un inno agli dei protettori di Roma, cioè il Carmen
saeculare. Qualche anno più tardi, su sollecitazione dello stesso princeps, Orazio gli indirizzò
un’epistola poetica di argomento letterario. La cronologia delle opere si ricava da indizi interni
alle stesse. Negli anni dal 41 al 30 A.C furono composti i due libri delle Satire e gli Epodi. Il I
libro delle Satire fu pubblicato tra il 35 e il 33 A.C, il II e gli Epodi nel 30 A.C. Orazio passò poi
alla poesia lirica, pubblicando nel 23 A.C tre libri di Odi, scritti fra il 30 A.C e il 23 A.C. Più tardi il
poeta aggiunse ai precedenti un quarto libro di Odi, pubblicato verso il 13 A.C. Nel frattempo
egli si era dedicato alla composizione delle Epistole, infatti il I libro fu scritto dal 23 al 20 A.C e
fu pubblicato nel 20 A.C. Il II libro è stato scritto negli anni dal 19 al 13 A.C ed è composto da 2
epistole di argomento letterario. Controversa è la datazione dell’Ars poetica, cioè il
componimento più ampio di Orazio, composto da 476 esametri, che alcuni studiosi fanno
risalire al 20 A.C, altri al 15 A.C e altri ancora al 13 A.C. Egli morì alla fine del novembre dell’8
A.C e fu sepolto vicino alla tomba di Mecenate, sull’Esquilino.

LE SATIRE
Il poeta ha dedicato tre componimenti che sviluppano un pensiero omogeneo. Essi sono le
satire quarta e decima del libro I e la prima del libro II. In questi componimenti Orazio presenta
Lucilio come l’iniziatore nella letteratura latina del genere della satira, che cerca di nobilitare
all’archaia, di cui cita in apertura del carme i più celebri rappresentanti, cioè Eupoli, Cratino e
Aristofane. Orazio rileva l’importante differenza formale tra i due generi, costituita dall’impiego
di metri diversi, ma punta su un aspetto comune alla commedia antica e alla satira luciliana,
cioè la consuetudine di attaccare direttamente e personalmente gli avversari. Un altro tratto
della satira viene indicato da Orazio nello spirito, cioè la capacità di affrontare temi impegnativi
in modo divertente. L’alternanza del serio e del comico era una caratteristica anche della
diatriba, da cui le satire oraziane sono molto influenzate. C’è un aspetto che differenzia la satira
dalla commedia, cioè l’impostazione soggettiva, che nella satira consente all’autore di
esprimere direttamente i propri giudizi. Per quanto riguarda i rapporti con gli altri generi
letterari, Orazio, a differenza di Lucilio, riconosce la superiorità dei generi sublimi, anzi, dice
addirittura di non poter aspirare al titolo di “poeta”. Orazio afferma di scrivere sermoni
propiora e, l’accostamento della satira al sermo rinvia alla commedia, ma è anche coerente con
le posizioni di Lucilio, che aveva chiamato i suoi componimenti sermones. La satira sceglie un
livello linguistico e stilistico vicino all’uso della lingua parlata. Sotto l’aspetto formale, Orazio
prende le distanze da Lucilio, applicando il principio del labor limae, con cui egli biasima Lucilio
per la scarsa cura dello stile. Con questo interesse per la forma si collega un’altra caratteristica
della poesia di Orazio, riguardo il rapporto con il pubblico. Orazio afferma che la sua
produzione è riservata a pochi intimi, e riprende in I,10 l’idea di una poesia riservata a un
pubblico ristretto, nel suo caso i destinatari erano Mecenate, Virgilio, Vario ecc. Si affaccia qui
la concezione di un’arte aristocratica, riservata a una cerchia ristretta di veri intenditori. Orazio
riflette sull’opera luciliana e, mentre proclama Lucilio come il capostipite del genere satirico,
esprime l’esigenza di un’elaborazione artistica più accurata rispetto a Lucilio.

I CARATTERI
L’impostazione soggettiva si presenta come disponibilità a rivelare aspetti significativi dell’io
interiore, per sviluppare da essi considerazioni di portata più ampia e di validità generale.
L’impegno morale si esprime nella tendenza a spostare l’attenzione dagli individui ai
comportamenti. Lo spirito è altamente apprezzato da Orazio come momento insostituibile sia
della vena moraleggiante sia di quella soggettiva e tende qualche volta ad affermarsi in modo
autonomo in alcuni componimenti che si propongono di offrire una rappresentazione
divertente della realtà. L’intonazione personale, la riflessione morale e il gusto per
l’intrattenimento sono le componenti principali della satira di Orazio. La varietà di contenuti
delle satire si esprime in due forme diverse, cioè la satira narrativa e la satira discorsiva. La
prima prende le mosse da un aneddoto, che viene raccontato in modo brillante, mirando a
intrattenere il lettore. La seconda svolge una serie di riflessioni. Essa presenta delle affinità con
la diatriba, come la tecnica della commistione di argomenti seri, l’andamento da conversazione
senza pretese e l’esempio frequente di aneddoti ed esempi.

I CONTENUTI
Il I libro contiene dieci satire, quattro narrative (5,7,8,9) e sei discorsive (1,2,3,4,6,10). Degli
otto componimenti che costituiscono il II libro, l’unico ad avere carattere di monologo è II,6,
tutti gli altri sono in forma di dialogo, ma solo nella satira prima Orazio mantiene un posto
centrale, nelle altre avviene un arretramento della sua figura a favore di altri personaggi.
L’abbondanza dei dialoghi conferisce alla raccolta varietà maggiore rispetto al libro precedente.

I CONTENUTI DEL I LIBRO DELLE SATIRE


-1: Tratta dell’incontentabilità umana, dovuta spesso all’avidità di denaro, e proclama la
necessità del giusto mezzo in fatto di ricchezze.
-2: Svolge spunti di etica sessuale, suggerendo misura e discrezione e sconsigliando le
avventure con donne sposate di alta casata.
-3: Constatata l’imperfezione umana, esorta alla comprensione dei difetti degli amici, che
vanno giudicati con buon senso e serenità.
-4: Orazio difende il genere satirico e presenta un’interessante sezione autobiografica sulla
formazione ricevuta nella sua giovinezza, per merito di un padre che ricorda con gratitudine e
affetto.
-5: È la relazione poetica di un viaggio da Roma a Brindisi compiuto da Orazio nel 37 A.C, in
compagnia di Mecenate e Virgilio.
-6: L’amicizia che Mecenate concede a Orazio permette al poeta di ampliare il discorso verso
temi più vasti, come la superiorità del merito sulla nobiltà di nascita, la follia dell’ambizione e
l’accettazione della propria condizione di vita.
-7: Narra lo scontro in tribunale tra Persio e Rupilio Re, uno scontro che fu magnum
spectaculum.
-8: Descrive per bocca del Dio Priapo una scena di stregoneria, in cui Canidia e Sagana si
impegnano in pratiche magiche.
-9: Durante una passeggiata, Orazio incontra un seccatore, di cui cerca disperatamente di
liberarsi. Il poeta non solo narra spiritosamente le sue sfortunate manovre, ma contrappone il
proprio ideale di vita equilibrato e tollerante all’aggressivo arrivismo del seccatore.
-10: Il componimento ribadisce i concetti base della poetica di Orazio, alleggerendo le
precedenti critiche mosse a Lucilio.

I CONTENUTI DEL II LIBRO DELLE SATIRE


-1: Il giureconsulto Gaio Trebazio Testa mette il poeta in guardia contro i rischi che potrebbero
derivargli in tribunale dalle sue satire, quindi Orazio difende la propria scelta letteraria per il
genere della satira.
-2: Orazio cede la parola al contadino Ofello, che pronuncia l’elogio della semplicità.
-3: Orazio subisce la predica di Damasippo, che tratta in termini stoici dei vizi e delle follie
umane, non senza precisi riferimenti al poeta stesso.
-4: Orazio ascolta con attenzione le direttive di saggezza culinaria esposte da Cazio.
-5: Ulisse nell’oltretomba chiede consiglio all’indovino Tiresia su come recuperare le sue
sostanze, dilapidate dai Proci e, dopo ciò, Tiresia gli propone il mestiere di cacciatore di eredità.
-6: Il componimento all’inizio trae spunto dalla storia privata di Orazio, con il dono da parte di
Mecenate di una villa in Sabina. Questo fatto introduce il tema del contrasto tra la vita vuota
della città e la serenità della vita in campagna.
-7: Lo schiavo Davo improvvisa una predica contro il suo padrone Orazio, rimproverandogli di
essere incoerente e incostante.
-8: Orazio riceve da Fundanio il resoconto di una cena svoltasi in casa di Nasidieno. Il tema
della cena offre materia di spiritoso intrattenimento.

IL MESSAGGIO
Le satire oraziane presuppongono uno sfondo di concetti morali che fornisce un termine di
riferimento. Il poeta stesso, nelle Epistole, afferma la sua adesione all’epicureismo. Tuttavia le
principali idee ispiratrici delle Satire non sono specifiche dell’epicureismo, ma sono concetti
condivisi da quasi tutte le correnti filosofiche. Si tratta dei principi designati dagli antichi con i
termini greci metriotes e autarkeia. La metriotes diceva che la virtù consiste nell’equilibrio tra
gli estremi opposti. L’autarkeia consiste nella limitazione dei desideri per evitare i
condizionamenti esterni, che impediscono di raggiungere la piena libertà interiore. La
metriotes e l’autarkeia sono i due capisaldi da cui si sviluppa la riflessione della satira oraziana.
Queste convinzioni sono affidate al personaggio del poeta satirico, in cui l’autore riflette aspetti
della sua personalità, infatti egli si presenta come un individuo che ricerca la verità innanzitutto
per se stesso. A questa saggezza aristocratica si aggiungono alcuni elementi più autobiografici,
riconducibili a tre momenti fondamentali, cioè la giovinezza, i rapporti con Mecenate e la sua
cerchia e la serenità della vita quotidiana. Il II libro rivela la crisi della figura del poeta satirico,
che in molti componimenti si rifugia sullo sfondo, divenendo ascoltatore di opinioni altrui. Nel
II Orazio accentua la sua autoironia, rifiutando la parte del protagonista. In alcuni
componimenti egli evidenzia spiritosamente i suoi difetti.

LO STILE
Per quanto riguarda la forma, la decisione di ancorare la satira al sermo si traduce nella scelta
di un livello linguistico e stilistico non elevato. Il lessico non disdegna termini e forme della
lingua familiare o il ricorso a espressioni colloquiali. Sono invece più evitati vocaboli greci e i
grecismi, e vengono rifiutate anche le grossolanità del sermo vulgaris. Viene così creato uno
stile medio, uno stile curato e urbano che si ispira a una conversazione fine ed elegante, nutrita
di cultura senza ostentazione e di spirito non grossolano. A un parlare disteso rinvia anche
l’andamento volutamente svagato di alcune satire, in cui il corso dei pensieri non è per niente
rigido. Questa apparente semplicità è frutto di un’arte sorvegliata, in cui vige il principio della
brevitas. Assumono particolare importanza la studiata disposizione delle parole nella frase.

GLI EPODI
L’esperienza giambica di Orazio è composta dai diciassette componimenti raccolti nel libro degli
Epodi. L’intera raccolta fu pubblicata nel 30 A.C. In questo caso egli può riallacciarsi a grandi
precedenti nella letteratura greca. Nell’epodo sesto Orazio allude infatti ad Archiloco e ad
Ipponatte come ai propri modelli, e nella sintesi retrospettiva della propria carriera che farà più
tardi dichiarerà con orgoglio di essere stato il primo a introdurre nel Lazio i giambi di Archiloco.
Aspetto essenziale di questa operazione è il metro. Orazio impiega per primo a Roma l’epodo,
un sistema metrico in cui ad un primo verso più lungo se ne aggiunge uno più breve. Per la
presenza di tali metri la raccolta fu indicata dai grammatici antichi con il titolo di Epodi, anche
se l’autore chiamava questi componimenti Iambi. L’aspetto più appariscente dell’opera di
Orazio è la varietà. Gli epodi offrono un panorama complesso e multiforme.

I CONTENUTI
Nel complesso panorama della raccolta si possono distinguere alcuni filoni. Il filone
dell’invettiva si esprime negli epodi 4, 6 e 10. Tra questi, soltanto il decimo è diretto contro una
persona determinata, Mevio, a cui viene augurato di perire in un naufragio. Negli altri due non
viene fatto il nome degli avversari, contro cui il poeta si scaglia con un’aggressività
spiccatamente letteraria. Una variante scherzosa del modulo dell’invettiva si trova nell’epodo
3, dove è presente una maledizione contro l’aglio, rifilato a Orazio da Mecenate, e a cui si
attribuiscono effetti più devastanti dei veleni di Medea. Ai modi dell’invettiva si possono
ricondurre gli epodi 8 e 12, rivolti contro una vecchia che concupisce il poeta e sollecita da lui
prestazioni sessuali. In questo caso l’impeto dell’autore trova sbocco nella descrizione
impietosa della decadenza fisica della donna. Il filone dei componimenti 5 e 17 è dedicato alla
magia. Il tema viene trattato con un accentuato realismo, orientato verso l’eccessivo. Gli epodi
7 e 16 si riferiscono alla medesima situazione e trattano temi simili, cioè la confusione
successiva alla battaglia di Filippi. Nel primo l’autore rimprovera aspramente i concittadini che
si combattono fra loro e individua la causa delle guerre civili nell’antico fraticidio commesso da
Romolo. Nell’epodo 16 invita i Romani a seguirlo in un’utopistica fuga verso le Isole Fortunate.
In questi componimenti Orazio assume l’atteggiamento del vates, amplificando dall’alto di
questa posizione la sua angoscia per la situazione politica. Ai preparativi per la battaglia di Azio
riportano gli epodi 1 e 9. Nel primo, che è una sorta di dedica a Mecenate, il poeta assicura
lealtà al patrono e ad Ottaviano. Nel nono deride gli avversari di Ottaviano e si prepara a
brindare alla sua vittoria. Ben rappresentato è anche il filone erotico. L’epodo 14 svolge la
causa dell’amore che, dominando completamente Orazio, gli impedisce di comporre versi. La
stessa causa apre l’epodo 11, che sviluppa spunti della poesia erotica, come l’avidità della
donna e la povertà del poeta. L’epodo 15 è invece rivolto a una donna infedele. Sono rimasti gli
epodi 2 e 13. L’epodo 2 si fonda sul procedimento dell’aprosdoketon. Esso ci offre uno
splendido elogio della vita dei campi, ma gli ultimi versi ci fanno sapere che a pronunciarlo è un
usuraio incapace di rinunciare ai suoi impegni cittadini. Nell’epodo 13 il poeta, durante lo
scatenarsi di una tempesta, invita gli amici al banchetto per poter “alleggerire il cuore dai
sinistri affanni”, e porta l’esempio mitico di Chirone, che insegnava ad Achille a sopportare la
sua sorte, gloriosa ma triste.

LE ODI
Tre libri delle Odi sono stati scritti dal 30 A.C e poi sono stati pubblicati nel 23 A.C. Un quarto
libro in cui Orazio raccolse i componimenti più tardi fu pubblicato nel 13 A.C. Le Odi si pongono
all’interno di una tradizione letteraria di ascendenza greca e ne accettano le regole. Nel
prologo che apre la raccolta, Orazio, rivolgendosi a Mecenate, indica la sua intenzione di
coltivare la poesia lirica e prende come punto di riferimento il poeta Alceo. Oltre all’influenza
di Alceo, sulle Odi una notevole attrazione viene esercitata da Pindaro. A Pindaro Orazio
guarda come un ideale ammirato, ma irraggiungibile. Orazio, riconoscendo i propri limiti, si
dedica a un’arte sottile, accuratamente elaborata. Questo tipo di poesia rinvia al principio del
labor limae. Un notevole mutamento rispetto alle Satire si può riscontrare nel l’atteggiamento
dell’autore verso la poesia elevata. La tattica rinunciataria viene qui abbandonata. Dalla
strategia dell’autosvalutazione passa così alla affermazione della grandezza della sua opera.
Parallelamente non rifiuta più il titolo di poeta. È significativo che Orazio si definisca più volte
nelle Odi con il termine vates, infatti questo vocabolo arcaico possiede una caratteristica
sacrale che presuppone un’investitura divina e infatti il poeta si atteggia a protetto di divinità.
Tale rapporto privilegiato si manifesta in episodi della vita quotidiana, altre volte assume i tratti
specifici dell’ispirazione poetica. La poetica delle Odi risulta influenzata dalla sovrapposizione
di due concezioni distinte, cioè da una parte il concetto della poesia come frutto di una tecnica
perfetta e del poeta come supremo artigiano, dall’altra l’idea della poesia come prodotto di
geniale ispirazione e del poeta come vate. Tutto ciò rende possibile la complessa gamma di
registri e di tonalità che rende affascinante l’opera Oraziana.

IL RAPPORTO CON I MODELLI


I modelli principali delle Odi sono i poeti Alceo e Saffo. Essi sono il punto di riferimento più
importante anche per la metrica. Va osservato che i modelli che vengono definiti tali sono solo
i lirici arcaici, anche se l’influsso dei testi ellenistici è notevole. Essi erano parte integrante della
cultura e del gusto di Orazio. Il recupero dei modelli arcaici viene fatto perché Orazio crea una
poesia che vuole fare del ritorno all’antico la principale via del rinnovamento. Orazio dona ai
suoi componimenti un’impostazione allocutiva, cioè normalmente essi sono rivolti a un
destinatario che favorisce lo svolgimento del discorso poetico. Tale sistema discorsivo è
collegato a una situazione particolare che inserisce il carme in determinati schemi tradizionali.
Questo debito verso la tradizione indica la volontà di aderire a una determinata maniera
poetica, nel cui patrimonio di forme l’autore spazia con grande libertà. Orazio scrive per un
pubblico che conosce perfettamente i testi che egli imita. Orazio adotta le tecniche dell’arte
allusiva, grazie alla quale riesce a inserire nei suoi carmi spunti tratti da Alceo, da Pindaro, da
Saffo ecc., rielaborandoli in modo autonomo. Spesso troviamo all’inizio di un componimento
una citazione, che viene poi sviluppata liberamente.

I CONTENUTI
Pur nella varietà, dovuta anche al grande numero di componenti, cioè 104, compreso il
Carmen saeculare, nella raccolta delle Odi possiamo distinguere alcuni filoni principali.
Particolarmente cospicuo è il filone erotico. I carmi in questo filone si presentano come episodi
in sé conclusi e perfetti. L’arte oraziana ci offre così una serie di schizzi legati a momenti
autonomi. La passione in questi componimenti è contemplata. Orazio evita il coinvolgimento
affettivo. Un altro filone importante è quello conviviale, incentrato sul trattato del simposio,
identificato con la cena romana. Le varie occasioni legate al banchetto e i suoi accessori
costituiscono in questi carmi gli ingredienti topici. La vena gnomica costituisce il vero centro
delle Odi oraziane. I carmi gnomici ruotano intorno a un solo nucleo tematico fondamentale,
cioè la coscienza dell’incertezza del futuro e delle brevità della vita. È un’idea tutt’altro che
originale, ma sentita con profonda sincerità dal poeta, che la propone sviluppandola in diverse
direzioni. Lo sviluppo in positivo porta all’invito a sostenere con virile sopportazione le
inevitabili avversità. Lo sviluppo in negativo conduce alla constatazione dell’ineluttabilità della
morte e della necessità di usufruire a pieno del breve tempo della vita. È il motivo del carpe
diem (I,11), che è il consiglio di cercare la felicità nel presente e si tratta anche di una saggezza
tramata di moderazione e di autolimitazione. Ritroviamo infatti nelle Odi i principi ispiratori
delle Satire, cioè l’autarkeia e la metriotes. Ricordiamo poi il filone religioso. Orazio qui deve
trattare della religione nelle forme e nei modi consacrati dall’uso poetico. Di qui la presenza, di
preghiere e di inni che in qualche caso compaiono riferiti anche a oggetti insoliti. Un caso
particolare è costituito dal Carmen saeculare, unico tra i carmen oraziani che ebbe infatti una
destinazione ufficiale. Scritto in strofe saffiche e destinato a essere cantato da un coro di 27
fanciulle e 27 giovani l’ultimo giorno dei Ludi saeculares, indetti da Augusto nel 17 A.C, il
carmen celebra l’inizio del nuovo saeculum, cioè una nuova età dell’oro dove le antiche virtù
romane tornano a essere onorate. Nel Carmen saeculare le lodi e le invocazioni ad Apollo, a
Diana ecc. si mescolano a temi civili. L’ultimo grande filone delle Odi è quello della poesia
civile, per la quale il poeta latino prende spunto dal poeta Alceo. Orazio, a differenza di Alceo,
non è invece che un semplice spettatore della vita pubblica di Roma. A rimediare a questa
difficoltà provvede il ruolo di vates che gli permette di rivolgersi ai Romani da una posizione di
superiorità. Nasce così una lirica civile articolata in momenti che vanno dalla condanna delle
guerre fraticide e la preoccupazione per la situazione dello Stato alla celebrazione di Roma e
del principe. Naturalmente questo tipo di poesia era incoraggiato da Mecenate e da Augusto,
che in esso vedevano un supporto per la loro azione politica, ma, sarebbe ingiusto ritenerla
soltanto propaganda. La tematica civile viene svolta particolarmente in un ciclo di sei carmi
all’inizio del libro III, le cosiddette odi romane, in cui la condanna dei vizi contemporanei e
l’esaltazione delle virtù e degli eroi antichi si intrecciano con la glorificazione di Roma e di
Augusto. Questa di accentua nel libro IV, dove vengono celebrate le vittorie dell’imperatore e
dei suoi generali. Proprio in questo filone è più sensibile l’influenza pindarica.

LO STILE
Il quadro complessivo delle Odi rivela un’estesa gamma di temi. Parallelamente a questa estesa
gamma tematica è possibile individuare, sotto il profilo stilistico, una pluralità di registri. Il vero
fulcro dello stile è costituito dalla disposizione delle parole, che vengono posizionate son
maestria in modo da valorizzarsi reciprocamente. Particolarmente efficaci sono le associazioni
di vocaboli. Infine possiamo dire che Orazio crea una forma cristallina e raggiunge una perfetta
armonia.

LE EPISTOLE
Il 25 A.C viene pubblicato il I libro delle Epistole, composto da venti componimenti, e, più tardi,
il II libro, composto da due componimenti, e la Ars poetica. Utilizza l’esametro. Orazio adotta
una forma innovativa, cioè l’epistola in versi, questa scelta però provoca delle conseguenze
sull’impostazione dei componimenti. Infatti, a differenza delle Satire, Orazio mostra la sua
preferenza per contenuti non generali, ma specifici e minuti. Accanto a questa caratteristica si
affiancano due aspetti già presenti nelle Satire, cioè da un lato la vena moralistica e soggettiva,
dall’altro la tematica letteraria. Quanto alla forma, Orazio accentua la tendenza allo stile
medio. Vengono mantenuti alcuni elementi già presenti nelle Satire, per esempio l’uso delle
favole e di aneddoti, ma si accentua lo spirito per assumere il carattere di un fine umorismo. A
esso si aggiungono toni più alti di quelli delle Satire e una sottile malinconia. Anche il
linguaggio appare più cauto.

I MODELLI E IL MESSAGGIO
Assai frequenti sono i componimenti che svolgono temi morali. Il fulcro della riflessione
oraziana è la fiducia nella divina sapienza. Anche qui tale saggezza è presente come aspirazione
di Orazio. Le epistole del I libro si situano in un momento in cui il poeta decide di cambiare vita.
In quest’opera è indiscutibile l’epicureismo di fondo. Altrove emergono spunti stoici. In ogni
caso il centro della riflessione oraziana continua ad a essere costituito dai principi della
autarkeia e della metriotes. A essi si aggiunge il tema dell’imminenza della morte e della
necessità di godere di ogni momento dell’esistenza. Proprio questa coscienza della fugacità del
tempo, introduce nel I libro delle Epistole una nota di inquietudine e di impazienza che si
riversa sulla figura dell’autore. In alcuni casi Orazio si atteggia a persona matura ed esperta, in
altri casi vorrebbe essere lontano da tutti. Questa mobilità psicologica è il sintomo di una
tensione che investe l’intera morale delle Epistole. Nei rapporti sociali prevale il criterio della
metriotes. Nella sfera individuale predomina il principio dell’autarkeia. Queste tendenze
contrastanti producono momenti di attrito. Il I libro delle Epistole ci presenta quindi un
panorama vario e complesso. Nel II libro, composto di due sole epistole, diviene prevalente la
tematica letteraria, dove l’autore difende la sua opera. Nella prima, rivolgendosi ad Augusto,
Orazio proclama l’eccellenza della poesia contemporanea e la difende contro i fanatici cultori
del passato. A questo tema se ne intreccia un altro, cioè quello della rinascita del teatro
romano, in quanto i generi teatrali potevano coinvolgere e influenzare ideologicamente un
vasto pubblico. Orazio su questo punto si mostra più favorevole a destinatari più selezionati. La
seconda epistola del II libro, riferita a Giulio Floro, è incentrata sulla figura dell’autore, che si
scusa con l’amico per la scarsa fecondità della sua vena poetica. La sezione centrale della
lettera espone le idee di Orazio sulla scelta dei vocaboli.

ARS POETICA
Una sorta di trattato in versi è la lunga Epistula ad Pisones, nota anche come Ars poetica. Essa
esercitò un enorme influsso nelle età successive. Rivolgendosi a Lucio Calpurnio Pisone e ai
suoi giovani figli, Orazio vi espone in modo abbastanza sistematico precetti di poetica.
Seguendo una fonte di scuola peripatetica egli tratta prima della poesia, poi del perfetto poeta.
La centralità accordata alla tragedia deriva dalla tradizione aristotelica. Con questo corpo di
dottrine peripatetiche vengono fuse le esigenze di perfezione formale dello stile oraziano.

CARPE DIEM
L’ESORTAZIONE A GODERE DEL PRESENTE
È questa forse l’ode più famosa di Orazio. L’ode ha il tono di un colloquio davanti al mare in
burrasca tra un uomo maturo e una ragazza dal nome greco, Leuconoe, che ha fretta di vivere il
suo futuro. Il poeta le consiglia di cogliere quello che il presente le concede e a godere fino in
fondo delle piccole cose che la vita offre.

LA RICERCA DI UNA FELICITÀ POSSIBILE


È questo un concetto centrale nella riflessione oraziana. È un’esortazione a vivere con intensità
ogni momento, alla ricerca di una felicità possibile, puntando su ciò che il destino ci ha messo a
disposizione.

ORIGINALE
Tù ne quaèsierìs, scìre nefàs, quèm mihi, quèm tibi
fìnem dì dederìnt, Lèuconoè, nèc Babylònios
tèmptarìs numeròs. Ùt meliùs, quìdquid erìt, pati,
sèu plùris hiemès sèu tribuìt Iùppiter ùltimam,
quaè nunc òppositìs dèbilitàt pùmicibùs mare
Tyrrhenùm: sapiàs, vìna liquès èt spatiò brevi
spèm longàm resecès. Dùm loquimùr, fùgerit ìnvida
aètas: càrpe dièm, quàm minimùm crèdula pòstero.

TRADUZIONE
Non domandare, Leuconoe - non è dato sapere - che
destino gli dei hanno assegnato a me e a te, né consulta
gli oroscopi. Com’è meglio tollerare ciò che sarà, sia che Giove
ci abbia dato ancora tanti inverni sia che questo, che sfianca
il mar Tirreno con rocce di pomice, sia l’ultimo: sii assennata,
purifica il vino e recidi la duratura speranza, ché la vita è breve.
Mentre parliamo, se ne va il tempo geloso:
strappa l’attimo, e non fidarti per nulla del domani.
ANALISI DEL TESTO
IL TONO COLLOQUIALE
Il primo elemento da sottolineare è il tono colloquiale, marcato dal tu iniziale. Il tono
colloquiale è ribadito dall’anafora dell’aggettivo interrogativo seguito dal pronome personale
quem mihi, quem tibi, che introduce nel discorso, insieme all’asindeto, una nota confidenziale,
infatti Orazio sottolinea che non sta facendo una predica, ma che le parla di una condizione
comune a entrambi. Anche l’accenno al mare in burrasca ha la precisa funzione di mantenere il
registro in quell’ambito. Leuconoe deve tagliare le speranze eccessive e afferrare il giorno.

PREVALGONO PARATASSI E ASINDETO


Prevalgono gli asindeti. La disarticolazione a livello sintattico trova conferma a livello metrico,
infatti, quasi tutti i versi sono legati al precedente o al successivo dall’enjambement. La
struttura riproduce lo sforzo di racchiudere in immagini semplici un discorso complesso. Ce lo
conferma la constatazione che tutti i verbi principali, tranne in due casi, sono divieti.

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