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IL ROMANTICISMO

Il Romanticismo è un movimento culturale che si diffonde in Europa nella prima metà


dell’800 e che interessa pittura, letteratura e musica. Esso rappresentò l’alternativa al
razionalismo illuminista, con quale ha in comune, oltre al periodo storico, solamente lo
scopo: scappare dal presente rifugiandosi in un passato medievale (romantici) o in un
passato classico (illuministi). In ambito artistico il suo più importante lascito è l’idea del
predominio della creatività individuale sulle regole della tradizione.
Al primato della ragione i romantici contrapposero l’importanza del sentimento, della fantasia
e dell’intuizione; al cosmopolitismo, la valorizzazione dell’identità nazionale. Questo perché
nel Neoclassicismo c’era un carattere universale (qualsiasi artista di qualsiasi nazione si
rifaceva alle idee di Winckelmann) e i romantici vogliono caratteristiche che distinguono un
paese dall’altro.
Uno dei concetti fondamentali del Romanticismo è quello di sublime ossia ciò che suscita
emozioni grandiose, positive o negative, di fronte agli spettacoli del paesaggio che fanno
percepire all’uomo la sua limitatezza nei confronti della natura.

FRANCISCO GOYA
Francisco Goya, pittore collocabile a cavallo fra Illuminismo e Romanticismo, nasce nel 1746
vicino a Saragozza da una famiglia nobile. Si formò a Madrid e nel 1775 ottenne il suo primo
incarico importante: gli vengono commissionati una serie di cartoni per le residenze estive
della corte. Nel 1789 il re di Spagna Carlo IV lo nominò Pintor de Camara (primo pittore di
corte). Tre anni dopo però, Goya perse completamente l’udito; questo influenzò la sua
pittura, che diventò cupa e visionaria. Negli ultimi anni di vita Goya tradusse la sua
disperazione in una pittura in cui prevalgono toni scuri e forti contrasti cromatici. Nacquero le
“Pitture nere” eseguite fra il 1819 e il 1823 sulle pareti di una sua casa nella periferia di
Madrid, conosciuta come la Quinta del sordo (decora direttamente sulle pareti). Muore nel
1828 a Bordeaux.
Goya viene considerato da molti illuminista per le sue idee sulla condanna dell’ignoranza e il
suo voto alla fede della ragione; inoltre è un pittore molto innovativo in quanto abbandona i
temi mitologici.

IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI

Nei Capricci, una serie di 80 tavole, l’artista denuncia i costumi viziosi,


l’arretratezza culturale e le credenze superstiziose dei suoi contemporanei. Il foglio più
celebre è Il sonno della ragione genera mostri, che illustra come il mondo, senza il controllo
dell’intelletto umano, sarebbe sopraffatto da impulsi insensati.
La perdita dell’intelletto, simboleggiata dalla figura dormiente, genera esseri notturni e
spaventosi, che sembrano usciti da un bestiario infernale. I Capricci non vennero compresi
dai contemporanei di Goya e per questo non ebbero successo.
FAMIGLIA DI CARLO IV

La Famiglia di Carlo IV presenta il realismo con il quale il pittore


denuncia la decadenza dei monarchi spagnoli. Tale effetto è amplificato dall’uso della luce.
Sono rappresentati il futuro re Ferdinando, in primo piano a sinistra, la regina Maria Luisa di
Borbone, al centro, con un viso goffo, e al suo fianco il re, inespressivo e privo di vigore. In
contrasto con le fisionomie sgraziate degli adulti emerge il candore dello sguardo di
Francesco, figlio prediletto della regina. All’estrema sinistra la figura di Goya stesso, che si
autoritrae nell’atto di dipingere una grande tela con un soggetto che non ci mostra.

MAJA DESNUDA E MAJA VESTIDA

La donna dipinta è Pepita Tudò. L’artista ritrasse sdraiata su morbidi


cuscini di seta, sopra un divano di velluto verde, in una posa sensuale, con le mani dietro la
testa e lo sguardo malizioso rivolto verso lo spettatore che lo invita ad una interazione.
Goya rappresentò il corpo femminile con realismo, senza alcuna idealizzazione. Per
dipingere questo quadro, l'artista andò contro le regole del Sant’Uffizio, che vietavano la
rappresentazione del nudo.
Alla Maja desnuda fa da contrappunto una versione quasi identica, nella quale però la donna
appare vestita. In entrambe le versioni Goya utilizza pennellate staccate e rinuncia ad un
tratto di contorno. Le due tele erano montate l’una sopra l’altra in una doppia cornice, in
modo che la Maja vestida coprisse la Maja desnuda e che si potesse scegliere quale
mostrare.

3 MAGGIO 1808

Nel 1814 Goya dipinse 2 momenti eroici della resistenza


spagnola, uno di questi è il 3 Maggio: fucilazione alla montaña del Principe. Viene
considerato il primo manifesto contro gli orrori della guerra e raffigura la rappresaglia dei
francesi, che fucilarono senza processo gli spagnoli sospettati di aver partecipato
all’insurrezione popolare contro le truppe napoleoniche. L’esecuzione avviene di notte,
all’aperto, in una paesaggio brullo (in lontananza si distingue una chiesa). Probabilmente
Goya dipinse questo quadro per ingraziarsi Ferdinando VII al suo ritorno ma non ne siamo
sicuri. SUlla destra il gruppo di soldati, allineati in diagonale, con le gambe divaricate e le
braccia tese, la testa incassata nelle spalle, i volti nascosti sotto i colbacchi neri. Vengono
rappresentati come un’unica massa senza sentimenti. Sulla sinistra vi sono i condannati a
morte; tra di loro spicca l'uomo inginocchiato, con le braccia aperte in un gesto di
disperazione, illuminato dalla luce della lanterna che ne fa il punto di massima tensione del
dipinto: la camicia costituisce la nota più chiara del dipinto.
Il pittore ha fissato sulla tela l’istante che separa l’atto di premere il grilletto dei fucili dalla
morte dell’uomo inginocchiato.
Si tratta di 3 momenti distinti che corrispondono ad altrettante parti del quadro. Ognuna è
guidata da una figura:
❖ fila di chi va a morire, guidata da un uomo che con le mani si copre gli occhi
❖ gruppo di chi sta per essere ucciso, radunato intorno all’uomo con le braccia
spalancate
❖ gruppo dei morti, giace dietro l’uomo disteso a terra in primo piano
Goya ha utilizzato pennellate cariche di colore, che mirano all'espressività; lo stile di
quest’opera è molto lontano dall’idea neoclassica di Winckelmann.

SATURNO CHE DIVORA UNO DEI SUOI FIGLI

Secondo la leggenda, Saturno mangiava tutti i suoi figli non appena nata
poichè, secondo una profezia, uno di loro sarebbe stato colui che lo avrebbe spodestato.
Goya probabilmente la dipinge per esprimere il suo pessimismo dettato dal ritorno di
Ferdinando VII e vuole significare la cieca bestialità del potere che teme l'usurpazione da
parte di altri.
Saturno viene raffigurato con gli occhi completamente spalancati mentre tiene in mano il
corpo senza testa del figlio.
La tecnica pittorica si addice perfettamente alla drammaticità della rappresentazione: il
colore, dai toni cupi è steso a pennellate larghe e dense, che costruiscono la figura
terrificante del dio, facendola emergere dal buio con inquietanti effetti chiaroscurali.
FRIEDRICH
Friedrich (1774-1840) fu uno dei pittori che meglio interpretò la poetica del sublime. Nato a
Greifswald, dal 1794-98 studiò all’Accademia di Copenaghen specializzandosi nel disegno.
Dopodiché si trasferì a Dresda, lavorando in uno studio affacciato sull’Elba.
Friedrich non completò mai la sua formazione viaggiando in Italia e si rifiutò di seguire gli
esempi dall’arte antica. Nei suoi quadri ritrasse spesso le terre fredde del Nord, i boschi di
querce, le scogliere frastagliate dell’isola di Rugen, le tombe degli antichi Unni e le rive del
Baltico; tuttavia preferì ricercare l’invisibile significato allegorico del paesaggio, sentito come
manifestazione del divino. La sua interpretazione è dunque del tutto originale e soggettiva: il
paesaggio diviene lo strumento per esprimere una visione mistica della natura.

ABBAZIA NEL QUERCETO

Sotto un cielo freddo e cupo, dalla nebbia emergono le rovine


dell’abbazia cistercense di Eldena, nei pressi di Greifswald. Il soggetto racchiude due temi di
notevole successo: la passione per l’età medievale e quella per la rappresentazione delle
rovine. Intorno ai resti dell’edificio si aggira un corteo di monaci, che si prepara alla sepoltura
di un confratello portando lentamente la bara verso il diroccato. I ruderi dell’edificio sono
attorniati da querce spoglie, altissime e sproporzionate, vere protagoniste del dipinto.
La parte inferiore della tela è immersa nell’oscurità: si tratta di un’allusione alla morte,
simboleggiata in basso a destra dalla croce di una tomba abbandonata. Oltre il piano delle
rovine si estende uno spazio indefinito, privo di costruzione prospettica; la luminosità che lo
caratterizza è probabilmente una rappresentazione metaforica dell’aldilà cristiano.

MONACO IN RIVA AL MARE

L’Abbazia fu acquistata dal re di Prussia insieme a questo


dipinto, che condivide con essa l’impostazione compositiva per fasce cromatiche orizzontali,
benchè in questo secondo caso si tratti di un paesaggio marino ancora più pervaso di
mistero.
Un cielo sconfinato e livido domina gran parte della tela e si salda al mare attraverso un
orizzonte quasi impercettibile. Più vicino all'osservatore compare una spiaggia desolata,
sulla quale si trova un monaco che sembra fissare lo sguardo sull'infinito: il suo corpo esile,
appena abbozzato, esalta il senso di vuoto e rende più evidente lo stridente confronto tra la
fragilità umana e l'infinita grandezza della natura.

MARE DI GHIACCIO

In questo dipinto emerge una natura spirituale del paesaggio,


interpretato nei suoi aspetti più malinconici. Dominano la composizione i margini duri e
frastagliati dei ghiacci. Una luce intensa investe l’opera, facendola brillare. Il pittore era
interessato agli effetti di luce e alle stagioni.
Osservando attentamente l’opera possiamo notare una nave naufragata (sulla destra); il
relitto fa riferimento alla tragica spedizione di William Parry che rimase schiacciato nel Polo
Nord. Friedrich decide di riprendere questo evento per l’influenza che ebbe sulla società del
tempo.
Il ghiaccio è metafora dell’eternità di Dio e il tentativo dell’uomo di addentrarsi nel suo
grande mistero è destinato a fallire.
Forse in quest’opera è presente anche un riferimento all’infanzia di Friedrich: quando era
molto piccolo infatti, mentre pattinava sul ghiaccio, questo si ruppe, facendoci cadere dentro
il piccolo Friedrich che venne salvato dal fratello, il quale perse la vita.

VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

In primo piano staglia l’oscuro profilo di uno spuntone di roccia, dal


quale un viaggiatore, di spalle, scruta le cime e le catene montuose in lontananza al di sopra
della distesa di nebbia che si innalza dalla valle. Il viaggiatore è avvolto da un soprabito
verde scuro e nella mano destra stringe un bastone da passeggio; il vento gli scompiglia i
capelli e spazza la foschia.
Il panorama assomiglia ad un mare increspato dal vento, da cui sembrano emergere isole
ricoperte di alberi. Lo scorcio porta l’osservatore a chiedersi cosa ci sia al di là dello spazio
che riesce a vedere.
Il dipinto raffigura il sublime condensandolo in una personale esperienza dell’alta montagna.
Ci sono varie interpretazione di questo dipinto:
● La figura di spalla potrebbe essere un monumento commemorativo in onore di un
uomo caduto durante le guerre antinapoleoniche; la nebbia forse figura il ciclo
naturale.
● Il viaggiatore potrebbe essere una metafora del futuro sconosciuto
● La posizione del viaggiatore potrebbe trasmettere un significato ambiguo dell’uomo
sul paesaggio e la sua totale impotenza all’interno di essa.

CONSTABLE
Il concetto di pittoresco viene spiegato al meglio nello opere di John Constable. Nato nel
1776 nella Contea del Suffolk; si formò presso la Royal Academy a Londra, dove studiò in
modo approfondito il paesaggio. Caratteristiche principali di Constable sono la ricerca della
semplicità, l’utilizzo di colori brillanti, ma soprattutto la particolare attenzione al cielo. Nei
primi anni ’20, infatti, Constable realizza una serie di studi del cielo. Su ogni schizzo, annota
con precisione l’ora della giornata e le condizioni atmosferiche del momento in cui ha dipinto
l’immagine.
Muore nel 1837 a Londra mentre stava lavorando alla sua ultima opera.

IL MULINO DI FLATFORD

Il mulino di Flatford può essere considerato uno degli apici della


produzione di Constable. L'artista vi raffigura un tratto della campagna natia che si estende
lungo le rive del fiume Stour, dal mulino paterno al ponte pedonale di Flatford, le cui travi si
intravedono in basso a sinistra.
Lo studiato rapporto tra uomo e natura lascia trasparire un senso di semplicità e di pace che
pervade la scena. Vasto spazio è riservato al cielo, che assume notevole importanza negli
equilibri della composizione: le nubi gonfie di pioggia dominano il paesaggio, portando un
velo di inquietudine sull'armonia generale e facendo da contrappeso ai toni della
vegetazione.
TURNER
Il più grande pittore inglese dell’epoca romantica fu Turner, affascinato dal potere della
natura, un ente supremo di fronte al quale l’uomo è piccolo e insignificante. Nel corso degli
anni il suo stile si fece sempre più libero e astratto, fin quasi a dissolvere la natura in una
fantasia sfrenata di luce e colore. Proprio per questo suo modo di rappresentare la realtà,
viene considerato un precursore dell’impressionismo.
Nacque nel 1775 a Londra. Nel 1802 fece il suo primo viaggio in Europa: in Svizzera
realizzò centinaia di disegni, colpito dal paesaggio delle Alpi, tra cui la tela raffigurante
Bufera di neve. Non trascurò tuttavia lo studio dei classici; i suoi taccuini infatti dimostrano la
passione che sviluppò per Tiziano. Più tardi visitò anche l’Italia, innamorandosi di Venezia.
Morì nel 1851 a Londra; alla sua morte lasciò una parte della sua eredità per istituire un
fondo per gli artisti in disgrazia.

BUFERA DI NEVE

L’episodio storico, Annibale e il suo esercito attraverso le


Alpi, diventa marginale e appare sopraffatto da vortici di nubi bianche e nere. Il fondale non
è altro che l’amplificazione di quanto accade in primo piano: scene di uccisioni, stupri,
saccheggi,... La tecnica, per la maggior parte con l’uso della spatola, era sperimentale e
porta ad avere l’effetto di un quadro in 1° stadio.

IL MATTINO DOPO IL DILUVIO

Il dipinto incarna contemporaneamente l’idea di paesaggio e la


visione del mondo di Turner.
Nel 1810 Goethe pubblicò un saggio dal titolo Teoria dei colori, nel quale evidenziava come
la percezione del colore fosse legata anche ai fattori psicologici. Il testo suggestionò diversi
artisti, fra cui Turner. Conformemente a quanto sostenuto da Goethe, in quest'opera, il
pittore decise di utilizzare i colori più caldi per comunicare la serenità ritrovata e l'amore,
mentre per la scena del diluvio aveva applicato colori cupi e freddi. Il colore diventa lo
strumento per rappresentare i differenti stati dell’animo umano.
mattino dopo il Diluvio sembra rappresentare un passaggio del libro della Genesi: Turner si
concentra sul momento in cui viene stretta una nuova alleanza tra Dio e gli uomini. Al centro
del dipinto si distingue una serpe, che allude probabilmente al serpente di bronzo forgiato da
Mosè per salvare il suo popolo durante la marcia nel deserto, e richiama quindi la figura del
profeta al quale la tradizione attribuisce la paternità del testo della Genesi. Appena sopra il
rettile si riconosce una figura maschile che potrebbe essere Mosè stesso oppure Dio che
parla a Noè e agli uomini. Nella parte inferiore del dipinto si distinguono una serie di piccole
figure appena abbozzate che dovrebbero simboleggiare l'umanità intera.
Il tentativo è quello di raffigurare ciò che non ha forma, ma anche di sintetizzare un'idea
mistica di natura attraverso effetti puramente cromatici.

Poco meno di un decennio prima l'artista aveva dipinto l'incendio


che nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1834 distrusse il Parlamento inglese: in quell'opera il
cromatismo è scintillante, i contorni delle figure sono dissolti ed evanescenti e il pigmento è
steso a tocchi rapidi, ma la composizione presente ancora una struttura solida.

In Tempesta di neve i piani del cielo e del mare si confondono e


sembrano rovesciarsi l'uno nell'altro; solo la figura del piroscafo, ancora la rappresentazione
a una dimensione figurativa.

Nella Sera del Diluvio, nel quale le forme sono estremamente


sintetiche, si riconosce ancora un preciso evento atmosferico. Nel Mattino dopo il Diluvio
Turner si affida quasi del tutto al colore puro: con pennellate dense e con pochi colori brillanti
e luminosi, dipinge un turbine di luce dal quale traspaiono poche immagini riconoscibili e che
si erge a emblema eterno e ideale di paesaggio fuori dal tempo.
INGRES
Ingres nasce nel 1780 in Francia. A soli 11 anni si iscrive all’Accademia di Tolosa e
successivamente diventa allievo di David. Ingres ne accolse la lezione e per tutta la vita
rimase fedele ad una pittura fondata sul disegno. I suoi ritratti infatti spiccano per l’eleganza
del disegno ma anche per la cura con cui viene reso ogni particolare. Dal 1806 al 1824 va a
Roma e poi a Firenze dove studia le opere rinascimentali, principalmente Raffaello; ma
preferì lo studio dell’età medievale e fu affascinato dall’eleganza dell’arte bizantina e gotica.
Muore nel 1870 in Francia.

LA GRANDE ODALISCA

La grande odalisca per Carolina Murat, sorella di Napoleone,


attesta quanto Ingres fosse affascinato dalle atmosfere dell'Oriente al punto che per definire
tale moda la critica ha coniato il termine di orientalismo.
La tela rappresenta una giovane schiava e dell'harem dei sultani e dei pascià turchi.
L'ambiente è evocato attraverso l'inserimento di accessori d'uso orientale, descritti con
estrema precisione, quali il prezioso scacciamosche in piume di pavone, il narghilè e
l'incensiere ai piedi del letto. Ne emerge l'immagine di un ambiente intimo e raffinato cui lo
spettatore può essere ammesso solo dalla giovane donna. L'odalisca è ritratta sdraiata,
nuda e di spalle, con il viso rivolto a chi osserva. La donna è adagiata in un'alcova, sdraiata
su morbide coltri.
Evidente è il richiamo, nel volto dell'odalisca, alla Fornarina di Raffaello: l'acconciatura è
identica e il velo che avvolge i capelli come un turbante è in entrambi i casi fissato da un
cordoncino dorato ornato da un gioiello.
La sensualità del nudo femminile è accentuata dalla linea sinuosa del profilo che si staglia
sullo sfondo buio. La luce colpisce la donna frontalmente, mettendo in risalto il candore della
pelle.

IL BAGNO TURCO

Il bagno turco, dipinto nel 1862, è l’ultima opera di Ingres. Con il suo
insieme di corpi femminili nudi, sdraiati uno sull'altro nella penombra di un harem,
rappresenta l'omaggio più alto dell'artista alla figura della donna. La tela mostra inoltre la
fascinazione per l'esotico e, in particolare, per la cultura orientale, divenuta di gran moda nel
corso dell'Ottocento.

GERICAULT
Gericault è considerato uno dei maggiori esponenti del Romanticismo. Nasce nel 1791 in
Francia da una famiglia benestante.
Negli anni della formazione si dedica al rifacimento di capolavori del passato e allo studio dei
cavalli, sua passione e soggetto ricorrente.
Nel 1816 compie un viaggio di un anno in Italia per studiare lo stile di Michelangelo e
Caravaggio. Dopo la realizzazione della Zattera della Medusa, 1819, compie un viaggio in
Gran Bretagna dove viene celebrato e onorato per la sua opera. Al rientro a Parigi deve
affrontare delle difficoltà economiche ed è proprio in questo periodo che nasce il ciclo degli
alienati (10 ma ce ne sono arrivati 5).
La sua grande passione per i cavalli causò la sua morte, seguita a una caduta da cavallo, a
soli trentadue anni.

ALIENATA CON MONOMANIA DELL’INVIDIA

I quadri furono commissionati da un amico,psichiatra, che, indagando il


tema della follia, li avrebbe utilizzati a scopo didattico-dimostrativo. Questi 10 ritratti sono
molto importanti perché per la prima volta la malattia mentale fa la sua apparizione sulla
tela.
Géricault propone una raffigurazione fedele fino alla crudeltà, come si può vedere
nell'Alienata con monomania dell'invidia: il volto della donna è accigliato, la pelle avvizzita è
ricoperta di macchie e rughe profonde, le palpebre sono arrossate e lo sguardo è fisso verso
un interlocutore inesistente. La cuffia bianca crea una sorta di aureola intorno al volto della
donna, mettendo in maggior risalto gli occhi cerchiati di rosso e l'atteggiamento diffidente. Il
corpo della donna emerge dal fondo scuro, questo contribuisce a sottolineare la dimensione
di irraggiungibile solitudine.

LA ZATTERA DELLA MEDUSA


La zattera della Medusa si segnala tra le opere che meglio
hanno incarnato gli ideali romantici e che hanno determinato l'avvento del nuovo stile in un
momento in cui, in Francia, l'arte era ancora segnata dal gusto neoclassico.
Il dipinto è ispirato a un tragico fatto di cronaca del luglio 1816: il naufragio al largo delle
coste dell'Africa occidentale, nei pressi di Capo Bianco, della Medusa, nave militare francese
che trasportava soldati e civili, diretta in Senegal. Mentre gli ufficiali dell'equipaggio furono
messi in salvo, gli altri passeggeri - centocinquanta uomini e una donna - furono radunati su
una zattera e abbandonati alla deriva per tredici giorni, trascorsi in un crescendo di orrori e
violenza. Quando finalmente fu avvistata dalla nave Argus, i superstiti erano soltanto
quindici.
Il pittore scelse di mettere in scena il momento dell'avvistamento del veliero che li avrebbe
tratti in salvo, intensamente drammatico e sospeso tra speranza e disperazione. Nello studio
preparatorio la nave che giunge in aiuto è ben visibile, mentre, nella versione finale,
l'imbarcazione all'orizzonte è quasi invisibile, dando l'idea che possa trattarsi di un miraggio.
Per arrivare a una resa convincente Géricault visionò tutta la documentazione relativa alla
sciagura e, per meglio realizzare i corpi dei morti, copiò frammenti anatomici dei cadaveri
all'obitorio dell'ospedale di Beaujon.
La scena si dipana lungo la diagonale che sale da sinistra verso destra, seguendo un
movimento dettato dalla disperazione che porta i superstiti, disposti a piramide (altra
piramide della vela), a protendersi verso l'orizzonte, nella speranza di avvistare una nave
che li salvi. L'ipotetica possibilità di sopravvivere proviene da un punto indefinito del mare,
mentre in primo piano compare la certezza della morte. Gli uomini che sventolano degli
indumenti e il cielo all’orizzonte sereno rappresentano la speranza.
DELACROIX
Delacroix è tra i principali esponenti della pittura romantica. Nasce a
Charenton-Saint-Maurice nel 1798; proviene da una famiglia alto borghese. Dopo gli studi
liceali, si iscrive all’Ecole des Beaux-Arts. Studia i capolavori del Louvre, ammirando in
particolare i maestri del ‘500 e del ‘600.
Nel 1832 Delacroix compie un viaggio in Nord Africa, da cui trae ispirazione per nuovi
soggetti. I dipinti di questa serie mostrano la particolare attenzione con cui l’artista osserva i
costumi locali, e rivelano la sua abilità nel riprodurre i colori brillanti e la luce dorata del
Mediterraneo.
Negli anni ’40 torna a soggetti ispirati alla storia antica e alla mitologia. La sua pennellata è
sempre più rapida, i colori sono accesi, e le composizioni sempre più mosse. Muore nel
1863 a Parigi.

LA LIBERTÁ CHE GUIDA IL POPOLO

Questa è una delle tele che meglio condensa l’idea del paese;
celebra le 3 gloriose giornate (27-29 luglio 1830), nel corso delle quali il popolo insorse
contro re Carlo X. Gli uomini, appartenenti a diverse classi sociali, sono guidati da una
donna che, con il busto scoperto, sventola con una mano la bandiera tricolore e con
quell’altra regge un fucile. Sulla destra appare uno scorcio di Parigi, riconoscibile per le torri
della Cattedrale di Notre-Dame.
Delacroix, che da giovane aveva posato per la Zattera della Medusa, intendeva realizzare
una composizione altrettanto drammatica e intensamente contemporanea, sia nel tema sia
nello stile.
Il gruppo centrale è inscrivibile all'interno di un triangolo: i corpi stesi al suolo ne
costituiscono la base; il lato sinistro è definito dal fucile dell'uomo con il cilindro; il lato destro
è delimitato dalla cintura bianca che attraversa in diagonale il torace del ragazzino, e dal
braccio destro della Libertà, che con la bandiera forma il vertice della costruzione piramidale.
Le pennellate sono dense e prevalgono colori terrosi dai quali spiccano i colori accesi della
bandiera tricolore. L’opera destò scalpore fra i critici; l'artista fu rimproverato soprattutto per
l'eccessivo realismo con cui aveva trattato il tema del nudo.

DONNE DI ALGERI NELLE LORO STANZE

Nelle donne di Algeri nelle loro stanze la vita di un harem è restituita


con realismo e partecipazione.
La vera forza del dipinto sta negli aspetti formali, dai raffinati accostamenti cromatici ai
ricercati effetti di luce: i raggi del sole, filtrati dalle tende, lasciano l'ambiente in penombra e il
variare della loro intensità muta i toni dei colori, come dimostrano gli affreschi delle pareti
maiolicate e l'azzurro dell'abito della donna al centro, che assume tonalità verdi nel corpetto,
meno esposto ai bagliori del sole. La pennellata è densa e libera, le stesure di colore
risultano abbozzate e i contorni delle figure non sono mai nitidi. L'immagine non è realizzata
esclusivamente per mezzo del disegno e del chiaroscuro, ma anche dal colore assume un
ruolo fondamentale.

LOTTA DI GIACOBBE CON L’ANGELO

Negli ultimi anni della sua vita Delacroix lavorò alla decorazione della
Cappella degli Angeli nella Chiesa di Saint-Sulpice a Parigi. Qui dipinse a olio e cera su
muro la Lotta di Giacobbe con l'angelo e la Cacciata di Eliodoro dal Tempio. Il tema del
combattimento tra creature divine e uomini o tra angeli e incarnazioni del male gli consente
di rappresentare scene dinamiche, cariche di tensione e idonee a trasmettere gli ideali
estetici del Romanticismo.
La Lotta di Giacobbe con l'angelo, si svolge in una vegetazione lussureggiante dalla quale
emergono continue e inaspettate accensioni cromatiche.
In secondo piano sulla destra compaiono persone con abiti esotici in groppa a dromedari
mentre le vesti e le armi di Giacobbe, in basso a destra, sono la scusa per dare vita a una
scintillante esplosione di colore. Sperimentò la tecnica dell'enflochetage, che consiste nello
stendere piccoli e fitti filamenti di colore, che si mescolano sulla superficie pittorica: ottenne
così un cromatismo brillante e luminoso, che attirò l'attenzione di pittori quali Monet e Renoir.

IL ROMANTICISMO ITALIANO: MILANO


Il contributo più originale all'arte italiana di età romantica venne dalle regioni settentrionali,
dove si sviluppò una pittura di carattere storico tesa a diffondere gli ideali politici
risorgimentali, che puntavano a promuovere la nascita di un sentimento nazionale e
sostenevano la lotta contro la dominazione austriaca.
Fu Milano a rappresentare l'epicentro di tale fenomeno. La città era culturalmente e
politicamente pronta ad accogliere le novità del Romanticismo che già pervadevano l'Europa
e ponevano le basi per il definitivo superamento delle istanze neoclassiche; ancora mancava
tuttavia un artista in grado di tradurle figurativamente, questo ruolo toccò a Francesco
Hayez.

HAYEZ
Hayez nasce a Venezia nel 1791 da una famiglia di umili origini che da piccolo lo affidò ad
una sorella della madre.
Dal 1803 al 1806 frequenta dei corsi alla nuova Accademia delle belle arti di Venezia e a 18
anni vince un concorso e riesce ad andare a Roma, dove conosce Canova che assume un
ruolo di guida. Successivamente nel 1818 si trasferisce a Milano poichè sentiva la necessità
di rinnovare il suo linguaggio e di sperimentare forme espressive più rispondenti al nuova
clima culturale; qui conosce Manzoni e morirà nel 1882.

PIETRO ROSSI PRIGIONIERO

Il primo quadro di soggetto medievale dipinto da Hayez fu Pietro


Rossi prigioniero degli Scaligeri, considerato il primo quadro romantico italiano.
La tela racconta la vicenda di Pietro Rossi, duca di Parma, che all'inizio del
Trecento fu nominato condottiero dell'esercito veneto dal doge di Venezia Francesco
Dandolo, con il compito di arrestare l'espansione dei Della Scala, signori di Verona. Hayez
rappresenta il momento in cui Pietro Rossi deve decidere se rischiare la vita andando a
combattere per i propri territori o rinunciare all’incarico: il messaggero veneziano lo esorta a
partire, mentre la moglie e le figlie lo implorano di restare. La drammaticità della scena è
accresciuta dalla luce, proveniente da destra, che brilla su armature e volti.

LA MEDITAZIONE

Nella tela intitolata La meditazione il pittore privilegia un'inquadratura


ravvicinata e un'ambientazione essenziale, senza tuttavia rinunciare alla perfetta resa
formale del nudo. Il candore emanato dalla pelle dell'anonima donna, è ribadito dal bianco
immacolato della veste e, allo stesso tempo,
contrasta con il nero profondo dei capelli corvini: L'abito cascante lascia scoperto un seno e
conferisce alla composizione una venatura di erotismo. Il sapiente gioco di luci lascia in
ombra il viso, accrescendo il mistero che aleggia attorno alla figura femminile, e porta in
piena luce il suo corpo. L'ambiente, vuoto, consente di concentrare l'attenzione sulla donna
e sugli oggetti che tiene in mano. Il messaggio dell’opera è reso esplicito da precisi
riferimenti alla storia patriottica contemporanea: il libro tenuto in grembo dalla donna è una
"Storia d'Italia".

IL BACIO

Quest’opera è il simbolo del Romanticismo. La scena è


dominata da una coppia di giovani, il corpo e il volto del ragazzo sono nascosti ma si riesce
ad intravedere un arma; mentre la donna si abbandona in un bacio intenso. Dietro di loro si
intravede una sagoma misteriosa che sembra dare una spiegazione alla posizione del
ragazzo, pronto a fuggire. L’ambientazione è medievale, come si può notare anche dagli
abiti indossati dai due giovani; il punto di vista della prospettiva è dal basso e questo
accentua la monumentalità dei due personaggi; la luce è netta e esterna.
Dietro a questo dipinto c’è un messaggio politico: il giovane potrebbe rappresentare un
patriota che sta dicendo addio all’amata prima di andare a combattere per l’indipendenza e
rappresenta l’amore per la patria. Ill quadro allude infatti agli eventi che portarono all’ Unità
d'Italia. Esistono tre versioni di questo quadro, nella prima versione, l'azzurro, il rosso e il
bianco delle vesti farebbero riferimento alla Francia di Napoleone III, alleata dei piemontesi e
dei lombardi contro gli austriaci durante la Seconda guerra di indipendenza; nelle altre
versioni, successive all'impresa dei Mille di Garibaldi, sono presenti invece tinte riconducibili
al tricolore italiano.
L'uso del colore, però, non è solo simbolico; infatti fa riferimento a Tiziano e Giorgione sui
quali Hayez si era formato.

LA TEORIA DEL COLORE DI CHEVREUL


Chevreul espose il principio del contrasto simultaneo, secondo il quale, se si accostano 2
colori complementari, le qualità di luminosità di ciascuno, vengono amplificate. Per sapere
cosa sono i colori complementari bisogna prima apprendere quali sono quelli primari. I colori
primari, giallo rosso e blu, sono i colori dalla cui combinazione derivano tutti gli altri colori; i
colori secondari invece sono quelli ottenuti dalla combinazione di due primari (giallo e blu da
verde). La sequenza dei colori viene indicata mediante un grafico circolare diviso a spicchi
che prende il nome di “cerchio cromatico”.

In esso, ai colori primari si oppongono quelli secondari che si


dicono complementari; pertanto sono complementari i colori che risultano opposti a quelli
primari (giallo-viola, rosso-verde, blu- arancione).

L’ARCHITETTURA IN ETÁ ROMANTICA


Alla fine del ‘700 l’interesse per la storia dell’architettura fu approfondito dalla cultura
romantica, che vedeva nello studio del passato uno strumento necessario alla ricerca dei
fondamenti dell'identità nazionale degli stati europei.
Rispetto alla predilezione per l'antichità tipica del XVIII secolo, alle soglie del XIX secolo
particolare attenzione fu rivolta al Medioevo, ora rivalutato per l'intensa spiritualità e come
l'epoca in cui i popoli europei avevano iniziato a dar forma alle loro identità nazionali e al
Gotico.
Le principali tendenze architettoniche di epoca romantica sono:
•il Neogotico, consistente nel recupero del linguaggio gotico, sulla scia di un generale
interesse per il Medioevo,
• il pittoresco architettonico, che ricerca soluzioni evocative di epoche e luoghi lontani;
•l'Eclettismo, consistente nel libero accostamento di linguaggi architettonici di epoche
diverse.

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