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IL REALISMO

Il Realismo è una corrente che caratterizza l’arte figurativa e la letteratura della seconda
metà dell’Ottocento. Lo scopo è quello di riprodurre la realtà in modo oggettivo, razionale e
impersonale, perché è nella realtà che ritroviamo la verità delle cose.
Due concetti fondamentali di questo periodo sono il vero e la pittura en plein air: il vero
poichè si tende a raffigurare la realtà come è oggettivamente, senza rifarsi alla mitologia
classica o alla storia; la pittura all’aria aperta invece, perché permette di rappresentare il
paesaggio così come si presenta ai loro occhi, in opposizione alla veduta classicista e
idealizzante.
In questo periodo si punta a raccontare la vita delle classi sociali più umili per proporre
un’arte che contribuisca a cambiare e migliorare la società.

LE RADICI DEL REALISMO: LA SCUOLA DI BARBIZON


La marcata tendenza al realismo che si affermò nella pittura francese a partire dagli anni
trenta dell’Ottocento affondava le proprie radici nel desiderio di autenticità espressiva e di
libertà tematica che aveva animato la più innovativa arte romantica, ma allo stesso tempo
era debitrice verso i paesaggisti inglesi dell’Ottocento, in particolare Constable.
La scuola di Barbizon si afferma dagli anni ‘30 fino agli anni ‘70; è ispirata dall’ opposizione
verso le convenzioni della tradizione classica. Si interessano particolarmente alla pittura di
paesaggio ma, all’aperto, fanno principalmente studi su quest’ultimo. Si rifugiano in paesaggi
di campagna per fuggire dalla nuova civiltà segnata dalla meccanizzazione dell’uomo e dal
nascente gigantismo delle città.
La scuola di Barbizon divenne il punto d'incontro di molti pittori, fra cui Millet e Courbet.
Furono loro a introdurre in Francia la pratica della pittura en plein air; il contatto diretto con la
natura consentì di apportare significative novità nella rappresentazione del paesaggio, in
particolare una resa più fedele degli effetti istantanei di luce e colore legati ai cambiamenti
del tempo e delle stagioni.

MILLET
Cresciuto in una famiglia di contadini benestanti della Nor-mandia, Jean-François Millet si
trasferì a Parigi a ventuno. anni per dedicarsi alla pittura. Più tardi, nel 1849, si stabilì a
Barbizon, dove dipinse scene di vita nei campi fino alla fine dei suoi giorni. Le sue opere si
distinguono da quelle degli altri barbizonniers per l'interesse rivolto alla figura umana e al
lavoro in campagna, che l'artista rappresentò con oggettività, cercando di conferire dignità e
sacralità anche ai soggetti
più umili.
LE SPIGOLATRICI

Il primo piano è occupato interamente dalle tre donne intente alla


spigolatura, un lavoro misero, che stride con l'abbondanza dei covoni e dei carri colmi di
frumento che appaiono alle loro spalle. Questo contrasto è accentuato dagli effetti di luce.
Il lucido realismo di Millet non risparmia nulla allo spettatore e non c’è spazio per la
compassione: il gesto cristallizzato delle donne conferisce ai loro corpi una monumentalità
scultorea, quasi una nobiltà, e dona alla scena un respiro epico. Quando la tela fu esposta al
Salon risultò inaccettabile perché contraddiceva la propaganda del governo, che in quel
periodo andava magnificando la propria lotta alla povertà.
Millet incise a fondo sulla formazione di Van Gogh che lo considerava una sorta di padre
spirituale e ne ammirava a tal punto le opere da studiarle e riprodurle in disegni e dipinti.

GUSTAVE COURBET
Gustave Courbet è uno dei massimi esponenti del Realismo ottocentesco. Nasce a Ornans,
nella Francia orientale, nel 1819. Proviene da un’agiata famiglia di proprietari terrieri.
Dopo aver frequentato l’Accademia di Besançon, a 20 anni si trasferisce a Parigi, dove
frequenta corsi d’arte e studia i capolavori del Louvre, in particolare i maestri del ‘600.
Espone alcune opere giovanili, che rivelano una particolare abilità nella resa dei contrasti di
luce e ombra. Nel 1848, a febbraio, per la difficile situazione economica in cui versa la
Francia, esplode un’insurrezione popolare a Parigi, seguita da una sanguinosa repressione.
Courbet, che assiste con partecipazione a questi eventi, concepisce l’idea di un’arte che
racconti la realtà sociale del suo tempo. Dedica quadri di grandi dimensioni a soggetti umili,
tradizionalmente esclusi dalla pittura ufficiale, come operai e contadini al lavoro o presi in
momenti qualunque della loro vita quotidiana.
Nel 1855 Courbet espone le sue opere più importanti in una sede da lui stesso allestita, il
Padiglione del Realismo. In quell’occasione pubblica un testo in cui spiega le sue scelte
artistiche: dichiara di voler fare un’arte viva, attuale, che sia efficace espressione del suo
tempo. Il realismo di Courbet contrasta con i canoni tradizionali che ancora prevalgono a
metà Ottocento. Gran parte della critica contesta la sua pittura considerandola rozza e
volgare.
Nel 1870 l’artista partecipa all’insurrezione da cui nasce la Comune di Parigi, un governo
popolare nel quale Courbet è delegato per le Belle Arti. Dopo il fallimento della Comune,
Courbet sconta sei mesi di prigione. Uscito dal carcere si trasferisce in Svizzera, dove
trascorre il resto della sua vita dipingendo in solitudine. Tutti i suoi beni sono confiscati dallo
stato Francese, che lo ritiene colpevole di aver abbattuto la Colonna Vendôme, monumento
simbolo dell’impero napoleonico. Courbet muore in Svizzera nel 1877.
UN FUNERALE AD ORNANS

Le figure di Courbet si distanziano notevolmente


dalle forme idealizzate canoniche; erano ritratti dal vero amici e comuni abitanti della
cittadina, senza alcun intento lusinghiero.
Un grande problema furono le dimensioni dell’opera poiché fino ad allora i grandi dipinti
erano destinati alla famiglia reale o alla Chiesa; i soggetti erano ritenuti troppo banali per
occupare uno spazio così ampio.
È una raffigurazione fedele del rito funebre francese dell’epoca. È presente la separazione
degli uomini dalle donne, i cappelli di feltro a falde larghe delle figure che sorreggono il
drappo funebre e il drappo stesso, con le ossa nere e le lacrime dello stesso colore. Alcuni
dettagli però potrebbero non corrispondere alla realtà: le figure a capo scoperto ai lati
potrebbero raffigurare i nonni di Courbet, morti entrambi poco prima; mentre il teschio è un
rimando allegorico all’uomo comune. La tomba aperta è collocata di fronte all’osservatore e
non c’è però permesso conoscere l’identità del defunto.
L’opera è una meditazione della morte ed è toccante perché a trasmetterla sono persone
comuni.

L’ATELIER DEL PITTORE

L'atelier del pittore è una delle opere di maggiore


impegno di Courbet, sia per quanto concerne l'articolato impianto compositivo, sia per il
significato che il pittore attribuiva alla tela.
Il pittore si ritrae mentre dipinge un paesaggio, in una posizione centrale che allude al
primato della creazione artistica nella sua visione del mondo; intorno a lui si dispongono,
isolatamente o per gruppi, trenta figure che, in veste simbolica, metaforica e allegorica,
rappresentano l'irrompere della vita e della storia nell'arte.
L’opera può essere divisa in 3 parti: parte centrale, con Courbet che
dipinge osservato da due figure, un bambino, simbolo della spontaneità e dell'innocenza, e
una donna che allude alla verità; il gruppo a sinistra, che raffigura coloro che vivono la morte
e che sono schiacciati dai bisogni materiali; e il gruppo di destra che raffigura coloro che
vivono la vita e apprezzano la’rte. Sulla sinistra, un manichino in penombra costretto in una
posa innaturale, probabilmente simbolo della disprezzata arte accademica; ai suoi piedi, un
teschio appoggiato su una copia del parigino “Giornale dei dibattiti", quotidiano conservatore
che riportava resoconti delle discussioni all'Assemblée Nationale.
Sulla destra, un bambino che disegna sdraiato a terra, metafora di un approccio all'arte
ingenuo e autentico, e degli esponenti del mondo artistico-culturale. Il poeta Baudelaire,
assorto nella lettura, si trova alle spalle di un gruppo di amici, letterati e sostenitori di
Courbet. Nel gruppo in fondo si riconoscono il mercante Bruyas e il filosofo Proudhon. Sulla
sinistra vi sono lavoratori appartenenti a varie categorie sociali e professionali e alcuni
sacerdoti.
Seduto in primo piano, un bracconiere con i suoi cani fissa lo sguardo su un cappello
piumato, una mandola e un pugnale gettati a terra; di fronte a lui, una iralandese (scritto in
una lettera di Courbet) allatta il suo bambino, allusione alla crisi economica e sociale che
aveva colpito l'Irlanda in quegli anni. All'estrema sinistra appare un rabbino; sul fondo, un
mercante (allegoria dell’avarizia); più indietro, un giullare con cappello a due punte, un prete,
uno sterratore, un falciatore, un operaio con le braccia incrociate, un becchino e una
prostituta.
In un solo quadro Courbet riesce a riunire, sovrapporre e far dialogare tra loro i generi
pittorici che la tradizione accademica considerava di secondo piano e che lui, invece, amava
e prediligeva. Il trattamento del colore è libero e vario: alle ampie superfici vuote, si
alternano particolari minuziosamente descritti, come lo scialle della collezionista o la chioma
degli alberi nel quadro. La gamma cromatica è scura; una luce diffusa ma di cui non si
conosce l'origine definisce lo spazio, conferendo al dipinto un'atmosfera poetica.
I MACCHIAIOLI
I Macchiaioli sono un gruppo di pittori italiani attivi in Toscana negli anni ’50 e ’60 dell’800. I
macchiaioli abbandonano i soggetti storico-mitologici della pittura neoclassica e le emozioni
grandiose dei paesaggi dipinti dai romantici. Prediligono invece scene umili di vita
quotidiana. Il gruppo si riunisce abitualmente al Caffè Michelangelo di Firenze Per i
macchiaioli il colore ha la priorità sul disegno e viene steso a macchia con brevi pennellate. I
contorni sono perciò sfumati, luci e ombre scolpiscono i volumi, e le figure sono rese con
decisi contrasti tonali. In questo modo si cerca di riprodurre la realtà così come appare a un
rapido colpo d’occhio. Vengono infatti raffigurate scene di vita quotidiana e questo ci fa
capire molto del modo di vivere dell’epoca; inoltre la loro tecnica è molto particolare poichè
dipingono ciò che vedono senza disegni preparatori, linee di contorno o prospettiva e proprio
perché rappresentano il momento esatto in cui avviene la scena che dipingono, le loro opere
sono realizzate su materiali poveri come un pacchetti di fiammiferi.
Per i macchiaioli l’arte è anche impegno civile. Molti di loro partecipano alle guerre
d’indipendenza italiana o ne rappresentano degli episodi con taglio cronachistico,
assecondando la loro predilezione per i toni umili e anti celebrativi.
Per il loro uso innovativo del colore, molti studiosi li considerano oggi i precursori della
pittura impressionista.

GIOVANNI FATTORI
L'esponente più importante dei macchiaioli è Giovanni Fattori (1825-1908), formatosi in
ambito romantico presso la scuola libera del nudo dell’Accademia di Firenze.
Per Fattori fu importante la frequentazione di Diego Martelli, altro macchiaiolo, che fu un
punto di riferimento culturale per tutto il gruppo per la sua consapevolezza critica e per i suoi
contatti con le ricerche più avanzate della cultura impressionista francese.

LA ROTONDA DEI BAGNI PALMIERI

La rotonda dei bagni palmieri è una delle più riuscite tra


le opere realizzate da Fattori adottando la tecnica "a macchia". Il dipinto raffigura un gruppo
di donne sedute in uno stabilimento balneare. Malgrado la freschezza dell'immagine lasci
pensare a un'esecuzione rapida, i molti studi preparatori e i "pentimenti" emersi dalla
riflettografia attestano una stesura lenta e ragionata.
La scena è scandita dalla sapiente costruzione per piani orizzontali e dal ritmo imposto dalla
luce del sole: in sequenza compaiono il pavimento in ombra, la striscia in piena luce, il mare
turchino, il profilo della costa, il cielo bianco assolato e la tenda ocra. Le figure femminili, di
spalle e in controluce, hanno sagome che sembrano quasi ritagliate e si inseriscono nella
geometria astratta dei piani come fossero elementi di un intarsio. Non c'è attenzione al
dettaglio, i contorni sono sfocati, i volti non sono definiti e le forme, ridotte all'essenziale,
sono rese mediante macchie compatte di colore.
LANCIERI A CAVALLO

Uno dei temi più frequentati da Fattori è il racconto della vita


militare. Lancieri a cavallo risale all'ultimo decennio del XIX secolo; segue altre opere in cui
Fattori aveva avuto occasione di confrontarsi con soggetti di tipo militare e viene dipinta
quando le battaglie erano ormai un ricordo.
Fattori scelse di privilegiare un racconto veritiero della vita militare, posto al di fuori del
campo di battaglia, senza retorica e senza accenti celebrativi. Nella scena raffigurante i
lancieri, infatti, non sta accadendo nulla; i due soldati a cavallo sono ritratti di spalle, in una
posa che non ha niente di ufficiale e, anzi, è ai limiti dello sconveniente.
I militari stanno pattugliando o forse montando la guardia in un territorio che non sembra
strategicamente cruciale ai fini del conflitto. Dipingere la realtà, per Fattori, non significa solo
riprendere un soggetto in maniera credibile, naturalisticamente precisa e conforme alla verità
oggettiva delle cose, senza idealizzazioni, ma vuol dire costruire un contesto sociale e
sentimentale che risponda alla concreta condizione umana delle persone elette a
protagoniste delle sue opere.
I cavalli e il muro, disposti secondo le diagonali della composizione, suggeriscono il senso
della profondità. Le uniformi sono storicamente fedeli e l'anatomia degli animali è resa con
sorprendente realismo. Ma il vero protagonista dell'opera è il colore.
Le forme e i volumi sono costruiti per macchie di colore, stese con pennellate ampie e
materiche. Prevalgono i toni terrosi, che oscillano dal bianco sporco all'ocra e al marrone. E
anche le ombre non sono realizzate con variazioni di grigio ma contengono differenti
sfumature di colori dalle tonalità abbassate rispetto a quelle delle figure, che passano
dall'azzurrognolo al giallo scuro.
Il muro emerge come il vero oggetto dell'attenzione del pittore, ancor più dei due militari a
cavallo. È lì che si notano infinite variazioni cromatiche che lasciano intuire la sporcizia, le
scrostature, le crepe, le incrostazioni accumulatesi nel tempo, e anche alcuni mattoni che
affiorano dall'intonaco.
SILVESTRO LEGA
Fra le molteplici voci del gruppo dei macchiaioli, Silvestro Lega (1826-95) spicca per la
purezza dello stile terso e cristallino, la precisione descrittiva dei dettagli, la raccolta
atmosfera quotidiana dei soggetti. Originario del forlivese, Lega frequentò l'Accademia di
Firenze, dedicandosi ai soggetti storici e ai ritratti di impianto romantico. Abbracciata la
poetica macchiaiola, nel 1862 eseguì i primi quadri all'aperto, direttamente dal vero, nella
campagna di Piagentina (Firenze), lungo il torrente Affrico; ospite della famiglia Botelli,
soggiornò per diversi anni in questo luogo dove si ritrovavano a dipingere altri artisti del
gruppo come Signorini. I paesaggi scaturiti da questa esperienza sono caratterizzati da una
cromia calda e delicata, che li pervade di malinconia.

IL PERGOLATO

L'ispirazione di Lega nasce sempre da scene di vita ordinaria,


riproposte con attenzione precisa alle atmosfere domestiche e alla verità dei sentimenti.
Nella sua tela più celebre, Il pergolato, le sorelle Batelli aspettano il caffè che una domestica
sta per servire: le figure sono avvolte nella calura pomeridiana e in lontananza il cielo appare
lievemente velato dalla foschia.
Il pennello dell'artista si è soffermato su ogni singolo dettaglio, in ciascun piano della
composizione: l'erba che spunta fra le mattonelle in primo piano, il netto profilo della
cameriera la cui ombra si allunga al suolo, l'indefinita chioma degli alberi sul fondo. Il
delicato equilibrio dei rapporti tonali e il gioco delle ombre che il pergolato crea sul
pavimento contribuiscono a restituire in maniera vivida la peculiarità della luce pomeridiana.
La luminosità vibrante della scena precorre quella che avrebbe caratterizzato di lì a poco le
atmosfere delle opere impressioniste.
SIGNORINI
Telemaco Signorini (1835-1901) fu il principale teorico della pittura di macchia. Fiorentino di
nascita, iniziò a frequentare il Caffè Michelangiolo nel 1855 e li per la prima volta sentì
parlare del ton gris ("tono grigio") di moda in Francia, tecnica che consisteva nell'osservare
l'immagine attraverso uno specchio grigio, ottenendo così un'intonazione generale del colore
che consentiva una riproduzione della realtà più vicina al vero.
L'aggiornamento di Signorini si legò anche ai ripetuti viaggi a Parigi, Londra ed Edimburgo,
che gli consentirono di entrare in contatto con la cultura letteraria e figurativa europea e lo
portarono ad abbracciare con sicurezza soluzioni tecniche e soggetti di grande novità per il
panorama italiano.

LA SALA DELLE AGITATE AL BONIFACIO DI FIRENZE

L'accorto equilibrio tonale e i dinamici effetti di controluce della tela.


La sala delle agitate al Bonifacio di Firenze bene esemplificano la natura delle
sperimentazioni cromatiche di Signorini. Nella stanza desolata e spoglia di un manicomio le
pazienti sono chiuse nei loro pensieri solitari. L'enorme spazio vuoto che domina la parte
alta sembra gravare sulle figure sottostanti, aumentando la sensazione di malessere.
L'opera evoca l'impressione di un silenzio spettrale, infranto solo da una figura sulla sinistra
che protesta col braccio levato. La rigorosa scansione geometrica dello spazio è
movimentata dalle ombre e dalle figure in piedi. Il dipinto manifesta la sensibilità di Signorini
per le questioni sociali e la consapevolezza che l'arte non può limitarsi a valori puramente
estetici.

UNA NUOVA IMMAGINE DI DONNA


Nella letteratura e nella pittura del XIX secolo la donna ha un ruolo di spicco. Osservando le
iconografie delle opere ottocentesche si può ripercorrere la storia dell'emancipazione
femminile e comprendere la situazione sociale delle donne. Anche restando in ambito
italiano, le figure femminili protagoniste dei dipinti rivelano aspetti interessanti della società e
della cultura del tempo.
La generazione romantica ha preferito rappresentazioni di donne tormentate e
psicologicamente complesse, ma volitive e orgogliose. Un esempio è offerto dalle figure
femminili ritratte da Hayez culturalmente e politicamente impegnate e attivissime nelle
vicende risorgimentali.
Saranno le generazioni successive a spostare l'attenzione su figure femminili meno
romanzesche e più vicine alla realtà quotidiana della classe borghese. Le donne dipinte da
Tranquillo Cremona, da una parte, e da Silvestro Lega e Telemaco Signorini, dall’altra,
svelano la sensibile differenza sociale e culturale tra Milano e la quieta provincia toscana. Il
movimento scapigliato, infatti, è un fenomeno molto legato alla realtà lombarda. Gli
scapigliati si esprimono con esiti interessanti tanto in letteratura quanto nelle arti visive. Nella
pittura e nella scultura, essi introducono importanti novità, quali lo sfocamento del contorno
della figura con pennellate libere e dinamiche che annullano, di fatto, la differenza tra primo
piano e sfondo.
Originali sono anche le scelte iconografiche, che ritraggono la società del tempo, indagando
in particolare le figure femminili. Le donne degli scapigliati, soprattutto quelle dipinte da
Cremona, da una parte recano ancora traccia dell'ideale letterario romantico - sono belle,
eleganti, seducenti, spesso pericolose -, dall'altra rivelano una personalità libera e
spregiudicata, talvolta frivola.
Assai diverso è il mondo ritratto dai macchiaioli come Giovanni Fattori o Silvestro Lega: una
borghesia di possidenti terrieri, meno mondana di quella lombarda, più solida, severa e
morigerata. Anche in questo caso, però, la figura femminile è osservata nella sua
quotidianità, non più eroina romantica ma donna reale, sempre più consapevole del proprio
ruolo sociale.

Questa evoluzione verso una maggiore libertà ed emancipazione emerge in


tutta evidenza nell'opera di Giovanni Boldini.
I suoi ritratti giovanili risentono ancora delle atmosfere del mondo macchiaiolo. Ma quando
l'artista si trasferisce a Parigi e diventa uno dei più richiesti ritrattisti dell'alta borghesia, il tipo
di donna effigiata muta notevolmente. Basterebbe osservare il celebre Ritratto di
Mademoiselle Lanthelme [5], in cui la giovane e mondana parigina avanza con piglio sicuro
verso lo spettatore, disinibita e sfrontata, avvolta nel suo splendido abito alla moda. La
produzione pittorica di Boldini costituisce un repertorio straordinario di tipi femminili della
borghesia internazionale tra la fine Ottocento e gli inizi del Novecento.

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