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Elide Rapinese

[NOME DELLA SOCIETÀ] [Indirizzo della società]


APPROCCIO METODOLOGICO E NON IDEOLOGICO

Non c’è una definizione definitiva di cosa sia l’arte; gli uomini definiscono come arte qualcosa di diverso, di
specifico o generale che non può essere racchiuso in una definizione.
Si tratta di un atteggiamento, di un approccio fenomenologico.
Nel momento in cui l’opera d’arte entra in un percorso espositivo o museale, diventa un atteggiamento
dentro la storia dell’arte.

La storia dell’arte, il sistema dell’arte (insieme degli operatori che si muovono nell’ambito artistico)
definisce l’arte;

Dino formaggio “L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte”; egli contesta le precedenti definizioni;
non si valorizzava l’arte minore, le arti applicate.
Negli anni in cui Dino Formaggio definisce l’arte, un’artista aveva elaborato una sua idea di arte: Kosuth,
artista concettuale degli anni 60, realizza su tela la definizione di arte: Art as Idea as Idea (l’arte come idea
di un’idea, come idea dell’arte)

Arte come tecnica o idea?


Oggi i limiti dell’arte visiva sono messi in discussione; la componente critica sulla creazione di oggetti e
immagini esiste da secoli; L’ arte crea bellezza (stereotipo); il concetto del bello è un concetto sfuggente,
non definibile.
Importanti sono le condizioni di presentazioni delle opere: negli ultimi anni vi è la ricostruzione di mostre
fatte in passato.

La storia dell’arte si identifica nella storia degli oggetti, delle opere, degli stili, dei contesti storici,
dell’evoluzione dell’idea di arte nel corso del tempo.
La storia dell’arte si svolge attraverso:
• la storia dei manufatti nelle diverse epoche e contesti
• L’attenzione per la specificità degli autori, per gli intrecci tra loro e con l’ambiente in cui hanno operato
• La definizione di parametri e apertura a nuove e ulteriori interpretazioni

La storia dell’arte è una disciplina dinamica e non statica, come ogni disciplina scientifica fondata su una
forte componente critica.
Si tratta di una disciplina complessa, per il cui studio occorrono conoscenze storiche, tecniche, conoscenze
relative ai singoli autori, alle loro relazioni, allo specifico periodo in cui hanno operato (aspetti
antropologici, sociologici, culturali)
Oggi lo studio dell’arte si è arricchito grazie alla presenza di altre discipline come la storia della critica
dell’arte, la storia del collezionismo, la museologia ecc.
L’idea di arte vien vista all’interno di una dimensione “estetica”, nel senso che si collega al pensiero
sull’arte. L’estetica è una dimensione di riflessione teorica che poi può applicarsi alle opere, ma che ha una
sua autonomia di pensiero.
Artisticità = legge storica di raccolta e di connessione, di volta in volta diversa col variare del tempo e delle
situazioni, ma diversa proprio per la diversità variabile dei contenuti. Come forma è vuota. Si colora dei
colori delle culture che attraversa, manda i riflessi che le esperienze del momento e donano (...). È un
comporsi degli attivi moti dell’esperienza artistica concreta in atto e dei moti altrettanto attivi della
riflessione. Così, ogni epoca, ogni popolo ed ogni cultura danno vita a un certo specifico modo di riempirsi
di senso della generale idea di arte” (D. Formaggio)
Museo: è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta
al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, e
acquisisce, le conserva e le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.

Il tema della gestione, della tutela e della conservazione dei beni culturali non riguarda solo i musei ma tutte
le istituzioni, collezioni, fondazioni.
L’INVENZIONE DEL QUADRO

“L’invenzione del quadro”: è un libro di Victor Stoichita, storico dell’arte che unisce le conoscenze storico-
artistiche.
Libro che tratta di come tra il 400/500 si giunge nella cultura occidentale alla diffusione del quadro in
cornice che sostituisce la pittura parietale e religiosa delle precedenti epoche.
In quel periodo si sviluppa la consapevolezza che l’elaborazione pittorica sia un’elaborazione di tipo
intellettuale e non solo di tipo estetico.
Si parla di allontanamento dall’immagine innocente: l’artista non è solo un esecutore.
Gli artisti si pongono su un piano di analisi e interpretazione critica: si ha un passaggio dall’abilità e dal
rispetto di canoni di bellezza recepiti a una elaborazione intellettuale nei confronti dell’opera come
immagine e come proposizione.
Nel suo libro, stoichita introduce una serie di temi determinanti per comprendere la nuova concezione del
quadro.

• L’introduzione del margine, inteso come confine che delimita il quadro : le prime nature morte non
nascono isolate ma si trovano in nicchie; creare dei margini interni come per includere in una narrazione
visiva più cose; Stoichita li definisce “ Ingranaggi intertestuali” come ad esempio il modo in cui nel 600
si sviluppa l’abitudine di raccontare le collezioni d’arte nelle cosiddette quadrerie; l’ingranaggio
intertestuale indica l’idea che il quadro diventa un luogo di messaggi cifrati che vanno interpretati con
una particolare sensibilità .
• In un’epoca in cui non esisteva la macchina fotografica, lo specchio, che un ruolo simbolico fortissimo,
viene inserito in certi dipinti come elemento di complicazione.
• La finestra: cornice naturale dalla quale si osserva l’esterni; termine che Leon battista Alberti aveva
usato per spiegare il punto di fuga unico; nella pittura olandese del 600 le finestre venivano utilizzate per
guardarci dentro
• Carta geografica: immagine di valenza pittorica; veniva realizzata all’epoca da artisti-artigiani; le carte
geografiche dell’epoca sono considerate vere e proprie opere d’arte; nella pittura olandese del 600 la
carta geografica ha un ruolo fondamentale.
Opera: Las Meninas, Velasquez, 1656; Museo del Prado, Madrid.

Il pittore si rappresenta al lavoro, con il pennello in mano; L’opera


è un telaio di grandi dimensioni che lo spettatore non vede.
Accanto a lui, in piena luce, la figura centrale è l’infanta
margherita di Spagna attorniata dalle damigelle d’onore; una la
guardia inginocchiata; l’altra fa un elegante inchino.
Sulla destra la presenza di due nani e sullo sfondo due domestici in
penombra.
Sull’uscio della porta, un uomo tiene con la mano una tenda
scostata che aumenta la quantità di luce proveniente dalla porta sul
fondo.
Altra fonte di luce proviene dalla finestra sulla destra.
Alle pareti vi sono dei quadri che suggeriscono un ambiente
dedicato alla pittura.
Sullo sfondo uno specchio in cui figurano i ritratti dei re di Spagna
Filippo IV e Marianna d’Asburgo, genitori di Margherita
Tra le interpretazioni molteplici del dipinto vi è quella di
considerare che il re e la regina siano quelli che osservano;
l’inchino è dunque rivolto verso di loro.
Lo specchio, secondo alcuni, rifletterebbe l’immagine della tela.
Velasquez, pittore di corte, ha realizzato diversi ritratti per la
famiglia reale.
È un quadro che racconta l’ambiente di corte; l’artista è uno di loro: introduce dei rimandi intellettuali come
quello tra l’immagine reale e quella che lo specchio riflette.
L’artista guarda il modello per poi riprodurlo sulla tela.
Il personaggio sullo sfondo rappresenta una chiave importante: Nieto di Velasquez, (non parente del pittore);
è responsabile dei tessuti, dei tendaggi, della parte ornamentale-decorativa dell’ambiente.

Michel Foucault introduce il suo libro “le parole e le cose” un’analisi di questo dipinto, focalizzandosi sul
ruolo dello specchio e del convergere degli sguardi.
Stoichita, in riferimento al quadro, parla di Automatizzazione della pittura; la pittura che diventa soggetto di
sé stessa.
«In primo piano a sinistra vediamo il ‘negativo’ di ogni cornice, cioè un ‘telaio’ e il negativo di ogni quadro,
cioè il retro di un quadro. Las Meninas rappresenta uno scenario in grado di inglobare a un tempo sia la
‘pittura’ vista come atto sia il gioco, ricco di allusioni, del mettere in relazione tra loro le diverse modalità
dell’immagine definite in base a come tali immagini sono ‘inquadrate’. Preso in mezzo a questi elementi
strutturanti, il gesto del pittore – con la tavolozza ricoperta di colori senza ordine, il sottile pennello sospeso
a mezz’aria – è un fattore dinamico. È la dynamis dell’atto stesso del fare, in sospeso tra tavolozza e tela, al
centro di una sala con quadri alle pareti, uno specchio, porte, finestre, al cospetto di uno spettatore invisibile,
ma necessariamente presente…» (Stoichita, p. 248)

«Invece di inseguire all’infinito un linguaggio fatalmente inadeguato al visibile basterebbe dire che
Velázquez ha composto un quadro; che in questo quadro ha rappresentato se stesso nel suo studio o in una
sala dell’Escoriale nell’atto di dipingere due personaggi che l’infanta Margherita si reca a contemplare,
circondata di governanti, di damigelle d’onore, di cortigiani e di nani; che a questo gruppo si possono con
grande precisione attribuire nomi: la tradizione riconosce qui dona Maria Augustina Sarmiente, là Nieto, in
primo piano Nicola Pertusato, buffone italiano. Basterebbe aggiungere che i due personaggi che servono da
modelli al pittore non sono visibili, perlomeno direttamente; ma che possono essere scorti in uno specchio;
che si tratta indubbiamente del re Filippo IV e di sua moglie Marianna» (M. Foucault, Le parole e le cose,
BUR Rizzoli, 2001 – prima ed. 1967 - p. 23)
Lo specchio, come luogo della rappresentazione dove i fatti vengono narrati, è uno strumento con una sua
tradizione.
ES: Jan Van Eyck, ritratto dei coniugi Arnolfini.
Lo specchio serve a mostrare l’artista a lavoro; specchio convesso che amplifica
l’immagine e aumenta la possibilità di visione dell’esterno per effetto della prospettiva
aumentata.
L’artista introduce l’uso dello specchio che entra in gioco per rappresentare l’autore
della rappresentazione.
Lo specchio riporta all’io soggetto artista.

Opera. Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907.


Quadro in cui l’artista si concentra sul gioco degli sguardi; ha la sua partenza in una tenda scostata.
L’osservatore si sente osservato da 4 delle 5 figure presenti.
Picasso, pittore del 900 proiettato verso la modernità, era fortemente attento alla storia, sente l’esigenza di
guardare a Velasquez.

GIULIO CARLO ARGAN: LA STORIA DELL’ARTE (1969)

Quella di una storia dell’arte applicata ad una lettura teorico-pratica è la riflessione svolta da Giulio Carlo
Argan, storico dell’arte del 900; figura di grande rilievo.
Egli da una lettura personale, legata ad aspetti filosofici.
Nel 1969 scrisse un lungo saggio “La storia dell’arte”: l’apertura del saggio si focalizza sull’idea che l’opera
d’arte abbia un duplice valore, culturale ed economico, da cui consegue la necessità di una conoscenza ai
fini della conservazione e della valorizzazione.

L’arte è per Argan prodotto della civiltà storica dalla quale nasce, che la favorisce, che interpreta, che
diversamente immagina (si va configurando un valore progettuale dell’opera d’arte: l’opera d’arte è spesso
anticipazione di un modello di civiltà o di tecnologia).
Egli definisce la storia dell’arte come atto “in presenza” in quanto l’oggetto di studio è presente e attivo:
rispetto alla storia, la quale si affida sempre a dei testimoni, la storia dell’arte si svolge in presenza; tale
visione porta all’idea che tutta l’arte sia contemporanea perché è presente.
Secondo Argan non esiste storia priva di giudizio critico: la conoscenza storica è vista come ricerca dei
legami fra i diversi fenomeni artistici, collegati fra loro; la conoscenza storico-artistica permette
l’apprezzamento dell’oggetto d’arte
Dal saggio di Argan emerge poi, l’idea che la Storia dell’arte sia una disciplina che propone soluzioni e che
non si limita ad essere una scienza descrittiva;

H. FOCILLON. VITA DELLE FORME.

Le categorie di «spazio» e «tempo» nella creazione, nell’interpretazione e nella analisi dell’opera d’arte e della
concezione della storia dell’arte vengono ampiamente analizzate nei saggi di Focillon e Kubler, due saggi
scritti tra gli anni 50 e 60 del 900 “vita delle forme” e “la forma del tempo”, dove la parola forma è al centro
di entrambi.
Parlare di spazio e tempo porta a considerare geografia e storia: Geografia dell’arte è una disciplina che non
ha la stessa incidenza della storia dell’arte poiché entra in gioco nel momento in cui si parla di spazio, che sia
legato ai luoghi, o che sia spazio in sé.
Questi due libri insistono sull’uso della parola “forma” collegato, da una parte, alla sua trasformazione nei
luoghi, nelle materie e nel tempo, dall’altra sul fatto che l’uomo percepisce la forma attraverso le
testimonianze, gli oggetti e le cose.

Capitolo I. – Il mondo delle forme. (Focillon)

L’opera d’arte è un tentativo verso l’unico che si afferma come un assoluto che nello stesso tempo fa
parte di un sistema di relazioni complesse.
È il risultato di un’attività indipendente composta da materia, spirito, forma e contenuto; si tratta di un
qualcosa che è immerso nella mobilità del tempo e appartiene all’eterno.
Per approfondire lo studio di un’opera d’arte, secondo Focillon, occorrerebbe isolarla al fine di poterla
meglio vedere.
L’opera d’arte è misura dello spazio, è forma così come lo è la vita dove il termine “vita naturale” viene
valutato come rapporto necessario tra le forme.
Lo stesso si può dire dell’arte, in quanto le relazioni formali in un’opera e tra le opere costituiscono una
metafora dell’universo.
Bisogna considerare la forma in tutta la sua pienezza e sotto tutti i suoi aspetti: come costruzione dello
spazio e della materia, sia che si manifesti attraverso le variazioni dal chiaro allo scuro, sia che venga
architettata, scolpita, dipinta o incisa.
L’opera d’arte non esiste che in quanto forma: essa è la stessa arte poiché non la indica ma la genera.
Per poter esistere, c’è bisogno che la forma entri nella dimensione, misurando e qualificando lo spazio; è in
questa esteriorità che risiede il suo principio eterno.
Spesso si tende a confondere la nozione di forma con quella di immagine e soprattutto con quella di segno.
Il segno significa, mentre la forma si significa: il segno accoglie un simbolismo che si sovrappone alla
semantica; la forma ha un senso, ma che è tutto suo: una massa architettonica, un rapporto di toni o una
macchia di pittura esistono e valgono in primo luogo per sé stessi. Hanno una qualità fisionomia che può
presentare delle somiglianze con quella della natura ma non si confondono con questa.
Il contenuto fondamentale della forma è un contenuto formale e dal momento che la forma appare, essa è
suscettibile di essere letta in vari modi.
Si può concepire l’iconografia in diversi modi, sia come variazione di forme sullo stesso senso, sia come
variazione di sensi sulla stessa forma: entrambi i metodi pongono in luce la rispettiva indipendenza dei due
termini.
Il segno significa ma, divenuto forma, aspira a significarsi, crea il suo nuovo senso e si cerca un contenuto
che gli dà una nuova giovane vita per mezzo di associazioni.
Le forme plastiche presentano delle particolarità non meno notevoli: sono soggette al principio della
metamorfosi e al principio degli stili che tende a fissare e a disciogliere i loro rapporti.
In qualsiasi modo sia realizzata, l’opera d’arte risulta immobile solo in apparenza in quanto ogni opera nasce
da un mutamento e contemporaneamente ne prepara un altro.
Si potrebbe dire che la forma astratta o fantastica sia libera dal paragone coi modelli della natura, al
contrario di quelle opere d’arte che invece ne rispettano l’immagine.
In realtà, anche i modelli della natura possono essere considerati come il fusto e il sostegno della
metamorfosi.
La metamorfosi delle figure non altera i dati della vita, ma genera una vita nuova, non meno complessa di
quella dei mostri della mitologia asiatica e dei mostri romanici; la forma è in primo luogo una vita mobile in
un mondo che cambia.
Le metamorfosi ricominciano senza fine e quel che tende a coordinarle e a stabilizzarle è il principio degli
stili.
Questo termine ha due sensi molto diversi, a tratti opposti: lo stile è un assolto e allo stesso tempo una
variabile.
Lo stile, concepito in modo assoluto, è esempio di fissità; Uno stile, invece, è uno sviluppo, un insieme
coerente di forme unite da una reciproca convenienza.

Sono gli elementi formali a costituire uno stile in quanto ne sono il repertorio e il vocabolario.
Uno stile si afferma per mezzo delle sue misure e questo veniva già concepito dai Greci, quando lo
definivano col criterio delle proporzioni relative tra le parti.

I Greci arrivarono a definire alcuni principi e regole fondamentali e stabilirono addirittura tre ordini:
- Ordine Ionico  nato nella città del Peloponneso. È lo stile più austero, con colonna lineare e privo
di decorazioni
- Ordine Dorico  nato nelle isole con caratteri più esotici che porta a quel diverso rapporto
proporzionale di altezza e a quella soluzione delle volute messe di spigolo per dare un senso di
movimento circolare. È lo stile più ricco, con solo due riccioli sul capitello e colonne stilobate
- Ordine Corinzio  deriva da un ulteriore sviluppo di ricchezza di una città dell’Asia Minore e della
bellezza estetica. È uno stile più creativo, l’ornamento diventa prioritario con le foglie di acantho

Secondo Focillon, la grandezza dell’arte greca è legata strettamente al clima in cui è sorta: l’arte è quindi
qualcosa che scaturisce dalle condizioni, dai luoghi e della natura, sebbene nasca poi dalla mano dell’uomo.

Ogni interpretazione dei movimenti degli stili deve tener conto di due fatti essenziali: il primo è che parecchi
stili possono vivere simultaneamente anche nella stessa regione; il secondo è che gli stili non si sviluppano
nello stesso modo nei diversi domini tecnici dove si esercitano.
Preso in considerazione ciò, si può considerare la vita di uno stile sia come una dialettica sia come un
procedimento sperimentale.
Ogni stile nella storia è sotto l’impero di una tecnica che prende il sopravvento sulle altre e dà codesto stile
la sua tonalità; tale principio, viene definito “del primato tecnico” ed è stato formulato da Bréhier a
proposito delle arti barbariche, che sono dominate dall’astrazione ornamentale.
Sull’architettura invece cade la tonica dello stile romanico e lo stile gotico; ed è noto come la pittura tenda a
prevalere sulle altre arti, a invaderle e anche a deviarle.
All’interno di uno stile omogeneo e fedele al suo primato tecnico, le diverse arti cercano l’accordo con quel
che le domina poi ognuna di esse tende a vivere per suo proprio conto.
La vita delle forme non si fa a caso poiché le forme obbediscono a leggi proprie che sono nelle regioni dello
spirito che esse hanno per sede e per centro.
Lo stato sperimentale è quello nel quale lo stile cerca di definirsi e viene di solito chiamato arcaismo.
Nel suo breve istante di pieno possesso delle forme, il classicismo si presenta come un’acutezza felice: lo
stato classico si separa radicalmente da quello accademico, il quale ne è soltanto il riflesso senza vita
propria, una specie di immagine inerte.
Lo stato barocco permette ugualmente di ritrovare la costanza degli stessi caratteri negli ambienti e nei
periodi più vari: si tratta del momento più libero della vita delle forme.
Esse vivono per sé stesse con intensità, si espandono senza freno e crescendo, si distaccano e tendono a
invadere lo spazio da ogni parte.
Questi caratteri si notano e colpiscono nell’arte ornamentale dove la confusione tra forma e segno risulta
molto forte ed evidente: la forma significa un contenuto volontario e viene torturata affinché si adatti a un
senso.
Le forme, nei loro strati diversi, non stanno sospese in una zona astratta ma si mescolano alla vita dalla
quale provengono traducendo nello spazio certi movimenti dello spirito,
Uno stile definito è un ambiente formale, omogeneo e coerente, all’interno del quale l’uomo agisce e respira,
un ambiente capace di spostarsi in blocco.
La vita delle forme definisce dei luoghi psicologici senza i quali il genio degli ambienti sarebbe opaco e
inafferrabile per tutti coloro che ne fanno parte.
L’ambiente formale crea i suoi miti storici che sono modellati dalle conoscenze e dai bisogni spirituali ma
anche dalle esigenze della forma.
Lo stato di uno stile è insieme garante e promotore della diversità; le forme non sono affatto la loro spoglia
rappresentazione; la loro vita si attua in uno spazio che prende corpo nella materia per mezzo degli strumenti
e delle mani degli uomini.
Per tanto, esse esistono in un mondo concreto e potentemente differenziato.
Una forma senza il suo sostegno non è forma, ed il sostegno è esso stesso forma.
Ogni stile e ogni tecnica richiedono di preferenza una particolare natura d’uomo, una speciale famiglia
spirituale

Capitolo II. – Le forme nello spazio. (Focillon)

Lo spazio è il luogo dell’opera d’arte che tende a trattarlo secondo i suoi bisogni, lo definisce e lo crea
quando necessario.
Lo spazio dell’arte si definisce come materia plastica e mutevole.
La forma non è indifferentemente architettura, scultura o pittura: la forma risulta in primo luogo qualificata
dal campo speciale in cui si esercita così come accade per lo spazio che essa esige.
L’arte ornamentale è dotata di una vita particolarissima e rimane una sorta di osservatorio dove è possibile
cogliere certi aspetti elementari della vita delle forme.
Il più semplice tema ornamentale non soltanto esiste per sé stesso, ma configura il suo ambiente, al quale la
sua forma dà una forma.
Se si seguisse questa forma nella sua metamorfosi, ci si troverebbe dinanzi a una varietà infinita di blocchi
di spazio, i quali costituiscono un universo frammentario.
Se si pensa al modo di lavorare di un architetto, si arriva a comprendere che le tre dimensioni non sono
soltanto il luogo dell’architettura, ne sono pure la materia, coi suoi caratteri di pesantezza e di equilibrio.
Un edificio è un insieme di parti in cui larghezza, lunghezza e profondità si accordano tra loro e
costituiscono un solito inedito, il quale comporta un volume interno e una massa esterna.
Le masse sono in primo luogo definite dalle proporzioni che tuttavia non sono sufficienti per la loro
completa definizione in quanto su di esse incidono le forme ornamentali, la luce e altri elementi.
Ogni massa presenta un duplice aspetto: una massa esterna e una interna dove il rapporto tra le due è di
singolare interesse per lo studio della forma dello spazio.
Queste masse possono essere in funzione l’una dell’altra e questo accade quando la composizione esterna ci
rende sensibile la disposizione del suo contenuto.
Originalità più profonda dell’architettura comitale risiede forse nella massa interna la quale crea veramente
il suo proprio universo.
Il privilegio unico dell’architettura tra tutte le arti è quello di costruire un mondo interno che misura lo
spazio e la luce secondo le leggi di una meccanica e di un’ottica che di necessità rimangono incluse
nell’ordine naturale, ma su cui la natura non ha presa.
La luce viene trattata come un elemento di vita, la quale non rischiara soltanto la massa interna ma collabora
anche con l’architettura per darle la sua forma.

Ci si chiede che relazione intercorra tra forma e spazio?


- Forma dello spazio
- Forma nello spazio
- Spazio come forma

Lo spazio (inteso come vuoto) in sé, non ha forma, se non le forme determinate dall’ambiente (ambiente
naturale e ambiente antropizzato). Nell’ambito di una lettura culturale della forma e dello spazio prima di tutto
è l’architettura, intesa come elemento autonomo e integrato all’ambiente che crea un tipo di spazio che si
modifica nel tempo e si modifica in relazione ai luoghi.
Dare forma allo spazio significa invece, interpretare come l’uomo ha costruito in modo allargato gli ambienti.
La forma dello spazio non è solo uno spazio letto in chiave topografica o cartografica ma come relazione tra
spazio interno e spazio esterno, spazio vissuto come comune e spazio privato, lo spazio sacro rispetto allo
spazio della quotidianità (da sempre ogni religione ha posto dei confini nel passaggio a uno spazio che ha
dimensione e valore sacro). Quindi la forma dello spazio non è solo razionalità ma anche simbolo, simbolo
del passaggio da un ambiente ad un altro.

Forma nello spazio è la forma dell’oggetto che si prende in esame (oggetto architettonico, scultoreo, plastico).
Forma con cui si legge una cosa e si cerca di interpretarla in relazione ad un significato formale, oltre che di
funzione.

Spazio come forma è un ritorno al valore dello spazio come materia plasmata dall’artista. Nell’arte del secondo
900 Lucio Fontana ha proprio posto lo spazio al centro della sua materia, nasce l’arte d’ambiente, fatta di luci,
sensazioni ed altro all’interno di uno spazio che può essere buio o illuminato o definito in termini astratti.
Esperimento di perfezione nella storia.
Momento che nella storia dell’arte viene posto come discrimine tra quanto accadeva prima e quanto accade
inseguito, è l’invenzione della prospettiva, il momento in cui degli artisti cominciano a concepire la
rappresentazione fondata su un criterio logico-razionale che è quello della prospettiva a punto di fuga
unico e centrale.
Si fa risalire l’invenzione della prospettiva in senso logico- razionale e matematico all’artigiano architetto
Brunelleschi, il quale, da un esercizio di elaborazione dello spazio architettonico che poi ha esercitato anche
in altri importanti edifici dipinge due tavole in legno: una rappresentazione prospettica del battistero di San
Giovanni e una rappresentazione prospettica da un punto di vista non frontale di piazza della signoria e del
palazzo vecchio di Firenze

Dopo aver dipinto questa tavola secondo criteri razionali e logici che si era dato, per farne la prova, realizzò
un foro nella parte centrale, cioè nel punto di fuga del dipinto. Per far capire come funzionasse il
meccanismo, per comprenderne il significato occorreva mettere la tavoletta al contrario e mettere uno
specchio di fronte, attribuendo allo specchio la capacità di una fedeltà ottica, in modo che lo specchio
permettesse di sostituire la visione della chiesa di San Giovanni.
Questo per capire come le diverse altezze delle proporzioni dell’edificio vengano ricondotte a questo punto
ad altezza d’uomo per chi si pone di fronte alla porta del battistero.

G. KUBLER. LA FORMA DEL TEMPO.

Premessa. -Simbolo, forma e durata

La definizione di arte come linguaggio simbolico data da Cassirer ha portato allo sviluppo di una nuova
storia della cultura ancorata al concetto di opera d’arte come espressione simbolica che ha però trascurato
l’arte intesa come sistema di relazioni formali.
La definizione di arte intesa come forma resta inattuale anche se è logico pensare che nessun significato può
essere trasmesso se non gli si da una forma e che le forme strutturali possono essere percepite
indipendentemente dal significato.
Il testo di Kubler è orientato a valorizzare non solo l’opera d’arte intesa come capolavoro esposto in un
museo, ma anche gli oggetti e le cose che possono avere carattere e valore culturale

Capitolo I. – La storia delle cose.

Uno studio sistematico delle cose create dall’uomo è iniziato appena 500 anni fa, con la descrizione delle
opere d’arte nelle biografie degli artisti del rinascimento italiano.
Oggi archeologia ed etnologia si occupano in senso vasto delle manifestazioni delle civiltà, mentre la storia
dell’arte studia i prodotti più espressivi e meno utilitari dell’industria umana.
Tutto ciò che esiste oggi è una replica o una variante di qualcosa che esisteva prima e così via, senza
interruzione, fino ai primi albori della vita umana.
La storia è in questo senso elastica e un buon narratore può scegliere qualsiasi momento come inizio di una
certa sequenza di eventi.
Lo storico d’arte distingue tra prodotti di utilità pratica e prodotti estetici, classificando questi ultimi per tipi,
scuole e stili.
Scuole e stili sono i prodotti dell’assiduo inventariare operato dagli storici d’arte dell’Ottocento ma certe
parole subiscono alterazioni del significato quando vengono sottoposte al logorio di un uso troppo comune.
È il caso della parola ‘stile’ dove a un estremo troviamo la definizione data da Focillon come “linea delle
alture”, all’altro estremo vi è il mondo della pubblicità, che attribuisce la parola ‘stile’ al dominio della
moda, i cui ricambi annuali vengono presentati come ‘nuovi stili’
Si tratta dunque di una costruzione instabile: nel primo caso il significato di stile è cronologicamente
illimitato, nel secondo caso è ristretto nel tempo ma non nel contenuto.
Tutta la letteratura artistica esistente è radicata nei labirinti della nozione di stile, che descrive una figura
specifica nello spazio più che un tipo di esistenza nel tempo.
Nel XX secolo si è andata formando un’altra corrente di studi avente per oggetto l’esame di tipi iconografici
come espressione simbolica dei mutamenti storici, la quale è stata denominata “Iconologia”.
Il metodo di ripartizione del materiale di studio resta quello biografico, come se l’unità biografica fosse
l’unico vero metro di catalogazione.

Limitazioni della biografia.

La storia di un dato problema artistico e della soluzione data né da un certo artista trova una giustificazione
pratica, con la quale si limita però il valore della storia dell’arte a questioni di pura utilità pedagogica.
Da un certo punto di vista biografie e cataloghi sono stazioni intermedie dalle quali è facile perdere di vista
il carattere di continuità delle tradizioni artistiche.
La biografia non permette di un’analisi provvisoria della materia artistica e non basta da sola a inquadrare il
problema storico nelle vite degli artisti ossia il problema delle relazioni esistenti tra loro e ciò che li ha
preceduti o seguiti.

Accessi individuali.

Il prodotto della vita di un uomo è solo uno degli elementi di una serie che si estende lungo il suo tempo e di
cui egli segna soltanto un punto intermedio, a seconda della posizione che l’individuo occupa su una certa
linea.
Un individuo può correggere la tradizione in modo da guadagnarsi un più favorevole accesso.
L’accesso dell’artista alla storia non dipende soltanto dalla posizione dell’individuo nella sequenza storica,
ma anche dal gioco delle sue doti naturali con le posizioni specifiche.
Ogni posizione è collegata per così dire a un certo tipo di temperamento: quando le doti naturali di un
individuo coincidono con le esigenze di una posizione favorevole, quel prediletto può riuscire a ricavare da
questa situazione un tesoro di conseguenze.
È come se il gioco di ogni esistenza umana fosse governato da due ruote della fortuna, una che decide le doti
naturali che formano il temperamento di un individuo e l’altra che presiede al momento del suo accesso a
una determinata sequenza storica.
Talento e genio.

Da questo punto di vista le differenze fondamentali tra un artista e l’altro sono date dal momento del loro
accesso e dalla posizione che occupano in una certa sequenza.
La caratteristica comune a tutte le persone di talento più che nel grado, sta nel genere: ciò che importa è
infatti la presenza del talento.
Più che la gradazione del talento importa la diversità del momento e delle occasioni.
La nostra concezione di genio artistico a subito incredibili trasformazioni al punto che oggi siamo in
volontariamente portati a considerare il genio come un dono congenito o come una innata differenza
qualitativa tra uomini quando il genio è un prodotto di educazione più che una caratteristica genetica.

Metafore biologiche e metafore fisiche.

La metafora biologica di stile come sequenza di stadi di vita era destinata a fuorviare lo storico poiché
attribuiva al flusso degli eventi le forme e il comportamento degli organismi.
Secondo la metafora del ciclo vitale lo stile si comporta come una pianta: le prime foglie sono piccole e
informi, successivamente crescono e le ultime foglie sono di nuovo piccole ma di forma complicata.
Il sistema di metafore derivate dalla fisica si adatterebbe al trattamento della materia artistica meglio delle
metafore biologiche specie se in arte abbiamo a che fare con la trasmissione di una qualche forma di energia,
con impulsi o centri generatori.
Gli antropologi usano l’espressione “storia delle cose” per distinguere le idee dai prodotti lavorati: la storia
delle cose intende invece riunire idee e cose sotto la rubrica di “forme visive”, includendo in questo termine
sia i manufatti che le opere d’arte.
Da tutte queste cose si delinea un ritratto visibile dell’identità collettiva e questo autoritratto nelle cose serve
al gruppo come guida e punto di riferimento per il futuro.

Scienziati e artisti.

Il valore di qualsiasi riavvicinamento tra storia dell’arte e storia della scienza sta nel mettere in luce quei
tratti comuni di scoperta e mutamento che il tempo incide sulle opere materiali sia degli artisti sia degli
scienziati.
Scienza e arte si occupano ambedue di certi bisogni umani che la mente e le mani soddisfano producendo
cose.
Ai suoi albori la scienza sperimentale fu intimamente legata agli studi e alle botteghe del Rinascimento.
Benché collegati tra loro da un gradiente comune, uso Bellezza restano diversi: nessun arnese potrà mai
trovare una spiegazione completa come opera d’arte, o viceversa.

Il compito dello storico.

Il contributo dello storico è la scoperta delle molteplici forme del tempo; il suo fine è dunque quello di
ritrovare il tempo.
La scoperta e la descrizione della forma del tempo sono il suo compito costante.
Lo storico si distingue dunque dall’antiquario e dal curioso erudito nello stesso modo in cui uno che
compone musica si distingue da chi la esegue: egli estrae un significato da una tradizione.
Lo storico mette in luce un disegno che non era visibile a coloro che ne furono parte e che era ignoto anche i
suoi contemporanei.
Mentre il tempo biologico consiste di periodi in interrotti di durata statisticamente prevedibile, il tempo
storico è intermittente e variabile poiché gli intervalli tra un’azione all’altra sono infinitamente variabili in
durata e contenuto.
Gli elementi costitutivi del disegno del tempo storico sono gli eventi loro intervalli: ciò che attira la nostra
attenzione è proprio quel tessuto dinamico che riempie gli intervalli e allaccia le esistenze tra loro.
Il tempo può essere conosciuto soltanto indirettamente: osservando mutamento e permanenza, segnando la
successione di eventi con riferimento punti fissi e notando il contrasto dei vari ritmi di mutamento.
Per una conoscenza più profonda del passato ma non bisogna appoggiarsi soprattutto ai prodotti visibili
dell’industria dell’uomo.
Se supponiamo l’esistenza di un gradiente comune tra autorità assoluta e arte pura, i due estremi esistono
soltanto nella nostra immaginazione poiché i prodotti dell’uomo includono sempre utilità e arte in varie
proporzioni e non possiamo concepire un oggetto senza l’uno o l’altro di questi ingredienti.

Divisioni delle arti

La distinzione accademica fatta nel Seicento tra arti liberali e mestieri ha cominciato a passare di moda circa
un secolo fa.
A partire dal 1900 le arti popolari, gli stili provinciali e le professioni artigiane vennero considerate degne
degli stessi onori fatti agli stili di corte e alle scuole metropolitane.
Un concetto di unità estetica bene ad abbracciare tutte le manifatture umane, invece di nobilitarne alcune a
spese di altre.
È doveroso fare due distinzioni: in primo luogo c’è una grande differenza tra l’apprendimento di un messere
tradizionale e l’amore inventiva di un artista; l’uno richiede soltanto azioni ripetitive, l’altro presuppone il
distacco da ogni prassi abitudinaria.
La seconda distinzione si riallaccia la prima riguarda la natura utilitaria di estetica di ciascun ramo
dell’attività artistica: in architettura e nelle attività di essa collegate la struttura fa parte dell’insegnamento
tecnico ed è intrinsecamente razionale utilitaria; allo stesso modo in scultura e in pittura ogni lavoro ha la
sua ricetta tecnica di formule di espedienti di mestiere che permettono di realizzare certe combinazioni
espressive e formali.
Struttura, tecnica e iconografia appartengono quindi al substrato non artistico delle “belle arti”.
Siamo in presenza di un’opera d’arte quando manca la caratteristica strumentale e quando il substrato
tecnico-razionale resta elemento di secondo piano; quando la struttura tecnica di un oggetto o il suo ordine
razionale passano in primo piano, abbiamo un oggetto d’uso.

Natura dell’attualità.

L’attualità è un momento di oscurità tra un lampeggio e un altro di un faro, l’istante di silenzio del
ticchettare di un orologio: è uno spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo, il punto di rottura tra
passato e futuro.
Essa è l’intervallo intercronico quando niente accade, il vuoto che separa gli eventi.
Tuttavia, l’istante attuale è tutto quello che possiamo conoscere direttamente: resto del tempo emerge sotto
forma di segnali che ci vengono trasmessi attraverso innumerevoli stadi.
In ogni evento, l’istante presente è il piano sul quale sono proiettati i segnali di tutto l’essere.
I segnali più deboli e meno chiari sono quelli provenienti dal momento iniziale e da quello finale di ogni
sequenza di eventi, giacché non è possibile avere un’idea definita di una porzione coerente di tempo.
Infatti, la segmentazione della storia è una questione arbitraria e convenzionale, retta da concetti non
verificabili delle entità storiche e delle loro durate.
Tutti questi processi di mutamento costituiscono un’aria misteriosa e inesplorata dove il viaggiatore perde
rapidamente l’orientamento e si trova brancolare nel bullo.
Mentre per gli animali, la cui vita è governata dall’istinto, l’istante attuale sembra molto meno breve, per
ciascuno di noi la vita contiene un’infinità di momenti presenti, in ognuno dei quali innumerevoli scelte si
aprono alla volontà e all’azione.
Allo stesso modo, gli uomini non possono avere la piena percezione di un evento finché non si è verificato e
dunque non è storia.

Delle arti e delle stelle.


Conoscere il passato è un’impresa stupefacente almeno quanto lo è quella di conoscere le stelle.
Molti eventi storici, proprio come corpi celesti, avvengono molto prima di apparire.
Astronomi e storici hanno dunque in comune il fatto di occuparsi di manifestazioni notate nel presente ma
accadute nel passato.
Anche un’opera d’arte rappresenta sempre un pezzo di divenire immobilizzato, ho un’emanazione del tempo
passato.
Come l’astronomo, anche lo storico è impegnato a ritrarre il tempo; tuttavia, le misure sono differenti poiché
il tempo storico è molto breve, ma sia l’astronomo che lo storico traspongono, compongono e colorano un
facsimile che descrive la forma del tempo.
Gli astronomi come gli storici raccolgono antichi segnali per formarne convincenti teorie sulla distanza e la
composizione; ciò che per l’astronomo è la posizione, per lo storico è la data: la velocità dell’uno è la
sequenza dell’altro.
Per l’astronomo gli eventi futuri sono di natura fisica e ricorrente mentre per lo storico essi sono di natura
umana e imprevedibili.

Segnali.

Un’opera d’arte trasmette un certo comportamento dell’artista e serve anche da punto di partenza di impulsi
che spesso in trasmissioni posteriori vengono amplificati in maniera straordinaria.
Ridotto ai minimi termini un avvenimento storico si compone di evento con segnali da questo originati e una
persona capace di riprodurre i segnali stessi.
Ad esempio, un’opera d’arte non è semplicemente il residuo di un evento ma anche il segnale di questo,
segnale che spingerà altri a ripeterla o a migliorarne la soluzione.

Relè.

La conoscenza storica consiste di trasmissioni nelle quali il trasmettitore, il segnale e il ricevitore sono tutti
elementi variabili, capaci di influenzare la stabilità del messaggio.
Poiché, nel corso normale di una trasmissione storica, il ricevitore di un segnale ne diverrà a sua volta
trasmettitore, possiamo raggruppare trasmettitori e ricevitori sotto la rubrica dei relè, dove ogni relè è la
fonte di qualche deformazione del segnale originale.
Volontariamente o involontariamente, ogni relè deforma il segnale ricevuto a seconda della sua posizione
storica.
Il richiamo storico non può mai essere completo né completamente esatto, a causa appunto delle successive
deformazioni che il messaggio subisce.
Il rinnovamento dei miti è un caso tipico: quando l’antica versione diviene obsoleta, essa viene riformulata
in termini moderni e continua ad assolvere in questa veste gli stessi vecchi compiti interpretativi.
La condizione essenziale della conoscenza storica è che l’evento si trovi entro un certo raggio d’azione, che
ci giunga un segnale che costituisce la prova dell’esistenza passata.
Per quanto limitato, il numero totale di segnali storici emessi supera di gran lunga la capacità di qualsiasi
individuo di interpretare tutti i segnali in tutto il loro significato.
Uno dei compiti principali dello storico è quindi quello di condensare la molteplicità dei segnali usando vari
schemi di classificazione che risparmino la noia di rivivere la sequenza storica in tutta la sua confusione
istantanea.
Può capitare che un segnale primario (la prova più diretta dell’evento stesso) richiede un grande dispendio di
energia per la sua scoperta di interpretazione.
Il lavoro dello storico consiste in massima parte nell’elaborare messaggi credibili sulla base dei semplici
fondamenti forniti da segnali primari.

Segnali propri e segnali aggiunti.

Il segnale proprio può essere descritto come la silente dichiarazione esistenziale delle cose.
Anche i segnali aggiunti risultano essenziali al nostro studio, ma va notato che i rapporti tra un segnale
aggiunto e l’altro e tra questi e i segnali propri, formano una parte del problema in cui il dipinto costituisce
la risoluzione in termini di esperienza effettiva.
I segnali propri da solo non provano altro che l’esistenza: i segnali aggiunti a sé stanti provano soltanto la
presenza di un significato.
Le recenti correnti dell’attività artistica, come ad esempio l’espressionismo astratto, mettono in risalto
soltanto i segnali propri; d’altra parte, gli studi accademici hanno concentrato la loro attenzione soltanto sui
segnali aggiunti.
Il risultato è stato un malinteso reciproco tra storici artisti: lo storico impreparato considera la pittura
progressiva contemporanea come un’avventura insensata e terrificante, mentre il pittore considera quasi tutti
gli studi d’arte come un vuoto esercizio rituale.
Le opere d’arte si distinguono da attrezzi e arnesi in quanto contengono un intricato complesso di segnali
aggiunte; esse non indicano un’azione immediata o un uso particolare, ma sono piuttosto come una porta
attraverso la quale il visitatore può accedere allo spazio del pittore o al tempo del poeta per fare lui stesso
esperienza del ricco dominio che l’artista ha modellato.

Studi iconografici.

Dicono grafia e lo studio delle forme assunte dai significati aggiunti a tre livelli: naturale, convenzionale e
intrinseco.
Il significato naturale riguarda l’identificazione primaria di cose persone; si parla di significato
convenzionale quando si rappresentano azioni o allegorie che possono essere spiegate con riferimenti a fonti
letterarie; i significati intrinseci invece, formano l’oggetto dei cosiddetti studi iconologici e riguardano la
spiegazione dei simboli culturali.

SCIOLLA. STUDIARE L’ARTE.

Capitolo I – Definizione di opera d’arte.

Nel corso dei secoli le opere d’arte sono state designate in modi diversi a seconda delle concezioni sottese
alla loro elaborazione.
Nell’antichità classica l’opera d’arte è considerata il prodotto dell’abilità e dell’esperienza manuale
dell’artefice; in età ellenistica l’arte assume il valore di entità ispirata dalla divinità, quindi sacra.
Nella cultura tardo antica l’arte è ritenuta il riflesso della bellezza divina rielaborata dall’interiorità
dell’artista; il Rinascimento ritorna l’idea di opera d’arte come imitazione della realtà: durante questo
periodo le opere d’arte si identificano con le arti del disegno, ritenuto principio teorico e pratico che governa
l’imitazione della realtà naturale e spirituale.
Con l’età barocca, la definizione di arti del disegno viene sostituita con quello di belle arti, denominazione
che associa l’idea di arte a quella di Bellezza.
La bellezza nella teoria classicista è l’elemento che distingue l’opera d’arte dagli oggetti di uso comune che
si trovano in natura: contraddistingue l’intervento dell’artista nel momento in cui si appresta a imitare la
natura.
Nel corso del Settecento si riscontra il termine di arti figurative, sinonimo di arti plastiche: l’intento è quello
di superare alcuni concetti precedenti come il disegno inteso come fondamento dell’opera.
Le denominazioni di belle arti, di arti figurative e di arti plastiche perdureranno sino al XIX secolo, quando
verrà introdotto il termine monumento, che designa dapprima qualsiasi forma artistica, poi indica di
preferenza un’opera architettonica situata in un determinato contesto urbanistico o territoriale.
Nella seconda metà dell’Ottocento la storiografia artistica adotta la dizione di arti maggiori e arti minori: la
separazione intendeva indicare una gerarchia tra forme d’arte sostenute da un processo speculativo, come la
pittura, la scultura e l’architettura, e quelle dove era ritenuto prevalente l’intervento manuale o artigianale.
A partire dagli anni 80 del XIX secolo, in Europa, questa distinzione viene superata.
La denominazione di “opera d’arte”, entrata nell’uso corrente verso la fine dell’Ottocento e mantenuta sino a
oggi, intende designare un manufatto contrassegnato da specifiche caratteristiche: il significato del
linguaggio, il valore estetico, il carattere individuale, materiale e spirituale.
A partire dagli anni 50 del Novecento si sono introdotte due denominazioni relative agli oggetti artistici: arti
della visione e beni culturali; con la prima si intende sottolineare l’importanza dell’organo della vista; con la
seconda vengono indicati tutti gli oggetti che recano il segno della cultura umana.
Il concetto di bene culturale comprende tutti i fenomeni della cultura materiale, senza distinzione gerarchica
e in una visione paritaria.
Un’altra definizione corrente molto attuale per indicare un’opera d’arte quella di immagine, definizione
entrata in uso nella letteratura artistica a partire dal 500.
La storia delle immagini viene però affrontata solo a partire dalla metà del XIX secolo con la diffusione e
l’uso della fotografia per la riproduzione delle opere.
Con il concetto di immagine si intende non tanto la struttura, la forma e lo stile d’opera ma piuttosto i
significati che la raffigurazione porta con sé e che sa trasmettere al fruitore.

Opera d’arte, originale, replica o variante, copia, riproduzione.

Il concetto di originalità di un’opera d’arte è stato largamente dibattuto a partire dal seicento da conoscitori
d’arte preoccupati di distinguere le opere autentiche dai falsi e dalle copie.
Una replica di un’opera è la ripetizione di una stessa opera da parte dell’autore che l’ha inventata ma che si
distingue dall’originale per alcune differenze che riguardano il formato, la tecnica e alcuni particolari
iconografici.
La copia si distingue dalla replica perché consiste nella riproduzione di un originale realizzato da un autore
diverso da quello che ha eseguito il prototipo: le copie furono introdotte già nell’antichità classica, furono
ampiamente adottate nel Rinascimento, nell’epoca barocca e nel Settecento.
Esse nacquero per diffondere e moltiplicare le invenzioni e il gusto di un determinato autore ma anche come
contraffazioni per frodare gli acquirenti: in quest’ultimo caso la copia si definisce falso.
I falsi sono imitazioni degli originali con finalità dolosa: nascono nell’antichità e vengono rilanciati durante
rinascimento.
Il problema della riproduzione di un originale divenne invece di grande attualità nel Seicento e Settecento
con il dibattito sulla stampa in generale e su quella di traduzione in particolare.
La riproduzione a stampa infatti comporta un procedimento tecnico diverso da quello adoperato per
l’originale; implica inoltre una modificazione sostanziale del formato e dei valori trasmessi dall’opera di
partenza.
Il processo della riproduzione dell’originale si modifica totalmente con l’invenzione della fotografia
all’inizio dell’Ottocento: la riproduzione tecnica, fotografica, dell’opera d’arte annulla l’unicità e il valore
tradizionale dell’opera.
A partire dall’inizio del 900 la critica d’arte ha associato al concetto di riproduzione anche quello di
serialità: una componente fondamentale nel processo del disegno industriale.
Con serialità si intende la riproduzione in serie di un oggetto partendo da un prototipo o da un modello che
avviene attraverso l’esclusivo intervento della macchina.

Lo specifico dell’opera d’arte.

I caratteri che distinguono l’opera d’arte da altre forme artistiche sono l’aspetto materiale, l’elaborazione
tecnica dei materiali, l’iconografia e lo stile.
Prima di affrontare i singoli elementi è necessario soffermarsi su due concetti fondamentali: quello di
tradizione e quello di innovazione.
Qualsiasi artista può seguire due strade: o continuare a utilizzare materiali e tecniche già adoperati oppure
introdurne e sperimentarne dei nuovi; nel primo caso si attiene alla cosiddetta tradizione artistica mentre nel
secondo fa opera di innovazione.
La tradizione artistica la trasmissione di generazione in generazione dei principi e delle regole, delle
modalità di lavorazione che scaturiscono da un insegnamento e da un’applicazione sistematica.
Nel Rinascimento sono a Donatello e Masaccio a trovare punti di riferimento nei modelli della scultura
classica; nel 500, Michelangelo riesuma il lessico architettonico antico così come palladio elabora il suo
linguaggio sui modelli dell’architettura antica.
La trasmissione delle conoscenze artistiche si affida alla codificazione scritta, cioè alle pagine dei trattati e
delle descrizioni.
Quando invece nel corso della storia le modificazioni sono tali da sostituire i principi applicativi della
tradizione con proposte del tutto originale mai prima sperimentati, sono da considerarsi innovative.
L’innovazione artistica e dunque l’azione del creare o dell’introdurre in un determinato campo artistico
qualcosa di nuovo.

Capitolo II – I materiali

Quando si studiano le opere d’arte, il primo dato di percezione immediata è costituito dai materiali con cui
esse sono state pensate e in seguito lavorate.
Il materiale e il veicolo attraverso il quale prende forma la struttura dell'opera tanto che l'individuazione
corretta dei materiali adoperati dagli artisti nel corso dei secoli, fornisce dati importanti per l'inquadramento
storico dei manufatti.

Materiali tradizionali e materiali innovativi.

Sono da intendersi materiali con tradizionali, per esempio, nella scultura, i marmi cosiddetti bianchi.
Materiali innovatori sono invece, per esempio, nel medioevo, il giallo d'argento per le vetrate: un materiale
colorante costituito da ossidi metallici che dava la possibilità di avere su un unico pezzo di vetro due distinti
colori. Per quanto riguarda il sistema di colorazione della carta, dalla fine del quindicesimo secolo, viene
adottata a Venezia la coloritura a impasto grazie all'introduzione di pigmenti colorati durante il processo di
fabbricazione del foglio.
Nel 700 la colorazione delle carte avviene mediante colori sintetici che sostituiscono i coloranti naturali
minerali organici abituali; Alla metà del diciottesimo secolo appare anche in Inghilterra la carta velina che
verrà adoperata dagli artisti intorno agli anni 70 del 700.
La grafite inizia ad essere adoperata autonomamente soltanto a partire dal principio del diciannovesimo
secolo; Nel corso del 900 sono numerosi i materiali innovativi adoperati dagli artisti come l'uso della
plastica, dei sacchi, dei tamponi di garza, delle stoffe di tappezzeria.

Uso di materiali compositi.

A partire dal Rinascimento si riscontrano nelle opere d'arte usi di materiali differenti che portano alla
realizzazione di effetti espressivi particolari; Per esempio, la Toscana introduce nella scultura la cartapesta,
la quale viene completata e rifinita con materiali pittorici.
Nel 600, l'uso di materiali compositi si individua ad esempio in alcuni affreschi di Andrea pozzo il quale
utilizzava, per accentuare gli effetti inclusivi dell'architettura dipinta, la carta pista colorata.

Capitolo V – L’iconografia.

La parola iconografia deriva dall'unione dei sostantivi greci immagini e grafia virgola e sta a indicare i temi
contenuti nelle immagini.
Essa è indirizzata a decifrare e classificare i caratteri tipologici e contenutistici di una determinata opera,
piuttosto che quelli formali ed estetici; entra in uso nella seconda metà del 500 virgola in contrapposizione
all’iconologia che mirava a studiare in profondità il significato simbolico dell'immagine artistica
L'analisi iconografica procede attraverso vari livelli: il primo è quello dell'individuazione generale dei tipi
iconografici; il secondo consiste nell'individuazione particolare dei generi iconografici; il terzo riguarda
l'identificazione della fonte storica o letteraria che ha ispirato una determinata composizione; il quarto
concerti all'individuazione degli schemi iconografico-figurativi applicati nell'opera dell'artista punto
L'analisi iconografica deve iniziare con una corretta identificazione dei tipi o soggetti raffigurati dall'artista
virgola e per fare ciò, e necessario procedere alla graduale individuazione della semplice figura: si inizia ad
esaminare con attenzione le figure umane, gli animali e gli oggetti inanimati soffermandosi a considerare
attributi e segni distintivi emblematici come l'abbigliamento, i tratti fisici, attributi appunto
La messa a fuoco di queste categorie tipologiche permette di capire la specie di raffigurazione che si sta
studiando.

successivamente si procede particolare dei generi iconografici mediante il riconoscimento del genere
specifico di appartenenza dell'immagine e con l'individuazione della fonte letteraria che ha ispirato all'artista
quello specifico tema iconografico.
Il riconoscimento dei generi iconografici si ottiene attraverso la conoscenza dello sviluppo storico dei
cosiddetti generi artistici.
I principali generi figurativi che si affermano dal Rinascimento al romanticismo sono la raffigurazione di
storia, il ritratto, la natura morta, il paesaggio, la veduta, la rappresentazione architettonica, la caricatura e la
scena cosiddetta di genere.
La storia sacra è la rappresentazione di un'immagine che illustra un evento derivato dalla storia religiosa;
Tra gli esempi di iconografia sacra abbiamo la sacra conversazione in cui vi è la raffigurazione dei
personaggi sacri che colloquiano tra di loro, il Cristo a mezza figura ossia un'immagine a mezzo busto della
figura di Cristo che permette una contemplazione ravvicinata del viso, la Vergine nera con il Bambino Gesù
dove entrambi appaiono bruniti e l'iconografia dei santi.

La raffigurazione di storia profana e invece quella che illustra un avvenimento accaduto realmente nel
passato nel presente e si distingue per i caratteri celebrativi, commemorativi e ideologici che trasmette.
Il ritratto è la raffigurazione di un personaggio antico o moderno, realmente esistito, porto da solo oppure
insieme ad altre persone. Si afferma come genere autonomo a partire dall’ellenismo e si afferma poi nel
mondo etrusco e romano.
Assume un posto centrale nel Rinascimento dove fondamentale è la scoperta della fisionomia antica che
studia i tratti del volto e li definisce in connessione con le emozioni interiori e i temperamenti.
nel corso del 500, invece, il ritratto punta direttamente sull’introspezione psicologica diventando espr essione
di uno stato d'animo.
la caricatura e la deformazione in chiave ironica delle fattezze umane virgola in particolare quelle del volto.
Nasce tra la fine del 500 e gli inizi del 600 ma conosce la sua notevole diffusione nel 700.
La natura morta costituisce la rappresentazione degli oggetti privi di vita ma carichi di valore simbolico;
l’autonomia del genere si registra a partire dal XVI secolo, quando cominciano a diffondersi dipinti con
frutta, pesci, fiori e strumenti musicali;
L’iconografia della natura morta avrà una forte ripresa alla metà dell’Ottocento dove pittori come Manet o
Courbet daranno molto spazio a questo genere raffigurativo.
Il paesaggio fissa le parvenze della natura esteriore in differenti modi rappresentativi; durante il medioevo e
fino alla fine del quindicesimo secolo, il paesaggio è semplice elemento di sfondo in composizioni di genere
diverso; Bisognerà aspettare la metà del quindicesimo secolo affinché il paesaggio diventi genere autonomo.
Il corso del 600 il paesaggio vede un'incredibile diffusione che vede la nascita due filoni prevalenti: quello
dei paesaggi ideali caratterizzato da visioni di paesaggio mitiche, di ispirazione classica e quello
naturalistico che è più attento a rendere fedelmente il mutare delle stagioni, dell'ora del giorno e degli eventi
metereologici.
Diversamente dal paesaggio, la veduta è una raffigurazione immaginaria o reale di determinati aspetti della
realtà urbana o del territorio, caratterizzata da una rigorosa impostazione architettonica e prospettica.
Essa sorge come genere indipendente nel Rinascimento e si diffonde specialmente durante il 600 e il 700.
La scena di genere è una rappresentazione ispirata alle occupazioni della vita quotidiana; Sorge come
tipologia iconografica autonoma nell'età barocca e si diffonde nel 700 e nell’Ottocento.
Nelle scene di genere determinante è l’influenza delle rappresentazioni teatrali sia nella struttura
complessiva del dipinto che nei gesti e nelle pose dei personaggi.

accanto a questi generi principali si affiancano altre forme e generi iconografici come la raffigurazione di
uomini illustri ossia esempi di personaggi esemplari da ricordare e da imitare.
Con il 300 il tema degli uomini illustri si allarga a personaggi laici, rappresentativi dei vari rami del sapere e
della cultura.
una particolare rappresentazione allegorica di enorme diffusione europea tra medioevo e 500 e quella
dell'uomo selvatico: si tratta della raffigurazione di un uomo mostruoso, dalla barba e dai capelli incolti,
rivestito interamente di peli che vive nei boschi sbranando uomini e animali.
L'immagine di tale personificazione si diffuse molto nel medioevo ed ebbe fortuna nel teatro e nelle sacre
rappresentazioni; Successivamente fu ripresa nel corso del Rinascimento dove però cambia il valore
simbolico di questa personificazione che diventa allegoria della vita incontaminata e felice di chi vive a
stretto contatto con la natura: l'immagine ferina e demoniaca si trasforma in personaggio mite, rassicurante e
forte.
il tema dei mostri, del diabolico e del deforme è un altro soggetto iconografico che si trova nelle
raffigurazioni artistiche del medioevo e dell'età moderna: esso corrisponde alla componente irrazionale e
fantastica della psicologia umana e per questo motivo viene spesso rappresentata.
nel corso del 500 soprattutto architettura e scultura fecero ampio ricorso ai motivi decorativi mostruosi su
fontane, palazzi, e giardini.
Un altro genere è rappresentato dalla grottesca che compare a Roma dall'inizio del 500: la sua diffusione fu
rapidissima nell'affresco, nella grafica e nella scultura e consiste in motivi decorativi fantastici dove si
mescolano elementi vegetali a elementi animali.
il genere delle scene erotiche è un genere piuttosto sotterraneo, nel corso dello sviluppo dell'iconografia
profana; Prende il via nel 500 con la riscoperta di determinati testi classici, unitamente all'avvio di forme
letterarie apertamente licenziose.

Immagini e fonti storiche e letterarie.

Un altro passaggio fondamentale per comprendere l’iconografia che si sta studiando, è la ricerca della fonte
letteraria a cui l’immagine talvolta si ispira.
Le fonti letterarie che possono dar spunto a un testo figurativo sono generalmente di due tipi: al primo
appartengono quelle fonti e quei testi molto diffusi nella cultura occidentale e dunque di facile conoscenza
come i testi biblici o le metamorfosi di Ovidio, che ebbero molte ristampe nel Rinascimento; al secondo
appartengono quelle testimonianze scritte che sono oggi meno note e comportano per il loro recupero lo
studio comparato delle immagini con il committente, l’artista e il loro ambiente culturale.

Rapporto immagine-fonte letteraria.

Il passo successivo e chiarire in quale maniera l'artista abbia utilizzato nella sua opera la fonte che lo ha
ispirato.
L'artista può infatti comportarsi in due modi traducendo visivamente alla lettera il testo di partenza o
sottoponendolo a variazioni; eventualmente egli può utilizzare in maniera combinata due o più fonti
letterarie in una sola immagine.
Un arricchimento del testo è rappresentato dalla presenza nell'immagine di particolari che non compaiono
nella fonte letteraria mentre per incrocio si intende l’uso combinato di due o più fonti in un medesimo testo
figurativo.

Fraintendimenti iconografici.

Molte volte si è assistito a fraintendimenti l'autentica fonte letteraria storica che sta all'origine di un'opera
d'arte che hanno portato a una distorsione dell'interpretazione storica e del significato stesso dell'opera.

Programmi iconografici

dal medioevo alla fine dell'età barocca, l'elaborazione di un programma iconografico che spira una
determinata figurazione spetta in genere al committente e ai suoi consulenti.
Dei documenti che si posseggono è possibile stabilire in quale misura le indicazioni programmatiche siano
precise o meno ma in generale si può dire che le prescrizioni diventano sempre meno generiche e più
dettagliate con il trascorrere dei secoli.

Uso e applicazione degli schemi iconografico- compositivi: tradizione e innovazione

La traduzione dell'episodio descritto nella fonte letteraria non è atto diretto e automatico: l'artista ricorre
infatti a schemi compositivi già elaborati dalla tradizione.
L’utilizzazione può avvenire in maniera letterale, trasferendo cioè direttamente nella sua opera uno schema
precedentemente preparato o può variare questo schema di partenza conducendo all'innovazione che deriva
dall'incontro tra esperimento e formula.
L'innovazione avviene per esempio con Leonardo che nel cenacolo milanese introduce i raggruppamenti
triadi degli apostoli è la rappresentazione del loro turbamento e della loro emozione.

Iconografia iconologia, icnografia.


L'iconografia si differenzia dalla iconologia in quanto la prima è una disciplina che si propone di descrivere
e interpretare i soggetti di una determinata opera d'arte mentre la seconda ha per scopo quello di studiare i
significati simbolici, emblematici e allegorici delle opere.
L’icnografia E invece la descrizione di una pianta di un edificio che porta a classificare i vari tipi di piante e
le loro caratteristiche specifiche.

Valore simbolico degli elementi iconografici.


Ogni elemento iconografico assume nel corso del tempo un preciso significato simbolico a cominciare dal
colore che dal medioevo fino al 400 era scelto con precisi riferimenti allegorici: il bianco indicava
l'innocenza la purezza; Il rosso la carità l'amore e l'ardente desiderio; Il giallo orla divinità e la maestà; Il
nero l'umiltà e la tristezza; L'azzurro la fedeltà, la costanza; Il verde la libertà, la bellezza, la salute e la
dolcezza; L'arancio la fama incostante.
Anche il richiamo della luce ha un forte valore simbolico nell'arte dal medioevo al 700: soprattutto le vetrate
delle cattedrali evocavano il tema simbolico della luce inteso come vera luce di Dio; Anche in architettura,
gli architetti adoperano di preferenza agli intonaci bianchi nelle pareti degli edifici religiosi.

PARTE II: PITTURA IN TOSCANA NELLA SECONDA METÁ DEL DUECENTO.

Nella Toscana del 200 si registra una divisione tra lo stile dell'architettura e della scultura da un lato, e
quello della pittura dall'altro.
Si tratta di un periodo in cui mentre il rinnovamento della scultura è accelerato dalla diffusione dei modelli
gotici, l'arrivo in Italia di icone e piccoli mosaici continua a trattenere la pittura all'interno della tradizione
bizantina.
Si tratta di un momento in cui la scultura funge l'arte guida poiché la pittura si trasforma lentamente e senza
negare i suoi presupposti bizantini.
Nel 300, si assiste a un ribaltamento del rapporto tra le due arti poiché la pittura diverrà la sede delle
sperimentazioni formali e iconografiche, mentre la scultura segnerà il passo entrando in una fase involutiva.
il fenomeno più appariscente della pittura Toscana del 200 e la diffusione delle tavole dipinte soprattutto
grazie all'appoggio degli ordini mendicanti virgola in particolare i francescani.
le tavole dipinte rappresentano un fastoso ornamento per altari e navate e si prestano a essere trasportate per
le vie della città durante le processioni.
I soggetti rappresentati nelle tavole sono quelli cari ai francescani come il crocifisso, la Madonna col
bambino e l'immagine di San Francesco contornata da episodi miracolosi della sua vita.
l'innovazione iconografica e pertanto favorita dai francescani, per commissione diretta o per l'influsso della
religiosità emotiva da essi propugnata: giunta pisano sembra essere il primo a registrare la novità
iconografica e a riproporla; Egli, senza recidere il filo che avvince i pittori toscani alla tradizione bizantina,
lo tende fin quasi al limite della rottura.
Giunta propone una riforma interna al linguaggio “greco” facendo in modo che la sua pittura si configuri
come la premessa necessaria della rivoluzione che altri attueranno.
tra le maggiori personalità della pittura Fiorentina pregiottesca, è necessario citare cenni di pepi detto
Cimabue, colui che ha dominato la scena artistica prima di venire sopravanzato da Giotto, il suo più geniale
allievo.
Secondo Vasari, cimabue si sarebbe discostato per primo dalla maniera greca dei pittori duecenteschi
ritrovando il principio del buon disegno.
Il crocifisso di Santa Croce a Firenze non propone novità assolute, ma dimostra che cimabue si orienta in
senso moderno ispirandosi al modello di giunta pisano: Cimabue è il primo pittore, dopo secondi, a usare il
colore in maniera morbida e sfumata che gli consente di approdare a un inedito naturalismo.
Egli stabilisce un nuovo canone pittorico anche per la Madonna col bambino: i protagonisti affermano la
loro divina maestà tramite le pose semplificate, dentro l’incastellatura imponente del trono; Tuttavia, le
figure sono molto umanizzate e fisicamente presenti, attorniate da sei angeli che completano la
composizione.
EVOLUZIONE DEL TEMA DEL CROCIFISSO E RAPPORTI CON L’ICONOGRAFIA DI SAN FRANCESCO.

San Francesco è un personaggio fondamentale nella storia in quanto la sua figura è all’origine della nascita
di un nuovo modello pittorico ed espressivo, che conduce agli affreschi della chiesa superiore di Assisi
Il tema iconografico di San Francesco costituisce un importante premessa nella diffusione delle croci
dipinte, spesso collegate al diffondersi nel primo 20, di una nuova moralizzazione della chiesa, religiosità
maggiormente concertata sui valori fondanti.

Crocifisso con Storie della passione e della redenzione, Firenze, museo degli Uffizi

Una delle prime rappresentazioni su tavola, di richiamo bizantino;


non si conosce il nome di chi l’abbia dipinto.
È un crocifisso del “Christus Triumphas”, modello bizantino; il
cristo sulla croce non è morente; è un cristo metafisico, che è oltre
il tempo; vigila e osserva.
La testa è eretta, è un cristo dominatore; la concezione che si era
diffusa da 4 secoli nell’area bizantina era quello dell’uso della
pittura per mostrare delle realtà metafisiche al di fuori del vissuto
storico. L’uso dell’oro come sfondo segna la separazione tra la
dimensione delle realtà rivelate e la dimensione di chi guarda.
L’aureola è in rilievo; la linea con cui sono tracciate le mani e il
contorno è una linea secca; è come se non ci fosse forza di gravità.
Le braccia sono su una posizione orizzontale molto schematica.
Accanto alla parte centrale del crocifisso vi sono storie della
passione, dall’ultima cena, il bacio di giuda, la deposizione della
croce, la sepoltura e in basso l’immagine di cristo che esce dagli
dagli inferi liberando le anime dei giusti. In inferi
basso,liberando
sotto i piedi di Cristo,
le anime che sono affiancati e separati, ci
dei giusti.
sono i soldati romani che osservano e completano la storia della crocifissione.
In basso, sotto i piedi di Cristo, che sono affiancati e separati, ci
sono i soldati romani che osservano, episodio che completa la storia
della crocifissione.
Alberto Sotio, crocifisso del tipo Christus Triumphans, 1187, Duomo di Spoleto.

Si trova nel duomo di Spoleto, ancora collocata nella posizione originaria.


Anche in questo caso la posizione è identica ma si verifica una flessione
della parte del gomito, movimento delle braccia.
Lo sguardo è quasi inespressivo perché ingiudicante, fuori dal tempo e
dalla storia il modo in cui
L’autore elimina le storie laterali e concentra attenzione sull’evangelista
Giovanni e sulla madonna posti ai lati del corpo.
I colori blu e rosso sono simbolici poiché rimandano alla passione e alla
dimensione celeste che si unisce nelle cromie.
C’è qualche elemento iconografico nella parte alta, il cristo che ascende
al cielo in una mandorla.
I colori indicano una volontà decorativo-ornamentale più semplice
rispetto all’uso dell’oro.
È’ un’immagine frontale, come tutte quelle di tipo bizantino.
In basso, dalle ferite dei piedi scendono due rivoli di sangue fino a un
teschio, quello di Adamo.
La tipologia del Christus Patiens negli sviluppi da Giunta Pisano a Cimabue.

Il primo cambiamento iconografico fondamentale è quello del


passaggio dal Christus Triumphans al Christus Patiens, un cristo che
patisce e affronta la morta, venendo rappresentato in una condizione di
sofferenza.
È raffigurato Cristo nel momento del trapasso; vi sono delle scene
della passione.
Il vertice della croce segna un piano separato rispetto al piano della
croce stessa.
Vi è un modo secco di rappresentare il torace; le braccia sono
dolcemente piegate; alla bidimensionalità propria dell’arte bizantina è
presente.
A destra c’è l’angelo che al sepolcro indica la risurrezione di cristo.
Ai piedi della croce vi è l’episodio di Cristo che appare alle donne
corse al sepolcro, prima testimonianza della risurrezione. (noli me
tangere).

L’autore è Giunta Pisano e si tratta di un’opera che segna un rapporto


con la tradizione bizantina ma con una maggiore forma di naturalismo,
resa sempre più naturalistica della forma umana e della dimensione
storica dell’immagine.
Nella testa del cristo c’è espressione sofferente, il corpo tende ad essere
inclinato, segno che c’à un peso che grava nella posa della croce. Lo
spanciamento della figura del Cristo accentua il processo in atto nella
semplificazione geometrica delle figure.
Ai lati vi sono la Madonna e San Giovanni piangenti e ai piedi compare
la firma dell’artista, segno del nuovo e primo bisogno di riconoscere il
valore dell’autore.

Crocifisso, chiesa di San Domenico, Cimabue.

Quello che segna il passaggio maggiore verso una nuova


modernità è Cimabue: egli viene incaricato di realizzare una
serie di opere che lo porteranno ad essere il primo pittore a
coordinare gli affreschi della chiesa di Assisi.
Quella di Cimabue, si ricollega alla croce di Pisano
soprattutto in merito all’accentuarsi graduale degli aspetti
naturalistici: la testa è quasi incassata nelle spalle e assume
un carattere più realistico; la caratterizzazione del volto è
meno astratta come fosse presa da un ritratto di qualcuno.
L’opera presenta una struttura prospettica che si pone come
una novità rispetto alla classica bidimensionalità propria
dell’arte bizantina.
Giotto, crocifisso di Santa Maria Novella.

Questo crocifisso segna il vertice di un cambiamento: il peso grava


sulla spina dorsale, sulle ginocchia; cambia la posizione di Cristo; la
testa non è solo abbandonata, è messa in prospettiva
È come se la figura di cristo fosse presente fisicamente; i piedi sono
sovrapposti, penetrati da un unico chiodo e accentuano la
tridimensionalità.
Il sangue che cade rappresenta come una caduta carnale, fisica, come
se stesse cadendo nella chiesa stessa e come se fosse presente
realmente.

ICONOGRAFIA DI SAN FRANCESCO NEL TEMPO

Bonaventura Berlinghieri, San Francesco.

Si tratta della prima testimonianza dell’iconografia di San


Francesco, in cui il santo viene raffigurato frontalmente, mentre
mostra la mano destra con le stigmate.
Al lato sei episodi della vita di San Francesco; San Francesco
che riceve le stigmate sul monte, San Francesco che predica gli
uccelli.
4 Episodi legati alla storia di San Francesco post mortem,
quattro miracoli
.

Dell’ultima parte del 1200 è questa tavola di un maestro


anonimo.
Il santo è inserito in una specie di nicchia cuspidata tutta
dorata che fa pensare a un’architettura di carattere gotico:
incrocio stilistico tra le grandi categorie medioevali
(gotico d’oltralpe che porta all’allungamento delle forme
e alla tensione verso l’alto con forme a angolo).
l’oro è dominante; vi è la ricerca di rappresentazioni che
danno luogo all’affollamento delle scene.
GIOTTO: L’ICONOGRAFIA DI SAN FRANCESCO E IL RINNOVAMENTO DELLA PITTURA.

Approdando ad un periodo in cui si forma lo stile che Vasari definisce latino, per contrapporlo al greco dei
bizantini, la rivoluzione in atto si coglie nella basilica di Assisi, dove le tendenze più innovative della pittura
trovano alimento.
Gli edifici più importanti venivano collocati al centro della
città, in cima, in un punto estremamente visibile. La basilica
di Assisi non è il Duomo della città, non è collocata al centro
ma è decentrata in un punto elevato, ha un percorso che per
arrivarci provocava una salita. Questo conduce verso una
elevazione in verticale della struttura.
Contaminazione degli stili:
- Campanile che ha fatture romaniche con lesene
(=sporgenze) con funzione ritmica dell’architettura
rispetto alla trifora della parte superiore (=aperture
con diverso numero di finestrelle).
- Facciata ha impostazione romanica ma elevazione
maggiore in rapporto proporzionale tra altezza e
profondità.

-Rosone è elemento di elevazione gotico d’oltralpe e aumenta la contaminazione tra gusto romanico
e nuovo gusto gotico
- Finestre allungate finiscono con il tipo arco a sesto acuto
- C’è doppio ingresso: questo nella foto è l’ingresso della basilica inferiore che ha un proteo = una
parte sporgente che copre l’ingresso e un portale strombato (= diverse nervature che vanno
stringendosi e creando una prospettiva reale).
 commistione diversa tra il protiro romanico e l’ingresso goticheggiante.

Fondamentale è la chiamata di cimabue, cui è richiesto di eseguire affreschi nella basilica superiore nel
1288.
Le storie di San Francesco sulla parete della navata della basilica superiore di Assisi vengono realizzate da
Giotto: Si tratta di una monumentale storia suddivisa in 28 riquadri, che si svolge per tutta la parete destra,
gira nella controfacciata e torna indietro lungo la parete opposta descrivendo le vicende del Santo titolare
della basilica, dalla giovinezza alla morte, alternando episodi storici ufficiali a quelli delle leggende.
Con Giotto la vita quotidiana rientra in una chiesa e prende stabile possesso delle pareti più in vista.

la grandezza di Giotto non si esaurisce nel realismo dell'ambientazione e dei personaggi poiché esso è
inscindibile dal controllo ritmico e geometrico che il pittore esercita nelle composizioni: infatti, il rapporto
tra le figure e lo sfondo non è mai casuale.
Giotto rifiuta il retaggio bizantino e cerca di espressiva che ancora sopravviveva nelle opere del maestro
cimabue del quale accentua la componente naturalistica, recuperando effetti di plasticità e di spazialità
dimenticate da secoli.

dopo l'esecuzione delle storie di San Francisco, affronta i temi più tradizionali della pittura duecentesca
come il crocifisso di Santa Maria Novella e la maestà nella Pala già in Ognissanti ora agli Uffizi.
nel primo, dispone la figura in accordo con le leggi dell'anatomia: i piedi sono accavallati e forati da un solo
chiodo, perciò le ginocchia si piegano secondo il modello di Nicola pisano.
in merito alla maestà degli Uffizi bisogna richiamare l'attenzione sulla solida volumetria dei protagonisti
incastonati nel prezioso trono cuspidato.

Preghiera di San Damiano.

Si tratta della rappresentazione di San Francesco in preghiera nella


chiesa diroccata di San Damiano dinanzi al crocifisso.
Giotto racconta questo episodio cercando di introdurre note di
realismo proprie del suo modo di operare.
La chiesa è aperta e prevale l’intenzione di mostrare l’umiltà della
scena.
Le mani aperte indicano lo stupore della rivelazione
All’interno del modo in cui Giotto rappresenta c’è una forzatura
delle leggi prospettiche: il santo è inginocchiato in una stanza che
non lo conterrebbe se fosse in piedi, prevale l’intenzione di mostrare
la completezza della chiesa, fino al vertice, per questo mantiene
proporzioni sbagliate che danno però un senso alla scena.

Il presepe di Greccio.

La scena è ambientata all’interno di una chiesa, dove la geometria


degli elementi figurativi è fondamentale e contribuisce a dividere gli
spazi e a creare un’ambientazione realistica. Il realismo è suggerito
anche dalle espressioni visive e dalle pose degli astanti.
Il santo pone il bambino nella mangiatoria e vi è una croce vista dal
retro: soluzione anticipatoria di secoli in cui Giotto, applica dei
principi per rappresentare la profondità anche nello spazio superiore

Le stimmate.

San Francesco è inginocchiato sulla roccia del monte Verna. Accanto


a lui, a sinistra, è costruito un piccolo romitorio del quale si vede
l’ingresso. In alto a destra un angelo si libra nel cielo con le braccia
aperte e guarda verso il Santo. Delle linee sottili inoltre collegano le
mani, i piedi e il costato della figura alle stesse parti del Santo in
basso. Infine, nell’angolo in basso a destra un fratello francescano è
seduto di fronte ad una chiesa e legge con un libro tra le mani.
Accertamento delle stimmate.

Girolamo è chino sul corpo morto di Francesco ed esamina le stimmate


assunte dal Santo. Intorno alla salma fratelli francescani e religiosi
accompagnano l’evento pregando. In alto compaiono una maestà in trono,
un crocifisso centrale che richiama la croce del presepe di greccio e a
destra appare un angelo.
Lo spazio della scena è organizzato in modo ordinato e tridimensionale. In
alto, Giotto applica i principi della prospettiva geometrica. I corpi sono
solidamente rappresentati con l’uso del chiaroscuro e i visi sono espressivi
come le posizioni dei corpi. Infine, certe azioni sono rappresentate con
naturalezza e realismo come il gesto di San Girolamo.
Il dipinto presenta colori caldi nella parte inferiore; in alto, invece, le tre
figure sacre contrastano con il cielo più scuri dai toni freddi.

Omaggio all'uomo semplice: San Francesco non ha ancora rinunciato alle sue ricchezze ed è
un giovane cavaliere della città di Assisi; nella rappresentazione
il santo incede e un cittadino stende il mantello al suo passaggio.
La scena è serena e dignitosa e la presenza del Santo non è
affermata tramite un aumento delle proporzioni, anzi gli appare
in perfetto profilo è calato pienamente nell'azione.

Tutti i personaggi presenti hanno una funzione, partecipano con


dei gesti alla scena; vi è la volontà di un racconto che si
completa nell’ambiente; anche gli edifici hanno la loro
importanza in quanto formano un fondale;

tra le novità della pittura giottesca vi è il fatto che tutti i personaggi


“astanti” hanno una funzione, partecipano alla narrazione
attraverso sguardi, espressioni e gesti.

San Francesco dona il mantello a un povero.

Un uomo a destra riceve il mantello dalle mani di San


Francesco. Il Santo è dipinto a sinistra ed è accompagnato dal
suo cavallo che intanto bruca l’erba sul prato. Sullo sfondo è
dipinto un paesaggio spoglio e sulle montagne sono raffigurati
dei centri abitati.
Il dipinto presenta toni freddi e grigi nel paesaggio. Nel primo
piano invece i personaggi sono evidenziati con colori caldi e
vivi. Si notano infatti il rosso della sella e dell’abito del nobile
e l’ocra-arancio del mantello.
Il dipinto presenta toni freddi e grigi nel paesaggio. Nel primo
piano invece i personaggi sono evidenziati con colori caldi e
vivi. Si notano infatti il rosso della sella e dell’abito del nobile
e l’ocra-arancio del mantello.
San Francesco è il cuore geometrico della costruzione a “x” del
paesaggio e delle figure nella rappresentazione.
Preghiera in San Damiano.

Francesco è inginocchiato di fronte al crocifisso all’interno di una


piccola chiesa diroccata.
Lo sfondo è scuro e tende al blu. Invece le figure in primo piano,
Francesco e la chiesa di San Damiano sono dipinte con colori caldi.
La luce infine illumina la parte della chiesa rivolta a sinistra.

Apparizione di San Francesco su un carro di fuoco.

Entra in gioco un collegamento biblico che rimanda all’antico testamento; il


profeta Elia rapito in cielo da un carro di fuoco.
Il collegamento con la mitologia, fa riferimento al carro di apollo; si vuol
mostrare l’identificazione di una continuità tra la figura di San Francesco e
quelle dell’antico e nuovo testamento.
Nel calesse di questo carro c’è un bassorilievo ispirato a tracce antiche che
Giotto inserisce come un necessario completamento decorativo.
La ruota del carro posa su una terrazza dando un senso di immobilità, come
se gravasse su qualcosa che ha un peso.
Si ha una distribuzione delle figure sulla scena che ha una logica
compositiva equilibrata: si sente il bisogno di rendere credibile lo spazio;
Si coglie la scansione dei momenti in cui il dipinto viene realizzato
attraverso i colori;

Cacciata dei diavoli da Arezzo.

In quest’opera viene rappresentato San Francesco che con un gesto di


benedizione provoca la fuga dei diavoli;
In alto il volo dei diavoli: interessante è la capacità di Giotto di
rappresentare una la città di Arezzo si sviluppa su un declivio che ha
diverse altezze.
Giotto cerca di essere veritiero nella rappresentazione; importante è la
forza del colore: si mantengono i colori dell’umiltà (come il saio di san
Francesco) ma le case presentano colori sgargianti.
Presenza di elementi urbanistici e storici: alle spalle di Francesco,
grande quanto la città, vi è una chiesa, probabilmente la chiesa di San
Francesco ad Arezzo.
La prova del fuoco.
In quest’opera si narra del viaggio in oriente compiuto da San
Francesco e in particolare dell’incontro con il sultano che lo mette
alla prova chiedendogli di camminare su un fuoco ardente.
La prova del santo provoca la conversione del Sultano che gli
consente di proseguire la sua predicazione in paesi lontani.
Il dipinto presenta una prevalenza di tinte fredde rappresentate dal
blu intenso del cielo e dall’azzurro del palazzo di sinistra. Il trono
del sovrano invece è colorato con tinte calde come anche le vesti
dei protagonisti sulla scena.

Le due architetture sono rappresentate con l’uso di una prospettiva


medievale di tipo intuitivo. Gli scorci sono quindi diversi a destra e
a sinistra. Gli edifici sono piuttosto organizzati al fine di creare un
teatro scenografico per la comprensione della scena che si svolge di
fronte.

Il miracolo della fonte,

Durante un viaggio di Francesco e i suoi compagni si trovano


assetati allo stremo delle forze e Francesco attraverso la
preghiera fa scaturire l’acqua dalla sorgente.
La figura del povero che si disseta alla fonte presenta una
costruzione attenta al reale. Inoltre, si può osservare come il
piede regga la tensione del corpo e il braccio sinistra aiuti
l’uomo a rimanere in equilibrio.
Il dipinto è dominato da una illuminazione argentata che crea
bagliori color avorio sulle rocce. Il colore dei personaggi tende
al grigio scuro e il cielo è quasi nero e crea contrasto con la
luminosità che colpisce le rocce.

La predica agli uccelli,

San Francesco al centro del dipinto si rivolge ad uno stormo di uccelli


posati a terra di fronte a lui. I volatili sembrano ascoltare le sue parole
con attenzione. Intanto altri uccelli giungono dall’alto. A sinistra poi un
compagno di Francesco osserva sbalordito la scena. Il paesaggio è
descritto infine grazie all’alberello di sinistra e a quello più grande di
destra.

Nell’affresco i colori utilizzati da Giotto richiamano immediatamente il


mondo della natura. Infatti, gran parte della scena è occupata dal cielo
blu intenso. Emerge poi il marrone scuro degli alberi e dei sai
francescani. Infine, gli alberi danno vita all’immagine con le loro
chiome verdi.
La predica dinanzi a Onorio III.

San Francesco è in piedi a sinistra di fronte al Papa Onorio III.


Con il pollice della mano destra indica sé stesso mentre si
rivolge al pontefice e ai cardinali. A terra, di fronte a lui è
seduto un altro francescano che ascolta il discorso del Santo.
Anche il Papa e i cardinali seguono con grande attenzione le
parole di Francesco. La scena inoltre è ambientata all’interno di
una stanza decorata riccamente che presenta un’architettura
goticheggiante.
In alto sono ben evidenti tre archi ogivali oltre i quali sono
dipinte delle volte a crociera.
Lo stile di queste opere anticipa le innovazioni del Rinascimento
e si discosta dalle opere bizantine precedenti: i cieli sono reali e
non in fondo d’oro. Poi i personaggi assumono volume ed
espressioni naturali. Lo spazio architettonico è descritto
mediante la prospettiva geometrica e sulla scena compaiono
maggiori dettagli.

Il pianto delle clarisse.


Santa Chiara è china sul corpo di Francesco disteso su una
portantina. Una gran folla di religiosi e fedeli è riunita di fronte alla
Basilica della Santa dalla quale escono poi altre sorelle. Su un albero
di sinistra, un fedele sale sulla chioma, in alto per assistere
all’evento.
Nel dipinto che racconta il triste momento della sepoltura di
Francesco si colgono le innovazioni pittoriche di Giotto: la chiesa,
infatti, è costruita con i principi della prospettiva geometrica. inoltre,
i corpi sono solidi e tridimensionali grazie all’uso del chiaroscuro. Le
espressioni dei volti diventano poi eloquenti come la mimica del
corpo. Infine, compaiono sulla scena dettagli che arricchiscono
l’immagine. Nell’affresco si osserva infatti un uomo che sale su un
albero dipinto per rendere più naturale e reale il racconto. La parte
destra del dipinto è occupata interamente dalla facciata della chiesa
resa con una efficace tecnica prospettica. Invece a sinistra la
profondità della scena è determinata dai fedeli che si affollano per
piani di profondità. Inoltre, l’albero rappresentato sul fondo
rappresenta un ulteriore elemento di distanza.

Apparizione a Gregorio IX.

Papa Gregorio IX è disteso a destra sul letto e riceve la fiala con il sangue
da Francesco. Il Santo invece è in piedi verso il centro del dipinto e mostra
la ferita scoprendo il saio sulla sua destra. In primo piano quattro religiosi
vegliano il sonno del pontefice. La stanza è decorata con preziosi drappeggi
e il letto è coperto da un baldacchino sospeso e tenuto da corte tese. Infine,
il soffitto è decorato da cassettoni di legno. L’interno della stanza è
rappresentato con una prospettiva credibile. Inoltre, il volume dei corpi è
reso attraverso l’utilizzo del chiaroscuro
Crocifissione di Assisi (1308-1310)

La crocifissione della basilica inferiore viene realizzata circa


10 anni dopo nel 1308- 1310.
Sullo sfondo blu oltremare si staglia il Cristo crocifisso, con
la Maddalena inginocchiata ai suoi piedi, in adorazione. Otto
angeli volteggiano nel cielo e anche in questo caso tre di loro
raccolgono il sangue di Gesù.
Maria, vestita di bianco e assistita da alcune donne, è crollata
per terra; Giovanni, in questo caso, non soccorre la Madre
ma resta in piedi, con le mani strette, a contemplare
piangente il corpo di Cristo. A destra, pagani ed ebrei
mormorano fra loro voltando le spalle, anche fisicamente, al
Messia.

Con forte espressività Giotto rappresenta 8 angeli che


raccolgono il sangue dal costato e dalle ferite.

GIOTTO A PADOVA: LA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI.

Il capolavoro della crocifissione realizzato da Giotto ad Assisi è sicuramente frutto del percorso evolutivo
svolto dal pittore nei dieci anni di assenza
Dopo Assisi, Giotto è il più richiesto pittore italiano: egli viaggia e lavora moltissimo diffondendo il suo
stile con l'aiuto di una vasta equipe di collaboratori.
L'oratorio padovano, fondato da Enrico Scrovegni presenta pareti perfettamente lisce, prive di nervature e
funzionale alla decorazione pittorica che Giotto esegue in due soli anni, articolando in quattro fasce
orizzontali sui muri della navata e sull'arco trionfale.
Si tratta di un articolato complesso iconografico della redenzione, cui si aggiungono i busti di Cristo e dei
profeti sulla volta stellata: Giotto dispone le scene dentro un’incorniciatura illusionistica in previsione di uno
spettatore che stazioni al centro dell'oratorio e ammiri lo spettacolo complessivo degli affreschi; egli,
conforma l'illuminazione delle scene alla reale fonte di luce dell'edificio proveniente dalla grande trifora
della facciata.
Lo stile delle singole scene vede un potenziamento rispetto alle storie di San Francesco sia nella naturalezza
gestuale delle figure sia nella concentrazione espressiva delle composizioni: Giotto amplia la gamma
cromatica introducendo squillanti colori chiari che dialogano con i rossi e con i verdi smeraldo.
Le figure sono solenni presenze statuarie atte a convivere con ambientazioni architettoniche vertigini
sprofondate nella terza dimensione: Giotto muove i suoi personaggi, dispone nello spazio e ne descrive i
gesti accordandogli alle leggi dell'anatomia.

Giudizio universale, cappella degli Scrovegni.


Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto, l’intera parete di fondo,
ossia la controfacciata, è occupata da un grandioso Giudizio universale. Questo affresco
conclude idealmente le Storie che si dispiegano sulle pareti.
per la prima volta viene abolita la suddivisione della scena in fasce orizzontali
sovrapposte: Giudizio, Paradiso e Inferno sono presentati in un insieme unitario e tutte
le figure si muovono nel medesimo spazio
Cristo Giudice campeggia al centro, circondato da una mandorla
La croce è priva di Gesù ma è la base su cui si fonda la presenza del cristo redentore
seduto in trono; al lato gli apostoli; a destra l’inferno, a sinistra i beati che salgono in
cielo.
In basso, ai piedi della croce, l’episodio che racconta la dedicazione della chiesa a Santa
Maria Annunciata.
In alto due angeli stanno arrotolando le tende; con il giudizio universale si chiude la
storia
Sogno di Gioacchino. Cappella degli Scrovegni.

Gioacchino, padre di Maria, rischia di esser visto come dannato perché


non ha avuto figli quindi si ritira con i pastori;
Nella scena riceve dall’angelo la notizia che diventerà padre.
Il colore dominante è l’azzurro
Giotto riesce in modo ammirabile a dare una perspettiva tridimensionale
all’affresco: anche se non tutti i dettagli sono geometricamente "giusti"
(vedi la struttura della capanna) e se gli elementi della natura sono ancora
molto stilizzati, abbiamo nettamente l'impressione di uno spazio
tridimensionale nei monti e nei corpi dei personaggi.

Incontro di Anna e Gioacchino alla porta d’oro.

Incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea illustra un episodio


della vita dei genitori di Maria. I due anziani coniugi si incontrano
alla porta di Gerusalemme al rientro di Gioacchino. L’anziano,
infatti, torna dal ritiro nel deserto insieme ad alcuni pastori in seguito
all’annuncio da parte di un angelo della nascita di Maria. L’uomo
era stato cacciato dal Tempio di Gerusalemme perché ritenuto sterile
e quindi privo della benedizione divina. La premonizione di un
angelo, avuta anche da Anna, lo convince poi a tornare. Gioacchino
indossa un pesante e ampio mantello rosa e una aureola dorata
intorno al capo. I suoi capelli e la sua barba sono ormai grigi e la sua
apparenza e quella di un uomo maturo. Dietro di lui, inoltre, si vede
un pastore che lo accompagna.
Il bacio tra Gioacchino e Anna è un momento molto espressivo e
rivela la volontà di Giotto di raccontare l’evento in modo
naturalistico.

L’illuminazione proviene dal centro-sinistra e scolpisce in modo


energico le architetture della Porta Aurea. Inoltre un deciso
chiaroscuro permette di mettere in rilievo i panneggi delle vesti.
L’annunciazione.

Ai lati dell’altare l’annunciazione è divisa in due partii:


angelo e Maria che riceve l’annuncio.
In tutti questi particolari Giotto ha costruito delle scatole
prospettiche sempre più elaborate rispetto a quanto già
introdotto ad Assisi. È un linguaggio che diventa sempre
più maturo nel costruire lo spazio.
La parte in luce è quella di Maria, la parte in ombra è
quella dell’angelo. Le tende completano il rapporto tra la
scena domestica e il messaggio
Bacio di Giuda.

Giotto rappresenta tre episodi:


- Pietro che taglia orecchio ai soldati che vengono a
arrestare cristo
- Personaggio che fa da punto di cerniera, visto di spalle,
che tira il mantello di uno degli apostoli, serve come
figura che richiama anche il senso del tradimento in
atto
- Giuda che avvolge col mantello giallo Gesù
+ Sulla dx altro soldato che indica la scena
+gioco di lanterne e lance in atto

Resurrezione e noli me tangere.

La scena mostra un doppio episodio: a sinistra il sepolcro vuoto di Cristo


con gli angeli seduti e le guardie addormentate testimonia la
Resurrezione; a sinistra la Maddalena inginocchiata davanti
all'apparizione di Cristo trionfante sulla morte, con tanto di vessillo
crociato, e il gesto del Salvatore che le dice di non toccarlo
pronunciando, nelle versioni latine dei vangeli, la frase Noli me tangere
L'episodio si caratterizza per un'atmosfera rarefatta e sospesa, di
"metafisica astrazione" in cui è vista un'anticipazione di Piero della
Francesca.

CONTRIBUTI DEI MAESTRI SENESI NELLA DECORAZ IONE DELLA BASILICA DI ASSISI

Nel primo 300 Siena si arricchisce di nuovi palazzi, chiese, sculture e dipinti ma gli artisti senesi lavorano
anche fuori dalla città ed esportano i loro prodotti in giro per l'Italia
Siena presenta una cultura figurativa aperta alle influenze del gotico francese, più aristocratica rispetto a
quella Fiorentina.
risalta poi, un tono più civico e politico dell'arte senese: a Siena vige uno stretto legame tra il comune e gli
artisti: il comune regola la pianificazione urbana, impone leggi protezionistiche che impediscono l'impiego
di artisti venuti da fuori e in cambio richiede agli artisti immagini esplicite di propaganda politica.
l'arte senese e dunque spesso arte di propaganda del regime comunale da cui nascono alcuni dei più
splendidi capolavori prodotti in città.
Nel 1315 si rivela all'improvviso uno dei massimi pittori del 300, Simone Martini, che, partendo dall'arte di
Duccio, sviluppa altre componenti come quella grottesca e quella gotica a valendosi dei modelli circolanti
nelle botteghe degli orafi senesi.
Il confronto di Simone con Giotto si rinnova nelle storie di San Martino affrescate ad Assisi in una cappella
della basilica inferiore
San Martino divide il mantello con il povero, Simone Martini.

San Martino è un santo di origine cavalleresca. È un ricco cavaliere che


abbandona la condizione laicale per abbracciare lo stato clericale.
Il santo scorge un mendicante, seminudo, attanagliato dal freddo, che
chiede l’elemosina
Così sfodera la spada e lo divide in due, dandone una metà al povero e
tenendo l’altra per sé, tra la derisione generale di molti e l'ammirazione di
pochi, ma - soprattutto - sotto l’occhio riconoscente e stupito del povero
nudo

Investitura di San martino a cavaliere, Simone Martini.

Secondo la tradizione, l’episodio raffigurato viene pensato come un


ricordo della cerimonia in cui l’artista stesso fu investito cavaliere a
Napoli.
L’imperatore Giuliano sta applicando la cintura della spada attorno
fianchi di Martino in preghiera, mentre uno scudiero gli allaccia gli
speroni: altri due scudieri (sulla sinistra) recano l’elmo ed il falco,
emblemi cavallereschi. A destra i musicisti stanno suonando
Seguendo l’esempio di Giotto, l’artista inserisce i personaggi all’interno
di scatole architettoniche e realizza un forte naturalismo nella resa
pittorica de costumi e in quella dei personaggi.

Rinuncia di San Martino alle armi, Simone Martini.

Il presente episodio si svolge nell’accampamento dell’imperatore


Giuliano, dove, alla vigilia di una sicura invasione militare, mentre
vengono distribuiti i compensi ai soldati che devono contrastare i barbari
provenienti dalla Gallia, San Martino informa l’imperatore che non
parteciperà al combattimento
Oltre a Simone Martini, le personalità dominanti della pittura senese sono i fratelli Pietro e Ambrogio
Lorenzetti punto
Il maggiore, Pietro, formatosi nella bottega di Duccio, opera per una decina d'anni nel transetto della basilica
inferiore di Assisi. Pietro completa anche le storie di Cristo del transetto sud di Assisi conseguendo con la
deposizione la punta di massima drammaticità del ciclo.

Pietro Lorenzetti, l’ultima cena.

In questa opera la struttura dell’architettura è una struttura


ad esagono probabilmente ispirata al fatto che a Siena
Nicolò Pisano aveva dato una prova di architettura-
scultura con il pulpito del Duomo che era di formato
esagonale.
-Prospettiva è meno curata e molto più schiacciata.
-Ci sono gesti di commento tra i vari personaggi (S.
Giovanni evangelista che si china a Cristo e gli manifesta
la sua devozione e affetto)
-Con significato aneddotico: i servitori che danno da
mangiare agli animali (particolare distaccato dalla storia).

INTERVENTO DI GIOTTO NELLA DECORAZIONE DELLA CAPPELLA BARDI A FIRENZE.

Nel corso della prima metà del 300, Firenze conosce una forte attività edilizia soprattutto nei cantieri aperti
alla fine del secolo precedente come quelli di Santa Croce e di Santa Maria del fiore.
Nei primi tre decenni del 300, Giotto opera spesso nella sua città introduce numerosi pittori nella sua
bottega: il suo influsso e dunque ben avvertibile nei dipinti eseguiti a Firenze all'inizio del 300, ma non è
univoco poiché si coniuga con precedenti stili e perché lo stesso stile di Giotto appare in continua
evoluzione.

Santa Croce a Firenze è uno dei monumenti ecclesiastici più ricchi dal
punto di vista della storia dell’arte che ci sia in Italia. Tra 300 e 400 abbiamo
un passaggio di molti dei protagonisti della storia dell’arte toscana e non
solo. Giotto è chiamato dalle famiglie fiorentine che contribuivano alla
ricchezza delle maggiori chiese due volte:
- Negli anni 20 nella cappella Peruzzi realizza un ciclo dedicato a San
Giovanni Battista e Evangelista perché venivano richiesti racconti legati a
determinate figure della storia evangelica, in relazione ai nomi usati nella
famiglia, i patronimici. Nella famiglia Peruzzi ricorreva il nome Giovanni.
- Negli anni 30 la famiglia Bardi chiede a Giotto una realizzazione di un
ciclo dedicato a San Francesco, all’interno di essa troviamo l’icona di San
Francesco già vista in precedenza.
Sono gli ultimi affreschi della carriera di Giotto, ma hanno una storia
infelice: nel 600 vennero coperti perché considerati malmessi, nell’800
vengono restaurati, nel 1950 è stata tolta la tintura dell’800 e si ha oggi una
lettura di quello che è rimasto.
Giotto, Stimmate di San Francesco, cappella Bardi.

Vediamo l’immagine delle stimmate di San Francesco, di nuovo il


tema centrale che ricollega San Francesco alla croce.
In questi dipinti realizzati 25 anni dopo, l’impianto costruttivo è più
solido, non ha bisogno di elementi più divaganti, le dimensioni e le
proporzioni assumono anche un diverso riempimento dello spazio.
C’è un tono cromatico differente. È come se ci fosse una cappa
scura, bisogna capire se questo sia dovuto al passare del tempo o
fosse intenzione dell’artista.
La roccia alle spalle di Francesco assume le note del suo saio. Sono
nettamente segnati i raggi che vanno a colpire le mani

Giotto, rinuncia ai beni paterni, cappella Bardi.

(confrontala con la rinuncia dei beni paterni ad assisi). Qui


abbiamo una connotazione più fantastica, meno attenta a
ricreare il paesaggio di Assisi. C’è una differenza tra due
modelli architettonici. In basso un rivestimento a mattoni
non lisciato ma grezzo, con un carattere di solidità ma
semplicità. Sopra questo tono molto elegante e raffinato
dove si inserisce un gusto gotico con qualche rimando alla
classicità.
L’angolo passa proprio dove è spogliato Francesco,
coperto dal vescovo di Assisi, potrebbe significare il ruolo
di Francesco come pietra ad angolo della chiesa, cioè un nuovo elemento portante della chiesa.
I bambini che ai due lati vengono trattenuti dalle rispettive madri hanno in mano dei sassi come se avessero
rancore nei confronti di Francesco, oltre al gesto di Bernardo padre, trattenuto con difficoltà dagli altri
personaggi. Giotto adotta uno stile più severo.

Giotto, San Francesco appare al capitolo di Arles, cappella Bardi.

C’è una maggiore padronanza dello spazio, l’edificio è integrato nella cornice e rispecchia la misurazione
dello spazio.
San Francesco è al centro, è molto credibile la profondità
della stanza.
Interessante è la distinzione dello spazio con il piano
ulteriore.
In Giotto aumenta la capacità e la volontà di rappresentare
particolari secondari come le lunette di marmo dove
vediamo delle cromature, ricerca di descrizione degli
elementi.
Giotto, esequie di San Francesco, Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze

Episodio rovinato per la presenza di una tomba che è


stata staccata e spostata altrove. Molti esponenti dell’arte
e della cultura sono sepolti a Santa Croce, pensiamo a
Michelangelo Buonarroti.
In questo affresco si unisce l’episodio delle esequie con
l’episodio della verifica delle stimmate, con l’immagine
tagliata che rappresenta l’anima di Francesco che scende
al cielo

Giotto, Conferma della Regola francescana; Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze

Ci troviamo un edificio inventato da Giotto che richiama


gli edifici della corte Pontificia (gli edifici vaticani erano
diversi da adesso) San Francesco offre al papa al
manoscritto. Nel timpano c’è un medaglione con
l’immagine di San Pietro che dà il senso della sede
pontificia. La scena è costruita in modo prospettico

Giotto, Prova del fuoco; Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze


Gli affreschi sono sui due lati lunghi e vanno visti standoci
dentro, la cappella non è molto grande, qui c’è l’esigenza di
una contemplazione attiva. Mentre ad Assisi c’era un
percorso da compiere passo a passo lungo la navata
(da confrontare con la stessa scena fatta 30 anni prima da
Giotto ad Assisi)
Qui c’è l’episodio della prova del fuoco, modificato, con il
sultano al centro. Sulla base sono decorati dei bottoni rossi e
verdi, colori usati nelle pavimentazioni delle chiese centro
italiche, in conseguenza dell’attività di un importante
laboratorio, si parla di mosaici cosmateschi. Giotto mette
insieme frammenti della cultura visiva, di ciò che gli stava attorno e costruisce delle immagini credibili
all’interno della narrazione geografica di Francesco.
Il fuoco divampa molto di più rispetto alla versione di Assisi.
CONFRONTO SU DUE TEM I FRANCESCANI

Benozzo Gozzoli, Storie della vita di San Francesco, La Rinuncia degli averi, affresco, Chiesa di San
Fortunato in Montefalco
Benozzo Gozzoli è un pittore formatosi nella Firenze degli
anni 40 del 400, dopo Masaccio, con la consapevolezza degli
sviluppi proposti dalla triade Brunelleschi, Donatello
Masaccio, ma ancora legato a dei modelli stilistici più cortesi,
cavallereschi.
Negli affreschi di San Francesco mette in gioco una
sovrapposizione tra figure, azioni che hanno un carattere di
eleganza, nei gesti, nei modi, con il bisogno di
contestualizzare urbanisticamente lo spazio, quasi a renderlo
impraticabile, dimostrando di non avere del tutto appreso il
senso di quella trasformazione architettonico spaziale
prodotta dalla prospettiva.
Rinuncia ai beni materiali, con un gesto più teatrale, Bernardo si muove verso di lui mosso da una reazione
emotiva che non ha la forza del gesto che invece ha dato Giotto nella cappella Bardi. Il confronto dei tre mostra
tre situazioni stilistiche. Gli edifici non sono obbligati ad essere inclusi nel limite della cornice ma proseguono
anche oltre il limite dopo dalla cornice (cornice dipinta questi affreschi erano inquadrati da elementi
decorativi pittorici che danno l’illusione dell’inquadramento come in finestra, qui le cose proseguono oltre).

Benozzo Gozzoli, Storie della vita di San Francesco, Stimmatizzazione del


Santo
Un’altra scena da confrontare con quella rappresentata da Giotto nella
cappella Bardi. Per Gozzoli diventa una scena fantastica nel gusto medievale
più che rinascimentale.
L’edificio è come inserito a forza dentro all’ambiente, questo ambiente così
roccioso da essere quasi desertico, spaccato da una fenditura nel terreno, con
queste rocce che sembrano delle grotte antropomorfe. All’esterno della
cornice scompare l’origine dei raggi. Una visione più “fantasticheggiante”
rispetto al mondo con cui Giotto ha costruito la sua raffigurazione.
Giotto aveva rappresentato questa situazione con maggiore naturalezza.

Benozzo Gozzoli, Storie della vita di San Francesco, chiesa di San Francesco,
Montefalco (1450-1452)
Benozzo Gozzoli ha lavorato a contatto con due delle figure maggiori della
pittura fiorentina: Beato Angelico, frate dominicano con cui Benozzo
intraprende la decorazione di una cappella voluta da Nicolo IV, con la storia
della vita di San Lorenzo e Santo Stefano.
Lo sforzo svolto nell’arricchimento di palazzi vaticani è legato a voler
riaffermare il ruolo di Roma. Beato Angelico voleva luminosità interna delle
figure e dei personaggi come manifestazione teologica. Benozzo Gozzoli è
vicino al gotico cortese. I due mischiano queste caratteristiche.
Benozzo Gozzoli, cacciata dei diavoli da Arezzo.

Maggiore consapevolezza della prospettiva, le mura della


città si sviluppano lungo questo percorso diagonale.
Affiancato da questi giardini molto ben curati e delineati. È
come se l’autore avesse bisogno di darci altri elementi di
forza visiva, come quando il regista mostra molto del
paesaggio introno alla scena. Sono due rappresentazioni che
partono da una città circondata da mura.

AGNOLO GADDI, AFFRESCHI IN SANTA CROCE A FIRENZE.

Leggenda della vera croce: racconto che il vescovo Jacopo da Varazze fa all’interno di un suo testo
fondamentale che si avvale di fonti letterarie e religiose.
E’ un racconto quasi mitologico che tende a collegare fatti dell’antico testamento alla storia: Adamo, primo
uomo sulla terra sta per morire e chiede a Seth, uno dei suoi discendenti di trovare un olio che lo guarisco.
L’arcangelo Michele da a Seth i semi di un albero che vengono messi in bocca ad Adamo al momento della
morte; dai semi nasce un albero che diventerà il legno della croce di Cristo.
Re Salomone, quando si trova a costruire il tempio di Gerusalemme fece usare questo legno che però non
riuscivano ad usare in nessun modo; questo legno viene allora usato per costruire un ponte.
La regina di Saba, in una visita a Salomone ha una rivelazione dinanzi a questo ponte e si inginocchia;
Salomone allora prende questo legno e lo fa sotterrare;
Il legno verrà poi usato per la croce di Cristo; dopo la morte di Cristo questo legno viene nuovamente
sotterrato.
Mel 312 l’imperatore Costantino (convertito al cristianesimo) ha un’altra visione notturna e manda sua
madre Elena a Gerusalemme a recuperare le reliquie del cristianesimo, la quale avrà un’altra visione per
giungere a trovare i legni delle croci.
Per riconoscere quali dei tre fosse il legno della croce di Gesù, i legni vengono posati su dei defunti e uno
dei tre, quello con il legno della croce di Cristo, torna in vita.

Questa storia ha un contorno fantastico; tra i cicli di affreschi che hanno sintetizzato questa vicenda ci sono
diverse letture.
La cappella maggiore di Santa croce a Firenze viene affrescata da Agnolo Gabbi, il quale racconta la
leggenda della vera croce.

Agnolo Gaddi, morte di Adamo.

In questa raffigurazione il corpo è steso a terra, la lunga barba indica la


morte ad anzianità e il senso di progenitore.
Rappresentazione quasi angelica Set che riceve i semi e li fa cadere nel
cuore di Adamo (alberello piantato nel cuore).
Sullo sfondo un paesaggio roccioso. Siamo in una continuità del gusto e
dello stile giottesco (come se in 50 anni non ci fossero stati grandi
mutamenti nella composizione di insieme della pittura).
Agnolo Gaddi, la regina Elena in adorazione del legno.

Elena prende il posto della regina di Saba perché inginocchiata


in preghiera davanti a un legno che è posto sul fiume al
momento dell’individuazione del sacro legno.
Attorno, con vesti moderne ed eleganti, il corteo
prevalentemente femminile dietro la regina e questo gruppo di
lavoranti che sotterra o dissotterra questo legno.
Evidente difficoltà da parte dell’artista a raffigurare il senso
della prospettiva, il fiume sembra messo quasi in verticale,
rispetto al modo in cui c’è una costruzione più prospettica negli
edifici (staccati dalla situazione della scena).
I castelli medievaleggianti sulle rupi sono ancora molto
fiabeschi e sembrano distaccarsi dalla scena.
I colori sono abbastanza abbassati di tono per ottenere una maggiore unità di insieme.

Agnolo Gaddi, ritrovamento della vera croce da parte di Sant’Elena.

Tra le croci quella di Cristo è quella in cui la persona si alza


dal letto in cui era giacente e, come lazzaro, nel sudario
bianco, riprende vita. Stupore di qualcuno, gesti e sguardi che
derivano dal linguaggio giottesco. Anche qui qualche
incertezza nella costruzione giottesca.
Come staccato sullo sfondo la vita scorre richiamando la vita
monastica, rifacendosi ai benedettini, elementi sullo sfondo
staccati l’uno dall’altro per completare l’immagine.

Agnolo Gaddi, sogno di Eraclio.

Il divino entra nella condizione umana attraverso sogni e


rivelazioni.
Questo sogno viene richiamato come “sogno di
Costantino” nel ciclo di Piero della Francesca ad Arezzo.
L’imperatore è seduto sul suo trovo all’interno di
un’architettura fantastica dove se si alzasse andrebbe a
sbattere con la testa; le colonne sembrano esili.
Eleganza della composizione anche a scapito del
realismo (prerogativa del 300); 3 momenti: l’angelo
scende verso la tenda (Intervento Deus Ex Machina) con
la croce che compare sopra la tenda (riferimento
all’episodio)
LEGGENDA DELLA VERA CROCE NEGLI AFFRESCHI DI PIERO DELLA FRANCESCA AD AREZZO.

Piero Della Francesca è ritenuto uno dei protagonisti più puri del clima intellettuale urbinate.
I tratti fondamentali del suo linguaggio si ritrovano fin dalle opere giovanili: organizzazione prospettica,
semplificazione geometrica, accordo tra mobilità cerimoniale e verità ma, un attimo e intride i colori.
nel suo trattato scrive di considerare la prospettiva una delle parti costitutive della pittura anche se di fatto
egli la promuove come vera e propria ossatura portante del dipingere.
Nelle sue opere, la pittura diviene scienza che rivela l’ordine della realtà: i personaggi sono credibili nei
gesti e nelle proporzioni.
Il documento più completo che ci resta della sua pittura è il ciclo con le storie della Croce eseguito nella
chiesa di San Francesco ad Arezzo; Gli affreschi sono distribuiti su tre registri dove ogni parete presenta una
battaglia, una scena di Corte è un episodio all'aperto.

Morte di Adamo, Piero della Francesca, Arezzo,

Il corpo sepolto è al centro e le figure poggiano i loro piedi su un


piano orizzontale.
Le braccia aperte di uno dei discendenti d’Adamo in segno di
disperazione; A destra c’è Adamo in una fase precedente, prima
della morte.
La figura nuda sulla destra richiama il modello delle statue
romane;
A sinistra un personaggio seminudo avanza con una gamba in
tensione che crea una diagonale che converge verso il centro; Al
centro vi è un albero spoglio che alimenta il senso di morte.
Al centro la figura di un albero spoglio alimenta il senso di morte
dell’immagine di partenza del ciclo.

Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con la regina di Saba.

La regina di Saba è inginocchiata


dinanzi al legno; vi è un’attenzione
all’abbigliamento delle donne
Le fasce che stanno sul corpetto delle
donne sembrano linee orizzontali; un
soldato di spalle ha un pugnale inserito
nel fodero; il cavallo bianco di spalle e
il cavallo nero di fronte sono elementi
che si incastrano in una specie di
equilibrio complessivo.
Al centro vi è una colonna con
capitello corinzio in piena luce e, all’interno dell’ambiente sulla destra, i personaggi sono inseriti in un
contesto ampio.
Dentro l’architettura vi sono degli inquadramenti di colore rosso e blu che rimandando alla pittura antica
romana. Da notare il gesto dell’incontro e delle mani che si stringono in segno della concordia dei due
sovrani e il valore di testimoni delle figure. I colori verde e rosso, complementari, anticipano le teorie del
colore risalenti all’800’.
Una testimone guarda dritto e porta lo spettatore dentro la scena; è una costruzione fondata su equilibrio,
geometria, armonia e prospettiva in una complessiva veridicità del racconto anche nella relazione con
l’ambiente sia architettonico che naturale.
Importante è il tema della sequenza temporale: un primo e un secondo tempo con il punto di cesura scandito
dalla presenza della colonna.
Alcune delle figure sono dei veri e propri ritratti: Salomone viene raffigurato come un personaggio orientale
con una lunga e folta barba e un abito ricchissimo: dorato e ricco di decorazioni.

Trasporto del sacro legno, Piero della Francesca, Santa croce a Firenze.

Il legno viene sotterrato e qui Piero della Francesca mette dei particolari quasi scabrosi
dello sforzo compiuto dai personaggi, quello che sostiene con la spalla, l’altro che con
un’asta inizia all’inclinazione del legno pesantissimo, l’azzurro bianco con le nuvole
sullo sfondo. È come se l’artista si fosse soffermato a guardare un cantiere per prendere
spunto dalle persone che lavorano.

Annunciazione, Piero della Francesca, Santa Croce a Firenze.

Maria riceve l'annuncio dall'Angelo al riparo in un sontuoso loggiato


classicheggiante, mentre a sinistra in alto, sullo sfondo del cielo chiaro, Dio Padre
invia dalle nuvole lo Spirito Santo sotto forma di raggi che scaturiscono dalle sue
mani. L'Angelo sta inchinandosi e fa un gesto di saluto alla Vergine, mentre nella
mano sinistra tiene un ramoscello di palma, presagio del martirio di Cristo

Maria sta ruotando il corpo sorpresa dall'Angelo. Nella mano sinistra tiene il libro,
che simboleggia le Sacre Scritture che si avverano, mentre con la destra fa un gesto
di sorpresa
La posizione delle colonne separa verticalmente la scena in due metà, come
avviene in altre rappresentazioni simile del Rinascimento
vediamo il confronto di proporzioni, lei è più alta e sta a fatica dentro la struttura,
c’è un rapporto di uno ad uno tra la testa e il capitello.

La battaglia di Costantino, Piero della Francesca.

La croce quasi cristallina è il particolare


centrale della composizione della battaglia di
Costantino e Massenzio dove Costantino
guida l’esercito romano con la croce in mano,
bianchissima.
Osserviamo l’animazione dei cavalli, le
lance, i particolari dei ritratti dei soldati.
Questo movimento di lance lo ritroviamo poi
nell’altra battaglia
Il supplizio dell’ebreo, Piero Della Francesca.

Un’altra scena di lavoro nella città: si sta recuperando dal pozzo, tirandolo per i
capelli, questo ebreo che doveva rivelare dove si trovavano le croci, è stato messo
in un pozzo per giorni senza mangiare né bere finché desse le informazioni
richieste.
C’è un traliccio che serve a far salire il personaggio legato per la schiena.

Ritrovamento della croce, Piero della Francesca.

La scena con il ritrovamento delle croci e il


riconoscimento della vera croce posto in un sistema
architettonico in cui questo tempietto è molto vicino al
gusto della classicità, nelle forme, nei colori e nella
misura.
Il tondo che ritorna quattro volte a generare anche
simbolicamente una discesa dal cielo, il cielo della
trinità, sopra questa croce che risveglia un defunto.
I copricapi altissimi orientaleggianti.
IL CLASSICISMO NEL RINASCIMENTO E NEL BAROCCO.

Il termine rinascimento sta a indicare il recupero di una serie di valori appartenenti a un momento del
passato che viene assunto come modello.
Il rinascimento esprime infatti la consapevolezza che nel distacco dal Medioevo risiede l’identità storica e
culturale degli uomini.
Il ritorno alla classicità che prese avio alle soglie del Quattrocento coinvolse tutta l’Europa investendo i più
diversi campi dell’attività umana e assolvendo, quindi, a una funzione unificante.

Con il passaggio dal Medioevo all’epoca moderna cambia in una buona parte del mondo la concezione del
tempo, che nell’epoca precedente era considerato un dono di Dio, un bene di tutti di cui nessuno poteva fare
commercio.
Iniziare a vendere e comprare il tempo voleva dire principalmente far pagare interessi per l’intervallo di
tempo che intercorreva tra il prestito di una somma e la sua restituzione.
Un altro aspetto da considerare è che se nel Medioevo i ritmi della vita quotidiana erano scanditi dalla natura
e dalla Chiesa, nel XIII secolo cominciano già ad apparire sulle torri dei palazzi pubblici gli orologi
meccanici che, attraverso il suono delle campane, scandivano il tempo.
Non è infatti privo di significato che simultaneamente alla regolarizzazione delle unità di tempo si vogliano
scoprire le norme scientifiche della rappresentazione dello spazio.

Il passaggio a una nuova epoca cambia anche le nozioni di povertà e di ricchezza: nel medioevo il povero
era visto come rappresentante di Cristo da aiutare e difendere mentre nel Quattrocento il problema
dell’assistenza ai poveri si pone in misura abbastanza limitata.
Il problema si rappresenterà nel Cinquecento ma a quel punto la visione del povero sarà totalmente mutata,
considerato un ozioso se non un delinquente, un personaggio pericoloso da tenere ai margini della società.
Dalla fine del Medioevo e poi nel corso del Rinascimento, la ricchezza e il successo diventano segni di virtù
e di abilità: l’arte glorifica la ricchezza, il potere delle casate principesche e la magnanimità dei signori,

L’umanesimo è la corrente di pensiero che dà l’avvio e la direzione alle trasformazioni della cultura
nell’epoca rinascimentale, e il tratto più enfatizzato della cultura umanistica è la sua passione per l’antichità
classica.
Un coerente ritorno agli antichi presuppone un atteggiamento critico e presuppone la coscienza del divario
storico e della differenza culturale.
La filologia è lo strumento attraverso cui si afferma la passione per l’antico in quanto consente di criticare le
fonti e di stabilirne l’autenticità e la veridicità.

Dal Trecento al Cinquecento avvengono profonde trasformazioni nella mentalità collettiva europea in
quanto cambia il significato e il valore attribuito all’esistenza umana.
Con riferimento alle arti figurative si assiste a una vera e propria rinascita in cui forma e contenuto classico
si ricongiungono: in tutti i sensi l’artista rinascimentale mira a creare opere che siano simili a quelle degli
antichi.
In pittura questo fenomeno inizia dalla seconda metà del Quattrocento; Roma diviene una meta privilegiata
degli artisti per l’abbondanza di monumenti antichi che vi erano.
L’atteggiamento degli artisti rinascimentali verso l’antico non fu omogeneo: alcuni riportavano nelle loro
opere intere composizioni classiche mentre altri utilizzavano lo studio dei pezzi antichi come stimolo per
comporre opere originali.
Il classicismo fu anche la chiave che aprì la porta al naturalismo, alla corretta rappresentazione del corpo
umano, dei moti del corpo e dell’animo.
La più importante regola, tale da rappresentare lo spartiacque decisivo tra Medioevo e Rinascimento fu, per i
pittori, l’uso della prospettiva come metodo scientifico per la rappresentazione bidimensionale dello spazio
tridimensionale.
Lo stesso atteggiamento culturale che portò a matematizzare la rappresentazione dello spazio, inizia a
manifestarsi nello studio delle proporzioni.
Nel secondo Quattrocento furono fatti studi per rapportare le proporzioni del corpo umano alle piante degli
edifici e alle membrature architettoniche.
Nel Rinascimento l’arte allarga le sue tradizionali competenze in quanto gli artisti iniziano a indagare
empiricamente l’uomo e l’ambiente; di tale tendenza Leonardo Da Vinci fu il più illustre rappresentante.

RUOLO DELLA TRATTATISTICA PER LA FORMAZIONE DELL’ARCHITETTO.

Il punto di partenza è la trattatistica e il modo in cui le regole ispirate a dei modelli antichi diventano istruttive
del nuovo modo di operare in direzione della formazione dell’architetto.
Come diceva Federico Zeri, storico dell’arte, “ogni secolo ha un’arte guida e l’arte guida del 400 è
l’architettura”. La pittura, la scrittura e la musica vedono nell’architettura il faro all’interno del quale
commisurarsi perché l’A ha avuto la capacità di assorbire le ragioni di questa trasformazione sin da subito
(trasformazione non solo nello stile ma nel modo di sentire, di pensare e di pianificare l’edificio e la città).

Uomo vitruviano, Leonardo da Vinci.

È un uomo iscritto in un quadrato e in un cerchio. Il significato dell’immagine è


di definire le relazioni tra la misura del corpo umano nella sua integrità (come
figura eretta verticale) con le braccia allargate, perché braccia e gambe sono forme
di misura.
La figura umana inserita nelle due forme simbolo di ogni composizione
geometrica:
- Quadrato
- Cerchio
Diventano le prime definizioni dello spazio, di uno spazio misurato ma che porta
dalla figura umana verso l’esterno, più che comprimerla.
Lettura del corpo umano come mappa dell’universo: micro e macrocosmo.
Quadrato e cerchio sono le forme basi di una razionalità geometrica che diventano
applicazione della figura nello spazio, spazio che deve essere armonico, commisurato alla figura umana.
Sopra e sotto e questo disegno di Leo
Vitruvio in quel momento era al centro dell’attenzione di chi si poneva lo sguardo di operare in termini di
architettura, di proporzioni, di armonia. Pare che L avesse avuto incontro confronto con altro importantissimo
personaggio della cultura rinascimentale: Francesco di Giorgio Martini (pittore, scultore e architetto senese)
uomo aperto a tutte le arti che realizza trattato di Architettura fondandosi su quello di V. analogamente aveva
realizzato quel disegno a commento delle proporzioni del corpo umano in relazione allo spazio. L’homo ad
quadratum ad circulum (=l’uomo nel quadrato e nel cerchio). Immagine a sinistra.
Un terzo disegno di quello stesso periodo (anni 80-90 dell’800) sullo stesso tema è stato individuato sul trattato
di V presente nella biblioteca di Ferrara di Giacomo di Andrea di Ferrara.
Si sviluppano due discipline fondamentali per la cultura umanistica e per i beni culturali:
- Archeologia come scavo del passato
- Filologia come studio dei documenti critico che va a recuperare l’edizione originale e come è stato
modificato e tradotto ricercando la fedeltà all’originale.
Anche secondo disegno è quello di una figura umana, c’è sempre quadrato e cerchio però introduce anche
triangolo che introduce all’ombelico dell’uomo come punto mediano.

In tutta questa cultura ritorna la ricerca del centro: il centro rispetto all’insieme. Concepire corpo come
organismo, architettura e la città come organismo. È questo che condurrà a una relazione tra questi trattati e
l’applicazione in ambito architettonico

Cos’è l’architettura?
Vitruvio da una definizione concisione di tre termini:
- FIRMITAS: solidità
- UTILITAS: utilità
- VENUSTAS: bellezza
 Sono le tre condizioni per cui una costruzione diventa architettura e non solo edificio.

«Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno
solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno
profondamente e saldamente sul terreno sottostante;
utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e
pratica all'uso;
bellezza, infine quando l'aspetto dell'opera sarà piacevole per l'armoniosa proporzione delle parti che si
ottiene con l'avveduto calcolo delle simmetrie.»
Al terzo posto quello più discutibile perché la bellezza cambia nel corso del tempo. I criteri che Vitruvio pone
alla base sono l’armonia e il calcolo delle simmetrie (principi base di un concetto estetico che sarà
predominante nei primi del 400).

Qualità dell’architetto:
“Capacità di sintesi di molte discipline + capacità di unire la teoria con la pratica.
Come in tutti i campi infatti così anche, più che altrove, in architettura si ritrovano questi due elementi, ‘ciò
che è significato’ e ‘ciò che significa’. ‘Ciò che è significato’ è l’oggetto in questione, mentre ciò che lo
significa è una dimostrazione condotta secondo il metodo razionale della scienza.
Appare chiaro perciò che chi voglia professarsi architetto debba avere acquisito pratica sull’uno e sull’altro
versante. Per questo è necessario anche che egli sia dotato di talento naturale e insieme facile ad apprendere
– poiché né il talento naturale senza una formazione culturale né una formazione culturale senza talento
naturale possono dar vita a un professionista completo -; e che abbia una istruzione letteraria, che sia esperto
nel disegno, preparato in geometria, che conosca un buon numero di racconti storici, che abbia seguito con
attenzione lezioni di filosofia, che conosca la musica, che abbia qualche nozione di medicina, che conosca i
pareri dei giuristi, che abbia acquisito le leggi dell’astronomia…» (Einaudi, 1997, pp. 13-15)

«L’architetto infatti non deve né potrebbe essere un filologo nel modo in cui lo fu Aristarco, ma nemmeno un
illetterato, né sarà un musicologo come Aristosseno, ma non per questo privo di cultura musicale, né un
pittore come Apelle, ma neppure incompetente nel disegno, né uno scultore al pari di Mirone o di Policleto,
ma almeno non ignaro delle tecniche di scultura, e ancora non sarà un medico come Ippocrate, ma nemmeno
privo di nozioni mediche; e nelle altre scienze e arti, prese singolarmente, non raggiungerà livelli di
eccellenza, senza però essere incompetente in ciascuna di esse. Data una così grande varietà di interessi
specialistici, infatti, nessuno può attingere in ognuno di essi livelli di particolare raffinatezza, poiché rientra
a malapena nelle umane possibilità apprenderne e assimilarne i principi teorici…»

RAPPORTO CON L’ANTICO E L’IDEALIZZAZIONE DELLE FORME.

Tra gli artisti che si sono ispirati a quelle regole tanto da rielaborarle e tradurle in opere, vi è Leon Battista
Alberti.
Leon Battista Alberti è una delle figure centrali del secondo rinascimento a Firenze, impegnata nei più
diversi settori culturali, lasciando testi filosofici e politici, trattati di architettura, scultura e pittura.
Il suo interesse costante è quello di ricercare regole teoriche e pratiche capaci di guidare il lavoro degli
artisti, che non sono più dei semplici artigiani in quanto fondano il loro operare su principi matematici e
geometrici.
Nel “De Pictura” fornisce la prima definizione teorica e pratica della prospettiva scientifica e sottolinea le
premesse intellettuali dell’attività pittorica
L’aspetto innovativo delle sue proposte consiste nel contrapporre alla pratica architettonica gotica, il ritmo
scandito della struttura di un edificio, esaltando così la prassi degli antichi e quella moderna inaugurata da
Filippo Brunelleschi.
Con egli ha inizio il processo di trasformazione dell’artista rinascimentale in cortigiano, tecnico
dell’immagine al servizio del principe, che caratterizzerà la storia sociale degli artisti dalla metà del
Quattrocento in poi.
Egli lavora al servizio del papato, degli Este a Ferrara e dei Gonzaga a Mantova, intrattenendo rapporti
personali persino con il duca di Urbino Federico da Montefeltro.
Il suo primo importante intervento architettonico è costituito dal Tempio Malatestiano, il quale costituisce
una conferma alle tesi di Burckardt secondo cui uno dei tratti distintivi del Rinascimento era appunto il culto
dell’individualismo.
Ulteriore opera importante è la facciata della chiesa fiorentina di Santa Maria novella, progettata nel 1465 su
commissione del mercante Bernardo Rucellai.
Si tratta di un intervento complesso che prevede il mantenimento di elementi preesistenti ma l’artista riesce a
realizzare un’opera piena di armonia in cui convivono elementi gotici e elementi rinascimentali.
Il segreto della bellezza e dell’armonia nella facciata di Santa Maria Novella è rivelato dalla sottile rete di
rapporti modulari che lega le parti tra loro e queste all’insieme.

Facciata del tempio Malatestiano, Leon Battista Alberti.

È talmente forte l’influsso dei modelli dell’antico da far perdere la


connotazione religiosa. La facciata è una impaginazione di
principio architettonico fondato sull’arco: l’’idea dell’arco
trionfale romano. Il riferimento archeologico dall’arco, alle
colonne corinzie è molto forte.
Sopra doveva essere completato da un secondo arco, lasciato
incompiuto.
Le decorazioni sembrano richiamare proprio le decorazioni di un
edificio antico ricopiato e trasformato dalla carta sulla pietra anche
se si tratta di un edificio originale

Facciata di Santa Maria Novella a Firenze, Leon Battista Alberti.

Rispetto al tempio malatestiano, la facciata si lascia andare


a elementi decorativi che non sembrano tratti dall’antico
come quelle volute che ammorbidiscono sui lati la parte
rialzata del frontone e del corpo centrale della facciata.
Usa secondo la tradizione romanica la bicromia del marmo
bianco e del marmo verde-nero.
Il bianco e verde, con accenti di pietre rosse, producono
una serie di costruzioni geometriche complesse. Passaggio
graduale dalla continuità dell’arco acuto.
- Alla base arco a tutto sesto che si conclude in quella
proiezione di archetti all’interno dei quali ci sono dei
riquadri.
- Due colonne corinzie ai due lati
- Un fregio che fa una prima separazione
- Cornicione con una serie di 15 quadrati con dentro decorazioni a cerchio
Lo stacco tra parte superiore e parte inferiore produce altre geometrie:
- rosone centrale ha grandezza che rispetto agli altri tre elementi circolari, è il doppio (rapporto 1:2)
il tutto è stato realizzato secondo diverse scomposizioni geometriche. Le proporzioni ci sono nella
progettazione di A:
- Altezza è data da 4 quadrati (commisurabili secondo il punto centrale dell’arco base)
- Volute e tondi derivano da allargamento del passaggio dal quadrato al segmento lineare curvilineo
Ci sono principi come la sezione aurea, secondo alcuni anche la ripresa di forme armoniche desunte dalle scale
musicali nel creare la distribuzione di quegli elementi decorativi di formato quadrato sul cornicione.
Realizzazione concreta la cui decodificazione è demandata a chi si impegna a leggerla.

TAVOLE PROSPETTICHE CON VEDUTA DI CITTÁ IDEALE.

Sebbene funzioni per spiegare la sintesi di idealismo


platonico e il rapporto di proporzioni, quella di città
ideale è una definizione successiva alla sua
realizzazione.
Protagonista indiscussa di quest’opera è l’architettura:
si tratta di un’architettura che vuole essere
specificazione di un trattato.
Al centro un edificio di pianta circolare: perno su cui
tutto opera, grazie al quale è possibile farsi un’idea non
solo della piazza, ma dell’intera pianta della città. La
forma circolare rimanda all’idea di un tempio, piuttosto
che una chiesa, la cui porta è semiaperta, (valore simbolico) ed è il punto centrale.
I due pozzi ottagonali posti ai lati, isolati e in primo piano, insieme all’edificio centrale concorrono a
formare una struttura a W
Si trovano rimandi all’architettura costruita nella Firenze del 400 anche se nessuno di questi edifici è copiato
Vi è una differenza tra il lato destro caratterizzato da due edifici con portici e decorazioni a tutto sesto
rispetto al lato sinistro dove l’edificio angolare in primo piano è ad architrave: un portico nel piano inferiore
con 3 tipi di colonne quelle portanti e quelle incassate che mantengono unicità di ordine.
L’edificio religioso infondo a destra richiama caratteristiche dell’architettura romanica-toscana.

È un opera che porta lo spettatore dell’interno verso


l’esterno, come se si trovasse sull’uscio di un
palazzo.
La prospettiva conduce verso il mare, dove si
intravedono delle navi, sullo sfondo.
La costruzione di prospettiva è talmente lineare da
configurarsi come matematica applicata.

Terza tavola prospettica dove troviamo il Colosseo,


un arco e 4 statue poggiate su 4 colonne.
È una piazza ribassata, è un altro principio di città
astratta. Nessuna di queste città si riferisce a vedute
di città esistenti, sono raffigurazioni di architettura
di proporzioni e non si sa chi le abbia dipinte e
perché.
Terzo caso è il vicino ad un recupero di ideali di
antichità. Se la prima tavola di Urbino rappresenta
una città del presente e di un modello del presente
come possibilità applicazione dei principi
architettonici desunti dal passato ma dentro la
modernità. Questa è la più antiquaria: Sullo sfondo un anfiteatro che richiama il Colosseo, un arco, e in
primo piano 4 colonne: elementi che insieme richiamano l’integrità del passato.
La luce è diffusa, tipica rinascimentale.
Principio di città astratta, un’utopia.
Questa idealizzazione del passato dentro il presente è come se spingesse a mettere in atto l’imitazione dei
modelli presenti nel trattato di Vitruvio.

Nessuna di queste rappresentazioni di città si riferisce a delle vedute di città esistenti; sono raffigurazioni di
spazi di purea architettura: architettura di luce e di proporzioni.
Sono un piccolo grande mistero della storia dell’arte in quanto non si conoscono gli artisti che le hanno
realizzate.

IL TEMA DE I MODELLI A STRUTTURA CENTRALE E A CROCE GRECA P ER GLI EDIF ICI SACRI

Il tema della laicizzazione derivante dal confronto con i modelli del passato si riscontra anche nelle
architetture religiose.
Ad esempio, a seguito del ritorno a Vitruvio e alla diffusione dei trattati di architettura, uno degli elementi di
dibattito fondamentali tra fine 400 e primo 500 è la possibilità di tornare alla struttura a pianta centrale per
gli edifici religiosi, mettendo da parte la struttura fondamentale su cui si è sviluppata tutta l’architettura
sacra a partire dal primo cristianesimo nell’alto medioevo, una struttura prevalentemente longitudinale.

Fin dall’epoca alto medievale, la presenza di edifici a pianta centrale era riservata ai luoghi in cui si
ricordavano i martiri, i sacrari o i battisteri.
Nell’antichità pagana, il tempio a forma circolare prevaleva in certi culti rispetto a templi a struttura
longitudinale.
Il valore simbolico dell’edificio a pianta centrale è di essere in qualche modo rappresentazione del cerchio
che ha un fulcro e rappresenta la relazione tra micro e macrocosmico.
L’edificio a pianta circolare più noto sul suolo italiano è il Pantheon di Roma, luogo di tutti gli dèi,
architettura di dimensioni e di caratteri cosmologici.
Il ritorno alla pianta centrale vede un tentativo esemplare nel disegno progettuale della pianta per la basilica
di San Pietro attuato da Donato Bramante, architetto nato a Urbino.
La chiesa aveva una struttura di Basilica a 5 navate di tipo medievale e Bramante immagina di trasformarla
in una pianta centrale dando maggior rilievo a tutta la parte absidale, sotto incarico di Papa Giulio II.

La bellezza teorica della pianta circolare si scontrava però con gravi limitazioni di natura pratica: ci si
chiedeva, ad esempio, dove si sarebbe dovuto porre l'altare.
dal 1490 in poi si ricorre dunque alle piante poligonali piuttosto che alle circolari veri e proprie: tra esse si
predilige alla croce greca in quanto conciliava la simbologia divina del cerchio con quella tradizionale della
Croce e permetteva di mantenere la divisione tradizionale tra spazio destinato al clero e qu ello destinato ai
fedeli.
Bramante muore nel ‘16 e i lavori, subito dopo la sua morte, vengono assegnati da Papa Leone X a
Raffaello.

Bramante, Tempietto di San Pietro in Montorio.

Edificio simbolicamente fondamentale per l’architettura del


tempo: venne costruito nel luogo dove secondo la tradizione
sarebbe stato martirizzato San Pietro, dove si pensa fosse
stata posta la croce ribaltata in cui San Pietro è stato messo
al martirio.
Questo progetto è commissionato dai regnanti di spagna
Isabella e Ferdinando d’Aragona nei primi anni del 500, va
in porto nel 1510.
È una realizzazione in uno spazio limitato: l’interno ha
diametro di soli 5 metri.
B ha esercitato la conoscenza archeologica dell’architettura
antica.
Si tratta di un tempio periptero (circondato da colonne) con corridoio che corre attorno alla parte centrale e
che ha nella forma della pianta circolare una insistita e totale definizione.
- La cupola richiama le forme cosmologiche nel puntualizzare il luogo.
- Colonne tuscaniche
- Capitelli dorici ma senza le scanalature
- Dalla base della colonna alla cima dell’architrave è la metà di quella che riguarda tutto l’edificio fino
alla cupola.
Doveva essere completato da un cortile circolare con l’obbiettivo di aumentare il senso di circolarità attraverso
l’ambientazione circostante, cosa che non venne realizzata, e questo definisce in maniera monca la visione di
B dell’edificio nell’ambiente.
Rimane una testimonianza archeologica del modo in cui B concepiva il ritorno all’architettura classica e antica.
Cerchio= senso del tempo, senso della vita e dell’eterno.

RINASCIMENTO M ATURO: IL CLASSICISMO DI M ICHELANGELO.

Michelangelo seppe vivere il fascino dell’antico senza diventarne succube e ciò è quello che contraddistingue
la grandezza delle figure che hanno operato nel Rinascimento. Aveva conoscenza diretta delle cose ma le
reinterpretava.

I due modelli prevalenti in quel periodo, per la


scultura e per il recupero del fascino dell’antico,
sono L’Apollo del Belvedere e il Laocoonte.
Erano per l’epoca vicine, espressione di come la
cultura artistica greca ellenistica trovi in Roma la
diffusione di marmi ispirati ai modelli greci. Si
tratta, tuttavia di sculture che erano rimaste sotto gli
occhi di tutti, altre che erano scomparse. Vengono
ritrovate una negli ultimi del ‘400 e l’altra nel 1503,
destinate a diventare modello.

Apollo del belvedere


Venne ritrovata nella spiaggia di Anzio e venne sistemata nel cortile del Belvedere nell’ambito dei
palazzi vaticani (sistemazione era stata chiesta a Bramante).
È un modello della statuaria figura maschile ignuda che accentua le caratteristiche base del canone Policleteo
e Prassitele (per Policleteo il sistema rotatorio del volto della testa era molto più limitato e il braccio del
doriforo era più ravvicinato e controllato).
Apollo del belvedere è di matrice più ellenistica: si rompe l’equilibrio classico perfetto per la torsione
maggiore e rapporto tra testa e corpo è meno curato sotto il profilo della misura ideale (testa 1/9 del totale).
Secondo il modello classico il piede che posa a terra e quello sollevato trovano assoluto parallelismo nelle
spalle e nella posizione del torso che è frontale.

Contrario è il Laocoonte, opera di tre artisti di una delle succursali più importanti della statuaria dell’isola di
rodi, dove i tre artisti realizzarono questo gruppo che rappresentava l’importante episodio in cui il sacerdote
troiano comunica ai cittadini di non accogliere il dono degli achei, ovvero il cavallo, dentro la città. Questo
sacerdote però viene, per intervento divino, avviluppato da un serpente che prende lui e i figli e trascinato in
mare.
Questo episodio con il serpente che avvinghia l’anca produce un movimento spasmodico sforzato, che genera
un forte dinamismo. È uno studio del corpo umano in movimento che richiama le figure degli atleti in azione
(spasmi di una lotta contro le forze avverse e contro il maligno). Senso del moto e della perdita di ogni
controllo seppure con lo studio anatomico dei muscoli in tensione.
Michelangelo si trovava a Roma proprio la mattina del gennaio in cui qualcuno lo chiamò perché stavano
scavando per i ritrovamenti di questa statua. È uno dei primi che ha assistito al riaffiorare di questo gruppo
pressoché intatto.
Michelangelo Buonarroti nato nel 1475 è si forma nella Firenze medicea; messo a bottega dal Ghirlandaio si
dedica con passione allo studio dei fondamenti della moderna arte Toscana di Giotto e Masaccio.
Nello studio dell'arte Michelangelo fu sostanzialmente a un autodidatta e fin dagli esordi il suo interesse si
rivolse alla scultura: una tra le sue prime opere è infatti un rilievo marmoreo il cui soggetto è di stampo
classico e vede una battaglia di centauri.
Per il giovane sculture l'antico è una fonte ideale uno stimolo per l'immaginazione che lo avvia a una nuova
personalissima visione.

Nella centauromachia ogni massa plastica emerge dal blocco come sospinta
da un'interna energia e l'intreccio dei corpi conferisce alla lotta una forza
espressiva dove nessun dettaglio interviene a smorzare la violenza della
rappresentazione.
Si tratta di un rilievo che prefigura numerosi aspetti dell'opera futura di
Michelangelo e soprattutto annuncia quello che diventerà il motivo
dominante della sua arte ovvero la figura maschile nuda in movimento.
Il dinamismo è estremo: Michelangelo realizza quest’opera a soli 17 anni
ed è un omaggio a Lorenzo de Medici.
È già presente una delle peculiarità di Michelangelo, ovvero la capacità di
estrarre la vita dalla materia, dal marmo.

Bacco di Michelangelo.

Scultura di ispirazione anticheggiante che si ispira a dei modelli divulgati già da qualche
decennio.
Il bacco è un soggetto mitologico di derivazione greca e presenta dei tratti simili al
David di Donatello realizzato oltre 60 anni prima.
Entrambe le opere condividono un’affinità con la scultura prassitelica: una scultura del
classicismo greco che tende a snellire l’immagine donando eleganza alla figura.
Il bacco di Michelangelo presenta tratti giovanili; il corpo è abbandonato, in palese stato
di ebbrezza.

David di Michelangelo.

A seguito della fine della signoria dei Medici, Firenze rilancia la sua immagine
di città e affida a Michelangelo, artista di primaria importanza, l’occasione di
celebrare l’immagine della città con una scultura di tratti e caratteri eroici che
indichi le radici classico-romane di una tradizione.
Il David, immagine della libertà di un popolo, è una figura del vecchio
testamento che viene eroicizzata secondo un modello più policleteo e con tratti
più adulti rispetto all’opera realizzata da Donatello in precedenza.
La posizione mostra una distribuzione dei pesi di equilibrio dinamico; la
torsione della testa mostra un ulteriore elemento dinamico; il piede destro
poggia su un tronco d’albero che dona stabilità all’opera; il piede sinistro è
leggermente sollevato mentre la tensione muscolare si rileva maggiormente nel
torace, nelle braccia e nella gamba destra.
Prigioni o schiavi per la tomba di Giulio II

sculture lasciate ad uno stadio non finito; quella di


lasciare incompiuta l’opera è una scelta propria di
Michelangelo, appartenente al suo modo di operare.
L’intenzione di Michelangelo è quella di mostrare quanto
l’uomo fisico sia legato alla materia e abbia bisogno di
liberarsi nella forma e nello spirito.
In quest’opera Michelangelo dimostra di essere colui che
supera il rinascimento orientando la maniera moderna:
qualcosa che non è più recupero della memoria del
passato ma è invenzione del nuovo.
Il primo storico dell’arte dell’età moderna, Giorgio
Vasari, ha costituito la storia dell’arte dal 300 al 500 fondandola sul mito di Michelangelo, artista più
versatile del nuovo tempo.

San Matteo, Michelangelo.

Nel 1505 Michelangelo abbandona Firenze per trasferirsi a Roma su invito di Giulio secondo: tra le opere
che aveva lasciato incompiute vi era una statua di San Matteo commissionatagli nel 1503 e destinata ai
pilastri della cupola del Duomo.
Ritornato a Firenze Buonarroti riprende a scolpire quella statua lasciandolo allo stato di lavorazione in cui
essa si trova ora: consiste in un blocco marmoreo appena
sgrossato che nella sua incompiutezza ci rivela
l'originale tecnica scultorea di Michelangelo.
Nel San Matteo un principio dinamico domina la
raffigurazione: ogni fibra del gigantesco corpo si tende
in una spasmodica torsione, che gonfia e contrae le
membra della pietra grezza.
l'intensità emotiva dell'espressione sembra esprimere lo
sforzo della figura per liberarsi dal masso e aprirsi alla
vita: l'incompiutezza dell'opera appare come una
significativa anticipazione delle future opere di
Michelangelo in cui l'artista lascerà deliberatamente
alcune zone indistinte accanto ad altre più finite.
il principio tecnico-stilistico del non finito è connesso
con la visione filosofico- religiosa di Michelangelo virgola che concepisce l'attività artistica come un
impegno etico di tutto il proprio essere: secondo la concezione neoplatonica ha la forma viene estratta dal
suo involucro mediante un'operazione che tutt'uno con la titanica lotta dell'uomo per la propria liberazione
dal peso della materia.
Questa, insieme ad altre, doveva fare parte di un complesso dei 12 apostoli che era stato chiesto per il
duomo di Firenze di Santa Maria del Fiore.
Le idee di Michelangelo riguardanti il modo di concepire la
scultura lo portano anche nella pittura a far prevalere il
contrapposto ovvero l’accentuare il movimento che gli
spostamenti di peso delle figure e le torsioni producono nella
scelta delle pose.
Le Sibille delphica e libica entrambe hanno questa torsione che
determina un movimento plastico, poichè anche quando
dipinge, Michelangelo realizza delle forme di scultura in pittura
dove il modello prevalentemente maschile di quella statuaria si
ritrova anche nelle figure femminili.

Corpo e la posa hanno richiamano quasi la


statuaria maschile.
Il contrapposto è il movimento che conduce la
torsione a essere protagonista della posizione.
Il disegno della sibilla Libica mostra il passaggio
da uno studio anatomico ispirato ai modelli di
quel tipo di statuaria che permetteva a
Michelangelo di usare come modello moderno
un antico che si prestava al suo stile, che poi
diventa ingentilito dai colori e dalle vesti.
Nel disegno di questa figura scoperta c’è questo
piede ingrandito non perché sproporzionato ma perché rappresenta un altro oggetto di studio.
prestava al suo stile che viene ingentilito dai colori e dalla posa.
filosofiche e teoriche.

LA MODERNITÁ DEL CLASSICISMO DI RAFFAELLO

L'occasione di vedere Leonardo e Michelangelo impegnati nella decorazione della sala del maggior
consiglio attira a Firenze un giovane nativo di Urbino, Raffaello Sanzio che soggiorna nella città Toscana
dal 1504 al 1508.
Egli si forma in un primo tempo a Urbino nella bottega paterna dove ha l'occasione di entrare in contatto con
l'ambiente della Corte dei Montefeltro.
Pietro perugino rappresenta un fondamentale punto per il giovane Raffaello poiché egli ne eredita la visione
ideale armonica, ne studia i processi di organizzazione dell'immagine, i tipi e le attitudini delle figure, fino
ad assimilarne il linguaggio figurativo .
Raffaello arricchisce il proprio linguaggio figurativo traendo spunto dalle opere di Leonardo e Michelangelo
che sollecitano in lui una evoluzione intellettuale e stilistica.
Il sogno del cavaliere, Raffaello.

Tavola separata in due parti che rivela il senso del rapporto con
l’antico dentro la visione rinascimentale.
È un’immagine dove questo soldato, addormentato e
medievaleggiante, ha alle sue spalle due figure: la bellezza e la
fede. due strade: laica e religiosa, che non sono contrapposte
come fossero demonio-tentatore e angelo-salvifico. Sono due
figure che vengono armonicamente integrate.
In origine questo soggetto indicava l’ambivalenza tra virtù e
vizio: tuttavia il modo in cui viene interpretato non è di
contrapposizione: una figura porge un fiore e una un libro ma
entrambe hanno i piedi scalzi, sono aggraziate nei movimenti e hanno
dei volti dai lineamenti dolci e delicati.

Le tre Grazie, Raffaello.

Le tre grazie con le 3 sfere (richiamo al mondo greco) vengono


raffigurate secondo un modello ripreso direttamente dall’antico.
Raffaello coglie all’interno della sua attitudine estetica il valore
di questo soggetto antico che riattualizza completandolo a suo
modo.
Non si tratta di una scultura copiata: le capigliature sono
differenti e corrisponde nel colore anche il paesaggio che si
apre alle spalle dei 3 soggetti.

Lo sposalizio della Vergine, Raffaello.

Sullo sfondo al centro un tempio a pianta centrale, che ricorda la tavola con la città
ideale di Urbino; in primo piano lo sposalizio della vergine, il sacerdote segue il gesto
di Giuseppe che pone l’anello sul dito di Maria.
Il riferimento della classicità richiamato è attraverso la matrice architettonica che
Raffaello recupera.
È un dipinto che trova corrispondenze con alcune opere di Perugino: analogamente
Raffaello impagina la struttura prospettica creando un doppio valore narrativo
all’immagine; la corrispondenza più forte è l’architettura inventata, non realizzata o
ripresa dall’antico ma pensata per il dipinto.
L’ apertura dello stile di Raffaello verso le forme del nuovo e verso lo stile maturato
da Michelangelo aiuta a comprendere la capacità di Raffaello di assorbire dagli altri
grandi modelli del momento e funge da inter-penetrazione tra la maniera nuova e il
rapporto con l’antico.
Attraverso Michelangelo, Raffaello coglie certi aspetti della trasformazione suggerita dalla stessa statuaria
ellenistica classica ritrovata.
Raffaello recupera dal San Matteo di Michelangelo una più delicata torsione che emerge nella tavola di
Santa Caterina d’Alessandria.

Santa Caterina d’Alessandria, Raffaello.

Santa Caterina ha una ruota accanto a lei, la ruota con la quale ha subito il
martirio, che viene rappresentata da Raffaello con la sua perfezione del
colore nel ravvivare la materia.
Come spesso accade nelle rappresentazioni dell’arte 400-600esca, il santo
è accompagnato dai suoi attributi iconografici.
Particolarmente importante risulta essere il movimento a spirale per cui
dalla coscia sinistra avanzata con la veste rossa si nota nel torso uno
spostamento di inclinazione sul lato destro con la mano che va a coprire il
petto creando un movimento di avanzamento contrapposto rispetto alla
gamba sinistra; la torsione è presente anche nel volto della santa il cui
sguardo si perde nella luce del cielo.
Nel rapporto tra lo sguardo e la luce vi è il riconoscimento dell’elemento
fideistico, della rivelazione di fede della santa;
La particolarità di Raffaello consiste anche nel fatto di esser stato un
grande mediatore di linguaggi: i colori squillanti provenienti da Piero della
Francesca e Beato Angelico sono assorbiti e risolti con una grande cura del disegno che produce sfumature
raffinate nelle pose.

Scuola di Atene, Raffaello.

Raffaello viene invitato nel 1506 a Roma dove Giulio II


sviluppa quel programma che comporta la trasformazione
di san Pietro, la cappella sistina e la realizzazione della
decorazione delle stanze Vaticane il cui incarico viene
affidato a Raffaello.
La scuola di Atene mostra le basi del pensiero nella cultura
greca attraverso la rappresentazione che Raffaello realizza
avendo individuato insieme a qualche teologo indicazioni
su quali fossero i personaggi da mettere in evidenza.
Platone e Aristotele, i due fondamenti del pensiero greco,
sono al centro della composizione e mostrano un duplice
atteggiamento reso nei gesti: Platone aspira e guarda verso
l’alto, con il dito puntato verso il cielo mentre Aristotele
viene mostrato con una mano che porta in orizzontale
dinanzi a se ed un libro: i gesti dei due filosofi
simboleggiano i massimi sistemi del pensiero classico, l’idealismo e il realismo.
Nel cartone preparatorio, la concentrazione dell’attenzione è sulle figure che costituiscono l’elemento vitale
di un’ambientazione architettonica.
Le pose delle figure definiscono un movimento ascendente e discendente sui due lati della scalinata creata
per dare prospettiva e ampiezza.
Nella versione finale vediamo in primo piano un personaggio, non presente nel cartone preparatorio, che
presenta dei caratteri stilistici diversi dagli altri.
Si tratta di Eraclito con le sembianze di Michelangelo, figura inserita ad affresco compiuto.
Ha una figura molto plastica, i muscoli sono molto in evidenza e la posa è scomposta con la mano posata sul
lato del volto mentre sta scrivendo.
Il volto è quello di Michelangelo: non si tratta solo di un omaggio dal punto di vista del ritratto ma da quello
dello stile: Raffaello realizza Michelangelo nello stile di Michelangelo:
Un gruppo di figure rappresenta Pitagora e una serie di giovani che ascoltano la sua lezione e stupiti lo
osservano: emerge un gioco di sguardi e gesti introdotti da Giotto nel 300 e che assumono nel 500, con
Raffaello, un’espressività molto naturalistica; nel personaggio di Pitagora viene identificato Donato
Bramante.
Per tanto, Raffaello riprende le figure dell’antica Atene del mondo greco ma le ricollega al presente, segno
di quella dimensione ambiziosa del rinascimento, epoca che può riportare in auge i fasti delle vette più alte
della storia dell’umanità.
Sentirsi eredi del mondo ateniese e del mondo romano è l’atteggiamento proprio di un’epoca che recupera
l’importanza delle conoscenze classiche e antiche.
Il volto della figura di Platone invece, è essenzialmente un ritratto di Leonardo da vinci;

L’incendio di borgo, Raffaello.

Altro esempio che mostra l’interessamento di


Raffaello per le tracce della Roma Antica e per il
collegamento temporale e di continuità dall’antico al
presente. In questa stanza, detta dell’incendio di
Borgo, in ogni affresco vi è la presenza di uno dei papi
che avevano portato il nome di Leone in passato.
Qui si ricorda come leone IV intervenne invocando
una protezione nei confronti di un incendio che era
scoppiato nel borgo che precedeva l’ingresso a San
Pietro.
E’ un affresco che proietta lo spettatore nella città di
Roma, in cui sono presenti 3 eletti importanti dal
punto di vista architettonico: la figurazione di quella
che era la condizione di San Pietro in quel periodo; il
loggiato moderno che presenta un piano inferiore
con pietre abbozzata e in alto una soluzione architettonica di un arcone affiancato da 2 aperture architravate.
Vi è poi la presenza di templi antichi: è come se Raffaello avesse portato tracce archeologiche di altri luoghi della
città di Roma rappresentando diverse tipologie architettoniche: colonne corinzie e colonne ioniche realizzate con
colori diverse.
Vi sono poi tracce di costruzioni abitate di cui una in fiamme da cui fuggono le persone.
La scena è animata da una serie di figure: una portatrice d’acqua e donne con figli messi al riparo; sulla sinistra una
figura di giovane nudo che si lascia cadere da una casa dalla quale presumibilmente è uscito e un giovane che
sorregge un anziano.
Si tratta di due riprese dall’antico: in una troviamo uno studio michelangiolesco nel mettere in tensione i muscoli,
mentre l’altra, rimanda all’iconografia di Enea che porta il vecchio padre Anchise sulle spalle fuggendo da una città
in fiamme; è come se attraverso questa citazione Raffaello interpretasse due diverse soluzioni che riguardano
l’importanza e il ruolo della città di Roma e del pontefice: da una parte, citare Enea vuol dire richiamare le radici di
Roma, d’altro canto emerge la Roma moderna.
Ritratto di Baldassarre Castiglione, Raffaello.

Figura che contribuisce a sollecitare l’importanza dello studio


dell’antico dentro la cultura umanistica.
Baldassarre Castiglione è un letterato umanista, scrittore di trattati
ed è vicino a Raffaello quando quest’ultimo viene incaricato da
papa Leone X di sovrintendere sulla vita dell’antico.
Castiglione e Raffaello elaborano una sorta di relazione
documentaria di come si debba proceder per tutelare la memoria del
passato.
In questa relazione i due partono dal considerare come dal
medioevo l’azione del tempo abbia contribuito alla distruzione di
molte tracce che il glorioso passato di Roma aveva prodotto.
Partendo da questa constatazione fanno una perorazione al
pontefice affinché si impegni nella difesa di quello che
l’archeologia può permettere di conservare del passato ali fine di
dare un segno educativo al presente e rilanciare quella che è la
memoria del passato.

Raffaello va acquisendo un modo di dipingere nel ritratto che indaga molto più da vicino il volto, la figura e
l’espressione quasi come se rivolgesse un’attenzione psicologica al personaggio che ritrae.
L’espressione è quasi dialogante seppur silenziosa e la figura viene messa di tre quarti in un ambiente che
non viene rappresentato.
Vi è un’omogeneità tra colore luce e ombre: non sfondo un po’ bruno richiama i colori smorzati
dell’abbigliamento.

Pianta della cappella Chigi, Raffaello.

Raffaello si sente incaricato di compiere un lavoro


di osservazione ai fini conservativi che lo induce a
impratichirsi della progettualità e del disegno
architettonico.
Egli realizza per una delle più importanti famiglie
del tempo, la famiglia Chigi, la progettazione della
cappella Chigi.
La pianta di questa cappella presenta un disegno a
pianta centrale dove l’articolazione dello spazio
risente delle modulazioni che Bramante aveva
proposto.
Tra gli elementi che confermano il rapporto di
Raffaello con l’antico vi è il disegno che Raffaello
elabora per la scultura di Giona (profeta
dell’antichità) ispirata alla scultura d’epoca classica ellenistica.

Raffaello partecipa con un altro architetto senese, Baldassarre Peruzzi, alla progettazione della villa Chigi,
detta la Farnesina, che è un modello di villa patrizia che cerca di integrare l’interno con l’esterno; il loggiato
inferiore è aperto da 5 arcate in una relazione con l’ambiente esterno; in alto delle decorazioni a festoni
d’ispirazione classica e all’interno la villa presenta delle decorazioni illusorie che dimostrano l’importanza
della cultura architettonica tradotta in immagine pittorica: l’architetto che crea un’architettura finta a
completamento dell’architettura reale.
Quest’architettura prospettica finta è un’esercitazione dal punto di vista della lettura dello spazio e del
rapporto con la città.
Loggia di amore e psiche

Nel piano inferiore l’impegno di Raffaello è


quello di realizzare questa grande favola
mitologica che riprende due episodi del
racconto di Amore e Psiche e le metamorfosi
di Ovidio.
Vi è una duplice rappresentazione politica
dell’olimpo accompagnata dallo stemma
della famiglia Chigi.
Predomina il nudo, un modo di rappresentare
che si addice alla classicità; l’abbandono al racconto erotico è giustificato dal ricorrere a soggetti
dell’antichità.
Nel suo ricorso all’antico, Raffaello fa emergere temi e modelli laici provenienti dal mito, dalle favole e
dalla letteratura.

Trionfo di Galatea, Raffaello.

Tra gli episodi autografi di Raffaello nel loggiato di Amore e Psiche vi è


l’affresco del Trionfo di Galatea che veleggia su una conchiglia trainata da
delfini con incontro di tritoni e nereidi.
Nella figura centrale di Galatea troviamo una posa che, spinta da una forte
dinamicità, richiama quella di Santa Caterina D’Alessandria: il ginocchio
sinistro è spinto in avanti mentre il braccio destro non si limita a coprire ma
tiene le redini dei delfini che la trainano.

Battaglia di Costantino contro Massenzio, Raffaello.

L’ultima fase del lavoro impostato da Raffaello


per le stanze vaticane riguarda il grande ambiente
che ha due pareti laterali molto lunghe dove si
raccontano episodi legati agli interventi del
pontefice in momenti di crisi o interventi divini
nella storia con scene di battaglia: la battaglia di
Costantino contro Massenzio.
In questo caso la battaglia è un combattimento
animatissimo che vede la presenza dei pontefici
che contribuiscono a radicare questa storia
all’interno della storia della chiesa.
L’animazione di questa composizione si coglie dal
disegno preparatorio predisposto da Raffaello anche se il completamento pittorico venne effettuato da Giulio
Romano alla morte di Raffaello partendo dal suo progetto.
La battaglia ricorda le due grandi scene di battaglia che erano state commissionate a Michelangelo e
Leonardo per palazzo vecchio a Firenze, mai realizzate ma note attraverso disegni preparatori.
Il trema della battaglia, fino all’800, era uno dei temi di maggiore complessità nell’esercitazione della
pittura, anche quella accademica, perché doveva poter raccontare una molteplicità di vedute e di presenze tra
scontri diretti e situazioni come quelle dei caduti.

GIULIO ROMANO.

Visione della croce e audicutio.

Giulio romano trae da Raffaello il gusto per l’antico, una certa


complessità compositiva che si ispira anche ad un confronto con
Michelangelo e che alimenta la componente illusionistica
dell’immagine.
Qui l’equilibrio della maniera moderna, indicato da Vasari per
Michelangelo e Raffaello conosce una fase di esercitazione
esteriore che sarà poi definita come manierismo: Un piacere
estetico della ripresa dall’antico su modelli di stile moderno.
Si perde l’unità di lettura che Raffaello aveva introdotto ma si
tratta di un qualcosa che caratterizza un nuovo modo di
elaborare forme.
La pittura di maniera, sia toscana che romana, è significativa
per la trasmissione del gusto della modernità.
Nell’opera, la visione della croce è una visione in cui l’imperatore è nella sua armatura classicheggiante e le
persone intorno a lui indicano, partecipano e contribuiscono all’animazione.

Sala dei giganti, Giulio Romano.

Come segno di rottura del modello classico e a confronto


con la favola mitologica raccontata da Raffaello nella
loggia di psiche vi è la rappresentazione della
gigantomachia di Giulio Romano in Palazzo Te a Mantova.
Giulio Romano, nel lavorare per i Gonzaga, vuole
richiamare come anche l’assalto all’olimpo condotto dai
giganti sia stato smussato da Zeus.
È un racconto storico-mitologico di matrice letteraria che
Giulio romano rappresenta realizzando una pittura che
sconvolge e allo stesso tempo avvolge lo spettatore poiché
fa perdere qualsiasi tipo di contatto con le proporzioni
dell’ambiente.
Egli descrive una città sull’orlo del precipizio; nella volta
Zeus con un fascio di fulmini che arrivano poi a colpire i giganti, interrompe la battaglia e il caos.
In questo dipinto è già in luce quello che sarà il grande linguaggio pittorico del 600 che porta dal
manierismo al barocco: la rottura degli equilibri e l’invenzione di spazi illusori.
La trasformazione delle cose in caratteri metamorfici è visibile nella rappresentazione delle pietre che
assumono sembianze e forme leggere, quasi come se fossero sospese.
Le misure sproporzionate dei giganti rispetto agli umani porta a un sovrapporsi libero di raffigurazioni
diverse da loro; i colori tendono all’acidità dei verdi e al rossastro della pelle dei personaggi.
ANDREA PALLADIO: RIV ISITAZIONE DEI MODELLI CLASSICI IN ARCHITETTURA.

Andrea Palladio è il maggiore architetto Veneto dell’età manieristica.


Con il trattato di architettura egli prese contatto diretto con i monumenti dell'antichità a Roma dove si recò
per la prima volta nel 1541 per poi tornarvi altre due volte.
durante questi soggiorni egli studiò a fondo l'architettura romana acquisendo dimestichezza con le fonti
letterarie dell'antichità.
Palladio però prevalentemente nell'entroterra, progettando un gran numero di ville per il patriziato Veneto,
residenze urbane ed edifici pubblici per una committenza vicentina.
Tra i suoi primi incarichi importanti vi è la ristrutturazione del vecchio palazzo della regione, detto basilica:
la struttura ideata da Palladio consiste in un sistema di impronta classica ad arcate sovrapposte; il complesso
palladiano ingloba il vecchio edificio a due piani e ne regolarizza la forma rispetto alla piazza che lo ospita.
Il favore incontrato dalla basilica procuro a Palladio numerosi incarichi per la progettazione di residenze
urbane da parte del patriziato vicentino.
Ultimo atto dell'attività palladiana a Vicenza fu la progettazione del teatro olimpico commissionatogli
dall'omonima Accademia locale: Egli procede alla creazione di un ambiente chiuso e unitario dove lo spazio
destinato agli spettatori risulta legato a quello riservato alla rappresentazione.
Contemporaneamente all'intensa attività architettonica Palladio si occupò della redazione di un trattato di
architettura, pubblicata a Venezia nel 1570, che costituisce una fonte indispensabile per la comprensione dei
suoi principi pratici e teorici, fondati sullo studio di Vitruvio e dei monumenti antichi.

Le ville rappresentano una parte molto importante nella produzione di Palladio per l'alto numero delle opere
e per la straordinaria qualità architettonica.
Palladio progetta dunque edifici grandiosi virgola che rispecchiano l'orientamento culturale dei committenti,
a volte a un recupero del linguaggio dell'architettura classica.
La struttura delle ville vede motivi architettonici ispirati agli edifici antichi con l'uso di materiali poco
costosi e con la funzionalità di parti adibite a uso agricolo.
le ville palladiane si possono ricondurre a due tipologie di base: nella prima prevale lo sviluppo orizzontale
su un unico piano, costituito da un corpo centrale più importante, destinato alla residenza dei proprietari, da
cui si dipartono due ali laterali dette barchesse, a uso agricolo; l'altra tipologia è invece caratterizzata da un
blocco centralizzato a due piani, senza ali laterali virgola che presenta una facciata a fronte di tempio
articolata o su due ordini sovrapposti o in un unico sistema colonnato che assomma i due piani.
un caso particolare è rappresentato dalla villa detta alla rotonda dove la fronte di tempio viene riproposta su
tutte e quattro le facciate del blocco edilizio virgola che presenta al centro una copertura a cupola.

Villa Pisani a Bagnolo

Palladio applica i principi architettonici del passato in una compenetrazione tra natura e cultura, città e campagna.
Quasi tutte queste ville hanno una facciata imponente che ricordano l’ingresso di un tempio grazie al ricorso agli
ordini architettonici antichi.
Queste facciate sono però completate da elementi di servizio.
Oggi villa pisani presenta una facciata con un frontone all’interno del quale vi è lo stemma di famiglia mentre ai due
lati vi sono due torrioni
La facciata posteriore presenta una scalinata centrale, una specie di trittico creato dalla porta e dalle due finestre al
lato e in alto un’apertura ad arco che da sul salone del piano nobile.

Villa barbaro, Maser


Nasce nella seconda metà degli anni 50 in un rapporto diretto con il committente, Daniele Barbaro, prelato di
altissimo prestigio, cultore degli studi classici e promotore di una traduzione del trattato di Vitruvio.
La villa presenta una parte di edificio che spinge come punto terminale di un viale d’accesso affiancata da loggiati
laterali.
Sui lati delle torrette accompagnate da delle volute che richiamano Santa Maria Novella nell’alternarsi di forme
rigide e forme più morbide.
La pianta della villa ha una struttura quasi a croce greca, il tutto designato dentro due archi.
Gli affreschi all’interno della villa sono realizzati da Paolo veronese la cui pittura è caratterizzata da un carattere
fortemente scenografico e festoso.

TEMI E MOTIVI DELL’ASTRATTISMO: ICONOGRAFIE E STILI DELL’ARTE ASTRATTA

L’arte della prima meta del ‘900 è quella delle avanguardie storiche (gruppi e situazioni che si sono
manifestate nei primi 20 anni del 900 come momento di forte trasformazione del linguaggio artistico). È una
forma di lettura che molti non colgono ancora. Al giorno d’oggi, invece, si è compreso quanto i linguaggi
trasformati abbiano influenzato l’arte successiva.

“Astrattismo” = arte astratta. Con questo termine si intende ciò che non è figurativo, tutto ciò che non
rappresenta immagini secondo un principio di rappresentazione convenzionalmente riconosciuto. Le forme
dell’arte non figurativa sono molto differenti tra di loro.
Negli anni 30 gli artisti stessi chiamano questo tipo di arte “arte concreta” Concreta perché non scaturisce
dall’astrazione come forma di allontanamento dalla natura ma come forma autonoma di produzione di
formule. ‘Astrazione’ contiene etimologicamente l’astrarre: partire da un dato per trasformarlo in altro. L’arte
astratta parte da un’immagine e la rilegge in maniera stilizzata, modificata e sintetizzata.
Ci sono paramenti di giudizio che sono molto arbitrari nella distinzione tra ciò che è figura e ciò che non lo è.

Le iconografie dell’arte astratta sono quelle formali (=tensione a leggere una certa composizione, il
movimento interno prodotto dal colore o dalle linee, lo svuotamento e il riempimento). Tutte le categorie
formali diventano iconografiche.
Se nelle forme dell’arte della prima metà del 900, in prima istanza, venne riconosciuta una trasformazione nel
modo e nella forma, progressivamente, si è capito che non bastava leggere in chiave formale il cambiamento,
perché questi cambiamenti formali erano spesso accompagnati da una trasformazione del significato o da una
presenza di altri significati non visibili a occhio nudo, che rimandano a tutto l’ambito della spiritualità o al
confronto con la musica (due aspetti diversi che sono alle origini delle scelte degli artisti che hanno fondato il
nuovo linguaggio astratto).
Andare oltre il visibile è quello che, ad esempio Kandinskij, ha cercato sin da subito cercando di liberarsi dalla
scissione tra linguaggio figurativo e linguaggio astratto.
La musica è un linguaggio non visivo e a volte non strettamente narrativo. Nella musica classica esiste una
chiara separazione tra musica lirica, fondata sulla narrazione, sul rapporto tra parola e testo e sull’espressione
dei gesti dei cantanti, e musica sinfonica, senza contenuto comunicativo. Questo è un aspetto tenuto conto da
K che spesso fa riferimento al mondo musicale per giustificare le sue scelte. Le due direzioni formalista e
quella che riguarda la ricerca dei contenuti sono compresenti.
Queste due posizioni possono essere viste alla luce degli studi degli anni 30 e 40 in USA dove al museo
dell’arte moderna di NY (che ha avuto importanza enorme nel capire cosa stesse accadendo nel mondo
dell’arte) hanno codificato una certa lettura dell’arte, determinante per determinare una lettura evolutiva
dell’arte del primo 900.
Poi negli anni 80 del 900 una mostra come quella dell’86 a Los Angeles introduceva altre letture che tenevano
conto di discipline teoriche come la teosofia (=disciplina filosofico religiosa che cercava di porre accanto le
diverse posizioni religiose cercando di unire la religiosità occidentale con quella orientale)

Introduzione al rapporto tra i temi iconografici “rappresentativi” e la loro soluzione in forme non-
figurative da parte dei protagonisti della nascita dell’astrattismo.
In esame 5 degli autori che possono esser considerati tra gli attivatori dell’astrattismo:
- Kandinskij
- Kupka
- Mondrian
- Malevic
Inizio del libro di K “Spirituale nell’arte” del 1909 che viene pubblicato nel ‘10 e che segna un passaggio nel
modo di pensare l’arte. Sviluppa delle riflessioni sull’uso dei colori e delle forme in quanto tale, cercando di
attribuire ai colori delle qualità. Ad esempio, il blu come colore che tende all’infinito e profondità, il rosso
come colore che attiva energia e tende a espansione: collega i colori alle forme geometriche. Crea analogie
astratte che servano a collegare i colori alle forme ai significati.

Linguaggio e la svolta spirituale


“Ogni arte è figlia del suo tempo e spesso è madre dei nostri sentimenti. Ogni periodo esprime un’arte che
non si ripeterà mai più”
Si interroga sul come si stia osservando un risveglio spirituale nel modo di sentire in quegli anni secondo la
visione di K (il quale era laureato in Giurisprudenza a Mosca e si era messo a fare ricerca sul campo di
antropologia nelle lande nascoste della Russia a recuperare aspetti del folclore)
“l’Arte che non ha avvenire che non diventerà madre del futuro è arte sterile”: valore profetico dell’arte nel
momento in cui viene introdotta.
Introduce con questa considerazione “la vita spirituale di cui arte è componete fondamentale, è movimento
ascendente e progressivo tanto complesso quanto chiaro e preciso. È il movimento della conoscenza” modo
diverso di concepire la spiritualità in occidente rispetto a quella concepita dallo stesso K e dalla dimensione
orientale.
Da una parte spiritualità come rivelazione, conversione: qualcosa che tocca l’intimo anche nella semplicità
d’animo. Dall’altra, nella idealizzazione del tempo, ricerca di consapevolezza e di studio non determinata
dall’esterno ma determinata su una ricerca di interiorità. Ciò a cui è più vicino K.

Immagine metaforica come punto di partenza per i suoi quadri “il movimento”
“Un grande triangolo acuto diviso in sezioni disuguali, che si restringono verso l’alto, rappresenta in modo
schematico, ma preciso, la vita spirituale. In basso, le sezioni del triangolo diventano sempre più grandi ed
estese.
Il triangolo si muove lentamente, quasi impercettibilmente verso l’alto e dove "oggi" c’è il vertice, "domani"
ci sarà la prima sezione, quello cioè che oggi è comprensibile solo al vertice, e per il resto del triangolo è
ancora un oscuro vaniloquio, domani diventerà la vita, densa di emozioni e di significati, della sec onda
sezione. Al vertice sta qualche volta solo un uomo. Il suo sguardo è sereno come la sua immensa tristezza. E
quelli che gli sono più vicini non lo capiscono. Irritati, lo definiscono un truffatore o un pazzo. Così
disprezzarono Beethoven, che visse da solo, al vertice. Quanti anni ci sono voluti prima che una sezione più
larga del triangolo arrivasse dove era lui! e nonostante tutti i monumenti in suo onore, sono veramente molti
quelli che hanno raggiunto quel punto?
In ogni sezione del triangolo si possono trovare degli artisti. tra loro, chi sa guardare al di là della sua sezione
è un profeta e aiuta a muovere il carro inerte. Se invece non possiede quest’occhio acuto, se per finalità e
cause meschine lo schiude o ne fa cattivo uso, viene capito e celebrato da tutti i compagni della sua sezione.
Più grande è la sezione (cioè più in basso si trova), maggiore è la massa di chi capisce la parola di
quell’artista. È chiaro che ognuna di queste sezioni ha consciamente o (più spesso) inconsciamente fame del
proprio pane spirituale. È il pane che le danno i suoi artisti, e a cui domani aspirerà la sezione successiva."

Arte e spiritualità come forma di fusione. Immagine del triangolo: il triangolo o la montagna e richiamo alla
macchia oscura.
Immagini, parole che trovano espressione nei
quadri di K. Tema della montagna entra nella
sua maniera di operare.
Nel quadro a sx c’è piramide-triangolo. È
datato a epoca successiva al trattato di K.
Due opere che sono state prese in esame negli
anni ‘80 del 900 per dimostrare come K si
stesse movendo nella non diretta
rappresentazione.
Nell’opera a sinistra è rappresentata una
signora a Mosca, la donna si rivolge a noi, è
semplificata nelle fattezze, sembra come una bambola con un vestito elegante da signora.
Offre un fiore rosso con la mano sx e appoggia sul tavolino l’altra mano dove c’è un cagnolino. La strada alle
sue spalle è gialla (innaturalità e gradi di distacco) e costituisce un triangolo dietro di lei.
Il giallo è un colore fortemente energico, espansivo e illuminante. Attorno alla figura di questa donna c’è una
specie di ombra azzurra che è stata interpretata come l’aura che sta attorno alla figura che ha conquista
spirituale. L’aura che circonda può essere segno del valore del significato spiritualiggiante del significato di
questa offerta di vita. Alla sua sx c’è tutta una forma rosacea che alimenta questo senso di spumato
dell’ambiente e rievoca un’allargamento di questa forma.
Sopra la testa abbiamo un sole rosso con riverberi nel cielo che vanno dal bruno al giallo che fanno pensare a
un tramonto ma con una eclisse data dalla macchia nera informe.
Confronto con lo stesso motivo nell’altro quadro: anche qui ci sono elementi riconoscibili di paesaggio:
- a sx una specie di collina con casa, una vettura/carrozza con ruote che sta scendendo dall’alto
- sulla destra una specie di astro e delle figure che stanno davanti senza definizioni di contorno.
- al centro una macchia nera informe simile alla nuvola nera che eclissa il sole nell’altro quadro
Stesso significato reso attraverso immagini completamente diverse. È qui che si verifica un cambiamento tra
figurazione e non.

Kupka fu un artista boemo della repubblica ceca che si


trasferisce in Fr ed entra in contatto con le correnti del
simbolismo (grande corrente internazionale che ha
attraversato tutti le culture del 900?). Il simbolismo
proponeva distacco da una descrizione, era fondato
sulla evocazione.
Questo dipinto (lavoro su carta) dei primi anni del 900,
ha tutti i tratti di soggetto simbolista. Viene raffigurato
un embrione inserito in questa sfera azzurra con il
cordone che lo lega a un giglio (fiore che emerge da
questa ninfea).
Non è ne darwiniano ne cristiano e religioso. È il modo id interpretare l’inizio della vita dall’acqua (risveglio
della conoscenza nel buddah, purezza, luce) che si eleva da questo indistinto magma dove però il fiore fa
sorgere la vita su un fondo tenebroso privo di luce. Immagine forte ed enigmatica che in ogni suo elemento,
anche in quelli geometrici, fa capire che siamo in un’atmosfera fantastica e astratta.
Quadro di 10 anni dopo dello stesso artista
Serie di cerchi che come dei pianeti di uno strano
universo si muovono attorno. + altre forme circolari =
astri e stelle.
Dimensione cosmica dove la forma circolare si ripete con
colori diversi indicando segno di un movimento
cosmologico.
È uno spostamento che si verifica nell’annullamento di
una descrizione.
Rappresentazione dell’inizio della genesi.
Le forme circolari sono forme cosmologiche che
indicano un inizio in un’atmosfera indefinita e indefinibile che per virtù di convinzioni derivate dal modo in
cui anche nel simbolismo si interpretano.
Spostamento dall’embrione vitale alla costruzione esclusivamente geometrica.
Mondrian è un autore che ha una storia diversa da quella
di K ma che ha anche punti di contatto: anche lui, dopo
anni di pittura figurativa, a un certo punto, sollecitato dalle
invenzioni dei pittori cubisti (Picasso e Braque) stando a
Parigi negli anni precedenti alla 1ww, inizia percorso che
è toccato anch’esso a riflessi della teosofia, oltre allo studio
di Gothe, teoria dei colori, Hegel.

Questo è un quadro in cui ogni elemento è riconoscibile.


La natura morta è uno dei soggetti rilevanti nella pittura
olandese.
C’è opacità dei colori e delle forme legata a quello che un pittore come Matisse stava elaborando.
Quella boccia e vaso trasparente centrale è il fuoco della composizione (che per il resto ha delle predominati
verticali orizzontali delle linee).

M l’anno dopo riproduce lo stesso quadro modificando molto e semplificando i riferimenti all’ambiente:

Resta il vaso centrale colorato rispetto alla neutralità della


composizione
I triangoli sono le uniche forme che modificano la
composizione rispetto ai rettangoli.
Le linee scure creano fitto di composizione e scomposizione
dell’ambiente
 semplificazione estrema delle forme che lo conduce nel
1913 a delle soluzioni astratte.
Come:

Strutturazione orizzontale dove vengono cancellati i riferimenti


naturalistici e queste tessere di colore rinchiuse da cornici, come se
l’ambiente trasformato in una composizione a più livelli dove
abbiamo delle associazioni tra la percezione del colore e la
profondità.
Dove i contorni sono più intensi e dove certi colori hanno luminosità
interna, li sentiamo più vicini rispetto ai grigi sentiti più lontani e
annebbiati (dove sembrano svanire).
In alto echi curvilinei.
M parte da un’analisi linguistica delle forme e traduce percorso in una rigorosa semplificazione che porterà ai
quadri neoplastici.
 plasticità dei colori: fatto che colore desse dimensione che travalica bidimensionalità della tela e che diventa
quasi plastica.

è solo nel secondo dopoguerra che comincia il percorso di


astrazione
Mietitura con contadini che stanno completando il grano
Sono raffigurate due contadine in primo piano, un contadino
dietro che lavora grano, tutto è reso in forme geometriche.
- Volti stilizzati
- Corpi cilindrici
- Ombre e luce

M come tanti artisti russi vive dialogo tra occidente, Parigi, e la tradizione popolare russa.
Una delle prime mostre del Pompidou di Parigi fu paris moscu, nel quale si realizzava la continuità di rapporti
tra Parigi e Mosca enei primi anni del 900 tra musicisti, scrittori e artisit.

Leggibile in chiave di cubismo con colore.


Frammentazione del volto portata a una matericità strana come se il volto
fosse trasformato in altra materia.
Problema era il rapporto tra la profondità che nasce con la prospettiva e la
nuova concezione bidimensionale del quadro. Il cubismo chiude la finestra
aperta da Alberti: porta tutto sulla bidimensionalità.

Quadro del suprematismo


Il titolo è provocatorio (è sintesi di una lezione che voleva
impartire).
Compie un’estrema semplificazione geometrica.
Il quadrato non è perfetto ma è come se fosse in
movimento. Imprecisione per non rendere in maniera
troppo schematica ma mantenerne una qualità pittorica.
Il sottotitolo “realismo pittorico di una contadina a due
dimensioni” vuole significare che M dalla rappresentazione di una contadina della mietitura, arriva a
sintetizzare all’estremo in una bidimensionalità conquistata in maniera definitiva e che ha unico colore
(compie un percorso che non è di negazione solo ma è pittura che non ha bisogno di essere rappresentativa).
La resa è di riduzione estrema.
Lo si può considerare come una icona e punto di partenza di una serie di composizioni.

Altre soluzioni geometrizzanti, ferme e mobili, a


seconda dell’uso predominante del quadrato che
diventa croce o della diagonale che produce
movimenti.
Questa è una foto che testimonia il modo in cui M
espone. Le tele sono ancora esistenti.
La posizione del quadrato nero su fondo bianco è
messo ad angolo perché quella è la posizione dove,
nelle case russe, veniva posta l’icona che proteggeva
al casa, ha un significato quasi sacro.
Anche M ha una direzione non solo formale, la
bidimensionalità, ma di tipo spirituale (suprematismo
come andare oltre la realtà fisica, conquistare quella dimensione spirituale, trascendente e assoluta che si
traduce in un fare a meno dell’immagine e della realtà sensibile).

D è un pittore vicino al cubismo, è


animatore di un cubismo del colore
(cubismo orfico perché mette in contatto il
mondo sensibile con il mondo poetico della
poesia e della fantasia).
I soggetti urbani sono i più facili. Qui
rappresenta la Tour Eiffel vista come
intrusione, come successivamente
brutalista, ovvero trasforma l’immagine
della città in una modernità da industria.
D è affascinato dalla torre e realizza questi
dipinti dalla parte settentrionale della
Senna. La torre viene trasformata in colore rosso: astrazione rispetto a colore reale. Rosso è colore dinamico
ed energico, centrale in questa immagine fondata sulla verticale.

Le tracce di colore bianco che circondano la torre e vanno a finire nelle case in basso sono in rapporto con il
rosso: riverbero della luce sulla torre.
Applicazione di uno dei principi fisici dell’ottica attraverso uno
specchio o una finestra.
Al centro si vede una specie di riquadro dove troviamo sagoma
triangolare ascendete che richiama la torre Eiffel.
Ci sono ancora dei riverberi del paesaggio urbano trasformato in
questa scomposizione di colore. La simultaneità indica una
compresenza di spazio e tempo dentro il quadro.
Siamo in un campo legato ai principi ottici e a una dimensione
formale.
Anche D fa quadri astratti non figurativi.

Applicando idee che derivano dall’influenza della lettura del


manifesto futurista di Marinetti
Marinetti dichiara che la luce elettrica prende il posto della luce
degli astri (dichiarazione di esaltazione della modernità).
Balla, pittore che si era mosso sulla maniera del divisionismo
guardando l’opera di Pelizza da Volpedo, oltre che essere attratto
dall’immagine fotografica, in omaggio alla lettura dei testi di
Marinetti, deicide di aderitr a questo gruppo di artisti (invitato da
Boccioni) e realizza questa lampada, primo quadro esposto niella
mostra futurista.
Determina forza irradiante, nuovo tipo di energia che quasi
nasconde la luce della luna. Conflitto tra luce elettrica e luce della luna

Balla era interessato alla forza della luce e quel 1912 a D


doveva decorare una casa di una famiglia che aveva
conosciuto in Italia
Visti come una intuizione delle pox di un’arte fatta di un
solo colore di luce
quadro interessante per come dimostra un passaggio
graduale del buio in basso che poi diventa luce: un
progressivo schiarirsi dei triangoli e delle linee appuntite
dei triangoli che compongono le divagazioni sulla luce
che filtra attraverso qualcosa.
Usa lo stesso schema del triangolo per creare cornice da lui stesso progettata e realizzata per dare, con la luce,
senso di movimento del quadro stesso

 in vario modo diversi artisti nei primi anni del secondo decennio del 900 stavano la pittura di
rappresentazione per immagini

Incontro con le forme dell’arte astratta avviene sotto il doppio profilo dell’ambito formale e dell’ambito
simbolico (si riconosce come non si possa non prendere in considerazione solo un aspetto della produzione
artistica).
Un recupero della dimensione simbolica è evidente da colui che viene messo come capostipite: Kandinskij, il
quale, solo in età avanzata raggiunse questo genere di comprensione del senso di significato del suo percorso
artistico in relazione ad un percorso di natura spirituale. Ha 40 anni circa e sarà a seguito di un certo percorso
di 10 anni che giunge a delle soluzioni peculiari legate al tema di monte e triangolo.
Lo spirituale nell’arte è il suo testo principale.
Nel dipinto abbiamo una struttura formale importata
sulla forma triangolare ascendente che diventa come
una collina proposta da chiazze cromatiche che
delineano un contorno azzurro predominante, rosso
(come un arco esterno rispetto a questa struttura blu)
e giallo che circonda.
Sono tutti colori primari ed elementari dai quali
derivano tutti gli altri, si definisce una atmosfera che
vuole essere di natura spirituale.
- Il blu è il colore dell’interiorità
- Il rosso di espansione
- Il giallo di energia tendente alla follia che si
dirama con la luminosità e la luce
Nella parte centrale figure stilizzate:
- Cavaliere
- Cavallo bianco
- Sull’altro lato una figura asessuata che potrebbe essere corrispondente all’immagine della principessa
liberata da San Giorgio (soggetto presente nelle icone russe).
Queste figure hanno poi alle loro spalle un’ombra che le accompagna richiamo della posizione della figura
nello spazio e alla profondità data dall’ombra.
La macchia di verde sta sospesa, come un eco dell’immagine. Il verde è il quarto colore portante della
composizione e in termini naturalistici tocca i contorni della parte centrale che definiamo quella della
montagna.
In cima al monte un altro agglomerato poco distinguibile che in termini simbolici va identificato con un
castello, una torre o città sospesa che sta in alto in termini difensivi e in termini di conquista. Richiama un
mondo del passato medievaleggiante. K fa riferimento a una specie di tempo ancestrale al quale rivolgere la
propria attenzione.

Lo spirituale nell’arte
“ogni opera d’arte è figlia del suo tempo e spesso è madre dei nostri sentimenti. Ogni periodo culturale
esprime una sua arte che non si ripeterà mai più. Lo sforzo di ridar vita a principi estetici del passato può
creare al massimo opere d'arte che sembrano bambini morti”
L’arte si conforma all’epoca i cui si
afferma. Sentire il passaggio del testimone
da un’epoca all’altra e l’essere incaricati
nel fare qualcosa di originale di trasmettere
il passato al futuro.
Questa introduzione ha poi una parte finale
di 5 pagine in cui K distingue:
- Quello che si vede nei musei in
quel periodo qualcosa di
piacevole
- Bisogno di arte nuova

L’arte equivale a uno strumento per


conoscere: non per conoscere il
funzionamento chimico fisico dei colori, delle reazioni delle persone di fronte alle opere, delle tecnologie MA
per una conoscenza di tipo spirituale. In questo senso la svolta spirituale la introduce con un altro capitolo
intitolato il “movimento”.
Riferimenti ai percorsi di ascesa sono presenti in quel periodo tanto che nella copertina dello spirituale dell’arte
vediamo una sintesi di monte sopra il quale delle forme (molto simili al quadro precedente).
Anche in altri autori.
Figura dell’uomo e dell’anima isolata in
cima a una montagna che si distacca dalla
moltitudine e dalla folla, dalla vita che scorre
nelle forme e nei modi della modernità.
Immagine tipica del simbolismo (che verrà
recuperata anche Boccioni).
Ciurlonis è un pittore e musicista lituano che
nei primi anni del 900 non compie lo stesso
discorso di K però evoca con queste
immagini simboliche, qualcosa di simile.
Questa figura di anima angelo, spirito,
staccata dal mondo e dalla mondanità si trova sopra questa montagna, tra le rocce alla base del quale una
forma serpentina che sembra trasformarsi in drago (=le tentazioni, ciò che trattiene alla dimensione terrena
rispetto a quella spirituale)
Sullo sfondo ponti con scale che ascendono fanno pensare a un modo di conquistare le vette per altre vie che
non sono quelle della aspirazione verticale.

La musica nella pittura:


qui troviamo una forma triangolare
ascendente, piramidale e trasparente nella
parte centrale. Nel voler ricondurre a una
logica quasi geometrica ottiene un grado
di astrazione fondato su due movimenti
- Ascendente
- Fluido (che fa pensare alle note di
un pentagramma)
Risultato è quadro di forte fantasia astratta.
Doppio confronto tra rapporto musica e
pittura e rappresentazione di una
condizione interiore che non rappresenta
l’immagine esterna.

Il colore che predomina è l’unico elemento compositivo.


Viene eliminata la traccia della matita
Carattere predominante  liberazione del colore come unica
materia. Colore che trasfigura le cose.
Sagoma di montagna azzurra.
Non si cercava di rappresentare le cose secondo il modo in cui
sono visivamente ma attraverso il modo in cui le si percepiscono
e le si sentono.
Il paesaggio è estivo.
G. Munter è la compagna del tempo di K.
identificazione del luogo e del paesaggio è più vicino al dato reale.
Quello che cambia è l’uso del colore.
Paesaggio non ha traccia umana e segni di movimenti atmosferici, è
qualcosa di fortemente astratto.
Non è semplicemente un paesaggio figurativo distorto in maniera
infantile MA c’è una consapevolezza di quello che era successo
nell’arte negli ultimi anni e una proiezione di questa in una nuova
prospettiva.

Monte verità presso Ascona è un posto che viene


considerato magico dove vi sono risonanze particolari.
Titolo di questo quadro è l’albero rosso similitudine
con quello di G.Munter.
Sull’asse che conduce al vertice della montagna striata da
queste linee nerastre che la trasformano quasi in un dolce
confezionato. In alto c’è la neve.
Donna vicino ad edificio che sembra una cappella posta in
montagna.
Semplificazione dentro un’immagine che anch’essa vuole
avere una risonanza interiore.

Questa trasformazione in atto riguarda tutti gli autori che si


identificano nel gruppo del Cavaliere azzurro (nome di libro, di un
almanacco) è il risultato di uno sforzo dell’incontro tra K e Franz
Marc.
Corrispondenza nella ricerca di una radice quasi terrestre della
dimensione spirituale.
M apporta a operazione collettiva una sensibilità romantica fondata
sull’identificazione tra uomo e natura che passa attraverso
l’identificazione di un soggetto predominante che sono gli animali.
M non ha quasi mai raffigurato figure umane ma solo animali
selvaggi che sono quelli più vicini a questa condizione di spirito
ribelle. In questo dipinto ci sono delle tracce trasfigurate di figure
animali. Grido di animali in un canto disperato di fronte ad un fatto
storico.
M realizza questi ultimi quadri poco prima di partire militare e di
morire nella 1ww. Nel 1914 gli eventi di guerra hanno portato ad un senso di catastrofe e di apocalisse.
Artista del gruppo Cavaliere Azzurro.
è un forte colorista ma più delicato di Marc nei
suoi soggetti anche un po’ più ambiguo (in senso
+) in un lasciare nelle sue opere sempre
un’atmosfera sospesa tra incanto e realtà, tra
immagine e poesie.
È una montagna nei dintorni di Monaco di
Baviera dipinto come fosse una piramide.
PK era attratto da questa visione del deserto pero
aveva assunto dal mondo africano una
trasformazione nel senso del colore. Quella
montagna azzurra viene anticipata da queste zolle
e macchie di colori gialli, verdi, rossi, in se
naturalistici ma che astraggono sempre rispetto alla rappresentazione naturalistica.

Figure stilizzate di cavalli che diventano linee di colore rispetto alle


macchie

Monte azzurro è diventato questa forma ad arco al centro rispetto ai


tre personaggi.
Paesaggio e figure
umane hanno
stesse misure.
Quello che conta è
la disposizione del
colore.

Analogia con linguaggio musicale

IL RAPPORTO TRA VERTICALE E ORIZZONTALE IN KUPKA E MONDRIAN

Verticale e orizzontale sono due riduzioni estreme di ciò che viene tracciato sul foglio.

La forma verticale e la sua dimensione simbolica nel paesaggio del simbolismo all’astrattismo nell’opera di
Frantisek Kupka

Rapporto con la musica:


K crea immediata analogia visiva tra il
primo piano dato da questi tasti di
pianoforte e, nella parte centrale, questi
si trasformano in barre verticali che
diventano forme di diversi tipi di verde
che vanno a confondersi con questo
paesaggio albereto in cui una barca, sulla
quale vi sono almeno due figure, sulla sx
delle foglie di un salice che ricadono
verso il basso.
È un percorso ascendente discendente rappresentato dalla rappresentazione della musica.
Tentare di applicare il linguaggio musicale a quello visivo contribuisce il pittore verso una forma di astrazione.
Analogia musicale interessa anche la volontà di strutturare e di dare una regola, data da queste linee ascendenti

Ritmo realizzato sulle verticali


K in quel momento, partendo da quel tipo di simbolismo,
attraversa questo tema musicale, raggiungendo questo
risultato: un risultato astratto in cui si ritrovano i colori del
blu, rosso e bianco.
È un rapporto cromatico scelto da K come alternativa di
dialogo tra due forme: calda e fredda.
Nello sfondo abbiamo disporsi sulle linee verticali di
diversi tipi di grigio e nero e bianco. Generano un ritmo
verticale ma anche orizzontale perché procede da uno
spostamento da sx a dx.
Viene meno qualsiasi elemento rappresentativo.

Richiamo alle vetrate delle cattedrali


gotiche, che tendono a queste verticalità.
È come se si filtrasse una luce
dall’esterno, proprio come nelle vetrate.
K nei suoi scritti che sono stati pubblicati
30 anni fa per una mostra l Pompidou di
Parigi scrisse: “la retta, come un corda
tesa, evoca il mondo astratto, è assolta,
inabissata nella sua immobilità...”

Il sogno
Qui si coglie un cambiamento di stato delle immagini. Nella parte più
bassa e oscura ci sono due corpi distesi: fattezze di un uomo e di una
donna. I due sono vicini e guardano verso l’alto. Come se da loro si
dipanasse questo eco di forme, di raggi che dalla penombra vanno
verso la luce.
In questa sezione a sinistra ci sono un corpo maschile e uno femminile
sovrapposti: non in chiave erotica, è un abbraccio che tende alla
fusione e ad un’unione simbolica. È una trasformazione dove questa
dimensione terrena trova la sua nuova identità in una luce celeste. Una
trasformazione dalla matericità alla spiritualità.
Sono delle interpretazioni che derivano da tracce legate alla cultura di
simbolismo spiritualista.
K vede non solo l’analogia musica-
cattedrale.
È il volto della moglie di K. Volto visto
attraverso queste linee verticali, diventano
delle linee verticali di tanti colori, con una
ricchezza cromatica molto più ampia.
K lascia il volto come unico elemento
riconoscibile di una pioggia di colore che
ricorda una trasformazione del colore per
effetto della rifrazione.

Altro modo di astrarre all’interno del colore rispetto


alla figura: al di la della figura la parte interessante è
tutto ciò che la circonda. I piani di fondo creano
un’ascensione di ritmo bidimensionale sullo sfondo.
Questo, insieme alle linee diagonali della coperta,
contribuiscono a questa astrazione partendo dalla
figura

Il corpo è visto come attraverso un velo colorato piani di


colore verticali gialli e verdi che danno l’intensità della figura
del corpo che da dietro attraverso la luce
Una trasfigurazione in luce che K opera attraverso ritmi
verticali.

Dialogo di colori freddi azzurri, verdi e blu che come dei


tasselli riempiono l’intero spazio della composizione senza
profondità.
Chi si trova davanti a quest’opera può coglierla nei
linguaggi astratti.
È interessante vedere come K metta in atto questo processo
di astrazione.
Queste due
opere sono
ancora più
schematiche.
Il nostro
modo di
guardarle e di
leggere
queste opere
permette di
comprendere le forme base di un alfabeto che poi diventa linguaggio.

In questo processo di verticalizzazione derivato dall’insistere sui paini verticali e il confronto in cui le
cattedrali gotiche aspiravano a spingersi in alto similitudine nel modo in cui K realizza questo dipinto
I colori producono effetto di angolature, l’impressione è quasi che le linee diagonali creino delle nicchie di
formato triangolare.

MONDRIAN.
Relazione tra i diversi protagonisti tra le forme e i modelli (forma: scelta di determinate soluzioni compositive,
modelli: musica che conduce ad astrazione su linee verticali espressione di una forza luminosa interna rispetto
alla composizione di immagine).

Esempio più significativo quello che riguarda MONDRIAN


Tema della verticale: verticale come dinamica, come posizione stante. Segno per eccellenza che è stato posto
fin dall’antichità egizia (gli obelischi) per segnare rapporto terra-cielo, per indicare la presa di possesso umana
che conquista la posizione eretta, che è rappresentata dalla linea verticale.
Scultore del 900 che si è sempre fermato sulla figura umana: GIACOMETTI, ha stilizzato la figura umana
fino a farla diventare una stele scarnificata che cammina e sta in piedi in posizione tipica dell’uomo.
M tra i paradigmi della sua ricerca e della sua attenzione nel 1912-13, M ha realizzato quadri naturalistici.
Parte dal post-impressionismo nel riprendere scene naturali (Interesse per boschi, mare ì, natura e
progressivamente architettura)
Attenzione analitica:
l’albero è spoglio e si nota un tentativo di rappresentare
le diramazioni dei rami. Albero è al centro del foglio, è
il soggetto. Questo studio analitico sembra naturalistico.
Il soggetto serve all’artista per fare un'altra cosa: ritrae la
natura ma nel dipinto, sulla scorta di quello che era il
linguaggio figurato da PICASSO e BRAQUE, nella
definizione del cubismo che sta diventando la lingua di
tutti gli artisti che operano a Parigi.

Questo albero è secondo i parametri tradizionali


illeggibile: crescono dal basso verso l’alto segni che infittiscono la loro presenza e si allargano indicando il
modo in cui un albero si sviluppa. Tutto è riportato però a una struttura geometrica come se fosse quella interna
alla sua composizione, come se fosse data dalle linee portanti: non è una semplificazione, è una ricostruzione
secondo un altro modello di linguaggio della forma dell’albero. Non importa più rappresentare l’albero come
l’artista lo vede dalla convenzione data dalle foto, ma nella pittura, aderendo al cubismo (che porta a riduzione
a pochi colori, spinge verso una smaterializzazione e rimaterializzazione delle cose andando a cogliere il dato
interno).
Grigio è eliminazione del colore fa intendere come l’artista si soffermi soprattutto a come le cose sono fatte.
Il processo del cubismo è vicino a quello che stava instaurando la fisica, lo spazio-tempo: ritrovare dentro il
movimento, dentro le cose la presenza degli atomi.

Questo tipo di ricerca di M è sviluppato ad un certo


stadio che nel 1913 raggiunge anche una valenza
estrema di complessità e semplificazione allo stesso
tempo.
Il quadro è la quinta essenza del modo in cui il
cubismo può diventare maniera di decomposizione
della realtà e di interpretazione della pittura come un
fenomeno quasi di secondo grado in rapporto a
quello che sta attorno nell’immaginario visivo.
È un quadro che diventa immagine di un quadro
avendo una cornice dipinta che fa parte del quadro stesso.
M dipinge un contorno rendendo l’immagine ovale, questo tipo di inconriciatura si trovava soprattutto nelle
fotografie dell’800.
M usa un formato ovale, che anche picasso e braque hanno usato su telai ovali, con la differenzanche lui lo
attua su una tela rettangolare. Questa incornicaitura serve a rendere piu evidente la densità della parte centrale
che ha sviluppo verticale: per quanto ci siano delle diverse direzione in cui vanno le linee nere che creano
puzzle visivo, per effetto della maggiore presenza del colore giallo-bruno abbiamo sensazione di espansione
verso l’esterno. Al contrario della prospettiva che ci porta verso la profondità, qui il quadro viene verso di noi
attraverso effetto ottico. Volontà di mostrare come il superamento delle definizioni di spazio in termini
prospettici giunga al suo superamento nella definizione fisica.
Anche per M il concetto del taglio verticale ha dei significati che sono strutturali (formali) e di altro tipo.

Forma simbolica del paesaggio olandese semplificato


all’estremo attraverso questa doppia caratteristica
cromatica: blu del fondo del terreno e il rosso intenso
che è della costruzione e delle stesse pale.
È molto innaturale questo modo: nessuna concezione di
luce dell’alba e della sera giustifica in chiave ottica
questo tipo di colore. È una riduzione a due qualità
cromatiche e simboliche
- Blu sfondo che accoglie
- Rosso elemento energico che si impone
Le 4 pale costituiscono una x o una croce che poi va al
di fuori della composizione: non è inserita nei suoi
confini all’interno del quadrò.
Soggetto è comprensibile e naturalistico ma enigmatico
proprio per quanto è semplificato dal punto di vista dell’immagine. Interesse di M è quello di trasfigurare la
cosa e attribuire alla figura un valore diverso.
Torre nata per ragioni funzionai come una specie di movimento e soggetto emblematico in un ambiente vuoto
e svuotato da altri elementi. È un segno di ascesa

In questo periodo M si va interessando di dottrine filosofiche e posizioni spiritualistiche, questo stesso


soggetto ha un modo di incarnare quelle idee, idee che portano alla volontà di esprimere come sia
indispensabile .. e come questa sia conquistabile attraverso i processi metafisici

Sono raffigurati tre momenti:


- sonno
- risveglio
- illuminazione
Attraverso tre figure femminili dove il femminile non è
espresso come condizione sensuale. Sono tre figure astratte.
Primo e terzo momento presentano la stessa figura con
cambiamento essenziale nei due elementi.
- A sx forme geometrizzanti rosse che sono un po' informi
e non creano un segno specifico
- Al centro immagine forzata e poco accettabile dal punto
di vista della bellezza estetica, ha occhi aperti in modo innaturale e ce la luce che attraversa, dalle
spalle, i neuroni.
- A dx è di nuovo nel sonno ma le due forme laterali sono organizzate secondo la forma a stella a sei
punte (che nel processo alchemico e nelle dottrine dell’occulto viene indicato come anello di salomone,
simbolo usato in modo dispregiativo durante il razzismo). Quell’anello è il punto di incrocio tra i 4
elementi (fuoco aria terra e acqua)
M riprende questo simbolo in maniera così consapevole, diventa segno di conquista di evoluzione (che non
indica adesione a una fede o a una forma di religiosità) ma introduce questa componente di spiritualità
riprendendo da tracce di quel periodo.
M ha scritto dei testi filosofici improntati sulla maniera dei dialoghi platonici.
Da tema verticale al suo complementare orizzontale

M mentre lavora sul tema verticale negli alberi ha


anche una serie parallela fondata sull’orizzontale.
M cerca di dare regolarizzazione come se cercasse di
trovare una logica matematica nel ritmo delle onde.
Tutto porta a una bidimensionalità come se il punto di
osservazione fosse rialzato da appiattire l’immagine.

È una di una serie di composizione dove


emergono tasselli e punte di colore di derivazione
neoimpressionista: tendenza che ha portato ad
usare la pennellata divisa (colori in un rapporto
tra complementari).
Mare come un altro soggetto di forte pregnanza
simbolica.

Osservazione del mare del nord in maniera romantica.


Esprime nella sostanza simbolica dell’immagine, la forza
della meditazione nel rapporto con l’infinito, l’assoluto,
nelle tracce della natura.
M non si ispira direttamente a questo quadro però il modo
di osservare il mare e di trasformarlo in altra cosa ancora
risente di questo eco interiore che un tipo di visione e
situazione esistenziale.

Fase decisiva di osservazione del mare di M.


Dichiarata nei titoli in una serie di dipinti dove non c’è più
il colore se non il colore stesso della superficie.
Rispetto al mare del 1912, in questo Oceano III, indica una
vastità ancora maggiore dell’immagine di ampiezza.
Questa vastità evoca una dimensione di infinito, di
assoluto.
Si concentra sui segni che qualificano la superficie. I segni
orizzontali e i pochi segni ondulati come a indicare un movimento e una prospettiva di spazio senza limiti.
Rappresenta un’incorniciatura ovale: effetto di spazio indefinito è moltiplicato da questa innaturale forma di
chiusura dell’immagine. Verso il basso e verso i bordi i segni si fanno più rarefatti.
Questa distribuzione di segni nello spazio è destinata a regolarizzarsi:
Ci sono segni soltanto orizzontali e verticali che creano una tipologia di
intrecci che si riconduce a poche variabili.
Abbiamo delle linee orizzontali poco pronunciate
Incroci a meandro che fanno pensare a uno dei simboli antropologici del
labirinto.
Incontro tra verticale e orizzontale dato dal molo che dal punto centrale
della composizione si spinge verso il centro.

Due forme quadrate con croce vera e propria e con croce disgregata. Un ritmo che si sviluppa e si disperde
nella vastità e che rievoca il mare e cielo stellato.
Cielo stellato per il fatto che non cogliamo alcuna distanza tra le stelle, non sappiamo, guardando il cielo, la
distanza tra di esse (distanza non misurabile).
Questa mancanza di punti di riferimento proporzionali è quello che si trova anche nel mare. Le distanze di una
prospettiva di mare in cui non ce altro punto di riferimento.
Riportato nella concezione di una pittura che costruisce un’immagine permette di non intendere più il quadro
come una rappresentazione di spazio nel modo in cui lo concepiamo.
Nuova plasticità nelle dimensioni che non sono più quelle che guardo ma delle dimensioni a sé.
Senso di presenza fisica della pittura che va oltre alla bidimensionalità della parete.

Composizione legata allo stesso principio di molo e oceano, genera un effetto pulviscolare: non c’è un centro

M sposta l’attenzione da una cosa all’altra, contribuiscono gli interessi a letture che toccano la matematica, il
recupero del pensiero neoplatonico (distinzione tra ciò che vediamo e l’idea di ciò che vediamo) per
raggiungere quello che è un dato formale e ottico.
Questa immagine è soggetta ad ulteriori passaggi, quello fondamentale quello che avviene intorno al 19

Rispetto alla dispersione assoluta, M torna a


ricomporre in modo rigoroso e razionale il
percorso creando due quadri con una
composizione a griglia. È una rete regolare data
da misure che si ripetono continuativamente su
tutta la superficie e che mostra in maniera
geometrica il tentativo di eliminare il centro del
quadro.
Il centro è ovunque, ogni elemento preso ha
stesso valore di quello che gli sta accanto,
cambia solo il colore che è distribuito nello
spazio della superficie in un modo che è stato
progettato secondo una logica.
I grigi sono modulati secondo diverse gradazioni di intensità.
 per quanto nella sua elaborazione pittorica la ricerca di una astrazione che dia una soluzione al dilemma
vitale del rapporto tra io e mondo in una sintesi di quiete pacificata (”del quadro voglio raggiungere uno stato
che superi la tragicità” che giunga a un equilibrio assoluto). M per dare movimento usa colori.
- Evidente quadrato rosso che sbalza per dimensioni
- Linee nere si incastrano a formare rettangoli
- La composizione non arriva al margine, i neri si interrompono
prima del margine in modo impreciso.
Questo è il modo in cui M risolve tutto. Ha bisogno di un riconoscimento
di impossibilità di ordine statico e della vitalità dell’ordine mobile.

Il quadrato è la forma più statica, dal punto divista simbolico è la forma


geometrica, insieme al cerchio, dove le distanze dal centro sono uguali
per ciascun lato, i rapporti proporzionali indicano una fissità di regole
(angoli sono tutti a 90 gradi). Il quadrato ha una presenza particolarmente
invadente in questo quadro perché è rosso, rompe la sua funzione di
staticità perché non è esattamente al centro e produce senso di movimento.

DAL QUADRATO ALLA CROCE: LA FORMA TRETAGONA (=ciò che è immobile e statico)
Si riconduce alla croce bizantina e greca, che avendo lati uguali, è idealmente iscritta in un quadrato.
Attorno al valore del quadrato come forma-base: tra grafici da Kandinsky, “Punto Linea Superficie”
Nella parte dedicata alle linee entra in gioco la forma quadrata
nella parte dedicata alle linee entra in gioco la forma quadrata divisa qui in quattro.

“il punto che riposa al centro di una superficie quadrata


fu definito come unisono con la superficie (= in qualsiasi
punto della superficie ha lo stesso valore). L’immagine
intera veniva designata come il prototipo dell’espressione
pittorica.
Una orizzontale e una verticale quando sono centrate su
una superficie quadrata costituirebbero un ulteriore
complicazione di questo caso. Queste due rette sono sole
e solitarie entità viventi che non conoscono nessuna
ripetizione. Esse sviluppano perciò un suono forte che non
può mai essere completamente coperto da un altro suono
e rappresentano perciò il suono originario delle rette.
Questa costruzione è quindi il prototipo dell’espressione
lineare o della composizione lineare. Essa consiste in un quadrato diviso in quattro quadrati e costituisce la
forma più primitiva di divisione di una superficie schematica.”

In sequenza bianco, giallo, rosso, blu e nero.


Rapporto tra colori in relazione a verticale e
orizzontale dove c’è una gradazione cromatica in cui
il rosso sta al centro di una scala cromatica unitaria.
Estremi sono il bianco e il nero.
K crea movimento portando il bianco e il nero in alto
e in basso. A lui interessava ritrovare il valore
interiore di queste forme.
“ritrovare il valore interiore di queste forme”. “oggi
l’uomo è completamente occupato dall’esterno e per
lui l’interno è morto.”

Sono esempi che K fa ai suoi studenti per far


comprendere, nella pratica, cosa voleva dire il suo
ricorrere ai valori dei significati, dei colori nelle
composizioni molto libere che aveva effettuato negli
anni precedenti (senza geometrie).
A K interessa una suggestione emotiva che riveli il senso del principio interiore: il quadro non deve essere
visto solo con gli occhi ma compreso attraverso lo spirito e l’anima.

IL QUADRATO NELL’OPERA DI KAZIMIR MALEVIC

Mostra in cui M espone tutte queste opere suprematiste


= teoria che segna il distacco e il superamento della
materia e della razionalità.

MALEVIC giunge alla rinuncia di una rappresentazione a seguito di elaborazioni che tengono conto delle
ultime e recenti ricerche nell’ambito artistico attraverso un confronto con il cubismo (=forma, stile e modello
di elaborazione di immagine che ha diverse motivazioni alla sua base tra le quali una rappresentazione
dell’oggetto, nature morte o figure umane o di paesaggio, sotto un profilo spazio-temporale unitario.
Muovendosi attorno a un oggetto e concentrandosi su una cosa, si ha una molteplice rappresentazione della
cosa, per quanto statica e ferma, vista da punti di vista differenti).
Ad esempio, Cezanne ripete certi soggetti di nature morte: lo stesso soggetto è il mutare continuamente di
pochi centimetri e dello sguardo anche per le condizioni della luce.
si nota la struttura dell’immagine che unisce una
geometrizzazione delle forme e un rapporto tra figura
e sfondo. C’è una materializzazione dell’atmosfera.
Le linee portanti vengono liberamente disposte rispetto
al cuore dell’immagine a dare forma al vuoto che sta
attorno.
Da quel modello si giunge nel 12-13, da parte di quegli
artisti che guardano al cubismo mantenendo attenzione
al colore, a un rapporto tra bidimensionalità di certi
elementi cromatici e queste linee che tagliano e
sovrappongono favorendo l’uso del collage (che da
effetto di sovrapposizione).
M nell’ambito di quello che in Russia viene definito CUBOFUTURISMO (punto di incontro tra cubismo
francese e futurismo italiano abbracciato in Russia come forma di elaborazione proiettata in avanti del
linguaggio artistico). Agisce sia la forza del colore che la scomposizione.
Inserisce tasselli cromatici che attribuiscono un’ulteriore bidimensionalità, superamento della forma
materiale.
- La figura della donna è individuabile attraverso alcuni aspetti della parte centrale più meccanica e
complessa.
- Manifesto pubblicitario è davanti e dietro alla figura stessa della scena di strada.
- Le lettere sono estrapolate dal manifesto e si trovano nello spazio del dipinto.

Semplificazione di forme geometriche porta avanti:

Il soggetto è un omaggio a un quadro notissimo da sempre ma che


nel 1913 era stato al centro di episodio di cronaca che tutti i giornali
hanno riportato: la Gioconda.
In quegli anni venne derubata al Louvre e trasportata in Italia da un
italiano che lavorava per i servizi di sicurezza del museo. Aneddoto:
per due giorni venne esposta alla Pinacoteca di Brera e segnò un
record di visite.
Chiusura dell’immagine in questa unità del colore.

Altra operazione nella quale era impegnato M nel 1913: la


realizzazione delle scenografie per dramma teatrale scritto da
un poeta d’avanguardia intitolata “la vittoria sul sole”. Si
giungeva a sostituire il sole con un'altra luce, la luce elettrica
(dimensione dell’uomo che sostituisce in modo artificiale la
natura).
Sull’impaginazione dello spazio scenico nella scena centrale
di questo dramma M immagina di chiudere con un velo nero
questo quadrato.
Buio=inferno dagli uomini all’atmosfera.
Assume questa chiusura un significato ben diverso, quello di superare la dimensione visiva fisica e materiale
nell’attribuire valore esclusivamente alla pittura bidimensionale.

Accanto al quadrato nero M aveva Esposto anche quadrato


rosso.
È un vuoto, è il silenzio e l’azzeramento che prelude a
nuovi traguardi.
M è convinto che questo quadrato nero resterà il punto di
non ritorno delle sue scelte nell’ambito artistico, tanto da
portarlo con se fino alla fine dei suoi giorni.
Compariva nella sala che M realizza l’ultima mostra del
futurismo a Sanpietrobrugo insieme ad altre opere che
emblematicamente sintetizzano un processo di riduzione.

Quadrato segno della chiusura e della stasi


Croce segno che ritroviamo in ambito religioso e
non solo. Questa croce nera è uno sviluppo evidente
del quadrato nero. Richiama l’idea di forma centrale,
icona semplificata all’estremo.
È imperfetta e non tirata con la geometria assoluta.
Concetto è quello di una forma assoluta realizzata
dalla forte intensità dell’immagine che preme.
Opere del suprematismo in cui M sviluppa il quadrato nero in diverso modo perché inizio di nuovo linguaggio:

Triangolo equilatero indica movimento da sx a dx.


Rettangolo nero sviluppo del quadrato nero in un
rapporto proporzionale differente.

Sono rappresentati due quadrati:


Nero posto dislocato rispetto al centro della tela
Rosso lievemente inclinato a produrre movimento
Semplificazione estrema in cui si da rilievo agli
elementi pittorici.

Si intitola in questo modo per la posizione dei due


come se uno gravasse sulle spalle dell’altro.
Nella terminologia usata da M sono parole chiave
REALISMO e QUARTA DIMENSIONE.
Realismo definizione che deriva dall’800 da
COURBET (1850 prima esposizione). È qui posta in
contrapposizione polemica: non c’è bisogno di
rappresentare figure, la realtà è quella pittorica che è insita nella pittura e non nella figura. È una provocazione.

Masse di colore della IV dimensione intesa non come elaborazione fisica del principio ella relatività di Einstein
ma secondo una visione più mistica e orientale di superamento delle condizioni e delle dimensioni del vivere,
della conquista dello spazio trascendente ulteriore. Quarta dimensione perché è fuori dalla percezione naturale.

Segno delle variabili possibili del linguaggio nuovo ideato


da M.
Il quadrato nero messo in alto è come se osservasse
l’elemento più statico di una composizione in cui vi sono
altri elementi geometrici, gialli o rosi o blu.
M richiamando il termine di base suprematismo insiste sulle
relazioni che possono istituirsi tra le posizioni delle forme e
un’immagine di partenza o una situazione di partenza.

M considera questo come il suo marchio di riconoscimento tanto che quando muore viene posta la sua opera
sotto la bara.
Nei primi anni 20 anche M torna a una figurazione
seguendo quanto avvenuto nel suo paese.
Aderisce alla spinta rivoluzionaria della “spinta di
ottobre”.
M anche se compie una pittura figurativa
mantiene una continuità tra quanto sviluppato nel
periodo suprematista e quanto fatto oltre.
Il nero diventa tema notturno, luttuoso. Ma
l’intenzione era quella di considerarlo un
passaggio verso una dimensione diversa e
spirituale.
Corrispondenze pittoriche tra motivo formale e altre letture e significati che non possono essere annullati.

ANCORA MONDIRAN: I QUADRATI, LA GRIGLIA E IL LORO


SUPERAMENTO
Quadro che diventa griglia, forma di ripetizione del motivo.
È rappresentata la facciata di una chiesa trasfigurata in questo incrocio
di elementi verticali e orizzontali. Linee danno eco delle forme di
architettura.
M elabora un centro che non è esattamente il centro del quadro e del
cerchio che traccia.
La croce è l’unico elemento realistico e simbolico in una composizione
dove tutto è dato da linee orizzontali e verticali che si intrecciano.
Rapporto tra quadrato cerchio e forme chiuse e aperte costituisce il
ritmo della composizione.

Questo quadro rappresenta un quadrato che si moltiplica nello


spazio rispetto alla centralità: decentramento polifonico
dell’immagine per creare una superficie non più letta secondo la
chiave con cui interpretiamo l’immagine ma aprendo la
composizione alla variabilità.
Il quadrato, che in qualche caso è rettangolo, è un quadrato di
diverse dimensioni che da impressione visiva di avere profondità
di campo diverse.
I quadrati hanno tre colori che sono variazioni dei tre colori
primari rosso giallo e blu.
- Rosso Rosa
- Giallo Arancione
- AzzurroBlu
+ le Linee più piccole verticali e orizzontali nere che accompagnano i quadrati e i rettangoli maggiori 
bidimensionalità ottenuta tramite questi piani di colore disposti con una certa libertà.
Principio di geometrizzazione delle forme, in sintonia con
M, crea composizioni con piani di colore.
Questo artista, che aveva istinto di militanza e di
capogruppo, di voler comunicare una situazione, nel 17 crea
una rivista in cui si affermano le posizioni esposte dalla loro
visione dell’arte. Comincerà attraverso questa rivista a
diffondersi l’intenzione di applicare queste idee anche alla
produzione di arredi e architetture.
Questo quadro si caratterizza con quadrati di colori che
generano ritmo più fitto ma non c’è incrocio o
sovrapposizione.

Mondrian e Van Doesburg sembrano fare quasi la stessa cosa


- M si concentra sulla forma a quadro
- VD metterà le forme in diagonale (M questo non lo
accoglie ma trova la sua maniera di costruire una griglia nei
quadri a losanga mettendo il quadro per un vertice e non per
il lato del quadro, producendo un quadrato in movimento).

Ponendo ad angolo il quadro, le linee verticali che lo attraversano in


realtà sarebbero diagonali. M inserisce le diagonali, che però,
immaginando il quadro ruotato, diventano orizzontali.
+ ulteriore suddivisione dei quadrati in triangoli.
Produce un quadro di astrazione assoluta, quadro volutamente condotto
alla sua geometria matematica e nient’altro.

Questa opera ha la stessa struttura, sotto questi piani di colore ci


sono delle linee portanti che determinano lo stesso formato del
quadro precedente ma sopra ci aggiunge del colore e crea con
linee nere un reticolato variabile (=questo punto, quadrato bianco
quasi al centro, può essere considerato un centro ma è spostato
rispetto al vertice e la linea dell’asse del quadro)
Ripetendo questo quadrato in posizioni diverse M ottiene
movimento diverso da quello prodotto dalla suddivisione della
griglia regolare.
Verso i bordi il colore è più sporco e annebbiato quasi a dare
ripiego maggiore di luce nella parte centrale.

Da queste figure nasce una relazione con un’architettura moderna che si basano sui moduli che vengono
ripetuti nelle varianti
Vede altre tre variabili dei colori primari. Colori molto forti
Il modo in cui vengono applicati sulla tela non da e non vuole dare
esiti di similitudini con qualcosa di esterno. Sembra una
composizione randomica dove casualmente questa struttura
ternaria, dal punto di vista dei colori, e binaria, dal punto di vista
delle linee, viene risolta in questo modo.

Più avanzata consapevolezza del principio


neoplastico quando crea composizioni non
più fondate sulla griglia e secondo questo
duello tra il rischio di creare forma troppo
regolare e bisogno di mantenere dinamica.
Su un formato più dinamico distribuisce tre
colori producendo dei paini di colore che
hanno forma di plasticità: effetto quasi di
tridimensionalità.
M sviluppa questa concezione del quadro
come oggetto tridimensionale.
Dal punto di vista della griglia compositiva
abbiamo delle forme quadrate che
compongono un quadrato. M è come se avesse creato una cornice interna. All’interno di questo quadrato vi
sono altri quadrati, altri suddivisi in due rettangoli.
C’è una regola e un movimento. M in un suo testo insiste sul fatto che il suo obbiettivo sia quello di superare
il tragico, vorrebbe che il quadro raggiungesse un carattere di assolutezza e di quiete tale da non manifestare
alcuna reazione negativa o emotiva, una specie di stato di trans.
Aspira a un assoluto ma deve accontentarsi di come nella pittura e nella vita si pone a confronto con
l’imperfezione. I suoi quadri saranno sempre giocati sulla presenza di un movimento interno e di rottura di un
centro.
Espone nel 1920 questa opera composta da tre elementi
diversi ma molto simili con stessi colori e forme in equilibri
differenti.
Voleva rompere la successione troppo regolare, la serie ma
M lo critica dicendo che non rompe il centro perché ricrea
un trittico di pale d’altare in cui sempre sussiste
l’impressione di individuare il punto in cui tutto ruota.

Presenza del quadrato come elemento portante ma sempre


decentrato Neoplatonismo che passa attraverso confronto
con la geometria.
FORME CIRCOLARI: STUDI DI CROMATOLOGIA

Cerchio e quadrato sono le due forme per eccellenza equilibrate che hanno un centro equidistante da ogni
punto del perimetro.
L’immagine che si trova alla base di tutti gli studi della forma e della forma umana, il famoso Uomo Vitruviano
di Leonardo, la figura umana è inserita nel quadrato e nel cerchio. Proprio il quadrato e il cerchio costituiscono
il cuore e il fulcro. Il cerchio è una forma dinamica rispetto al quadrato perché ha l’immagine della circolarità,
una delle maniere in cui rappresentiamo il tempo. il tempo è una linea retta nella nostra concezione ma è anche
una figura che torna su se stessa all’interno dell’anno solare, ricollegandosi alla figura del cerchio.

Dipinto che ha delle assonanze con una


rappresentazione cosmologica di sviluppo-
movimento cosmico.
La figura del cerchio ha proprio a che fare con
tutte le forme di movimento cosmico (terra,
pianeti, sole, satelliti).
È un quadro cosmologico che ci fa pensare al
cosmo osservato dagli occhi del pianeta terra.
Non sta specificamente rappresentando il
sistema solare, ma è un’immagine aperta
fondata sull’insistere sul cerchio, sulle sfere e
sui segni che indicano i moti rotatori circolari.

Analogia con la pittura di tipo figurativo come quella


di Gaetano Previati, uno dei protagonisti del
divisionismo italiano, eseguito in un momento in cui
P è incline a una visione simbolista.
Si trova a Milano nel Museo di Intesa San Paolo nelle
Gallerie d’Italia.
È un quadro magico e particolare e non semplice da
apprezzare: illustra una serie di figure femminili
danzanti, ciascuna tiene una parte del cerchio dorato
che si muove nel cosmo.
Abbiamo tre forme circolari in questo quadro che
rivelano la peculiarità di questi movimenti.
Immagine rimanda a un rapporto sole-luna-terra-
cosmo (=come momento fuori dal tempo di nascita
delle cose).
Interessava questo soggetto non per una rappresentazione di quanto concerne il tempo ma anche della luce. Il
fenomeno del movimento di associa a quello della luminosità nel modo in cui era presentato e nella maniera
in cui la dipinge: i raggi luminosi sono diffusi attraverso dei filamenti e delle linee di colore che producono a
loro volta delle forme circoncentriche che partono da quel nucleo di luce.
Questo dipinto si avvicina anche al tema della nascita della luce, della sua emanazione e della creazione del
colore.
Quella idea di un movimento estraneo
ed esterno alla dimensione terrena e
terrestre lo porta a concepire un altro
tipo di analogia che è quello tra musica
e pittura (letto a suo modo in una
maniera diversa dal quadro con i tasti
di pianoforte).
Il titolo che da a questo dipinto è
“fuga”, principio musicale
dell’inseguirsi delle sequenze e delle
note e degli accordi che producono
uno svilupparsi della forma musicale
nello spazio, diventa intreccio tra
rosso e blu (toni dominanti, toni caldi
e freddi) che non derivano più da una
forma riconoscibile e rappresentativa ma hanno carattere di ascensione verso la luce (due dischi bianchi che
tagliano il fondo della composizione e sembrano risucchiare la forma amorfa = negazione della forma).
Questa forma che gli si è rivelata non con l’intenzione di fare forma astratta ma che diventa astratta nel modo
in cui la svolge.
Confronto con la musica: come si descrive in pittura la musica? Musica non narrata e non cantata, è astratta.
- Analogie musicali
- Rapporto con l’interiorità
- Elaborazione di forme indipendenti dalla descrizione naturalistica
Questo si collega a studi di cromatologia, disciplina oggi insegnata nelle accademie di belle arti. Dai primi
dell’800 ad oggi lo studio del colore e del modo di elaborare, attraverso il colore, una comunicazione, è
diventato molto più pregante di come poteva essere in chiave intuitiva nell’800 e primo 900 sotto il profilo
delle conseguenze artistiche.

Intorno al 1910 tra gli artisti di area francese, si assiste


a una specie di scomposizione del formato pittorico per
andare a recuperare la maniera di trasmettere la luce e,
attraverso a luce, il colore: far prendere forma al colore
attraverso la luce.
È fenomeno della rifrazione ottica: passaggio
attraverso corpi trasparenti, liquidi o opachi di raggi
luminosi che vengono scomposti nei colori
dell’arcobaleno.
Le forme di scomposizione e ricomposizione del
colore della luce possono essere oggetto di diverse
interpretazioni a partire da Isaac Newton che creò un
disco cromatico per mostrare l’assommarsi dei colori
nella direzione del bianco.
Ghote, in altro modo, pensa al colore come una sovrapposizione di toni che permette, attraverso l’ombra, di
percepire il valore della luce.
Due visioni diverse che vengono prese in esame attraverso queste composizioni didattiche finalizzate ad una
conoscenza divulgativa.
La luce, nel dipinto, è quasi interna all’immagine e sembra quasi di andare a rivelare e scavare oltre ciò che
vediamo per trovare qualcosa che sta più nel profondo.
Il cuore della composizione è dato dai dischi rosso e arancione che sono segmentati in movimenti circolari
che producono una rotazione che va dal rosso, all’arancione, al giallo, al verde.
È immagine di fantasia che si fonda su ricerche sviluppate in chiave scientifica che K proseguirà anche in
epoca successiva:
Composizione di tipo cosmico, fondata
sull’evoluzione del cerchio.
Specie di cono bianco più chiaro a imbuto nella
parte elevata centrale che conduce al punto blu,
centro visivo, su un asse verticale che lo collega
ad un altro punto blu in primo piano.
Questo echeggiarsi della forma circolare lascia
aperte delle linee di lettura su come queste forme
si manifestino. Rapporto tra ombra della realtà e
una realtà di luce.
Sono i punti su cui si gioca questa riflessione sul
colore, sulla luce e sulla forma.

Nella Parigi degli anni precedenti alla 1ww, 1912-13:

Pone la luce come punto centrale della sua riflessione della trasformazione della pittura. “simultaneo” ha un
significato all’epoca molto riecheggiante nell’aria: “simultaneità” è un termine usato anche dai futuristi per
parlare di questa coincidenza di spazio e tempo. è una parola che vuole indicare l’andare oltre la concretezza
del visibile al di fuori della narrazione trovano una dimensione fuori dal tempo.
Le forme circolari vanno a rappresentare i due corpi celesti secondo i quali da sempre si articola la vita sulla
terra: sole e luna (luce e luce riflessa).
Forma di composizione compiutamente astratta fondata sulla figura del cerchio, sul riecheggiare della figura
e forma del cerchio che ha un corpo luminoso sul lato sx. ritroviamo forme cromatiche che sul lato dx
diventano più dense.

Altra soluzione che deriva da quelle precedenti.


È un quadro di forma circolare.
- La parte della luna, più fredda
- La parte del sole, maggiore magma di movimento
cromatico fondato sulla ripartizione di un disco.
Questo tipo di soluzione torna in vario modo in maniera
didascalica o in maniera esplicativa.
il disco è uno, la rotazione delle forme vista in maggiore
lentezza.

Tra il gruppo operante a Monaco di Baviera


vicino a K, che con le sue riflessioni sul tema
del colore e sul significato dei colori sullo
spirituale nell’arte, porta a trascendere dalla
dimensione narrativa del quadro senza che
questa sia di maggior valore di una forma
figurativa (K mantiene attenzione per la doppia
possibilità) in quel contesto quello che contava
era il cuore di ricerche che andavano verso il
colore, la luce e i valori formali e simbolici di
questo.

Macke è interessato al senso del movimento cosmico del colore. È una ricerca sulla scomposizione del colore.
Nella cultura francese c’erano state le ricerche sul colore di due chimici e scienziati Chevreul e Rud (?) che
avevano lavorato sulla scomposizione e uso del colore finalizzato anche alle manifatture dei tessuti.
In Germania si trova Gothe: la cultura del romanticismo, la
ricerca sul colore si collegava a una dimensione panica

simbolica del colore e della luce come qualcosa


che genera le cose.
Esploratore Von Humboldt  tensione a leggere questa interpretazione dei colori che vediamo attorno a noi
nella natura e nelle cose come qualcosa di astrale, divino. Tanto che lui non parla di disco cromatico ma di
sfera cromatica: i colori cambiano a seconda della vicinanza o distanza dai due poli.
In modo diverso, dalla cultura romantica e dal quella scientifica, si arriva ad avere delle rappresentazioni
simili.
Il colore prende forma per osservazione del
vetro della finestra dell’esterno, del
movimento della città. Attraverso la
finestra diventa protagonista una forma,
qui assorbita dal colore, della torre Eiffel.
Questa serie di opere sul tema dei cerchi
cromatici hanno diverse soluzioni e in
Delaunay si trovano a confrontarsi con la
modernità.

Tornando nell’ambito di una pittura figurativa


Compare in basso la squadra di rugby.
La palla ovale portata in alto diventa una specie di
visione ascendente dell’uomo verso la luce,
intreccia la sfera della ruota panoramica (simbolo
della modernità) e l’aeroplano che un pilota
francese prova nella zona spianata davanti alla torre
Eiffel.
Il quadro diventa un inno allo sport.
Le capacità dell’uomo di conquistare l’aria
attraverso il rimando alla luce.

Medesimo aeroplano dell’opera precedente.


Il cerchio è dato anche dall’elica che gira, il
movimento prodotto dall’elemento meccanico.
Compresenza di oggetti visivi-scientifici e visioni
interiori-analogiche.
Fenomeno cosmico osservato da Bolla con l’attenzione
di un artista che ha al centro dei suoi interessi anche
l’ottica.

IL MONTE E IL TRIANGOLO.

Il tema della montagna diviene ricorrente nella pittura di Kandinskij a partire dal periodo di Murnau;
successivamente il tema appare sempre più spesso, rappresentato con un colore prevalentemente blu e con la
tendenza a semplificarlo geometricamente in una forma triangolare con il vertice puntato verso l’alto.
Nell’opera “paesaggio con montagne e villaggio II” spicca al centro della composizione una forma collinare
nettamente triangolare; dalla base del triangolo si innalza il campanile del villaggio metà blu e metà giallo,
illuminato dalla luce del sole.
Alle spalle del triangolo blu le montagne si accendono di un riverbero rosso, mentre dal prato al cielo vi è
uno squillante colore giallo.
Nel cielo si distinguono tre macchie bianche, delle nuvole in un paesaggio dalle forme estremamente
semplificate.
L’artista ricorre all’immagine del triangolo con il vertice puntato verso l’alto per descrivere il movimento
dell’umanità verso la conquista dello “spirito”.

In un’altra serie di dipinti il monte blu si configura come un triangolo più o meno arrotondato, che
suggerisce la curva del globo terrestre o si associa al tema delle roccaforti.
Il “monte” di Monaco del 1909, presenta questa struttura nonostante risalga a una data relativamente precoce
rispetto ai quadri in cui prevale il tema della montagna.
Il soggetto occupa quasi interamente lo spazio di una tela quadrata che presenta solamente i 3 colori primari
con l’aggiunta del bianco, del verde e del nero in alcuni tratti.
La grande fascia bianca al centro è simile a quella della “Montagna blu” e vede ai suoi piedi alcune sagome
abbozzate che in altre opere si configureranno come una coppia di personaggi, due torri e un cavaliere.

L’immagine della montagna blu ritorna in varie opere successive che permettono di seguirne lo sviluppo
fino ai grandi cicli tematici, culminanti in esiti astratti tra il 1912 e il 1913.

La struttura triangolare del monte riappare poi nelle opere della successiva fase astratto-geometrica ma
questa volta viene associata a dischi e quindi all’immagine del sole.
Tra gli artisti che presentano nelle loro opere un’analogia di significato e matrici culturali con l’opera di
Kandinskij, ritroviamo Klee che nel 1915 dipinge il Niesen, un monte presso Monaco che assume la forma
di una piramide blu.
Il monte occupa tutta la metà superiore del quadro mentre nel cielo appaiono i simboli del sole, della falce
lunare e delle stelle rappresentati secondo la tipica suggestione del disegno infantile.
Klee riprende spesso i moduli triangolari e i simboli astratti, ispirandosi anche alle opere di Delaunay.
La forma del monte si collega alle piramidi, ai campanili e alle ziggurat così come si evince dalle opere di
Klee e Kandinskij.
Il monte di Kandinskij è certamente riconducibile allo spirituale e pertanto al principio maschile.
Accanto all’immagine della montagna, nella formazione dell’astrattismo, troviamo altri simboli
ascensionalistici che rientrano in un’intenzionalità analoga per molti aspetti come, ad esempio, la torre in
Delaunay e il faro e il campanile in Mondrian.

L’equilibrio tra orizzontale e verticale concepito come equilibrio universale tra i principi opposti è
fondamentale nella poetica di mondrian.
mondrian itera pochi fondamentali elementi del paesaggio riducendoli progressivamente a una struttura
verticale o orizzontale, o nella quale i due principi opposti si bilanciano.
in quest'ultimo caso i temi dominanti sono quelli del mulino nel paesaggio, con le palle che formano una
croce, e soprattutto quello dell'albero.
il tema verticale in mondrian tende a colorarsi di toni caldi al rosso acceso, stagliandosi su un fondo blu
soprattutto nel caso della chiesa e del mulino, fino alla sorprendente bicromia del mulino rosso dell'aia,
dipinto nel 1910- 1911.
La coppia di colori ricompare in alcune opere di Marc virgola in particolare in due tempere del 1912 sul
tema spirituale dei cavalli virgola di cui la più nota è “cavallo rosso e cavallo blu”, e ricompare anche in
“Amorpha, fuga a due colori” di Kupka.

Il Monte, in Kandinskij, è quasi sempre blu come la macchia è prevalentemente bianca o nera;
L'associazione del colore blu all'elemento spirituale negli scritti di Kandinskij è evidente ed è stata
sottolineata più volte dagli studiosi.

IL LINGUAGGIO DELLE VERTICALI

La struttura delle verticali che kupka elabora parallelamente alle forme circolari si collega
all’ascensionalismo spiritualistico del tema kandinskyiano del monte e si colloca nella riflessione sul
rapporto con il linguaggio musicale.
L’intero arco della produzione di Kupka svolge un doppio tema, quello del linguaggio delle verticali e
quello delle linee curve.
Nell'ambito del tema delle verticali ricordiamo le opere “piani attraverso colori” e “donna che coglie fiori”
che possono essere considerate opere che preparano i tre piani verticali dipinti tra il 1912 e il 1913.
In piani attraverso colori la silhouette della figura femminile e incisivamente definita: il movimento del
braccio sottolinea la ripetizione del triangolo segnato da braccio e avambraccio con aperture angolari
differenti.
Nei dipinti costruiti sulla struttura delle verticali, variamente caratterizzati da un colore primario dominante,
è stato notato che gli elementi strutturali appaiono come l'ingrandimento di alcuni elementi di un paesaggio
virgola in particolare di una successione di alberi.
Tuttavia, nella serie linguaggio delle verticali e schieramento su verticali il riferimento a qualunque oggetto
visibile scomparso: il quadro invita a una lettura simile a quella di una partitura musicale.
La serie delle verticali si connette al tema dello spazio mentre quella delle forme circolari al tema del tempo,
così come si evince da uno dei pochi brani scritti da Kupka.
in entrambe le serie comunque evidente che l'artista procede dalle indagini sul movimento verso la regolarità
e la semplificazione.
Nella serie dei piani verticali le sagome rettangolari, ampliate e geometricamente definite, si stagliano su un
fondo fluido e indistinto; Il dinamismo sembra bloccato in una concezione formale fredda e matematica.
abbandonato il dinamismo basato sulla parcellizzazione di elementi lineari e cromatici virgola la vitalità del
quadro nasce dal contrasto di grandi piani rigorosamente bidimensionali che suggeriscono un moto in una
profondità ideale.
tale soluzione precede di alcuni anni l'astrazione geometrica di mondrian e parallelamente la stessa soluzione
e perseguita da altri dipinti astratti.
la scelta dei piani verticali non è dettata da una propensione verso il rigore geometrico ma dall'esigenza di
eludere la frammentazione implicita in quella che l'artista definisce quarta dimensione: si tratta di eludere la
frammentazione senza rinunciare alla profondità.
Kupka e vicino a Kandinskij per numerose posizioni teoriche, per il senso cosmico che avvicina l'arte all'atto
della creazione, per l'atteggiamento mistico e l'interesse alla teosofia e per il significato attribuito ai colori.

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