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L’astrattismo

Parleremo dell’arrivo dell’arte astratta;


Vedremo come quest’arte influenzerà il design, sopratutto nella nascita delle Bauhaus;

Dovremmo introdurre il concetto di astrazione.

Vediamo in questo periodo delle opere dove le raffigurazioni non rispecchiano gli elementi del mondo naturale
(mentre eravamo stati abituati dall’antichità a vedere opere che rappresentassero sempre elementi del genere).

I
Davanti alle immagini astratte, tendiamo a ricercare le
forme conosciute, che in realtà non ci sono.
Questo meccanismo si sviluppa dai tempi immemori
Infatti, quando vediamo degli elementi naturali in nell’uomo, visto che deve riconoscere la forma
un’opera che fa parte dell’ astrattismo o più conosciuta da quella estranea.
semplicemente in un elemento naturale stesso, quale le
nuvole ad esempio, mettiamo in atto quello che prende Tutto ciò avviene in maniera totalmente istintiva.
il nome di pareidolia, è il fatto di vedere ovunque cose
che conosciamo.

Ci sembra strano che un quadro non voglia rappresentare qualcosa del mondo, visto che il nostro tipo di arte è basato
sulle rappresentazioni.

Laddove ci sono delle religioni dove non è permesso rappresentare la figura divina, si predilige un’arte astratta:
elaborazioni geometriche di superfici, che non rappresentano nulla ma che sono belle da vedere.
Non per questo non le consideriamo opere d’arte, sono comunque basate su codici matematici, ripetizioni nello spazio
o libertà stilistica.

Il primo artista che riconosciamo è Kandinsky, che produrrà nel 1913 una delle prime opere d’arte astratta.

Arriva un momento in cui i colori non rappresentano la realtà e i volumi


non corrispondo all’oggetto verosimile, ma si moltiplicano e si crea un
linguaggio nuovo.
Si slegano i colori, le forme dalla realtà e gli si da vita propria.

Quando si ascolta la musica non ci si aspetta che essa riproduca


qualcosa che conosciamo, nei quadri invece ci aspettiamo
questo rapporto di imitazione.

1911
Il movimento del cavaliere azzurro, era stato il primo movimento artistico a pubblicare un
trattato che unirà elementi proveniente da arte primitiva, arte dei bambini, arte degli artisti e arte degli
alienati mentali.

Cercherà in questi la radice unica: la necessità astrattiva.

Kandinsky rappresenta spesso dei cavalieri e un altro artista, Marc, che


prediligeva molto l’uso dell’azzurro nelle opere e perché predilige la
rappresentazione dei cavalli, ecco a cosa si deve il nome del movimento
Il gruppo di artisti era legato all’astrazione, quindi all’idea di creare opere libere
dall’influsso esterno, ma allo stesso tempo alle opere realistiche.

Non vi era una visione totalmente dottrinaria, sono semplicemente artisti che
vogliono creare un’arte nuova che sondi delle frontiere nuove dello spirito.

Siamo in tempo di crisi e con i maestri del sospetto vengono svelati


tutte le fragilità del pensiero occidentale.

La mancanza di certezza dal punto di vista morale ed esistenziale,


si rifletterà anche in arte.

Gli artisti cercheranno qualcosa di diverso, perché il


mondo sta cambiando (ad esempio con i futuristi, che
rispondono alle innovazioni tecnologiche con un’arte
che vede una macchina da corsa più bella di un’opera
classica) e sia perché vi è un’introspezione totale.

Il movimento del cavaliere azzurro pubblica nel 1911 il cosiddetto “Almanacco”, che sarebbe una rivista con tanti
materiali diversi che vengono messi insieme.

All’interno si affrontano temi dai più disparati:


saggi sui movimenti d’avanguardia —> come dei saggi sul cubismo, che in questo periodo affronta la fase analitica;
saggi sul rapporto tra la pittura e la musica;
disegni realizzati dai bambini;
immagini di maschere africane e di malati psichiatrici.

I bambini, i malati psichiatrici e i popoli primitivi venivano ritenuti proprio come dei bambini.

Quello che hanno in comune sono due elementi :


1. I disegni rappresentano una realtà interiore o comunque personale, distorta
2. Tutti loro creano perché hanno bisogno di esprimersi, non c’è nessun committente; per loro
l’arte sarà cercare un modo per dare sfogo a una necessità interiore.

In questo manifesto compare anche un contributo di Kandinsky, che affronterà il


rapporto tra pittura e musica, quindi il rapporto che si instaura con il reale.
Kandinsky
Non è un Bohemian, cioè non è un uomo che vive un’esperienza di amore o di alcolismo, ma anzi è una persona serissima;
studia giurisprudenza e quando termina gli studi gli offrono addirittura una cattedra di giurisprudenza a Mosca.

A un certo punto si appassiona alla pittura,a circa 40 anni e ovviamente la famiglia non è d’accordo, ma lui avrà
comunque molto successo anche in vita.

Nel 1914 lo chiameranno per ridare forma a tutti gli istituti artistici russi, cambiare le Accademia e le scuole d’arte, che
avevano un ruolo quale quello dell’istruzione attuale.

Le opere talvolta non rappresentano nulla, ma non vuol dire che siano macchie di colore che può fare chiunque.

Odessa - 1889

Kandinsky ha un percorso accademico molto solido, viene da opere a cui possiamo


associare un’opera impressionista, visto che abbiamo un qualcosa di realistico, dipinto
all’aria aperta e abbastanza velocemente;

Il cavaliere azzurro - 1903

Ci sono poi altre opere della la sua formazione che abbandonano i precorsi, le opere
talvolta hanno qualità impressioniste, come il paesaggio aperto, ma c’è qualcosa che
l’impressionista non avrebbe mai rappresentato: il cavaliere che sta traversando il
paesaggi.

Su una collina verde dai riflessi dorati, che occupa quasi l’intera superficie della tela e
che è disegnata da una delicata linea curva continua, un cavaliere dal mantello azzurro è
lanciato al galoppo sul suo bianco destriero. Gli alberi in veste autunnale, il grumo
bluastro della foresta e il celeste del cielo da nuvolette bianche, sono il necessario
completamento cromatico per la grazia idilliaca dell’ambientazione.

I cavalieri, come lo stesso Kandinsky avrebbe affermato in seguito, erano un soggetto da lui molto amato; l’artista, infatti, era
molto legato ai racconti, alle illustrazioni e alle tradizioni popolari russe.
Coppia a cavallo - 1906 / 1907

Kandinsky viene da un territorio che non abbiamo mai visto, che è


quello della Russia, per cui realizzerà anche immagini come questa:

È un’immagine molto lontana da quella occidentale, molto decorativa e ornamentale; con


questa ambientazione fiabesca, vediamo al di là del nastro d'acqua - descritto attraverso
numerose tonalità di azzurro si erge una città. Circondata dalle mura, essa si svela con le sue
tante cupole multicolori e i suoi numerosi campanili protesi verso il cielo, quasi fosse un luogo
magico, che somiglia alla città del Cremlino.

Il dipinto è stato trattato alla stregua di una decorazione, secondo i principi art nouveau, ma
condotto con una tecnica simile a quella divisionista. I colori, infatti, sono dati per accostamento
di punti e linguette di tinte accese e vivaci contro un fondo scuro, tanto che sembrano brillare.
La composizione è costruita in modo semplice e fiabesco, a imitazione delle stampe
popolari.

In primo piano una coppia in abiti tradizionali russi, teneramente abbracciata, monta un cavallo il cui incedere calmo e
solenne ricorda quello dei monumenti equestri. Alcuni alberi dalle foglie giallo-oro e dall'esile fusto eretto o flesso
formano una quinta aerea e armoniosa che separa i giovani innamorati dal corso di un fiume.

Il cielo, a lunghe lingue di colore che vanno dal celeste al blu, è percorso da nuvole rosa e sulla scena si stende
un'atmosfera d'incanto che corona il tenero abbraccio dei due giovani a cavallo.

La Russia ha una tradizione artistica completamente diversa dalla nostra, ad esempio uno dei maggiori artisti è Andrei Rublev,
un pittore di icone, ossia quelle che vengono stampate nei santini. Non immagini che non hanno una prospettiva, le forme infatti
anziché andare verso un punto convergente si aprono.

La tradizione artistica russa va quindi verso le forme astratte e praticamente sono rimasti fermi al periodo bizantino per circa
1000 anni.

Per loro l’artista migliore non era quello che rinnovava giornalmente, ma era quello che si
atteneva maggiormente ai dettagli artistici già scritti, cioè che copiava con più attenzione.
Praticamente l’opposto delle nostre concezioni.

Sarà importante perché sarà Kandinsky è uno dei primi pittori russi astratti.
L’astrazione è già contenuta in alcuni tipi di immagini simboliche.

Lui realizza delle opere inizialmente che sono ancora realistiche, sono delle deviazioni dalla realtà è impressionista come
abbiamo detto ma sono ancora legate appunto al reale; siamo nel 1908.
The cow - 1910

Nel 1910 compone un’opera abbastanza strana: una mucca con un paesino
in lontananza e una donna che la sta per mungere.

La mucca ha le corna, quindi sembra più un toro.

Già questa rappresentazione fa pensare che stia succedendo qualcosa.

Infatti Kandinskij comincia ad avvicinarsi all’astrazione e ad allontanarsi sempre di più dai soggetti che sta rappresentando.

Tra il 1910 e 1911 scrive quello che è il riferimento per l’astrattismo, che prende il nome dallo SPIRITUALE DELL’ARTE,
che in inglese prende il nome di “Concerning the Spiritual in Art ” ed è tradotto come “a riguardo dello spirituale
nell’arte”.
In questo libro Kandinskij dice che può esistere un’arte che prescinda dalla rappresentazione di un
oggetto esterno, quindi che non copi.

Lui baserà tutto sul fatto che esiste già un’arte che fa questo, la musica.

Nello spirituale dell’arte Kandinskij incomincia a intuire questo tipo di rapporto.

È possibile attraverso due cose:

⑮ Vede una mostra di Monet a Mosca dove vede i cosiddetti covoni, cioè i cosiddetti
pagliai. Osserva quindi che Monet utilizza i colori come se questi fossero una
sinfonia; altra cosa importante per comprendere meglio Kandinsky è che in Russia
i covoni non avevano questa forma, quindi lui osserva il quadro senza capire
esattamente cosa rappresenti. Quindi decide si concentrarsi sui colori e sulle forme.

⑧ L’artista un giorno ci racconta che dopo aver lavorato tutto il giorno en plain air, quando entra
nello studio, questo è attraversato dalla luce del tramonto e osserva un quadro bellissimo.
Osservando meglio poi si rende conto che quello che sta guardando è un suo quadro, che qualcuno
ha posto sul suo cavalletto, ma al contrario.
Non sappiamo quale sia il dipinto, ma grazie a questo comprende che il quadro può avere una sua
bellezza anche se non riconosciamo l’oggetto rappresentato, che comunque riesce a trasmetterci
delle sensazioni tramite i colori e le forme.

⑮ Kandinskij si pone il problema del capire come questa rappresentazione che non conosciamo ci possa
rappresentare qualcosa, quindi in sostanza come funziona il linguaggio visivo se lo vediamo sempre
ancorato a un oggetto già rappresentato. Associa quindi pittura e musica.

Il passaggio che compie è quello della SINESTESIA, quindi associare una


percezione sensoriale a un’altra

Kandinsky farà sue delle teorie che si stavano diffondendo e lo farà anche grazie all’aiuto di un
musicista e un ballerino
Associa i colori alle note musicali, quindi ogni colore corrisponde una nota e il nero, il marrone e il grigio invece
rappresentano dei silenzi.

Colore Qualità

⑨ Irrequieto
Associa colori e suoni, ad esempio il giallo trasmette caldo
⑨ Energico
ed è visto come qualcosa di tenero, leggero ed eccitante, ma
allo stesso tempo folle e disturbante.
⑨ Folle Il verde viene associato alla pace, alla staticità è un un
suono passivo, praticamente una quiete assoluta; mentre il
⑨ Compiaciuto
blu rappresenta la calma, è profondo ed è un colore
celestiale, quindi all’ambito trascendentale.
⑨ Indifferente Il rosso è visto come un colore vivo, rappresenta la forza e la
gioventù.
⑨ Distante

⑨ Instabilità

⑨ Morto
Kandinskij si pone un problema, anche un quadro fatto di elementi casuali è fatto di elementi linguistici.
⑨ Silenzioso Gli elementi del linguaggio visivo sono il piano su cui l’immagine e il piano sono posti e il punto che
origina la linea.

Kandinskij non si inventa la comparazione tra musica e pittura, ma la riprende da alcuni esperimenti
dello stesso periodo.
Un musicista russo, Alexander Skrjabin, aveva inventato un legame tra colori e e note; infatti
associava a ogni tasto del pianoforte un colore e durante l’esecuzione della sua musica, con le luci si
proiettavano i colori.

Si crea quindi un’esperienza immersiva.

Tutti questi elementi vengono fuori dal periodo del romanticismo, quando era nata l’idea dell’opera
d’arte totale, ossia che l’opera d’arte dovesse avere la parte uditiva e visiva, quella che oggi si chiama
situazione immersiva appunto.

Kandinskij quindi adegua dalle teorie musicali all’ambiente artistico.

Kandinskij cercherà di identificare gli elementi del linguaggio visivo nel libro che scriverà nel 1926, che si chiama il
punto e la linea nel piano o punto, linea e superficie. È un libro che parla della grammatica visiva.

È così che vengono analizzate le proprietà del punto – inteso quale essenzialità, entità da cui tutte le forme
geometriche prendono origine – e della linea, intesa rigorosamente come traslazione del punto nel piano.

Ogni derivazione da questi due elementi primari è studiata teoricamente e graficamente accentuandone gli
aspetti estetici, i risvolti cromatici e i molteplici effetti che essa suscita nell’osservatore.

I disegni sono accompagnati anche da brevi commenti.

La pubblicazione di uno scritto teorico, il cui scopo era quello di porre le basi per una «scienza dell’arte», così
come ne avevano già l’architettura – con le sue regole scientifico-matematiche sulle quali si fonda il corretto
costruire – e la musica, ben si inquadrava nella didattica del Bauhaus, ma indirizzò la pittura di Kandinsky entro
binari precisi in cui l’astrazione si faceva geometria, anzi colore in forma geometrica.
Kandinsky come abbiamo già detto prima, collaborò con un ballerino Sokurov.

Decisero di trasformare degli acquerelli prima in composizione musicale, tramite un loro


amico, e che il ballerino avrebbe dovuto interpretare così poi da passare al momento della
creazione delle forme grafiche.

Vengono quindi create delle immagini astratte che sintetizzano dei movimenti, e i
movimenti sono danze associate alla musica che si conseguenza viene associata alla pittura.

Se guardiamo un tipo di impostazione dove tutto è centrato, avremo la sensazione di ordine, anche perché è tutto il
regolare e simmetrico; dove vedremo invece un’impostazione centrale, ci potrebbe rimandare all’idea di ordine, ma
vediamo quasi un qualcosa che tende al radiante; dove invece vediamo delle forme acentriche, possiamo trovare un
senso di ordine, oppure di disordine legato al fatto che le forme siano disposte in maniera acentrica

>

Kandinsky capisce che la presenza delle forme ci condiziona, perché se abbiamo qualcosa di sfasato ci può dare
delle sensazioni.

L’artista quindi cerca di non inserire oggetti reali ma forme da distribuire nello spazio.

Il suo intento è esprimere un ESSENZA SPIRITUALE, perché le forme astratte sono una forma di espressione
diretta e pura dello spirito, non copiano il mondo esterno, ma lo trasformano in qualcosa di nuovo.

La svolta del 1910 è che realizza il primo acquarello astratto, fatto su carta con colori molto diluiti, in cui le forme
non sono rappresentate o comunque non vi è niente che richiami la rappresentazion

Quindi perché Kandinsky l’ha datata anticipatamente rispetto a quella reale?

Nello stesso periodo diversi artisti, tra cui Giacomo Balla, rappresentano opere astratte,
quali le compenetrazione iridescenti, che si ispirano alla rifrazione della luce.

Praticamente Kandinskij vuole essere il padre, il primo artista della storia e quindi vuole
darsi meriti di un qualcosa che in realtà è arrivato in tutta Europa nello stesso momento.

Linguaggio completamente astratto

È conservato nel Centre Pompidou di Parigi


Impressione - 1911

Le prime opere di Kandinskij si chiamano impressioni e sono delle opere che iniziano ad
essere difficilmente comprensibili, in cui appaiono però dei soggetti riconoscibili.

Si riconoscono ancora chiaramente, disegnati da una linea nera, un


uomo e una donna a braccetto. A destra, in basso, si coglie la sagoma
bianca di un cane che corre, in alto a sinistra un lago con due persone su
una barca, infine una figuretta al margine superiore destro della tela.

In alcuni casi le figure sono tracciate su un fondo già colorato che, pertanto, non è racchiuso solo dalla linea di contorno

Kandinsky inizia la transizione dal linguaggio figurativo a un linguaggio che mantiene dei personaggi,
ma toglie informazioni e quindi abbiamo una base realistica molto forte.

Dopo le impressioni, si arriva alle improvvisazioni, in cui Kandinsky inizia eliminare ulteriormente gli
elementi reali e le opere diventano puro colore, pure forma e puro segno, per diventare poi opere
completamente astratte come le composizioni, che sono l'aspirazione e l'ispirazione più alte del
Kandinsky del secondo decennio del Novecento.

Composizione VI - 1913
Composizione VI, una grande tela realizzata nel 1913 e ora all'Ermitage, a
San Pietroburgo e si basa su un precedente dipinto su vetro (perduto) dal
titolo Diluvio universale, un soggetto che ha sempre affascinato gli artisti
di ogni tempo.

Non c'è più nulla di riconoscibile nel dipinto di Kandinsky che, infine, si è liberato
del tutto dalla schiavitù delle forme naturali scoprendo (e rivelando) la potenza di
un colore la cui visione è del tutto emotiva e spirituale.

I colori accesi si combinano per mostrare la fine del mondo, il diluvio, con le forze
naturali trasformate in puri colori che, in un vortice di bagliori e di esplosioni, nel
momento in cui distruggono, creano anche qualcosa di nuovo. Secondo le parole
dello stesso artista, quello che appare come un «immane disastro è in realtà - una
volta isolatone il suono - un vivo inno di lode, il cantico della nuova creazione che
può aver luogo dopo la distruzione del mondo».

I colori si intensificano sino al marrone in alto a sinistra (non è associato nessun


suono nella logica di Kandinsky tra pittura e musica) mentre il blu a destra
rappresenta come se si stesse andando via dal silenzio a una zona vibrante, e poi
la parte in alto a destra che è quella più pacifica.
I segni neri invece danno il ritmo all’opera, perché il nero rappresenta le pause.
Composizione VII - 1913
Composizione VII , anch'essa del 1913, è la più grande - quanto a
dimensioni e a concezione - delle composizioni.

Si trova a Mosca nella Galleria Tret’jakov

Kandinsky esegui diversi studi preparatori a olio e ne documentò


l’avanzamento esecutivo con alcune fotografie.

Esiste un chiarore centrale, nella grande tela, verso cui sembrano


precipitare le chiazze di colore e le figure senza nome, costituite da
linee chiuse o intrecciate: è l’intera gamma cromatica del mondo –
quella che qualifica le forme create– che va ad annullarsi nel bianco,
che contiene tutti i colori.

Le composizioni sono comunque opere molto caotiche e si vede che sta sperimentando
l’accostamento di forme e colori secondo le sue prime teorie che originano delle forme
organiche e convulse.

Kandinsky vuole creare qualcosa di dinamico, legato alla musica e quindi alle composizioni, in cui non devono
essere presenti delle forme riconoscibili.

Con l’astrattismo anche la pennellata acquisisce un valore molto importante, è un qualcosa di soggettivo e
personale.

Kandinsky non separa il colore con i contorni, quindi i primi sono liberi di muoversi mentre le forme sono libere
sulla superficie: non c’è più il rapporto classico tra pittura e lo sfondo.

Abbiamo poi la fase in cui Kandinskij inizia utilizzare un linguaggio che


ha valore geometrico anche nella composizione.
È come se ora fosse in grado di padroneggiare qualcosa di essenziale Praticamente Kandinskij nelle prime opere appare
qualcosa di caotico, mentre dopo che incomincia a
comprendere le sue capacità, riesce a realizzare
qualcosa di più essenziale e un quadro come questo;
quello che è difficile è quindi a fare qualcosa di
Blu cielo - 1940 semplice, perché devo sapere cosa devo cogliere.

Nel 1940 Kandinsky realizza Blu cielo, opera conservata al Guggenheim Museum, a New York.
L’opera, eseguita in Francia, è completamente dominata dall’azzurro.

Praticamente alla geometria dei tempi del Bauhaus si è sostituita la monocromia dello sfondo in
cui fluttuano forme primordiali. A ciascuna di esse sono associate linee (rette, curve, ondulate),
reticoli, scacchiere, convessità e concavità di colori smaglianti: pure decorazioni racchiuse entro
forme che non comunicano fra loro, ma permeano l’azzurro che le sostiene.

Le forme biologiche e geometriche si combinano e quindi nella tela compaiono queste forme
libere che suggeriscono una dimensione ultraterrena. Kandinsky dice che associamo questo tipo
di connotato a qualcosa che conosciamo, quando in realtà c’è nessuna referenza reale.
Alcuni cerchi - 1926

In un campo scuro, profondo come l’universo, si muovono dei cerchi


colorati, alcuni isolatamente, altri in agglomerazione, come attratti dal
grande cerchio azzurro circondato da un’aura biancastra.

Il loro movimento (o gravitazione) segue delle linee attrattive:


due forti (le diagonali) e due deboli (le mediane). Composizione molto semplice
di cerchi che si alternano è che
Il formato perfettamente quadrato della tela concorre alla si bilanciano tra di loro.
geometrizzazione del dipinto, suggerendo anche una sua
ulteriore, possibile estensione nello spazio.

I dischi colorati, intesi come trasparenti, sono disposti sulla superficie della tela facendo attenzione al mutamento di tonalità delle
lunule dovute alla sovrapposizione delle forme circolari che, perciò, sono da considerare solo dal punto di vista geometrico-astratto

Queste opere non hanno profondità fondamentalmente, anche se Kandinskij non la


elimina completamente; infatti se osserviamo le opere, ci sono delle distanze diverse
che quindi ci fanno percepire proprio una certa profondità.

(Gli acquarelli hanno comunque una tecnica molto particolare ed è molto di diluibile
e molto acquoso, che non ammette errori).
Piet Mondrian
Mondrian, pittore olandese, non è un pittore legato all’astrattismo inizialmente, anzi è legato all’espressionismo.

Inizia il suo percorso con delle opere appunto espressioniste e accademiche, come il crisantemo, in cui vediamo che la
realizzazione è assolutamente precisa e attenta; altre sue realizzazioni riguardano paesaggi piatti, cieli molto ampi,
specchi d’acqua e mulini.

Decide nel 1911 di trasferirsi a Parigi, affascinato anche dall’esperienza cubista.

In patria le sue ricerche in campo pittorico lo indirizzano verso l’Astrattismo.


Dopo aver conosciuto il pittore e architetto olandese Theo van Doesburg, Mondrian fonda con lui la rivista “De Stijl”
(Lo Stile), il cui primo numero vede la luce nell'ottobre 1917.

La sua ricerca pittorica si fa più severa e gradualmente più essenziale, ma sempre gravitante attorno allo stesso tema.

È il tema dell’albero, indagato innumerevoli volte, che mostra, però, il grande cammino di Mondrian verso
l’Astrattismo e la progressiva dissoluzione della forma passando per l’esperienza di Van Gogh e del Cubismo.

Con l’avvicinamento a Van Gogh, praticamente Mondrian decide di distorce la realtà per trasmettere ciò che è assente sul
momento, quindi la forma appare contorta e i colori vengono alterati: carica il soggetto rappresentato di ciò che sente.
Mentre i cubisti si fermavano sempre prima di rendere un’opera irriconoscibile, quindi astratta (perché si cercava un
ancoraggio a qualcosa di reale), Mondrian porta il tutto a essere irriconoscibile, quindi lavora sugli elementi
dell’immagine astratta, che sarebbero appunto delle linee che si palesano nell’albero.

Passa da un piano percettivo a uno mentale, per mezzo del cubismo.

Si pone poi il problema che il piano percettivo fosse solo un vincolo da eliminare e la risposta per Mondrian diventa si.

Mondrian cerca di depurare la percezione per arrivare a una realtà mentale e spirituale; quindi per depurare le
immagini dalle emozioni e dagli elementi transitori e passeggeri, devo eliminare tutto ciò che è soggettivo oltre una certa soglia di
arbitrio.

Le immagini quindi vanno a semplificarsi.

È evidente come l’essenzialità della pittura di Mondrian abbia ormai raggiunto l’intonazione dell’astrazione totale.

Questo nuovo modo espressivo sarà chiamato dall’artista Neoplasticismo, dove plasticismo sta per «linguaggio».
Ma è anche possibile intendere il termine come «nuova forma», locuzione di cui Mondrian fa anche uso, o anche come «stile».

Di Neoplasticismo Mondrian comincia a parlare attraverso le dense pagine della rivista «De Stijl».

Fondata nel 1917 dallo stesso Mondrian e da Theo van Doesburg, la


rivista si pone un obiettivo ambizioso, ossia quello di «contribuire
allo sviluppo d’un nuovo senso estetico […] rendere l’uomo
moderno sensibile a tutto ciò che vi è di nuovo nelle Arti plastiche».
Mondrian riconosce che l’arte deve identificarsi con la vita.
Ora, poiché la vita è essenzialmente interiorità, occorre che l’artista escluda dalle sue opere il mondo
oggettivo (cioè quello delle forme naturali, degli oggetti come appaiono alla vista nel loro aspetto
mutevole), perché diverso dall’interiorità. Se il mondo oggettivo viene gradualmente eliminato
dall’arte, quest’ultima si avvicina sempre più alla vita interiore fino a coincidere con essa.

Anche l’opera d’arte però può essere un’opera particolare (nel senso etimologico di «proprio di un singolo individuo»,
contrapposto a «universale»). Per evitare che ciò accada, l’artista neoplastico deve eliminare i modi in cui si
determina il suo intervento diretto e soggettivo.

Gli elementi del linguaggio visivo che sono immutabili sono le forme, quali le linee orizzontali e verticali, che per
Mondrian sono considerate le uniche ammesse. La linea orizzontale rappresenta l’elemento statico e alla figura della
figura femminile, mentre quella verticale alla figura maschile;
La linea curva e le diagonali, esprimono la soggettività, intesa quale residuo decorativistico, è da escludere in
quanto sinonimo di emozioni.
Tuttavia, le emozioni possono essere espresse anche attraverso un certo modo di stendere il colore sulla tela o con il
semplice tocco del pennello. Sono campiture piatte.

L’artista neoplastico, perciò, mira alla tinta unita e piatta.


Per evitare l’emozione determinata dall’infinita varietà delle tinte, i colori si limitano ai tre primari.

Alla fine riesce ad eliminare il rapporto tra figura e sfondo; non c’è una griglia bianca e nera e non ci sono più i
contorni, o sfondi.

In un breve volgere di anni i colori impiegati dall'artista si riducono ai soli tre primari rosso, giallo e blu e
talvolta addirittura a uno solo.

Essi si dispongono armonicamente e in modo asimmetrico assieme a superfici bianche all'interno di una griglia
sempre variabile di strisce nere (il bianco e il nero, come noto, sono dei non colori).

Ogni colore è dato in modo da riempire totalmente lo spazio assegnatogli, senza alcuna variazione di intensità,
in una resa assolutamente bidimensionale della composizione. Mondrian riesce con minime variazioni a
rompere le rigidità, quasi a voler mantenere un residuo di soggettività e di emozioni.

Ad esempio, la Composizione 10 è una delle prime immagini in cui Mondrian


approda a una rappresentazione del mondo completamente fatta di linee verticali e
orizzontali e con i colori che sono poi i due non colori ovvero bianco e nero. Negli intenti
di Mondrian quest’immagine era la rappresentazione dell’oceano e su una forma quasi
di oblò quasi come se osservassimo il luccicare delle onde attraverso una finestra
circolare. C’è il digradare delle forme, quindi il fatto che le forme verticali e orizzontali
sono più grandi nella parte vicino all’osservatore e apparentemente più lontani
mantengono quelle che sono le tracce di imitazione della natura. Mondrian sta
procedendo ad un essenzialità dell’immagine però sta lavorando ancora con un legame
in qualche modo al mondo esterno. Il mondo esterno e quelle che sono le sue apparenze,
sono quelle contro cui Mondrian si scaglierà.

Ad esempio, in Composizione 11 il rettangolo rosso e quello azzurro


sembrano articolarsi lungo la diagonale comune, ma questo è vero solo se al primo
si somma la fascia nera inferiore e al secondo la fascia nera di destra. Ecco che
allora le due superfici colorate diventano quadrate, interdipendenti e la diagonale
dell'una si colloca sul prolungamento di quella dell'altra.

È evidente, dunque, che l'artista debba essere partito proprio dai due quadrati e,
con semplici sottrazioni (pari allo spessore delle strisce nere), ha poi
scompaginato il rigore della geometria, conferendole una lieve, quasi
impercettibile vibrazione emotiva.
Bauhaus
Bauhaus è l’unione di :
Bau: vuol dire costruire, costruzione
Haus: casa

Il Bauhaus (letteralmente «casa del costruire») rappresenta il più alto e significativo momento di sviluppo del Razionalismo
tedesco.

Fondato nel 1919 a Weimar dall’architetto, designer e urbanista Walter Gropius,


che proveniva tra l’altro dall’ambiente dove si era formato Peter Behrens, costituì
una palestra intellettuale per diverse generazioni di giovani artisti europei.

La Bauhaus era considerata un po’ scuola, un po’ bottega artistica, un


po’ laboratorio artigiano.

Incarnò il simbolo stesso della rinascita umana e morale della Germania


nel breve e intenso periodo intercorrente tra la sconfitta della Prima
guerra mondiale e il devastante avvento della dittatura nazista.

Formato dalla significativa riunione dell’Accademia di Belle Arti e della Kunstgewerbeschule


(scuola di arte e mestieri). Il Bauhaus era quindi un’unione tra le due e si proponeva di sviluppare
ulteriormente le esperienze del Deutscher Werkbund, cioè la federazione tedesca del lavoro (dal quale
Gropius stesso proveniva), arrivando a radicarle nel gusto e nella coscienza nazionali.

Diventa un istituto nuovo, dove non si produce arte esteticamente perfetta ma inutile, ne un
luogo dove si producono oggetti che non hanno nessuna bellezza artistica.

Gropius vuole creare un ambiente dove siano messi insieme coloro che vogliono diventare
artisti e coloro che vogliono diventare produttori e disegnatori di oggetti per l’industria.

Il Bauhaus di Weimar, infatti, è prima di tutto una scuola pubblica, con una forte frequentazione femminile (da cui
provengono varie figure importati), cosa già abbastanza rara per il tempo.

È in sostanza un esperimento didattico innovativo, quindi una scuola pubblica nuova e democratica, nella quale allievi e
docenti studiano, vivono e lavorano insieme.

Vivono quindi in una struttura che a tutti gli


effetti richiama il campus universitario;

Ciascuno porta le proprie esperienze, ciascuno insegna e ciascuno impara, secondo una concezione culturale pragmatica,
cioè fondata sull’esperienza pratica, sul confronto (e – eventualmente – anche sullo scontro) delle idee, sulla voglia di
realizzare un’arte che sia soprattutto utile, e che sappia venire amichevolmente incontro ai bisogni della gente.

L’apprendimento si ha nei laboratori, dove si osserva una collaborazione tra allievi e maestri e
non più uno scambio separato.

Ma proprio questo tipi di apprendimento e questo nuovo rapporto tra chi insegna e chi deve
imparare, sarà visto con connotazione negativa, tanto che appunto verranno fatte delle accuse
per oscenità, bolscevismo e quindi li faranno andare via da Weimar.
Il Bauhaus è dunque un’officina di idee, prima che di opere, e al suo interno sono rappresentate tutte le tendenze della
moderna ricerca artistica:
dalla pittura alla scultura
dalla grafica all’architettura
dalla tessitura, dalla cartellonistica pubblicitaria, dall’urbanistica fino all’industrial design (disegno industriale).

Oltre i corsi pratici, erano presenti anche corsi di


carattere più teorico (ad esempio teoria del colore di
Johannes Itten, che codifica una forma).

Kandinsky, per dirne uno, era ovviamente teorico; Ogni corso infatti aveva due professori: un maestro della
anche perché con l’arte moderna si deve trovare un forma e un artigiano, praticamente un professore si
modo personale per dipingere, quindi in sostanza occupava della teoria, mentre il secondo della pratica.
vengono spiegati gli elementi teorici e poi gli artisti
vengono aiutati nella realizzazione, ma non viene
Si parla anche delle tendenze del tempo
imposto un modello da seguire.

All’interno della scuola, Gropius e gli altri insegnanti seguono gli allievi in tutte le fasi creative: dalla progettazione alla
sperimentazione, fino alla realizzazione in officina dei prototipi pronti per essere presentati e messi in produzione dalle
industrie.

Come con Peter Berhens vediamo che Gropius, insieme a Adolf Meyer, un giovane architetto allievo di Peter
Behrens, realizza le cosiddette Officine della ditta Fagus (1911), dove si noteranno ancora una volta le grandi
vetrate, sempre per richiamare il motivo strutturale e ideologico:

-
Motivo strutturale: viene usato il vetro perché abbiamo il solaio e i pilastri in cemento
armato che reggono la struttura , e il peso non è scaricato nella parete (quindi può essere fatta
di vetro).
-
Motivo ideologico: Con il nazional socialismo le fabbriche diventano un posto molto
controllato, visto che sono il luogo dove vengono organizzate le rivolte del proletario.

Viene fatto in modo che si possa vedere l’interno delle case, per dimostrare che non hanno
niente da nascondere e che la vita che conducono è limpida (trasparenza politica).

All’inizio la scuola è legata all’espressionismo tedesco e all’artigianato dal 1919 al 1924.


Alcuni artisti che prendono parte alla Bauhaus sono espressionisti e quindi portano tutto ciò che esso comporta,
quindi si vede il rapporto con il medioevo e una rappresentazione reale e brutale della realtà, ma anche un rapporto
tra uomo e materia diretto.

Il Bauhaus quindi inizialmente mira al produrre oggetti maniera artigianale con uno stile espressionista.
Il programma del Bauhaus è perfettamente riassunto in una celebre xilografia del pittore e grafico statunitense,
Lyonel Feininger, impiegata come copertina del manifesto tecnico e ideologico della scuola.

L’illustrazione dai tratti decisi e spigolosi, mostra una simbolica cattedrale del futuro
(1919) che, al posto delle croci, ha tre stelle scintillanti di luce.
Si tratta di una cattedrale laica e socialista, una di quelle che, secondo Gropius, «un giorno si
innalzeranno verso il cielo dalle mani di un milione di lavoratori quali simboli cristallini della
nuova fede».

La cattedrale era il luogo in cui non vi era solo una persona che lavorava al progetto, ma era
uno sforzo comunitario, quindi era la città insieme che creava l’edificio che rappresentava la
città stessa. Era lo sforzo di tanti (socialismo) per il bene di tutti.

Il Bauhaus era tra l’altro vicino al socialismo e lo sarà così tanto che
Hitler la farà chiudere dopo anche il trasferimento a Berlino.
Dal 1932 al 1933

Comunque la scuola attira l’attenzione in tutta Europa, proprio perché è un laboratorio innovativo, in cui si lavora in
maniera moderna, in cui avvengono delle cose che per il periodo sono sconvenienti.

Quindi gli abitanti della città spingono per far chiudere la scuola, perché conducono una vita troppo libera; quindi
Gropius deve trasferire la sua scuola.

Gropius oltre il fatto che riesce a mantiene l’idea della scuola intatta, ha la possibilità di costruire la sede stessa.
Quindi nel 1924 iniziano i lavori, terminati dopo due anni e si ha nuova sede del Bauhaus, in Germania a Dessau.

Il trasferimento del Bauhaus significò anche la possibilità per Gropius di


progettare e arredare, insieme ai suoi colleghi e allievi, la nuova sede.

Egli si riservò il progetto architettonico dell’edificio che avrebbe dovuto


costituire il vero e proprio manifesto della scuola, il che gli consentì di
realizzare una delle prime e più perfette architetture razionaliste,
esempio di straordinario equilibrio compositivo, di rigoroso studio delle
funzioni, di grande abilità tecnica e di estrema coerenza nell’uso dei
materiali.

Gropius non deve creare un campus diffuso, ma attraverso dei palazzi, deve riuscire a unire i diversi ambienti :
appartamenti, aule e laboratori.

La struttura è articolata in due volumi


principali a forma di parallelepipedo.
In uno vi sono le aule per le lezioni teoriche e
nell'altro i laboratori per le esercitazioni
pratiche.
Un lungo corpo sospeso su pilastri in calcestruzzo armato collega i due settori accogliendo
anche gli uffici amministrativi e la segreteria.
Sotto questo «ponte coperto» (che per certi aspetti può essere considerato il capostipite di
architetture sospese quali gli autogrill autostradali) passa la strada di accesso al Bauhaus.

(Usa dei pilastri prima della teorizzazione di Le Corbusier + le finestre a nastro)

Un po' discosto dal resto della struttura e collegato a essa da un basso corpo di
fabbrica adibito alle riunioni comuni e alle attività extrascolastiche, infine, si
innalza l'ostello, una palazzina a cinque piani ove sono riunite sia le camere e i
servizi di mensa per gli studenti interni, sia gli atelier per i docenti.

I laboratori sono il centro focale della Bauhaus e per il fatto che non svolgessero solo
lezioni teoriche, ma anche pratiche, si ha uno scambio di ruoli tra chi insegna e chi impara.

Quindi fa in modo che i prospetti denuncino in modo inequivocabile le funzioni che si


svolgono al loro interno: le pareti del settore dei laboratori sono sostituite da grandi vetrate
che consentono il maggior soleggiamento possibile.

Quindi utilizza le vetrate, sempre per ricollegarci al fatto che in questo modo si può vedere
cosa succede all’interno e non si da l’idea che succeda qualcosa di moralmente scorretto.
Addirittura anche lo spigolo viene fatto in modo da essere vetrato, quindi si aprono anche
lati grazie alla pianta libera.

Alle aule e all'amministrazione, invece, corrispondono lunghe finestre a nastro che percorrono
orizzontalmente le facciate per la loro intera lunghezza.
La palazzina dell'ostello, infine, è regolarmente scompartita con finestre e portefinestre a «L», con piccoli
balconcini che disegnano una sorta di scacchiera astratta.

Gli unici materiali visibili sono pertanto il vetro (che individua i vuoti), il ferro (che incornicia i vuoti degli infissi) e l'
intonaco bianco (che corrisponde ai pieni della muratura).

Gli intenti di Gropius sono quelli di semplificare e geometrizzare la propria architettura fino a renderla pura funzione.
Di conseguenza non esistono cornici né altri elementi decorativi non direttamente necessari alla struttura, e questa attinge il
proprio valore estetico dalla razionale semplicità delle forme e dei rapporti tra pieni e vuoti.

La planimetria generale, nel suo insieme, assume pertanto la forma di tre «L» variamente incastrate fra loro.
L’ostello del Bauhaus, era il luogo dove vivevano gli alunni, mentre i
professori abitavano nelle case vicine alla scuola.

La facciata dell’ostello ha forma di parallelepipedo con delle L


sporgenti, che sono le porte finestre con il balcone; gli appartamenti
sono disposti a scacchiera e questo si fa per far socializzare gli studenti
tra di loro anche negli appartamenti.
Le vetrate ovviamente non sono fatte a nastro, ma sono relative alla
stanza che si sta utilizzando.
(Il resto è in cemento armato).

Una volta che si stabiliscono nella nuova sede della scuola abbiamo un cambiamento.

Nella prima fase abbiamo che si ha un rapporto tra artigianato e espressionismo; una volta in Germania,
Gropius allontana gli artisti legati all’espressionismo e decide di inserire dentro il Bauhaus designer
industruali, persone legate all’industria.

Nella seconda fase quindi non vengono prodotti oggetti che si progettano a mano, ma prodotti che possono
essere messi in produzione. Una volta che il nazional socialismo si afferma, lo spirito di creare degli oggetti a
basso costo affinché tutti se li possono permettere pure essendo belli esteticamente, viene percepita come una
forma di bolscevismo, quindi nel 1933 Hitler chiederà la chiusura della scuola per il motivo del
socialismo e poi perché gli artisti della Bauhaus venivano considerati degenerati.
Arte degenerata è la definizione di arte che crea Hitler per giustificare la condanna per tutte le forme di arte moderna,
perché considerata da lui qualcosa che rappresenta la bassezza morale dell’uomo moderno, che non corrisponde.

La libertà creativa e l’arte non è accettata, se non per opere che esaltino regime o una certa idea di uomo.

L’artista che poi preferisce Hitler ad esempio è Arno Breker, che realizzava delle opere neo classiche, che esaltavano la razza
ariana, quindi le caratteristiche fisiche e atletiche; era quindi un’arte propagandistica per far comprendere quale fosse
l’ideale di uomo che doveva essere raggiunto da tutti.
Nuova Berlino : il pensiero di Sper e Hitler, in cui
si vedono i progetti di Berlino se il Reich non
avesse perso la guerra. È un modello di città
ancorato a quello che è il modello romano e si nota
anche il grande viale per le parate militari
Nel 1937 il 18 / 7 : apre la mostra dell’arte tedesca;
Sempre nel 1937 il 19 / 7 : apre la mostra definita come entartete kunst (arte degenerata)

Ci troviamo a Monaco e sono mostre itinerarie.

Hitler chiede al suo luogotenente di realizzare una mostra d’arte tedesca; quest’ultimo in realtà non era contrario alle
avanguardie e quindi quando seleziona una serie di autori, Hitler li ritiene agghiaccianti.
Non vuole espressionisti o cubisti e quindi riordina la mostra e crea due esposizioni: quella dei veri artisti e poi quella dei
pazzi, dei degenerati e tutto ciò che il nazismo condanna.

La seconda prenderà appunto il nome di entartete kuns: è una mostra con tutti gli artisti considerati degenerati, dove
mettevano le prese in giro per gli artisti esposti. In alcuni casi si hanno gli insulti per ad esempio, gli artisti ebrei o per
Kirknev viene esposto il suo autoritratto, ma che per Hitler condanna perché per deride i reduci di guerra e lo rappresenta
come delle scimmie, quando in realtà lui stava rappresentando il suo stato d’animo.

Hitler vuole mostrare quanto questo tipo di arte sia insensata e riprovevole; mostra praticamente l’ incapacità e si crede che
gli artisti dipingano in un modo infantile perché non sanno fare di meglio.

Davanti a questa mostra si trovava la mostra dell’arte tedesca, con tantissime sculture; quindi si aveva il paragone tra la vera
arte, basata sulla tradizione e poi l’altra, considerata ridicola. Si nota poi anche una differenza dei locali in cui vengono
esposte le opere: quella della grande arte tedesca è in un luogo rigoroso, molto museali e pulite; l’altro invece ha un
allestimento caotico, in cui compaiono delle scritte per prendere in giro le opere e quindi le cose vengono già presentate in
modo differente.

Tra l’altro la mostra era organizzata in aree tematiche: quelle che deridevano la religione, la degenerazione tecnica, oppure
delle opere contro la figura femminile e poi un settore per i pittori ebrei.

L’arte doveva essere la rappresentazione di uomini che esprimessero valori della razza ariana; si associavano quindi autori
che avevano perso arti, venivano considerati disabili e incapaci di poter esprimere la grandezza della razza.
Quindi oltre le scritte che esprimevano questo, venivano esposti i prezzi delle opere, paragonati al costo degli alimenti o un
salario di un operaio, giusto per far vedere come questo fosse immorale. Hitler praticamente vuole convincere che ci fosse
una congrega di tedeschi alleati gli ebrei per la dominazione della Germania (?).

Hitler va praticamente contro tutti gli artisti che cercano di creare nuovi percorsi e nuove strade, di vedere le cose tramite un
ottica che prevede l’incertezza e trovare un senso allo smarrimento morale.
Per Hitler questo non è accettabile perché in una dittatura non ci può essere una libertà di espressione, tanto meno quella
artistica. Parla quindi di degenerazione morale.

Hitler prima di diventare ciò per cui è conosciuto, era un pittore di acquerelli.
Il problema di Hitler con l’arte è che cerca di entrare nell’accademia di Vienna,
ma viene rifiutato per ben due volte; nel commento che viene dato per il suo
rifiuto è che ha uno stile rigido e accademico, poco sperimentale e gli
consigliano di andare in architettura perché era troppo poco aperto, troppo
impostato. Quindi poi decide di abbandonare questo campo.

Una volta che arriva al governo poi la propaganda assume un ruolo


importante: tramite parate, opere, radio e cartellonista diffonde quello che
vuole; l’immaginario di cui si ispira è quello romano, come Mussolini, anche
se lui rimarrà aperto a certe sperimentazioni nel campo dell’architettura ed è
per questo che non vi è una mostra dell’arte degenerata, anzi è presenta il
Colosseo quadrato (sede di Fendi: Casa del fascio di Como).
Oggi la libertà di espressione è garantita dall’articolo 21:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

E poi anche il pezzo che dice:


Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.
La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Nel caso dei nazisti non si poteva continuare a realizzare le opere, pur non esponendole al pubblico.
Tutte le opere che si trovavano nella mostra dell’arte degenerata, che ammontavano a un numero tale da raggiungere circa alle
700 opere, vennero confiscate e non sarebbero più appartenute né ai collezionisti, né ai musei e neanche agli artisti stessi.

Tutti gli artisti nella lista dei cosiddetti degenerati, verranno interdetti, quindi non potranno più comprare i
materiali utili a dipingere e di conseguenza saranno vietate le esposizioni e addirittura anche dipingere; in caso in cui gli
avessero visti comprare i materiali o dipingere, gli artisti potevano venire incarcerati e anche puniti.

Kirknev era stato interdetto e deciderà di suicidarsi.

Gli autori dell’arte degenerata quindi decisero di fuggire, di continuare a dipingere illegalmente e altri sceglieranno la morte,
anche nei campi di concentramento.

Le 700 opere di questi artisti verrano collezionate da privati, che in realtà pubblicamente la ripudiano ma privatamente
l’ammirano; molte verranno venduta all’esterno per finanziare il partito e tante altre saranno bruciate.
In realtà poi il Bauhaus viene considerato degenerato anche perché i mobili non sono per niente come quelli
tradizionali.

È proprio dal Bauhaus che escono alcuni oggetti di arredamento nei quali la purezza della forma e l’evidenza della
funzione si sposano in modo così perfetto da essere diventati dei punti di riferimento del gusto contemporaneo.

La poltrona Barcellona - 1929


La poltrona Barcellona, realizzata dall’architetto e designer Ludwig Mies van der Rohe in
occasione dell’Esposizione Internazionale di Barcellona di quell’anno (padiglione Barcellona: casa
ideale moderna, dentro la quale troviamo proprio la poltrona).

È ancora oggi regolarmente in produzione e la sua linea non tradisce affatto l’avere quasi un secolo
d’età.

Tale poltrona priva dei consueti braccioli, è realizzata con un’esile struttura in acciaio cromato
lucidato, piegata e saldata a croce, al fine di sorreggere i due piani inclinati della seduta e dello
schienale, costituiti da delle semplici cinghie di cuoio.

L’insieme – inscrivibile in un cubo dallo spigolo di 75 centimetri – appare di una


semplicità sconcertante e proprio in ciò sta la sua rigorosa classicità; tra l’altro non è
possibile averla non assemblata.

Viene prodotta industrialmente e ed è considerata l’emblema della seconda fase.

Poiché la forma è disegnata esclusivamente dalla funzione, essa non è legata al gusto o
alla cultura di un’epoca e, grazie a questa particolarità, è destinata a non invecchiare mai.

Nei suoi progetti Mies ricerca una continuità dello spazio che si realizza grazie a una
progressiva separazione del sistema delle pareti rispetto alla struttura portante.

Una delle tappe più significative di questo percorso è rappresentata dal Padiglione della
Germania all'Esposizione Internazionale di Barcellona, del 1928-1929.
L’ edificio costituito da un solo piano, è posto sopra una piattaforma rivestita di chiaro travertino, nella quale
sono incassate due vasche d'acqua rettangolari con il fondo lastricato in ciottoli di fiume di diverse pezzature.

Il tetto è sostituito da una sottile copertura piana orizzontale sorretta da otto esili pilastri cruciformi in acciaio e
rivestiti da una lamiera cromata che, riflettendo la luce, li rende quasi invisibili.

Lo spazio interno non è più delimitato da pareti tradizionali, fluisce liberamente


da un ambito all'altro, attraverso dei percorsi definiti da nitide lastre di lucido
marmo colorato o di vetro, simili a preziosi pannelli decorativi. Il contenuto
espositivo del padiglione diventa il suo stesso spazio, cioè un nuovo modo - aperto
e continuo - di concepire e di vivere gli ambienti, senza più stanze né pareti.

In quest'ottica anche gli arredi sono ridotti al minimo e fra di essi spicca
soprattutto la Poltrona Barcellona, essenziale quanto l'architettura che la contiene
e che - come si è visto - era stata disegnata da Mies proprio a questo scopo.

Demolito poco dopo l'Esposizione (1930), il Padiglione è stato fedelmente


ricostruito sul progetto originale (1983-1986) a cura di un gruppo di architetti
spagnoli coordinati da Ignasi de Solà-Morales.

Poltrona Vassily - 1926


Marcel Breuer, architetto brutalista e designer ungherese, ricoprì
anche la carica di responsabile del settore arredamento dal 1924 al 1928.

A lui si devono lo studio e la progettazione di sedie e poltrone in tubolare metallico, che


viene usato nelle biciclette, contando che è un materiale leggero e cavo; anch’esse ancor oggi
non solo prodotte, ma anche e soprattutto imitate.

La poltrona Vassily, la più celebre di Breuer, è dedicata all’amico Vassily Kandinsky, anch’egli
insegnante e collega al Bauhaus; si compone di appena sei elementi di un comune tubolare
d’acciaio sagomato (lo stesso allora usato per i telai delle biciclette), assemblati tra di loro a
freddo, con semplici viti cromate.

La seduta, i braccioli e la spalliera, invece, sono realizzati con sette fasce di un robusto tessuto di canapa
cucito sul tubolare stesso.

Anche in questo caso il risultato è di uno straordinario rigore formale e di una grande funzionalità d’uso.

Anche gli intenti di Breuer, infatti, in linea con gli orientamenti socialisti e democratici del gruppo, erano
quelli di creare un oggetto di design elevato ma di prezzo contenuto, dunque accessibile a tutti.

Inoltre può essere assemblata da noi, a differenza della poltrona Barcellona; è comunque una sedia
mutabile, ma comunque ha dei vantaggi enormi perché si risparmia molto spazio per quanto riguarda il
trasporto.

Nelle Bauhaus ci sono anche i centri di tessitura, in cui si formerà una delle designer più influenti del 900, Anni Alders,
che produce i pattern, che sarebbero i primi tappeti moderni. I motivo correnti dei tappeti sono considerati molto
innovativi, con forme che potrebbero essere considerati scontati, ma che in quel periodo erano definiti a l’avanguardia.
Surrealismo
La corrente artistica del surrealismo è direttamente collegata alle scoperte che fa Freud, con cui abbiamo l’interpretazione
dei sogni e si ha un cambiamento della lettura della psicologia umana.

Il fatto che di noi stessi conosciamo una piccola parte e il resto si può scovare in modo fortuito o tramite pratiche
psicoanalitiche è diventata una cosa fondamentale; se l’arte è espressione di se, sapere che esiste una dimensione che
prende il nome di inconscio, diventa una sorta di strumento che serve per fa riemergere quelle pulsioni.

Andre Bretton è fondatore del surrealismo, poeta e letterato francese, che nel 1924 scrive il manifesto del
surrealismo e definisce il surrealismo come un automatismo psichico puro; l’esempio più famoso di quelle che
possiamo chiamare associazioni libere o pensiero automatico, è il Test di Rouschet. Sono immagini create con delle
macchie apparentemente casuali, su una pagina piegata sull’altra per avere una motivo, una produzione specchiata.
Il testo consiste nel individuare cosa sia rappresentato nelle immagini e dire senza pensarci troppo a cosa penso.
Esiste ovviamente una guida alle risposte, che non è pubblica; viene dato probabilmente solo a chi ha accesso all’albo degli
psichiatri.
Gran parte della nostra personalità è imprevedibile, che noi stesso non conosciamo, perché il nostro vero essere si
manifesta tramite i lapsus ad esempio, quindi per conoscere l’inconscio dobbiamo smettere di ragionare e
controllarci.
I nostri comportamenti sono comunque legati alla razionalità, e come richiede lo stare con altre persone, perché se non
facessimo questo non sarebbe possibile una convivenza civile.

L’arte quindi per i surrealisti, rappresenta il campo in cui le costruzioni possono essere liberamente abbandonate; l’arte
diventa quindi sistema di esplorazione di se, dei propri istinti più repressi. Se vogliono davvero raggiungere qualcosa che gli
riveli loro stessi devono passare attraverso lo scassinamento della logica; per logica intendiamo quella catena di elementi
che rendono plausibili un comportamento o una reazione, cioè quello che ci frena dal raggiungimento di una bellezza legata
alla casualità e all’aggregazione di elementi che non hanno senso.

L’automatismo psichico puro quindi vuol dire liberare l’uomo da quelle dinamiche di costrizione legate al ragionamento e
quindi cercano di applicare metodi specifici e quello che definiamo come straniamento, che viene da Giorgio De
Chirico, che ha fondato la pittura metafisica, in cui si vedono atmosfere misteriose e silenziose, legata all’accostamento
di oggetti stranianti, cioè che hanno un senso nell’immagine, ma non hanno un nesso reciproco l’uno con l’altro.

Il tipo di bellezza dei surrealisti veniva definito come una bellezza bella come l’incontro di un ombrello e di una macchina
da cucire sopra un tavolo operatorio; sostanzialmente non vuol dire nulla.

L’ enigma dell’ora - 1911


Le muse inquietanti - 1917
L’incertezza del poeta - 1913

Non sono rappresentazioni della realtà, anche se rappresentano oggetti reali


che però danno origine a una realtà anomala e quindi chiamata metafisica.
Canto d’amore - 1914
È una delle opere più famose ed è una delle opere che influenzeranno maggiormente i
pittori surrealisti (Magritte pianse e si commosse, perché vede nell’opera l’arrivo di una
bellezza nuova).

De Chirico tra l’altro è un artista molto classico, che non si avvicinerà mai
all’astrattismo, che anzi disdegnava; quello che è anomalo è l’accostamento di paesaggi
comuni e un’atmosfera particolare in cui gli oggetti appaiono rappresentati senza nessun
collegamento.
Crea una bellezza non legata alla logica, ma rappresenta oggetti che tra di loro non
hanno senso: da questo punto di vista va a unire delle situazioni che creano uno
straniamento.

Un panorama urbano che sostiene l’Apollo del belvedere, una statua vaticana, è un guanto di gomma appeso che
non c’entra nulla, con una sfera in basso.

Nel loro essere slegato, acquisiscono senso in base all’accostamento.

Un altro che prende le distanze dai surrealisti, oltre appunto


De Chirico è Freud, che ebbe degli incontri con Bretton.
Rimane perplesso dalle idee dei surrealisti e non vuole che le
sue idee vengano manipolate da questi personaggi, che non
sono per niente raccomandabili, anzi vengono considerati
individui inaffidabili e caotici.
Freud non è interessato ai surrealisti e alle loro teorie,
L’unico dei surrealisti che incontrerà e gli farà una buona perché questi faranno un’operazione di rivelazione
impressione fu Dali, perché crede che lui sia essenzialmente dell’inconscio, cioè vogliono mettere in chiaro gli elementi
pazzo, quindi lo ritiene interessante solo per questo motivo. inconsapevoli del loro essere; Freud invece voleva cercare
in autori inconsapevoli di questa operazione delle tracce
dell’attività repressa o traumi infantili (Leonardo Da
Vinci); quindi è interessato a scoprire l’inconscio in opere
che si presentano come consapevoli, che in quelle dei
surrealisti che mostrano direttamente il loro inconscio.

Si esplorano tutte quelle situazioni in cui si allenta il controllo razionale: il sonno, gli stati di trance e follia, quelli stati
che svelano stati dell’io più profondi: la surrealtà.

Molte opere anche di Dali, derivano da visioni ad occhi aperti o sogni stessi; a volte vengono invece mutati degli
elementi della realtà, come una tazza coperta di pelo, che comunque genera un corto circuito mentale.
I modi e le tecniche elaborati dai pittori surrealisti per arrivare a una pittura automatica – cioè svincolata dai
processi di controllo razionale – furono numerosi. Fra essi senza dubbio sono da ricordare il frottage
(«strofinamento»), il grattage («grattatura»), il raclage («raschiatura») e il già citato collage.

Oltre queste 4 tecniche di ha il disegno automatico e il “cadavere squisito”.

Innanzitutto le tecniche vengono inventate da Max Ernst, che inventa il frottage e grattage.

I surrealisti pensano che prendendo un supporto, carta o tela che sia, e un oggetto per lasciare
un segno e lasciando fluire senza un controllo logico e quindi senza esercitare un controllo
razionale possano essere realizzate delle immagini che rappresentino sul foglio delle pulsioni
inconsapevoli.

Quindi sono opere in cui manca il fatto che l’artista debba essere in grado di disegnare, perché è
tutto frutto del nostro inconscio. È importante la lettura delle immagini, perché il nostro essere
si rivela anche attraverso proprio la lettura delle immagini.

L’altra tecnica è il “cadavere squisito” e consiste nel prendere un foglio di carta normale e
piegarlo in tante parti quanti sono i partecipanti; ogni persona quindi disegnerà nel pezzo che gli
appartiene senza sapere ciò che realizzeranno gli altri. L’unica cosa che si vede è l’inizio e le
tracce che lasciano gli altri per creare una figura unica, quindi dei semplici segni per continuare
il disegno dove era stato interrotto. L’insieme di immagini che si va a creare quindi è
incontrollabile, incontrollato e assurdo e quindi il risultato ha un effetto straniante e ha una sua
continuità, che da origine a un’opera che non ha un vero autore e che non ha un controllo, che
però appare bellissimo pur essendoci degli elementi totale tra slegati tra di loro.

Il frontage consiste nello sfregare una matita, un gessetto o un qualunque altro materiale per
colorire su un supporto (cartaceo, telato o d’altro genere) messo a contatto con una qualunque
superficie che presenti delle rugosità (un pavimento in legno o dei sacchi di iuta).
L’immagine che ne deriverà – e che sarà quindi svincolata dalla volontà dell’artefice – può
essere usata come evocatrice di oggetti e forme diverse.

Il grattage e il raclage sono le azioni del grattare e del raschiare con un qualsiasi
strumento il colore steso sulla tela, in cui venivano messi 5 strati di pittura diversa,
ad esempio uno strato giallo, uno verde ecc, in modo da far emergere o un colore
sottostante oppure la tela grezza.

Il collage, infine, accostando in modo casuale ritagli di giornali, di riviste tecniche,


di stampe, di cataloghi, di pubblicità e altro ancora, perviene a un’associazione
irrazionale di forme che, proprio per questo, diventano surreali.

Si associano quindi immagini in libertà tra di loro che devono generare un senso
surreale in chi lo guarda e in chi lo crea.
Madonna che sculaccia Gesù davanti a tre testimoni - 1926

Ernst dice di aver sognato questa scena e ovviamente crea molto


scandalo, perché blasfema, che rappresenta uno scenario
quotidiano, ma tra dei personaggi che sono fuori dalla sfera dell’
abitudinario. Breton e Paul Eluard spiano la scena da una sorta di
finestra nascosta.
Rene Magritte
De Chirico sarà un ispirazione fondamentale per Magritte nel senso che é il primo artista che va a generare un tipo di bellezza
completamente rinnovata basata non sull’accoppiamento di elementi piacevoli ma sull’accostamento di elementi totalmente
incongrui tra loro.

Rene Magritte é un artista che oggi nella cultura popolare é diventato famoso, nel senso che le sue opere (gli uomini con
la bombetta, la pipa) e tutte le sue raffigurazioni sono diventate in qualche modo delle icone anche nella cultura popolare.

Dal punto di vista biografico Magritte ha delle particolarità, innanzitutto é un artista che viene da una nazione che ha una
tradizione pittorica molto antica che é quella dei pittori fiamminghi, è un artista belga, vive la sua vita a Bruxelles, però ha
anche diverse fasi della sua vita in cui vive a Parigi, dove entra in contatto con i surrealisti.

Non in tutta la sua vita Magritte è stato così conosciuto e famoso, tanto che per gran parte la sua vita si deve mantenere con
quella che è la professione che aveva iniziato a svolgere quando era molto giovane ovvero quella di pubblicitario; in quel
tempo gran parte delle pubblicità venivano disegnate degli artisti ed è una cosa vista anche ad esempio nei futuristi, con
Giacomo Balla, e Magritte si occupa di dipingere questo tipo di immagine.
Il suo lavoro quindi è anche quello di convogliare il senso di un prodotto attraverso un’immagine.

Magritte a partire da questa sua professione tirerà fuori tantissime immagini controverse in cui giocherà proprio
sull’ambiguità del rapporto che c’è tra l’immagine che noi vediamo, il senso che diamo all’immagine che
stiamo osservando e il rapporto con il linguaggio.

Ad esempio le entità commerciali che vendono ciambelle, bar e altro anziché avere un’insegna con la scritta,
sostituiscono linguaggio scritto con un linguaggio che invece fatto di immagini che è un linguaggio più immediato da
percepire e conoscere. Questo tipo di linguaggio si troverà anche negli anni 60 con Claes Oldenburg in cui quello che
succede è che ci sono oggetti di uso quotidiano e comune che vengono sovradimensionati e messi fuori contesto.

Se si realizzano immagini per delle pubblicità, queste immagini devono avere un requisito fondamentale, devono essere
comprensibili, chiare ed efficaci, infatti nelle opere di Magritte tutto risulterà chiaro e comprensibile, tutto è perfettamente
distinguibile.

Lo stile pittorico di Magritte è uno stile che è volutamente anonimo, lui non sviluppa un suo stile pittorico ma sviluppa un
codice di immagini, e una cosa che ricorre spesso le sue opere é il cielo con le nuvole. Tutto ciò che lui dipinge lo fa facendo
attenzione che linguaggio che va ad usare sia neutro, perché a lui non interessa il modo in cui le cose sono dette ma gli
interessa il contenuto che sta facendo passare.

Una delle cose che farà in quasi tutte le sue opere Magritte sarà giocare con le possibilità che le offre l’arte.
Lui si accorge che tutte le leggi della fisica, tutte le leggi che ci vengono imposte dal mondo scientifico possono essere
contravvenute solamente in un campo: il campo dell’arte.

Una cosa che è possibile fare in arte è quella di far acquisire ad esempio a un masso di
dimensioni gigantesche la stessa consistenza di una nuvola leggerissima e quindi quello che
lui realizza in quest’opera non è altro che lavorare sulla scala di significato che
ognuno degli oggetti assume e quindi il rapporto che si può dare tra il peso del masso e il
peso della nuvola e togliere in questo modo consistenza gli oggetti o attribuirgliene.
Tutto ciò è reso possibile da un elemento solo, ovvero il linguaggio, perché attraverso esso siamo in grado,
se non di trasformare il mondo, perlomeno di creare delle proiezioni che ci danno una realtà ulteriore.

Tutte le opere di Magritte sono ispirate da situazioni paradossali, da ragionamenti sul linguaggio e allo stesso
tempo sono ispirati dai suoi trascorsi motivo per cui non troveremo delle opere che hanno delle tecniche innovative per
tirare fuori le pulsioni, ma ci saranno sempre delle opere in cui è il linguaggio a creare delle situazioni paradossali, dove
appunto il linguaggio contraddice se stesso o contraddice la realtà.

Uno dei problemi fondamentali della realtà è che noi la conosciamo attraverso il linguaggio per cui sono i nostri stessi sistemi
di riferimento a essere messi in crisi da quello che è l’approccio di Magritte.

Molte delle opere di Magritte vengono prodotte in serie, forse questo è un elemento che dipende da quella che è la
vicinanza alla produzione pubblicitaria e quindi al fatto che realizzando un’insegna l’artista si trovava a dover realizzare dei
multipli o diverse copie che poi venivano stampate.

Dell’opera come ad esempio l’impero delle luci dal 1949 al 1964 vengono prodotte 25 repliche diverse tra loro.

In quest’opera ci dovremmo troviamo di fronte a un cielo perfettamente diurno, limpido e


illuminato e invece la parte sottostante che rappresenta l’abitazione, la strada è avvolta
dall’oscurità e illuminata da un lumicino.

Se dovessimo dare un’interpretazione al rapporto che Magritte ci fa percepire con la


conoscenza, ci troveremo di fronte al rapporto della visione che noi abbiamo della
realtà e la proiezione del reale.
Condizione umana - 1933
L’opera rappresenta l’interno di un’abitazione in cui c’è una finestra con delle tende laterali che richiamano l’interno
domestico, ma anche un sipario teatrale.
Prima della finestra e della sua soglia fatta in marmo nero lucido è presente un treppiede da pittore con sopra una tela.

Quello che noi vediamo é che, quello contenuto nella cornice della finestra sembra continuare
precisamente l’interno dell’immagine pittorica che si trova sopra il cavalletto; questi due piani
vengono separati da un bordo piccolo sulla destra della tela in cui ci sono i chiodini che tengono
tesa la tela e che fanno capire che quella che si sta guardando é l’immagine di una tela e non il
paesaggio al di fuori della finestra.

Succede che questa tela sta coprendo completamente la vista dalla finestra quindi da questo
punto di vista, quello che si può percepire, é che la rappresentazione della scena sta ostacolando
la visione di quello che c’è fuori.

Il modo di concepire la realtà e il rapporto con la conoscenza di Magritte è molto chiusa nei suoi confini perché:
- la rappresentazione del reale in questo caso ci sta impedendo di vedere il reale
- non abbiamo modo di verificare che la rappresentazione e quindi la proiezione che c’è di questa immagine e l’esterno coincidano.

Se invece si considera questa proiezione interna e la finestra come un occhio con la tela come se fosse la retina, quello che succede é
che la proiezione interna dovrebbe rappresentare il reale, però non abbiamo modo di capire se è quello che noi stiamo vedendo sia
effettivamente ciò che c’è fuori.
Quindi Magritte ci sta mettendo di fronte un problema che non possiamo risolvere, in una tela da lui dipinta si trova
un’altra tela che oscura la visione fondamentalmente di quella che noi pensiamo sia una finestra ma che è un’altra
rappresentazione perché è una finestra dipinta.

Il tradimento delle immagini - 1929


È un olio su tela di 60 × 20 cm e in quest’opera si parla del rapporto tra linguaggio
scritto e linguaggio visivo, la rappresentazione, realtà e la conoscenza.

É un opera così famosa perché abbiamo la rappresentazione perfettamente


riconoscibile e dipinta di una pipa con una scritta sotto “questa non è una pipa“ e lo fa
nella maniera più riconoscibile e precisa possibile come se dovesse in qualche modo
creare un’insegna.

Il senso di questa immagine solitamente viene identificato in un gioco linguistico che ci dice
che quello che vediamo in questa immagine non è una pipa effettivamente ma è la
rappresentazione di una pipa: oggetto e rappresentazione non sono la stessa cosa.

Allo stesso tempo un’altra lettura ci dice che la scritta “questa non è una pipa” ha una
particolarità ovvero il fatto che la parola “ questa“ si riferisca alla scrittura e non all’immagine e
quindi toglierebbe valore alla parola scritta per dare valore invece quello che è l’immagine.

Con la prima teoria Magritte ci dice che quello che vediamo non è la realtà ma è la rappresentazione del
reale, è uno specchio a cui noi ci affidiamo per afferrare la realtà.
Il dominio di arnheim 1960

Ci ritroviamo all’interno di un’abitazione domestica, davanti una finestra che è stata


spaccata e ci permette di vedere all’esterno. Quello che succede è che nella parte
sottostante dell’immagine abbiamo i pezzi rotti di questa finestra, ma in questi
pezzi si rivela quello che è il problema perché non ritroviamo dei vetri
trasparenti, ma ritroviamo esattamente la stessa immagine che vediamo adesso nella
finestra che sembra spalancata. Quindi anche qui ci ritroviamo di fronte a un
cortocircuito mentale perché se i pezzi della finestra ritraggono quello che si vede
fuori dalla finestra, vuol dire che non si sta guardando fuori dalla finestra ma che si
sta guardando la finestra. Quindi si sta guardando il modo di vedere il mondo,
dandogli un significato che non è altro che la proiezione dei propri pensieri e quindi
fondamentalmente non si ha modo di accedere a quello che realmente c’è fuori.

In altre opere quello che succede è che Magritte va a giocare con la proprietà degli oggetti per
creare un tipo di espressione differente, ad esempio nell’opera valori personali gli
oggetti si evolvono e quindi va a creare dei giochi linguistici dove non sappiamo se é stata la
stanza a rimpicciolirsi oppure sono stati gli oggetti a diventare enormi.

La rappresentazione di questi oggetti ingigantiti vorrebbe dire ad esempio il rapporto che noi
abbiamo tra le percezioni delle nostre esigenze e la realtà degli eventi e quindi tutto ciò che
riguarda noi stessi, il nostro ego e le nostre preoccupazioni si ingigantiscono rispetto a quelli
che sono invece gli elementi del reale.

Gli amanti - 1928

Siamo di fronte a un rapporto con la conoscenza e quindi con il fatto che se


pensiamo questi due amanti, sono due persone che si baciano e quindi dovrebbero essere
le persone più vicine in assoluto nel mondo in quel momento, ma che in realtà sono
coperti da questi teli bianchi che non solo gli impediscono di conoscersi ma
semplicemente anche solo di vedersi, di avere un reale contatto.

Quindi questo telo bianco rappresenta l’aspetto legato all’impossibilità dell’uomo di


andare oltre se stesso, quindi ci troviamo dentro una realtà che è fondamentalmente
finzione o pressione.
Salvador Dalì
Dali è un artista spagnolo, estremamente legato alla sua terra dove, durante gli anni, manterrà una base e dove morirà.
Si tiene sempre legato alla catalogna che é la sua terra e lui nasce a Figeres, un paesino che si trova nei dintorni di Girona.
Proprio a Figeres si trova il suo castello museo che é la dimora che ormai anziano e ricco si fa costruire sottoforma di castello
surrealista.
Nella zona balneare, semidesertica al tempo di Cadaques, Dalì avrà da sempre una piccola casa che era una sorta di rifugio
per pescatori isolato, che aveva acquistato.

Dali è diventato popolare anche perché ha stretto collaborazioni con personaggi molto più famosi di lui come ad esempio Walt
Disney, tra i due c’era stata una collaborazione in cui fu avviata la produzione di un cartone animato chiamato “destino” ed una
collaborazione dove i disegni di Dali vengono animati per rappresentare una storia d’amore in un contesto talmente surreale.

Dali diventa famoso in Spagna inizialmente, poi lo diventerà in tutto il mondo, entra subito a contatto a Madrid, dove va a
studiare, con poeti come Federico Garcia e dove ha modo di sviluppare quelle che sono le sue conoscenze tecniche.

Lui si avvicinerà i surrealisti nella parte iniziale della sua carriera e a differenza dei surrealisti Dalì sosteneva
che, l’unica differenza tra lui e un surrealista é che lui era l’unico, tanto che poi i surrealisti comunque lo espelleranno.

Rispetto ad alcune tecniche che utilizzavano i surrealisti per tirare fuori il proprio inconscio, Dalì
non va verso quella direzione e sarà molto più vicino a quello delle immagini che vanno a
radicarsi in maniera molto forte sul versante quasi classico.

Dalì ma mano che andrà avanti con l’età diventerà sempre più ossessionato dall’idea di diventare
un pittore classico tanto che scriverà trattati sulla sulla pittura rinascimentale e
cercherà di scoprire quelle che erano le ricette dei colori utilizzate da artisti come
Raffaello, ricette che ovviamente sono andate perse perché erano una produzione di colori
totalmente artigianali e mescola completamente segrete e sconosciute.

Realizza delle opere ancora giovanili come “l’Autoritratto con il collo di Raffaello” che è un artista preferito in
assoluto, è un artista per cui ha l’ossessione, infatti in seguito Dalì realizzerà delle opere come la testa raffaellesca esplosa che
viene scomposta dal punto di vista atomico in elementi fluttuanti.

Raffaello da questo punto di vista è l’artista di riferimento per Dali.

Le sue opere si muovono anche nel contesto della sperimentazione, non possono mancare ovviamente le influenze
cubiste, Dali è spagnolo e il cubismo provenendo da un artista come Picasso, in Spagna diventa un linguaggio, una tappo
obbligatoria per tutti i giovani artisti che si vanno a formando.

Dali ha un culto della propria persona, anche nell’opera “ Autoritratto cubista ” va a servirsi di quello che é il
linguaggio del cubismo analitico anche se compaiono poi elementi tipici del sintetico però la frammentazione dell’immagine vista
da tanti punti di vista, il tipo di colori utilizzati richiamano linguaggio del cubismo analitico e anche di un linguaggio accademico
classico.

Dali inizia come sperimentatore e poi diventerà un artista estremamente rigoroso e


estremamente classico, lo stesso autoritratto della sorella di Dali, verrà rifatto decenni dopo
rappresentando però la sorella che viene sodomizzata da delle corna di rinoceronte dopo che la
rottura tra i due era avvenuta, perché Dali ha una rottura con la sua famiglia dopo delle
dichiarazioni che fa riguardo la madre che muore quando Dalì è molto giovane e a cui lui era molto
legato e per creare controversia Dali sostiene che lui avrebbe sputato sul ritratto di sua madre.
Dali si reca a Parigi per conoscere Picasso, perché Picasso è un riferimento per Dali anche se
hanno un rapporto un po’ di amore e odio, però si conoscono, si stimano e a Parigi conosce le
teorie di Freud e inizia ad avvicinarsi al gruppo di surrealisti.

Non era facile allora essere incluso in questi gruppi perché è un gruppo che comunque era particolarmente famoso e che
richiedeva determinate capacità e determinati standard per includere nuovi membri. Quello che succede è che
Dalì sa quali carte deve giocare per farsi includere nel gruppo dal momento che sa che i surrealisti sono interessati
a personaggi con devianze mentali abbastanza pronunciate, con atteggiamenti assurdi, con questo aspetto
dell’inconscio ricorrente, Dali fa spargere in giro l’idea di essere un coprofago e lo fa per far credere in qualche modo di
essere quasi un soggetto patologico.

Mettendo in circolo questo tipo di immagini che sono il nucleo di base dell’immagine di Dali, attira l’attenzione dei
surrealisti tanto che succede una cosa nel 1929: un gruppo di surrealisti con a capo Andrè Breton e Eluard, che era un
poeta e tra i più importanti esponenti del surrealismo e René Magritte con sua moglie vanno in gruppo a fargli visita a
Cadaques nel sud della Spagna per vedere le sue opere.

Dali ha occasione di conoscere una persona che sarà significativa nella sua vita, ovvero la moglie di Paul Eluard che si chiama
Gala. Lei sarà la persona che si occupa della promozione di tutta l’opera di Dali, diventa la persona che permetterà a Dali di
dedicarsi solamente alle sue opere perché sarà lei che poi si occuperà degli aspetti commerciali, pubblicitari e così via.
Dali era un personaggio abbastanza squilibrato sotto ogni punto di vista, molto consapevole, molto furbo nel muoversi interno
del mondo degli affari però senza Gala non avrebbe avuto la possibilità di dedicarsi totalmente ai suoi lavori.

Nei primi anni in cui si lega e surrealisti Dalì inizia a delineare alcuni punti fissi che rimarranno parte della sua
poetica futura:

⁃ le visioni paranoiche
⁃ la bellezza “commestibile“
⁃ l’interesse verso fenomeni mistici
⁃ la controversa posizione politica che é quella che lo porterà all’espulsione dal gruppo dei surrealisti.

Le visioni paranoiche: le prime opere di Dali sono tra la fine degli anni 20 e l’inizio degli anni 30 sono tutte in
questo periodo legate all’espressione del delirio attraverso la creazione di mondi onirici e surreali.

Dalì quanto fa a realizzare le sue immagini si serve di un metodo che lui stesso ammette non sa bene come funzioni, ma è un
metodo che si chiama METODO PARANOICO CRITICO.
Questo metodo che sviluppa Dalì è un metodo che si fonda sul delirio e lui si rende conto che ognuno di noi ha questo tipo di
aspetto più o meno pronunciato, lui stesso ci teneva a sviluppare questa paranoia perché la vedeva come una realtà di
carattere superiore e quindi tutte le immagini che lui va a creare vengono fuori da questo tipo di dimensione che è la paranoia
e quindi il delirio cronico. Questo significa che anche rimanendo incantato Dalì era in grado di avere delle visioni di questo
tipo che producevano in lui delle associazioni totalmente assurde.
La parte critica consisteva nell’analizzare questo campionario di immagini e nel dare un’analisi critica di tutti gli elementi.
Dalì era un grande appassionato degli scritti di Freud tant’è che Dalì realizza un ritratto di Freud e quest’ultimo dice che Dalì è
l’unico surrealista che lui apprezza e si rende conto che da questo punto di vista la follia di Dalì, la paranoia è un qualcosa di
fondato.
La persistenza della memoria - 1931
È un’opera di piccole dimensioni, si trova negli Stati Uniti in uno dei musei dedicati a
Dalì. Quest’opera ha avuto questo successo perché è un’opera che tende a catturare
l’attenzione per vari motivi. Ci sono delle elementi ricorrenti: è un olio su tela, è
un’opera che ha come ambientazione lo scenario della baia di Cadaques e poi il terzo
elemento familiare è l’autoritratto di Dalì che si trova in forma biomorfa allungata che
ha delle ciglia lunghissime e il naso.

Qui compare per la prima volta la rappresentazione degli orologi molli.

Quando Dali raccontata la genesi di quest’opera, ha raccontato di essere rimasta a tavola, dopo che Gala era uscita con degli
amici, a guardare un pezzo di formaggio molle che si scioglieva e in seguito quando va a dipingere quest’immagine si è
trasformata in un’immagine che fa dilatare le forme in orologi.

Compaiono tre orologi molli adagiati sopra delle forme precise e poi uno che invece viene rappresentato chiuso.
Gli orologi aperti molli non hanno un’ora facilmente leggibile e, quest’opera è famosa dal punto di vista
interpretativo perché ci pone davanti quella che è una rappresentazione visiva di quella che é la teoria
della relatività del tempo, quindi il fatto che il tempo non è un fattore rigido, controllabile e identico per tutti, ma il
tempo è una forma plastica e che si modella.

Il paesaggio è rappresentato all’alba, una cosa significativa è che l’orologio chiuso e fermo è pieno di formiche quindi come un
cadavere in putrefazione e quindi rappresenterebbe da questo punto di vista l’eternità, la fine del tempo ed un eternità a cui si
accede solo tramite la morte.

Sogno causato dal volo di un'ape


L'atmosfera complessiva, da ambigua e polivalente, si fa incredibilmente nitida e tersa.
Lo spunto, come il titolo stesso ricorda, è quasi banale.

L'artista stava dormendo quando un'ape che gli volava attorno improvvisamente lo
punge. Dalí cerca di fissare la folla di visioni attraverso le quali il suo inconscio gli ha
comunicato - in una frazione di secondo - l'avvenuta puntura.

In basso, bellissima nella sua sensuale nudità, Gala (la compagna dell'artista) riposa, sollevata magicamente sopra un piatto
scoglio frastagliato, che forse ricalca l'andamento delle coste bretoni. Gala Eluard è moglie, musa ispiratrice e amante ma è,
soprattutto, l'ingrediente erotico più ricorrente nei sogni di Dali. Una baionetta appuntita sta per trafiggere il braccio destro della
donna; siamo nell'istante che precede la sensazione del dolore, ma l'arma appuntita rappresenta, nel contempo, anche un
evidente simbolo sessuale.

La percezione della puntura dell'ape, che a sua volta ronza intorno a una melagrana sospesa a mezz'aria (in basso a destra), viene
ingigantita dal sogno. È per questo che assume la forma mostruosa di due tigri feroci che balzano fuori dalle fauci di un pesce a
sua volta scaturito da una rossa melagrana spaccata.
Sullo sfondo un inverosimile elefante dalle esilissime zampette di insetto regge un obelisco sulla groppa, reinterpretazione
surrealista dell'Elefante della Minerva, realizzato a Roma dal Bernini nel 1667. Il pachiderma, nonostante il carico, riesce a
camminare sull'acqua con la leggerezza di una libellula, come se fosse in grado di sfruttare la tensione superficiale dell'acqua,
senza neanche increspare la speculare piattezza d'un impossibile mare senza onde.
Cercare significati, anche in questo caso, ha poco valore; del sogno conta più la sensazione d'insieme rispetto al singolo
particolare che, anche se curioso o inverosimile, ha una sua logica solo se visto nel complesso dell'attività onirica.

Al gusto quasi fumettistico che l'artista pone nel rappresentare le tigri e il pesce si contrappone la perfezione d'un nudo più
eroticamente realistico che astrattamente accademico.
In questo come in quasi tutti i dipinti di Dali non è possibile riscontrare alcuna unitarietà.
Ciò dipende dalla natura stessa dell'ispirazione, che, attingendo alle dimensioni del sogno o della paranoia, è necessariamente
frammentaria, visionaria e incoerente.
Nell’opera Il grande masturbatore - 1929 rappresenta degli
elementi biomorfi, degli elementi in cui possiamo riconoscere
delle forme viventi.

Il corpo ha una specie di forma oblunga in cui è presente una


riga in mezzo, un’amo da cui fuoriesce una forma flaccida, un
naso che è la parte che poggia a terra, un occhio con delle
ciglia lunghissima, un sopracciglio e anche la rappresentazione
della testa di Dalì. Quello che fuoriesce da questa testa
sembrano essere i suoi pensieri inconsci in cui compaiono
diversi simboli fallici come ad esempio la calla, da cui fuoriesce
poi questa donna che Dalì racconta essere stata presa da una pubblicità di un profumo che lui ha visto su una rivista e che
sembra odorare questi genitali che sembrano rappresentati di marmo mentre le gambe sono delle gambe reali.

Tutto questo flusso di pensieri insieme al leone, fuoriescono dalla testa di Dalì e si uniscono come una serie di elementi
che lui può aver visto e che nel suo flusso paranoico e onirico vengono proiettati fuori. Tutto questo però ha a che
fare con il desiderio e anche con la morte, perché uno degli elementi che compare molto spesso nelle opere di Dalì
è la cavalletta in putrefazione; la cavalletta è un elemento di cui già lì aveva fobia e viene rappresentata rovesciata e in
putrefazione perché, spesso, viene rappresentata la cavalletta ricoperta da delle formiche.

Quindi già nella creazione di quest’immagine si vede che la poetica di Dalì consiste nel dare corpo a una serie di
elementi apparentemente sconnessi e logici ma allo stesso tempo questi elementi vengono uniti in un
insieme unico, in un panorama che è un paesaggio realistico. I paesaggi delle opere di Dalì vedremo che sono
sempre legati alla località marittima di Cadaques.

L’enigma del desiderio - 1929


Il paesaggio rappresenta una spiaggia che si allunga l’infinito fino a incontrare all’orizzonte il cielo.
Qui è presente un’altra immagine ricorrente che è la testa di leone da un lato che rappresenta
l’altrego di Dalì e poi ritroviamo la testa di Dalì rappresentata nel solito modo nella quale fuoriesce
una grande escrescenza che in qualche modo si può leggere come l’inconscio dell’artista, ha una
forma bucata e all’interno di questi buchi c’è scritto “ma mere” che vuol dire mia madre in francese.

Sono delle opere abbastanza paranoiche e deliranti nel senso che dall’inconscio di Dalì viene fuori
quello che l’immagine erotica e del desiderio legato all’immagine della madre.

Questa è un’ossessione che Freud mette spesso in evidenza nel rapporto alla maternità, la figura femminile appunto il
cosiddetto trauma di Edipo e da questo punto di vista Dalì cercherà di dare corpo a queste teorie.

Poi c’era la cosiddetta bellezza commestibile in cui molte delle opere di Dalì torneranno diversi elementi ricorrenti che
hanno a che fare con il cibo, con il mangiare, con l’andare in putrefazione del cibo.

Nell’opera Busto di una donna retrospettivo, ad esempio viene proprio


rappresentato il busto di una donna che ha sopra la testa una baguette a forma di
cappello mentre regge due figure ovvero due contadini che si trovano a pregare
davanti un pezzo di terreno.

Oppure anche nell’opera Pane antropomorfo Dalì rappresenta


un pane come se fosse un pene in erezione con sopra un calamaio
e un orologio fuso.
Anche in quello che è il suo Autoritratto molle con la pancetta fritta,
Dalì associava il rapporto molle/duro a rapporto tra uomo e donna,
per lui la femminilità rappresentava l’elemento molle e morbido
mentre l’uomo rappresentava l’elemento della durezza.
In questo caso si ha un pezzo di bacon mentre accompagna questo autoritratto di Dalì
che sembra quasi sciogliersi.

L’enigma di Guglielmo Tell - 1933


Viene rappresentata questa figura che aveva una natica allungata e tenuta da una
bacchetta. Lui avvierà anche una produzione di queste bacchette,
voleva utilizzarle per far reggere i nasi delle signore nobili per cui produce una
serie di queste bacchette in oro che una persona doveva mettersi nel naso per
tenerlo dritto.
Rappresenta la figura di Lenin che è una figura che ritorna spesso nelle opere di
Dalì e la rappresenta in maniera molto simile a suo padre, che tiene tra le braccia
un bambino, che sarebbe il bambino di Dalì anche se non ha mai avuto figli e
lo rappresenta come un elemento commestibile, come una sorta di panino che sta per essere morsicato.
Il piede molto classico perché sembra ripreso da una statua greca e rappresenta nelle biglie molto piccole la faccia di Dalì e di
Gala, che era un rapporto che il padre di Dali disapprovava.
Inoltre aggiunge elementi come la pancetta fritta appoggiata sulla natica allungata e anche la visiera allungata; compare anche
l’orologio molle che diventerà una delle firme di Dalì, sopra il ripiano di marmo che ricorda un sarcofago.

Una delle paranoie è l’avversione di Dalì verso il comunismo.

Lui verrà cacciato dal gruppo dei surrealisti proprio per le sue posizioni politiche.
Il capo della congrega dei surrealisti è Andrea Bretton e darà una visione molto particolare di Dalì, tanto che conierà
l’anagramma con cui Dalì è conosciuto ovvero Avida Dallars o avido di dollari.

Dalì si ritrovò perfettamente a suo agio con questo tipo di anagramma, perché lui non nascondeva l’ambizione commerciale
della sua produzione. Dalì viene espulso dal gruppo dei surrealisti perché confessa di avere una sessione erotica
per la figura di Hitler, non è omosessuale ma confessa di sognare spesso Hitler e di essere particolarmente eccitato dalla
bretella che attraversa diagonalmente la divisa di Hitler e da quello che é il petto di Hitler. Quando i surrealisti sentono che lui
ha sviluppato questa sessione per Hitler lo convocano a una riunione perché devono decidere di cosa farne di lui, Dalì era
preparato alla lotta con i surrealisti e sostiene la sua ipotesi in cui dice che secondo lui Hitler ha 6 capezzoli e 12 peni e che lui
era fortemente attratto da questa figura. Ovviamente i surrealisti si rendono conto che da lì li stava prendendo in giro e Dalì
viene definitivamente espulso dal movimento dei surrealisti.

Dalì è uno dei pochi artisti all’avanguardia che rimane vicino al regime di Francisco Franco, realizzò anche dei
ritratti di Franco. Dalì inoltre realizza anche oggetti per la moda come ad esempio un cappello che produce con la stilista Elsa
Schiaparelli, produce degli oggetti surreali come ad esempio il telefono con l’astice come cornetta.

Viso di Mae West - 1931


Mae West era un’attrice molto famosa Hollywood ed è un’opera che viene replicata da Dalì
anche come un ambiente.

È un ritratto di una donna ma che è formato da diversi elementi ambigui che costituiscono
l’ambiente: le labbra rappresentano un divano, il mento è rappresentato da dei gradini, il
caminetto che rappresenta il naso, i due quadri che rappresentano gli occhi dell’attrice infine le
tende che sembrano un sipario formano i capelli.

L’immagine si può leggere in diversi modi, può essere un ambiente, un salotto e questo
slittamento continuo è una cosa che interessava molto Dalì e che poi svilupperà in
diverse opere.

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