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"La sublime sintesi di un pensiero creativo”

Gli anni di Kandinsky a Parigi (1934-1944)

L’attività pittorica degli ultimi dieci anni di Kandinsky viene, ancora oggi, giudicata dalla critica
come momento stazionario e di secondaria importanza della carriera artistica del maestro astrattista,
questo perché i suoi lavori, come affermerà anche nel 1958 suo nipote Will Grohmann, nella
monografia che dedicherà allo zio, gli ultimi anni della sua attività si limitano a impugnare un
estremo “senso di incomprensibile sintesi formale”1. Sottolineando anche di come per suo zio sia
stato necessario rimuovere la distinzione fra ‘conoscenza e arte e fra arte e conoscenza’. Rivelando,
poi, alcune sue parole in merito: “Il muro tra l’arte e la coscienza vacilla e che ormai è giunto il
momento della Grande Sintesi2”.
Difatti, molti testi trattanti la biografia del maestro russo trascurano del tutto, purtroppo, tale suo
periodo artistico.
A corroborare quanto sopra vi è l’epistola, spedita al nostro pittore dall’artista Alexandre Benoise,
in cui quest’ultimo gli scrive in merito alla visione della sua ultima mostra a Parigi:

 Permetta la massima sincerità. Ieri ho visto la sua mostra e l’ho passata in rassegna nei minimi
particolari, ne sono tuttavia uscito con la convinzione di non aver capito proprio nulla! Proprio perché
quest’arte mi trasmette un senso di disagio. Ovviamente vi è implicita una certa insufficienza organica. Sono
anche disposto ad ammettere che in teoria, un’arte del genere possa esistere. Tuttavia non mi è stato
concesso di capire e a apprezzare quest’arte e, di conseguenza, se l’arte non mi comunica nessun piacere,
io purtroppo non la capisco e non l’accetto . Sono un incorreggibile “celebratore di immagini” e pertanto
per avvertire quel brivido inconfondibile, ho bisogno di immagini…>>3.

Ho voluto sottolineare tale concetto perché, anche se la lettera è stata ricevuta nel 1936, le parole in
essa riportate sono le medesime che sento ripetere, pedissequamente, ancora oggi, che ricorre l’anno
2022.
Vorrei sottolineare come il “nuovo” (in tal contesto -lo stile-) e il “diverso” (-i soggetti scelti-),
portino l’uomo a standardizzare alcuni canoni secondo cui se quel che si osserva non è “bello” in
maniera oggettiva, nonché esteticamente piacevole, il fruitore avverte dentro di sé una sorta di
rifiuto percettivo ideologico, per cui l’osservato gli appare incomprensibile e, di conseguenza
“brutto”.

1
V. Kandisnsky, La Valeur d’un oevre concréte, in <<XXe siécle>>, vol. I, n. 5-6, pp. 48-50 (trad. it. Il valore di un’opera concreta).
2
Ibidem
3
Kansinsky a Parigi, Catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 1985, p. 20.
1
Gli anni parigini kandiskyani coprono l’ultima decade di un itinerario pittorico affrontato sotto il
segno di uno sperimentalismo artistico. Trattasi, dunque, del capitolo finale della biografia di un
pittore che ha lasciato l’impronta sulla cultura degli ultimi due secoli.
A nostro avviso, al contrario delle critiche sopra menzionate, il decennio francese corrisponde al
momento di piena maturità del pittore, non solo dal punto di vista del suo sopraffino modus
operandi ma anche, e soprattutto, per quel che concerne il suo stupefacente e pragmatico pensiero
filosofico-concettuale.

Sono stati gli eventi storici a spingere Vasily e Nina Kandinsky a Parigi. Il Bauhaus a Berlino aveva
chiuso e il pittore cominciava ad avvertire il peso della minaccia nazista. La famiglia pensò molte
volte di trasferirsi anche in America, dove l’uomo aveva un bel giro di affari, ma se ne discostarono
ogni qualvolta la suddetta idea balenava nelle loro menti.
Gli anni tormentati del periodo prebellico e dello scoppio della guerra, spingeranno il pittore a
un’insaziabile produzione di lavori su carta, difatti il soggiorno nell’antica Gallia, porterà a una
corposa creazione di acquerelli, gouache e disegni.

Pochi sono i cambiamenti apportati dal maestro russo alla sua tecnica pittorica. Egli ha infatti
sempre rifiutato le regole osservate in tutte le scuole d’arte, circa la miscela di tempera e di olio,
preferendo di gran lunga passare sulle superfici dipinte con la china, e far uso di smalti e di altri
materiali. È risalente, difatti, proprio a questi anni l’unica tecnica innovativa che adotterà nelle sue
tele, ovvero l’aggiunta di uno strato di sabbia affinché la superficie pittorica risulti più grumosa,
tattile e tridimensionale alla vista.
Agli inizi della sua attività l’astrattista aveva privilegiato il valore del colore, rilegando il disegno a
un gradino a esso sottostante. Allora le sue composizioni di fondevano sulla ricerca di un equilibrio
tra le varie macchie di colore, nel periodo da noi analizzato invece, la linea e il colore assumono
ugual importanza.
Negli ultimi suoi oli il disegno è sempre ben definito: ogni zona colorata è scrupolosamente
delineata nelle sue forme e a volte tali zone sono perfino profilate in bianco e nero.
La caratteristica essenziale di K. durante gli anni parigini è costituita dalla “ricerca di forme nuove”.
Egli arriverà dunque a una DEGEOMETRIZZAZIONE: allorché il cerchio si schiaccerà in ovale, il
quadrato diverrà rettangolo e il triangolo si trasformerà in trapezio.
Vasily rimarrà attonito dinanzi alla meraviglia e alla complessità delle forme animali che riscoprirà
nelle ricurve sinuosità di uno stelo di falce carico di spore, ad esempio. Comincerà, quindi, a

2
raccogliere illustrazioni dai giornali scientifici: sezioni trasversali al microscopio, embrioni, animali
preistorici e tartarughe.
<< Nella natura non esiste la linea dritta>> aveva detto Delacroix, e il pittore astrattista aveva
fatto suo tale aforisma.
Questi tempi sono contraddistinti da una svolta verso il cosmo e da un’attenzione verso l’amorfo.
Queste forme provengono dunque dal mondo della biologia, in particolar modo dalla zoologia e
dall’embriologia.

Infastidito fortemente dai tentativi dei critici di ricondurre le sue origini a quel movimento artistico
che è il Cubismo, il 10 Maggio del 1937 scriverà:

<< Il solo punto su cui ho qualche dubbio è la differenza tra i due movimenti. Il cubismo e l’arte astratta
(che io preferisco chiamare concreta) entrambi derivano da Cezanne , ma in seguito si sono sviluppati
indipendentemente l’uno dall’altro. Essi si sono affermati quasi contemporaneamente, nel 1911. Il cubismo
è un po’come un fratello dell’arta astratta, ma assolutamente non il padre>>.

Su questa linea egli tenta anche di mantenere le distanze dal Costruttivismo, affermando che
quest’ultimo derivi dal movimento picassiano e che dunque elude tutto il sentimento o l’intenzione,
il che conduce a una forma d’arte fondata unicamente sulla “ragione” e sul “calcolo matematico”.
<< Il costruttivismo è quindi un mezzo per dipingere un quadro che deve essere costruito. Questo
non vuol dire che un quadro una volta costruito sia arte. Il cammino da me intrapreso è stato un
altro: naturalismo, espressionismo, arte astratta>>.

Il pittore russo negli ultimi suoi anni di vita si abbandonerà alla più spigliata improvvisazione e si
tufferà in un mondo magico e incantato. Frequenterà molto da vicino artisti come Mirò, Arp e
Agnelli, definendoli, addirittura, i suoi “Eredi Spirituali”.

3
V. Kandindky; Composizione x, 1938/39, Olio su tela, Dusseldorf.

Importante per analizzare la presente opera è ricordare di come l’autore avesse un’avversione nei
confronti del colore nero, definendolo testualmente: “l’eterno silenzio senza futuro. Ogni altro
colore, anche quello che ha il suono più debole, acquista un suono più forte e più preciso, a
differenza di quanto avviene su un fondo bianco”.
Composizione X è, difatti, l’unica grande tela policroma tentata dall’artista su uno sfondo nero,
successivamente non avvertirà più l’esigenza di ricorrere a questo colore in dipinti su tela.
I punti colorati rappresentati, rievocano le prime pitture fiabesche dei suoi primi quadri russi.
Quasi nessun elemento geometrico, nella tela, è regolare e i colori assumono un’estrema
brillantezza, in contrasto con lo scuro fondo policromo. Sono presenti forme zoomorfe, forme
geometriche alterate, ovuli che aleggiano in uno spazio ben definito e strutturato. Tutto assume una
gerarchica sequenzialità, anche se al contempo sembra che gli elementi iconografici siano sparsi
casualmente sul piano pittorico. L’autore riesce a espletare, con estrema eleganza e sopraffina
sinuosità, l’essenzialità della semplicità della forma. Vi è qui difatti un ritorno al figurativo, ma
costruito con delicatezza e linearità.
La grandissima spiritualità che accompagna questa opera, fa sì che nel contemplarla, si provi una
fortissima emozione, questo perché il silenzio e la tenebrosità del supporto pittorico, accostato alla
resa dinamica e silente del gesto, porta l’osservatore a percepire con mano l’estremo pathos che il
maestro russo provò al momento della sua creazione:
“Tutto è buio all’interno della mia anima, solo corpi amorfi e forme impure aleggiano nello spazio
cosmico. Colori forti che brillano come astri riportano la mia anima a contemplare la maestosità
dell’infinito” (aforisma appuntato dalla scrivente mentre osserva il presente dipinto).

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