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GIARDINO MAGICO, PAUL KLEE

Paul Klee (1879-1940), pittore di origine svizzera, rappresenta, insieme a Wassily Kandinskij, il
pittore che ha dato il maggior contributo ad una nuova pittura fondata su caratteri astratti. Egli però,
a differenza di Kandinskij, non ha mai praticato l’astrattismo come unica forma espressiva, ma l’ha
inserita in un più ampio bagaglio formale e visivo dove i segni e i colori hanno una maggiore libertà
di evocazione e rappresentazione. Si potrebbe dire che, mentre per Kandinskij l’astrattismo
rappresenta una meta, per Klee l’astrattismo è un punto di partenza per rifondare una pittura che
rappresenti liberamente il mondo delle forme e delle idee.

Figlio di un musicista, viene anch’egli educato da giovane alla musica, ma le sue scelte sono ben
presto orientate alla pittura. La sua formazione è lenta e solitaria. Egli giunge in contatto con il
mondo delle avanguardie storiche solo intorno ai trent’anni, quando nel 1911 conosce gli artisti che
hanno dato vita al Cavaliere Azzurro (Alfred Kubin, August Macke, Wassily Kandinskij e Franz
Marc). Nella mostra del 1912 di «Der Blaue Reiter» vengono esposti 17 lavori di Klee. Nello stesso
anno conosce a Parigi Robert Delaunay, pittore cubista, le sui ricerche sul colore e la luce lo
influenzeranno in maniera determinante.

L’attenzione di Paul Klee per l’arte infantile, argomento raramente trattato dagli artisti europei, ha
probabilmente una data d’inizio: il 1902. È in quel momento che l’artista ventitreenne riscopre
casualmente i propri disegni d’infanzia conservati nella soffitta della casa di famiglia.
Per Klee richiamarsi all’infanzia non significa mitizzare l’età dell’innocenza quanto piuttosto
tornare ad una fase primordiale, un momento magico nel quale la razionalità non interferisce con la
creazione che diventa così un momento d’imprevedibilità, al di fuori di ogni tipo di
programmazione. “I signori critici – scrive Klee – dicono spesso che i miei quadri assomigliano
agli scarabocchi dei bambini. Potesse essere davvero così! I quadri che mio figlio Felix ha dipinto
sono migliori dei miei.” E ancora: “Vorrei essere come appena nato, ignorare i poeti e le mode,
essere quasi primitivo “.

DESCRIZIONE DEL DIPINTO

Il quadro presenta una tecnica innovativa, a lui piace sperimentare, infatti il supporto è costituito da
una rete metallica riempita di gesso.

l dipinto presenta un fondo privo di dimensione, un colore denso e corposo lo fa rassomigliare al


magma primordiale da cui, come in un sogno, affiorano in ordine sparso edifici instabili e senza
profondità, finestre isolate, navi che galleggiano nel vuoto, elementi circolari decorati con merletti,
tendaggi, la luna ed un sole ridente rappresentato come fosse opera di un bambino.

Al centro affiora dal nulla una figura femminile il cui volto a cuore poggia su una sorta di coppa e
in un incastro di forme disparate si conclude in una struttura verticale piantata su un cerchio.

Sono immagini dalle forme semplificate, sproporzionate ma espressive, come è la realtà vista da un
bambino.

Il tendaggio in alto sulla destra ricorda la tenda del mosaico di Teodora a S. Vitale, eco del viaggio
che quell’anno aveva compiuto a Ravenna.

Ma vi è anche un tributo all’amico Kandinskij nel cerchio blu, che allude al quadro Alcuni cerchi
che il pittore russo dipinse proprio quell’anno. Il cerchio ricorre spesso nell’arte di Kandinskij che
lo considerava elemento cosmico simbolo della conciliazione degli opposti: lo stabile e l’instabile.
Quest’opera, inoltre, ci ricorda Jean Dubufett e l’Art Brut definita “arte grezza” che si contrappone
consapevolmente all’arte bella o arte colta.
E’ un’arte rozza, primordiale, non mediata, spesso scandita da una ritualità incontrollabile. Include
l’arte dei popoli cosiddetti primitivi, quella dei bambini, dei malati psichiatrici, dei carcerati. È
la grezza espressione di una visione libera da vincoli culturali, di coloro che vivono in condizioni di
reclusione, costrizione o marginalità, ossia degli artisti inconsapevoli che vivono, spesso loro
malgrado, all’insegna dell’esclusione sociale.

Nell’arte di Jean Dubuffet, così come in quella, ad esempio, di Jean Fautrier e Alberti Burri, la
materia è dominante sugli elementi segnici e gestuali: la materia ha una valenza espressiva, spesso
brutale, che mette in crisi la dicotomia pittura-scultura.

La materia di Dubuffet potrebbe essere definita burrosa. Dopo aver spalmato velocemente il
supporto di pittura o impasto, Dubuffet proseguiva con spatole e lame incidendo la superficie, quasi
un lavoro scultoreo di aggiunta e sottrazione.
Su sfondi i cui colori acidi o carnosi possono suscitare un’attrattiva macabra, galleggiano esili
figure appena abbozzate, veri e propri graffiti nell’impasto. Paesaggio ed essere viventi sembrano
un’unica creatura buffa, puerile, anti-graziosa.

Dhotel Nuance d'abricot 1947

monsieur plume with creases in his trousers 1947

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