Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
TERRAROLI) – LEZIONI
Corso diviso in due moduli: introduttivo (percorso su ciò che riguarda 800 e 900, fino ad
alcuni aspetti dell’arte contemporanea), progredito (arte del 900, aspetto legato al tema
delle avanguardie, partendo dal futurismo fino alle neo avanguardie contemporanee).
Approfondimento con una serie di conferenze il giovedì, dalle 17:20 alle 19:00 sul restauro
di opere di arte contemporanea (avrà un riconoscimento di crediti), sono 7 incontri.
È importante costruirsi un percorso ed una lettura, date e cose specifiche non sono quello
a cui puntiamo ma il ragionamento che sta dietro.
Raccolta di incisioni di Piranesi: siamo nel XVIII secolo ma il mondo delle arti è
completamente mutato per diverse ragioni, non ultimo la scoperta dei siti di Ercolano e
Pompei. Quegli scavi e i successivi vengono accompagnati da un riscontro di riproduzioni a
incisione, il mezzo più diffuso per riprodurre immagini di qualsiasi tipo. È un mezzo tecnico
che usa lastre metalliche che vengono incise sulla base di disegni, che possono essere
stampate in numerosi esemplari. Nel corso del ‘700 la riproduzione meccanica vede una
larghissima diffusione, dovuta anche al Grand Tour: l’Italia è diventata un luogo percepito
dagli europei come un luogo dove l’antichità è ancora viva e palpitante, il rapporto con
l’arte è ancora diretto. Nei diari di Goethe lui illustra il suo rapporto con il nostro paese:
quando avendo percorso il corso dell’Adige si ferma a Torbole, dice che il Lago di Garda era
in tempesta e di aver visto la prima volta il mondo degli antichi, perché quella visione
ricorda il Mediterraneo. Tutte queste cose, questo impegno, è l’avvio di un distacco dalla
continuità dell’arte dalla fine dell’impero, è come se questi contemporanei (Piranesi,
Goethe) guardassero il passato con l’occhio dello studioso e non dell’imitatore, con l’idea
di ricostruire una storia del passato. Gli studiosi di cui stiamo parlando si pongono il
problema di documentare la storia. A questo si aggiunge un altro parametro: Piranesi
avrebbe potuto collocare il proprio ritratto dentro un medaglione, come era da tradizione,
il ritratto di profilo riprende le monete imperiali. E’ sì all’interno di un medaglione, ma
all’interno di un frammento archeologico, che è crepato e ricomposto come in un museo.
Sul lato c’è poi un rampicante ed un cesto di vimini: il cesto è quello che si usava per
portare via la terra dagli scavi, ed il frammento è circondato dalla natura. Il concetto del
rovinismo fa parte di una sensibilità settecentesca che ha avuto ricaduta in arte
contemporanea e nella cultura degli illuministi. Il pittoresco è una sensibilità nuova che
identifica la bellezza attraverso degli elementi che contraddicono la bellezza classica: non
sono più i modelli dell’antico ad essere la ragione della bellezza assoluta, ma la
combinazione tra la natura (non governata, al limite della violenza, contraddittoria). Il
pittoresco suscita delle emozioni, non è un’acquisizione di valori estetici attraverso la
ragione ma attraverso il sentimento. Un giardino o un paesaggio è pittoresco, è evidente
che anche Piranesi è legato a questa modalità.
Le invenzioni capricciose di Carceri di Piranesi saranno una specie di scuola per la cultura
del pieno ‘800, del pieno Romanticismo. Anche i romanzi di Poe avranno a che fare con
queste immagini, come anche la cultura Surrealista che andrà a scavare delle pieghe più
intime dell’inconscio umano.
Questa visione pittoresca cosa indica al viaggiatore che acquista queste opere per la sua
biblioteca? Questa grandezza del monumento antico indica che la grandezza degli antichi è
tale per cui anche la rovina ed il frammento hanno un valore emblematico, ovvero che
anche le città più grandi sono destinate a finire ma che, nonostante questo, la grandezza di
questa civiltà e di queste rovine mangiate dalla vegetazione è intatta. E la loro grandezza è
tale per cui non possono che essere modelli di riferimento.
Un altro versante di questa sensibilità moderna è Winkleman, uno dei padri spirituali della
cultura neo classica. Ha una formazione da erudito, studia gli antichi attraverso la
letteratura e le fonti letterarie ma non ha mai visto un oggetto antico, se non i pochi
frammenti delle collezioni di Dresda. Gli viene poi offerto un viaggio a Roma, un Grand
Tour: vede per la prima volta con i suoi occhi tutta la bellezza di ciò che ha studiato.
Dobbiamo a lui la creazione della prima storia dell’arte antica. È il primo compendio che
cercava di fissare dei punti storiografici dello sviluppo dell’arte antica, dove risulta
evidente non solo che è esistita un’articolazione temporale dello sviluppo della statuaria e
di distinguere i periodi dell’arte greca come poi sono rimasti. Questa trattazione trova
applicazione in un luogo particolare, Villa Albani, dei principi Torlonia. È una residenza
estiva del cardinale Alessandro Albani, realizzata nel 1753, proprio gli anni in cui
Winkleman è a Roma e in cui Piranesi lavora alle antichità romane. Sia la villa principale sia
l’esedra con entrata monumentale contengono la più ricca collezione di scultura antica
esistente al mondo, in mano a privati. L’allestimento della collezione si deve allo stesso
Winkleman, che disegnò come collegare alcune opere secondo una logica espositiva che
aveva a che fare con il concetto di pittoresco. Una di queste sale è decorata da un affresco
di Mens, “Il Parnaso”, dove vivono le muse delle arti. È ispirato a quello di Raffaello, è
rivisitato.
16/02/2021
Il SUBLIME è un termine antico, nel 1757 (stessi anni in cui Winkleman pubblica la storia
dell’arte degli antichi) viene pubblicato un saggio filosofico intorno alle nostre idee sul
sublime e sulla bellezza. Questo saggio sostiene, dal punto di vista filosofico, che
contrariamente a quello che sostiene Winkleman, dice che la bellezza sta nell’emozione,
nella paura, nell’orrore. In che senso? Burke dice che l’emozione che si prova davanti alla
forza della natura (es. vulcano o terremoto, fulmine), davanti a tutto quello che terrorizza
l’uomo, quella è la bellezza. I dipinti di Turner rispecchiano questa bellezza della temibilità
della natura. C’è un'altra questione sotto questo concetto: cioè che questa percezione
della terribilità della natura, matrigna per l’uomo (come dice Leopardi), questa
consapevolezza ci fa piccoli di fronte alla natura ma per certi versi, attraverso l’arte, la
comprendiamo e la manovriamo. Questo concetto di Burke sarà ripreso da Kant: la natura
travolge gli esseri umani, ma questi hanno la consapevolezza di essere gli unici ad agire
secondo la legge morale, quindi la dominano.
Tra il pittoresco e il sublime si insinua una situazione ulteriore, un’attenzione che è una
sensibilità nuova che si rivolge ad un momento della storia della cultura europea che per
infinite ragioni non è mai stata guardata con interesse, ovvero tutta quella dell’era di
mezzo, del Medioevo. Solo in Inghilterra in quegli anni inizia un interesse per la cultura
medievale, che era da sempre stato considerato momento di decadenza. In questo
medioevo si riconoscono delle situazioni pittoresche, perché dobbiamo pensare quanto nel
paesaggio inglese, nelle contee, quanti ruderi di monasteri e chiese medievali ci fossero,
andati perduti dalla riforma della chiesa anglicana che aveva chiuso tutte quelle comunità
medievali. Quei ruderi facevano parte delle proprietà terriere dei nobili, ed erano come i
ruderi antichi italiani, su cui la natura ha preso il sopravvento.
Orace Walpole è uno dei primi ad interessarsi a queste rovine medievali e pubblica nel
1765 un romanzo, intitolato “Il castello di Otranto”, dove usa un espediente che sarà usato
anche da Manzoni, finge di aver trovato un manoscritto italiano che racconta questa storia.
La cosa interessante è che si parla di una storia gotica, pittoresca, terribile. È un romanzo
che si svolge in questo inventato castello ad Otranto, che sorge su una scogliera a
strapiombo sul mare in tempesta (l’adriatico non è così). Si svolge una storia di fantasmi,
un tipico romanzo gotico. Questa sensibilità per storie fantastiche che si svolgono in
un’epoca remota arriva fino ad oggi, è il lungo percorso di letteratura gotica che arriva fino
al moderno. Walpole si costruisce una casa che si chiama Strawberry Hill, è un edificio che
era una villa del ‘600 che lui allarga andando a comprendere delle vicine rovine di un
convento medievale. Progetta un aspetto di questa casa che è una mescolanza tra un
castello e una cattedrale, ma è un’invenzione fittizia, è un neo medioevo. Non si limita a
farlo realizzare, ma lo arreda in stile medievale, sempre in modo fittizio. Scrive un libro in
cui descrive le opere che ha raccolto in questo edificio. L’elemento fantastico si unisce
all’elemento vagamente storico, tutto unito alla sensibilità pittoresca ma unita al sublime,
che gli spettatori provano vedendo il disequilibrio, qualcosa che l’uomo non può
controllare e che è bellezza.
Il progetto delle saline di Scho (?), del 1771, vede compiute alcune parti dopo la
Rivoluzione. Rivela un concetto legato alle città ideali, un polo industriale produttivo che
nasce ex novo e che viene progettato con forme ideali, legate ad una forma della città
come equilibrata in ogni sua parte. Le strade si muovono in modo radiale dal centro, a
ferro di cavallo vengono disposte le abitazioni secondo una logica di alternanza in altezza
dei diversi edifici e tutte accompagnate da giardini che si aprivano verso la campagna.
18/02/2021
Realizzazione sculture (Canova, ma risale al ‘300 ed è stata elaborata nel corso del
‘600/’700). Vediamo il modello in gesso da cui si parte per la realizzazione, sia dei modelli
al vero in argilla per poi la fusione in bronzo (riproduzione in gabbia). Dai modelli piccoli si
ricava di solito uno stampo in cui poi viene colato il gesso, che da’ vita al modello in gesso.
Questo viene collocato dentro una struttura di legno che ha dei punti di misura: poi ne
viene costruita una vicino in cui vengono riportati gli stessi segmenti in proporzione; qui
viene montato uno scheletro di legno e si comincia a mettere l’argilla, in modo da
modellare ma seguendo uno schema. Sarà a sua volta ricoperto di cera, messo in fusione e
fuso.
Con la pietra, il masso di pietra è collocato dentro una scatola su dei supporti lignei che lo
sostengono, lo strumento principale è il compasso. Si prendono le misure del modellino e
si fanno le proporzioni, si segnano dei punti e si comincia a scolpire il masso. Il gesso
grande rimane in atelier ed è pronto per chiunque ne voglia una copia. È quello che accade
con la Ebe: è una scultura che ebbe enorme successo a livello europeo, se ne conoscono
quattro esemplari certi di Canova. Le copie non sono però mai meccanicamente identiche.
Come strumento si usava anche il trapano a violino, utilizzato anche in antichità, sono delle
punte metalliche che vengono montate su un’asta che ha una testina girevole, che viene
mossa da un movimento di un allievo, mentre il maestro tiene in mano la punta.
I puntini che vediamo sul gesso sono dei chiodi che vengono battuti dagli allievi in maniera
regolare sulla superficie dentro il gesso, senza rompere il gesso. Questo serve perché con u
o strumento che si chiama pantografo (che ha da un lato una punta, dall’altro una struttura
in legno che può essere allargata. Io seguo con la punta di ferro che sta sulla sinistra i punti
segnati sul gesso. Dall’altra parte è fissata una punta con un carboncino. Mentre io muovo
e tocco il punto sulla parte di gesso, dall’altra parte il pantografo segna sul marmo i punti
col carboncino. Questo serve a segnare una specie di disegno fatto di punti sul masso.
Uno dei punti di arrivo del Canova classico è il momento del suo legame con la
committenza napoleonica. Con la caduta di Napoleone, molta della committenza nobiliare
europea farà fatica a ripristinare una relazione con lo scultore che aveva raffigurato in
modo eccelso membri della famiglia di Napoleone. La sua fama, però, è stata così acclarata
che Papa Pio VII gli chiede di recuperare i beni artistici che Napoleone aveva fatto portare
via dalle sue truppe. All’interno di una politica
celebrativa che Napoleone mette in campo per sé
e la sua famiglia, la scultura che riguarda la sorella
preferita di Bonaparte, Paolina, non è una
committenza diretta. La committenza è quella del
marito di Paolina, Camillo Borghese, erede di
quella famiglia aristocratica romana potentissima
e che viveva a Villa Borghese. Avendo sposato
Paolina, si lega all’ascesa di Napoleone come
imperatore dei francesi e riceve da lui il compito di andare a governare il Piemonte
(principato di Savoia), abitando a Stupinigi. In questo ritratto abbiamo la combinazione del
rimando all’antico ma il ritratto è realistico, il corpo è studiato dal vero (certo abbellito, ma
vero), pur all’interno di uno schema compositivo della tradizione classica. È una figura
sdraiata sul triclinio, struttura tutta di legno dipinto all’interno di cui c’è il meccanismo per
farla girare. Il corpo di Paolina è così vero da pesare sul materasso, si creano delle pieghe
assolutamente realistiche. Paolina è rappresentata come un mito dell’antichità, è la
personificazione dell’amore fisico e spirituale insieme, tiene in mano il pomo che le da’
Paride quasi con indifferenza. Porta un bracciale, evidenzia il fatto che sia una donna vera
e non idealizzata. La storia delle Venere vincitrice (sottotitolo dell’opera): la storia inizia ad
un matrimonio, un banchetto tra re Peleo e Teti (dea del mare), a cui sono invitati mortali
e dei. Tutti gli dei sono invitati, tranne la dea della discordia, che fa cadere dalle nuvole un
frutto d’oro sul tavolo dove banchettano tre dee: Atena, Afrodite ed Era. Queste vedono il
frutto e sulla mela c’è un’iscrizione che può significare “alla più bella” o “alle più belle”.
Questo scatena la competizione tra chi debba tenere la mela d’oro e Zeus dice di voler
trovare qualcuno, un giudice, che decida a chi debba andare la mela. Il giudice scelto è uno
dei figli dei sovrani di Troia, che era stato mandato da bambino sul monte Ida, lontano
dalla città, perché un oracolo aveva predetto che lui sarebbe stato la rovina della città. Non
sapeva nemmeno di essere un principe troiano. Ognuna delle dee difende sé stessa: Atena
gli promette di fornirgli eserciti, Era promette di dargli ricchezze e prosperità, mentre
Venere promette a Paride la donna più bella del mondo. Il ragazzo consegna la mela a
Venere (Afrodite), scatenando l’ira delle altre due divinità.
Una leggenda molto lunga per dire che Canova si immagina Paolina, di grande fascino ma
di grande intelligenza, come una Venere audace e vincitrice, la più bella tra le belle.
Jean Louis David, poco prima della Paolina Borghese, dipinge una donna di grande fama
poco prima della salita al trono di Napoleone: Julienne (…?), una giovane fanciulla che
aveva sposato un banchiere e grande sostenitore del triumvirato di Napoleone. Si fa
ritrarre con un abito all’antica su un triclinio. Fu soggetto di altri ritratti: Canova ne fa un
busto.
Canova ritrae anche la madre di Napoleone, Letizia, che è nelle vesti di una madre di
imperatori.
22/02/2021
Riprendiamo dall’immagine del Giuramento degli Orazi: è divenuto nel corso del tempo
l’esempio più chiaro dell’esito del percorso della cultura del classicismo settecentesco, e
che da vita negli anni ’90 del ‘700 i parametri delle tematiche del Neoclassicismo, un
classicismo nuovo che caratterizza tutta l’epoca che va dal 1790 (dopo la Rivoluzione) alla
fine delle imprese napoleoniche in Europa (proseguirà fino alla prima metà dell’800). La
figura di Napoleone è simbolica di questa stagione.
Girodet è un allievo di David, è un giovane artista che lavora al suo fianco ed è ancora
imbevuto del gusto tardo settecentesco, in cui c’è l’elemento classico dei temi scelti.
Vediamo esibiti tutti i caratteri della figura settecentesca, un nudo reso non monumentale,
ambientazione notturna esempio di pittoresco.
1800, Leonida alle Termopili, dove gli spartani si stanno preparando a bloccare l’esercito.
La figura di Leonida è isolata dagli altri, ha posizione rigida e statuaria: sta schematizzando
sempre di più.
Opera di quasi 9 metri, gigantesca opera di storia, è una dichiarazione di David di come il
dipinto di storia diventi una testimonianza della contemporaneità con valore politico ed
ideologico potente. Non è l’atto di incoronazione di Napoleone, ma l’atto in cui lui
incorona la moglie come imperatrice dei francesi. Fa un’operazione rischiosa, ormai il
potere è nelle sue mani ma c’è ancora la repubblica di cui lui è il console. È evidente che
non può scegliere la strada di farsi consacrare sovrano come nella tradizione francese. Il
papa è solo testimone, non lo consacra, perché Napoleone dichiara che il suo diritto ad
essere imperatore viene dal popolo e non dal divino. Non viene incoronato dal papa ma si
auto incorona davanti a tutti quei testimoni. Incorona sua moglie imperatrice dei francesi,
non di Francia, perché il suo diritto proviene dai francesi. Impedisce così una reazione
contro di lui e sancisce una nuova dinastia con nuove caratteristiche. Per realizzare questo
dipinto David ci impiegò un anno e mezzo, perché tutti i volti sono dei ritratti, sono tutti
testimoni dell’avvenimento.
23/02/2021
PROTOROMANTICISMO E ROMANTICISMO
Vediamo un’opera di un autore inglese influenzato dal gusto del pittoresco ma anche dalla
teoria del sublime: La Forgia, del 1780, rappresenta gli operai impegnati della forgiatura
del metallo incandescente, ma la descrizione di questo ambiente povero è iperealistico.
Studia la luce artificiale (che deriva dallo studio dei classici), l’effetto è sentimentale. In
realtà l’atteggiamento di questo artista è legato al pittoresco e l’immagine deve essere o
terribile o struggente (così com’è la figura della bambina che ha paura del calore. Può
essere struggente il chiaro di luna: sempre Derby lo dipinge nel 1784, la luna esalta un
paesaggio selvaggio e non il suo status obiettivo, ma una sorta di mistero che si nasconde
dietro la grandezza della natura selvaggia. Tutti questi elementi li ritroveremo nel
romanticismo.
Nel 90/91 ne produce una delle versioni più famosi, la donna è ancora più scomposta e il
mostro ancora più inquietante.
Il fascino che esercita questo mondo su Fussli trova ragione anche nell’illustrazione della
saga nordica legata a Thor e agli dei del Valhalla.
L’anziano dei giorni è la rappresentazione di Dio nella genesi con la separazione tra luce e
tenebre con il compasso: Blake era legato a queste associazioni di intellettuali e filosofi che
si muovevano in contrasto alla chiesa, in una visione del mondo tutta legata alla ragione e
alla scienza.
Questo rapporto tra contemporaneità ed effetti atmosferici sono gli obiettivi che si pone
Turner. Anche lui si muove fuori dall’atelier, cerca di riportare su taccuini l’effetto di acqua
e nuvole, cercando una strada per rendere la natura avvolgente e dinamica.
1839, siamo in piena età romantica, si
intitola “la Temeraria”. Il mondo
neoclassico non esiste più, siamo dopo il
congresso di Vienna dove la modernità
viene esibita da Turner attraverso
un’immagine potentissima. Non è
un’immagine eroica, nemmeno in senso
malinconico, è qualcosa che nella sua
banalità è estremamente struggente. La
grande nave Temeraria è della flotta
inglese, aveva combattuto battaglie navali contro Napoleone, è di legno portata avanti
dalla forza delle vele e che viene portata alla demolizione. Questa meravigliosa opera di
ingegneria nautica è stata superata dalla modernità, le navi cominciano ad andare a
carbone e non a vela. È finita l’era dei grandi velieri e dei galeoni, un’epoca è finita. Si vede
questa barca in ferro con il motore a carbone, sputa fumo e cenere rossa, è un
rimorchiatore che trascina verso il molo la vecchia nave obsoleta. Rappresenta il tramonto
come elemento simbolico, illumina le nuvole che diventano dorate, i toni passano dai caldi
ai freddi costruendo profondità di spazio.
Negli stessi anni in Germania succede una cosa diversa. Friederich è un tedesco del nord
della Germania, è un protestante profondamente religioso che vede nella natura l’esplicità
di Dio. Non fece per scelta mai il grand tour, il suo ambiente è il rigore etico dei protestanti
in cui natura e dio sono un elemento unico e in cui il sublime si fa strada in modo potente.
25/02/2021
I NAZARENI operano in Italia a partire dagli anni 10’ dell’800, ma non si tratta di italiani:
provengono da Germania e Austria che ad un certo punto decidono di trasferirsi qui. I
protagonisti sono Overback e Pforr. Sono i più significativi del gruppo, perché fanno parte
di coloro che hanno dato il via all’iniziativa e hanno gettato le basi per un linguaggio
unitario del movimento. Erano dei giovani studiosi di arte presso l’accademia di Vienna,
gestita da un artista di impronta neoclassica: è proprio questo orientamento che viene
proposto ai giovani artisti. Questa visione risultava limitante per i nostri due artisti: per
capire come si innesta questa ribellione pacifica nei confronti dell’accademia dobbiamo
tenere presente che in questi anni cominciano ad essere presenti elementi particolari: i
due fratelli Riepenhausen, pittori e incisori, decisero di trasferirsi a Roma dove entrarono
in contatto con l’arte italiana, ma non quella classica ma con quella del 200, 300 e 400.
Focalizzano l’attenzione su artisti come Giotto e Cimabue, la produzione tosco-romana che
va dal gotico al primo rinascimento. Come fanno a portare il loro rinato interesse per
questa corrente in Germania? Attraverso disegni ed incisioni. Danno alle stampe un testo
intitolato “Storia della pittura in Italia” (1810), con 24 tavole incise che riproducevano
alcuni capolavori. Attraverso la circolazione di questo testo, si ha la possibilità di vedere,
per quanto mediato, opere che fino a quel momento non erano tenute in considerazione.
Il progetto dei fratelli prosegue negli anni successivi fino al 1833, in cui pubblicano “Vita di
Raffaello da Urbino”: non vuole mostrare opere ma concentra l’attenzione su Raffaello,
che diviene ulteriore modello di riferimento. Noi non lo definiremmo primitivo, era in
pieno Rinascimento, e il riferimento a lui si concentra sulla produzione giovanile fino al suo
arrivo a Roma. La sua produzione dalle stanze vaticane in poi è considerata troppo
manierista. L’idea dell’artista che medita e cerca l’ispirazione (nella Madonna sistina) è
pienamente romantica, è un esempio di impostazione e soggetto romantico. Il contatto
con gli antichi maestri avvenne anche in maniera diretta: sono gli anni in cui vengono rese
pubbliche le collezioni imperiali che i regnanti avevano accumulato. I due possono quindi
vedere le opere dal vivo. Dobbiamo aggiungere altri due riferimenti: l’interesse che si
sviluppa per la cultura gotica: iniziano ad essere recuperati edifici del 200 e 300, con
attenzione per cattedrali, e questo si riversa non solo a livello letterario ma anche a livello
iconografico. L’altro elemento che non è direttamente legato all’ambito artistico ma che si
riversa nella visione dei giovani artisti è l’elemento religioso: la loro intenzione è di portare
nell’opera la tensione spirituale che sentono. In tutto ciò rientra il problema della religione
cattolica e protestante. Molti di questi artisti, giunti in Italia, abbandoneranno la religione
protestante per il cattolicesimo. Questi stimoli permetteranno ai giovani artisti di
identificarsi.
Nel 1808 artisti provenienti dalla Germania decidono di incontrarsi con regolarità e di
discutere di arte: vanno a definire i canoni che li accomunano. Il risultato di questi incontri
è la costituzione di un gruppo riconosciuto, “confraternita di Luca”, e la data è 10 luglio
1809, a un anno di distanza dal primo incontro. Le opere riconosciute come rappresentanti
del loro stile vengono marchiate sul retro, che era il marchio realizzato per il gruppo: san
Luca che legge e scrive con vicino simboli pittorici. I caratteri gotici sono le iniziali dei
fondatori, e la W nell’arco sta per verità. Loro decidono che quello che verrà rappresentato
deve rispecchiare un sentimento di verità senza finzioni ed elementi che possano rendere
difficile la lettura dell’opera: ricorrono così a elementi semplici, con disegno basilare e
pulito, con una tavolozza costituita da colori puri e lucidi che rifiutano un eccesso di
chiaroscuro ed effetto sfocato. Il risultato è analitico, quasi fiammingo. Non vuol dire però
che tutto quello che si rappresenta è reale: sono però rappresentati con chiarezza visiva
nitida e pulita.
Nel 1810 decidono di compiere il passo e trasferirsi a Roma. La sede della loro attività sarà
l’ex chiesa di Sant’Isidoro, che verrà concessa direttamente dall’Accademia francese a
Roma. Realizzano soprattutto opere religiose e ritratti.
Ma perché NAZARENI? Il motivo è che anche nel loro modo di vestirsi e presentarsi si
costruiscono un’immagine legata ad un modello spirituale e religioso di riferimento:
vestono tuniche ed hanno capelli lunghi, sembravano un Cristo contemporaneo.
I temi di Overbeck sono religiosi e vediamo come la costruzione e l’aspetto estetico dei
personaggi rimandi al primo rinascimento italiano, con un appiattimento senza contrasti
luminosi. La composizione prospettica viene annullata, non c’è movimento o complessità
dei gesti. Lo vediamo ne Il sogno di Giuseppe, in cui non c’è studio prospettico. L’angelo è
una figura statica, la nuvola è quasi un macigno, non è fluttuante.
La presenza dei nazareni a Roma non passa inosservata: cominciano ad ottenere delle
commissioni pubbliche, lavorano in gruppo dividendosi il lavoro. Casa Bartoldi è all’interno
di palazzo Zuccari a Roma.
La commissione delle tre stanze del Casino del principe di Carlo Massimo sono rilevanti: si
richiede un riferimento alla pittura e letteratura medievale.
1840, Trionfo della religione nelle arti. Mostra il messaggio che l’arte doveva avere, la
stretta connessione tra arte e religione. Rispetta i canoni soliti, ormai è quasi un gusto
superato ma continuano su questa strada. La
parte inferiore richiama il modello della scuola di
Atene, Raffaello. Gli atteggiamenti e le posture
sono esattamente quelli. La parte superiore è
sempre tratta dalle stanze vaticane ma dalla
Disputa del santo sacramento: la nuvola che
inquadra la figura principale è la stessa. L’altare
sottostante viene cambiato con una fontana.
Segue un percorso tradizionale a tutti gli effetti: nasce a Venezia e studia all’accademia,
entra in contatto con il direttore che insieme a Canova erano i rappresentanti della visione
neo classica in Italia.
Nel 1809 vince un concorso che lo fa trasferire a Roma per poter proseguire i suoi studi nel
cuore della cultura classica. Nel 1812 partecipa a un concorso che aveva come tema il
Laocoonte, classico e mitologico, che gli artisti dovevano reinterpretare per ottenere il
premio. La scelta che fa è particolare, perché pur inserendosi nel gusto neo classico non si
limita a riproporre il complesso plastico. Decide di dare alla scena maggior respiro, non si
concentra solo sulla tragedia ma li inserisce in un contesto corale, con effetto scenografico
studiato ed originale. Il Laocoonte è il protagonista ma non è una citazione diretta: dal
punto di vista compositivo colloca sul fondo una città in lontananza, fa riferimento ad un
dipinto di Poussin del ‘600. Se Hayez non fa riferimento al Laocoonte, fa riferimento ad
altre statue, come ad Ercole e Lica di Canova. È un esempio di come elementi estranei
vengono fatti propri e riutilizzati all’interno del dipinto. È un passaggio di riutilizzo che
ritroviamo molto spesso nelle sue opere, soprattutto nelle opere giovanili.
Venere che scherza con due colombe, 1830, è l’esempio che non segue più tanto
l’atteggiamento neo classico. Essendo un soggetto mitologico, avrebbe dovuto mantenere
alcuni canoni estetici, ma Hayez mostra l’effettiva carnalità del modo femminile. È una
donna concreta e reale, riconoscibile per quanto camuffato sotto l’aspetto di Venere.
I vespri siciliani, episodio storico ma mutuato attraverso testo scritto. Diedero origine alla
rivolta siciliana nel 200. Episodio si svolge nel cortile, quando una giovane sposa viene
trattata in maniera non consona da un soldato francese. Il fratello della giovane lo uccide
ma la drammaticità non si percepisce così tanto, sembra un balletto. C’è sempre idea dei
moti rivoluzionari.
Altro filone parallelo rispetto a quello storico: “La Malinconia”, 1842. Utilizza come
riferimento la figura femminile che diventa figura allegorica. Ne fa diverse versioni ma con
stessi elementi stilistici. Ci guarda con sguardo triste che esprime sentimento malinconico,
abito dettagliato che scende da una parte e mette in evidenza le spalle, quindi l’incarnato
pallido della donna. Nella versione più grande, la figura è bilanciata dalla natura morta che
rispecchia nel fiore appassito il suo sentimento. Queste opere si caricheranno di sentimenti
patriottici.
Alcuni suoi ritratti: li realizza per borghesia ed aristocrazia lombarda, sia in ambito
femminile che maschile, con ritratti dei protagonisti della nascita dello stato italiano. Nei
ritratti mostra capacità di rappresentazione della sfera emotiva e personale delle persone
ritratte, usando piccoli dettagli per far capire il carattere e l’elemento personale dei
protagonisti.
01/03/2021
Bisogna fare un passo indietro per comprendere cosa accade nell’età romantica.
Vediamo una sua incisione, nel corso della seconda metà del ‘700 hanno molta diffusione
perché i costi sono contenuti e sono il mezzo di diffusione più ampio per la circolazione di
idee. Nel 1792 esce una raccolta di una 50ina di fogli che si intitola “Capricci”. sono delle
tavole che hanno anche delle didascalie che illustrano cosa sono ed hanno come temi le
streghe, gli incubi notturni, figure mostruose. Non è tanto il contenuto (che sarà poi
oggetto della pittura simbolista), ma fondamentale è analizzare il frontespizio dei capricci:
questo è la sintesi del contenuto di questo volume ed ha un titolo che recita “il sonno della
ragione genera mostri”. Vediamo un tavolo da lavoro con a terra della cartelle di disegni ed
incisioni, è un tavolo da lavoro che l’artista utilizza. Appoggiato, una figura maschile con
abiti tardo settecenteschi che, appoggiando la testa, si addormenta. È Goya che alla fine
del lavoro si addormenta e, in questo istante, dalla sua mente esplodono (è come se
vedessimo qualcosa che lui vede dentro di sé) e si materializzano immagini strane,
capricciose: vediamo una maschera urlante, delle zampe di cavallo, un suo autoritratto e,
intorno nell’oscuro della camera, si vede un gigantesco pipistrello, emblema della notte.
Probabilmente conosce l’incubo di Fussli. Il tavolo ha un’iscrizione che richiama il Marat
assassinato. Nell’incisione finale sparisce il suo volto, la ragione nel sonno tace e dentro di
lui prendono il sopravvento le sue paure incosce. Diventa un’allegoria di quel momento di
crisi della cultura illuminista del ‘700, siamo a ridosso della rivoluzione francese, e si coglie
che la ragione non può tutto (quello che pensavano gli illuministi), non può gestire
qualunque aspetto della vita umana. Quando la ragione tace emerge qualcos’altro, che
sarà proprio il fondamento della cultura romantica.
Nel 1863 un grande artista francese, Manet, presenta a un Salon a Parigi “Olimpia”, che è
chiaramente desunto dalla Maya
desnuda di Goya. Creò uno scandalo
enorme perché il nudo era realistico e
il suo atteggiamento è
contemporaneo, non è una Venere,
tutti la conoscevano. Il fatto che
venga esibita per come è è qualcosa
di insopportabile. Certe forme che
Goya vengono riprese 50 anni dopo
nel realismo.
Vediamo due sue grandi tele che realizza quando le truppe napoleoniche sono sconfitte e i
francesi si ritirano dalla Spagna, comincia la fine delle imprese napoleoniche. Li realizza per
rabbonire i Borboni che sono tornati a
prendere il potere in Spagna. Goya
aveva abbracciato le idee della
rivoluzione contro la monarchia
borbonica ancora legata
all’inquisizione. Poi erano accaduti dei
fatti che gli avevano fatto capire che
un esercito che invada è pericoloso,
l’esercito napoleonico si era inserito
con repressioni violente ed aveva
deluso Goya. Negli anni ’90 era
diventato completamente sordo e il suo
isolamento diventa sempre più tragico.
Le tele rappresentano momenti anti
eroici: sono momenti in cui la spagna
reagisce alle imprese di Napoleone:
hanno lo stesso titolo: “il 2 maggio 1808
a Madrid. Si vedono degli spagnoli,
gente del popolo che avevano accolto le
truppe napoleoniche qualche mese
prima come liberatori ma da cui poi
vengono saccheggiati ecc. Ora si
ribellano ai Mamelucchi, truppe prestate dall’impero ottomano che uccidevano e
saccheggiavano. Si scatena una rivolta popolare e si vedono gli spagnoli che fanno azioni
violente e dinamiche profondamente realistica, al di fuori delle battaglie che rispettavano
regole canoniche. La realtà non viene abbellita ma si presenta per quello che deve essere.
La seconda tela è ancora più evidente ed è chiamata “La fucilazione alla montagna del
principe Pio” (+ data 3 maggio 1808). C’è una reazione feroce delle truppe napoleoniche
che rapiscono dei ribelli, che vengono portati fuori dalla città sulla montagna e vengono
fucilati. È uno dei capolavori della pittura moderna, è una delle basi di trasformazione
dell’arte ottocentesca. Qui Goya riesce a centellinare e purificare quello che aveva
acquisito in Italia: quello che ha in memoria è il ciclo della cappella Contarelli di Caravaggio,
nello specifico La vocazione di Matteo, in cui un fascio di luce vera entra nella taverna ma è
anche mistica. Questa idea ed esperienza visiva diventa per Goya un punto di partenza per
trasformare una fucilazione di massa in qualcosa di anche mistico, assoluto, come se quello
che abbiamo davanti non fosse solo il 3 maggio 1808, ma anche tutte le fucilazioni di tutte
le guerre. Il soggetto non c’è, non è al centro, è spostato a sinistra rispetto ad un’asse
immaginario. La parte superiore è un cielo vuoto ed è la parte sottostante che è piena
(come nel Marat di David). Le figure si sovrappongono, creano profondità. Non vediamo i
volti dei soldati, perché la loro sovrapposizione (sembrano uno che si moltiplica) rende i
soldati non colpevoli, fanno solo i soldati e quello che gli viene indicato, è il braccio armato
di un potere che non vediamo e che non è in loro. È la volontà del potere di schiacciare
ogni libertà che si personifica nel plotone di esecuzione, di cui non vediamo i volti ma solo
l’azione. Al centro al posto del protagonista mette un cubo bianco, una lanterna, che nella
sua forma è una fonte luminosa che mette in contro luce i soldati, e illumina il gruppo delle
vittime (alla Caravaggio). Hanno tutti atteggiamenti diversi, c’è chi si spaventa, chi si
arrabbia, chi prega: sono atteggiamenti diversi che tutti esprimono, i corpi ammassati di
coloro già uccisi perdono quasi volume. Domina un uomo di colore, non è la figura
dell’eroe biondo caucasico, è un appartenente ad una popolazione del sud della spagna
che alza le braccia e la luce esalta la sua camicia bianchissima. Alza le braccia per offrirsi
alla fucilazione ma evoca la crocifissione. C’è intelligenza compositiva tra crudo realismo e
riferimenti simbolici.
Un autoritratto prima di morire è già quasi un teschio. Realizza poi un ritratto di Lord
Byron: diventa l’idea del poeta romantico, i capelli agitati dal vento.
Delacroix diventa la stella nascente dopo la morte di Gericault, anche lui studiando dal
vero, come in uno studio di una ricoverata di manicomio.
Anche il giovane Delacroix deve farsi conoscere e nel 1826 realizza questo Dante e Virgilio
sulla barca di Caronte. È un’immagine di invenzione. Lo spumeggiare del mare è ripreso
dalla zattera.
Un punto nodale è questo: sono due quadri del 1824, anno della morte di Gericault,
entrano due titani della pittura francese: Delacroix e Ingres (allievo di David), che nel voto
di Luigi XIII riprende i modelli della tradizione, ha come modello Raffaello, con una pittura
perfetta, smaltata ed accademica; tutto questo contro Delacroix con la pittura che parla
degli avvenimenti contemporanei e che ragiona sui rapporti col vero.
02/03/2021
Proprio negli anni ’40 e ’50 l’anziano Delacroix si impegna per commissioni pubbliche e
decora alcuni edifici, in particolare la galleria del Louvre, è un ambiente settecentesco che
aveva subito dei danni. Decora in uno stile che rimanda al ‘700. Ci dice come l’artista, nella
fase finale della sua attività, si adegui alle scelte accademiche per rispondere alle esigenze
pubbliche.
Chi prende il testimone e porta avanti queste iniziative? Courbet.
04/03/2021
Ha esposto “Il funerale ad Ornans” e “L’atelier dell’artista” (aveva un titolo più complesso,
Lo studio del pittore, allegoria reale che fissa un periodo di sette anni….): questa allegoria
deve restare comunque vincolata alla realtà, rappresenta i sette anni precedenti di vita del
pittore. Utilizza
un formato di
grandi
dimensioni, la
tela misura 6
metri, tipico dei
quadri di storia,
aveva la stessa
importanza di
una grande
scena di
battaglia o di
celebrazione. Il soggetto è descritto dallo stesso autore in una lettera ad un amico. Non si
trattava solo il suo studio ad Ornans, ma ogni elemento assumeva un valore ben preciso:
ad esempio, il significato dei due gruppi di figure che circondano la scena centrale in cui c’è
l’autore che dipinge. Non si perde a descrivere cosa c’è sulle pareti dello studio, vediamo
una superfice smangiata ma intuiamo delle sagome, capiamo che erano rivestite di dipinti,
alcune concluse altre no. Ma non è questo che gli interessa, non la descrizione dello studio:
punta sul valore allegorico delle figure. Sono figure non presenti fisicamente durante il
lavoro, è un’allegoria reale, che permette a lui di raccontare il suo modo di vivere. Nella
lettera scrive: “è il mondo che viene a farsi dipingere da me”, l’artista lavora ancora nello
studio, non va fuori a dipingere la realtà, sono studi in esterno ma l’opera si realizza in
interno. A destra ci sono gli amici, i lavoratori ed appassionati di arte, è la
rappresentazione delle figure vicine a Courbet nel corso del tempo, che hanno la capacità
di apprezzare il suo modo di vedere l’arte. A sinistra, coloro che conducono un’esistenza
banale, il popolo, gli sfruttati e gli sfruttatori, le persone che vivono della morte altrui. Non
è una questione di tipo economico: all’interno del calderone ci sono sia i ricchi che i poveri,
è una questione di percezione della vita. A fare da spartiacque al centro c’è l’autore
intento a dipingere. A sinistra c’è un rabbino, un bracconiere (ritratto di Napoleone III, non
aveva di buon occhio la sua politica, diventa un dato simbolico piuttosto forte ed indica che
era un assassino), il commerciante che propone la propria merce. Sotto c’è una madre che
allatta, ma è la miseria umana; troviamo una natura morta, con un cappello e strumenti
musicali: significa la morte del romanticismo, per arrivare ad una percezione diversa della
produzione artistica. Nel gruppo degli amici a destra li riconosciamo, sono ritratti veri:
vediamo una figura che legge ed è Baudelaire, che fu vicino all’artista e sarà colui che
sosterrà Manet, rappresenta la poesia contemporanea in grado di comprendere l’arte
nuova. Le figure in abiti eleganti sono due visitatori dello studio, futuri acquirenti che
hanno però la capacità di comprendere la novità. Vediamo poi seduto l’uomo a cui aveva
mandato la lettera, dietro c’è il suo mecenate, poi c’è Prudon, socialista, erano amici. Nel
gruppo centrale è intento a dipingere un paesaggio della contea, che aveva visto di
persona e che può dipingere a memoria. La figura femminile alle sue spalle perde la sua
utilità: normalmente sarebbe stata la modella, ma qui non realizza un dipinto di figura. La
sua presenza, nuda con panneggio, ha un altro significato: è la rappresentazione della
realtà ispiratrice, è una figura non idealizzata. Anche il bambino, davanti all’opera che la
osserva contemplando, raffigura da una parte il futuro, le possibilità, dall’altra l’idea
dell’ingenuità non contaminata dalla scuola e libera di farsi le sue idee personali. Suscitò
fortissime polemiche, non venne accolta con i giusti propositi. In un’illustrazione del 1855
l’opera venne derisa in una caricatura.
“L’esecuzione dell’Imperatore
Massimiliano”, 1867. Era una di
quelle figure fantoccio poste al
governo dei vari stati al seguito della
restaurazione, e qui c’era lo zampino
di Napoleone III che voleva
controllare il Messico. Manet, come
altri francesi, fu colpito da questo
evento storico e dalla freddezza
dello stato francese, e dalla fine che
Massimiliano fece. Se ne conoscono
4 versioni, questa è quella definitiva.
Qui il modello di riferimento è ovviamente Goya, la composizione è analoga ma cambia
l’atmosfera. In Goya luce studiata, pienamente romantico, qui è fredda realtà, la luce è
tersa e cristallina. C’è assenza di emozione anche nelle persone, Massimiliano non mostra
paura e i soldati messicani sono rappresentati con divise francesi, per sottolineare chi c’era
realmente come causa della morte (manipolazione dei messicani da parte del governo
francese). La realtà dell’evento è messa in luce dal soldato che è costretto a fermarsi a
sistemare l’arma che si era inceppata. Ad di là di un muretto si sporgono dei messicani che
vogliono assistere all’evento.
IMPRESSIONISMO
Come i realisti scioccarono la critica del tempo, gli impressionisti fecero ancora peggio, ma
ormai il terreno era stato tracciato. I capisaldi sono l’atteggiamento realistico percettivo
che implica un rinnovamento dei sistemi rappresentativi. Si cerca di applicare un metodo
para scientifico alla composizione del quadro, che resta come obiettivo in funzione realista
(restituire la realtà nell’immediato). Nel post impressionismo (è una categoria che abbiamo
noi, loro non si consideravano così) c’erano posizioni che portano agli estremi quello che
gli impressionisti aprono nell’uso del colore.
La rivoluzione è fatta di una nuova visione della città, nelle loro vedute sta cambiando il
modo di vedere la realtà e quindi anche di trascriverla. La nuova visione della natura passa
per l’en plein air, svolta vera e propria.
COLORE
FOTOGRAFIA
TEMPORALITA’
Tappe: Bazille, Monet e Sisley si incontrano alla scuola di Gleyre, tutti ammirano la pittura
di Manet. Al Salon del 1866 cominciano ad essere accettati alcuni di questi artisti. Zola,
scrittore, commenta in favore questo tipo di arte. Nel contesto, c’è la guerra Franco-
Prussiana del 1870, temporanea dispersione del gruppo, Degas va volontario, Bazille viene
ucciso ecc.
1874 (15 aprile-15 maggio): mostra da Nadar con le opere rifiutate al Salon, nello studio di
un fotografo, PRIMA MOSTRA IMPRESSIONISTA.
CLAUDE MONET
È uno degli esponenti principali, comincia a ritrarre la vita contemporanea. Si studiano gli
effetti della luce ed in plein air si hanno tutti quegli stadi della luce: si studia l’ottica e come
i colori rispondono alla luce. Le pennellate sono molto materiche e veloci.
“Regate all’Argenteouil”, 1872. Altro soggetto
legato alla natura, non c’è disegno, si lavora col colore.
C’è un sentimento ancora fortemente romantico nel sentire la natura, come vediamo si
riprende Turner di anni prima.
Vanno di pari passo alla fotografia, che non a caso è l’arte della luce.
Bordighera, 1884, Monet fa un viaggio tra la Costa Azzurra e l’Italia. Vediamo la potenza
del colore e della luce, dice che arrivato in Italia i suoi occhi erano “feriti” da tanta luce.
Comincia a dipingere questa luce e ne escono tocchi di verde, arancio, azzurro, si
accostano colori puri. Siamo già un decennio dopo la prima mostra e la pittura si fa più
scientifica, i contrasti e la miscelazione del colore avviene nella retina (lo si era capito in
quel tempo). L’occhio miscelerà i colori che in realtà sono semplicemente accostati.
Oltre alle ballerine fa anche molte donne che si lavano, si asciugano, quasi un continuo
delle bagnanti, anche se siamo in un interno domestico e loro in posizioni ricercate e non
comuni.
09/03/2021
GAUGUIN
SIMBOLISMO
Alcuni aspetti: entra in crisi il rapporto con la realtà, col mondo esteriore che percepiamo.
Questo sistema di restituire la realtà non restituiva le ambiguità intrinseche, le
inquietudini, la realtà non è quello che vediamo, sono simboli di qualcos’altro, la parte più
subconscia. Il 1886 è l’anno dell’ultima mostra degli impressionisti e in questo anno esce il
manifesto del simbolismo scritto da Moreas.
Previati, divisionismo
11/03/2021
Opera emblematica, Seurat, “Domenica pomeriggio sull’isola della Grand Giatte”, 1886, ma
in realtà comincia ad essere eseguita nell’83. L’86 è una data importante, segna l’ultima
mostra degli impressionisti, è un punto di arrivo. Rimette in discussione tutto il rapporto
arte-realtà. Le opere impressionisti riportano sulla tela l’immediata ricaduta della visione
del reale, che è una visione retinica, di impressioni cromatiche, luministiche che entrano
nell’occhio e sono ricostruite nel cervello. Volevano fissare sulla superficie un attimo,
qualcosa che sfugge e che non può essere fissato se non attraverso questa tecnica di non
definizione delle forme, restituendo allo spettatore una visione momentanea.
Per gli espressionisti diremo l’esatto contrario: non la proiezione dentro di noi delle
impressioni che derivano dall’esterno, ma l’impressione di ciò che noi siamo e di ciò che
proviamo sull’esterno. Proiettiamo la nostra psiche sul mondo esterno e lo modifichiamo.
Gli impressionisti invece assorbivano dall’esterno e cercavano di riportare esattamente
quell’emozione visiva.
Nell’esposizione dell’86 sono presenti degli artisti che però presentano delle opere che non
sono più impressioniste, sono la loro morte. Termina quel meccanismo che era partito con
la ricerca del rapporto con la realtà e che arriva qui. o
Dopo questo quadro di Seurat nulla sarà più lo stesso. L’86 è anche però la data di uscita di
un romanzo, “Controcorrente” di Karl Huysman, considerato dalla critica letteraria il
manifesto espresso del simbolismo, un’altra temperie culturale molto diversa e che avrà
conseguenze nello sviluppo dell’arte del ‘900. Il simbolismo è una corrente di pensiero che
trasforma l’Europa. L’Exphrasis è una figura retorica che è il raccontare con le parole
un’immagine: nel romanzo c’è una lunghissima Exphrasis di cui parleremo.
L’esposizione universale del 1889, in cui viene realizzata la Tour Eiffel, fa da sfondo a un
terzo fenomeno, il cosiddetto Modernismo, che si applica più in architettura e nelle arti
decorative ma che andrà di pari passo al simbolismo, alle secessioni, del post-
impressionismo e del divisionismo.
Tra l’86 e l’inizio del secolo ci sono 14 anni pieni di fenomeni molto diversi tra loro. Li lega
una temperie culturale che si è molto modificata, stiamo arrivando alla crisi del
positivismo: questo sistema di assoluta razionalizzazione viene messo in discussione a
metà dell’800 e si cerca di far riemergere di nuovo tutte quelle parti dell’essere umano che
non hanno certezze e sono legate ad un rapporto empatico col mondo della realtà.
Questo problema dello smontaggio della pittura non è patrimonio solo dei post-
impressionisti, ma anche di uno dei fondatori dell’impressionismo: Claude Monet. Proprio
in questi anni trasforma la sua pittura: quello che era stato il capofila dell’impressionismo
sceglie un’altra strada, percepisce che la corrente si limitava alla superficie dell’immagine e
vuole cercare una verità più profonda rispetto al visibile. Se il dipinto impressionista aveva
come obiettivo il restituirmi un’immagine che io perdevo, che svaniva, quello che
percepiscono a questo punto è che le trasformazioni dell’immagine non possono essere
l’obiettivo dell’arte, che deve andare oltre la realtà e ci fa capire qualcosa in più di noi.
Negli anni 80 comincia a fare delle serie di tele, con tema che si ripete: nasce la serie dei
covoni, una ventina di tele in cui i soggetti sono dei covoni di grano ripresi in diversi
momenti dell’anno. Un’altra serie sono le ninfee o i cipressi, ma quella più significativa è
quella della cattedrale gotica di Rouen. Qui il suo
obiettivo è un po’ più complicato, non si tratta
solo di riprenderla in momenti diversi. Erano 24
tele dello stesso formato che pensava di
impaginare una attaccata all’altra: il suo obiettivo
era che lo spettatore, seguendo una logica di
lettura e muovendo il suo occhio lungo questa
linea, percepisse un’unica immagine variata, era
come se avesse voluto applicare nella pittura un
effetto cinematografico. Il cinema in questi anni
sta nascendo, ma soprattutto ci sono dei lavori di
alcuni fotografi di una stampa di più lastre
fotografiche che, messe vicine, davano senso di
movimento. I futuristi vedremo che ci
mostreranno il movimento, siamo a ridosso di un
cambiamento di sistema.
Negli anni 1966-67 Andy Wahrol realizzò un filmato posizionando una macchina da presa
in un edificio di NY che inquadrava un pezzo della strada: registrò per 24 ore e ne trasse un
sunto. In modo diluito vedremmo quello che Monet ci presenta in queste tele, l’oggetto è
sempre quello come anche il punto di vista ma tutto si trasforma davanti ai nostri occhi,
l’immagine è sempre uguale ma sempre diversa.
Tra gli artisti dell’esposizione dell’86 c’è anche il gruppo degli artisti Bretoni: qui la tecnica
è ancora diversa, qui si utilizzano delle campiture di colore piatto che si incastonano le une
nelle altre, come nelle vetrate medievali.
L’opera è intitolata “Le donne bretoni” di
Gauguin, stanno facendo la preghiera della
sera.
Si trasferisce nelle isole dell’Oceania, a Tahiti: scopre un mondo nuovo, arcaico, in cui il
buon selvaggio degli illuministi è vero. Vivono un rapporto con la natura particolare. La
nudità di queste donne non è accademica ma nemmeno una nudità che ci comunicavano
gli impressionisti, sono studiati dal vero ma dove la relazione dei loro corpi con la natura
perde di naturalismo e diventa evocante.
15/02/2021
“L’Urlo” fa parte di un progetto costituito da 3 tele, che Munch crea in momenti diversi tra
il 1892 e il 1894. Questo meccanismo di costruire composizioni seriali di opere è qualcosa
che abbiamo già visto in Monet: l’idea è che la pittura contemporanea non sia più
esauribile in un’unica immagine statica, ma che proprio nell’ottica della trasformazione dei
linguaggi (conseguenza del cambiamento di rotta della cultura europea che si sposta
nell’area del simbolismo) crea una nuova percezione. Tutte le opere vengono recepite
attraverso un rapporto visivo.
La parola empatia è fondante per la cultura simbolista, è lo strumento più potente che
allaccia rapporti non prettamente razionali con lo spettatore. L’empatia ha valore
individuale, cambia a seconda della sensibilità dell’individuo, ma ne esiste una di carattere
più trasversale ed universale che appartiene al momento storico. La visione del mondo che
ha Munch, il malessere di vivere, tutto quello che appartiene alla sua psiche, trasforma
l’immagine in questo scuotimento della natura. Le onde d’urto che sembrano rivoli di
sangue perdono di consistenza per diventare onde di colore, travolgono tutto a tal punto
che il volto dell’artista vede la figura attraversata da queste onde potentissime, facendogli
sciogliere il viso che diventa un teschio urlante. Il suo modo di esprimersi è una prova
generale della cultura espressionista dei primi anni del ‘900.
Munch affronta anche dei temi che l’arte aveva tenuto nascosti, difficili, che non erano
accettati dalla società contemporanea per quelle forme di perbenismo e pudore (una delle
ragioni per cui i simbolisti si scagliano contro la società).
Pubertà, 1893, Munch. Quanto l’urlo esplicita una tragedia collettiva, una visione
apocalittica, Pubertà rappresenta una tragedia personale ed intima che diventa collettiva.
Il personaggio non è una specifica ragazza, è una
rappresentazione simbolica di un passaggio che
appartiene a tutti gli esseri umani, il passaggio
all’adolescenza. Come viene rappresentato?
Diversamente da una tradizione che rappresenta i
fanciulli edulcorati, l’infanzia letta sempre come
luogo di felicità, ecco che Munch ci da una lettura
opposta: pubertà è costituito da una struttura molto
semplificata, tutto è volutamente appiattito e
semplificato. Vediamo delle linee orizzontali che
definiscono letto, materasso e parete. Nella sua
semplificazione non descrive un ambiente specifico,
il totale anonimato dello spazio suggerisce che sia
un’immagine che va dal particolare al generale,
questa ragazza è tutte le ragazze. Al centro del
dipinto (evita una rigida simmetria) c’è una giovane ragazza nuda, ma non rispetta alcun
canone (non solo classico, ma nemmeno di uno studio dal vero). L’unico rapporto con la
realtà è il viso, il nudo è ambiguo perché è chiaramente femminile ma il seno non è
evidente, è come se fosse non ancora sviluppato, così il volto è di una bambina. Questa
combinazione induce a capire che abbiamo davanti un corpo acerbo che non è né bambina
né donna, è la pubertà, che comporta un atteggiamento: incrocia le braccia per
nascondere il proprio sesso, è una consapevolezza che la ragazza ha del suo corpo. Lo
sguardo fisso verso di noi, con aria interrogativa e consapevole, sembra chiederci cosa sta
succedendo anche se dentro di lei già lo sa. A fianco della fanciulla viene dipinta una specie
di macchia scura sulla parete: non è propriamente la sua ombra, è qualcosa di autonomo
che incombe su di lei. È la morte, è un simbolo, un fantasma oscuro, la presa di coscienza
di questa bambina che si svegli al mattino non più bambina. Rappresenta gli esseri umani
che prendono consapevolezza della loro esistenza. Perde una carica cronachistica per
assumere potenza simbolica, mettendo davanti agli occhi qualcosa che era sempre stato
nascosto dall’arte.
Sui rapporti complicati col mondo c’è una testimonianza di due opere del 1895,
“Madonna” e “L’Autoritratto”. Sono entrambe incisioni, non fanno parte di cicli, sono
autonome e l’autoritratto si identifica in un modo specifico: nel 1895 si rappresenta con il
volto riprodotto in modo coerente alla sua immagine, è detratto da una fotografia. Isola il
suo volto e lo colloca sospeso in uno sfondo nero, come se fosse la notte (evoca la testa del
Battista tagliata di Moreau). Si identifica con colui che è stato sacrificato. A chiudere
l’immagine, nella parte inferiore c’è una parte bianca. Si tratta di un braccio scheletrico, è
la sua mano destra, lo strumento che l’artista usa per creare le proprie opere. Viene
collocato quasi fosse una reliquia, è lui già morto e al di
là del tempo. Qui si capisce la sua idea di pittura come
strumento fondamentale per comprendere i misteri
della vita.
Opera che lo rese famoso nel 1891 è una grande tela dal titolo I “lock my door upon
myself”. È una citazione di una poetessa inglese, Cristina Rossetti, che scrive questo poema
dal titolo “Chi mi libererà”: una nuova consapevolezza delle donne che non accettano più i
loro ruoli e che vivono la difficoltà di uscire da quei ruoli. Vediamo una figura femminile
dagli occhi vacui, che
guarda lo spettatore e
tiene la testa appoggiata
alle mani intrecciate.
Guarda malinconica ma è
come se fosse rapita da
un suo pensiero. Il titolo
è l’esplicitazione poetica
di quello che vediamo, lei
si chiude in sé stessa e
rifiuta di essere oggetto
di indagine. Davanti vediamo un piano ma è coperto da un panno nero, che evoca il
sepolcro, rappresenta il lutto. Emergono in primo piano tre steli secchi, rappresentazione
del giglio (verginità di Maria) ma morti; per suggerire ulteriormente la malinconia mortale,
Knopff dipinge una testa con elmo e con ali (era nello studio dell’artista): è il sonno, ha lo
stesso volto di Margherite. Le ali sono azzurre come il tessuto appoggiato vicino a lei. Il
sonno è il fratello gemello della morte. Alle spalle la parete ha elementi diversi, non si
capisce se sono quadri o aperture della parete.
16/03/2021
Il 1902 è un anno simbolico, può assumere una serie di significati, è l’anno in cui espone
Munch alla secessione ma è anche l’anno in cui vedremo qualcosa di stilisticamente
diverso.
1896, opera
che suscitò
una serie di
critiche da
parte dei
tradizionalist
i ma che
riscosse
successo presso i secessionisti. Titolo “Carezze”, capiamo che l’iconografia che vediamo è
in realtà tenuta in sottotono per far emergere qualcosa di diverso. L’ambiguità è la chiave
per comprendere quello che vediamo, del rapporto tra il titolo e l’immagine del rapporto
tra i due protagonisti. In qualche moda la pittura simbolista si pone come contrapposizione
legata alla realtà contingente; cerca invece di rivolgersi ad un gruppo di adepti, che hanno
la chiave per capire i simboli e il senso di queste opere. Può essere compreso solo da
alcuni, che hanno quella sensibilità poetica e quella ricerca dell’allegoria patrimonio dei
simbolisti. Il formato del quadro è uno sviluppo rettangolare in orizzontale, non sappiamo
la sua finalità ma evidentemente richiama i pannelli che erano collocati come capoletti,
arredo di una stanza. Ci racconta infatti di un rapporto fatto di sentimento, di eros, di
ferocia e di tenerezza (carezza, il titolo). Vediamo una figura maschile che tiene in mano
uno scettro e che si avvicina a un essere con testa femminile e corpo di leopardo. Ci
rimanda al mito di Edipo e la Sfinge, ma virandolo in chiave originale e nuova, non è la
semplice narrazione del mito. Knopff trasforma il rapporto tra Edipo e la Sfinge in un
rapporto erotico, dove il mito viene cancellato. È un mostro, fatto con corpo animale
(scelta del leopardo rende ancora più accattivante e avvolgente la carezza), ma la sua testa
femminile è appoggiata al volto di Edipo ed è rapita da un sentimento di amore, è come se
lui avesse ammansito questo animale. Edipo ha corpo maschile ma il volto è quello della
sorella di Knopff, Margherite, idealizzato ma un volto maschera. È compiaciuto di questo
rapporto che però diventa mostruoso se applicato all’eros, è un’immagine inquietante e
tenera, come un amore impossibile. Si svolge in un paesaggio privo di connotazioni, ci sono
dei cipressi e al centro c’è una lastra, un rudere di un tempio antico con delle iscrizioni in
carattere indecifrabile, che evocano la parte della leggenda di Edipo, ovvero l’enigma che
la Sfinge poneva ai viandanti. Due colonne azzurre a destra hanno base e capitello dorate,
sono legate nella parte alta da una specie di nastro: sono la rappresentazione allegorica
dell’unione di due diversità, lo stesso collegamento che vediamo nella parte figurativa.
Tutti questi temi, che derivano dal sublime ottocentesco (rapporto tra sonno e morte,
nostalgia, senso del ritorno,…) sono temi simbolisti.
Bocklin, è un artista di
formazione
accademica che ebbe,
diversamente dai suoi
coetanei, un profondo
legame con l’Italia,
visse e studiò a
Firenze. Opera del
1883, un po’ precoce
al simbolismo dell’86,
ci sono 5 versioni, è
“L’isola dei morti”. Rappresenta un paesaggio che non esiste, mescolanza di elementi di
paesaggi lontani fra loro. L’isola è Capri, sono i Faraglioni, è fatta di rocce ancestrali dove
vediamo che l’uomo è intervenuto scavando delle tombe. Dove ha visto questa cosa
l’autore? A Venezia, isola di San Michele, isola cimitero. Anche a Firenze c’era un
terrapieno isolato dalla strada e acquistato dagli inglesi per farne un cimitero. I cipressi
sono infatti del cimitero inglese. Il mare e il cielo sono quelli del mare del nord, dai colori
plumbei. C’è volontà di mescolare fonti diverse per dare valore simbolico: non vediamo
solo un’isola per le sepolture, il luogo è senza tempo, i valori che mette in evidenza sono
“senza luogo e senza tempo”. Descrive una piccola barca che lascia una scia in un mare
immobile che sta giungendo al molo e porta un feretro, ornato di fiori, e una figura
femminile ammantata di bianco porta e va a rendere gli estremi onori al sepolcro. L’azione,
come bloccata in uno schema
paesaggistico in cui tutto sembra
raggelato, è moderna.
SIMBOLISTI ITALIANI
Non hanno tutto l’apporto tragico del nord Europa, hanno rapporti con la Francia. Gaetano
Previati e Segantini.
“Maternità”, 1891,
Previati gioca la carta
del tema religioso
trasformato in una
maternità in senso
più lato. Vediamo un
paesaggio in cui al
centro (quasi) un
albero di melograno,
sotto il quale c’è una figura femminile con manto chiaro su abito scuro, evoca la vergine
addormentata che protegge il sonno del bambino. È protetta dal sonno e dalla preghiera
degli angeli, in un prato fiorito. La maternità sacra diventa un’ode alla maternità di tutti,
protetta dagli spiriti. Per costruire le figure e il prato verde usa dei filamenti di colore, con
questo ha costruito i corpi. È un dipinto che potremmo definire Art Nouveau.
Segantini, ha rispetto a
Previati una visione meno
spiritualista è più legata
alla realtà contadina e
rurale delle montagne.
“Le due madri”, 1889, è
un inno alla maternità
che perde le connotazioni
religiose e assume valore
sacro, è la sacralità del
rapporto madre figlio e
della vita che continua. È espresso tramite la cura della madre umana in una stalla
d’invero, luogo più caldo dove tenere la sua creatura, vicino alla mucca che riscalda
l’ambiente. Lei si è addormentata, il soggetto del dipinto è la lampada sospesa che illumina
la donna e la mucca. L’andamento del pennello segue un effetto circolare, una linea
circolare dove studia la ricaduta della luce. Tutto è costruito con attenzione ma reso con
pittura materica, fluida e lineare, che da alle immagini valore simbolico. Le due madri
condividono spazio e sentimenti.
Opera precedente, 1886, Segantini, “Ave Maria
a trasbordo”. Vediamo fondersi elementi del
paesaggio realista con echi della pittura
simbolista francese, momento quotidiano
intriso di valori simbolici. Ave Maria è la
preghiera che si dovrebbe dire al tramonto,
indicava quindi un’ora del giorno. Vediamo
un’azione compiuta dai pastori che vivevano
nelle terre lombarde, dove dopo aver portato
le pecore a pascolare nelle brughiere deve
riportarle all’ovile, attraversando uno specchio
d’acqua su una barchetta. È l’ora in cui si
trasbordano le greggi agli ovili. Identifica i due
assi della tela, verticale e orizzontale, e sceglie
di alzare la linea dell’orizzonte. Per rendere l’effetto della profondità rialza lievemente i
bordi della linea dell’orizzonte, come se fossero concavi, così vale per il riflesso del paesino
d Pusiano che si riflette nel lago. È una linea scura che separa la stessa tonalità del cielo e
dell’acqua, siamo al tramonto ma non è rosso fuoco. Per dipingere il fondo del cielo parte
dal punto più chiaro e poi con effetto semicircolare aumenta le tonalità scure, così come
ha costruito il riflesso dell’acqua che diventa matericamente più forte. Nella barca colloca
le pecore, il pastore e la mamma con bambino. Questa immagine non è la descrizione del
pastore: diventa un’allegoria della sacra famiglia, è come se vedessimo Giuseppe e la
Madonna durante la fuga in Egitto, le pecore sono i fedeli.
Altro punto di vista completamente diverso: Cezanne, un pittore francese che ha avuto un
percorso molto lungo ed è interessante perché nel
1874 lui partecipa, insieme al gruppo degli
impressionisti, alla prima mostra degli
impressionisti, con “La casa dell’impiccato”. Quel
quadro, fra gli altri della mostra, era assolutamente
anti impressionista: dove gli altri proponevano
piccoli tratti e il rapporto tra acqua, aria, cielo, lui
costruiva con effetti di piani sovrapposti, era
qualcosa di non momentaneo, giocava invece sulle
profondità. Non parteciperà più alle mostre. Negli
anni ’90, in fase post impressionista, realizza tre versioni di questo tema. “I giocatori di
carte”, il tema potrebbe sembrare impressionista (legato alla quotidianità), due persone in
un bar che fumano e giocano a carte, ma li rappresenta in modo anti impressionista. Le
componenti del quadro seguono logiche compositive dove i volumi hanno il peso (cosa che
impress. non considerano). La bottiglia è al centro, ci da simmetria compositiva, come
anche la linea orizzontale dello sfondo. I volumi dei loro corpi sembrano dei cilindri, delle
sfere. Parte dal dato di realtà e cerca di trovare una
chiave che, togliendo l’aspetto più immediato, sembra
andare a cercare la forma originaria degli oggetti, per
andare oltre la superficie visibile. Suggerisce l’asse
verticale e orizzontale, ma notiamo che il piano del
tavolo è lievemente obliquo, fa uno scarto minimo che
serve a sottolineare che l’immagine che vediamo non
vuole essere realistica ma ricostruita da un’esperienza
visiva.
1904-5, Cezanne, fa una serie di tele dedicate ad un paesaggio che vede ogni giorno in
Provenza. È un paesaggio di campagna e di campi coltivati, con sfondo una montagna,
titolo “Le Mont de Saint Victorie”. È un paesaggio smontato, fatto di frammenti cromatici
che ricomposti sulla tela restituiscono i volumi delle case e degli alberi, è tutto fatto per
blocchi, cielo non è solo azzurro ma anche grigio e verde, così come tutto il resto. I volumi
si mescolano, si scompongono in figure
geometriche pure che ricompone in un
paesaggio dell’anima, è un’immagine della sua
mente a cui lui da vita. Da questo tipo di
esperienza parte il linguaggio dei cubisti dei
primi anni del ‘900.
Berlino, Monaco, 1897 a Vienna la più importante. Avviano i lavori del padiglione della
secessione viennese, lo spazio dove gli artisti mostreranno le loro opere e dove
ospiteranno opere di artisti stranieri, come anche Segantini e Van Gogh anche se già
morto.
1902, grande mostra che i secessionisti vogliono organizzare dedicata alla musica e a
Beethoven che ebbe come terno espositivo una grande scultura di Klinger.
18/03/2021
1902: data emblematica, il ‘900 si apre con l’Expo di Parigi che fu visitata da artisti
importanti (come Picasso) e milioni di persone. È attratto da questo avvenimento e arriva a
Parigi proprio in quell’anno. Entra in contatto con Toulose Lautrec che lo porta dai galleristi
che trattavano i dipinti degli impressionisti e le novità pittoriche dei post impressionisti. È
proprio da uno di questi che Picasso riceve un primo contratto per vendere delle sue
opere. È il momento in cui diventerà amico di Matisse, che lo presenterà a Cezanne:
diventa il catalizzatore di molte novità che si agitano a Parigi.
Sempre nel 1902, a Berlino, Munch propone in allestimento il suo “Fregio della vita”, che
segna un punto di non ritorno dai suoi temi e dal suo linguaggio, che saranno la base del
movimento di Avanguardia Die Brucke.
1902 a Torino si inaugura la Prima mostra delle arti figurative moderne, con l’intenzione di
realizzare altre mostre internazionali. Torino era l’ex capitale del regno, città
industrializzata e si candida ad essere la capitale della modernità. Non volevano fare solo
un’esposizione universale generica, ma una mostra specializzata sulle arti decorative
(prodotti della vita quotidiana) che prevedeva la presenza di nazioni europee e non, con la
presentazioni di oggetti creati apposta per la mostra. Il modernismo è un fenomeno
complesso, che riguarda architettura ecc. ma anche le arti figurative.
Terzo fenomeno del 1902 è la 14esima esposizione della secessione viennese. È in questo
padiglione che arrivano a Vienne opere degli impressionisti e post impressionisti. Nel 1902
si fa una mostra dedicata alla musica, perché nella visione modernista e nella secessione le
arti sono un insieme di elementi creativi che costituiscono la visione artistica
contemporanea. Questa non è legata ai generi della tradizione accademica, ma l’insieme di
tutte queste espressioni che comprendono anche le arti decorative e il teatro, la musica, la
danza e la poesia, che secondo la posizione teorica del modernismo devono convergere
per creare un’opera d’arte totale. È un’utopia che continua nel corso del ‘900: da dove
viene questa idea di opera d’arte totale? Deriva dalla filosofia di Nietzche, dove la sua
estetica era che a partire dal mondo greco la tragedia individua due fonti: l’elemento
dionisiaco (l’istinto, l’animo bestiale, pieno di energia) che si contrappone e mescola con lo
spirito apollineo (dio della poesia e delle arti, equilibrio, armonia, ordine). La mescolanza
dei due sistemi da vita all’opera d’arte totale. Questo approccio viene ripreso da Wagner
che nell’800 aveva dato vita a un tempio della musica lirica, un teatro innovativo che
prevedeva un palcoscenico al centro dello spazio con il pubblico e orchestra intorno. La
messa in scena di un’opera musicale era percepita da un pubblico immerso in questo
spazio, che dava vita a un’esperienza di opera d’arte totale. Da queste esperienze deriva
quella dei secessionisti.
L’inaugurazione della mostra avviene con l’orchestra dell’Opera di Vienna che esegue la
Nona sinfonia di Beethoven.
Fregio di Klimt: i pannelli in anni recenti sono stati ricollocati sotto al piano dove stavano in
origine. Il fregio corre su tre pareti, si legge da sx a dx, anche in questo caso è un’opera
polimaterica. Nella parete del fondo sono inseriti madre perle, ceramiche, stucco, foglia
d’oro. È una tempera su dei pannelli di intonaco già secco, notiamo nelle ali laterali il
grande spazio vuoto lasciato da Klimt. Questo è un influsso dell’arte orientale, della pittura
giapponese, che lo influenzò molto. Il fregio è un’allegoria simbolista ispirata alla nona
sinfonia, ci sono figure femminili stilizzate che dormono. Rappresentano un’umanità
addormentata, priva di bellezza. Le figure inginocchiate sono l’umanità, resasi conto di no
non avere bellezza, chiede ad un soldato in armatura d’oro di difendere l’umanità dai vizi e
dalla corruzione. Nella parete di fondo ci sono appunti i vizi da cui gli umani devono
difendersi: c’è uno scimmione con corpo di serpente e ali d’aquila, le cui figlie con corpo
serpentino sono altri vizi. È in contrasto con le pareti vuoti, è piena di colori per
rappresentare il fascino dei vizi e della perdita di obiettivo. Dopo la parete colorata
abbiamo ancora le figure femminili dell’inizio, che sconfitti i vizi volano fino ad una figura
che impersona la poesia, la danza, la musica, l’arte. Nell’atto conclusivo, l’Inno alla gioia,
c’è un coro di donne che cantano ed è il trionfo di un’umanità tornata ad un rapporto
ottimale con la natura. Ci sono due persone che si abbracciano, nelle acque del paradiso, è
la nuova umanità che riesce a raggiungere una nuova visione della vita, grazie all’arte.
Klimt fa un viaggio in Italia, e la biennale di Venezia gli dedica una mostra monografica nel
1910. “La Giuditta II” è del 1909, che realizza l’anno prima di essere spedita a Venezia,
dove ancora oggi è conservata (uno dei 3 Klimt che abbiamo in Italia). Salomè è una donna
contemporanea, si denuda di fronte ad erode, tiene tra le mani i capelli di Giovanni
Battista (autoritratto di Klimt). La cornice d’oro riprende la struttura dei dipinti giapponesi.
AVANGUARDIE STORICHE
1905-1916, range cronologico in cui sono collocate le avanguardie: sono una serie di
fenomeni di nicchia, che coinvolgono inizialmente pochi artisti e poco pubblico di
collezionisti, ma che sono le punte di diamante si una trasformazione radicale di linguaggi
artistici, non solo pittorici, che hanno come luoghi di concentrazione e sviluppo Parigi,
Milano (futurismo), Dresda, Vienna e Zurigo (dadaisti), Mosca e San Pietroburgo.
Individuiamo in questi fenomeni la nascita dell’arte moderna.
Una delle figure dominanti è Pablo Picasso, un artista spagnolo di formazione accademica,
suo padre era docente, il giovane Pablo mostrava già talento molto potente e ricco.
Giovanissimo si trasferisce a Barcellona, città più moderna di una Spagna ancora legata alla
tradizione agricola. È una città che si sta sviluppando in modo esponenziale ed esce dalle
mura, diventano una metropoli moderna. Parigi è ancora la capitale mondiale delle novità
artistiche, si guarderà sempre a questa città ma si guarda ora ai post impressionisti, come
puntinisti e ad una figura come Toulose Lautrec. Il giovane Picasso, arrivato a Parigi con i
suoi amici, entra in contatto amicale con questo artista e nel 1901 realizza questa “Giovane
donna con turbante”, che rivela affinità stilistica a Lautrec. Il soggetto è una ballerina di
Montmarte, è un’immagine contemporanea, è in una posa volutamente intrigante, si
stringe nelle spalle, il nero è la sua larga gonna, il volto è contemporaneo, la linea
bidimensionale è simile a Klimt. C’è una linea di contorno che rende la figura
bidimensionale. Il fondale è realizzato con tocchi di pennello sovrapposti, sono tessere di
colore materico messi come un mosaico ma non in modo
regolare. È una rivisitazione del puntinismo, Picasso ha voluto
riprodurre una tecnica di cui non condivide la meccanica
scientifica, la rende più decorativa.
Altro protagonista, Henri Matisse, della generazione poco prima di Picasso, formato
nell’atelier di Moreau (eredita il senso del colore preziosissimo), colpito in modo potente
dalle esperienze di Seurat e di Signac, di cui comincia ad imitare la tecnica puntinista. Il
giovane Matisse, molto colto, incappa nel giovane e dinamico Picasso, non molto colto e
un po’ rozzo. Si fa quasi un vanto di educare Picasso e lo porta a vedere i musei, dove vede
per la prima volta le sculture africane, opere di civiltà lontana che lo colpiscono. L’incontro
con Cezanne e Picasso è fatto da Matisse, è un catalizzatore di linguaggi.
22/03/2021
Il termine Fauves fu usato dai critici per dire che i quadri sembravano dipinti da bestie,
Fauves appunto. L’unica avanguardia che farà un manifesto sarà quella dei Futuristi, qui
parliamo di gruppi di artisti che più o meno si addensano. Questi hanno in comune l’uso di
colori anti naturalistici, tecnica pittorica più o meno ispirata al puntinismo ma in chiave
materica e il tema dei paesaggi con figure. Esplodono come fenomeno nel 1905 ma già
l’anno successivo non esistono più. La “Gioia di vivere” rappresenta un’umanità di figure
atteggiate in modo diverso, dove l’idea di profondità è suggerita dalla diminuzione della
grandezza delle figure in secondo piano. Le campiture di colore sono ben distinti ed anti
naturalistiche, è l’idea che la tavolozza cromatica non debba più avere a che fare con un
rapporto organico con la realtà naturalistica, i colori hanno valore di evocazione che
comunicano al nostro occhio armonie o disarmonie. L’umanità che vediamo segue una
logica che poi troveremo anche nelle bagnanti di Cezanne. Il centro è vuoto, gli alberi
sembrano delle quinte teatrali ma la parte centrale non ha il soggetto principale, è
svuotata. Nel primo piano vediamo una citazione da Seurat: la linea blu è l’ombra di una
serie di alberi fuori dal quadro. Ma è l’unica ombra, nelle altre figure non ci sono ombre
realistiche. Vediamo una figura senza tempo che suona un flauto, come se fosse una
divinità o un flauto. Sulla destra abbiamo un uomo e una donna che si abbracciano,
trasposizione contemporanea di Amore e Psiche. È una reinterpretazione di
quell’abbraccio canoviano con un riferimento anche al Bacio di Klimt. La donna che sta
raccogliendo un fiore riprende quella rannicchiata del quadro di prima. A metà, due donne
sdraiate come ninfe antiche sono abbandonate al sole, c’è felicità di vivere, dietro c’è
anche un pastore che sembra rimandare alle pastorali seicentesche. Tutto è sintetizzato
nella figura al centro, un girotondo di sei figure, una danza di gioia. Sono adulti che
esprimono con libertà la gioia dell’esistenza, in un’umanità primordiale e serena.
1906, Morise de Vlanmic, olandese che ha studiato a Parigi e fa parte dei Fauves. È un
oliveto ma non è riconoscibile, è più vicino all’ultimo Van Gogh, ci sono pennellate molto
lunghe.
Cezanne, “Le bagnanti”, 1905, non completo. Il tema è ricorrente, la figura accucciata è
sempre Matisse, è come la Gioia di vivere. Ci sono alberi che sono quinte arboree, creando
un effetto teatrale ma sempre con il
centro del quadro vuoto. Il modo di
sintetizzare le forme anatomiche è
accolto da Matisse. Allo stesso tempo,
questo modo di rappresentare i nudi
troverà in Picasso una trasformazione
ancora più analitica.
23/03/2021
È considerato manifesto del cubismo ma non lo è: il dipinto viene iniziato di Picasso nel
1907, la tela è impostata secondo lo schema del bozzetto precedente, sono 5 donne, c’è la
figura femminile che sembra entrare da quello che rimane della quinta teatrale, la figura
che era seduta diventa come se fosse in piedi ma l’artista non rappresenta la sedia che
determina la strana postura. La figura centrale corrisponde all’asse verticale immaginario,
le due laterali hanno una postura di schiena con gambe aperte e una in piedi. Le figure
sono innestate in uno spazio totalmente deprivato da riferimenti spaziali, non c’è
profondità o plasticità dei corpi, la natura morta è essenziale. Le donne sono come
incastonate in delle specie di lastre di ghiaccio: questi elementi suggeriscono il problema
del rapporto figura spazio. Picasso ragiona sul tema che l’aria in cui sono immerse le figure
non sia un vuoto ma un pieno, un corpo a sua volta. I loro movimenti producono nell’aria
altri segmenti, come se i copri rompessero una lastra di ghiaccio e le schegge riempissero i
vuoti, che sono dei pieni. I corpi sono di colore del periodo rosa, sono ridotti ma
riconoscibili nella loro disposizione anatomica, anche se geometrizzati: le braccia sono dei
cilindri, i seni dei triangoli. I volti sembrano maschere africane, alcune perdono anche nella
cromia il colore della pelle. C’è un processo di metamorfosi e spersonalizzazione delle
figure, quelle donne sono “tutte” le donne, idea essenziale dell’eterno femminile. La figura
femminile accucciata e di spalle ha il volto completamente girata verso di noi, quindi noi
abbiamo una visione contemporaneamente di schiena e di fronte: questo è uno dei
ragionamenti che sta facendo, è possibile per l’arte rappresentante nello stesso momento
più punti di vista, come non può accadere nella realtà? Quello che noi leggiamo come
deformazione è un’attenta scomposizione di un volto e una sua ricomposizione per darci in
un’unica visione la molteplicità della visione. È una ricostruzione mentale dell’artista di
quelli che sono i punti di vista.
Il pubblico del tempo questa cosa non la capisce, è un passo troppo complesso: il quadro a
cui stava lavorando nel suo atelier non viene portato a termine, viene girato e non reso
visibile.
BRAQUE, che era apparso tra il gruppo dei Fauves, nel 1907 entra nell’orbita picassiana e
da vita a una serie di paesaggi dedicati ad ambienti della Costa Azzurra che frequentava
d’estate, dove l’immagine è scomposta, l’aria e il cielo e la terra sono un tutt’uno. Combina
gli elementi geometrici come una sorta di intarsio, non c’è volume e spazialità, non
esistono chiari e scuri, è tutto in forma rigorosa ed essenziale di un paesaggio della mente
piuttosto che dell’occhio. È parallelo a quello che ha fatto Picasso.
FASE ANALITICA: guardo la realtà, vado all’essenzialità geometrica dei corpi, essenziale di
ogni elemento visivo, le smonto (faccio un lavoro analitico) e le ricompongo, ma non tutte:
faccio una scelta, per suggerire rapporti volumetrici.
“Donna con mandolino”, non siamo ancora allo smontaggio
ma a una riduzione geometrica.
Picasso negli anni ’20 abbandona il cubismo sintetico che non gli interessa più, fa “Donne
che corrono sulla riva del mare”, riprende La danza di Matisse, ma dove il volume dei corpi
sono il residuo dell’esperienza cubista.
PARTE PROGREDITA
1^ LEZIONE
1919, Ludwing Kirkner, autore tedesco. In questo anno la guerra è appena finita e lui aveva
avuto un’esperienza tragica, era stato ricoverato per problemi psichici dovuti alla trincea.
Riprende poi a dipingere opere cui soggetto è il paesaggio, ma in questo anno scrive la
storia (non è un manifesto, è una storia a posteriori) del gruppo a cui apparteneva, ovvero
“Il ponte”. Era un movimento di avanguardia. Scrivere una storia di qualcosa che si è
appena concluso significa dare dei giudizi critici e storici e in qualche modo giustificare le
ragioni della costituzione di quel gruppo. È come se avessimo tutta una serie di notizie da
un testimone diretto che ci raccontano la storia de Il Ponte. Venne pubblicato nel 1919 e
suscitò molte polemiche da parte degli altri membri del gruppo, perché di fatto sosteneva
di averlo creato lui. Comincia con questo testo un’idea che attraverserà tutto il ‘900 di
alcuni artisti che riguardano la storia della loro appartenenza, dandoci una visione dal loro
punto di vista. Il paesaggio che vediamo, datato 1919, è un paesaggio alpino: dopo la
guerra si era ritirato sulle montagne svizzere, ci va per ragioni di salute, erano luoghi isolati
dove il contatto con la natura era potentissimo. Morirà qui qualche anno dopo. La visione
che lui da’ del paesaggio innevato alpino perde qualsiasi legame con un’idea di un racconto
impressionista del paesaggio (come abbiamo già visto nei cubisti dopo i post
impressionisti). È evidente anche che ci sono stati dei prestiti, Kirkner ha in mente altri
artisti che ha visto prima della guerra: emerge il valore drammatico dell’immagine, c’è un
elemento tragico del cielo arrossato, alberi spogli ridotti quasi in cenere, una pittura così si
ispira a Munch. Come poteva conoscerlo? Munch era socio della secessione di Berlino ed
aveva partecipato più volte alle mostre berlinesi, in particolare nel 1902 aveva installato “Il
fregio della vita”. Kirkner e i suoi compagni di strada che vivono a Dresda sono colpiti da
quello che vedono alla secessione. In più a Berlino è aperta una galleria che espone opere
dei Fauves, portarono in Germania anche opere di Van Gogh che è l’altro artista a cui
Kirkner guarda.
Nel 1905, il 7 giugno, si riuniscono ed ufficialmente fondano questo gruppo che prende il
nome de “Il Ponte”. È una metafora utilizzata da Nietzche, che utilizza per indicare la
necessità di traghettare il passato verso il futuro, la contemporaneità è un ponte che
collega il passato con il futuro. Nel manifesto disegnato da Kirkner c’è un ponte in stile
giapponese (citazione dalle ninfee di Monet), ma lo disegna mentre sormonta non un
torrente ma un’architettura di tipo gotico, fatta di guglie e punte. Indica quindi la
tradizione del territorio tedesco di cui loro fanno tesoro e che traghettano in chiave
moderna nel futuro.
Che tipo di pittura è questa? Verrà definita pittura espressionista non da Kirkner e dal suo
gruppo, ma da un critico d’arte membro della secessione di Berlino: Paul Cassirer. In un
commento del 1906, parlando del gruppo, dice “ecco una nuova pittura che finalmente
abbandona quei paesaggi di impressione e racconta l’espressione del paesaggio”. Gli
impressionisti avevano fatto fatica ad emergere nella sensibilità collettiva, ma questo nel
1874. Nel 1906 gli impressionisti sono una cosa ovvia, da almeno 20 anni facevano parte di
tutte le collezioni dei ricchi borghesi, era la pittura ufficiale, aveva superato l’accademia.
Cassirer è come se dicesse “siamo stufi di vedere questa pittura a filamenti che vuole
restituire soltanto l’immagine retinica della natura, cerchiamo qualcosa che sia in grado di
proiettare sull’esterno ciò che agita le anime”. Proietta sull’esterno ciò che sono le gioie, i
dolori, le angosce che l’artista ha rispetto al mondo che lo circonda (Munch lo aveva già
fatto in maniera evidente). Anche i Fauves sono espressionisti, ma non erano mai stato un
gruppo e nel 1906 erano già finiti, il primo vero gruppo lo fanno i tedeschi ovvero Kirkner.
Sfondano solo nel 1912, sotto l’ala protettiva di Cassirer. Il gruppo si scioglie poi con la
guerra.
L’espressionismo de “Il Ponte” non si sposta solo verso Vienna, ma per tutta la Germania
verso l’altra capitale della secessione, ovvero Monaco di Baviera. Ha dei campioni artistici,
come Franz Von Stuck. A Monaco alcune gallerie d’arte portano le opere dei francesi e la
modernità. Nel 1901 si crea proprio a Monaco un terreno così ricco di spunti e stimoli, Von
Stuck crea un movimento che si chiama “Falange”. Si organizza anche come galleria
espositiva come le secessioni e, pe questa ragione, Monaco diventa attrattiva per i giovani
talenti, come Kandinsky. Questi giovani artisti decidono di trasferirsi dalla città alle
campagne bavaresi: è il periodo in cui Kandinsky fa una serie di paesaggi con
caratteristiche espressioniste, che cerca una mediazione tra il colore espressionista ma con
pennellate rettangolari che prende da Van Gogh.
Sono questi gli anni in cui il giovane Kandinsky decide di fondare, con un amico (Franz
Mark) un gruppo che si dota di una rivista, “Il Cavaliere Azzurro”: è la versione, a Monaco,
dell’espressionismo tedesco. L’idea che sta a monte di Franz Mark è di attribuire al
paesaggio e agli animali dei valori simbolici, i valori hanno sempre valore simbolico
metaforico e non naturalistico. La collocazione dell’animale non rispetta spazialità e
proporzione, è come un sogno primitivo (opera “La mucca gialla”).
Schiele dipinge un villaggio fuori da Vienna dove ritorna sempre questa linea grafica, ma
hanno in comune lo straniamento, il luogo e il treno sono privi di figure umane, non è la
descrizione di un luogo di vita. È il 1910 la data di snodo di questo avvenimento, di questo
linguaggio.
20/04/2021 - 2^ LEZIONE
Torniamo al concetto di Balla della ragazzina che corre sul balcone, come esempio di come
l’avanguardia (è una definizione data a posteriori a queste situazioni di sperimentazione)
ha inserito la quarta dimensione (movimento) nell’arte, con conseguenza della
compenetrazione dei corpi, su cui in particolare Balla lavora. I titoli cambiano
profondamente, Balla poi si firmerà come Future Balla: i titoli definiscono il teorema
rappresentato nella tela, come ad esempio in “Espansione dinamica più velocità”. Quello
che rappresenta qui è la ruota di un’auto che viene fissata in corsa (non vediamo l’auto ma
il suo movimento) con alle spalle la città. Questo corpo che si muove non si muove nel
vuoto ma dentro una materia che è l’aria, e quindi espande sé stesso in modo dinamico, a
cui si lega la velocità con il quale penetra nello spazio. È un rapporto fisico tra corpo,
velocità e compenetrazione spaziale.
Matioski ha una visione misticheggiante dell’arte, dice ai suoi allievi (ha una scuola di
pittura) che il mondo non va visto con gli occhi fisiologici ma con il corpo. Lui andava con i
suoi allievi in un parco pubblico dove dovevano disegnare un laghetto, ma li faceva girare,
non potevano guardare il lago, dovevano percepire con gli occhi della mente e con lo
spirito che sta nel nostro corpo. Erano le teorie teosofiche, dove Dio non è quello degli
altari ma lo spirito della natura dell’universo che ti circonda, che devi percepire con tutto
te stesso.
Nel 1912 c’è una terza mostra che si intitola “La coda
dell’asino” (perché sui giornali escono articoli che
commentavano questi artisti, che si diceva
dipingessero con al posto dei pennelli la coda di un
asino). Quella che sembrava un’offesa diventa il titolo
di una mostra, e in questa occasione Natalia presenta
4 tele montate come un polittico, “I quattro
evangelisti”. Qui vediamo il risultato dell’influenza
dell’espressionismo tedesco, come ad esempio le
figure allungate come nelle sculture gotiche, la linea
nera che delimita, la deformazione dei volti e l’appiattimento delle figure. Abbiamo una
chiara ricaduta dell’espressionismo tedesco sulla cultura dei giovani russi.
Larionov, il marito di Natalia, presenta un manifesto che chiama “Programma del Neo
primitivismo”: anche loro abbracciano l’idea che la pittura contemporanea debba attingere
alle fonti dell’arte primordiale.
Cominciano i contatti tra la Russia e i futuristi (stessi anni). Nel 1913 comincia
l’Avanguardia cubo futurista russa, viene aperta una mostra che si intitola “Bersaglio”
organizzata da Natalia e il marito in cui viene presentato il manifesto scritto dei raggisti e
dei futuristi russi. Larionov fa tesoro delle parole pubblicate nel 1909 da Marinetti e
presenta il manifesto di un’arte non imitativa, come quella dei futuristi, ma propone
qualcosa di più: la rappresentazione non rappresenta l’elemento (né smontato né
compenetrato), si dovrebbero invece rappresentare sulla tela i raggi di luce e di colore che
vengono dall’oggetto colpito dalla luce. Non l’oggetto ma il suo riflesso luminoso, da qui il
nome del movimento Raggismo.
In “Testa di bue” vediamo delle pennellate grigie e gialle che sembrano attraversare
l’animale e costituire l’oggetto del dipinto. La semplificazione è geometrica ed infantile,
primitiva, perché ciò che interessa l’artista (Larionov) è fissare sulla tela non il volume
dell’animale (come i cubisti), non la compenetrazione (come i futuristi), ma l’emanazione
di luce e colore che viene dall’oggetto.
“Campo verde”, Natalia Goncharova, ci fa vedere non l’erba e le piante, ma delle striature
di verde, bianco e blu come se fossero linee/raggi che si intersecano, sono i raggi della luce
naturale che colpiscono l’occhio della pittrice.
Nel 1913 la realtà d’avanguardia della Russia di quel momento è assestata sul tentativo di
fondere i linguaggi del cubismo francese e del futurismo italiano in questa nuova via del
cubo futurismo suprematista (alle estreme conseguenze).
1913, copertina di un testo teatrale, il disegno della copertina è qualcosa che sembra
astratto e di Kandinsky. I dialoghi dei personaggi sono incomprensibili, non hanno nulla di
coerente. Questa umanità che dice cose che non hanno senso vince alla fine il sole, il sole
naturalistico è sostituito da un sole astratto, visto come un quadrato nero. È il sole
naturalistico che tramonta e la salita di questa forma suprema che è il quadrato nero.
Quest’opera sarà messa in scena ancora dopo la rivoluzione nel 1920 in cui si useranno al
posto degli attori e delle parole incomprensibili delle macchine, delle specie di robot che
producono suoni e rumori.
Il suprematista Malevic teorizza che il suprematismo è il punto più alto della creazione
artistica e che si occupa solo della suprema forma assoluta dell’arte. Scoppia la rivoluzione
ma gli artisti di cui abbiamo parlato partecipano alla rivoluzione, ci credono e pensano che
la loro arte sia stata propedeutica alla rivoluzione, perché è un’arte che deve parlare a una
società nuova e di eguali (comunismo, un mondo in cui l’egualitarismo era la ragione). Nei
primi anni della rivoluzione, fino alla morte di Lenin, gli artisti che partecipano alla
rivoluzione sono davvero convinti di aver dato un aiuto fondamentale. Con la rivoluzione la
Russia si toglie dal conflitto mondiale e nel 1919 si organizza una sorta di movimento
artistico che è quello degli artisti russi per la propaganda politica (tra cui ci sono anche
alcuni di quelli che abbiamo trattato): realizzano un treno con delle carrozze che vengono
dipinte all’esterno e organizzate all’interno con immagini di tipo suprematista (quadrati,
rettangoli, elementi lineari) che devono restituire l’idea dell’energia della rivoluzione. Il
treno percorre tutte le terre russe (la rivoluzione scopre a San Pietroburgo), per qualche
anno si muoverà e quando trova un villaggio di contadini si ferma, la gente sale e vede dei
film con Lenin che parla, vedono nei vagoni dei quadri di questo tipo, eccetera. È un’arte di
propaganda ideologica che usa gli strumenti usati nel cubo futurismo e suprematismo. Si
applicano anche agli oggetti di tipo domestico, vediamo un servizio da the con le forme
geometriche del suprematismo, è la bellezza dell’oggetto supremo che entra nelle case di
tutti.
22/04/2021 – 3^ LEZIONE
Boccioni: il ragionamento che fa è qualsiasi corpo presente nello spazio non occupa un
vuoto, ma sposta lo spazio che ha un corpo a sua volta. Qualsiasi corpo che si muova,
interagendo con questo altro corpo, i due elementi si scontrano e si smontano in tante
molecole, ricomponendosi con una velocità dal nostro occhio non percepibile.
Nulla è fermo, tutto è in perenne movimento, perché è sulla terra che è in movimento.
Quello che vuole indicare è la perenne dinamicità di qualunque corpo nello spazio.
DADAISMO
È l’ultima delle avanguardie a nascere, perché la sua data di nascita (del movimento,
perché ha un manifesto) è il 5 febbraio 1916. Questo avvenimento ha un luogo specifico,
Zurigo, la guerra è già iniziata da un anno e sta già travolgendo tutta l’Europa tranne la
Svizzera. Qui si sono rifugiati degli artisti di nazionalità diversa per sfuggire al richiamo
della guerra, erano tutti o anarchici o pacifisti. La parabola di questo movimento dura
poco, come tutte le avanguardie, sono momenti di sperimentazione e di dibattito critico
ma, in quanto piccole élite di intellettuali, durano poco tempo ma lasciando tracce
indelebili. Il dadaismo si conclude nel 1921, quando quegli artisti sono tornati nella propria
patria, in un’Europa cambiata. All’interno di questi anni, il dadaismo elabora una serie di
linguaggi, idee, contenuti e approccio al fare artistico talmente rivoluzionarie e distruttivi
rispetto ai percorsi dell’arte precedenti. Rompe in modo definitivo con il passato. Il 5
febbraio del 1916 è anche una data che precede una battaglia, una delle più tragiche del
primo conflitto mondiale. Il loro incontro avviene per merito di Hugo Ball, il quale era
giunto a Zurigo proprio alla fine del 1915 con la sua compagna dalla Germania. L’anno
successivo, il 1916, Ball apre un caffè letterario, era luogo di aggregazione dei giovani
rifugiati lì: viene chiamato Cabaret Voltaire. Cabaret perché su modello dei caffè francesi e
viennesi, luoghi di ritrovo in cui si fa musica, arte, discussioni, erano luoghi in cui la vita
sociale e sperimentale si svolgeva. Voltaire in omaggio al grande filosofo illuminista (Ball
era un filosofo), dava segno contrario alla follia e brutalità irrazionale della guerra. In breve
tempo diventa un punto di incontro, ad esempio per Zarat (?), autore di molti testi e forse
autore del termine che ha identificato il movimento. L’attività del Cabaret ha esposizioni
diverse, che però hanno come tema delle situazioni di chiara polemica nei confronti della
cultura borghese, che viene attaccata e derisa attraverso modalità espressive del tutto
nuove, che per la loro capacità di sarcasmo servono anche, al di là dei contenuti, a rendere
evidente la polemica nei confronti di quella cultura borghese. Ad esempio, l’uso sia verbale
che scritto di parole incomprensibili, combinazioni di parole che non hanno significato, più
i rumori del futurismo, che avevano fatto entrare nei loro spettacoli l’idea che non ci
fossero più i suoni degli strumenti ma i rumori. Utilizzavano anche la tecnica del collage
inventata dai cubisti, che diventa uno strumento per creare significati innovativi. Il
dadaismo prosegue quello che già i futuristi avevano messo in campo, le serate futuriste,
momenti di incontro con il pubblico già dal 1910, serate con recitazione di poesie futuriste,
utilizzo di rumori, abiti e costumi di scena, maschere ecc. I dadaisti fanno tesoro delle
avanguardie che li hanno preceduti, hanno come elemento comune questi obiettivi:
- Ironia
- Gioco, attività artistica come attività ludica ma preso seriamente, serve a ribaltare le
relazioni, a invertire l’rodine dei fattori della realtà per trovare altre chiavi di
interpretazione
- Interesse per un linguaggio insensato come quello dei bambini
- Provocazione, obiettivo di mettere lo spettatore in difficoltà, provocare il pubblico
in tutti i modi possibili serve per far scattare nelle loro menti una riflessione, un
punto di vista diverso di guardare la realtà.
Dal punto di vista politico, il dadaismo incarna lo spirito anarchico che si era configurato sul
finire dell’800 e che aveva preso piede nella situazione europea nel primo decennio del
‘900. I dadaisti sono lontani dalle utopie socialiste, nessuno di loro abbraccerà la
rivoluzione bolscevica, nessuno di loro diventerà comunista, e altrettanto si tengono
lontani dai nazionalismi, che si erano già scatenati ma si scateneranno ancora di più col
consolidarsi dei regimi totalitari di Italia, Germania e Spagna. Sono anarchici nel senso più
ampio del termine, non accettano vincoli e regole, il loro obiettivo è il ribaltamento dei
linguaggi umani. Nel manifesto ricorre spesso “la morte dell’arte”, quello che fanno
seppellisce tutto quello fatto fino a quel momento, ma non pretendeva di essere altro che
un evento, per poi sparire. Nel 1916, dopo la fondazione ufficiale, Ball e il gruppo organizza
la prima serata dadaista, in cui Ball leggerà al pubblico il manifesto dada e reciterà una
poesia scritta da lui costituita da suoni senza significato, da parole onomatopeiche,
indossando un costume di cartone che impediva a Ball qualunque movimento,
contraddiceva la sua funzione: un abbigliamento per una recita teatrale che prevedrebbe
un’azione dei movimenti, diventa una camicia di forza fatta di cartone che blocca l’attore e
impedisce i movimenti. I dadaisti demoliscono l’arte del passato ma non ne creano una
nuova, davanti alla insensatezza di un conflitto che stava distruggendo il mondo non aveva
senso neanche costruire un’arte che avesse una continuità e un percorso, fanno solo
eventi che terminano nel momento in cui sono stati fatti. Che poi ci siano rimaste delle
testimonianze fa parte delle dinamiche del fatto che realizzavano degli oggetti e qualcuno
li ha conservati, ma nel manifesto si legge che l’arte è finita e non se ne può fare un’altra.
Il dada è fatto di oggetti e forme che non hanno senso e relazione, è il caos, la
combinazione casuale ma è un atteggiamento mentale, non è un quadro o un discorso
politico, è il ribaltamento dello statuts quo, l’inaspettato è il valore estetico del
movimento. In questa opera vediamo una macchina da scrivere e una scarpa,
combinazione che non ha senso.
Breton, surrealista, dice che l’arte combinatoria come questi fotomontaggi saccheggia,
attinge alla profondità della psiche dell’artista, ci sono visioni che vengono esplicitate sulle
tele o nelle composizioni. Il risultato è che abbiamo davanti agli occhi qualcosa di surreale,
hanno caratteristiche realistiche apparentemente ma che raccontano qualcosa che non è
reale. Breton dice che la bellezza assoluta surrealista consiste nell’incontro su un tavolo
operatorio di un ombrello e una macchina da cucire, che non ha senso. Dobbiamo andare
oltre le parole, che per i surrealisti hanno valore simbolico: il tavolo operatorio serve sia
alla dissezione dei cadaveri, a distruggere le forme ma anche il luogo dove si
ricompongono, è la mente dell’artista che come un chirurgo compone e decompone. Nel
mondo surrealista, l’elemento erotico è fondamentale (viene dal dadaismo), inteso come il
rapporto tra universo femminile e maschile fatto di scontri e incontri. Ombrello è un
simbolo fallico, macchina da cucire è legata al mondo femminile e, insieme sul tavolo,
danno vita ad un oggetto che è insieme sia maschio che femmina. I dadaisti avevano
messo in campo proprio questo concetto, l’androgenia, perché il superamento dei generi
va abbattuto anche in questo modo, non solo rifiutando le regole del senso comune.
Ritengono che l’opera d’arte dadaista sia la sintesi dei due opposti, dell’elemento maschile
e femminile che si fondono in un unico genere che contiene tutti e due. Duchamp si
inventerà un alter ego femminile, si farà fotografare vestito da donna proprio con questa
motivazione, voleva smarcarsi dall’idea dell’identificazione del genere e rappresentare
l’artista come combinazione di due caratteri e inconsci diversi, maschile e femminile.
4^ LEZIONE – 26/04/2021
FUTURISMO, AEROCERAMICA/AEROPITTURA
Vediamo una parte del futurismo che si sviluppa dopo la parte eroica negli anni ’20 e ’30.
Questa produzione di ceramiche futuriste (in particolare Albisola) avrà un momento di
risalto nell’ottica dell’estensione del pensiero futurista. Albisola è un piccolo borgo ligure
vicino a Savona.
Se all’inizio del futurismo avevamo un’estetica più legata al dinamismo e alla velocità
(moltiplicazione dei piani), nella seconda parte del futurismo (anni ’20) l’attenzione si
sposta sulla dimensione aerea del volo, vedremo come l’aero ceramica intercetta questo
tipo di sensibilità.
Protagonista di questa svolta futurista è Tullio d’Albissola (nome d’arte), nato come
Spartaco Mazzotti. È un ceramista, un leader per la comunità artistica locale e regionale (e
poi italiana) ma è anche poeta e scrittore. In questa fabbrica di ceramiche instaura molti
legami, ad esempio con Fontana. È quell’elemento di connessione con l’arte, la fabbrica
produceva ceramiche industriale, non era un ambiente artistico tranne che per Tullio.
Per capire come nasce questo tipo di estetica nella ceramica, vediamo che fino agli anni ’20
le produzioni di ceramica avevano riferimenti orientali od esotici, non hanno nulla di
futurista. Nel 1925 si organizza a Parigi l’esposizione internazionale di arti decorative
moderne: vengono ospitate anche le manifatture italiane, esiste un padiglione di ceramica
ligure, sappiamo che Tullio partecipa. Vede qui l’esposizione e c’era il padiglione dell’arte
futurista, respira questo fermento che in Italia era più difficile vedere in tutta questa
ricchezza. Vede anche il padiglione dell’unione sovietica, sono ceramiche diverse ed hanno
decori astratti e geometrici.
La ricostruzione futurista dell’universo firmata nel 1915 (dieci anni prima di queste cose)
pensava di realizzare questa fusione totale tra tutte le arti ricreando l’universo.
Negli stessi anni esiste in Germania una scuola di design famosissima, il Bauhaus, che tra i
suoi laboratori ne ha anche uno di ceramica, vediamo delle forme di produzione seriale.
Vediamo le prime ceramiche futuriste: due anni dopo che Tullio è a Parigi, senza pensare di
essere futurista, nel 1927 arriva a pensare a un vaso distante dalla ceramica che fino a quel
momento si è fatta. Pochi anni dopo abbiamo un piatto dipinto con non più decori bianchi
e blu, ma con parole, lettere, cifre, oppure la città riprodotta in stile razionale (è la sua
fabbrica che si immagina nel futuro, nel 2000). Siamo nel ’29, anno della crisi petrolifera
americana (l’Italia ne accuserà).
Nel 1932 Tullio affida a un architetto la progettazione della nuova fabbrica. In piena crisi
riescono a fare questo, credono nel progetto futurista dell’architetto che aveva studiato al
Bauhaus (Diulgheroff). Vediamo un edificio che a confronto dei piccoli laboratori spicca, è
costruito come fossero tanti corpi inseriti uno nell’altro: c’è un grande corpo blu, un cubo,
in cui si inserisce un volume giallo che è la scala, mentre davanti c’è la vetrina. Si ospitava
parte produttiva, showroom e parte abitativa. Anche questa ha l’estetica del motore, ci
sono degli elementi decorativi (sfera, angolo retto, quadrato).
Nel servizio da the che vediamo si riconoscono pezzi di meccanica, cerniere e rondelle, non
è nulla di poetico. Il coperchio è asimmetrico, questo serve ad accentuare il dinamismo
dell’oggetto che è sempre sotto il movimento della terra. Anche l’idea del decoro ad
aerografo crea un effetto di sfumatura che da sempre l’idea di oggetto in movimento.
Un altro aspetto importante è il rapporto con l’industria per le quali la ceramica è perfetta
come gadget, es. un posacenere con la pubblicità (es. Zurigo assicurazioni o Campari,
disegnata da De Pero).
Si arrivano a progettare anche mobili, come fa Giovanni Acquaviva. Fa una linea di mobili
che però non vengono mai prodotti se non per la sua casa e quella di pochi altri. Questa
ricostruzione dell’universo fa avanti e il futurismo va avanti con la sua rivoluzione del modo
di vivere della società.
A quell’epoca come venivano allestiti questi oggetti? Si creava un ambiente domestico, con
mobili e cuscini. La Brocca Baker è ispirata a Josephine Baker, showgirl americana di colore.
Ci sono dei riferimenti culturali che per l’epoca rendevano l’oggetto desiderabile ed
accattivante.
Famosa serie di Tullio è “Fobia antimitativa”, vediamo un vaso fatto da due corpi
asimmetrici e sull’ansa c’è scritto il titolo della serie. Fa cose particolari per combattere la
sua paranoia di essere imitato, difficilmente fa qualcosa uguale ad altri.
COS’E’ L’AEROPITTURA E COME E’ NATA?
Vediamo un catalogo del 1931 della prima mostra di aeropittura dei futuristi, c’è Balla,
l’architetto Diulgherof e altri personaggi citati prima. Il manifesto dell’aeropittura è dello
stesso anno ed era stato preceduto nel 1929 da un testo di Marinetti, “Prospettive del volo
e aeropittura”, in cui ha questa intuizione che anche il volo è una sfera di influenza
importante per la modernità, quindi comincia a pensare a un’aeropittura. Questa ha
diverse estetiche, di cui una è quella più letterale. Tullio Crali sposerà questa estetica e
compone questo quadro: vediamo un pilota di spalle, è un ambiente immersivo in cui
dominano la velocità e la follia di questa picchiata verso la città schematizzata, sono
strutture geometriche. Anche la scocca dell’aereo è un elemento importante, che si
compenetra nello spazio.
Sempre di Crali vediamo “Il paracadutista”, è in una posa plastica in cui allarga le braccia e
si vedono le macchie della terra che si compenetrano con le linee di forza della velocità.
Tato, artista di Bologna, vediamo un aereo che fa un volo acrobatico, è un altro aspetto
dell’aeropittura. Sono quindi:
Altro pittore interessante è Gerardo Dottori, che nel 1932 ci dice che non è essenziale
avere un pilota o un aereo. Vediamo una visione aerea, aldilà dell’aereo si vede la visione
aerofuturista di un’altra dimensione. Dottori ci fa intuire come l’aeropittura sia un modo
per accedere a varchi e ad altre dimensioni, usa colori astratti, c’è l’idea di una diversa
spazialità del cosmo.
L’aeropittura nasce dal brivido del volo e di provare le diverse arti mentre si è in volo
(leggere poesie mentre si vola, dipingere, suonare).
C’è un contesto storico culturale che agevola questa tendenza futurista: esiste un teatro
aerofuturista, ci sono giovani scrittori, nel ’41 esce il manifesto Essenza del Futurismo,
ovvero il Manifesto di Aeropittura Maringuerra. Tra anni ’30 e anni ’40 c’è il problema della
guerra mondiale che bloccherà tutti questi sogni. Anche le copertine dei libri dell’epoca
sono notevoli, ce ne sono molti a tema aereo ed anche le riviste ne parlavano.
Fillia, pittore che interpreta l’aeropittura in modo totalmente innovativo, qui non c’è la
descrizione del volo e delle case lontane, siamo in un’astrazione fortemente simbolica: la
sfera rossa con l’incursione della griglia, questo tipo di costruzione lo rivediamo in elementi
tridimensionali come un vaso di ceramica. Ormai l’aeropittura è un tema fortemente
spirituale che trasporta l’osservatore verso un’altra concezione non solo del mondo ma di
tutto l’universo.
Ci sono poi delle sculture aeroceramiche che ci fanno capire come alla fine accostare
questi volumi diventi una prassi.
Pacetti, realizza sculture ed oggetti come una maschera antigas, siamo nel ’32, è in
ceramica con un tubo di gomma (polimaterico) orientato all’estetica bellicosa.
Ultimo aspetto legato alla latta, materiale innovativo del tempo. Queste lastre di alluminio
modellabili ispirano i futuristi per creare il primo libro di latta: ci sono due edizioni, pensato
da Tullio d’Albissola. Contiene un aeropoema di Marinetti, ci sono grafiche di diversi autori
che accompagnano le poesie di Marinetti. Il secondo libro di latta è di poesie di Tullio
d’Albissola, Anguria lirica, accompagnato da disegni di Bruno Munari. L’immagine non è
descrittiva, non accompagna ma è interpretativa del senso della poesia. La latta è un
materiale industriale usato in quegli anni anche per gli aerei.
Siamo alla fine degli anni ’30, inizia la guerra, Marinetti muore nel ’44 ed inizia un’altra
storia, quella delle collaborazioni del dopoguerra di Tullio d’Albissola.
Grazie al futurismo e all’inclusione degli artisti nella fabbrica di ceramica nasce una nuova
era dell’arte, c’è spazio per la sperimentazione artistica (che accadrà nel dopoguerra).
La ceramica è un medium che si è molto prestato nel corso dei secoli, segnatamente nel
‘900, come un medium sperimentale che ha spinto in avanti le dinamiche artistiche.
Uno dei contributi fondamentali della trasformazione nel mondo contemporaneo si deve a
quello che è stato creato al Bauhaus, padre dell’industrial design, ed è cambiato anche
grazie a questi artisti ceramisti.
Ceramica multitattile ingloba degli elementi anche estranei (metalli, materiali organici) in
modo di creare degli effetti che al tatto sono diversi. L’oggetto perde la funzione di essere
un vaso per diventare un’esperienza tattile.
5^ LEZIONE
RITORNO ALL’ORDINE
L’attività di Duchamp e del dadaismo prosegue fino agli anni ’60, rispetto a questo discorso
delle spinte d’avanguardia è necessario mostrare cosa succede con la fine delle
avanguardie e che reazioni ci sono quando la spinta potente e breve di queste si esaurisce.
Si esaurisce in realtà per una ragione intrinseca all’avanguardia, che di per sé porta i germi
della sua fine. Queste sperimentazioni su cui abbiamo ragionato hanno una propria energia
come una meteora, perché l’immissione di principi nuovi di un manipolo ristretto di
individui non regge al peso del rapporto con un pubblico che rifiuta questo tipo di
esperienza. Non vuol dire però che non lascino tracce profonde, tutto il secolo è stato
trasformato da esse, ma le tracce emergono dopo tempo ed in forme diverse. Gli artisti
(es. Picasso) cambiano moltissimo nel corso della loro vita, mantenendo una sostanza
unitaria coerente ma che cambia nel corso del tempo. La forza di Picasso era quella di
continuare a cercare e sperimentare cose diverse, non a ripetere dei meccanismi. Ci sono
delle situazioni che coincidono con lo scoppio della guerra, le avanguardie e la loro crisi
cade in questo momento dove si stavano tentando aperture nuove.
COSA SUCCEDE NEL PRIMO DOPOGUERRA? La guerra finisce, chi aveva scatenato la guerra
ovvero l’impero germanico e austro ungarico, retaggio di un secolo precedente, finiscono e
diventano repubbliche. Trasforma istituzionalmente i rapporti sociali e le persone di questi
stati, si hanno esigenze diverse anche rispetto al mondo dell’arte. C’è anche un
cambiamento psicologico, c’è un atteggiamento diverso. Il mondo deve affrontare
problematiche diverse, la Germania è divisa tra una classe borghese molto ricca (avevano
fornito le armi per la guerra con le acciaierie), e una grande massa di popolazione è priva di
lavoro (magari perché mutilati per la guerra). Le madri e le donne avevano portato avanti
l’industria bellica ma al ritorno degli uomini fanno le operaie, le prostitute, sono
sottopagate. Esplode un’inflazione enorme che porta a tensioni sociali che danno ascolto a
dei movimenti populisti e nazionalisti di cui il nazismo è l’esempio più esplicito. Gli artisti
come rispondono a questa trasformazione? C’è una formula ideata da un poeta francese
che è “Un richiamo all’ordine”: si torna all’ordine che è inteso come se gli artisti
dell’avanguardia, compresi alcuni dei dadaisti, davanti all’orrore della guerra decidano di
tirare i remi in barca, di non sperimentare più e di rimeditare e recuperare certi valori
dell’arte precedente alle avanguardie. È come se rispetto alle deformazioni e alle
provocazioni si cerca qualcosa di più solido e concreto, si guarda ai maestri del passato, c’è
un recupero dell’arte come immagine del reale e si consolida il fare artistico. Ma non è un
ritorno all’ordine nostalgico, è di necessità, perché le avanguardie si erano esaurite e si
guarda al passato ma con gli occhi di chi ha sperimentato la novità del moderno. Non è
imitazione, è riprendere certi modelli riempiendoli di valori contemporanei. Non si può
parlare di avanguardia in questo caso.
Tra il 1919 e il 1939 cosa succede? Succede qualcosa che da un lato è l’eredità dei futuristi,
degli aeropittori, dall’altro è un’eredità dei dadaisti. Si tratta di seconde generazioni sui
temi delle vecchie avanguardie.
Quale arte si esercita in questi 20 anni? Una delle esperienze più precoci, siamo nel 1914, è
quella che sarà chiamata Temperie Metafisica, che si identifica con De Chirico.
Vediamo un dipinto del 1916, si trova in Italia a Cortona, città dove l’artista era nato e alla
quale lascia alla sua morte una serie di opere.
Gino Severini era un futurista che si era trasferito a Parigi
lasciando Milano dove aveva conosciuto Marinetti. Entra in
contatto a Parigi nel 1910 con le punte di tutte le avanguardie,
Picasso, Braque, Modigliani. Ma aveva mantenuto fede alla
pittura futurista, che poi nel primo dopoguerra riprende. Ci sono
dipinti di Severini degli anni ’20 in cui riprende il linguaggio
futurista, ma c’è una fase in cui la abbandona: 1916, il titolo
dell’opera è “La maternità”. La modella e sua compagna aveva
dato alla luce il loro figlio e la dipinge mentre allatta. Com’è
possibile che un pittore futurista dipinga questo? Possiamo
capirlo sulla scorta di alcune lettere in cui spiega che a ridosso
dei mesi che precedono questo lavoro si era reso conto che la
dinamica del linguaggio futurista cominciava a mostrare segni di
debolezza, davanti al fatto che si chiedeva se fosse possibile trovare un linguaggio artistico
nuovo che ridesse solidità e volumetria alle immagini, ma senza cadere nel meccanismo
dei cubisti che lui non condivideva, per quanto fosse loro amico. Questo perché ha
frantumato il mondo reale trasformandolo in elementi frammentati che restano immobili,
ancorati a un’idea di visione dell’arte basata sulle tre dimensioni. Comincia in quel
momento a guardare la tradizione della pittura italiana delle origini, guarda i maestri del
‘400 (Giotto, Masaccio, Piero della Francesca), che non hanno nulla a che fare con la
classicità in senso rinascimentale ma che propongono dei volumi essenziali che non sono
deformati come nei cubisti, ma rigorosi. È una pittura che da un lato non è realistica e
accademica, e dall’altro non è frantumata come la pittura cubista e futurista. La moglie
viene rappresentata in un’opera che apparentemente è mimetica, tutta l’ambientazione è
però sparita. Si intravede una sedia ma è lievemente inclinata, non c’è un pavimento e un
orizzonte. Le pieghe della camicia sono studiate in modo realistico, ma il volume della testa
è vicino a Piero della Francesca. C’è sul fondo di questa figura una maternità alla Piero
della Francesca, Severini riguarda alla storia per elaborare un linguaggio nuovo che non
passi per la frantumazione. Ma è l’unica volta che lo fa, dopo la guerra quando ricomincia a
dipingere torna al futurismo. Ma è interessante perché si
vede che nel mondo futurista si sono aperte delle falle,
c’è un ritorno all’ordine.
LEZIONE 6^
Affrontiamo cosa accade sullo scadere del ventennio che ha seguito la Prima guerra
mondiale.
Opera che si colloca quasi sullo scadere di questo ventennio, dopo di essa nulla sarà più
come prima. C’è chi la abbraccerà e chi la rifiuterà, è un’opera talmente potente che
diventa anche un macigno. Assisteremo a una reazione a quest’opera intitolata “Guernica”.
È una storia che si lega profondamente alla storia europea e ad una sensibilità dell’artista:
1937, Picasso non ha mai aderito ufficialmente ai surrealisti e non ha mai abbandonato
l’esperienza cubista.
Nel 1936 il governo spagnolo era stato eletto con elezioni democratiche, la monarchia
aveva finito il suo percorso e nasce una repubblica. Il partito socialista vince le elezioni, il
governo ha delle ispirazioni vagamente marxiane. Subito si scatenarono delle reazioni e
venne avviata una guerra civile a cui parteciparono come combattenti anche persone
dall’Italia e dalla Germania per difendere la Repubblica.
La repubblica in realtà aveva dato l’adesione all’inizio del suo mandato alla partecipazione
all’esposizione universale di Parigi del 1937. Le opere erano già state commissionate, una a
Mirò e una a Picasso: dovevano rappresentare lo spirito della Spagna. Picasso non ci lavora
se non a ridosso della consegna di quest’opera, aveva solo l’idea di usare il toro come
simbolo della Spagna. A ridosso dell’avvio della grande tela la situazione in Spagna sta
precipitando, ci sono
scontri ed omicidi.
Naturalmente
chiedono aiuto a
Hitler e una
squadriglia nazista
bombarda il paese
basco di Guernica,
era uno dei centri
della resistenza che
si svolgeva sui
sentieri dei Pirenei. Viene completamente distrutto uccidendo molti civili, anziani, donne e
bambini. Questo avvenimento del ’37 è gravissimo. Sul posto arriva anche la donna che in
quei mesi era la compagna di Picasso, Dora, era una fotografa e va a documentare. Picasso
ne resta così frastornato e cambia il tema del quadro, la spagna è sempre il soggetto ma
non quella della repubblica, è quella vittima di una ferocia cieca nella notte del
bombardamento e la Spagna che reagisce ad una tragedia, che lui già vede proiettata in
una guerra che coinvolgerà il mondo. È in bianco e nero perché la sua scelta è quella di
dare vita ad un grande quadro di storia dove il colore sparisce perché non c’è colore che
tenga davanti alla tragedia. È come se avesse proiettato sulla tela l’essenzialità e la
tragicità di Guernica pubblicata sui giornali. Per questo quadro recupera molto del
linguaggio cubista, frammenti di corpi, teste, braccia, frammenti di umanità e
compenetrazione degli oggetti (dal futurismo). Vediamo una donna a destra urlante con le
braccia aperte dentro la sua casa, i triangoli sono le fiamme; vediamo una donna che tiene
una lampada a petrolio, è la luce della speranza di salvarsi. Il guerriero con la spada
spezzata è la repubblica che è stata colpita a morte; il cavallo impazzito e morente è al
centro, c’è una luce gelida per tutto il dipinto. In questa tragedia non c’è neanche Dio, non
può essere evitata. Finisce con la madre urlante e il bambino morto fra le sue braccia; il
toro che si alza è la reazione del popolo spagnolo, è la Spagna che prende coraggio e
combatte contro la guerra. Il dipinto viene concluso in poche settimane, abbiamo la moglie
che lo fotografa nelle settimane in cui realizza il quadro. Viene poi esposto a Parigi nel
padiglione spagnolo, è un quadro che colpisce e rinnova l’avanguardia cubista. Ci sono
anche molte polemiche.
Alla chiusura dell’esposizione Picasso non era stato pagato perché le truppe avevano preso
il potere in Spagna, dove si instaura una dittatura di matrice fascista governata da Franco.
Picasso non rimanda il quadro in Spagna e rimane di sua proprietà. Fa girare il quadro per
la Francia in esposizione che servono per mandare denaro alle famiglie dei repubblicani
spagnoli che erano morti.
Scoppia poi la guerra e davanti al nazismo che dilaga il quadro viene mandato a Londra,
dove parte per gli USA, con la stessa ragione di raccogliere fondi. Guernica rimane dove era
esposta, al MoMa: resterà anche dopo la fine della guerra fino a quando nel suo
testamento lui diceva che lasciava il quadro alla Spagna solo quando sarebbe finita la
dittatura. Avviene negli anni ‘’70, trasforma la Spagna in una monarchia costituzionale e a
quel punto Guernica ritorna in patria, dove viene collocata nel museo a Madrid dopo
essere stata esposta in un edificio vicino al Prado in una proprietà del re. Il museo Reina
Sofia è dove si può vedere questo quadro. Tutti gli artisti hanno visto e studiato questo
quadro, chiunque ce l’ha in mente: gli artisti di cui parliamo stamattina lo hanno visto dal
vivo e sono gli artisti americani. È un’avanguardia statunitense, che non sa di essere
avanguardia e non si costituisce come gruppo organizzato, non stila un manifesto (un
critico solo li descriverà). Tutti hanno cominciato a compiere un percorso di trasformazione
davanti a Guernica, tutti sono passati da qui.
Cos’è questa avanguardia? Prenderà il nome di “Informale”, cioè un linguaggio che rifiuta
la forma. C’è un punto di distacco molto chiaro: Kandinsky si trattava di quadri in cui la
scelta era l’astrazione, stesura di colori dove era sempre tenuto a mente l’equilibrio.
L’informale rifiuta il controllo razionale e qualsiasi organizzazione a priori dell’immagine
pittorica, anzi procede (è un’arte processuale) da un’azione che ha davanti a sé la tela
vuota, ha i colori dall’altra parte, e tutto il percorso che porto all’atto finale è l’opera
d’arte. È il processo che produce l’oggetto pittorico che vediamo alla fine, che non è
un’opera costruita seguendo degli equilibri e delle forme, è solo la rappresentazione di un
caos in azione. È il rifiuto che l’arte possa rappresentare qualcosa, anche nel modo più
astratto possibile, l’arte non rappresenta niente. È l’idea di rappresentare le tensioni
esistenziali dell’artista, le sue paranoie, la sua felicità, la tragedia complessiva dell’essere
umano.
Alla fine della guerra c’è l’evento nucleare, che lo colpisce molto. Smonta quegli elementi
totemici e surreali: vediamo una composizione, un dipinto lungo una 15ina di metri che
aveva distribuito nel suo appartamento. Sono forme sciolte e distrutte di un’umanità che
non è più umanità, non c’è una
direzione, è tutto mescolato. È come
una Guernica, un urlo contro la guerra,
racconta una disperazione interiore e
una proiezione di quello che sta vivendo
l’umanità.
A partire da questo, Pollock tra il 46 e il 47 comincia a superare l’idea che la tela sia un
racconto. Si stacca come per trovare un’altra lingua che non sia basata sul pennello,
qualcosa che superi la razionalità. Nascono i primi Dripping, tecnica che inventa e che sarà
un’essenza dell’Informale.
LEZIONE 7^
Hoffman nel 1940 fa una tavoletta con colori sparsi ma non si può dire che abbia inventato
il Dripping, solo prefigura una modalità di espressione, non è ancora la teorizzazione.
L’Action painting di Pollock è quando non usa più la componente causale, ma governa lui la
sgocciolatura, camminando sulla tela e con degli oggetti schizzando per terra, ma sceglie
lui dove. L’effetto finale è più vicino all’Action painting, un’azione, l’opera d’arte di Pollock
è l’azione del dipingere e non la tela finale.
Gli informali americani che lavorano tutti su questo tema (Gorky e Hoffman sono dei
proto-informali, aprono la strada ma non la proseguono). Pollock è il primo che usa queste
tecniche. Alla fine degli anni ’60 viene codificata una storia dell’informale: gli informali
come Pollock e gli artisti a lui vicini si chiameranno “Gli Irascibili”.
1. Informale di azione, che si basa sull’azione del dipingere, a cui appartiene in primis
Pollock;
2. Informale di inazione, quelli che raffreddano l’azione e che scelgono una strada
alternativa al dripping, ovvero “Color fields painting”, grandi campi cromatici dipinti.
Campione di questa modalità è Mark Rotcho.
Un superamento di questo
retaggio del surrealismo lo
si ha con Franz Klain,
pittore newyorkese che si
è espresso attraverso
forme figurative fino a
questo momento, si
manteneva facendo
caricature. L’incontro con
gli Irascibili gli fa
abbandonare qualsiasi
ricordo di figurativo e
comincia delle
sperimentazioni legate all’action painting, tendenzialmente astratte. Vediamo due opere
del 1961, “Merce”. Rispetto a Pollock rifiuta la policromia, sintetizza il suo linguaggio sulla
bicromia e poi sui colori puri. Dal 49 al 57 sono caratterizzate dall’assenza di titolo e da una
presenza sulla tela di elementi di collage, derivati dai cubisti e dai surrealisti. Non hanno
volontà narrativa, sono frammenti di giornali e su cui si sovrappongono delle pennellate.
Come si spiega? I critici contemporanei identificarono queste operazioni come l’idea che
l’artista, tipico animale urbano vissuto a NY, utilizzasse queste pennellate per
rappresentare dei focus sui marciapiedi di NY (senza essere imitativi, evocano quella
situazione). È quello che lui vedeva all’alba quando si svegliava dopo aver dormito ubriaco
sul marciapiede (pezzi di giornale bagnati dalla pioggia,…). Sono frammenti di vita non
descritti in modo mimetico.
1961, “Red painting”, qui i colori riprendono il sopravvento
ma questo campo colorato (non omogeneo). Non ha nessun
senso, è solo un dipinto rosso. Non si vuole raccontare niente,
l’arte non deve costruire delle narrazioni che abbiano a che
fare con la realtà o con l’inconscio, è un superamento totale
del racconto, del ragionare e del descrivere. Sono solo azioni
che lasciano queste tracce.
Ci sono però alcuni di questi artisti che non sono del tutto
indifferenti alle problematiche sociali e politiche, siamo dopo
la Seconda guerra mondiale e nel periodo dello scontro feroce
della Guerra Fredda (stati uniti e Unione Sovietica). Il
contrasto ideologico era tra capitalismo e comunismo. Gli artisti di cui abbiamo parlato
(Pollock, Klein) non prendono posizioni ideologiche, le loro azioni sono dettate da un
rapporto intimo con la tela, non hanno sotteso nessun valore di carattere politico ed
ideale. C’è tutta una componente esistenziale ma non c’entra con le scelte politiche.
Cosa succede in Europa? Non succede nulla fino alla fine della guerra nel ’45. Quando gli
artisti riemergono dalle tragedie della guerra, quello che esce è un’arte informe, che non è
legata all’esperienza americana ma è autonoma. L’arte realistica era compressa dai regimi
totalitari. Non si poteva più pensare a un’arte figurativa, si assumono forme espressive
nuove.
LEZIONE 8^
SPAZIALISMO
Lucio Fontana ne è il fondatore ed anche il maggior esponente. Nel 1947 c’è il primo
manifesto dello Spazialismo.
Nasce nel 1899 a Rosario de Santa Fe, non lontano da Buenos Aires, ha una famiglia di
scultori, anche lui inizia facendo lo scultore. Si trasferisce poi in Italia e studia a Brera.
Concetti: SPAZIO inteso come “quarta dimensione”, rottura degli schemi compositivi
dell’opera; riflessione filosofica del nostro rapporto di uomini con lo spazio.
Il primo è quello del 1946 e non lo firma, lui lo agevola e incoraggia nei suoi allievi, che
sono giovani artisti dell’accademia di Altamira a Buenos Aires, qui concepisce il Manifesto
Blanco, scritto anche da lui e firmato da altri artisti argentini, precede la nascita dello
spazialismo.
Primo vero manifesto è del 1947, si intitola “Spaziali”, lo firma anche Fontana.
C’è poi una proposta di regolamento nel 1950, ci sono molti più firmatari tra cui anche un
gallerista che fonda a Venezia la Galleria del Cavallino, e a Milano fonda la Galleria del
Naviglio, in cui porta espressionisti ed informali, un gallerista attento ed in dialogo con gli
artisti.
Nel 1952 c’è il Manifesto Spaziale per la televisione, lo scrive e lo firma Fontana.
Primo Manifesto Spaziale: l’arte è eterna, in quanto un suo gesto non può non continuare
a permanere nello spirito dell’uomo. Rimarrà eterna come gesto ma morrà come materia.
Gli artisti hanno sempre confuso i due termini, hanno fatto decadere il gesto artistico puro
ed eterno in quello duraturo nella speranza dell’immortalità. Pensiamo di svincolare l’arte
dalla materia, l’arte non è l’oggetto. Lo spirito umano tende a trascendere il particolare per
arrivare all’universale, attraverso un atto dello spirito
svincolato da ogni materia.
È un artista che compie un gesto, non vede la tela come superficie di rappresentazione.
L’arte contemporanea non è più un paragone di evoluzione di immagini, va a cadere, anche
quando nella pittura contemporanea ritroveremo la figurazione la critica d’arte non
analizzerà mai il quadro in maniera classica, si parlerà sempre di processo e di metodo, è
un cambiamento radicale. La tela è un mezzo di questo gesto, e per farlo capire fa
un’operazione che coinvolge la tela in quanto spazio, entra in un altro contesto spaziale
facendo un buco, in cui ci sta l’infinito immaginativo concettuale e filosofico, che prima di
tutto è un gesto. È un segno che ha su di sé tutti i segni del mondo.
Pollock ha anche lui una dimensione spaziale, ma è diverso: cambia il paradigma dello
spazio rispetto all’artista, il quadro si fa col tempo della vita. Quella di Fontana non è una
pittura gestuale, non c’è pittura, noi possiamo risalire al gesto primo e al pensiero di
tagliare.
Come arriva a questo gesto? Nasce sulla tela nel 1951. Cosa accade tra il 47 e il primo
buco? In questi 4 anni sperimenta su come portare la teoria di prima sulla tela.
5 febbraio 1949: nelle gallerie si sperimenta,
nella galleria fa questo intervento, allestimento
particolare in cui inaugura l’ambiente spaziale.
Non perde occasione per scrivere delle cose sul
biglietto di invito alla mostra, ci sono le
affermazioni chiave dello spazialismo.
Enrico Baj e Sergio Dangelo sono gli artisti principali. Loro erano artisti molto influenzati dal
surrealismo e dal futurismo.
Sergio Dangelo non ha neanche 20 anni ma già viaggia ed è un prodigio, usa un segno che
ricorda molto l’oriente, che lui studia e conosce.
Joe Colombo in quegli anni realizza queste forme non forme, esseri mostruosi che
chiamano pre figurazioni, qualcosa che sta generando una figura. È più legato alla materia.
Enrico Baj è molto materico e pre figurativo, vediamo degli esseri mostruosi ma che ci
ricordano qualcosa di antropomorfo. Ha molto a che fare con la fantascienza.
Baj e Dangelo cominciano a dipingere insieme, vediamo due passaggi dalle memorie di Baj.
Avevano voglia di fare qualcosa che ancora non era stato fatto. Siamo negli anni ’50.
Prendono gli smalti, vernici, e le gettano sulla tela. Spostano la tela dalla sua posizione
verticale a orizzontale per terra, le vernici venivano solo parzialmente da loro controllate,
perché dopo averle gettate muovono la tela per far andare il colore dove volevano.
Nel 1951 hanno la prima intuizione e fanno una mostra loro due a Milano. La materia crea
qualcosa che poi noi riconosciamo dopo, è fondamentale per la nascita del nuclearismo.
Non si fermano a Milano, organizzano una mostra nucleare a Bruxelles. Qui pubblicano il
primo manifesto dell’arte nucleare: si scagliano contro l’arte del tempo, sono molto
rivoluzionari. Vogliono abbattere tutti gli “ismi” di una pittura che cade inevitabilmente
nell’accademismo. Le forme si disintegrano, le nuove forme dell’uomo sono quelle
dell’universo atomico. Le forze sono le cariche elettriche. la bellezza coincide con la
rappresentazione dell’uomo nucleare.
Vediamo le nuove forme dell’uomo atomico: è una larva, è qualcosa che deve ancora
nascere, un uomo del futuro. È anche qualcosa che esce da una brutta esplosione, non sta
bene. Il fondo è rosso del sangue e della passione.
L’idea della spirale di Crippa torna, c’è comunque una ricerca del corpo energetico. Le
spirali generano queste figure primordiali,
sembrano due animaletti o due bambini,
hanno corpi fatti di sostanza e di atomi ma
non di materia, piuttosto di aggregazioni. Le
spirali sono fatte lasciando sgocciolare il
colore.
LEZIONE 10^
A ridosso del 1952 nasce una nuova avanguardia in polemica diretta con l’Informale.
Succede qualcosa negli anni 49/50, emergono due artisti che accedono a un risultato
artistico affine. Sono Alberto Burri e Antoni Tapies, catalano. Tapies utilizza come materiale
di espressione il cemento, inizialmente quasi con un’eco dadaista utilizza pezzi di cemento
trovati in giro. Poi li realizza lui stesso, e questi pannelli di cemento cosa restituiscono? Ci
sono graffi, tagli, buchi, quando il cemento asciuga interviene anche pittoricamente. Il
risultato è un pannello testimonianza del trascorrere della vita. Li ha realizzati l’autore, ma
l’idea è la restituzione di un frammento di vita che narra attraverso dei segni (non
riconoscibili, non sono parole), l’opera è l’ultimo residuo di una storia umana passata da
questo spazio e fermata su questa parete. Il materiale non è artistico, è volutamente
grezzo, ma c’è il concetto che l’opera sia la sedimentazione di esperienze biografiche, di
vite, attraverso segni e tracce.
NEW DADA
Accade negli Stati Uniti, è la reazione all’Informale (è contro). Uno dei segni che potremmo
considerare l’avvio è un’opera di Rauchemberg, di origine tedesca. È un giovane artista
formatosi nella cultura newyorkese legata alla musica jazz che nel ’52 realizza quest’opera.
Riesce a comprare un disegno di De Kooning che cancella con una serie di interventi, fa
un’operazione di cancellazione dell’oggetto. L’idea di aver comprato un oggetto d’arte e
cancellarlo significava dire che anche l’informale, partito come un’avanguardia di
rivoluzione die linguaggi, era diventato un metodo di comportarsi. La cancellazione era un
gesto che non creava ma trasformava. Il termine new dada ha un riferimento al dadaismo,
era un nuovo dadaismo: l’obiettivo di riferimento è Duchamp, tutti lo conoscevano. Sono
contro l’idea della pittura, contro il rapporto colore-tela (anche per terra). Scelgono di
prendere in carico delle tecniche espressive che avevano elaborato i dadaisti o i cubisti
(collage). Le tecniche espressive saranno:
collage
assemblaggio
ready made
Vengono combinate con degli interventi con i colori, talvolta sì talvolta no. Per rendere più
evidente il loro ragionamento, la fusione vera tra arte e vita, non si baseranno solo sul
prendere oggetti e combinarli: diventerà evidente nell’utilizzare come temi immagini
comuni, non facili ma che fanno parte della conoscenza comune. Uno degli altri obiettivi è
di superare l’idea che il rapporto tra spettatori e oggetto d’arte sia basato sulla percezione
visiva esclusivamente. Quello che fanno è tentare una strada in cui la percezione diventa
sensoriale e più complessiva, le opere diventano delle installazioni. L’idea è che ci stiamo
avvicinando a una definizione dell’installazione dell’opera che occupa lo spazio del
pubblico, che deve entrare in relazione o in contrasto con l’opera d’arte in tutti i sensi.
Hanno la funzione di parlare alla mente, non di compiacere o dispiacere lo sguardo (opere
di Pollock). Vogliono produrre delle riflessioni e dei ragionamenti.
Nei primi anni ’50 prende delle stampe fotografiche e dietro stende una gelatina chimica
che ammorbidiva la parte stampata; applicava poi la foto sulla tela e con una penna
passava sul retro, in modo che la gelatina aderisse alla tela. L’effetto era che sulla tela c’era
l’impronta indefinita dell’immagine fotografica. A ridosso del 62 scopre l’immagine di
stampare direttamente sulla tela, è la serigrafia, tecnica che userà anche Warhol.
Questo tipo di relazione diventa più forte quando decide di realizzare operazioni che
hanno a che fare col ready made e con l’assemblaggio, ovvero prendere oggetti dalla vita
reale (Duchamp non interviene mai però): prende cose dalla strada e le combina, le chiama
“Combine paintings”.
A ridosso degli anni ’50 l’espressionismo astratto (altra formula per definire l’informale
americano) e l’informale tout court (America e Europa) viene meno, subisce una sorta di
caduta di interesse, perché portava avanti dei valori di tipo autobiografico (tensioni
emotive dell’artista che si esprime sia in senso azionista o in senso di meditazione, come
Rochko). L’opera informale tende a raccontare degli elementi metafisici, di andare al di là
del quotidiano attraverso l’espressione dell’artista e quindi rappresentare valori simbolici.
L’informale non viene più letto come l’arte che corrisponda alla realtà contemporanea. Se
quello del 1946/47 poteva rispondere a una situazione emotiva collettiva, quella della
guerra mondiale, già nel 52/53 questo rapporto si è interrotto. La realtà nuova non trova
corrispondenza negli artisti informali, si vuole altro.
Quello che pagava l’informale era che le opere pittoriche dell’informale (soprattutto
americano) mancavano di struttura pittorica, i dipinti erano riempiti dalla materia colore,
non c’era una struttura e si percepiva che la pittura informale era diventata, a dispetto del
suo nome, un espediente formale che si ripeteva, aveva perso la freschezza. Questa pittura
di azione o inazione veniva letta come qualcosa di statico e ripetitivo. Come si risolve la
questione? Che tipo di sviluppo prende l’arte contemporanea? Le soluzioni sono 3:
1. L’esasperazione di certi elementi, per esempio c’è una scelta che è quella
dell’esasperazione del formalismo pittorico, portare alle estreme conseguenze
questa stesura in campo cromatici monocromi, arrivando a una forma di astrazione
radicale. Questo è Newmann, grandi pannelli rossi con le zip verticali, oppure
Reinardt, il più radicale di tutti. Realizza tra il 48 e il 52 tutta una serie di tele
quadrate basate sulla forma della croce, solo che questa è nera su fondo nero.
Questa sovrapposizione crea quadri solo neri. Arriva all’astrazione assoluta.
2. Prendere dall’action painting e dall’espressionismo astratto l’elemento
performativo, cioè portare alle estreme conseguenze la gestualità dell’artista.
Prendere di Pollock non l’esito finale ma il suo esercizio dell’operazione artistica.
Significa che non è tanto la pittura che interessa, ma il gesto, quello che è la nascita
della futura Body art, l’uso del corpo come medium artistico.
3. Sarà chiamata new dada, è l’idea che l’arte contemporanea debba recuperare il
rapporto con la realtà non edulcorata, ma la realtà delle città e del consumo, quella
sporca che ci appartiene ma senza rinunciare al valore della pittura, non si punta
tutto sul corpo e non si punta all’astrazione. Questo vede due protagonisti,
Rauchemberg e Jones. A sovrintendere la poetica di questi due artisti, figura di
riferimento di questo mondo di giovani artisti newyorkesi anti action painting, è un
musicista docente di musica: John Cage. È un compositore che a ridosso del 49/50
propone una composizione musicale dedicata al silenzio, ci sono suoni presi dalla
realtà esterna ma è silenzio, dura 4 min e 33 secondi, lui non suona, ha le mani
appoggiate sul pianoforte. Rauchemberg nel 51 realizza una serie di quadri dedicati
a questo silenzio e sono quadri completamente bianchi, un corrispondente visivo di
quel silenzio. Si recupera Duchamp, come anche delle tecniche espressive del dada
(es. il ready made e il rapporto arte vita), c’è una nuova percezione dell’oggetto
nello spazio, si sperimentano nuovi linguaggi come ad es. la musica.
Nel 1958 la rivista Art News fa uscire un articolo in cui si parla di Jonhs e Rauchemberg ed
utilizza il termine new dada.
“Modelle antropometriche” di
Klein, forma di new dada ma che in
Europa si chiama Nuovo realismo,
fa riferimento al fatto che anche
l’arte europea si vuole staccare
dall’informale e dalla pittura di
getto e sgocciolata, di quella pittura
autoreferenziale e tornare alla
realtà. Il loro è un nuovo realismo,
non è la pittura che imita la realtà ma la società consumistica contemporanea che si sta
muovendo dopo la ricostruzione dopo la guerra, dove il corpo stereotipato (non prende
donne qualsiasi, prende delle modelle che sono nella società del benessere lo stereotipo
della bellezza femminile) viene trasformato, non esibisce il loro corpo patinato. Trasforma i
loro corpi in strumenti d’arte, le fa sdraiare sulla tela per terra per lasciare l’impronta.
I nuovi realisti, corrispettivi dei new dada americani, hanno scelto di rimettere le mani nel
mondo reale.
Klein, composizioni polimateriche, le tele vengono trattate con pigmento blu con
l’intenzione di esaltare il valore pittorico della tela e di annullare la funzione dell’arte come
rappresentazione della realtà. Incolla sulla tela delle spugne marine come se fossero dei
sassi, su cui poi spalma su tutto questa polvere blu. La tridimensionalità dell’opera sembra
un fondo marino, ma non è più una finestra su un mondo altro, è un oggetto
tridimensionale su tela, ma il blu annulla la differenza di profondità.
“A crome”, strisce di tela intinti nella colla e caolino e le tira su un telaio, si asciugano
all’aria e le fibre si irrigidiscono.
LEZIONE 12^
MOVIMENTO COBRA
Questi gruppi erano avanguardie che volevano rompere con la tradizione e che si uniscono.
Questi movimenti erano legati anche alla politica. Parliamo di gruppi del nord Europa,
quando nel dopoguerra l’8 novembre del 1948 si fa la conferenza Internazionale del centro
di documentazione sull’arte dell’avanguardia, c’è una discussione: c’è incompatibilità di
idee e vista l’incompatibilità delle idee surrealiste questi tre gruppi si staccano (danesi,
olandesi e belgi), vanno al Bar Cafè Notre Dame. Nel ‘900 abbiamo visto che gli artisti si
ritrovano nei caffè e qui spontaneamente discutendo si trovano d’accordo, capiscono di
avere molti punti in comune. Scrivono una bozza di manifesto.
Il gruppo Cobra nasce alla fine del 1948 e nel 1951 si scioglie, dura tre anni e finisce in
modo traumatico, ci sono delle questioni delicate e delle utopie infrante. Uno degli
elementi che genera la fine è il fatto che il movimento rifiutava di diventare stile ed
estetica. Quando si sciolgono l’arte cobra non smetterà di essere sulla bocca di tutti. Il
movimento si espande anche in Inghilterra, in Francia e in Italia, tant’è che è normale
riconoscerlo come uno stile, uno dei motivi del fallimento, rischiava di diventare ripetitivo.
Intuirono che stava diventando uno di quegli -ismi che tanto combatteva.
Vediamo i principi dell’arte cobra: loro lavorano collettivamente e dando vita non solo alla
somma delle loro esperienze, ma vogliono anche una dialettica per il loro gruppo. C’è il
tema di svincolarsi dall’autorialità. Non firmano nemmeno i loro quadri, c’è l’idea di
collettivo. Trovano solo nella materia la fonte reale dell’arte, attribuiscono importanza alla
materia pittorica che per loro è viva, arrivano a concepire l’opera nel nascere della materia
(ci ricorda l’arte nucleare, nasce quasi negli stessi anni). Il valore del colore è elemento
vitale, come la materia pittorica. Pe loro un quadro è una battaglia, un animale, prima di
essere linee e forme. È un principio magico nel potere, nel creare immagini che hanno una
forte influenza sull’uomo e sull’esistenza. È una sorta di mitologia. C’è anche la
spontaneità, che è più che altro un’espressione intesa come atto fisico concreto che
materializza il pensiero, è il gesto immediato che non filtra attraverso il pensiero ma lo
materializza.
- Spontaneità
- Vitalità come costante movimento della vita che non si arresta su accademismi ma
si trasforma;
- Libertà dalle accademie;
- Integrazione fra le arti, il poeta non può lavorare senza il pittore;
- Attenzione per le forme borderline non accettate, l’arte infantile, il folklore, l’arte
collettiva.
Jean Dubuffet, non è artista cobra ma è loro contemporaneo, è il fondatore del movimento
dell’Art Brut, di chi viene considerato ai margini della città e dei manicomi. Ricerca nella
sua pittura un’arte pre-culturale, non filtrata dal pensiero logico della scuola. Per lui
l’insanità è la miglior sanità, per lui il normale è lo psicotico, normale è mancanza di
immaginazione e di creatività. Gli animali per l’arte cobra sono fondamentali.
Corneille (1922-2010) ha molte influenze surrealiste, qui c’è un discorso molto di segni
(prima di materia), sembrano disegni molto più infantili, sono i segni che emergono
fortemente.
Asger Jorn, danese, è uno dei più importanti intellettuali del ‘900. Lascia la Danimarca,
arriva a Parigi per studiare con Kandinsky che però non trova. Nel 1951 quando finisce il
gruppo Cobra lui e un altro componente del gruppo sono ricoverati entrambi per
tubercolosi. Entrambi guariscono, mentre Jorn è in sanatorio crea “Il mito del silenzio”,
serie di quadri dipinti nel silenzio dell’obitorio. Nella mitologia nordica non sono le parole o
il verbo di dio l’essenziale, ma è il contrario, viene prima l’immagine. I miti vengono cantati
sulle immagini, prima si disegna e poi si racconta, e questa è una delle caratteristiche più
forti dell’opera di Jorn.
1950, “La luna e gli animali”, sono dei
mostriciattoli, opera di Jorn.
Tra i principi del gruppo cobra c’è il collettivismo e la sintesi delle arti. Vediamo uno dei
famosi scatti di un esperimento collettivo del gruppo del 1949, Jorn ottiene dalla facoltà di
architettura di Copenaghen una casa di campagna che spettava agli studenti. Lui la tiene
per lui e i suoi amici, a livello di mercato vengono riconosciuti come interessanti, in cambio
dicono che la decoreranno. Per del tempo vivono con le loro famiglie in questa casa, i
bambini e le mogli dipingono con gli artisti. Il tutto si chiama “Gli Incontri di Bregnerod”,
stanno insieme, bevono, mangiano, ci saranno anche situazioni difficili (Jorn si innamora
della moglie di un altro). Jorn teorizza la fusione di arte e di architettura, poi scrive di
questi incontri. Prima sperimenta, poi c’è il momento teorico. Loro vorrebbero che questo
tipo di architettura sostituisse quella comune, si deve essere artisti del proprio spazio.
Nel 1954 da’ vita ad altri incontri, è ad Albissola, non c’è architettura ma ceramica. Li
chiama “Gli incontri di Albissola”, fanno rito di questi oggetti, arrivano artisti che non
avevano mai toccato la ceramica. Jorn arriva ad Albissola chiamato dal gruppo di Arte
nucleare.
Ottiene una commessa nel 1959 per costruire un murales in una scuola, lui lo fa in
ceramica, ci sono secchiate di smalti, ci cammina sopra chiunque, sembra street art ma è
stato fatto nel 1959. È la ceramica che crea il pensiero, così come il colore.
GUTAI
Vediamo una loro mostra/festival nel 1956, vediamo Saburo Murakami che sfonda una
serie di tele, il corpo dell’artista genera movimento e da’ senso ad uno spirito di rottura, da
vita a una performance, è un’azione e l’impatto più forte è lì e ora.
Kanayama crea una specie di sentiero, che è una tela plastica, su cui imprime le impronte
dei suoi passi e lo srotola, c’è l’idea dei rotoli religiosi tradizionali zen che vanno però a
finire in un non sense, ad un certo punto diventa impercorribile e senza senso.
Il movimento avrà relazioni con l’Europa e in particolare con l’Italia, vediamo una mostra
Gutai di Torino. C’è un forte dialogo internazionale, così come è l’arte del ‘900, si cercano
le corrispondenze del proprio sentire.
C’è il fatto di voler rompere la tela della tradizione, c’è spiritualità dell’azione concreta e la
provocazione delle altre avanguardie.
POP ART
Si configura alle avanguardie dal punto di vista della nascita, ci sono a volte dei manifesti e
sono persone aggregate da un sistema di espressione comune. Questa situazione è
percepita come un’espressione artistica tipicamente statunitense, ma non è proprio così,
ha origine a Londra. Poi passa oltre oceano e si consolida con forme proprie negli USA,
tornando poi in Inghilterra in cui assume uno specifico carattere: approda poi in Europa
alla Biennale di Venezia, producendo degli effetti di ricaduta che coinvolgono tutti i paesi
europei ma non in modo coinvolgente come era stato per l’informale americano, che
aveva trovato degli adepti in Italia. Questo andare e venire si è aperto come stagione negli
anni dopo la Seconda guerra mondiale.
Nel 1952, anno della formazione del gruppo, Paolozzi che lavora all’Istituto organizza la
prima mostra: si tratta di una mostra in cui un proiettore di immagini fisse proietta sulle
pareti di una delle stanze tutta una specie di raccolta di illustrazioni (collage, fumetti,
fotografie, immagini dai giornali) raccolte nel suo studio: proietta un atlante della memoria
di Paolozzi fatto di oggetti raccolti dalla realtà. Non esponeva nulla di fisico, se non questi
proiettori che facevano vedere in loop queste immagini.
Nel 1953 seconda mostra, “Paralleli fra vita e arte”, in cui fa un’operazione utile, ovvero
unisce sempre con un effetto di proiezione (non c’è più l’opera d’arte, quello che si può
fare è accettare che ormai il mondo delle immagini passa attraverso la loro riproduzione
tecnica). Riprende delle riproduzioni di opere d’arte e fotografa o riprende fotografie della
realtà, cercando delle analogie di pura immagine. Il loro ragionamento è che la conoscenza
delle opere e del passato artistico passa attraverso la loro riproduzione artificiale, non
attraverso un contatto diretto. Tuttavia, molte immagini del passato si sedimentano nella
memoria collettiva, dicono che loro come artisti devono avere il coraggio di uscire dai loro
atelier ed entrare nelle strade per confrontarsi con questo problema della riproduzione.
Per fare capire questo cambiamento culturale avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale,
combina delle riproduzioni fotografiche di varia natura (non solo la foto del quadro, magari
anche la foto di un manuale o di un giornale), confrontandola con immagini della vita reale
con delle analogie. Il pubblico della sala non vedeva opere appese alle pareti, vedeva delle
proiezioni dove riproduzioni di vario tipo di opere si combinavano con immagini della vita
reale.
Terza mostra, vediamo un collage considerato il manifesto della Pop Art, anche se
propriamente non lo è, è solo la sintesi più chiara della poetica. Nel 1955 un altro artista
del gruppo, Richard Hamilton organizza una mostra che si intitola “Men, machine and
motion”. Era un’esibizione fisica ed anche di
proiezione dei diversi modi della riproduzione
meccanica delle immagini: ad es. come
avvenivano le stampe dei fumetti, stampe delle
immagini fotografiche, riproduzione televisiva.
Il tema che si pone è la riproducibilità
meccanica delle immagini. Tutto questo
avviene anche sulla scorta della diffusione di un
testo legato alla funzione dell’opera d’arte
nell’epoca della riproduzione. Un’immagine di
un’opera d’arte famosa può diventare famosa
attraverso la sua riproducibilità tecnica, rispetto
all’originale manca però l’aura: è
quell’indefinibile qualità che possiede l’originale, dato dai materiali usati, dalla nostra
percezione visiva dell’oggetto, tutte cose che con la riproduzione meccanica non si
percepiscono. In questa mostra Hamilton espone questo oggetto, un piccolo collage, “Cosa
rende così diversa e così attraente la casa di oggi”: vediamo un’organizzazione visiva di
immagini diverse che vanno a costruire un’immagine inedita. Ci propone l’interno di una
casa borghese, casa dell’uomo medio, in cui si vede la sala dove si svolge la vita della
famiglia dove ci sono due divani, un tappeto, due tavoli e l’oggetto del desiderio del
tempo, la televisione, centro visivo e interesse di questo living. Nella televisione vediamo
un’immagine di una giovane donna e sopra, come se fosse un mobile, c’è un piatto con
della frutta. La tv è trattata come mobile di tradizione. Sul muro vediamo un dipinto, è la
foto di un’opera: al pari del quadro c’è incorniciato anche un poster di una copertina di un
romanzo a puntate femminile. Sul divano c’è una signorina in costume da bagno, una pin-
up in posizione che gioca con l’erotismo da rivista. Vicino a lei c’è la confezione in metallo
diffusissima del prosciutto in scatola. Vediamo la correlazione tra la carne che si mangia e
la carne della donna, il corpo femminile, due “oggetti” di consumo. A controbilanciare il
nudo femminile c’è un body builder, il quale è anacronistico dentro un salotto borghese,
così come la ragazza. Al posto di tenere in mano un bilanciere, ha un gigantesco lecca-lecca
la cui carta ha la parola mitica, “Pop”. L’uomo muscoloso è in realtà un bambino. Sulla
scala c’è una signora della classe media che utilizza uno delle prime aspirapolveri, c’è
anche il registratore. Sul fondo vediamo una finestra in cui intravediamo l’ingresso di un
cinema, in cui si annuncia un concerto jazz. Il soffitto è l’ingrandimento di una foto della
luna.
Vediamo un’opera del 1962 di Andy Warhol, figlio di immigrati polacchi, era nato a
Pittsburgh. Da qui fugge appena può ed arriva a NY con l’idea di occuparsi di moda. Qui
incontra questo gruppo di artisti e comincia a produrre delle opere. Anche lui colpito dalla
morte di Marilyn realizza questa prima opera in cui sceglie un’immagine ufficiale della
donna, diffusissima dai giornali, risale al 1953 realizzata con un fotografo professionista
molto famoso, Jim Corman. Alla presentazione del film “Niagara”,
l’attrice viene fotografata e questa è una di quelle immagini. È in
posa, guarda nell’obiettivo con atteggiamento sorridente che l’aveva
caratterizzata. Andy prende l’immagine ufficiale della diva e la ri
fotografa, la proietta e la stampa su una tela (serigrafia, riproduce
l’immagine sulla tela da pittore). Usa l’oro per tutto il contorno e
con i colori acrilici involgarisce volontariamente il suo volto, le fa un
trucco pesante, il biondo platino nei capelli, le gote rosse. Trasforma
l’icona collettiva in qualcos’altro, che assume un valore iconico
perché è tutta oro, come la Madonna. L’idea di un femminile irraggiungibile ma insieme
puro perché è morta viene concentrato di questa opera, usando metodi meccanici.
Da questa poi farà infinite serie, negli anni successivi produrrà tantissime Marilyn, gli
interessa ciò che è nella mente collettiva. “Le 4 Marilyn”, qui viene riprodotta e nel titolo
c’è il numero delle volte.
Lo farà anche con altri personaggi pubblici iconici, come ad esempio il governatore cinese,
capo della repubblica popolare cinese.
Anche la storia dell’enuclearsi della pop art in America si gioca in pochissimi mesi, 61 arriva
Laurence, giovani artisti sconosciuti vengono captati dalla sua personalità. 1962 esplode il
fenomeno quando una donna, Marta Jackson ha una galleria ed organizza una personale di
Jim Dain, uno degli artisti del new dada. Il catalogo ha un saggio di presentazione di
Laurence, in cui riprende la questione del rapporto tra arte contemporanea e memoria
collettiva, rapporto con il pubblico attraverso i media. Nel febbraio nel 63 si espone la
prima personale di Lietestain. Seguono a maggio una mostra
di Rosechist, un cartellonista (pittore che realizzava i
manifesti cinematografici): proprio nel 1963 si presenta come
pittore con delle grandi tele con una tecnica pittorica
iperrealistica, dove i caratteri semplici ma affascinanti del
manifesto pubblicitario si combinano ad un messaggio per
parole. In particolare, vediamo “Joan Crawford says”: è
un’altra iconica attrice ma è il contrario di Marilyn, è la diva
aristocratica ed elegantissima, cinica, è il topos della femme
fatale. È ripresa da una fotografia sul set che viene trasferita
sulla tela semplificandone i tratti e la fisionomia, appiattendone l’immagine. L’ambiente è
glamour, la diva parla al pubblico. Sempre a maggio viene presentata una mostra di opere
plastiche, mentre a settembre un’altra sempre di opere plastiche di un artista svedese.
Chiude la stagione a novembre del 1963 un cartellonista che si fa chiamare Andy Warhol,
che presenta la Gold Marilyn Monroe di prima. Tutta NY parla di questi artisti, il curatore
del Moma di NY compra questo quadro e lo porta nel museo. Alla sua prima mostra è già
portato al museo. Il 13 dicembre del 1963, anno della Pop, al Moma viene consolidato il
concetto di Popular Art, che per tutti diventerà Pop Art. comincia una fortuna
impressionante a livello mondiale.
Dal 63 al 66 Andy avvia una produzione seriale dove degli oggetti iconici vengono
rappresentati, li riprende dalla cultura popolare americana, dal mondo del consumo.
Vediamo le notissime “Campbell Soup”, nate durante la guerra per mandare cibo al fronte
ma diventa poi un business. Anche le donne ora lavorano, non possono sempre cucinare,
basta aprire la scatola e scaldare ed è pronto. Lui gli da dignità, la scatola occupa tutta la
tela ed è riprodotta nelle sue varianti di sapore. Un oggetto banalissimo a cui non diamo
importanza l’artista lo tira fuori dalla realtà, facendolo diventare un’icona, un’immagine
indelebile che vuole assumere una dignità artistica.
Si arriva poi alla riproduzione del denaro, il dollaro, anche qui
riprodotta in modo paratattico, “80 biglietti da 1 dollaro”.
Questo tipo di rappresentazioni, la pop art, ha una funzione
politica ideologica? No, non la vuole avere, gli artisti si
chiamano fuori dallo scontro (sono gli anni della guerra
fredda). Questo tipo di attività non prende parte ad uno
scontro ideologico, sono apolitici, non gli importa di quello
che succede. Quello che fanno è di entrare nella corrente del
consumismo, che non vuole avere un valore negativo: è la più
larga diffusione dei beni di consumo, ciò che era appannaggio
di un ristretto gruppo della popolazione diventa qualcosa di
più popolare. Non è una polemica ma una celebrazione, o meglio uno sguardo privo di
ideologia, se vogliamo anche cinico sulla realtà. È prendere atto che questi oggetti sono
diventati patrimonio di tutti e loro li esaltano. Proprio in questi anni Andy fonda la Factory,
dove produce le sue opere.
Sul rapporto tra i tre c’è una ricerca di unire le arti. Cunningham insegna nelle scuole la sua
danza, che non è imposta ma si adatta al corpo del singolo ballerino, ogni performance è
diversa perché non abbiamo tutti lo stesso corpo.
Il Black Mountain Collage è una scuola rivoluzionaria fondata nel 1933, quando avviene
l’ascesa di Hitler in Europa. Qui non si pagavano tasse, c’era parità e voglia di imparare
tutti insieme, era anche pensato per ospitare gli esuli intellettuali che scappavano dalla
Germania. In questo contesto i tre artisti hanno l’intuizione di creare la loro opera d’arte
collettiva. Scelgono di esibirsi nella mensa della scuola, insieme a tutti i loro colleghi e
professori. Dura il tempo della pausa pranzo. Questa è la nascita dell’Happening.
Vediamo un’opera, un rotolo di fogli di carta uniti con una striscia nera che li unisce, fatta
con lo pneumatico di un’automobile imbevuto di colore. Si chiama “Automobile Tire Print”,
1953. Il gesto artistico è temporaneo, quello che lascia è l’opera.
Yard, 1961, Martha Jackson Gallery, New York: non avviene dentro la galleria ma fuori, in
giardino, spazio non canonico.
FLUXUS significa fluire, gli artisti rifiutano qualsiasi etichetta. È un’unione di tutte le arti,
per essere fluxus devi rispettare un criterio di non aderenza a qualsiasi altro gruppo.
PERFORMANCE E TEATRO: la performance non ha un attore che interpreta qualcun altro, è
l’artista. Il teatro è recitato, si impara una parte, non si interpreta sé stessi. Nella
performance è l’artista che sceglie di compiere determinate azioni.
Nasce anche la BODY ART: compiono azioni sul loro corpo, alcuni si mutilano o si fanno del
male. Sono opere che vogliono denunciare un disagio.
La pop art inglese parte da delle posizioni critiche verso il mondo capitalismo. Quella
statunitense non celebra il consumismo ma nemmeno si mette contro, ne accetta i
meccanismi e in qualche modo li cavalca, senza rivestirli di valore politico ed ideologico.
La grande ondata che aveva caratterizzato gli anni ’40 e ’50 si è esaurita, perché entra una
nuova avanguardia con l’idea che l’arte sia un puro esercizio di individualità. La pop art di
tutti questi aspetti ha un aspetto più facile ed immediato al pubblico, il successo di questo
fenomeno (anni 62/63) ha un successo di mercato e una larga diffusione planetaria che
ricade subito in Europa e a Londra, arrivando alla biennale di Venezia e quindi in Italia,
anche se qui non ha avuto delle punte di diamante di invenzione.
L’attività creativa della creazione di immagini nuove all’interno della pop art di Andy si
chiude in tempi molto brevi, già nel 66 abbandona la pittura e utilizza altri media di
comunicazione. Ritiene che la pittura sia definitivamente superata, anche se si basava sulla
riproduzione meccanica dell’immagine. A ridosso degli anni 65/66 aveva abbandonato il
tema consumistico, il tema di esibizione e di esaltazione in una chiave iconica di immagini
usurate, che appartenevano a un orizzonte comune e di consumo. Sposta la sua attenzione
su un altro tema, che poi continua anche in molti aspetti attuali: si pone il problema di
come le immagini prese dalla realtà (non più iconiche) e trattate dagli artisti diventino
parte integrante di un sistema di comunicazione artistica. Ragiona sul fatto che le immagini
del quotidiano, per quanto filtrate dal filtro che le trasforma in opere d’arte, da un lato
perdano dell’impatto visivo che possono avere
sul pubblico, e ragiona poi sul fatto che queste
immagini passerebbero nel dimenticatoio,
invece trasformate in oggetto iconico diventano
parte della memoria collettiva, ci inducono a
ragionarci. È il caso delle serie dedicate agli
incidenti. Fotografa le pagine di giornale, le
stampa su tela e non interviene in nulla. Da
questa serie di immagini dai giornali di consumo
nascono i Crash colorati, immagine stampata su una tela già tinta e la foto viene ripetuta
come se fossero tanti fotogrammi, ma che viene via via modificata. Inizia con un’immagine
più netta e poi si perde la riconoscibilità dell’avvenimento, diventando quasi delle macchie.
È un modo, una strada che applica anche a un tema di cui si cominciava a discutere al
tempo, ovvero la pena di morte che era diffusa. Big Elettric, è una sedia elettrica con
campiture sull’azzurro che sembrano rendere piacevole l’immagine, ma sono colori
innaturali. Non vuole proprio fare delle denunce, non prende posizioni dal punto di vista
ideologico. Serpeggia comunque questo senso di morte che emerge prima dagli incidenti
ed ora dalla sedia di morte.
Nel 1964 propone una delle ultime serie di opere pittoriche che esegue, aveva già
realizzato la serie di ritratti di Marilyn e degli oggetti di consumo. Vediamo qualcosa di
diverso ma con la stessa tecnica, è sempre in serie e tele molto grandi, sono pensate per
un mercato di collezionisti che le possono acquistare singolarmente. Vuole creare un
ambiente in cui il pubblico è circondato da queste tele psichedeliche con colori
antinaturalistici. La tecnica è la solita, tela stampata con serigrafia, è un campo d’erba con
fiori con colori acrilici violenti che hanno perduto qualsiasi riferimento al dato di realtà,
non sono un modo edulcorato di raccontare la realtà. Presenta l’avversione
contemporanea del tema delle nature morte, di quel genere che aveva avuto enorme
fortuna. È un’esemplificazione in modo simbolico del tema della morte, i “Flowers” di
Warhol sono questo: pur rappresentando la natura, sembrano collocati in un prato, ma
nella loro essenzialità formale li trasforma in una natura morta legata al tema della fine e
della morte.
Nel 1966 abbandona definitivamente la pittura per utilizzare come unico medium di
creazione artistica il cinema. Racconta attraverso la macchina da presa una visione del
mondo contemporaneo giocato con un’attenzione al valore dell’immagine non più
immobile ma dinamica.
Nel 1968 subirà un attentato e l’attività della Factory si interrompe, riprende dopo il 68. Il
suo momento creativo più significativo è quello dei primi anni ’60.
Un altro artista della pop art statunitense è Roy Liechtenstein. È di formazione grafica, fa
un’operazione uguale e contraria a quella di Andy: lui andava a scegliere degli oggetti legati
al panorama del quotidiano, trasformandole e riproducendole in modo meccanico in icone.
Quello che fa Roy è prendere dalla realtà qualcosa di legato a un’abitudine ma anche un
mezzo di comunicazione come il fumetto, nato negli anni ’20 che dopo la seconda guerra
mondiale aveva assunto dei caratteri di autonomia. Lui prende un’immagine, un’immagine
di una striscia di fumetti e riporta sulla tela (anche lui con tecnica meccanica, fotografando
la scena che comprende immagine e testo) lo schema grafico, sempre su tele grandi. Dopo
a volte modifica il testo, qui in “La donna che annega” no: qui isola la figura femminile e
interviene pittoricamente sulla chioma di capelli,
che colora di blu intenso. Le linee nere che
traccia assumono quasi un effetto decorativo,
c’è un intervento pittorico sapiente. Le parti
della pelle sembrano costituite da una griglia di
colori rosati più scuri: avvicinandoci, ci
accorgiamo che tutto il disegno è composto da
una sottile griglia di puntini colorati, chiamati in
gergo “retino tipografico”, tecnica che si usava e
che prevedeva di stampare le immagini con l’uso
dei 4 colori fondamentali, la cui combinazione
dava la policromia. I puntini venivano dipinti coi
pennelli, era un lavoro di pittore in contrasto con
l’immagine meccanica. In realtà usava delle mascherine con dei fori molto piccoli, così
stampava i colori primari sulla superficie. Restituiva all’immagine un carattere di
individualità e di carattere pittorico. Riproduce a mano un fatto meccanico, fa un
meccanismo al contrario.
Vediamo Kles Holdemburg, che gioca una carta più ironica e volutamente divertente e
coinvolgente, dove l’ironia è sempre un meccanismo per far pensare e mettere il pubblico
davanti a una situazione che evidenzi delle contraddizioni all’interno della nostra società. È
un artista che non si occupa di pittura e non usa materiali della tradizione, usava oggetti
reali. Utilizza come materiali cose industriali, soprattutto plastiche e siliconi. Con questi
materiali realizza degli oggetti tridimensionali (non sono propriamente sculture).
Aveva realizzato una macelleria tutte fatta di plastica, dove tutta la carne sembrava vera
ma era tutto finto. Questo negozio
posizionato all’interno di un percorso
espositivo lasciava perplessi gli spettatori,
l’effetto era davvero di un effetto di
carne sanguinolenta. L’effetto tattile
metteva in discussione ciò che si vedeva.
Aveva commissionato questo gigantesco timbro del tribunale con scritto Free, per chi
aveva finito di scontare la pena. È riprodotto in maniera realistica ma in proporzioni
enormi davanti al tribunale, è provocatorio.
È una situazione molto concettuale, non è qualcosa di materiale che si può toccare e
comprare. Ha una durata temporale e sparisce, non p mercificabile e gestibile, esce dai
meccanismi consumistici che tengono insieme il mondo di musei e galleristi. Esistono delle
testimonianze ma sono tracce documentarie, non sono le opere, sono tracce che ci
suggeriscono che cosa è avvenuto ma mai potremo rivivere quel momento di situazione
psicologica. l’artista propone la performance ma il percorso non è gestito dall’artista,
perché l’elemento artistico è completamente legato alla reazione del pubblico, totalmente
imprevedibile.
Vediamo l’esempio di due artiste, nel mondo della body art le più creative sono le donne. È
il corpo delle donne è da secoli considerato oggetto, mostrano quindi le contraddizioni
sociali e la differenza di genere.
LEZIONE 16^
LAND ART
Non è solo arte di paesaggio, è arte ambientale, si tratta di un emergere agli inizi degli anni
’60 (in cui c’era aria di cambiamento e necessità di riportare l’arte a contatto con la realtà)
di una tipologia di alcuni artisti nei confronti dei seguenti temi:
una delle prime ragioni per cui le opere vengono portate fuori dai luoghi delle esposizioni
tradizionali e delle gallerie è di spostare l’asse del loro rapporto con il pubblico e portarlo
in luoghi lontani da quelli della vita contemporanea, la metropoli. Sono quindi interventi
che si mettono in relazione con l’ambiente naturali. Questa scelta ha delle ricadute, la più
immediata è che l’opera d’arte non è vendibile e acquistabile, non può essere collocata in
altro luogo (a livello teorico ideale). È in un luogo così unico e remoto da impedire la
mercificazione.
Una terza conseguenza è che trattandosi di opere colossali, non determinano più un
intervento diretto dell’artista. Lui sceglie un luogo e crea un progetto, ma la realizzazione
spetta a ditte specializzate che intervengono. C’è uno scostamento dal lato creativo. È un
meccanismo legato all’arte concettuale, la cui origine è il dadaismo, l’arte è l’idea e non
l’oggetto di per sé.
Una quarta considerazione è che rispetto ad altre opere, i land artisti calcolano e
prevedono che la loro opera subisca una trasformazione dovuto al clima e al luogo in cui si
trovano. Il che comporta una trasformazione dell’opera fino alla sua sparizione. L’artista
prevede che l’opera avrà un suo percorso di vita, si contemplava l’idea che l’opera non
fosse eterna.
Il termine più esatto per definire questi interventi è environment, cioè ambiente che si
trasforma attorno al pubblico. È soprattutto in ambienti naturali in luoghi non frequentati,
anche se a un certo punto ci saranno anche negli ambienti urbani.
1983, in una baia vicino a Miami su isolotti disabitati vengono decorati ed ornati da una
cornice con tessuto sintetico galleggiante, sembrano ballerine in tutù. Il senso è che con
questi suoi interventi momentanei rende visibile cose invisibili ai più ma che esistono.
Anni ‘90/91, il muro di Berlino passava alle spalle del parlamento tedesco bruciato nel
1933 dai nazisti che prendono il potere. Questo oggetto architettonico abbandonato viene
chiuso come un gigantesco pacco e chiuso da corde e tiranti, chiuso come un regalo lo si
riconosceva ma non lo si vedeva. Era per porre attenzione su questo edificio di cui nessuno
si preoccupava, rendendolo invisibile concretamente l’ha reso più visibile
psicologicamente.
Richard Long viene ospitato a Marfa per fare un triplo cerchio di pietra lavica. Lui di solito
cammina lungo un prato creando un sentiero e fotografandolo, poi li comincia a creare con
dei sassi, sono i segni della presenza umana nel mondo naturale.
Nabokov, nel 2005 è stato chiamato qui e ha trasformato la caserma in una Pompei
contemporanea, gli spettatori entrano in un luogo dove la vita si è fermata, i vetri sono
rotti, la natura fa il suo corso, ma ci sono oggetti della scuola russa sovietica, come se i
bambini fossero spariti. È la ricostruzione di ambienti con oggetti reali e trasformati in
luoghi della memoria.
Irving usa luce naturale, in una villa fa tagliare una stanza obliquamente e si vede una
finestra che da sull’esterno. La finestra è come se fosse un quadro, è un’illusione ottica.
Due fenomeni legati a due figure, Germano Cheman (?) e Achille (?). Questi due critici
vengono a elaborare due modalità di approccio all’arte contemporanea completamente
diverse. Germano inizia la sua carriera e ha l’idea di portare il fenomeno negli stati uniti,
dove è esploso: viene chiamato “Arte povera”. La nascita ufficiale è il 1967 a novembre,
quando nella rivista Flash art Germano pubblica un articolo intitolato “arte povera: appunti
per una guerriglia”. Già il titolo è aggressivo, è una sfida. L’anno dopo ci sono le proteste
dei giovani negli stati uniti contro le guerre del Vietnam e le battaglie per i diritti civili della
comunità afro americana. In Italia cominciano le grandi manifestazioni dell’Autunno caldo
del 1969. Questo fenomeno di neo avanguardia trova una sua ragione di essere anche in
Italia. Il sottotitolo dell’articolo identifica quali sono gli scopi di questo gruppo, che non è
un movimento in senso stretto (hanno tutti un’individualità molto forte), l’unica cosa che li
tiene insieme è il critico. L’obiettivo è la libertà creativa dell’artista, formare una nuova
lingua che andava contro ai riferimenti del passato, l’artista diventa un guerrigliero sempre
pronto, armato. Questa sua modalità comporta l’uso di materiali non artistici in modo
esplicito e dichiarato, si cercano componenti della realtà contingente (una specie di ready
made) e dove le opere devono creare dei cortocircuiti di carattere semantico, dei valori
nuovi che mettono in discussione il passato. Il fenomeno diventa mondiale quando alcuni
musei acquistano le opere.
Vediamo alcuni artisti: l’elemento della
guerriglia è accompagnato anche da
posizioni ideologiche di alcuni artisti, come
Mario Merz, che a partire dal 1965 sulla
scorta delle esperienze del new dada
propone installazioni luminose basate
sull’uso del neon dove le parole hanno un
significato legato all’opera. L’opera mette
insieme elementi testuali e di carattere
simbolico. La casseruola che utilizza è per
cuocere il pesce ed è un ready made, dove stende uno strato di
grasso animale con delle componenti chimiche che nel tempo
reagiscono e producono un cambiamento di colore, accentuato
dalla luce del neon azzurro. È sospeso nel vuoto della pentola,
c’è poi una resistenza elettrica che fa reagire con il calore.
Utilizza la frase “Che fare?”: è dedicato a cosa fare oggi
nell’arte contemporanea, cosa fare in una società capitalistica,
ma è anche il titolo di un saggio politico di Lenin nel 1921. È
una ripresa dal mondo comunista e dalla rivoluzione ma con
materiali non artistici, dove l’elemento luminoso e la reazione
chimica è come un’alchimia.
Gino De Dominicis e Zorio partecipano alle prime mostre. Gino realizza un’opera senza
titolo ma si chiama in pratica “ombelico del mondo”, è una pietra magnetica con sopra
un’asta fatta di acciaio ottonato, è come un raggio di luce stilizzato, la punta dell’oggetto
sfiora ma non tocca la pietra: tuttavia il ferro contenuto nella pietra fa compiere dei minimi
movimenti all’asta che continua a ondeggiare. L’energia che scorre è come quella
dell’universo.
Gilberto Zorio ragiona anche lui sull’energia in potenza, cioè su delle azioni che comportino
la messa in campo di forse fisiche contrastanti che vengono bloccate ma che sono delle
forze energetiche scatenanti. Vediamo un lavoro che ha fatto, è un tubo in acciaio su cui ha
avvolto un tessuto imbevuto di collanti, tirando finché ha potuto e finché l’energia si è
quietata, il tessuto rimarrà in tensione finché il collante non collassa. Sono forze contrarie
che determinano la torsione del tessuto attorno al perno.
Artista di origine greca Yannis Kounellis, tra il 67 e il 68 in una galleria di Roma espone dei
cavalli. È un’installazione vivente, sono una decina di cavalli che porta in galleria e vengono
in parte legati con le briglie a un’asta lungo le pareti, altri si muovono liberamente, qui
mangiano e vivono. Quello che resta è la mostra. L’artista non ha fatto fisicamente nulla,
ma ha portato la vita organica dentro la galleria.
Gli echi della Land art si vedono in Anselmo: qui c’è una fotografia stampata su tela di
Anselmo, in bianco e nero, mentre lui cammina in un avvallamento di un prato di erba che
dal punto di vista della stampa non da’ l’idea della profondità, sembra una galassia
dell’universo, il titolo è “Infinito”. È un’opera che sta a metà strada tra le operazioni
poveriste, la performance e la land art.
Ultima delle avanguardie che è contro i poveristi in nome di un’arte che viene chiamata
“trans avanguardia”, che ha superato le avanguardie storiche e le neoavanguardie. La sua
caratteristica è il ritorno al popolare, all’uso della pittura e dei pennelli, del figurativo.
Basta con il ready made e gli oggetti, si deve tornare alla pittura che le persone capiscono e
che comunica cose. Questo gruppo di artisti raggiunge il successo agli inizi degli anni ’80,
diventano immediatamente un fiore all’occhiello di molti critici, dopo anni di
concentrazione sulle energie trattenute, temi dell’universo ecc.
Domenico Paladino è il più strutturato dei 4 artisti che fanno parte della trans avanguardia.
Riprende il dipinto di Velasquez, Las meninas, il pittore ragiona sull’essenza della pittura in
un gioco di specchi. Intitola l’opera “il visitatore”, si autoritrae in Velasquez, Paladino
applica la sua identità ricomponendo in chiave trans avanguardista il capolavoro di
Velasquez.
Ha avuto successo negli anni ’80 ma già alla fine di questi anni si esaurisce. Le due neo post
trans avanguardie italiane sono gli ultimi episodi concreti di gruppi con degli obiettivi, che
rispondevano a un’idea di ribaltamento del sistema linguistico.
Performance di Joseph Boris, uno degli artisti che fa parte dell’arte concettuale, via
maestra dell’arte contemporanea dalla fine degli anni ‘69/’70. Vediamo la fotografia di
questa performance del 1965, si intitola “Come spiegare la pittura a una lepre”. È giocata
concettualmente su un significato contraddittorio, è vestito nei suoi abiti quotidiani e
assume un atteggiamento particolare si è dipinto il volto di oro e tiene tra le braccia un
animale impagliato. Dal gesto della mano destra capiamo che sta spiegando. I due codici
sono incomunicabili, ma è anche impossibile dato che la lepre è morta. Si impersona in una
specie di oracolo, quello che significa la performance è che è impossibile spiegare il senso
dell’arte. Emblematicamente questa immagine ci permette di collegare le esperienze di
questa lezione al momento fondativo dell’arte in progressione e della performance.
Uno degli assi portanti dell’arte contemporanea è il concetto dell’ironia, del sarcasmo.
Vediamo due opere, artista giapponese, usa la fotografia come medium e qui lei si traveste
da Einstein, imitando una sua famosa fotografia nella quale fa la linguaccia. L’artista si
traveste giocando con l’icona, riutilizzando un’immagine diventata icona.
Proposta di un artista famoso della street art, utilizza le pitture murali, aveva iniziato a
Liverpool: si chiama Banksy ed ancora oggi è ignoto, a partire dagli anni 2010 ha realizzato
anche delle installazioni in luoghi della città. Vediamo una cabina telefonica inglese rossa,
che lui ha lavorato e risaldato facendo in modo che assumesse l’aspetto di un corpo caduto
a morte, colpito da un piccone. Gioca col colore rosso della cabina, creando colature di
vernice che simulano sangue versato della comunicazione, è l’uccisione di uno degli status
simbol di Londra. Queste due opere giocano la carta del sarcasmo (anche drammatico),
che serve a suscitare una serie di riflessioni.
Uno dei percorsi dell’arte concettuale, specificatamente l’ultima delle avanguardie italiane
(arte povera) si è sviluppata anche in Europa, la land art insiste anche negli ambienti
espositivi, rispetto agli interventi statunitensi degli anni ’70 in cui si voleva abbandonare le
gallerie d’arte e i contesti in cui l’arte contemporanea si mercificava. L’idea di uscire da
questi ambienti vede un ritorno degli artisti dentro le gallerie e i musei. Alcuni interventi
modificano lo spazio della galleria, vediamo un artista che ha costruito un’installazione
sfondando il pavimento e immagina che l’intervento sia il risultato (riferimento alle guerre
dell’Afghanistan) dell’esplosione della bomba, quello che vediamo è il cratere di un missile
sparato in questo luogo. Per realizzare questo lavoro ha scavato il pavimento che è stato
poi ripristinato. La contrapposizione tra queste immagini di guerra e di distruzione e
l’ambiente ordinato della galleria è evidente, ma contrasta anche con le due persone
(visitatori) che conversano nel buco creato dalla bomba.
Gli interventi ambientali sono di grande impatto rispetto al visitatore, perché le persone
sono coinvolte inevitabilmente. Lo si vede chiaramente in ambienti di particolari
dimensioni: vediamo due diverse installazioni create nel 2005/2010 al Tate Modern di
Londra. Su un pavimento fittizio viene costruito una sorta di percorso come se fosse una
collinetta, tutta bianca e caratterizzato da una crepa, che si allarga sempre di più, come se
fosse l’effetto di un terremoto. Comincia in modo impercettibile, si vede solo una distesa
bianca, e via via che si avanza si allarga sempre di più questo baratro.
Vediamo installazione del 2003 di artista norvegese, Olaf Eliasion, si occupa dagli anni ’90
del Weather Project: prevedeva questa gigantesca sfera la quale produceva una luce che
variava nelle 24 ore, riproducendo in modo artificiale il sole nelle ore del giorno. Le tonalità
cambiavano a seconda dello spostamento del sole all’esterno e i cambiamenti erano
accompagnati da vapori profumati. Il pubblico era invitato a entrare nello spazio
gigantesco e si poteva rimanere il tempo che si voleva, come se fossero in un parco. La
natura è portata dentro uno spazio chiuso in modo artificiale, ma restituendo le sensazioni
del cambiamento del colore del cielo e del rapporto con il sole che esiste in natura.
L’idea degli ambienti viene utilizzata non solo per modificare la nostra percezione dello
spazio, ma può essere che l’ambiente sia la ricostruzione di situazioni reali che da un certo
punto di vista quando il visitatore entra riconosce il luogo, ma dopo di che qualcosa fa
scattare un altro ragionamento.
Vediamo installazione di uno dei più famosi artisti degli ultimi 20 anni, Danien Hirst.
“Pharmacy”, inizio del 2000. Nello spazio di una galleria d’arte riproduce una farmacia
inglese, vediamo gli espositori delle medicine, il bancone dove sta il farmacista. Sopra il
bancone ci sono 4 ampolle in vetro che evocano i prodotti delle antiche farmacie. Il
pubblico cosa percepiva? Una situazione tranquillizzante, ma se guarda gli sgabelli ci sono
sopra delle erbe secche (marijuana, oppio, hashish). La curiosità aumenta e se comincia a
guardare le scatole dei medicinali si accorge che sono tutti medicinali in commercio
(scatole vuote) e sono stupefacenti o psicofarmaci, antidepressivi ecc. In quello che è il
luogo dove si preparano i medicamenti, nell’età contemporanea ci racconta quante
sostanze sono presenti nel mondo che servono per aiutare gli effetti della depressione o
per eccitarsi. È un modo per indurre a una riflessione su come è diventato il nostro mondo
dal punto di vista della dimensione psichica, in una società che finge di essere positiva ma
che ha bisogno di queste cose per sopravvivere.
Artista sud americano, lavora sempre nell’arte ambientale che interviene in modo
provocatorio negli spazi del pubblico. Una delle sue installazioni più note è dei primi anni
2000 ma riproposta in diversi ambienti nel mondo, è un’installazione che utilizza cavi di
acciaio che diventano come una grande ragnatela, ancorata alle colonne, in cui sono
inglobate delle sfere di plastica bianca. La tensione di questo gigantesco nido di ragno è
tenuta in equilibrio da delle sfere ancorate al suolo piene di liquido. Si può salire all’interno
ed essere come in questa grande ragnatela sospesa.
Altra sua installazione, Tessuto di nylon, una struttura di metallo tiene aperta questa sacca
sospesa e tenuta da un anello nella parte superiore, a cui ha appeso altre sacche di nylon
riempite di spezie di varia natura. Il peso di tutti questi sacchi allunga l’insieme di questo
oggetto, che sembra un fiore o un frutto. Cosa producono? Ci rendono piccolissimi davanti
a una cosa che non ci aspettiamo, ci riporta in una situazione ambigua e di tensione
emotiva. Qui succede che la percezione dello spazio è accompagnata non solo dalla vista,
vedendo questi elementi sospesi, ma pensiamo all’odore di queste spezie che avvolgevano
il pubblico. Il concetto è cambiare e sollecitare le percezioni del pubblico.
Vediamo una stampa fotografica di grandi dimensioni, è una foto digitale con colori
brillanti. Autore Andrea Gursky, opera del 1999, il titolo è “99 centesimi”. Rappresenta in
una fase post pop art un’immagine oggettiva di un gigantesco supermercato dove tutto
quello che vediamo è in vendita a 99 centesimi. Molti sono sottoprodotti, alimentari di
qualità scarsa, ma nello stesso tempo è l’esemplificazione della quantità industriale dei
prodotti e del fatto che i discount sono i supermercati più frequentati. L’immagine è un
racconto sociale, rappresenta la quantità dell’offerta che il mercato globale permette.
Esiste almeno da una trentina di anni uno sviluppo esponenziale di mondi artistici nuovi e
diversi, es. arte cinese ed indiana, tutto lo sviluppo dell’arte asiatica. Queste propongono
elementi nuovi, nel mondo globalizzato i nuclei o le comunità artistiche si sono
moltiplicate, esattamente come le manifestazioni di arte. La Biennale che era sempre e
solo stata di Venezia è diventato un format, abbiamo quella del Cairo e quella di Shangai
ecc. Questo comporta un ingresso nel mercato dell’arte di artisti lontanissimi dalla nostra
cultura. In più molte di queste opere vengono riprodotte sul web, tutto diventa
raggiungibile. L’arte ambientale non riesce molto a farlo, non può essere mediato.
Installazione di Cheng Zen, uno dei più famosi della generazione degli anni ’90 in poi. 1991,
propone in una galleria a Pechino “Un mondo fuori dal mondo”. Si vede una stanza in cui
colloca una serie di oggetti presi dalla realtà quotidiana (un divano, una scala, una moto,
vestiti,…), tutti elementi collocati nella stanza ma sono ricoperti o imbevuti di terra rossa,
come anche il pavimento. È l’argilla della parte del fiume Giallo, è come se noi vedessimo
un mondo come Pompei, come se avesse ricostruito una visione di una vita fermata
ricoperta dai lapilli di un vulcano o dalla ricaduta delle polveri di una bomba atomica.
Una voce importante del contemporaneo è ancora legata al tema della performance e
all’uso del corpo come strumento di comunicazione. La performance è l’opera d’arte, inizia
e si conclude e poi ci restano le testimonianze. Vediamo un’opera del passato evocata,
“Ophelia” del 1849, confrontata con l’opera di un artista che si trasforma in una
contemporanea Ophelia in un ruscello, è legata alla denuncia delle violenze nei confronti
delle donne in Colombia, il suo paese originario.
Sempre nell’arco delle citazioni abbiamo Jean Fabre che nel 2010 ha realizzato opere che
riproducono opere d’arte famose, che naturalmente danno dei risultati completamente
diversi. A sinistra vediamo una riproduzione del ratto delle sabine di Giambologna. Cosa fa
l’artista? Espone questa grande scultura realizzata in cera, in modo che nel corso della
biennale, per il colore delle lampade, l’opera di sciolga. È la distruzione dell’immagine, è
come dire che l’arte imitativa del passato non esiste più.
Altra esposizione del 2018 in una chiesa Veneziana, presenta una riproduzione in marmo
(come se fosse esattamente la riproduzione esatta) della Pietà di Michelangelo ma con
delle modifiche, la Madonna è un teschio è la morte, Gesù è un giovane uomo con la
cravatta e abiti contemporanei il cui corpo è ricoperto di insetti, chiocciole, lumache,
farfalle, come se fosse un corpo abbandonato, tiene in mano un cervello. È un’icona
dell’arte rinascimentale nel mondo che viene trasformata in un’allegoria della morte, dove
Cristo non ha valore religioso ma semplicemente evoca la morte dell’arte contemporanea.
Sul tema della morte torna anche Danien Hirst, opera del 2001, come anche Banksy.
Danien presenta nella sua galleria a Londra un teschio vero di un uomo adulto morto nel
1700 che riveste completamente di diamanti. Si chiama “Skull” ed è la bellezza della morte,
quello che noi consideriamo pauroso della nostra mortalità diventa un gioiello, una
reliquia. Per realizzarlo ha avuto il finanziamento di due ditte che commerciano diamanti.
Vediamo Cristo Crocifisso dove manca la croce, il corpo si scioglie come cera e in realtà
regge dei pacchi regalo, è volutamente sarcastica ed è di Banksy, la drammatica morte non
importa più, ciò che conta è la ricchezza e la moda.
Sul tema della mercificazione il duo Elgrin e Suckset, artisti di origine nordica (svedese e
danese) lavorano su questa idea di installazioni ambientali in cui inseriscono anche
elementi presi dalla realtà. Allestiscono “Mosè contemporaneo”, rifacendosi alla leggenda
biblica del bambino che viene salvato tra tutti i piccoli ebrei perché la madre lo affida alla
corrente del fiume Nilo, viene ritrovato dalla figlia di un Faraone e diventa principe
d’Egitto. Qui vediamo un bebè in silicone dentro una culla, abbandonato non più alle suore
(luogo di assistenze) ma sotto un bancomat aperto 24/7, le persone sono così indifferenti
che lo troverebbero solo davanti a un bancomat per prendere i soldi.
C’è un mondo di produzione artistica legata al mondo femminile, Mona Atum (?) ha
proposto in una Biennale una serie di installazioni, in particolare questa che è
apparentemente un paravento alto circa 2 metri, “Grattugia paravento”. Ha preso un tipo
di grattugia, l’ha realizzata in formato monumentale e l’ha trasformata in paravento.
L’operazione indica un oggetto domestico legato alla cucina e al mondo femminile, lei è
palestinese. Il paravento è anche l’oggetto che fino al ‘900 nascondeva l’intimità
femminile, è anche uno strumento che ferisce e taglia. L’installazione è una denuncia dello
stato femminile nel mondo islamico.
Vediamo una serie di fotogrammi di un’attività performativa in cui l’artista di origine turca
ha allestito fuori dall’edificio con dei cavi di nylon un’infinità di sedie di varia forma, legate
alle cucine e alle case del popolare, erano del numero delle donne uccide in un anno in
Turchia.
Jose Galindo in Colombia realizza questa sua performance legata alla violenza sulle donne,
è lei vestita di nero che si è tagliata le piante dei piedi, camminando e lasciando le
impronte sul selciato.
Installazione legata alla guerra Israele-Palestina, vediamo una tenda da campo dei medici
dove curano le persone dei luoghi di guerra, tutte le scritte sopra sono l’elenco dei villaggi
palestinesi distrutti per la conquista da parte di Israele dei territori per i loro coloni.
“Viaggio per un matrimonio”, sembra un evento piacevole ma racconta una realtà diversa.
Vediamo un intero villaggio che fugge dalle guerre nel Burchina Faso portando via le poche
cose che hanno, le biciclette, le sedie, dei tappeti, fuggendo su un unico camion.
È drammatico anche Banksy, riprende una foto degli anni ’60 in cui c’è una bambina
vietnamita che camminava nuda lungo una strada dopo un bombardamento ed era tutta
bruciata. Riprende questa icona dei disastri della guerra e la trasforma in qualcosa di
atroce, la prendono per mano i personaggi del divertimento, Topolino e il pagliaccio di Mc
Donald, rappresentano l’America che ha prodotto questo orrore.
Gioca anche con i diritti civili, in un vicolo di Liverpool rappresenta due police man che si
baciano, quelli che picchiavano la comunità gay.
Su questi temi abbiamo un nostro neo-pop artista, Maurizio Cattelan, nei primi anni 2000
realizza installazioni con oggetti del quotidiano, ma sono modellini e non oggetti veri, sono
piccolissimi. Vediamo una cucina con i piatti sporchi, dove vive lo scoiattolo: “Bidibi bobidi
bu”, ritornello disneiano che in realtà è diventato il leiv motiv dello scoiattolo che si è
suicidato.
Una delle strade aperte nel contemporaneo è il ribaltamento die ruoli.
Spazio per la biennale del 2016, dove a disposizione del pubblico era stata messa della
plastilina, dei gessetti ecc., l’invito era che il pubblico potesse liberamente esprimersi con
questi materiali, le pareti erano a disposizione dei visitatori. Dopo qualche settimana, i
muori erano pieni delle testimonianze creative delle persone che erano passate per quella
stanza. Significava dire che chiunque ha il diritto di esprimersi, ogni persona potrebbe
essere una artista, l’arte è lo strumento che noi abbiamo per comunicare e per mettersi in
relazione con il resto del mondo.
Nello stesso anno, in una galleria a Bologna questo artista italiano ha collocato uno
striscione tenuto da dei ganci su uno spazio bianco, in cui il pubblico arriva e legge “Ciò che
stai pensando leggendomi, questa è arte”. È un ribaltamento, è lo spettatore il
protagonista, il suo essere e il suo pensiero. si può parlare di disordine dell’arte
contemporanea, ma è proprio dal disordine e dal caos che nasce il mondo nuovo.