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ANALISI DI UN’OPERA

Si analizza un quadro. L’opera in questione è LA TEMPESTA, fu dipinta da Giorgione, tra il 1505 ed il


1510, probabilmente su commissione dal nobile veneziano Gabriele Vendramin per la sua collezione
privata.
Dal 1932, è conservata presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Olio su tela, 82 x 73 cm

La Tempesta è straordinariamente innovativa per l’uso del colore. L’impasto cromatico crea una
tessitura continua dove ogni tono appare imbevuto di luce; l’integrità delle forme ne risulta come
sfaldata, le immagini appaiono mutevoli e vive. Lo spazio è veramente naturale e lo sguardo può
perdersi verso il suo orizzonte, illuminato dal bagliore del lampo, condividendo la malinconia della
natura. Proprio dalla contemplazione dello spettacolo naturale, percepito nei suoi valori atmosferici
di luce e colore, nacque quel sentimento della bellezza tipico della pittura di Giorgione.
Questo pittore iniziò a dipingere senza l’uso del disegno, sfumando dolcemente i contorni: per
questo, la sua pittura è definita “tonale” o “atmosferica”.
Nell’opera è riprodotto un paesaggio campestre. Al suo interno vi sono dipinte alcune rovine classiche
a sinistra. Si notano infatti un muro parzialmente eretto e un basamento sul quale si innalzano due
tronchi di colonna. In primo piano sono dipinte tre figure. A sinistra un uomo in piedi si appoggia ad
un bastone esile e lungo. È abbigliato con vesti rinascimentali. Indossa dei calzoni corti, una camicia
bianca e un gilet rosso. A destra invece si trova una donna seminuda seduta su di un prato che allatta
il figlio. Al centro è rappresentato un fiume attraversato da un piccolo ponte. Sull’orizzonte si trova
una città. Il cielo è cupo, denso di nubi e un lampo illumina la zona sopra le case.
La scena è incorniciata da grandi alberi e cespugli che creano delle quinte naturali a destra e a sinistra.
Si ispira al Libro delle Genesi, capitolo 2 quando Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso.
Il dipinto La Tempesta è distante dalla minuziosa descrizione dei particolari de La prova di Mosè o del
Giudizio di Salomone. Si coglie infatti l’utilizzo della prospettiva aerea di Leonardo da Vinci. Le parti
in primo piano sono più calde e virate verso il giallo. In profondità invece Giorgione ha utilizzato colori
freddi e un azzurro saturo.

La profondità è suggerita dalla prospettiva di grandezza che riduce la dimensione degli edifici a
sinistra verso il centro del dipinto. Inoltre si coglie una fuga prospettica che accompagna lo sguardo
dello spettatore in profondità. L’orizzonte poi è alto e la struttura dell’opera vede l’alternarsi di piani
che si sovrappongono verso gli edifici lontani. Il prato in discesa con la donna è in primo piano. Da
sinistra convergono verso il centro le rovine. Quindi il ponte sul fiume e infine la fuga delle abitazioni.
Le figure principali sono disposte in corrispondenza delle diagonali del quadro. Questo espediente
aiuta lo spettatore ad osservare le diverse parti del dipinto. Si tratta quindi di una progettazione
creata per guidare lo sguardo dell’osservatore. Lungo la diagonale che sale da sinistra in basso è
disposto l’uomo, la rovina con le colonne, il ponte la casa in secondo piano e il grande albero per
terminare con la torre che si intravede dietro le chiome. Sulla diagonale che sale da destra invece è
disposta la donna, il fiume il ponte e l’altra rovina dipinta contro due esili alberi che terminano con le
loro chiome in corrispondenza dell’angolo alto a sinistra. L’uomo indossa un abito di colore rosso
molto acceso che bilancia la massa centrale dell’acqua di colore verde brillante. Diagonalmente la sua
figura emerge otticamente come più importante di tutto il dipinto equilibrata però dall’albero in alto
a sinistra.

La Tempesta è stata nel tempo oggetto delle più disparate decodificazioni. Nel 1530, il collezionista
e letterato Marcantonio Michiel (1484-1552) descrisse l’opera come un dipinto privo di soggetto
apparente, ossia semplicemente come «el paesetto in tela cum la tempesta cum la cingana et
soldato», ossia come un paesino, una zingara e un soldato sotto la tempesta, che è quanto si vede.
Sino ad oggi, nessun altro tentativo di interpretazione è risultato veramente convincente. La donna
è stata identificata, da alcuni studiosi, con la “Madre”, simbolo della funzione nutritiva della natura,
mentre l’uomo sarebbe il principio maschile che feconda la terra. Le colonne spezzate alluderebbero,
invece, alla ineluttabilità della morte.

Altri storici hanno voluto riconoscere nelle tre figure Adamo, Eva e il loro primogenito Caino fuori dal
Paradiso terrestre, mentre il fulmine sarebbe l’eco dell’ira divina. Una recente analisi ai raggi x ha
però dimostrato che sotto il soldato si trova un’altra figura di donna nuda, in seguito cancellata
dall’artista. Ciò confermerebbe che il pittore sviluppava i contenuti delle sue opere nel momento
stesso in cui li dipingeva, in assenza cioè di un tema stabilito a priori in tutti i suoi dettagli. Giorgione
sostituì la seconda donna con un soldato, cambiando così radicalmente il contenuto del quadro,
perché quel nudo femminile non lo interessava in quanto soggetto ma come pura immagine,
rimpiazzata poi con un’altra più efficace. Così, nella Tempesta di Giorgione uomo e donna sarebbero
solamente due presenze immerse nella natura. D’altro canto, sono anche essenziali al quadro, che
altrimenti si ridurrebbe a una semplice, per quanto suggestiva, veduta di paese sotto la pioggia.
Biografia dell’autore

Giorgione, probabile pseudonimo di Giorgio o Zorzo o Zorzi da Castelfranco, nasce appunto a


Castelfranco Veneto, quasi sicuramente nel 1478.
Secondo Gabriele D'Annunzio, per la sua opera sfuggente, è stato più una leggenda che un'icona
riconoscibile dell'arte italiana. Ricostruire la sua carriera artistica infatti, e tutti i suoi dipinti, è
pressoché impossibile, considerato che non ha quasi mai firmato i suoi lavori. Tuttavia è considerato
uno degli artisti più importanti del Rinascimento italiano, meritevole di aver indirizzato la pittura
veneziana verso la modernità, innovandola soprattutto dal punto di vista del colore.
Della sua gioventù, soprattutto prima di giungere a Venezia, non si sa praticamente nulla. Nella
Repubblica, pertanto, sarebbe stato uno degli allievi di Giovanni Bellini, come il suo collega più
giovane Tiziano poco più tardi, il quale a propria volta avrebbe ricevuto il compito di terminare alcune
celebri opere di Giorgione stesso, una volta morto. E' fuor di dubbio che l'appellativo, anzi
l'accrescitivo del suo nome, è giunto solo dopo la sua dipartita, a segno della sua grandezza morale
e, anche e soprattutto, fisica.
Giorgio Vasari, nelle sue "Vite", sostiene che ad influenzare il pittore di Castelfranco Veneto sarebbe
stato anche Leonardo da Vinci, di passaggio a Venezia proprio durante gli anni in cui, sicuramente,
Giorgione si sarebbe trasferito, ossia a cavallo tra la fine del '400 e l'inizio del '500. L'amore per il
paesaggio gli deriverebbe proprio dall'aver osservato a lungo il genio fiorentino.
Frequenta circoli nobiliari, allegre brigate, belle donne. I collezionisti lo adorano, alcune famiglie
influenti veneziane, come i Contarini, Vendramin e Marcello, lo proteggono, acquistando le sue opere
ed esponendole nei propri salotti, chiedendo significati simbolici e talvolta volutamente nascosti. È
un umanista convinto, Giorgio, amante della musica e, anche, della poesia.
Gli anni giovanili del pittore veneto sono caratterizzati da un'iconografia per lo più sacra. Nel contesto
di questa produzione, si segnalano le opere "La Sacra Famiglia Benson", la "Adorazione dei pastori",
"Allendale", la "Adorazione dei Magi" e la "Madonna leggente".
Per le istituzioni Giorgio da Castelfranco realizza solo un paio di lavori, almeno stando alle fonti. Si
tratta di un telero per la Sala delle udienze in Palazzo Ducale, poi andato perduto, e la decorazione a
fresco della facciata del nuovo Fondaco dei Tedeschi, della cui opera, attualmente, resta a mala pena
un'immagine rovinata.
A conferma delle sue frequentazioni altolocate, ci sarebbe quella con Caterina Cornaro, presso la
corte asolana, regina detronizzata di Cipro. Le due opere attribuite al pittore che riguardano questo
periodo e questo tipo di ambiente sono "Doppio ritratto", ispirato con tutta probabilità all'opera "Gli
Asolani" di Pietro Bembo, e il dipinto "Ritratto di guerriero con scudiero". Questo è un periodo molto
difficile da decifrare della vita di Giorgione. A conferma di ciò, la difficile attribuzione di alcune delle
sue migliori opere, come "Paesetti", "Tramonto" e la celebre "Tempesta".
Nel 1510, in piena epidemia di peste, Giorgione muore a Venezia, poco più che trentenne,
probabilmente contagiato dal morbo. La conferma di questo dato, si evince dalla corrispondenza di
questo periodo che riguarda Isabella d'Este, marchesa di Mantova, e Taddeo Albano. Questi, il 7
novembre dà la notizia della morte di "Zorzo", come lo chiama nella lettera, a causa proprio della
peste. La data di morte si scoprirà poi in un documento: il 17 settembre 1510.

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