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Non c’è una definizione definitiva di cosa sia l’arte; gli uomini definiscono come arte qualcosa di diverso, di
specifico o generale che non può essere racchiuso in una definizione.
Si tratta di un atteggiamento, di un approccio fenomenologico.
Nel momento in cui l’opera d’arte entra in un percorso espositivo o museale, diventa un atteggiamento
dentro la storia dell’arte.
La storia dell’arte, il sistema dell’arte (insieme degli operatori che si muovono nell’ambito artistico)
definisce l’arte;
Dino formaggio “L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte”; egli contesta le precedenti definizioni;
non si valorizzava l’arte minore, le arti applicate.
Negli anni in cui Dino Formaggio definisce l’arte, un’artista aveva elaborato una sua idea di arte: Kosuth,
artista concettuale degli anni 60, realizza su tela la definizione di arte: Art as Idea as Idea (l’arte come idea
di un’idea, come idea dell’arte)
La storia dell’arte si identifica nella storia degli oggetti, delle opere, degli stili, dei contesti storici,
dell’evoluzione dell’idea di arte nel corso del tempo.
La storia dell’arte si svolge attraverso:
• la storia dei manufatti nelle diverse epoche e contesti
• L’attenzione per la specificità degli autori, per gli intrecci tra loro e con l’ambiente in cui hanno operato
• La definizione di parametri e apertura a nuove e ulteriori interpretazioni
La storia dell’arte è una disciplina dinamica e non statica, come ogni disciplina scientifica fondata su una
forte componente critica.
Si tratta di una disciplina complessa, per il cui studio occorrono conoscenze storiche, tecniche, conoscenze
relative ai singoli autori, alle loro relazioni, allo specifico periodo in cui hanno operato (aspetti
antropologici, sociologici, culturali)
Oggi lo studio dell’arte si è arricchito grazie alla presenza di altre discipline come la storia della critica
dell’arte, la storia del collezionismo, la museologia ecc.
L’idea di arte vien vista all’interno di una dimensione “estetica”, nel senso che si collega al pensiero
sull’arte. L’estetica è una dimensione di riflessione teorica che poi può applicarsi alle opere, ma che ha una
sua autonomia di pensiero.
Artisticità = legge storica di raccolta e di connessione, di volta in volta diversa col variare del tempo e delle
situazioni, ma diversa proprio per la diversità variabile dei contenuti. Come forma è vuota. Si colora dei
colori delle culture che attraversa, manda i riflessi che le esperienze del momento e donano (...). È un
comporsi degli attivi moti dell’esperienza artistica concreta in atto e dei moti altrettanto attivi della
riflessione. Così, ogni epoca, ogni popolo ed ogni cultura danno vita a un certo specifico modo di riempirsi
di senso della generale idea di arte” (D. Formaggio)
Museo: è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta
al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, e
acquisisce, le conserva e le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.
Il tema della gestione, della tutela e della conservazione dei beni culturali non riguarda solo i musei ma tutte
le istituzioni, collezioni, fondazioni.
L’INVENZIONE DEL QUADRO
“L’invenzione del quadro”: è un libro di Victor Stoichita, storico dell’arte che unisce le conoscenze storico-
artistiche.
Libro che tratta di come tra il 400/500 si giunge nella cultura occidentale alla diffusione del quadro in
cornice che sostituisce la pittura parietale e religiosa delle precedenti epoche.
In quel periodo si sviluppa la consapevolezza che l’elaborazione pittorica sia un’elaborazione di tipo
intellettuale e non solo di tipo estetico.
Si parla di allontanamento dall’immagine innocente: l’artista non è solo un esecutore.
Gli artisti si pongono su un piano di analisi e interpretazione critica: si ha un passaggio dall’abilità e dal
rispetto di canoni di bellezza recepiti a una elaborazione intellettuale nei confronti dell’opera come
immagine e come proposizione.
Nel suo libro, stoichita introduce una serie di temi determinanti per comprendere la nuova concezione del
quadro.
• L’introduzione del margine, inteso come confine che delimita il quadro : le prime nature morte non
nascono isolate ma si trovano in nicchie; creare dei margini interni come per includere in una narrazione
visiva più cose; Stoichita li definisce “ Ingranaggi intertestuali” come ad esempio il modo in cui nel 600
si sviluppa l’abitudine di raccontare le collezioni d’arte nelle cosiddette quadrerie; l’ingranaggio
intertestuale indica l’idea che il quadro diventa un luogo di messaggi cifrati che vanno interpretati con
una particolare sensibilità .
• In un’epoca in cui non esisteva la macchina fotografica, lo specchio, che un ruolo simbolico fortissimo,
viene inserito in certi dipinti come elemento di complicazione.
• La finestra: cornice naturale dalla quale si osserva l’esterni; termine che Leon battista Alberti aveva
usato per spiegare il punto di fuga unico; nella pittura olandese del 600 le finestre venivano utilizzate per
guardarci dentro
• Carta geografica: immagine di valenza pittorica; veniva realizzata all’epoca da artisti-artigiani; le carte
geografiche dell’epoca sono considerate vere e proprie opere d’arte; nella pittura olandese del 600 la
carta geografica ha un ruolo fondamentale.
Opera: Las Meninas, Velasquez, 1656; Museo del Prado, Madrid.
Michel Foucault introduce il suo libro “le parole e le cose” un’analisi di questo dipinto, focalizzandosi sul
ruolo dello specchio e del convergere degli sguardi.
Stoichita, in riferimento al quadro, parla di Automatizzazione della pittura; la pittura che diventa soggetto di
sé stessa.
«In primo piano a sinistra vediamo il ‘negativo’ di ogni cornice, cioè un ‘telaio’ e il negativo di ogni quadro,
cioè il retro di un quadro. Las Meninas rappresenta uno scenario in grado di inglobare a un tempo sia la
‘pittura’ vista come atto sia il gioco, ricco di allusioni, del mettere in relazione tra loro le diverse modalità
dell’immagine definite in base a come tali immagini sono ‘inquadrate’. Preso in mezzo a questi elementi
strutturanti, il gesto del pittore – con la tavolozza ricoperta di colori senza ordine, il sottile pennello sospeso
a mezz’aria – è un fattore dinamico. È la dynamis dell’atto stesso del fare, in sospeso tra tavolozza e tela, al
centro di una sala con quadri alle pareti, uno specchio, porte, finestre, al cospetto di uno spettatore invisibile,
ma necessariamente presente…» (Stoichita, p. 248)
«Invece di inseguire all’infinito un linguaggio fatalmente inadeguato al visibile basterebbe dire che
Velázquez ha composto un quadro; che in questo quadro ha rappresentato se stesso nel suo studio o in una
sala dell’Escoriale nell’atto di dipingere due personaggi che l’infanta Margherita si reca a contemplare,
circondata di governanti, di damigelle d’onore, di cortigiani e di nani; che a questo gruppo si possono con
grande precisione attribuire nomi: la tradizione riconosce qui dona Maria Augustina Sarmiente, là Nieto, in
primo piano Nicola Pertusato, buffone italiano. Basterebbe aggiungere che i due personaggi che servono da
modelli al pittore non sono visibili, perlomeno direttamente; ma che possono essere scorti in uno specchio;
che si tratta indubbiamente del re Filippo IV e di sua moglie Marianna» (M. Foucault, Le parole e le cose,
BUR Rizzoli, 2001 – prima ed. 1967 - p. 23)
Lo specchio, come luogo della rappresentazione dove i fatti vengono narrati, è uno strumento con una sua
tradizione.
ES: Jan Van Eyck, ritratto dei coniugi Arnolfini.
Lo specchio serve a mostrare l’artista a lavoro; specchio convesso che amplifica
l’immagine e aumenta la possibilità di visione dell’esterno per effetto della prospettiva
aumentata.
L’artista introduce l’uso dello specchio che entra in gioco per rappresentare l’autore
della rappresentazione.
Lo specchio riporta all’io soggetto artista.
Quella di una storia dell’arte applicata ad una lettura teorico-pratica è la riflessione svolta da Giulio Carlo
Argan, storico dell’arte del 900; figura di grande rilievo.
Egli da una lettura personale, legata ad aspetti filosofici.
Nel 1969 scrisse un lungo saggio “La storia dell’arte”: l’apertura del saggio si focalizza sull’idea che l’opera
d’arte abbia un duplice valore, culturale ed economico, da cui consegue la necessità di una conoscenza ai
fini della conservazione e della valorizzazione.
L’arte è per Argan prodotto della civiltà storica dalla quale nasce, che la favorisce, che interpreta, che
diversamente immagina (si va configurando un valore progettuale dell’opera d’arte: l’opera d’arte è spesso
anticipazione di un modello di civiltà o di tecnologia).
Egli definisce la storia dell’arte come atto “in presenza” in quanto l’oggetto di studio è presente e attivo:
rispetto alla storia, la quale si affida sempre a dei testimoni, la storia dell’arte si svolge in presenza; tale
visione porta all’idea che tutta l’arte sia contemporanea perché è presente.
Secondo Argan non esiste storia priva di giudizio critico: la conoscenza storica è vista come ricerca dei
legami fra i diversi fenomeni artistici, collegati fra loro; la conoscenza storico-artistica permette
l’apprezzamento dell’oggetto d’arte
Dal saggio di Argan emerge poi, l’idea che la Storia dell’arte sia una disciplina che propone soluzioni e che
non si limita ad essere una scienza descrittiva;
Le categorie di «spazio» e «tempo» nella creazione, nell’interpretazione e nella analisi dell’opera d’arte e della
concezione della storia dell’arte vengono ampiamente analizzate nei saggi di Focillon e Kubler, due saggi
scritti tra gli anni 50 e 60 del 900 “vita delle forme” e “la forma del tempo”, dove la parola forma è al centro
di entrambi.
Parlare di spazio e tempo porta a considerare geografia e storia: Geografia dell’arte è una disciplina che non
ha la stessa incidenza della storia dell’arte poiché entra in gioco nel momento in cui si parla di spazio, che sia
legato ai luoghi, o che sia spazio in sé.
Questi due libri insistono sull’uso della parola “forma” collegato, da una parte, alla sua trasformazione nei
luoghi, nelle materie e nel tempo, dall’altra sul fatto che l’uomo percepisce la forma attraverso le
testimonianze, gli oggetti e le cose.
L’opera d’arte è un tentativo verso l’unico che si afferma come un assoluto che nello stesso tempo fa
parte di un sistema di relazioni complesse.
È il risultato di un’attività indipendente composta da materia, spirito, forma e contenuto; si tratta di un
qualcosa che è immerso nella mobilità del tempo e appartiene all’eterno.
Per approfondire lo studio di un’opera d’arte, secondo Focillon, occorrerebbe isolarla al fine di poterla
meglio vedere.
L’opera d’arte è misura dello spazio, è forma così come lo è la vita dove il termine “vita naturale” viene
valutato come rapporto necessario tra le forme.
Lo stesso si può dire dell’arte, in quanto le relazioni formali in un’opera e tra le opere costituiscono una
metafora dell’universo.
Bisogna considerare la forma in tutta la sua pienezza e sotto tutti i suoi aspetti: come costruzione dello
spazio e della materia, sia che si manifesti attraverso le variazioni dal chiaro allo scuro, sia che venga
architettata, scolpita, dipinta o incisa.
L’opera d’arte non esiste che in quanto forma: essa è la stessa arte poiché non la indica ma la genera.
Per poter esistere, c’è bisogno che la forma entri nella dimensione, misurando e qualificando lo spazio; è in
questa esteriorità che risiede il suo principio eterno.
Spesso si tende a confondere la nozione di forma con quella di immagine e soprattutto con quella di segno.
Il segno significa, mentre la forma si significa: il segno accoglie un simbolismo che si sovrappone alla
semantica; la forma ha un senso, ma che è tutto suo: una massa architettonica, un rapporto di toni o una
macchia di pittura esistono e valgono in primo luogo per sé stessi. Hanno una qualità fisionomia che può
presentare delle somiglianze con quella della natura ma non si confondono con questa.
Il contenuto fondamentale della forma è un contenuto formale e dal momento che la forma appare, essa è
suscettibile di essere letta in vari modi.
Si può concepire l’iconografia in diversi modi, sia come variazione di forme sullo stesso senso, sia come
variazione di sensi sulla stessa forma: entrambi i metodi pongono in luce la rispettiva indipendenza dei due
termini.
Il segno significa ma, divenuto forma, aspira a significarsi, crea il suo nuovo senso e si cerca un contenuto
che gli dà una nuova giovane vita per mezzo di associazioni.
Le forme plastiche presentano delle particolarità non meno notevoli: sono soggette al principio della
metamorfosi e al principio degli stili che tende a fissare e a disciogliere i loro rapporti.
In qualsiasi modo sia realizzata, l’opera d’arte risulta immobile solo in apparenza in quanto ogni opera nasce
da un mutamento e contemporaneamente ne prepara un altro.
Si potrebbe dire che la forma astratta o fantastica sia libera dal paragone coi modelli della natura, al
contrario di quelle opere d’arte che invece ne rispettano l’immagine.
In realtà, anche i modelli della natura possono essere considerati come il fusto e il sostegno della
metamorfosi.
La metamorfosi delle figure non altera i dati della vita, ma genera una vita nuova, non meno complessa di
quella dei mostri della mitologia asiatica e dei mostri romanici; la forma è in primo luogo una vita mobile in
un mondo che cambia.
Le metamorfosi ricominciano senza fine e quel che tende a coordinarle e a stabilizzarle è il principio degli
stili.
Questo termine ha due sensi molto diversi, a tratti opposti: lo stile è un assolto e allo stesso tempo una
variabile.
Lo stile, concepito in modo assoluto, è esempio di fissità; Uno stile, invece, è uno sviluppo, un insieme
coerente di forme unite da una reciproca convenienza.
Sono gli elementi formali a costituire uno stile in quanto ne sono il repertorio e il vocabolario.
Uno stile si afferma per mezzo delle sue misure e questo veniva già concepito dai Greci, quando lo
definivano col criterio delle proporzioni relative tra le parti.
I Greci arrivarono a definire alcuni principi e regole fondamentali e stabilirono addirittura tre ordini:
- Ordine Ionico nato nella città del Peloponneso. È lo stile più austero, con colonna lineare e privo
di decorazioni
- Ordine Dorico nato nelle isole con caratteri più esotici che porta a quel diverso rapporto
proporzionale di altezza e a quella soluzione delle volute messe di spigolo per dare un senso di
movimento circolare. È lo stile più ricco, con solo due riccioli sul capitello e colonne stilobate
- Ordine Corinzio deriva da un ulteriore sviluppo di ricchezza di una città dell’Asia Minore e della
bellezza estetica. È uno stile più creativo, l’ornamento diventa prioritario con le foglie di acantho
Secondo Focillon, la grandezza dell’arte greca è legata strettamente al clima in cui è sorta: l’arte è quindi
qualcosa che scaturisce dalle condizioni, dai luoghi e della natura, sebbene nasca poi dalla mano dell’uomo.
Ogni interpretazione dei movimenti degli stili deve tener conto di due fatti essenziali: il primo è che parecchi
stili possono vivere simultaneamente anche nella stessa regione; il secondo è che gli stili non si sviluppano
nello stesso modo nei diversi domini tecnici dove si esercitano.
Preso in considerazione ciò, si può considerare la vita di uno stile sia come una dialettica sia come un
procedimento sperimentale.
Ogni stile nella storia è sotto l’impero di una tecnica che prende il sopravvento sulle altre e dà codesto stile
la sua tonalità; tale principio, viene definito “del primato tecnico” ed è stato formulato da Bréhier a
proposito delle arti barbariche, che sono dominate dall’astrazione ornamentale.
Sull’architettura invece cade la tonica dello stile romanico e lo stile gotico; ed è noto come la pittura tenda a
prevalere sulle altre arti, a invaderle e anche a deviarle.
All’interno di uno stile omogeneo e fedele al suo primato tecnico, le diverse arti cercano l’accordo con quel
che le domina poi ognuna di esse tende a vivere per suo proprio conto.
La vita delle forme non si fa a caso poiché le forme obbediscono a leggi proprie che sono nelle regioni dello
spirito che esse hanno per sede e per centro.
Lo stato sperimentale è quello nel quale lo stile cerca di definirsi e viene di solito chiamato arcaismo.
Nel suo breve istante di pieno possesso delle forme, il classicismo si presenta come un’acutezza felice: lo
stato classico si separa radicalmente da quello accademico, il quale ne è soltanto il riflesso senza vita
propria, una specie di immagine inerte.
Lo stato barocco permette ugualmente di ritrovare la costanza degli stessi caratteri negli ambienti e nei
periodi più vari: si tratta del momento più libero della vita delle forme.
Esse vivono per sé stesse con intensità, si espandono senza freno e crescendo, si distaccano e tendono a
invadere lo spazio da ogni parte.
Questi caratteri si notano e colpiscono nell’arte ornamentale dove la confusione tra forma e segno risulta
molto forte ed evidente: la forma significa un contenuto volontario e viene torturata affinché si adatti a un
senso.
Le forme, nei loro strati diversi, non stanno sospese in una zona astratta ma si mescolano alla vita dalla
quale provengono traducendo nello spazio certi movimenti dello spirito,
Uno stile definito è un ambiente formale, omogeneo e coerente, all’interno del quale l’uomo agisce e respira,
un ambiente capace di spostarsi in blocco.
La vita delle forme definisce dei luoghi psicologici senza i quali il genio degli ambienti sarebbe opaco e
inafferrabile per tutti coloro che ne fanno parte.
L’ambiente formale crea i suoi miti storici che sono modellati dalle conoscenze e dai bisogni spirituali ma
anche dalle esigenze della forma.
Lo stato di uno stile è insieme garante e promotore della diversità; le forme non sono affatto la loro spoglia
rappresentazione; la loro vita si attua in uno spazio che prende corpo nella materia per mezzo degli strumenti
e delle mani degli uomini.
Per tanto, esse esistono in un mondo concreto e potentemente differenziato.
Una forma senza il suo sostegno non è forma, ed il sostegno è esso stesso forma.
Ogni stile e ogni tecnica richiedono di preferenza una particolare natura d’uomo, una speciale famiglia
spirituale
Lo spazio è il luogo dell’opera d’arte che tende a trattarlo secondo i suoi bisogni, lo definisce e lo crea
quando necessario.
Lo spazio dell’arte si definisce come materia plastica e mutevole.
La forma non è indifferentemente architettura, scultura o pittura: la forma risulta in primo luogo qualificata
dal campo speciale in cui si esercita così come accade per lo spazio che essa esige.
L’arte ornamentale è dotata di una vita particolarissima e rimane una sorta di osservatorio dove è possibile
cogliere certi aspetti elementari della vita delle forme.
Il più semplice tema ornamentale non soltanto esiste per sé stesso, ma configura il suo ambiente, al quale la
sua forma dà una forma.
Se si seguisse questa forma nella sua metamorfosi, ci si troverebbe dinanzi a una varietà infinita di blocchi
di spazio, i quali costituiscono un universo frammentario.
Se si pensa al modo di lavorare di un architetto, si arriva a comprendere che le tre dimensioni non sono
soltanto il luogo dell’architettura, ne sono pure la materia, coi suoi caratteri di pesantezza e di equilibrio.
Un edificio è un insieme di parti in cui larghezza, lunghezza e profondità si accordano tra loro e
costituiscono un solito inedito, il quale comporta un volume interno e una massa esterna.
Le masse sono in primo luogo definite dalle proporzioni che tuttavia non sono sufficienti per la loro
completa definizione in quanto su di esse incidono le forme ornamentali, la luce e altri elementi.
Ogni massa presenta un duplice aspetto: una massa esterna e una interna dove il rapporto tra le due è di
singolare interesse per lo studio della forma dello spazio.
Queste masse possono essere in funzione l’una dell’altra e questo accade quando la composizione esterna ci
rende sensibile la disposizione del suo contenuto.
Originalità più profonda dell’architettura comitale risiede forse nella massa interna la quale crea veramente
il suo proprio universo.
Il privilegio unico dell’architettura tra tutte le arti è quello di costruire un mondo interno che misura lo
spazio e la luce secondo le leggi di una meccanica e di un’ottica che di necessità rimangono incluse
nell’ordine naturale, ma su cui la natura non ha presa.
La luce viene trattata come un elemento di vita, la quale non rischiara soltanto la massa interna ma collabora
anche con l’architettura per darle la sua forma.
Lo spazio (inteso come vuoto) in sé, non ha forma, se non le forme determinate dall’ambiente (ambiente
naturale e ambiente antropizzato). Nell’ambito di una lettura culturale della forma e dello spazio prima di tutto
è l’architettura, intesa come elemento autonomo e integrato all’ambiente che crea un tipo di spazio che si
modifica nel tempo e si modifica in relazione ai luoghi.
Dare forma allo spazio significa invece, interpretare come l’uomo ha costruito in modo allargato gli ambienti.
La forma dello spazio non è solo uno spazio letto in chiave topografica o cartografica ma come relazione tra
spazio interno e spazio esterno, spazio vissuto come comune e spazio privato, lo spazio sacro rispetto allo
spazio della quotidianità (da sempre ogni religione ha posto dei confini nel passaggio a uno spazio che ha
dimensione e valore sacro). Quindi la forma dello spazio non è solo razionalità ma anche simbolo, simbolo
del passaggio da un ambiente ad un altro.
Forma nello spazio è la forma dell’oggetto che si prende in esame (oggetto architettonico, scultoreo, plastico).
Forma con cui si legge una cosa e si cerca di interpretarla in relazione ad un significato formale, oltre che di
funzione.
Spazio come forma è un ritorno al valore dello spazio come materia plasmata dall’artista. Nell’arte del secondo
900 Lucio Fontana ha proprio posto lo spazio al centro della sua materia, nasce l’arte d’ambiente, fatta di luci,
sensazioni ed altro all’interno di uno spazio che può essere buio o illuminato o definito in termini astratti.
Esperimento di perfezione nella storia.
Momento che nella storia dell’arte viene posto come discrimine tra quanto accadeva prima e quanto accade
inseguito, è l’invenzione della prospettiva, il momento in cui degli artisti cominciano a concepire la
rappresentazione fondata su un criterio logico-razionale che è quello della prospettiva a punto di fuga
unico e centrale.
Si fa risalire l’invenzione della prospettiva in senso logico- razionale e matematico all’artigiano architetto
Brunelleschi, il quale, da un esercizio di elaborazione dello spazio architettonico che poi ha esercitato anche
in altri importanti edifici dipinge due tavole in legno: una rappresentazione prospettica del battistero di San
Giovanni e una rappresentazione prospettica da un punto di vista non frontale di piazza della signoria e del
palazzo vecchio di Firenze
Dopo aver dipinto questa tavola secondo criteri razionali e logici che si era dato, per farne la prova, realizzò
un foro nella parte centrale, cioè nel punto di fuga del dipinto. Per far capire come funzionasse il
meccanismo, per comprenderne il significato occorreva mettere la tavoletta al contrario e mettere uno
specchio di fronte, attribuendo allo specchio la capacità di una fedeltà ottica, in modo che lo specchio
permettesse di sostituire la visione della chiesa di San Giovanni.
Questo per capire come le diverse altezze delle proporzioni dell’edificio vengano ricondotte a questo punto
ad altezza d’uomo per chi si pone di fronte alla porta del battistero.
La definizione di arte come linguaggio simbolico data da Cassirer ha portato allo sviluppo di una nuova
storia della cultura ancorata al concetto di opera d’arte come espressione simbolica che ha però trascurato
l’arte intesa come sistema di relazioni formali.
La definizione di arte intesa come forma resta inattuale anche se è logico pensare che nessun significato può
essere trasmesso se non gli si da una forma e che le forme strutturali possono essere percepite
indipendentemente dal significato.
Il testo di Kubler è orientato a valorizzare non solo l’opera d’arte intesa come capolavoro esposto in un
museo, ma anche gli oggetti e le cose che possono avere carattere e valore culturale
Uno studio sistematico delle cose create dall’uomo è iniziato appena 500 anni fa, con la descrizione delle
opere d’arte nelle biografie degli artisti del rinascimento italiano.
Oggi archeologia ed etnologia si occupano in senso vasto delle manifestazioni delle civiltà, mentre la storia
dell’arte studia i prodotti più espressivi e meno utilitari dell’industria umana.
Tutto ciò che esiste oggi è una replica o una variante di qualcosa che esisteva prima e così via, senza
interruzione, fino ai primi albori della vita umana.
La storia è in questo senso elastica e un buon narratore può scegliere qualsiasi momento come inizio di una
certa sequenza di eventi.
Lo storico d’arte distingue tra prodotti di utilità pratica e prodotti estetici, classificando questi ultimi per tipi,
scuole e stili.
Scuole e stili sono i prodotti dell’assiduo inventariare operato dagli storici d’arte dell’Ottocento ma certe
parole subiscono alterazioni del significato quando vengono sottoposte al logorio di un uso troppo comune.
È il caso della parola ‘stile’ dove a un estremo troviamo la definizione data da Focillon come “linea delle
alture”, all’altro estremo vi è il mondo della pubblicità, che attribuisce la parola ‘stile’ al dominio della
moda, i cui ricambi annuali vengono presentati come ‘nuovi stili’
Si tratta dunque di una costruzione instabile: nel primo caso il significato di stile è cronologicamente
illimitato, nel secondo caso è ristretto nel tempo ma non nel contenuto.
Tutta la letteratura artistica esistente è radicata nei labirinti della nozione di stile, che descrive una figura
specifica nello spazio più che un tipo di esistenza nel tempo.
Nel XX secolo si è andata formando un’altra corrente di studi avente per oggetto l’esame di tipi iconografici
come espressione simbolica dei mutamenti storici, la quale è stata denominata “Iconologia”.
Il metodo di ripartizione del materiale di studio resta quello biografico, come se l’unità biografica fosse
l’unico vero metro di catalogazione.
La storia di un dato problema artistico e della soluzione data né da un certo artista trova una giustificazione
pratica, con la quale si limita però il valore della storia dell’arte a questioni di pura utilità pedagogica.
Da un certo punto di vista biografie e cataloghi sono stazioni intermedie dalle quali è facile perdere di vista
il carattere di continuità delle tradizioni artistiche.
La biografia non permette di un’analisi provvisoria della materia artistica e non basta da sola a inquadrare il
problema storico nelle vite degli artisti ossia il problema delle relazioni esistenti tra loro e ciò che li ha
preceduti o seguiti.
Accessi individuali.
Il prodotto della vita di un uomo è solo uno degli elementi di una serie che si estende lungo il suo tempo e di
cui egli segna soltanto un punto intermedio, a seconda della posizione che l’individuo occupa su una certa
linea.
Un individuo può correggere la tradizione in modo da guadagnarsi un più favorevole accesso.
L’accesso dell’artista alla storia non dipende soltanto dalla posizione dell’individuo nella sequenza storica,
ma anche dal gioco delle sue doti naturali con le posizioni specifiche.
Ogni posizione è collegata per così dire a un certo tipo di temperamento: quando le doti naturali di un
individuo coincidono con le esigenze di una posizione favorevole, quel prediletto può riuscire a ricavare da
questa situazione un tesoro di conseguenze.
È come se il gioco di ogni esistenza umana fosse governato da due ruote della fortuna, una che decide le doti
naturali che formano il temperamento di un individuo e l’altra che presiede al momento del suo accesso a
una determinata sequenza storica.
Talento e genio.
Da questo punto di vista le differenze fondamentali tra un artista e l’altro sono date dal momento del loro
accesso e dalla posizione che occupano in una certa sequenza.
La caratteristica comune a tutte le persone di talento più che nel grado, sta nel genere: ciò che importa è
infatti la presenza del talento.
Più che la gradazione del talento importa la diversità del momento e delle occasioni.
La nostra concezione di genio artistico a subito incredibili trasformazioni al punto che oggi siamo in
volontariamente portati a considerare il genio come un dono congenito o come una innata differenza
qualitativa tra uomini quando il genio è un prodotto di educazione più che una caratteristica genetica.
La metafora biologica di stile come sequenza di stadi di vita era destinata a fuorviare lo storico poiché
attribuiva al flusso degli eventi le forme e il comportamento degli organismi.
Secondo la metafora del ciclo vitale lo stile si comporta come una pianta: le prime foglie sono piccole e
informi, successivamente crescono e le ultime foglie sono di nuovo piccole ma di forma complicata.
Il sistema di metafore derivate dalla fisica si adatterebbe al trattamento della materia artistica meglio delle
metafore biologiche specie se in arte abbiamo a che fare con la trasmissione di una qualche forma di energia,
con impulsi o centri generatori.
Gli antropologi usano l’espressione “storia delle cose” per distinguere le idee dai prodotti lavorati: la storia
delle cose intende invece riunire idee e cose sotto la rubrica di “forme visive”, includendo in questo termine
sia i manufatti che le opere d’arte.
Da tutte queste cose si delinea un ritratto visibile dell’identità collettiva e questo autoritratto nelle cose serve
al gruppo come guida e punto di riferimento per il futuro.
Scienziati e artisti.
Il valore di qualsiasi riavvicinamento tra storia dell’arte e storia della scienza sta nel mettere in luce quei
tratti comuni di scoperta e mutamento che il tempo incide sulle opere materiali sia degli artisti sia degli
scienziati.
Scienza e arte si occupano ambedue di certi bisogni umani che la mente e le mani soddisfano producendo
cose.
Ai suoi albori la scienza sperimentale fu intimamente legata agli studi e alle botteghe del Rinascimento.
Benché collegati tra loro da un gradiente comune, uso Bellezza restano diversi: nessun arnese potrà mai
trovare una spiegazione completa come opera d’arte, o viceversa.
Il contributo dello storico è la scoperta delle molteplici forme del tempo; il suo fine è dunque quello di
ritrovare il tempo.
La scoperta e la descrizione della forma del tempo sono il suo compito costante.
Lo storico si distingue dunque dall’antiquario e dal curioso erudito nello stesso modo in cui uno che
compone musica si distingue da chi la esegue: egli estrae un significato da una tradizione.
Lo storico mette in luce un disegno che non era visibile a coloro che ne furono parte e che era ignoto anche i
suoi contemporanei.
Mentre il tempo biologico consiste di periodi in interrotti di durata statisticamente prevedibile, il tempo
storico è intermittente e variabile poiché gli intervalli tra un’azione all’altra sono infinitamente variabili in
durata e contenuto.
Gli elementi costitutivi del disegno del tempo storico sono gli eventi loro intervalli: ciò che attira la nostra
attenzione è proprio quel tessuto dinamico che riempie gli intervalli e allaccia le esistenze tra loro.
Il tempo può essere conosciuto soltanto indirettamente: osservando mutamento e permanenza, segnando la
successione di eventi con riferimento punti fissi e notando il contrasto dei vari ritmi di mutamento.
Per una conoscenza più profonda del passato ma non bisogna appoggiarsi soprattutto ai prodotti visibili
dell’industria dell’uomo.
Se supponiamo l’esistenza di un gradiente comune tra autorità assoluta e arte pura, i due estremi esistono
soltanto nella nostra immaginazione poiché i prodotti dell’uomo includono sempre utilità e arte in varie
proporzioni e non possiamo concepire un oggetto senza l’uno o l’altro di questi ingredienti.
La distinzione accademica fatta nel Seicento tra arti liberali e mestieri ha cominciato a passare di moda circa
un secolo fa.
A partire dal 1900 le arti popolari, gli stili provinciali e le professioni artigiane vennero considerate degne
degli stessi onori fatti agli stili di corte e alle scuole metropolitane.
Un concetto di unità estetica bene ad abbracciare tutte le manifatture umane, invece di nobilitarne alcune a
spese di altre.
È doveroso fare due distinzioni: in primo luogo c’è una grande differenza tra l’apprendimento di un messere
tradizionale e l’amore inventiva di un artista; l’uno richiede soltanto azioni ripetitive, l’altro presuppone il
distacco da ogni prassi abitudinaria.
La seconda distinzione si riallaccia la prima riguarda la natura utilitaria di estetica di ciascun ramo
dell’attività artistica: in architettura e nelle attività di essa collegate la struttura fa parte dell’insegnamento
tecnico ed è intrinsecamente razionale utilitaria; allo stesso modo in scultura e in pittura ogni lavoro ha la
sua ricetta tecnica di formule di espedienti di mestiere che permettono di realizzare certe combinazioni
espressive e formali.
Struttura, tecnica e iconografia appartengono quindi al substrato non artistico delle “belle arti”.
Siamo in presenza di un’opera d’arte quando manca la caratteristica strumentale e quando il substrato
tecnico-razionale resta elemento di secondo piano; quando la struttura tecnica di un oggetto o il suo ordine
razionale passano in primo piano, abbiamo un oggetto d’uso.
Natura dell’attualità.
L’attualità è un momento di oscurità tra un lampeggio e un altro di un faro, l’istante di silenzio del
ticchettare di un orologio: è uno spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo, il punto di rottura tra
passato e futuro.
Essa è l’intervallo intercronico quando niente accade, il vuoto che separa gli eventi.
Tuttavia, l’istante attuale è tutto quello che possiamo conoscere direttamente: resto del tempo emerge sotto
forma di segnali che ci vengono trasmessi attraverso innumerevoli stadi.
In ogni evento, l’istante presente è il piano sul quale sono proiettati i segnali di tutto l’essere.
I segnali più deboli e meno chiari sono quelli provenienti dal momento iniziale e da quello finale di ogni
sequenza di eventi, giacché non è possibile avere un’idea definita di una porzione coerente di tempo.
Infatti, la segmentazione della storia è una questione arbitraria e convenzionale, retta da concetti non
verificabili delle entità storiche e delle loro durate.
Tutti questi processi di mutamento costituiscono un’aria misteriosa e inesplorata dove il viaggiatore perde
rapidamente l’orientamento e si trova brancolare nel bullo.
Mentre per gli animali, la cui vita è governata dall’istinto, l’istante attuale sembra molto meno breve, per
ciascuno di noi la vita contiene un’infinità di momenti presenti, in ognuno dei quali innumerevoli scelte si
aprono alla volontà e all’azione.
Allo stesso modo, gli uomini non possono avere la piena percezione di un evento finché non si è verificato e
dunque non è storia.
Segnali.
Un’opera d’arte trasmette un certo comportamento dell’artista e serve anche da punto di partenza di impulsi
che spesso in trasmissioni posteriori vengono amplificati in maniera straordinaria.
Ridotto ai minimi termini un avvenimento storico si compone di evento con segnali da questo originati e una
persona capace di riprodurre i segnali stessi.
Ad esempio, un’opera d’arte non è semplicemente il residuo di un evento ma anche il segnale di questo,
segnale che spingerà altri a ripeterla o a migliorarne la soluzione.
Relè.
La conoscenza storica consiste di trasmissioni nelle quali il trasmettitore, il segnale e il ricevitore sono tutti
elementi variabili, capaci di influenzare la stabilità del messaggio.
Poiché, nel corso normale di una trasmissione storica, il ricevitore di un segnale ne diverrà a sua volta
trasmettitore, possiamo raggruppare trasmettitori e ricevitori sotto la rubrica dei relè, dove ogni relè è la
fonte di qualche deformazione del segnale originale.
Volontariamente o involontariamente, ogni relè deforma il segnale ricevuto a seconda della sua posizione
storica.
Il richiamo storico non può mai essere completo né completamente esatto, a causa appunto delle successive
deformazioni che il messaggio subisce.
Il rinnovamento dei miti è un caso tipico: quando l’antica versione diviene obsoleta, essa viene riformulata
in termini moderni e continua ad assolvere in questa veste gli stessi vecchi compiti interpretativi.
La condizione essenziale della conoscenza storica è che l’evento si trovi entro un certo raggio d’azione, che
ci giunga un segnale che costituisce la prova dell’esistenza passata.
Per quanto limitato, il numero totale di segnali storici emessi supera di gran lunga la capacità di qualsiasi
individuo di interpretare tutti i segnali in tutto il loro significato.
Uno dei compiti principali dello storico è quindi quello di condensare la molteplicità dei segnali usando vari
schemi di classificazione che risparmino la noia di rivivere la sequenza storica in tutta la sua confusione
istantanea.
Può capitare che un segnale primario (la prova più diretta dell’evento stesso) richiede un grande dispendio di
energia per la sua scoperta di interpretazione.
Il lavoro dello storico consiste in massima parte nell’elaborare messaggi credibili sulla base dei semplici
fondamenti forniti da segnali primari.
Il segnale proprio può essere descritto come la silente dichiarazione esistenziale delle cose.
Anche i segnali aggiunti risultano essenziali al nostro studio, ma va notato che i rapporti tra un segnale
aggiunto e l’altro e tra questi e i segnali propri, formano una parte del problema in cui il dipinto costituisce
la risoluzione in termini di esperienza effettiva.
I segnali propri da solo non provano altro che l’esistenza: i segnali aggiunti a sé stanti provano soltanto la
presenza di un significato.
Le recenti correnti dell’attività artistica, come ad esempio l’espressionismo astratto, mettono in risalto
soltanto i segnali propri; d’altra parte, gli studi accademici hanno concentrato la loro attenzione soltanto sui
segnali aggiunti.
Il risultato è stato un malinteso reciproco tra storici artisti: lo storico impreparato considera la pittura
progressiva contemporanea come un’avventura insensata e terrificante, mentre il pittore considera quasi tutti
gli studi d’arte come un vuoto esercizio rituale.
Le opere d’arte si distinguono da attrezzi e arnesi in quanto contengono un intricato complesso di segnali
aggiunte; esse non indicano un’azione immediata o un uso particolare, ma sono piuttosto come una porta
attraverso la quale il visitatore può accedere allo spazio del pittore o al tempo del poeta per fare lui stesso
esperienza del ricco dominio che l’artista ha modellato.
Studi iconografici.
Dicono grafia e lo studio delle forme assunte dai significati aggiunti a tre livelli: naturale, convenzionale e
intrinseco.
Il significato naturale riguarda l’identificazione primaria di cose persone; si parla di significato
convenzionale quando si rappresentano azioni o allegorie che possono essere spiegate con riferimenti a fonti
letterarie; i significati intrinseci invece, formano l’oggetto dei cosiddetti studi iconologici e riguardano la
spiegazione dei simboli culturali.
Nel corso dei secoli le opere d’arte sono state designate in modi diversi a seconda delle concezioni sottese
alla loro elaborazione.
Nell’antichità classica l’opera d’arte è considerata il prodotto dell’abilità e dell’esperienza manuale
dell’artefice; in età ellenistica l’arte assume il valore di entità ispirata dalla divinità, quindi sacra.
Nella cultura tardo antica l’arte è ritenuta il riflesso della bellezza divina rielaborata dall’interiorità
dell’artista; il Rinascimento ritorna l’idea di opera d’arte come imitazione della realtà: durante questo
periodo le opere d’arte si identificano con le arti del disegno, ritenuto principio teorico e pratico che governa
l’imitazione della realtà naturale e spirituale.
Con l’età barocca, la definizione di arti del disegno viene sostituita con quello di belle arti, denominazione
che associa l’idea di arte a quella di Bellezza.
La bellezza nella teoria classicista è l’elemento che distingue l’opera d’arte dagli oggetti di uso comune che
si trovano in natura: contraddistingue l’intervento dell’artista nel momento in cui si appresta a imitare la
natura.
Nel corso del Settecento si riscontra il termine di arti figurative, sinonimo di arti plastiche: l’intento è quello
di superare alcuni concetti precedenti come il disegno inteso come fondamento dell’opera.
Le denominazioni di belle arti, di arti figurative e di arti plastiche perdureranno sino al XIX secolo, quando
verrà introdotto il termine monumento, che designa dapprima qualsiasi forma artistica, poi indica di
preferenza un’opera architettonica situata in un determinato contesto urbanistico o territoriale.
Nella seconda metà dell’Ottocento la storiografia artistica adotta la dizione di arti maggiori e arti minori: la
separazione intendeva indicare una gerarchia tra forme d’arte sostenute da un processo speculativo, come la
pittura, la scultura e l’architettura, e quelle dove era ritenuto prevalente l’intervento manuale o artigianale.
A partire dagli anni 80 del XIX secolo, in Europa, questa distinzione viene superata.
La denominazione di “opera d’arte”, entrata nell’uso corrente verso la fine dell’Ottocento e mantenuta sino a
oggi, intende designare un manufatto contrassegnato da specifiche caratteristiche: il significato del
linguaggio, il valore estetico, il carattere individuale, materiale e spirituale.
A partire dagli anni 50 del Novecento si sono introdotte due denominazioni relative agli oggetti artistici: arti
della visione e beni culturali; con la prima si intende sottolineare l’importanza dell’organo della vista; con la
seconda vengono indicati tutti gli oggetti che recano il segno della cultura umana.
Il concetto di bene culturale comprende tutti i fenomeni della cultura materiale, senza distinzione gerarchica
e in una visione paritaria.
Un’altra definizione corrente molto attuale per indicare un’opera d’arte quella di immagine, definizione
entrata in uso nella letteratura artistica a partire dal 500.
La storia delle immagini viene però affrontata solo a partire dalla metà del XIX secolo con la diffusione e
l’uso della fotografia per la riproduzione delle opere.
Con il concetto di immagine si intende non tanto la struttura, la forma e lo stile d’opera ma piuttosto i
significati che la raffigurazione porta con sé e che sa trasmettere al fruitore.
Il concetto di originalità di un’opera d’arte è stato largamente dibattuto a partire dal seicento da conoscitori
d’arte preoccupati di distinguere le opere autentiche dai falsi e dalle copie.
Una replica di un’opera è la ripetizione di una stessa opera da parte dell’autore che l’ha inventata ma che si
distingue dall’originale per alcune differenze che riguardano il formato, la tecnica e alcuni particolari
iconografici.
La copia si distingue dalla replica perché consiste nella riproduzione di un originale realizzato da un autore
diverso da quello che ha eseguito il prototipo: le copie furono introdotte già nell’antichità classica, furono
ampiamente adottate nel Rinascimento, nell’epoca barocca e nel Settecento.
Esse nacquero per diffondere e moltiplicare le invenzioni e il gusto di un determinato autore ma anche come
contraffazioni per frodare gli acquirenti: in quest’ultimo caso la copia si definisce falso.
I falsi sono imitazioni degli originali con finalità dolosa: nascono nell’antichità e vengono rilanciati durante
rinascimento.
Il problema della riproduzione di un originale divenne invece di grande attualità nel Seicento e Settecento
con il dibattito sulla stampa in generale e su quella di traduzione in particolare.
La riproduzione a stampa infatti comporta un procedimento tecnico diverso da quello adoperato per
l’originale; implica inoltre una modificazione sostanziale del formato e dei valori trasmessi dall’opera di
partenza.
Il processo della riproduzione dell’originale si modifica totalmente con l’invenzione della fotografia
all’inizio dell’Ottocento: la riproduzione tecnica, fotografica, dell’opera d’arte annulla l’unicità e il valore
tradizionale dell’opera.
A partire dall’inizio del 900 la critica d’arte ha associato al concetto di riproduzione anche quello di
serialità: una componente fondamentale nel processo del disegno industriale.
Con serialità si intende la riproduzione in serie di un oggetto partendo da un prototipo o da un modello che
avviene attraverso l’esclusivo intervento della macchina.
I caratteri che distinguono l’opera d’arte da altre forme artistiche sono l’aspetto materiale, l’elaborazione
tecnica dei materiali, l’iconografia e lo stile.
Prima di affrontare i singoli elementi è necessario soffermarsi su due concetti fondamentali: quello di
tradizione e quello di innovazione.
Qualsiasi artista può seguire due strade: o continuare a utilizzare materiali e tecniche già adoperati oppure
introdurne e sperimentarne dei nuovi; nel primo caso si attiene alla cosiddetta tradizione artistica mentre nel
secondo fa opera di innovazione.
La tradizione artistica la trasmissione di generazione in generazione dei principi e delle regole, delle
modalità di lavorazione che scaturiscono da un insegnamento e da un’applicazione sistematica.
Nel Rinascimento sono a Donatello e Masaccio a trovare punti di riferimento nei modelli della scultura
classica; nel 500, Michelangelo riesuma il lessico architettonico antico così come palladio elabora il suo
linguaggio sui modelli dell’architettura antica.
La trasmissione delle conoscenze artistiche si affida alla codificazione scritta, cioè alle pagine dei trattati e
delle descrizioni.
Quando invece nel corso della storia le modificazioni sono tali da sostituire i principi applicativi della
tradizione con proposte del tutto originale mai prima sperimentati, sono da considerarsi innovative.
L’innovazione artistica e dunque l’azione del creare o dell’introdurre in un determinato campo artistico
qualcosa di nuovo.
Capitolo II – I materiali
Quando si studiano le opere d’arte, il primo dato di percezione immediata è costituito dai materiali con cui
esse sono state pensate e in seguito lavorate.
Il materiale e il veicolo attraverso il quale prende forma la struttura dell'opera tanto che l'individuazione
corretta dei materiali adoperati dagli artisti nel corso dei secoli, fornisce dati importanti per l'inquadramento
storico dei manufatti.
Sono da intendersi materiali con tradizionali, per esempio, nella scultura, i marmi cosiddetti bianchi.
Materiali innovatori sono invece, per esempio, nel medioevo, il giallo d'argento per le vetrate: un materiale
colorante costituito da ossidi metallici che dava la possibilità di avere su un unico pezzo di vetro due distinti
colori. Per quanto riguarda il sistema di colorazione della carta, dalla fine del quindicesimo secolo, viene
adottata a Venezia la coloritura a impasto grazie all'introduzione di pigmenti colorati durante il processo di
fabbricazione del foglio.
Nel 700 la colorazione delle carte avviene mediante colori sintetici che sostituiscono i coloranti naturali
minerali organici abituali; Alla metà del diciottesimo secolo appare anche in Inghilterra la carta velina che
verrà adoperata dagli artisti intorno agli anni 70 del 700.
La grafite inizia ad essere adoperata autonomamente soltanto a partire dal principio del diciannovesimo
secolo; Nel corso del 900 sono numerosi i materiali innovativi adoperati dagli artisti come l'uso della
plastica, dei sacchi, dei tamponi di garza, delle stoffe di tappezzeria.
A partire dal Rinascimento si riscontrano nelle opere d'arte usi di materiali differenti che portano alla
realizzazione di effetti espressivi particolari; Per esempio, la Toscana introduce nella scultura la cartapesta,
la quale viene completata e rifinita con materiali pittorici.
Nel 600, l'uso di materiali compositi si individua ad esempio in alcuni affreschi di Andrea pozzo il quale
utilizzava, per accentuare gli effetti inclusivi dell'architettura dipinta, la carta pista colorata.
Capitolo V – L’iconografia.
La parola iconografia deriva dall'unione dei sostantivi greci immagini e grafia virgola e sta a indicare i temi
contenuti nelle immagini.
Essa è indirizzata a decifrare e classificare i caratteri tipologici e contenutistici di una determinata opera,
piuttosto che quelli formali ed estetici; entra in uso nella seconda metà del 500 virgola in contrapposizione
all’iconologia che mirava a studiare in profondità il significato simbolico dell'immagine artistica
L'analisi iconografica procede attraverso vari livelli: il primo è quello dell'individuazione generale dei tipi
iconografici; il secondo consiste nell'individuazione particolare dei generi iconografici; il terzo riguarda
l'identificazione della fonte storica o letteraria che ha ispirato una determinata composizione; il quarto
concerti all'individuazione degli schemi iconografico-figurativi applicati nell'opera dell'artista punto
L'analisi iconografica deve iniziare con una corretta identificazione dei tipi o soggetti raffigurati dall'artista
virgola e per fare ciò, e necessario procedere alla graduale individuazione della semplice figura: si inizia ad
esaminare con attenzione le figure umane, gli animali e gli oggetti inanimati soffermandosi a considerare
attributi e segni distintivi emblematici come l'abbigliamento, i tratti fisici, attributi appunto
La messa a fuoco di queste categorie tipologiche permette di capire la specie di raffigurazione che si sta
studiando.
successivamente si procede particolare dei generi iconografici mediante il riconoscimento del genere
specifico di appartenenza dell'immagine e con l'individuazione della fonte letteraria che ha ispirato all'artista
quello specifico tema iconografico.
Il riconoscimento dei generi iconografici si ottiene attraverso la conoscenza dello sviluppo storico dei
cosiddetti generi artistici.
I principali generi figurativi che si affermano dal Rinascimento al romanticismo sono la raffigurazione di
storia, il ritratto, la natura morta, il paesaggio, la veduta, la rappresentazione architettonica, la caricatura e la
scena cosiddetta di genere.
La storia sacra è la rappresentazione di un'immagine che illustra un evento derivato dalla storia religiosa;
Tra gli esempi di iconografia sacra abbiamo la sacra conversazione in cui vi è la raffigurazione dei
personaggi sacri che colloquiano tra di loro, il Cristo a mezza figura ossia un'immagine a mezzo busto della
figura di Cristo che permette una contemplazione ravvicinata del viso, la Vergine nera con il Bambino Gesù
dove entrambi appaiono bruniti e l'iconografia dei santi.
La raffigurazione di storia profana e invece quella che illustra un avvenimento accaduto realmente nel
passato nel presente e si distingue per i caratteri celebrativi, commemorativi e ideologici che trasmette.
Il ritratto è la raffigurazione di un personaggio antico o moderno, realmente esistito, porto da solo oppure
insieme ad altre persone. Si afferma come genere autonomo a partire dall’ellenismo e si afferma poi nel
mondo etrusco e romano.
Assume un posto centrale nel Rinascimento dove fondamentale è la scoperta della fisionomia antica che
studia i tratti del volto e li definisce in connessione con le emozioni interiori e i temperamenti.
nel corso del 500, invece, il ritratto punta direttamente sull’introspezione psicologica diventando espr essione
di uno stato d'animo.
la caricatura e la deformazione in chiave ironica delle fattezze umane virgola in particolare quelle del volto.
Nasce tra la fine del 500 e gli inizi del 600 ma conosce la sua notevole diffusione nel 700.
La natura morta costituisce la rappresentazione degli oggetti privi di vita ma carichi di valore simbolico;
l’autonomia del genere si registra a partire dal XVI secolo, quando cominciano a diffondersi dipinti con
frutta, pesci, fiori e strumenti musicali;
L’iconografia della natura morta avrà una forte ripresa alla metà dell’Ottocento dove pittori come Manet o
Courbet daranno molto spazio a questo genere raffigurativo.
Il paesaggio fissa le parvenze della natura esteriore in differenti modi rappresentativi; durante il medioevo e
fino alla fine del quindicesimo secolo, il paesaggio è semplice elemento di sfondo in composizioni di genere
diverso; Bisognerà aspettare la metà del quindicesimo secolo affinché il paesaggio diventi genere autonomo.
Il corso del 600 il paesaggio vede un'incredibile diffusione che vede la nascita due filoni prevalenti: quello
dei paesaggi ideali caratterizzato da visioni di paesaggio mitiche, di ispirazione classica e quello
naturalistico che è più attento a rendere fedelmente il mutare delle stagioni, dell'ora del giorno e degli eventi
metereologici.
Diversamente dal paesaggio, la veduta è una raffigurazione immaginaria o reale di determinati aspetti della
realtà urbana o del territorio, caratterizzata da una rigorosa impostazione architettonica e prospettica.
Essa sorge come genere indipendente nel Rinascimento e si diffonde specialmente durante il 600 e il 700.
La scena di genere è una rappresentazione ispirata alle occupazioni della vita quotidiana; Sorge come
tipologia iconografica autonoma nell'età barocca e si diffonde nel 700 e nell’Ottocento.
Nelle scene di genere determinante è l’influenza delle rappresentazioni teatrali sia nella struttura
complessiva del dipinto che nei gesti e nelle pose dei personaggi.
accanto a questi generi principali si affiancano altre forme e generi iconografici come la raffigurazione di
uomini illustri ossia esempi di personaggi esemplari da ricordare e da imitare.
Con il 300 il tema degli uomini illustri si allarga a personaggi laici, rappresentativi dei vari rami del sapere e
della cultura.
una particolare rappresentazione allegorica di enorme diffusione europea tra medioevo e 500 e quella
dell'uomo selvatico: si tratta della raffigurazione di un uomo mostruoso, dalla barba e dai capelli incolti,
rivestito interamente di peli che vive nei boschi sbranando uomini e animali.
L'immagine di tale personificazione si diffuse molto nel medioevo ed ebbe fortuna nel teatro e nelle sacre
rappresentazioni; Successivamente fu ripresa nel corso del Rinascimento dove però cambia il valore
simbolico di questa personificazione che diventa allegoria della vita incontaminata e felice di chi vive a
stretto contatto con la natura: l'immagine ferina e demoniaca si trasforma in personaggio mite, rassicurante e
forte.
il tema dei mostri, del diabolico e del deforme è un altro soggetto iconografico che si trova nelle
raffigurazioni artistiche del medioevo e dell'età moderna: esso corrisponde alla componente irrazionale e
fantastica della psicologia umana e per questo motivo viene spesso rappresentata.
nel corso del 500 soprattutto architettura e scultura fecero ampio ricorso ai motivi decorativi mostruosi su
fontane, palazzi, e giardini.
Un altro genere è rappresentato dalla grottesca che compare a Roma dall'inizio del 500: la sua diffusione fu
rapidissima nell'affresco, nella grafica e nella scultura e consiste in motivi decorativi fantastici dove si
mescolano elementi vegetali a elementi animali.
il genere delle scene erotiche è un genere piuttosto sotterraneo, nel corso dello sviluppo dell'iconografia
profana; Prende il via nel 500 con la riscoperta di determinati testi classici, unitamente all'avvio di forme
letterarie apertamente licenziose.
Un altro passaggio fondamentale per comprendere l’iconografia che si sta studiando, è la ricerca della fonte
letteraria a cui l’immagine talvolta si ispira.
Le fonti letterarie che possono dar spunto a un testo figurativo sono generalmente di due tipi: al primo
appartengono quelle fonti e quei testi molto diffusi nella cultura occidentale e dunque di facile conoscenza
come i testi biblici o le metamorfosi di Ovidio, che ebbero molte ristampe nel Rinascimento; al secondo
appartengono quelle testimonianze scritte che sono oggi meno note e comportano per il loro recupero lo
studio comparato delle immagini con il committente, l’artista e il loro ambiente culturale.
Il passo successivo e chiarire in quale maniera l'artista abbia utilizzato nella sua opera la fonte che lo ha
ispirato.
L'artista può infatti comportarsi in due modi traducendo visivamente alla lettera il testo di partenza o
sottoponendolo a variazioni; eventualmente egli può utilizzare in maniera combinata due o più fonti
letterarie in una sola immagine.
Un arricchimento del testo è rappresentato dalla presenza nell'immagine di particolari che non compaiono
nella fonte letteraria mentre per incrocio si intende l’uso combinato di due o più fonti in un medesimo testo
figurativo.
Fraintendimenti iconografici.
Molte volte si è assistito a fraintendimenti l'autentica fonte letteraria storica che sta all'origine di un'opera
d'arte che hanno portato a una distorsione dell'interpretazione storica e del significato stesso dell'opera.
Programmi iconografici
dal medioevo alla fine dell'età barocca, l'elaborazione di un programma iconografico che spira una
determinata figurazione spetta in genere al committente e ai suoi consulenti.
Dei documenti che si posseggono è possibile stabilire in quale misura le indicazioni programmatiche siano
precise o meno ma in generale si può dire che le prescrizioni diventano sempre meno generiche e più
dettagliate con il trascorrere dei secoli.
La traduzione dell'episodio descritto nella fonte letteraria non è atto diretto e automatico: l'artista ricorre
infatti a schemi compositivi già elaborati dalla tradizione.
L’utilizzazione può avvenire in maniera letterale, trasferendo cioè direttamente nella sua opera uno schema
precedentemente preparato o può variare questo schema di partenza conducendo all'innovazione che deriva
dall'incontro tra esperimento e formula.
L'innovazione avviene per esempio con Leonardo che nel cenacolo milanese introduce i raggruppamenti
triadi degli apostoli è la rappresentazione del loro turbamento e della loro emozione.
Nella Toscana del 200 si registra una divisione tra lo stile dell'architettura e della scultura da un lato, e
quello della pittura dall'altro.
Si tratta di un periodo in cui mentre il rinnovamento della scultura è accelerato dalla diffusione dei modelli
gotici, l'arrivo in Italia di icone e piccoli mosaici continua a trattenere la pittura all'interno della tradizione
bizantina.
Si tratta di un momento in cui la scultura funge l'arte guida poiché la pittura si trasforma lentamente e senza
negare i suoi presupposti bizantini.
Nel 300, si assiste a un ribaltamento del rapporto tra le due arti poiché la pittura diverrà la sede delle
sperimentazioni formali e iconografiche, mentre la scultura segnerà il passo entrando in una fase involutiva.
il fenomeno più appariscente della pittura Toscana del 200 e la diffusione delle tavole dipinte soprattutto
grazie all'appoggio degli ordini mendicanti virgola in particolare i francescani.
le tavole dipinte rappresentano un fastoso ornamento per altari e navate e si prestano a essere trasportate per
le vie della città durante le processioni.
I soggetti rappresentati nelle tavole sono quelli cari ai francescani come il crocifisso, la Madonna col
bambino e l'immagine di San Francesco contornata da episodi miracolosi della sua vita.
l'innovazione iconografica e pertanto favorita dai francescani, per commissione diretta o per l'influsso della
religiosità emotiva da essi propugnata: giunta pisano sembra essere il primo a registrare la novità
iconografica e a riproporla; Egli, senza recidere il filo che avvince i pittori toscani alla tradizione bizantina,
lo tende fin quasi al limite della rottura.
Giunta propone una riforma interna al linguaggio “greco” facendo in modo che la sua pittura si configuri
come la premessa necessaria della rivoluzione che altri attueranno.
tra le maggiori personalità della pittura Fiorentina pregiottesca, è necessario citare cenni di pepi detto
Cimabue, colui che ha dominato la scena artistica prima di venire sopravanzato da Giotto, il suo più geniale
allievo.
Secondo Vasari, cimabue si sarebbe discostato per primo dalla maniera greca dei pittori duecenteschi
ritrovando il principio del buon disegno.
Il crocifisso di Santa Croce a Firenze non propone novità assolute, ma dimostra che cimabue si orienta in
senso moderno ispirandosi al modello di giunta pisano: Cimabue è il primo pittore, dopo secondi, a usare il
colore in maniera morbida e sfumata che gli consente di approdare a un inedito naturalismo.
Egli stabilisce un nuovo canone pittorico anche per la Madonna col bambino: i protagonisti affermano la
loro divina maestà tramite le pose semplificate, dentro l’incastellatura imponente del trono; Tuttavia, le
figure sono molto umanizzate e fisicamente presenti, attorniate da sei angeli che completano la
composizione.
EVOLUZIONE DEL TEMA DEL CROCIFISSO E RAPPORTI CON L’ICONOGRAFIA DI SAN FRANCESCO.
San Francesco è un personaggio fondamentale nella storia in quanto la sua figura è all’origine della nascita
di un nuovo modello pittorico ed espressivo, che conduce agli affreschi della chiesa superiore di Assisi
Il tema iconografico di San Francesco costituisce un importante premessa nella diffusione delle croci
dipinte, spesso collegate al diffondersi nel primo 20, di una nuova moralizzazione della chiesa, religiosità
maggiormente concertata sui valori fondanti.
Crocifisso con Storie della passione e della redenzione, Firenze, museo degli Uffizi
Approdando ad un periodo in cui si forma lo stile che Vasari definisce latino, per contrapporlo al greco dei
bizantini, la rivoluzione in atto si coglie nella basilica di Assisi, dove le tendenze più innovative della pittura
trovano alimento.
Gli edifici più importanti venivano collocati al centro della
città, in cima, in un punto estremamente visibile. La basilica
di Assisi non è il Duomo della città, non è collocata al centro
ma è decentrata in un punto elevato, ha un percorso che per
arrivarci provocava una salita. Questo conduce verso una
elevazione in verticale della struttura.
Contaminazione degli stili:
- Campanile che ha fatture romaniche con lesene
(=sporgenze) con funzione ritmica dell’architettura
rispetto alla trifora della parte superiore (=aperture
con diverso numero di finestrelle).
- Facciata ha impostazione romanica ma elevazione
maggiore in rapporto proporzionale tra altezza e
profondità.
-Rosone è elemento di elevazione gotico d’oltralpe e aumenta la contaminazione tra gusto romanico
e nuovo gusto gotico
- Finestre allungate finiscono con il tipo arco a sesto acuto
- C’è doppio ingresso: questo nella foto è l’ingresso della basilica inferiore che ha un proteo = una
parte sporgente che copre l’ingresso e un portale strombato (= diverse nervature che vanno
stringendosi e creando una prospettiva reale).
commistione diversa tra il protiro romanico e l’ingresso goticheggiante.
Fondamentale è la chiamata di cimabue, cui è richiesto di eseguire affreschi nella basilica superiore nel
1288.
Le storie di San Francesco sulla parete della navata della basilica superiore di Assisi vengono realizzate da
Giotto: Si tratta di una monumentale storia suddivisa in 28 riquadri, che si svolge per tutta la parete destra,
gira nella controfacciata e torna indietro lungo la parete opposta descrivendo le vicende del Santo titolare
della basilica, dalla giovinezza alla morte, alternando episodi storici ufficiali a quelli delle leggende.
Con Giotto la vita quotidiana rientra in una chiesa e prende stabile possesso delle pareti più in vista.
la grandezza di Giotto non si esaurisce nel realismo dell'ambientazione e dei personaggi poiché esso è
inscindibile dal controllo ritmico e geometrico che il pittore esercita nelle composizioni: infatti, il rapporto
tra le figure e lo sfondo non è mai casuale.
Giotto rifiuta il retaggio bizantino e cerca di espressiva che ancora sopravviveva nelle opere del maestro
cimabue del quale accentua la componente naturalistica, recuperando effetti di plasticità e di spazialità
dimenticate da secoli.
dopo l'esecuzione delle storie di San Francisco, affronta i temi più tradizionali della pittura duecentesca
come il crocifisso di Santa Maria Novella e la maestà nella Pala già in Ognissanti ora agli Uffizi.
nel primo, dispone la figura in accordo con le leggi dell'anatomia: i piedi sono accavallati e forati da un solo
chiodo, perciò le ginocchia si piegano secondo il modello di Nicola pisano.
in merito alla maestà degli Uffizi bisogna richiamare l'attenzione sulla solida volumetria dei protagonisti
incastonati nel prezioso trono cuspidato.
Il presepe di Greccio.
Le stimmate.
Omaggio all'uomo semplice: San Francesco non ha ancora rinunciato alle sue ricchezze ed è
un giovane cavaliere della città di Assisi; nella rappresentazione
il santo incede e un cittadino stende il mantello al suo passaggio.
La scena è serena e dignitosa e la presenza del Santo non è
affermata tramite un aumento delle proporzioni, anzi gli appare
in perfetto profilo è calato pienamente nell'azione.
Papa Gregorio IX è disteso a destra sul letto e riceve la fiala con il sangue
da Francesco. Il Santo invece è in piedi verso il centro del dipinto e mostra
la ferita scoprendo il saio sulla sua destra. In primo piano quattro religiosi
vegliano il sonno del pontefice. La stanza è decorata con preziosi drappeggi
e il letto è coperto da un baldacchino sospeso e tenuto da corte tese. Infine,
il soffitto è decorato da cassettoni di legno. L’interno della stanza è
rappresentato con una prospettiva credibile. Inoltre, il volume dei corpi è
reso attraverso l’utilizzo del chiaroscuro
Crocifissione di Assisi (1308-1310)
Il capolavoro della crocifissione realizzato da Giotto ad Assisi è sicuramente frutto del percorso evolutivo
svolto dal pittore nei dieci anni di assenza
Dopo Assisi, Giotto è il più richiesto pittore italiano: egli viaggia e lavora moltissimo diffondendo il suo
stile con l'aiuto di una vasta equipe di collaboratori.
L'oratorio padovano, fondato da Enrico Scrovegni presenta pareti perfettamente lisce, prive di nervature e
funzionale alla decorazione pittorica che Giotto esegue in due soli anni, articolando in quattro fasce
orizzontali sui muri della navata e sull'arco trionfale.
Si tratta di un articolato complesso iconografico della redenzione, cui si aggiungono i busti di Cristo e dei
profeti sulla volta stellata: Giotto dispone le scene dentro un’incorniciatura illusionistica in previsione di uno
spettatore che stazioni al centro dell'oratorio e ammiri lo spettacolo complessivo degli affreschi; egli,
conforma l'illuminazione delle scene alla reale fonte di luce dell'edificio proveniente dalla grande trifora
della facciata.
Lo stile delle singole scene vede un potenziamento rispetto alle storie di San Francesco sia nella naturalezza
gestuale delle figure sia nella concentrazione espressiva delle composizioni: Giotto amplia la gamma
cromatica introducendo squillanti colori chiari che dialogano con i rossi e con i verdi smeraldo.
Le figure sono solenni presenze statuarie atte a convivere con ambientazioni architettoniche vertigini
sprofondate nella terza dimensione: Giotto muove i suoi personaggi, dispone nello spazio e ne descrive i
gesti accordandogli alle leggi dell'anatomia.
CONTRIBUTI DEI MAESTRI SENESI NELLA DECORAZ IONE DELLA BASILICA DI ASSISI
Nel primo 300 Siena si arricchisce di nuovi palazzi, chiese, sculture e dipinti ma gli artisti senesi lavorano
anche fuori dalla città ed esportano i loro prodotti in giro per l'Italia
Siena presenta una cultura figurativa aperta alle influenze del gotico francese, più aristocratica rispetto a
quella Fiorentina.
risalta poi, un tono più civico e politico dell'arte senese: a Siena vige uno stretto legame tra il comune e gli
artisti: il comune regola la pianificazione urbana, impone leggi protezionistiche che impediscono l'impiego
di artisti venuti da fuori e in cambio richiede agli artisti immagini esplicite di propaganda politica.
l'arte senese e dunque spesso arte di propaganda del regime comunale da cui nascono alcuni dei più
splendidi capolavori prodotti in città.
Nel 1315 si rivela all'improvviso uno dei massimi pittori del 300, Simone Martini, che, partendo dall'arte di
Duccio, sviluppa altre componenti come quella grottesca e quella gotica a valendosi dei modelli circolanti
nelle botteghe degli orafi senesi.
Il confronto di Simone con Giotto si rinnova nelle storie di San Martino affrescate ad Assisi in una cappella
della basilica inferiore
San Martino divide il mantello con il povero, Simone Martini.
Nel corso della prima metà del 300, Firenze conosce una forte attività edilizia soprattutto nei cantieri aperti
alla fine del secolo precedente come quelli di Santa Croce e di Santa Maria del fiore.
Nei primi tre decenni del 300, Giotto opera spesso nella sua città introduce numerosi pittori nella sua
bottega: il suo influsso e dunque ben avvertibile nei dipinti eseguiti a Firenze all'inizio del 300, ma non è
univoco poiché si coniuga con precedenti stili e perché lo stesso stile di Giotto appare in continua
evoluzione.
Santa Croce a Firenze è uno dei monumenti ecclesiastici più ricchi dal
punto di vista della storia dell’arte che ci sia in Italia. Tra 300 e 400 abbiamo
un passaggio di molti dei protagonisti della storia dell’arte toscana e non
solo. Giotto è chiamato dalle famiglie fiorentine che contribuivano alla
ricchezza delle maggiori chiese due volte:
- Negli anni 20 nella cappella Peruzzi realizza un ciclo dedicato a San
Giovanni Battista e Evangelista perché venivano richiesti racconti legati a
determinate figure della storia evangelica, in relazione ai nomi usati nella
famiglia, i patronimici. Nella famiglia Peruzzi ricorreva il nome Giovanni.
- Negli anni 30 la famiglia Bardi chiede a Giotto una realizzazione di un
ciclo dedicato a San Francesco, all’interno di essa troviamo l’icona di San
Francesco già vista in precedenza.
Sono gli ultimi affreschi della carriera di Giotto, ma hanno una storia
infelice: nel 600 vennero coperti perché considerati malmessi, nell’800
vengono restaurati, nel 1950 è stata tolta la tintura dell’800 e si ha oggi una
lettura di quello che è rimasto.
Giotto, Stimmate di San Francesco, cappella Bardi.
C’è una maggiore padronanza dello spazio, l’edificio è integrato nella cornice e rispecchia la misurazione
dello spazio.
San Francesco è al centro, è molto credibile la profondità
della stanza.
Interessante è la distinzione dello spazio con il piano
ulteriore.
In Giotto aumenta la capacità e la volontà di rappresentare
particolari secondari come le lunette di marmo dove
vediamo delle cromature, ricerca di descrizione degli
elementi.
Giotto, esequie di San Francesco, Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze
Giotto, Conferma della Regola francescana; Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze
Benozzo Gozzoli, Storie della vita di San Francesco, La Rinuncia degli averi, affresco, Chiesa di San
Fortunato in Montefalco
Benozzo Gozzoli è un pittore formatosi nella Firenze degli
anni 40 del 400, dopo Masaccio, con la consapevolezza degli
sviluppi proposti dalla triade Brunelleschi, Donatello
Masaccio, ma ancora legato a dei modelli stilistici più cortesi,
cavallereschi.
Negli affreschi di San Francesco mette in gioco una
sovrapposizione tra figure, azioni che hanno un carattere di
eleganza, nei gesti, nei modi, con il bisogno di
contestualizzare urbanisticamente lo spazio, quasi a renderlo
impraticabile, dimostrando di non avere del tutto appreso il
senso di quella trasformazione architettonico spaziale
prodotta dalla prospettiva.
Rinuncia ai beni materiali, con un gesto più teatrale, Bernardo si muove verso di lui mosso da una reazione
emotiva che non ha la forza del gesto che invece ha dato Giotto nella cappella Bardi. Il confronto dei tre mostra
tre situazioni stilistiche. Gli edifici non sono obbligati ad essere inclusi nel limite della cornice ma proseguono
anche oltre il limite dopo dalla cornice (cornice dipinta questi affreschi erano inquadrati da elementi
decorativi pittorici che danno l’illusione dell’inquadramento come in finestra, qui le cose proseguono oltre).
Benozzo Gozzoli, Storie della vita di San Francesco, chiesa di San Francesco,
Montefalco (1450-1452)
Benozzo Gozzoli ha lavorato a contatto con due delle figure maggiori della
pittura fiorentina: Beato Angelico, frate dominicano con cui Benozzo
intraprende la decorazione di una cappella voluta da Nicolo IV, con la storia
della vita di San Lorenzo e Santo Stefano.
Lo sforzo svolto nell’arricchimento di palazzi vaticani è legato a voler
riaffermare il ruolo di Roma. Beato Angelico voleva luminosità interna delle
figure e dei personaggi come manifestazione teologica. Benozzo Gozzoli è
vicino al gotico cortese. I due mischiano queste caratteristiche.
Benozzo Gozzoli, cacciata dei diavoli da Arezzo.
Leggenda della vera croce: racconto che il vescovo Jacopo da Varazze fa all’interno di un suo testo
fondamentale che si avvale di fonti letterarie e religiose.
E’ un racconto quasi mitologico che tende a collegare fatti dell’antico testamento alla storia: Adamo, primo
uomo sulla terra sta per morire e chiede a Seth, uno dei suoi discendenti di trovare un olio che lo guarisco.
L’arcangelo Michele da a Seth i semi di un albero che vengono messi in bocca ad Adamo al momento della
morte; dai semi nasce un albero che diventerà il legno della croce di Cristo.
Re Salomone, quando si trova a costruire il tempio di Gerusalemme fece usare questo legno che però non
riuscivano ad usare in nessun modo; questo legno viene allora usato per costruire un ponte.
La regina di Saba, in una visita a Salomone ha una rivelazione dinanzi a questo ponte e si inginocchia;
Salomone allora prende questo legno e lo fa sotterrare;
Il legno verrà poi usato per la croce di Cristo; dopo la morte di Cristo questo legno viene nuovamente
sotterrato.
Mel 312 l’imperatore Costantino (convertito al cristianesimo) ha un’altra visione notturna e manda sua
madre Elena a Gerusalemme a recuperare le reliquie del cristianesimo, la quale avrà un’altra visione per
giungere a trovare i legni delle croci.
Per riconoscere quali dei tre fosse il legno della croce di Gesù, i legni vengono posati su dei defunti e uno
dei tre, quello con il legno della croce di Cristo, torna in vita.
Questa storia ha un contorno fantastico; tra i cicli di affreschi che hanno sintetizzato questa vicenda ci sono
diverse letture.
La cappella maggiore di Santa croce a Firenze viene affrescata da Agnolo Gabbi, il quale racconta la
leggenda della vera croce.
Piero Della Francesca è ritenuto uno dei protagonisti più puri del clima intellettuale urbinate.
I tratti fondamentali del suo linguaggio si ritrovano fin dalle opere giovanili: organizzazione prospettica,
semplificazione geometrica, accordo tra mobilità cerimoniale e verità ma, un attimo e intride i colori.
nel suo trattato scrive di considerare la prospettiva una delle parti costitutive della pittura anche se di fatto
egli la promuove come vera e propria ossatura portante del dipingere.
Nelle sue opere, la pittura diviene scienza che rivela l’ordine della realtà: i personaggi sono credibili nei
gesti e nelle proporzioni.
Il documento più completo che ci resta della sua pittura è il ciclo con le storie della Croce eseguito nella
chiesa di San Francesco ad Arezzo; Gli affreschi sono distribuiti su tre registri dove ogni parete presenta una
battaglia, una scena di Corte è un episodio all'aperto.
Trasporto del sacro legno, Piero della Francesca, Santa croce a Firenze.
Il legno viene sotterrato e qui Piero della Francesca mette dei particolari quasi scabrosi
dello sforzo compiuto dai personaggi, quello che sostiene con la spalla, l’altro che con
un’asta inizia all’inclinazione del legno pesantissimo, l’azzurro bianco con le nuvole
sullo sfondo. È come se l’artista si fosse soffermato a guardare un cantiere per prendere
spunto dalle persone che lavorano.
Maria sta ruotando il corpo sorpresa dall'Angelo. Nella mano sinistra tiene il libro,
che simboleggia le Sacre Scritture che si avverano, mentre con la destra fa un gesto
di sorpresa
La posizione delle colonne separa verticalmente la scena in due metà, come
avviene in altre rappresentazioni simile del Rinascimento
vediamo il confronto di proporzioni, lei è più alta e sta a fatica dentro la struttura,
c’è un rapporto di uno ad uno tra la testa e il capitello.
Un’altra scena di lavoro nella città: si sta recuperando dal pozzo, tirandolo per i
capelli, questo ebreo che doveva rivelare dove si trovavano le croci, è stato messo
in un pozzo per giorni senza mangiare né bere finché desse le informazioni
richieste.
C’è un traliccio che serve a far salire il personaggio legato per la schiena.
Il termine rinascimento sta a indicare il recupero di una serie di valori appartenenti a un momento del
passato che viene assunto come modello.
Il rinascimento esprime infatti la consapevolezza che nel distacco dal Medioevo risiede l’identità storica e
culturale degli uomini.
Il ritorno alla classicità che prese avio alle soglie del Quattrocento coinvolse tutta l’Europa investendo i più
diversi campi dell’attività umana e assolvendo, quindi, a una funzione unificante.
Con il passaggio dal Medioevo all’epoca moderna cambia in una buona parte del mondo la concezione del
tempo, che nell’epoca precedente era considerato un dono di Dio, un bene di tutti di cui nessuno poteva fare
commercio.
Iniziare a vendere e comprare il tempo voleva dire principalmente far pagare interessi per l’intervallo di
tempo che intercorreva tra il prestito di una somma e la sua restituzione.
Un altro aspetto da considerare è che se nel Medioevo i ritmi della vita quotidiana erano scanditi dalla natura
e dalla Chiesa, nel XIII secolo cominciano già ad apparire sulle torri dei palazzi pubblici gli orologi
meccanici che, attraverso il suono delle campane, scandivano il tempo.
Non è infatti privo di significato che simultaneamente alla regolarizzazione delle unità di tempo si vogliano
scoprire le norme scientifiche della rappresentazione dello spazio.
Il passaggio a una nuova epoca cambia anche le nozioni di povertà e di ricchezza: nel medioevo il povero
era visto come rappresentante di Cristo da aiutare e difendere mentre nel Quattrocento il problema
dell’assistenza ai poveri si pone in misura abbastanza limitata.
Il problema si rappresenterà nel Cinquecento ma a quel punto la visione del povero sarà totalmente mutata,
considerato un ozioso se non un delinquente, un personaggio pericoloso da tenere ai margini della società.
Dalla fine del Medioevo e poi nel corso del Rinascimento, la ricchezza e il successo diventano segni di virtù
e di abilità: l’arte glorifica la ricchezza, il potere delle casate principesche e la magnanimità dei signori,
L’umanesimo è la corrente di pensiero che dà l’avvio e la direzione alle trasformazioni della cultura
nell’epoca rinascimentale, e il tratto più enfatizzato della cultura umanistica è la sua passione per l’antichità
classica.
Un coerente ritorno agli antichi presuppone un atteggiamento critico e presuppone la coscienza del divario
storico e della differenza culturale.
La filologia è lo strumento attraverso cui si afferma la passione per l’antico in quanto consente di criticare le
fonti e di stabilirne l’autenticità e la veridicità.
Dal Trecento al Cinquecento avvengono profonde trasformazioni nella mentalità collettiva europea in
quanto cambia il significato e il valore attribuito all’esistenza umana.
Con riferimento alle arti figurative si assiste a una vera e propria rinascita in cui forma e contenuto classico
si ricongiungono: in tutti i sensi l’artista rinascimentale mira a creare opere che siano simili a quelle degli
antichi.
In pittura questo fenomeno inizia dalla seconda metà del Quattrocento; Roma diviene una meta privilegiata
degli artisti per l’abbondanza di monumenti antichi che vi erano.
L’atteggiamento degli artisti rinascimentali verso l’antico non fu omogeneo: alcuni riportavano nelle loro
opere intere composizioni classiche mentre altri utilizzavano lo studio dei pezzi antichi come stimolo per
comporre opere originali.
Il classicismo fu anche la chiave che aprì la porta al naturalismo, alla corretta rappresentazione del corpo
umano, dei moti del corpo e dell’animo.
La più importante regola, tale da rappresentare lo spartiacque decisivo tra Medioevo e Rinascimento fu, per i
pittori, l’uso della prospettiva come metodo scientifico per la rappresentazione bidimensionale dello spazio
tridimensionale.
Lo stesso atteggiamento culturale che portò a matematizzare la rappresentazione dello spazio, inizia a
manifestarsi nello studio delle proporzioni.
Nel secondo Quattrocento furono fatti studi per rapportare le proporzioni del corpo umano alle piante degli
edifici e alle membrature architettoniche.
Nel Rinascimento l’arte allarga le sue tradizionali competenze in quanto gli artisti iniziano a indagare
empiricamente l’uomo e l’ambiente; di tale tendenza Leonardo Da Vinci fu il più illustre rappresentante.
Il punto di partenza è la trattatistica e il modo in cui le regole ispirate a dei modelli antichi diventano istruttive
del nuovo modo di operare in direzione della formazione dell’architetto.
Come diceva Federico Zeri, storico dell’arte, “ogni secolo ha un’arte guida e l’arte guida del 400 è
l’architettura”. La pittura, la scrittura e la musica vedono nell’architettura il faro all’interno del quale
commisurarsi perché l’A ha avuto la capacità di assorbire le ragioni di questa trasformazione sin da subito
(trasformazione non solo nello stile ma nel modo di sentire, di pensare e di pianificare l’edificio e la città).
In tutta questa cultura ritorna la ricerca del centro: il centro rispetto all’insieme. Concepire corpo come
organismo, architettura e la città come organismo. È questo che condurrà a una relazione tra questi trattati e
l’applicazione in ambito architettonico
Cos’è l’architettura?
Vitruvio da una definizione concisione di tre termini:
- FIRMITAS: solidità
- UTILITAS: utilità
- VENUSTAS: bellezza
Sono le tre condizioni per cui una costruzione diventa architettura e non solo edificio.
«Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno
solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno
profondamente e saldamente sul terreno sottostante;
utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e
pratica all'uso;
bellezza, infine quando l'aspetto dell'opera sarà piacevole per l'armoniosa proporzione delle parti che si
ottiene con l'avveduto calcolo delle simmetrie.»
Al terzo posto quello più discutibile perché la bellezza cambia nel corso del tempo. I criteri che Vitruvio pone
alla base sono l’armonia e il calcolo delle simmetrie (principi base di un concetto estetico che sarà
predominante nei primi del 400).
Qualità dell’architetto:
“Capacità di sintesi di molte discipline + capacità di unire la teoria con la pratica.
Come in tutti i campi infatti così anche, più che altrove, in architettura si ritrovano questi due elementi, ‘ciò
che è significato’ e ‘ciò che significa’. ‘Ciò che è significato’ è l’oggetto in questione, mentre ciò che lo
significa è una dimostrazione condotta secondo il metodo razionale della scienza.
Appare chiaro perciò che chi voglia professarsi architetto debba avere acquisito pratica sull’uno e sull’altro
versante. Per questo è necessario anche che egli sia dotato di talento naturale e insieme facile ad apprendere
– poiché né il talento naturale senza una formazione culturale né una formazione culturale senza talento
naturale possono dar vita a un professionista completo -; e che abbia una istruzione letteraria, che sia esperto
nel disegno, preparato in geometria, che conosca un buon numero di racconti storici, che abbia seguito con
attenzione lezioni di filosofia, che conosca la musica, che abbia qualche nozione di medicina, che conosca i
pareri dei giuristi, che abbia acquisito le leggi dell’astronomia…» (Einaudi, 1997, pp. 13-15)
«L’architetto infatti non deve né potrebbe essere un filologo nel modo in cui lo fu Aristarco, ma nemmeno un
illetterato, né sarà un musicologo come Aristosseno, ma non per questo privo di cultura musicale, né un
pittore come Apelle, ma neppure incompetente nel disegno, né uno scultore al pari di Mirone o di Policleto,
ma almeno non ignaro delle tecniche di scultura, e ancora non sarà un medico come Ippocrate, ma nemmeno
privo di nozioni mediche; e nelle altre scienze e arti, prese singolarmente, non raggiungerà livelli di
eccellenza, senza però essere incompetente in ciascuna di esse. Data una così grande varietà di interessi
specialistici, infatti, nessuno può attingere in ognuno di essi livelli di particolare raffinatezza, poiché rientra
a malapena nelle umane possibilità apprenderne e assimilarne i principi teorici…»
Tra gli artisti che si sono ispirati a quelle regole tanto da rielaborarle e tradurle in opere, vi è Leon Battista
Alberti.
Leon Battista Alberti è una delle figure centrali del secondo rinascimento a Firenze, impegnata nei più
diversi settori culturali, lasciando testi filosofici e politici, trattati di architettura, scultura e pittura.
Il suo interesse costante è quello di ricercare regole teoriche e pratiche capaci di guidare il lavoro degli
artisti, che non sono più dei semplici artigiani in quanto fondano il loro operare su principi matematici e
geometrici.
Nel “De Pictura” fornisce la prima definizione teorica e pratica della prospettiva scientifica e sottolinea le
premesse intellettuali dell’attività pittorica
L’aspetto innovativo delle sue proposte consiste nel contrapporre alla pratica architettonica gotica, il ritmo
scandito della struttura di un edificio, esaltando così la prassi degli antichi e quella moderna inaugurata da
Filippo Brunelleschi.
Con egli ha inizio il processo di trasformazione dell’artista rinascimentale in cortigiano, tecnico
dell’immagine al servizio del principe, che caratterizzerà la storia sociale degli artisti dalla metà del
Quattrocento in poi.
Egli lavora al servizio del papato, degli Este a Ferrara e dei Gonzaga a Mantova, intrattenendo rapporti
personali persino con il duca di Urbino Federico da Montefeltro.
Il suo primo importante intervento architettonico è costituito dal Tempio Malatestiano, il quale costituisce
una conferma alle tesi di Burckardt secondo cui uno dei tratti distintivi del Rinascimento era appunto il culto
dell’individualismo.
Ulteriore opera importante è la facciata della chiesa fiorentina di Santa Maria novella, progettata nel 1465 su
commissione del mercante Bernardo Rucellai.
Si tratta di un intervento complesso che prevede il mantenimento di elementi preesistenti ma l’artista riesce a
realizzare un’opera piena di armonia in cui convivono elementi gotici e elementi rinascimentali.
Il segreto della bellezza e dell’armonia nella facciata di Santa Maria Novella è rivelato dalla sottile rete di
rapporti modulari che lega le parti tra loro e queste all’insieme.
Nessuna di queste rappresentazioni di città si riferisce a delle vedute di città esistenti; sono raffigurazioni di
spazi di purea architettura: architettura di luce e di proporzioni.
Sono un piccolo grande mistero della storia dell’arte in quanto non si conoscono gli artisti che le hanno
realizzate.
IL TEMA DE I MODELLI A STRUTTURA CENTRALE E A CROCE GRECA P ER GLI EDIF ICI SACRI
Il tema della laicizzazione derivante dal confronto con i modelli del passato si riscontra anche nelle
architetture religiose.
Ad esempio, a seguito del ritorno a Vitruvio e alla diffusione dei trattati di architettura, uno degli elementi di
dibattito fondamentali tra fine 400 e primo 500 è la possibilità di tornare alla struttura a pianta centrale per
gli edifici religiosi, mettendo da parte la struttura fondamentale su cui si è sviluppata tutta l’architettura
sacra a partire dal primo cristianesimo nell’alto medioevo, una struttura prevalentemente longitudinale.
Fin dall’epoca alto medievale, la presenza di edifici a pianta centrale era riservata ai luoghi in cui si
ricordavano i martiri, i sacrari o i battisteri.
Nell’antichità pagana, il tempio a forma circolare prevaleva in certi culti rispetto a templi a struttura
longitudinale.
Il valore simbolico dell’edificio a pianta centrale è di essere in qualche modo rappresentazione del cerchio
che ha un fulcro e rappresenta la relazione tra micro e macrocosmico.
L’edificio a pianta circolare più noto sul suolo italiano è il Pantheon di Roma, luogo di tutti gli dèi,
architettura di dimensioni e di caratteri cosmologici.
Il ritorno alla pianta centrale vede un tentativo esemplare nel disegno progettuale della pianta per la basilica
di San Pietro attuato da Donato Bramante, architetto nato a Urbino.
La chiesa aveva una struttura di Basilica a 5 navate di tipo medievale e Bramante immagina di trasformarla
in una pianta centrale dando maggior rilievo a tutta la parte absidale, sotto incarico di Papa Giulio II.
La bellezza teorica della pianta circolare si scontrava però con gravi limitazioni di natura pratica: ci si
chiedeva, ad esempio, dove si sarebbe dovuto porre l'altare.
dal 1490 in poi si ricorre dunque alle piante poligonali piuttosto che alle circolari veri e proprie: tra esse si
predilige alla croce greca in quanto conciliava la simbologia divina del cerchio con quella tradizionale della
Croce e permetteva di mantenere la divisione tradizionale tra spazio destinato al clero e qu ello destinato ai
fedeli.
Bramante muore nel ‘16 e i lavori, subito dopo la sua morte, vengono assegnati da Papa Leone X a
Raffaello.
Michelangelo seppe vivere il fascino dell’antico senza diventarne succube e ciò è quello che contraddistingue
la grandezza delle figure che hanno operato nel Rinascimento. Aveva conoscenza diretta delle cose ma le
reinterpretava.
Contrario è il Laocoonte, opera di tre artisti di una delle succursali più importanti della statuaria dell’isola di
rodi, dove i tre artisti realizzarono questo gruppo che rappresentava l’importante episodio in cui il sacerdote
troiano comunica ai cittadini di non accogliere il dono degli achei, ovvero il cavallo, dentro la città. Questo
sacerdote però viene, per intervento divino, avviluppato da un serpente che prende lui e i figli e trascinato in
mare.
Questo episodio con il serpente che avvinghia l’anca produce un movimento spasmodico sforzato, che genera
un forte dinamismo. È uno studio del corpo umano in movimento che richiama le figure degli atleti in azione
(spasmi di una lotta contro le forze avverse e contro il maligno). Senso del moto e della perdita di ogni
controllo seppure con lo studio anatomico dei muscoli in tensione.
Michelangelo si trovava a Roma proprio la mattina del gennaio in cui qualcuno lo chiamò perché stavano
scavando per i ritrovamenti di questa statua. È uno dei primi che ha assistito al riaffiorare di questo gruppo
pressoché intatto.
Michelangelo Buonarroti nato nel 1475 è si forma nella Firenze medicea; messo a bottega dal Ghirlandaio si
dedica con passione allo studio dei fondamenti della moderna arte Toscana di Giotto e Masaccio.
Nello studio dell'arte Michelangelo fu sostanzialmente a un autodidatta e fin dagli esordi il suo interesse si
rivolse alla scultura: una tra le sue prime opere è infatti un rilievo marmoreo il cui soggetto è di stampo
classico e vede una battaglia di centauri.
Per il giovane sculture l'antico è una fonte ideale uno stimolo per l'immaginazione che lo avvia a una nuova
personalissima visione.
Nella centauromachia ogni massa plastica emerge dal blocco come sospinta
da un'interna energia e l'intreccio dei corpi conferisce alla lotta una forza
espressiva dove nessun dettaglio interviene a smorzare la violenza della
rappresentazione.
Si tratta di un rilievo che prefigura numerosi aspetti dell'opera futura di
Michelangelo e soprattutto annuncia quello che diventerà il motivo
dominante della sua arte ovvero la figura maschile nuda in movimento.
Il dinamismo è estremo: Michelangelo realizza quest’opera a soli 17 anni
ed è un omaggio a Lorenzo de Medici.
È già presente una delle peculiarità di Michelangelo, ovvero la capacità di
estrarre la vita dalla materia, dal marmo.
Bacco di Michelangelo.
Scultura di ispirazione anticheggiante che si ispira a dei modelli divulgati già da qualche
decennio.
Il bacco è un soggetto mitologico di derivazione greca e presenta dei tratti simili al
David di Donatello realizzato oltre 60 anni prima.
Entrambe le opere condividono un’affinità con la scultura prassitelica: una scultura del
classicismo greco che tende a snellire l’immagine donando eleganza alla figura.
Il bacco di Michelangelo presenta tratti giovanili; il corpo è abbandonato, in palese stato
di ebbrezza.
David di Michelangelo.
A seguito della fine della signoria dei Medici, Firenze rilancia la sua immagine
di città e affida a Michelangelo, artista di primaria importanza, l’occasione di
celebrare l’immagine della città con una scultura di tratti e caratteri eroici che
indichi le radici classico-romane di una tradizione.
Il David, immagine della libertà di un popolo, è una figura del vecchio
testamento che viene eroicizzata secondo un modello più policleteo e con tratti
più adulti rispetto all’opera realizzata da Donatello in precedenza.
La posizione mostra una distribuzione dei pesi di equilibrio dinamico; la
torsione della testa mostra un ulteriore elemento dinamico; il piede destro
poggia su un tronco d’albero che dona stabilità all’opera; il piede sinistro è
leggermente sollevato mentre la tensione muscolare si rileva maggiormente nel
torace, nelle braccia e nella gamba destra.
Prigioni o schiavi per la tomba di Giulio II
Nel 1505 Michelangelo abbandona Firenze per trasferirsi a Roma su invito di Giulio secondo: tra le opere
che aveva lasciato incompiute vi era una statua di San Matteo commissionatagli nel 1503 e destinata ai
pilastri della cupola del Duomo.
Ritornato a Firenze Buonarroti riprende a scolpire quella statua lasciandolo allo stato di lavorazione in cui
essa si trova ora: consiste in un blocco marmoreo appena
sgrossato che nella sua incompiutezza ci rivela
l'originale tecnica scultorea di Michelangelo.
Nel San Matteo un principio dinamico domina la
raffigurazione: ogni fibra del gigantesco corpo si tende
in una spasmodica torsione, che gonfia e contrae le
membra della pietra grezza.
l'intensità emotiva dell'espressione sembra esprimere lo
sforzo della figura per liberarsi dal masso e aprirsi alla
vita: l'incompiutezza dell'opera appare come una
significativa anticipazione delle future opere di
Michelangelo in cui l'artista lascerà deliberatamente
alcune zone indistinte accanto ad altre più finite.
il principio tecnico-stilistico del non finito è connesso
con la visione filosofico- religiosa di Michelangelo virgola che concepisce l'attività artistica come un
impegno etico di tutto il proprio essere: secondo la concezione neoplatonica ha la forma viene estratta dal
suo involucro mediante un'operazione che tutt'uno con la titanica lotta dell'uomo per la propria liberazione
dal peso della materia.
Questa, insieme ad altre, doveva fare parte di un complesso dei 12 apostoli che era stato chiesto per il
duomo di Firenze di Santa Maria del Fiore.
Le idee di Michelangelo riguardanti il modo di concepire la
scultura lo portano anche nella pittura a far prevalere il
contrapposto ovvero l’accentuare il movimento che gli
spostamenti di peso delle figure e le torsioni producono nella
scelta delle pose.
Le Sibille delphica e libica entrambe hanno questa torsione che
determina un movimento plastico, poichè anche quando
dipinge, Michelangelo realizza delle forme di scultura in pittura
dove il modello prevalentemente maschile di quella statuaria si
ritrova anche nelle figure femminili.
L'occasione di vedere Leonardo e Michelangelo impegnati nella decorazione della sala del maggior
consiglio attira a Firenze un giovane nativo di Urbino, Raffaello Sanzio che soggiorna nella città Toscana
dal 1504 al 1508.
Egli si forma in un primo tempo a Urbino nella bottega paterna dove ha l'occasione di entrare in contatto con
l'ambiente della Corte dei Montefeltro.
Pietro perugino rappresenta un fondamentale punto per il giovane Raffaello poiché egli ne eredita la visione
ideale armonica, ne studia i processi di organizzazione dell'immagine, i tipi e le attitudini delle figure, fino
ad assimilarne il linguaggio figurativo .
Raffaello arricchisce il proprio linguaggio figurativo traendo spunto dalle opere di Leonardo e Michelangelo
che sollecitano in lui una evoluzione intellettuale e stilistica.
Il sogno del cavaliere, Raffaello.
Tavola separata in due parti che rivela il senso del rapporto con
l’antico dentro la visione rinascimentale.
È un’immagine dove questo soldato, addormentato e
medievaleggiante, ha alle sue spalle due figure: la bellezza e la
fede. due strade: laica e religiosa, che non sono contrapposte
come fossero demonio-tentatore e angelo-salvifico. Sono due
figure che vengono armonicamente integrate.
In origine questo soggetto indicava l’ambivalenza tra virtù e
vizio: tuttavia il modo in cui viene interpretato non è di
contrapposizione: una figura porge un fiore e una un libro ma
entrambe hanno i piedi scalzi, sono aggraziate nei movimenti e hanno
dei volti dai lineamenti dolci e delicati.
Sullo sfondo al centro un tempio a pianta centrale, che ricorda la tavola con la città
ideale di Urbino; in primo piano lo sposalizio della vergine, il sacerdote segue il gesto
di Giuseppe che pone l’anello sul dito di Maria.
Il riferimento della classicità richiamato è attraverso la matrice architettonica che
Raffaello recupera.
È un dipinto che trova corrispondenze con alcune opere di Perugino: analogamente
Raffaello impagina la struttura prospettica creando un doppio valore narrativo
all’immagine; la corrispondenza più forte è l’architettura inventata, non realizzata o
ripresa dall’antico ma pensata per il dipinto.
L’ apertura dello stile di Raffaello verso le forme del nuovo e verso lo stile maturato
da Michelangelo aiuta a comprendere la capacità di Raffaello di assorbire dagli altri
grandi modelli del momento e funge da inter-penetrazione tra la maniera nuova e il
rapporto con l’antico.
Attraverso Michelangelo, Raffaello coglie certi aspetti della trasformazione suggerita dalla stessa statuaria
ellenistica classica ritrovata.
Raffaello recupera dal San Matteo di Michelangelo una più delicata torsione che emerge nella tavola di
Santa Caterina d’Alessandria.
Santa Caterina ha una ruota accanto a lei, la ruota con la quale ha subito il
martirio, che viene rappresentata da Raffaello con la sua perfezione del
colore nel ravvivare la materia.
Come spesso accade nelle rappresentazioni dell’arte 400-600esca, il santo
è accompagnato dai suoi attributi iconografici.
Particolarmente importante risulta essere il movimento a spirale per cui
dalla coscia sinistra avanzata con la veste rossa si nota nel torso uno
spostamento di inclinazione sul lato destro con la mano che va a coprire il
petto creando un movimento di avanzamento contrapposto rispetto alla
gamba sinistra; la torsione è presente anche nel volto della santa il cui
sguardo si perde nella luce del cielo.
Nel rapporto tra lo sguardo e la luce vi è il riconoscimento dell’elemento
fideistico, della rivelazione di fede della santa;
La particolarità di Raffaello consiste anche nel fatto di esser stato un
grande mediatore di linguaggi: i colori squillanti provenienti da Piero della
Francesca e Beato Angelico sono assorbiti e risolti con una grande cura del disegno che produce sfumature
raffinate nelle pose.
Raffaello va acquisendo un modo di dipingere nel ritratto che indaga molto più da vicino il volto, la figura e
l’espressione quasi come se rivolgesse un’attenzione psicologica al personaggio che ritrae.
L’espressione è quasi dialogante seppur silenziosa e la figura viene messa di tre quarti in un ambiente che
non viene rappresentato.
Vi è un’omogeneità tra colore luce e ombre: non sfondo un po’ bruno richiama i colori smorzati
dell’abbigliamento.
Raffaello partecipa con un altro architetto senese, Baldassarre Peruzzi, alla progettazione della villa Chigi,
detta la Farnesina, che è un modello di villa patrizia che cerca di integrare l’interno con l’esterno; il loggiato
inferiore è aperto da 5 arcate in una relazione con l’ambiente esterno; in alto delle decorazioni a festoni
d’ispirazione classica e all’interno la villa presenta delle decorazioni illusorie che dimostrano l’importanza
della cultura architettonica tradotta in immagine pittorica: l’architetto che crea un’architettura finta a
completamento dell’architettura reale.
Quest’architettura prospettica finta è un’esercitazione dal punto di vista della lettura dello spazio e del
rapporto con la città.
Loggia di amore e psiche
GIULIO ROMANO.
Le ville rappresentano una parte molto importante nella produzione di Palladio per l'alto numero delle opere
e per la straordinaria qualità architettonica.
Palladio progetta dunque edifici grandiosi virgola che rispecchiano l'orientamento culturale dei committenti,
a volte a un recupero del linguaggio dell'architettura classica.
La struttura delle ville vede motivi architettonici ispirati agli edifici antichi con l'uso di materiali poco
costosi e con la funzionalità di parti adibite a uso agricolo.
le ville palladiane si possono ricondurre a due tipologie di base: nella prima prevale lo sviluppo orizzontale
su un unico piano, costituito da un corpo centrale più importante, destinato alla residenza dei proprietari, da
cui si dipartono due ali laterali dette barchesse, a uso agricolo; l'altra tipologia è invece caratterizzata da un
blocco centralizzato a due piani, senza ali laterali virgola che presenta una facciata a fronte di tempio
articolata o su due ordini sovrapposti o in un unico sistema colonnato che assomma i due piani.
un caso particolare è rappresentato dalla villa detta alla rotonda dove la fronte di tempio viene riproposta su
tutte e quattro le facciate del blocco edilizio virgola che presenta al centro una copertura a cupola.
Palladio applica i principi architettonici del passato in una compenetrazione tra natura e cultura, città e campagna.
Quasi tutte queste ville hanno una facciata imponente che ricordano l’ingresso di un tempio grazie al ricorso agli
ordini architettonici antichi.
Queste facciate sono però completate da elementi di servizio.
Oggi villa pisani presenta una facciata con un frontone all’interno del quale vi è lo stemma di famiglia mentre ai due
lati vi sono due torrioni
La facciata posteriore presenta una scalinata centrale, una specie di trittico creato dalla porta e dalle due finestre al
lato e in alto un’apertura ad arco che da sul salone del piano nobile.
L’arte della prima meta del ‘900 è quella delle avanguardie storiche (gruppi e situazioni che si sono
manifestate nei primi 20 anni del 900 come momento di forte trasformazione del linguaggio artistico). È una
forma di lettura che molti non colgono ancora. Al giorno d’oggi, invece, si è compreso quanto i linguaggi
trasformati abbiano influenzato l’arte successiva.
“Astrattismo” = arte astratta. Con questo termine si intende ciò che non è figurativo, tutto ciò che non
rappresenta immagini secondo un principio di rappresentazione convenzionalmente riconosciuto. Le forme
dell’arte non figurativa sono molto differenti tra di loro.
Negli anni 30 gli artisti stessi chiamano questo tipo di arte “arte concreta” Concreta perché non scaturisce
dall’astrazione come forma di allontanamento dalla natura ma come forma autonoma di produzione di
formule. ‘Astrazione’ contiene etimologicamente l’astrarre: partire da un dato per trasformarlo in altro. L’arte
astratta parte da un’immagine e la rilegge in maniera stilizzata, modificata e sintetizzata.
Ci sono paramenti di giudizio che sono molto arbitrari nella distinzione tra ciò che è figura e ciò che non lo è.
Le iconografie dell’arte astratta sono quelle formali (=tensione a leggere una certa composizione, il
movimento interno prodotto dal colore o dalle linee, lo svuotamento e il riempimento). Tutte le categorie
formali diventano iconografiche.
Se nelle forme dell’arte della prima metà del 900, in prima istanza, venne riconosciuta una trasformazione nel
modo e nella forma, progressivamente, si è capito che non bastava leggere in chiave formale il cambiamento,
perché questi cambiamenti formali erano spesso accompagnati da una trasformazione del significato o da una
presenza di altri significati non visibili a occhio nudo, che rimandano a tutto l’ambito della spiritualità o al
confronto con la musica (due aspetti diversi che sono alle origini delle scelte degli artisti che hanno fondato il
nuovo linguaggio astratto).
Andare oltre il visibile è quello che, ad esempio Kandinskij, ha cercato sin da subito cercando di liberarsi dalla
scissione tra linguaggio figurativo e linguaggio astratto.
La musica è un linguaggio non visivo e a volte non strettamente narrativo. Nella musica classica esiste una
chiara separazione tra musica lirica, fondata sulla narrazione, sul rapporto tra parola e testo e sull’espressione
dei gesti dei cantanti, e musica sinfonica, senza contenuto comunicativo. Questo è un aspetto tenuto conto da
K che spesso fa riferimento al mondo musicale per giustificare le sue scelte. Le due direzioni formalista e
quella che riguarda la ricerca dei contenuti sono compresenti.
Queste due posizioni possono essere viste alla luce degli studi degli anni 30 e 40 in USA dove al museo
dell’arte moderna di NY (che ha avuto importanza enorme nel capire cosa stesse accadendo nel mondo
dell’arte) hanno codificato una certa lettura dell’arte, determinante per determinare una lettura evolutiva
dell’arte del primo 900.
Poi negli anni 80 del 900 una mostra come quella dell’86 a Los Angeles introduceva altre letture che tenevano
conto di discipline teoriche come la teosofia (=disciplina filosofico religiosa che cercava di porre accanto le
diverse posizioni religiose cercando di unire la religiosità occidentale con quella orientale)
Introduzione al rapporto tra i temi iconografici “rappresentativi” e la loro soluzione in forme non-
figurative da parte dei protagonisti della nascita dell’astrattismo.
In esame 5 degli autori che possono esser considerati tra gli attivatori dell’astrattismo:
- Kandinskij
- Kupka
- Mondrian
- Malevic
Inizio del libro di K “Spirituale nell’arte” del 1909 che viene pubblicato nel ‘10 e che segna un passaggio nel
modo di pensare l’arte. Sviluppa delle riflessioni sull’uso dei colori e delle forme in quanto tale, cercando di
attribuire ai colori delle qualità. Ad esempio, il blu come colore che tende all’infinito e profondità, il rosso
come colore che attiva energia e tende a espansione: collega i colori alle forme geometriche. Crea analogie
astratte che servano a collegare i colori alle forme ai significati.
Immagine metaforica come punto di partenza per i suoi quadri “il movimento”
“Un grande triangolo acuto diviso in sezioni disuguali, che si restringono verso l’alto, rappresenta in modo
schematico, ma preciso, la vita spirituale. In basso, le sezioni del triangolo diventano sempre più grandi ed
estese.
Il triangolo si muove lentamente, quasi impercettibilmente verso l’alto e dove "oggi" c’è il vertice, "domani"
ci sarà la prima sezione, quello cioè che oggi è comprensibile solo al vertice, e per il resto del triangolo è
ancora un oscuro vaniloquio, domani diventerà la vita, densa di emozioni e di significati, della sec onda
sezione. Al vertice sta qualche volta solo un uomo. Il suo sguardo è sereno come la sua immensa tristezza. E
quelli che gli sono più vicini non lo capiscono. Irritati, lo definiscono un truffatore o un pazzo. Così
disprezzarono Beethoven, che visse da solo, al vertice. Quanti anni ci sono voluti prima che una sezione più
larga del triangolo arrivasse dove era lui! e nonostante tutti i monumenti in suo onore, sono veramente molti
quelli che hanno raggiunto quel punto?
In ogni sezione del triangolo si possono trovare degli artisti. tra loro, chi sa guardare al di là della sua sezione
è un profeta e aiuta a muovere il carro inerte. Se invece non possiede quest’occhio acuto, se per finalità e
cause meschine lo schiude o ne fa cattivo uso, viene capito e celebrato da tutti i compagni della sua sezione.
Più grande è la sezione (cioè più in basso si trova), maggiore è la massa di chi capisce la parola di
quell’artista. È chiaro che ognuna di queste sezioni ha consciamente o (più spesso) inconsciamente fame del
proprio pane spirituale. È il pane che le danno i suoi artisti, e a cui domani aspirerà la sezione successiva."
Arte e spiritualità come forma di fusione. Immagine del triangolo: il triangolo o la montagna e richiamo alla
macchia oscura.
Immagini, parole che trovano espressione nei
quadri di K. Tema della montagna entra nella
sua maniera di operare.
Nel quadro a sx c’è piramide-triangolo. È
datato a epoca successiva al trattato di K.
Due opere che sono state prese in esame negli
anni ‘80 del 900 per dimostrare come K si
stesse movendo nella non diretta
rappresentazione.
Nell’opera a sinistra è rappresentata una
signora a Mosca, la donna si rivolge a noi, è
semplificata nelle fattezze, sembra come una bambola con un vestito elegante da signora.
Offre un fiore rosso con la mano sx e appoggia sul tavolino l’altra mano dove c’è un cagnolino. La strada alle
sue spalle è gialla (innaturalità e gradi di distacco) e costituisce un triangolo dietro di lei.
Il giallo è un colore fortemente energico, espansivo e illuminante. Attorno alla figura di questa donna c’è una
specie di ombra azzurra che è stata interpretata come l’aura che sta attorno alla figura che ha conquista
spirituale. L’aura che circonda può essere segno del valore del significato spiritualiggiante del significato di
questa offerta di vita. Alla sua sx c’è tutta una forma rosacea che alimenta questo senso di spumato
dell’ambiente e rievoca un’allargamento di questa forma.
Sopra la testa abbiamo un sole rosso con riverberi nel cielo che vanno dal bruno al giallo che fanno pensare a
un tramonto ma con una eclisse data dalla macchia nera informe.
Confronto con lo stesso motivo nell’altro quadro: anche qui ci sono elementi riconoscibili di paesaggio:
- a sx una specie di collina con casa, una vettura/carrozza con ruote che sta scendendo dall’alto
- sulla destra una specie di astro e delle figure che stanno davanti senza definizioni di contorno.
- al centro una macchia nera informe simile alla nuvola nera che eclissa il sole nell’altro quadro
Stesso significato reso attraverso immagini completamente diverse. È qui che si verifica un cambiamento tra
figurazione e non.
M l’anno dopo riproduce lo stesso quadro modificando molto e semplificando i riferimenti all’ambiente:
M come tanti artisti russi vive dialogo tra occidente, Parigi, e la tradizione popolare russa.
Una delle prime mostre del Pompidou di Parigi fu paris moscu, nel quale si realizzava la continuità di rapporti
tra Parigi e Mosca enei primi anni del 900 tra musicisti, scrittori e artisit.
Le tracce di colore bianco che circondano la torre e vanno a finire nelle case in basso sono in rapporto con il
rosso: riverbero della luce sulla torre.
Applicazione di uno dei principi fisici dell’ottica attraverso uno
specchio o una finestra.
Al centro si vede una specie di riquadro dove troviamo sagoma
triangolare ascendete che richiama la torre Eiffel.
Ci sono ancora dei riverberi del paesaggio urbano trasformato in
questa scomposizione di colore. La simultaneità indica una
compresenza di spazio e tempo dentro il quadro.
Siamo in un campo legato ai principi ottici e a una dimensione
formale.
Anche D fa quadri astratti non figurativi.
in vario modo diversi artisti nei primi anni del secondo decennio del 900 stavano la pittura di
rappresentazione per immagini
Incontro con le forme dell’arte astratta avviene sotto il doppio profilo dell’ambito formale e dell’ambito
simbolico (si riconosce come non si possa non prendere in considerazione solo un aspetto della produzione
artistica).
Un recupero della dimensione simbolica è evidente da colui che viene messo come capostipite: Kandinskij, il
quale, solo in età avanzata raggiunse questo genere di comprensione del senso di significato del suo percorso
artistico in relazione ad un percorso di natura spirituale. Ha 40 anni circa e sarà a seguito di un certo percorso
di 10 anni che giunge a delle soluzioni peculiari legate al tema di monte e triangolo.
Lo spirituale nell’arte è il suo testo principale.
Nel dipinto abbiamo una struttura formale importata
sulla forma triangolare ascendente che diventa come
una collina proposta da chiazze cromatiche che
delineano un contorno azzurro predominante, rosso
(come un arco esterno rispetto a questa struttura blu)
e giallo che circonda.
Sono tutti colori primari ed elementari dai quali
derivano tutti gli altri, si definisce una atmosfera che
vuole essere di natura spirituale.
- Il blu è il colore dell’interiorità
- Il rosso di espansione
- Il giallo di energia tendente alla follia che si
dirama con la luminosità e la luce
Nella parte centrale figure stilizzate:
- Cavaliere
- Cavallo bianco
- Sull’altro lato una figura asessuata che potrebbe essere corrispondente all’immagine della principessa
liberata da San Giorgio (soggetto presente nelle icone russe).
Queste figure hanno poi alle loro spalle un’ombra che le accompagna richiamo della posizione della figura
nello spazio e alla profondità data dall’ombra.
La macchia di verde sta sospesa, come un eco dell’immagine. Il verde è il quarto colore portante della
composizione e in termini naturalistici tocca i contorni della parte centrale che definiamo quella della
montagna.
In cima al monte un altro agglomerato poco distinguibile che in termini simbolici va identificato con un
castello, una torre o città sospesa che sta in alto in termini difensivi e in termini di conquista. Richiama un
mondo del passato medievaleggiante. K fa riferimento a una specie di tempo ancestrale al quale rivolgere la
propria attenzione.
Lo spirituale nell’arte
“ogni opera d’arte è figlia del suo tempo e spesso è madre dei nostri sentimenti. Ogni periodo culturale
esprime una sua arte che non si ripeterà mai più. Lo sforzo di ridar vita a principi estetici del passato può
creare al massimo opere d'arte che sembrano bambini morti”
L’arte si conforma all’epoca i cui si
afferma. Sentire il passaggio del testimone
da un’epoca all’altra e l’essere incaricati
nel fare qualcosa di originale di trasmettere
il passato al futuro.
Questa introduzione ha poi una parte finale
di 5 pagine in cui K distingue:
- Quello che si vede nei musei in
quel periodo qualcosa di
piacevole
- Bisogno di arte nuova
Verticale e orizzontale sono due riduzioni estreme di ciò che viene tracciato sul foglio.
La forma verticale e la sua dimensione simbolica nel paesaggio del simbolismo all’astrattismo nell’opera di
Frantisek Kupka
Il sogno
Qui si coglie un cambiamento di stato delle immagini. Nella parte più
bassa e oscura ci sono due corpi distesi: fattezze di un uomo e di una
donna. I due sono vicini e guardano verso l’alto. Come se da loro si
dipanasse questo eco di forme, di raggi che dalla penombra vanno
verso la luce.
In questa sezione a sinistra ci sono un corpo maschile e uno femminile
sovrapposti: non in chiave erotica, è un abbraccio che tende alla
fusione e ad un’unione simbolica. È una trasformazione dove questa
dimensione terrena trova la sua nuova identità in una luce celeste. Una
trasformazione dalla matericità alla spiritualità.
Sono delle interpretazioni che derivano da tracce legate alla cultura di
simbolismo spiritualista.
K vede non solo l’analogia musica-
cattedrale.
È il volto della moglie di K. Volto visto
attraverso queste linee verticali, diventano
delle linee verticali di tanti colori, con una
ricchezza cromatica molto più ampia.
K lascia il volto come unico elemento
riconoscibile di una pioggia di colore che
ricorda una trasformazione del colore per
effetto della rifrazione.
In questo processo di verticalizzazione derivato dall’insistere sui paini verticali e il confronto in cui le
cattedrali gotiche aspiravano a spingersi in alto similitudine nel modo in cui K realizza questo dipinto
I colori producono effetto di angolature, l’impressione è quasi che le linee diagonali creino delle nicchie di
formato triangolare.
MONDRIAN.
Relazione tra i diversi protagonisti tra le forme e i modelli (forma: scelta di determinate soluzioni compositive,
modelli: musica che conduce ad astrazione su linee verticali espressione di una forza luminosa interna rispetto
alla composizione di immagine).
Due forme quadrate con croce vera e propria e con croce disgregata. Un ritmo che si sviluppa e si disperde
nella vastità e che rievoca il mare e cielo stellato.
Cielo stellato per il fatto che non cogliamo alcuna distanza tra le stelle, non sappiamo, guardando il cielo, la
distanza tra di esse (distanza non misurabile).
Questa mancanza di punti di riferimento proporzionali è quello che si trova anche nel mare. Le distanze di una
prospettiva di mare in cui non ce altro punto di riferimento.
Riportato nella concezione di una pittura che costruisce un’immagine permette di non intendere più il quadro
come una rappresentazione di spazio nel modo in cui lo concepiamo.
Nuova plasticità nelle dimensioni che non sono più quelle che guardo ma delle dimensioni a sé.
Senso di presenza fisica della pittura che va oltre alla bidimensionalità della parete.
Composizione legata allo stesso principio di molo e oceano, genera un effetto pulviscolare: non c’è un centro
M sposta l’attenzione da una cosa all’altra, contribuiscono gli interessi a letture che toccano la matematica, il
recupero del pensiero neoplatonico (distinzione tra ciò che vediamo e l’idea di ciò che vediamo) per
raggiungere quello che è un dato formale e ottico.
Questa immagine è soggetta ad ulteriori passaggi, quello fondamentale quello che avviene intorno al 19
DAL QUADRATO ALLA CROCE: LA FORMA TRETAGONA (=ciò che è immobile e statico)
Si riconduce alla croce bizantina e greca, che avendo lati uguali, è idealmente iscritta in un quadrato.
Attorno al valore del quadrato come forma-base: tra grafici da Kandinsky, “Punto Linea Superficie”
Nella parte dedicata alle linee entra in gioco la forma quadrata
nella parte dedicata alle linee entra in gioco la forma quadrata divisa qui in quattro.
MALEVIC giunge alla rinuncia di una rappresentazione a seguito di elaborazioni che tengono conto delle
ultime e recenti ricerche nell’ambito artistico attraverso un confronto con il cubismo (=forma, stile e modello
di elaborazione di immagine che ha diverse motivazioni alla sua base tra le quali una rappresentazione
dell’oggetto, nature morte o figure umane o di paesaggio, sotto un profilo spazio-temporale unitario.
Muovendosi attorno a un oggetto e concentrandosi su una cosa, si ha una molteplice rappresentazione della
cosa, per quanto statica e ferma, vista da punti di vista differenti).
Ad esempio, Cezanne ripete certi soggetti di nature morte: lo stesso soggetto è il mutare continuamente di
pochi centimetri e dello sguardo anche per le condizioni della luce.
si nota la struttura dell’immagine che unisce una
geometrizzazione delle forme e un rapporto tra figura
e sfondo. C’è una materializzazione dell’atmosfera.
Le linee portanti vengono liberamente disposte rispetto
al cuore dell’immagine a dare forma al vuoto che sta
attorno.
Da quel modello si giunge nel 12-13, da parte di quegli
artisti che guardano al cubismo mantenendo attenzione
al colore, a un rapporto tra bidimensionalità di certi
elementi cromatici e queste linee che tagliano e
sovrappongono favorendo l’uso del collage (che da
effetto di sovrapposizione).
M nell’ambito di quello che in Russia viene definito CUBOFUTURISMO (punto di incontro tra cubismo
francese e futurismo italiano abbracciato in Russia come forma di elaborazione proiettata in avanti del
linguaggio artistico). Agisce sia la forza del colore che la scomposizione.
Inserisce tasselli cromatici che attribuiscono un’ulteriore bidimensionalità, superamento della forma
materiale.
- La figura della donna è individuabile attraverso alcuni aspetti della parte centrale più meccanica e
complessa.
- Manifesto pubblicitario è davanti e dietro alla figura stessa della scena di strada.
- Le lettere sono estrapolate dal manifesto e si trovano nello spazio del dipinto.
Masse di colore della IV dimensione intesa non come elaborazione fisica del principio ella relatività di Einstein
ma secondo una visione più mistica e orientale di superamento delle condizioni e delle dimensioni del vivere,
della conquista dello spazio trascendente ulteriore. Quarta dimensione perché è fuori dalla percezione naturale.
M considera questo come il suo marchio di riconoscimento tanto che quando muore viene posta la sua opera
sotto la bara.
Nei primi anni 20 anche M torna a una figurazione
seguendo quanto avvenuto nel suo paese.
Aderisce alla spinta rivoluzionaria della “spinta di
ottobre”.
M anche se compie una pittura figurativa
mantiene una continuità tra quanto sviluppato nel
periodo suprematista e quanto fatto oltre.
Il nero diventa tema notturno, luttuoso. Ma
l’intenzione era quella di considerarlo un
passaggio verso una dimensione diversa e
spirituale.
Corrispondenze pittoriche tra motivo formale e altre letture e significati che non possono essere annullati.
Da queste figure nasce una relazione con un’architettura moderna che si basano sui moduli che vengono
ripetuti nelle varianti
Vede altre tre variabili dei colori primari. Colori molto forti
Il modo in cui vengono applicati sulla tela non da e non vuole dare
esiti di similitudini con qualcosa di esterno. Sembra una
composizione randomica dove casualmente questa struttura
ternaria, dal punto di vista dei colori, e binaria, dal punto di vista
delle linee, viene risolta in questo modo.
Cerchio e quadrato sono le due forme per eccellenza equilibrate che hanno un centro equidistante da ogni
punto del perimetro.
L’immagine che si trova alla base di tutti gli studi della forma e della forma umana, il famoso Uomo Vitruviano
di Leonardo, la figura umana è inserita nel quadrato e nel cerchio. Proprio il quadrato e il cerchio costituiscono
il cuore e il fulcro. Il cerchio è una forma dinamica rispetto al quadrato perché ha l’immagine della circolarità,
una delle maniere in cui rappresentiamo il tempo. il tempo è una linea retta nella nostra concezione ma è anche
una figura che torna su se stessa all’interno dell’anno solare, ricollegandosi alla figura del cerchio.
Pone la luce come punto centrale della sua riflessione della trasformazione della pittura. “simultaneo” ha un
significato all’epoca molto riecheggiante nell’aria: “simultaneità” è un termine usato anche dai futuristi per
parlare di questa coincidenza di spazio e tempo. è una parola che vuole indicare l’andare oltre la concretezza
del visibile al di fuori della narrazione trovano una dimensione fuori dal tempo.
Le forme circolari vanno a rappresentare i due corpi celesti secondo i quali da sempre si articola la vita sulla
terra: sole e luna (luce e luce riflessa).
Forma di composizione compiutamente astratta fondata sulla figura del cerchio, sul riecheggiare della figura
e forma del cerchio che ha un corpo luminoso sul lato sx. ritroviamo forme cromatiche che sul lato dx
diventano più dense.
Macke è interessato al senso del movimento cosmico del colore. È una ricerca sulla scomposizione del colore.
Nella cultura francese c’erano state le ricerche sul colore di due chimici e scienziati Chevreul e Rud (?) che
avevano lavorato sulla scomposizione e uso del colore finalizzato anche alle manifatture dei tessuti.
In Germania si trova Gothe: la cultura del romanticismo, la
ricerca sul colore si collegava a una dimensione panica
IL MONTE E IL TRIANGOLO.
Il tema della montagna diviene ricorrente nella pittura di Kandinskij a partire dal periodo di Murnau;
successivamente il tema appare sempre più spesso, rappresentato con un colore prevalentemente blu e con la
tendenza a semplificarlo geometricamente in una forma triangolare con il vertice puntato verso l’alto.
Nell’opera “paesaggio con montagne e villaggio II” spicca al centro della composizione una forma collinare
nettamente triangolare; dalla base del triangolo si innalza il campanile del villaggio metà blu e metà giallo,
illuminato dalla luce del sole.
Alle spalle del triangolo blu le montagne si accendono di un riverbero rosso, mentre dal prato al cielo vi è
uno squillante colore giallo.
Nel cielo si distinguono tre macchie bianche, delle nuvole in un paesaggio dalle forme estremamente
semplificate.
L’artista ricorre all’immagine del triangolo con il vertice puntato verso l’alto per descrivere il movimento
dell’umanità verso la conquista dello “spirito”.
In un’altra serie di dipinti il monte blu si configura come un triangolo più o meno arrotondato, che
suggerisce la curva del globo terrestre o si associa al tema delle roccaforti.
Il “monte” di Monaco del 1909, presenta questa struttura nonostante risalga a una data relativamente precoce
rispetto ai quadri in cui prevale il tema della montagna.
Il soggetto occupa quasi interamente lo spazio di una tela quadrata che presenta solamente i 3 colori primari
con l’aggiunta del bianco, del verde e del nero in alcuni tratti.
La grande fascia bianca al centro è simile a quella della “Montagna blu” e vede ai suoi piedi alcune sagome
abbozzate che in altre opere si configureranno come una coppia di personaggi, due torri e un cavaliere.
L’immagine della montagna blu ritorna in varie opere successive che permettono di seguirne lo sviluppo
fino ai grandi cicli tematici, culminanti in esiti astratti tra il 1912 e il 1913.
La struttura triangolare del monte riappare poi nelle opere della successiva fase astratto-geometrica ma
questa volta viene associata a dischi e quindi all’immagine del sole.
Tra gli artisti che presentano nelle loro opere un’analogia di significato e matrici culturali con l’opera di
Kandinskij, ritroviamo Klee che nel 1915 dipinge il Niesen, un monte presso Monaco che assume la forma
di una piramide blu.
Il monte occupa tutta la metà superiore del quadro mentre nel cielo appaiono i simboli del sole, della falce
lunare e delle stelle rappresentati secondo la tipica suggestione del disegno infantile.
Klee riprende spesso i moduli triangolari e i simboli astratti, ispirandosi anche alle opere di Delaunay.
La forma del monte si collega alle piramidi, ai campanili e alle ziggurat così come si evince dalle opere di
Klee e Kandinskij.
Il monte di Kandinskij è certamente riconducibile allo spirituale e pertanto al principio maschile.
Accanto all’immagine della montagna, nella formazione dell’astrattismo, troviamo altri simboli
ascensionalistici che rientrano in un’intenzionalità analoga per molti aspetti come, ad esempio, la torre in
Delaunay e il faro e il campanile in Mondrian.
L’equilibrio tra orizzontale e verticale concepito come equilibrio universale tra i principi opposti è
fondamentale nella poetica di mondrian.
mondrian itera pochi fondamentali elementi del paesaggio riducendoli progressivamente a una struttura
verticale o orizzontale, o nella quale i due principi opposti si bilanciano.
in quest'ultimo caso i temi dominanti sono quelli del mulino nel paesaggio, con le palle che formano una
croce, e soprattutto quello dell'albero.
il tema verticale in mondrian tende a colorarsi di toni caldi al rosso acceso, stagliandosi su un fondo blu
soprattutto nel caso della chiesa e del mulino, fino alla sorprendente bicromia del mulino rosso dell'aia,
dipinto nel 1910- 1911.
La coppia di colori ricompare in alcune opere di Marc virgola in particolare in due tempere del 1912 sul
tema spirituale dei cavalli virgola di cui la più nota è “cavallo rosso e cavallo blu”, e ricompare anche in
“Amorpha, fuga a due colori” di Kupka.
Il Monte, in Kandinskij, è quasi sempre blu come la macchia è prevalentemente bianca o nera;
L'associazione del colore blu all'elemento spirituale negli scritti di Kandinskij è evidente ed è stata
sottolineata più volte dagli studiosi.
La struttura delle verticali che kupka elabora parallelamente alle forme circolari si collega
all’ascensionalismo spiritualistico del tema kandinskyiano del monte e si colloca nella riflessione sul
rapporto con il linguaggio musicale.
L’intero arco della produzione di Kupka svolge un doppio tema, quello del linguaggio delle verticali e
quello delle linee curve.
Nell'ambito del tema delle verticali ricordiamo le opere “piani attraverso colori” e “donna che coglie fiori”
che possono essere considerate opere che preparano i tre piani verticali dipinti tra il 1912 e il 1913.
In piani attraverso colori la silhouette della figura femminile e incisivamente definita: il movimento del
braccio sottolinea la ripetizione del triangolo segnato da braccio e avambraccio con aperture angolari
differenti.
Nei dipinti costruiti sulla struttura delle verticali, variamente caratterizzati da un colore primario dominante,
è stato notato che gli elementi strutturali appaiono come l'ingrandimento di alcuni elementi di un paesaggio
virgola in particolare di una successione di alberi.
Tuttavia, nella serie linguaggio delle verticali e schieramento su verticali il riferimento a qualunque oggetto
visibile scomparso: il quadro invita a una lettura simile a quella di una partitura musicale.
La serie delle verticali si connette al tema dello spazio mentre quella delle forme circolari al tema del tempo,
così come si evince da uno dei pochi brani scritti da Kupka.
in entrambe le serie comunque evidente che l'artista procede dalle indagini sul movimento verso la regolarità
e la semplificazione.
Nella serie dei piani verticali le sagome rettangolari, ampliate e geometricamente definite, si stagliano su un
fondo fluido e indistinto; Il dinamismo sembra bloccato in una concezione formale fredda e matematica.
abbandonato il dinamismo basato sulla parcellizzazione di elementi lineari e cromatici virgola la vitalità del
quadro nasce dal contrasto di grandi piani rigorosamente bidimensionali che suggeriscono un moto in una
profondità ideale.
tale soluzione precede di alcuni anni l'astrazione geometrica di mondrian e parallelamente la stessa soluzione
e perseguita da altri dipinti astratti.
la scelta dei piani verticali non è dettata da una propensione verso il rigore geometrico ma dall'esigenza di
eludere la frammentazione implicita in quella che l'artista definisce quarta dimensione: si tratta di eludere la
frammentazione senza rinunciare alla profondità.
Kupka e vicino a Kandinskij per numerose posizioni teoriche, per il senso cosmico che avvicina l'arte all'atto
della creazione, per l'atteggiamento mistico e l'interesse alla teosofia e per il significato attribuito ai colori.