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Astrattismo

Con il termine “astrattismo” si indicano quelle correnti artistiche nate in Europa intorno al 1910 che
rifiutano le forme figurative tradizionali e la rappresentazione di oggetti. Alcuni astrattisti ritengono
di potere esprimere una nuova spiritualità attraverso il libero uso delle forme e del colore; altri
ricercano una perfezione e armonia ideali nella purezza delle linee e delle forme geometriche.

Nei movimenti artistici precedenti la realtà è deformata, manipolata, ricreata, ma non viene mai
completamente eliminata. L'Astrattismo invece rappresenta immagini estranee al mondo reale. Le
figure astratte non imitano la natura, sono pure invenzioni dell'artista. L'arte diventa sempre
più autonoma, elimina la "raffigurazione di un soggetto", diventa pura invenzione espressiva. Si
definisce quindi astratta o non-figurativa l'arte che non riproduce o rappresenta immagini
riconoscibili ma ne fa appunto astrazione.

Non necessariamente l'artista parte dalla realtà e ne astrae la forma. La mancanza di oggetti o temi
leggibili non significa mancanza di significato. I significati sono però solo espressi dalle linee, dalle
forme, dai colori. Come la musica può evocare sentimenti e pensieri senza riprodurre alcun dato
scientifico, la pittura non ha bisogno di imitare o rifarsi alla realtà.

Paul Klee: "L’arte non rappresenta il visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è."

Per alcuni astrattisti l'arte astratta ha comunque un valore evocativo, emotivo, per altri invece si
tratta di eliminare il sentimento e trovare la forma assoluta.

Nel 1911 alcuni artisti, tra cui Kandinskij, Klee e Marc, fondano Il Cavaliere Azzurro, un gruppo
che diffuse le idee le tematiche dell'avanguardia. Il Cavaliere Azzurro mantenne un intenso rapporto
con Delaunay, che nello stesso periodo lavora in Francia con forme, colore e ritmi cromatici puri. I
pittori del gruppo sostenevano un'arte basata sull’interiorità: l'artista cerca, attraverso forme
semplificate e colori puri, una rappresentazione diversa rispetto a quella suggerita dal reale. Gli
artisti del Cavaliere azzurro erano attratti dalle forme spontanee ed essenziali dell'arte primitiva e
della libertà espressiva del mondo infantile, estraneo ad ogni regola compositiva.

Vasilij Kandinskij (1866 - 1944)


Kandinskij nasce a Mosca il 1866. È la zia Elizaveta Tičeeva la prima ad avvicinarlo al disegno,
quando Kandinskij era ancora molto piccolo. Egli si laureò a Mosca nel 1891 in diritto ed economia
politica. Nel 1896 però si trasferì a Monaco per studiare pittura all'Accademia di belle arti, nella
classe di Franz von Stuck, cui era iscritto anche Paul Klee.

In questo primo periodo la pittura di Kandinsky oscillò tra diverse tendenze: se i dipinti tra il 1900 e
il 1905 sono nettamente impressionisti, tra il 1905 e il 1908 paesaggi a forti colori, con pennellate
larghe e dense, che rivelano nell'intenso cromatismo l'accostamento ai fauves (conosciuti a Parigi
nel 1905), si alternano a opere intinte di una cadenza romantica, memori del folclore russo.

I paesaggi di Murnau sono le prime opere originali: le diverse versioni della Chiesa a Murnau e i
paesaggi alpini annunciano l'emancipazione dalla natura e le ricche armonie di colori delle
"Improvvisazioni". Con tale titolo Kandinsky indicò i quadri che traggono origine da un'emozione
interiore; con quello di "Composizioni" le pitture che si sviluppano da studi precedenti, nella cui
costruzione interviene la coscienza dell'artista.

Gli anni 1910-1914 furono i più fecondi di Kandinsky: gli oggetti perdono gradualmente
la loro realtà ottica e cedono a una realtà assoluta di forme e di colori. Nel 1912 egli pubblica uno
dei suoi più importanti libri riguardanti l’arte, Lo spirituale nell’arte.

Allo scoppio della guerra nel 1914 ritornò a Mosca, dove insegnò all'Accademia e ottenne, nel
1920, la fondazione dell'Accademia russa delle scienze e delle arti. Ritornato in Germania nel 1921,
entrò a far parte del gruppo della Bauhaus. Nel 1926 pubblicò il suo saggio più importante sulla
prassi della pittura astratta: Punto, linea e superficie.

Con l'avvento del nazismo si trasferì a Parigi, dove trascorse i suoi ultimi e dipinse i quadri del
cosiddetto periodo della "grande sintesi". Riemergono i ricordi della gioventù e i legami con
l'Oriente; con una ricchezza inventiva e un'esuberanza quasi barocca Kandinsky aggiunse sabbia al
colore, differenziò i piani ed elaborò intrecci che ricordano damascherie e stoffe preziose.

Paesaggio con Macchie rosse (1913)


L’opera segna una fase intermedia, di passaggio dalle opere di Murnau all’astrattismo.
Il quadro rappresenta probabilmente un villaggio nel quale si può scorgere una chiesa con un
campanile, il cimitero e alcune case. Sullo sfondo sono poi riconoscibili delle montagne.

Le macchie rosse sono distribuite secondo una logica precisa e un equilibrio: una delle macchie si
trova al centro del dipinto e le altre le riecheggiano intorno a formare una sorta di ellisse,
distribuendosi in maniera equilibrata ed equidistante.

Come anche nell’Assunta di Tiziano, dove la figura della Vergine crea un triangolo con gli apostoli
che come lei indossano abiti di colore rosso, la disposizione dei rossi regge la composizione: gli
artisti quindi, sebbene non lavorino più in chiave figurativa o comunque naturalistica, compongono
gli elementi visivi sempre con attenzione ai pesi e agli equilibri di forme, colori e superfici,
spogliandosi dell’aspetto descrittivo delle cose.

La macchia rossa al centro è posta sulla facciata di una chiesa, al posto della croce. L’elemento
iconografico viene quindi sostituito con il colore, che diventa rappresentativo dell’importanza e
della simbolicità dell’edificio su cui è posto.

Stilisticamente il quadro, nonostante sia un olio, assomiglia ad un acquarello. Infatti le linee e i


colori sono sfumati. I contorni sono spezzati e a volte restano aperti, non chiudendo del tutto le
forme. Il colore non rispetta i contorni e a volte ne esce. Questo è sinonimo di libertà espressiva e
pittorica. I colori sono in alcuni punti più saturi e in altri più trasparenti e sfumati. Lo sfondo è
invece bianco e luminoso che dà un senso positivo e sereno dell’immagine.

Nell’opera è presente la volontà di trovare quell’ingenuità e


autenticità che caratterizza i disegni dei bambini, che
Kandinskij studiò e osservò. Il primitivismo infatti si
traduce, oltre che con la riscoperta delle antiche culture,
anche come la ricerca delle prime forme creative dell’essere
umano.

Nei testi Lo spirituale nell’arte (1912) e Punto, linea,


superficie (1926) l’artista traccia le linee guida per far
comprendere la sua arte. Egli afferma che l’arte dovrebbe
assomigliare alla musica, e mette in parallelo colori, forme
e suoni in funzione del loro valore espressivo. Come la
musica crea suoni che in natura non esistono così fa il
quadro astratto, creando delle immagini che in natura non esistono, e questo arricchisce la nostra
vita e la nostra percezione.

Primo acquarello astratto (1910)


L'opera di Kandinsky conosciuta come Primo acquerello astratto è un dipinto a matita,
acquerello e china su carta di 50 per 62 cm circa, realizzato nel 1910. Esso ha un valore storico
fondamentale in quanto non solo rappresenta una svolta nella carriera artistica del pittore, ma si
tratta del primo dipinto interamente astratto della storia dell’arte. Anche la scelta da parte dell'artista
di lasciarlo senza titolo è funzionale alla sua volontà di evitare ogni possibile accostamento a un
soggetto reale nello stesso: Kandinsky voleva che la pittura divenisse sempre più simile alla musica,
ovvero che non imitasse più la realtà sensibile delle cose, ma ne creasse un’altra arricchendo la vita
estetica e la percezione umana. Egli tentò quindi di creare un nuovo linguaggio artistico capace
di dare voce alla realtà interiore, spirituale, portando alle estreme conseguenze la sensibilità
espressionista e liberando la dimensione dell’io, questo linguaggio fu quello astratto.

Anche se frutto di un’approfondita riflessione teorica, l'acquerello sembra eseguito di getto, senza
un progetto compositivo individuabile. Non è un caso che l’arte astratta “nasca” con un acquarello:
l'immediatezza, la libertà formale, la possibilità di creare forme “liquide”, che galleggiano nello
spazio, caratteri propri di questa tecnica, sono particolarmente congeniali all'espressione astratta.
Nonostante l'apparente caoticità della composizione si può cogliere un ritmo fatto di forme e colori
in dialogo tra loro.

Primo acquerello astratto è un trionfo di forme e colori, un universo in cui linee, macchie di colore,
ogni genere di forma non rappresentano altro che sé stessi: qui vigono solo ragioni di armonia
compositiva e di natura ritmica e cromatica, che determinano la struttura dell’opera.
Il quadro si può osservare partendo da un qualsiasi punto, ma ogni segno, ogni pennellata e ogni
colore hanno una loro funzione nel sollecitare sensazioni nello spettatore. Alcuni elementi
sembrano introdurre sulla superficie chiara un senso di profondità fluttuante e vagamente
stratificata, altri più piccoli emergono con forza attraverso un colore più intenso, e risultano più
corposi e attirano l'attenzione quasi a voler ancorare a sé la composizione, sottolineano in questo
secondo senso le due ampie pennellate gialle e la macchia rossa e le macchie blu, nella parte
centrale superiore; sembrano essere limitate nel loro espandersi da linee di colore rossastro.

Verso il centro gli elementi compositivi sono più


fitti, poi è come se ci fosse una forza centrifuga
che li rilancia all'esterno, le forme respirano, non è
una composizione casuale: le pennellate lineari o
a tocchi brevi, segni filiformi a china o a matita,
stati interpretati dalla critica come dei
suggerimenti della direzione e del ritmo delle
macchie più importanti presenti sulla carta,
tale accorgimento fa sì che l'intera
composizione comunichi allo spettatore una
sensazione di grande dinamicità. Turner aveva
assaggiato l’assenza di soggetto nei suoi acquerelli
in cui studiava la struttura cromatica, mai esposti.

Nel corso di tutto il secondo decennio del ‘900, prima di evolvere il proprio astrattismo verso uno
stile geometrico, Kandinskij sviluppò e indagò in profondità le straordinarie possibilità offerte dalla
sua intuizione geniale del 1910. Le opere di questo periodo alternano l’astrazione pura a immagini
in cui compaiono chiari ricordi del mondo reale, ma scaturiscono sempre da un'ispirazione libera,
poetica e sognante: per questo la critica ha parlato di un periodo “lirico” dell'astrattismo di
Kandinskij.

Le Composizioni
Nel 1896 Kandinsky si trasferì a Monaco di Baviera, dove sviluppò un nuovo linguaggio pittorico,
che lo aiutò a creare dipinti astratti in diverse serie. Come sappiamo, le influenze musicali furono
fondamentali per l’artista, che nello stesso anno, assistendo all’opera Lohengrin di Wagner, si rese
conto che il modo in cui la musica è in grado di provocare emozioni senza bisogno di contenuti
identificabili poteva essere esteso anche all’ambito pittorico. Per questo nel 1909 cominciò a
lavorare a una serie di tele che, attingendo alla terminologia musicale, chiamo Impressioni,
Improvvisazioni e Composizioni: spesso precedute da schizzi preparatori ad acquerello, nei quali
l’artista si allontanava gradualmente da motivi identificabili, lasciando solo qualche traccia di
rappresentazione.

Kandinsky considerava le Composizioni come il risultato della sua filosofia artistica. Esse
furono sin da subito molto controverse e gli spettatori rimasero completamente sconcertati, poiché
sembravano loro dipinti caotici, senza soggetto, struttura o forme riconoscibili; ma Kandinsky non
fu del tutto scontento di questa opinione. Egli spiegò la filosofia alla base del suo nuovo approccio
artistico in un trattato dal titolo Lo spirituale nell’arte del 1911.
Per questa serie di opere, inizialmente trasse ispirazione da soggetti religiosi come il Giardino
dell'Eden, il Diluvio ma soprattutto l'Apocalisse, descrivendo l’artista come un profeta e che
anticipa nei temi delle sue opere la distruzione e le follie della Prima Guerra Mondiale.

Composizione VI (1913)
Kandinskij dedicò sei mesi allo studio preparatorio per la Composizione VI, diluvio universale: il
punto di partenza dell'opera fu il dipinto su vetro Diluvio Universale di un anno precedente, ad oggi
perduto, di cui la tematica apocalittica rimase. Il soggetto del dipinto è quindi l’episodio biblico
che determinò una rinascita spirituale per l’umanità: il diluvio universale.

Kandinskij in una annotazione diaristica


scrisse che nell’elaborazione del quadro,
si bloccò non riuscendo più a proseguire
il lavoro; il motivo stava nel fatto che
invece di ubbidire al suono interiore
della parola diluvio, soggiaceva
all'impressione esteriore di essa: era
intrappolato nel suo stesso intelletto e
decise dunque di ripetere “diluvio” molte
volte concentrandosi esclusivamente sul
suono e dimenticandone il significato.
Kandinskij tornò quindi a dipingere e
completò l’opera in pochi giorni. Il
quadro è imponente, misura infatti 3x2
metri circa, ed è un olio su tela.

Se nel Diluvio Universale ancora sopravvivevano elementi figurativi e narrativi, come animali,
persone, piante, lampi e pioggia, qui ogni ricordo di mimetismo si perde in forme frantumate,
lunghe strisce, linee, forme scure e colori, rendendo il dipinto la prima opera astratta in senso
stretto della serie delle Composizioni nella quale «il motivo originario del quadro si dissolve e si
trasforma in un essenza interiore puramente pittorica, autonoma e oggettiva».
Così come l’artista ha fatto per l’elaborazione della sua opera, anche noi non dobbiamo cercare in
essa gli elementi esterni e descrittivi del diluvio universale ma gli elementi interni, ciò che
Kandinsky chiamava l'immagine interiore. L’immagine interiore del diluvio universale è quella di
una improvvisa catastrofe che arriva nella nostra vita e la sconvolge repentinamente. Questo
“trauma” lo troviamo in alto a sinistra dove i colori tendono al nero e le forme si distinguono
appena, questo è il diluvio che sta arrivando.

Il colore dominante qui è il nero, che Kandisky associava all'angoscia, egli, come la musica alle
note, affidava al colore possibilità emozionale della pittura: ogni colore ha uno specifico peso
emozionale, che nello Spirituale dell'arte verrà associato anche al suono di uno strumento musicale.
A proposito del nero che usa in questa parte disse: “il nero è qualcosa di spento come la cenere, è
qualcosa di immobile come un cadavere che non conosce gli eventi e lascia che tutto scivoli via da
sè, è come il silenzio del corpo dopo la morte”.

Subito dopo, avanza lento e morbido il marrone, colore ottuso e poco dinamico che risuona come
un impercettibile mormorio della terra, che alza la neve come le pause bianche che fanno da
contrappunto a queste linee curve che nel loro andamento obliquo spiraliforme, suggeriscono un
crescendo sempre più largo e uno spostamento anche verso il basso. La materia reagisce alla sua
distruzione ed esplode in una lotta furibonda che si scatena tra colori gialli: il giallo è una tinta
piena di energia centrifuga che tende ad espandersi, ma viene subito raffreddato dal blu che è un
colore freddo, e allora tutto acquista un accento malato. “Un malato che aggredisce la gente
all'improvviso, getta le cose per terra disperde inutilmente le sue energie in tutte le direzioni fino
all'esaurimento” e allora troviamo la grande lotta interiore che divampa in ciascuno di noi dopo il
trauma, che può essere di origine esterna ma che sempre viene vissuto interiormente e che nella
disperazione e nella rabbia ci farà precipitare, assistendo proprio ciò che Freud avrebbe chiamato la
risposta nevrotica al trauma. Esplodono il conflitto e la disperazione, e dopo questo crescendo la
sinfonia esplode in tre movimenti.

1. Il primo è al centro a sinistra ed è un'esplosione calda di gialli e di rossi, che però sfumano sia
nel colore che nella forma, il rosso sfuma verso il rosa e il giallo via via si sposta verso il
bianco, il blu si sposta verso l'azzurro; anche le forme non hanno più contorni e tutto è avvolto
come in un grande vapore acqueo, si crea un grande effetto di sospensione. A proposito di
questa graduale acquisizione di bianco da parte dei colori Kandinsky spiega: “il bianco lo
sentiamo come un suono molto simile alle pause musicali, è un silenzio che non è morto ma è
ricco di potenzialità; il bianco ha il suono di un nulla prima della nascita: è il silenzio della
fecondità di chi rinuncia a farsi sentire all'esterno per raggiungere nel profondo di sé le radici
della verità e della vita”.
Se il diluvio è la vita che si è fermata e si è spenta, come possiamo riaccenderla, da dove viene
il colore del mondo? Il miracolo della sua apertura avviene in questa parte bassa a destra, dove
avanzano lentamente ed inesorabilmente linee lunghe e solenni; qui la vita si accende la vita
grazie al desiderio, un desiderio di vivere. Il desiderio è un'onda solenne, che non teme l'urto
con le linee di bufera.

2. Il secondo movimento della sinfonia è largo, che si oppone diagonalmente all'irrompere del
diluvio della morte ed è il movimento oppositivo della vita. L'incontro con il desiderio è
disorientante, non ha un effetto di rassicurazione, perché significa incontrare se stessi che
significa, incontrare la parte peggiore di noi stessi, quello che di solito vorremmo evitare quello
che non vorremmo mai sapere e che facciamo di tutto perché ciò accada.

3. Kandinsky tutto questo ce lo racconta ed è il terzo movimento dell'opera: sono neri che si
inseriscono quasi a voler sovrapporre al canto del desiderio la loro presenza, ma proprio in
questo movimento Kandinsky buca il cielo, perché di ogni trauma rimane una cicatrice e
sono questi neri, che persistono che qua e là nella vita.

Vi è però la luce della resurrezione, che appare come uno strappo nella notte, ma il bianco della
resurrezione non neutralizza il nero: la via del colore del desiderio della vita non esclude mai
l'abisso della morte, il diluvio, perché è da quell'abisso che viene il colore del mondo. La
dimensione della resurrezione che Kandinsky ci mostra in quest'opera non è quella della luce
che trionfa dall'alto confinando l'ombra in un angolo e quella dei gialli, dei rosa, degli azzurri,
del bianco che incorporano il diluvio, dandogli una forma nuova. L'incanto della resurrezione
è lo stesso della creazione artistica, che eleva il dolore del trauma alla dignità sublime della
poesia.

Alcuni cerchi (1926)


Quando Kandinskij tornò a Mosca dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il suo stile subì
dei cambiamenti che rispecchiarono gli utopici esperimenti delle avanguardie russe. L’enfasi sulle
forme geometriche, tipica di artisti come Malevich, Rodchenko e Popova ispirò Kandinskij ad
espandere il suo vocabolario pittorico. Egli adottò alcuni aspetti di movimenti geometrizzanti come
il Suprematismo e Costruttivismo. Ad esempio sperimentò il sovrapporsi di piani bidimensionali
e la realizzazione di forme finemente delineate. Ciò che lo differenziò dai suoi colleghi russi fu la
sua convinzione nel contenuto e nella forza espressiva delle forme astratte e questo lo portò a
lasciare la Russia per recarsi in Germania nel 1921. Nel 1922 egli entrò a far parte della Bauhaus
dove egli trovò un ambiente più adatto per perseguire la sua produzione. Lì infatti Kandinskij
approfondì le sue ricerche sulla corrispondenza tra colori, forme e il loro effetto psicologico e
spirituale.

Nel dipinto è evidente l’importanza dei cerchi che hanno un ruolo dominante. “Il cerchio – scrisse
Kandinskij – è la sintesi delle più grandi opposizioni. Esso combina il concentrico e l’eccentrico in
un’unica forma e nell’equilibrio. Delle tre forme primarie è quella che meglio e più chiaramente
indica la quarta dimensione”.

Il fondo nero della composizione mette in evidenza i colori dei


cerchi che risaltano in modo differente rispetto alla brillantezza
del proprio colore. I cerchi gialli per esempio sono proiettati in
avanti, coerentemente con le teorie di Kandinskij sulla natura
psichica del colore.

Le campiture colorate delimitate dalle forme circolari si


comportano come superfici semitrasparenti come si coglie nelle
zone in cui si sovrappongono. In alcuni casi seguono la legge
della luce sottrattiva, scurendosi e creando una tonalità
risultante, in altri casi quella della legge additiva, e in questo
caso le sovrapposizioni risultano più luminose.

La composizione creata da Kandinskij presenta una spazialità bidimensionale. Infatti, non è


possibile individuare l’illusione di uno spazio tridimensionale. Si possono concepire piani
sovrapposti, nel caso dei cerchi che invadono altre forme circolari, ma privi di spessore e dalla pura
identità concettuale.

Alcuni autori hanno letto l’opera in chiave figurativa interpretando i cerchi come pianeti che
fluttuano nello spazio cosmico. Questa interpretazione è suggerita dalla natura cromatica della
composizione e dalla disposizione dei cerchi che sembrano sottoposti alle leggi della reciproca
attrazione gravitazionale.

Bauhaus e De Stijl
Nel 1919 l’architetto Walter Gropius è chiamato a
dirigere la scuola di Belle Arti di Weimar. La scuola
cambia poi nome, divenendo la Bauhaus, e si trasforma in
uno dei più importanti centri artistici del secolo. La scuola
abbandona ogni forma accademica superando anche la
frattura tra l’arte e la produzione industriale grazie a
nuovi criteri di progettazione che nobilitano l’oggetto di
serie. Gli artisti alla Bauhaus studiavano le caratteristiche
dei materiali, dei colori, delle forme geometriche e di
quelle naturali.

Tra i diversi laboratori tenuti alla Bauhaus dominava la ricerca di una coerenza tra la forma degli
oggetti e il loro uso, e le tecniche di produzione. In funzione proprio di questa ricerca i valori
estetici vengono messi da parte → razionalismo.
Nel 1925, dopo alcuni contrasti con le autorità e la crescente ostilità dell’opinione pubblica, la
Bauhaus si sposta a Dessau. Otto anni dopo, nel 1933, dopo essersi trasferita a Berlino, la scuola
venne chiusa per ordine del neocancelliere Adolf Hitler.
Molto importante nella storia della Bauhaus fu il De Stijl, movimento artistico fondato nei Paesi
Bassi conosciuto anche come Neoplasticismo.

Le teorie del Neoplasticismo ricercano la purezza della forma, che deve essere razionale per
rappresentare degnamente l'essenza delle cose. Anche i colori vanno accostati seguendo principi
di armonia, mettendo vicini i colori puri, cioè rosso, blu e giallo e quelli considerati non-colori, in
altre parole nero, bianco e grigio. Segno distintivo del Neoplasticismo è l'uso dell'angolo retto,
simbolo di un orientamento organizzato e di quiete, contro l'arte tradizionale, descritta dal gruppo
come morfo-plastica. Esprimendo la ricerca degli artisti per l’universale, poiché l’individuo stava
perdendo il suo significato, questo linguaggio austero doveva rivelare le leggi che governano
l’armonia del mondo. Gli artisti del De Stijl volgono la loro arte alla fusione ideale di forma e
funzione.

Piet Mondrian (1872-1944)


Piet Mondrian è un pittore olandese considerato padre del neoplasticismo. Nasce ad Amersfoort nel
1872. Dal 1892 al 1895 studiò all'Accademia di Amsterdam, aderendo sino al 1906 al tradizionale
naturalismo della pittura olandese in paesaggi, ritrati e nature morte. Nel 1911 si trasferì a Parigi,
dove il cubismo lo portò a ricercare semplici costruzioni formali architettoniche. Furono quegli anni
intensi di ricerca, nei quali Mondrian mirò a ridurre gli schemi formali geometrici, desunti dalla
natura, agli elementi fondamentali delle linee orizzonta e verticali.

Nel 1914, trattenuto in Olanda, dove era tornato, dallo scoppio della guerra, continuò il processo di
semplificazione iniziato in Francia. Nel 1916 incontrò Theo Van Doesburg, insieme col quale
proseguì le ricerche sulla forma geometrica in quadri che sono composizioni sintetiche di rettangoli
e quadrati di colori spostati, distribuiti secondo le diagonali. Nel 1917 fondò con altri artisti il
gruppo De Stijl, collaborando attivamente alla rivista dallo stesso nome.

Attraverso le ricerche di quegli anni arrivò a rinunciare completamente a qualsiasi rapporto con
l'immagine fornita dalla natura giungendo, verso il 1920, alla forma definitiva del suo quadro, in cui
i rettangoli che dividono la superficie sono delimitati da sottili strisce nere e i colori usati sono tre
primari (rosso, azzurro, giallo) e tre non colori (nero, grigio, bianco).

Nel 1940, a New York, la sua pitture subì ancora un mutamento: i contorni lineari dei suoi riquadri
vennero sostituiti da strisce composte da una specie di mosaico di vari colori.

La serie degli alberi


Mondrian mise sempre più in discussione il legame tra pittura e realtà, arrivando infine a spezzarlo.
A spingerlo in questa direzione furono esperienze artistiche quali la mostra di Van Gogh che vide
ad Amsterdam nel 1905, e il soggiorno a Parigi, dove restò dal 1911 al 1914. Ma giocò anche un
forte ruolo il suo avvicinamento alla teosofia, cioè a quell'insieme di dottrine che teorizzava
l'esistenza di un unico principio divino, dal quale sarebbero derivate tutte le religioni e al quale
l'uomo sarebbe chiamato a ricongiungersi. Tale influsso lo portò a interessarsi alla ricerca
dell'essenza spirituale dell'universo, più che a una sua rappresentazione mimetica.

Albero rosso (1908/1909)


Quest’opera è da intendersi come il passaggio dalla pittura realistica di paesaggio di Mondrian alla
ricerca di un linguaggio essenziale che arriverà allo stile Neoplastico. Per descrivere la sua
evoluzione, gli esperti fanno riferimento alle sue opere, a partire dai primi anni Novanta
dell’Ottocento; da giovane, infatti, Mondrian dipingeva paesaggi realistici. A partire da questa data
i colori nelle sue opere si fanno più accesi e le linee di contorno diventano più spesse e scure.

In Albero rosso, la sua intenzione era quella di eliminare


progressivamente gli elementi del linguaggio figurativo,
tradizionalmente utilizzato in pittura.

L'indagine sulla natura condusse Mondrian a studiare in


maniera dettagliata e quasi esclusiva un unico soggetto: a
partire dal 1908 l'artista realizzò numerosi dipinti che avevano
per protagonista l'albero. In Albero rosso (1908/1909) il
corpo della pianta occupa tutta la tela e il totale antinaturalismo
cromatico spinge l'osservatore a concentrarsi sulla struttura
compositiva più che sul soggetto.

✽ Colore e illuminazione: Mondrian scelse di utilizzare una gamma cromatica limitata. Il tronco
è dipinto con un acceso colore rosso, che caratterizza anche il titolo, mentre il cielo e parte del
terreno sono colorati di blu. I rami filiformi e contorti sono tracciati con tratti neri e linee curve
che si originano dal tronco rosso. Inoltre, l’albero è lumeggiato in rosso arancio e giallo.
L’immagine non simula un’illuminazione naturale, ma le forme si evidenziano grazie al valore
timbrico dei colori che creano contrasti di chiarezza e intensità cromatica. Infatti il tronco, dal
colore rosso-arancio, crea un contrasto tra complementari con il fondo blu-azzurro. A terra,
invece, sotto l’albero, il suolo è coperto da foglie dello stesso colore del tronco. Lo sfondo è
privo di dettagli ambientali. Lo spazio circostante è completamente blu, di una tonalità tanto
intensa quanto irreale.

✽ Tecnica: Mondrian dipinse Albero rosso con impasti di colori ad olio applicati su tela.
✽ Spazio: Lo spazio diventa quasi bidimensionale: si intravede infatti una sottile linea che evoca
l'orizzonte in basso. Il cielo poi diventa un piano contro il quale si staglia l’albero.
Formalmente, Albero rosso pare infatti avere ancora una rappresentazione naturale. Il tronco e i
rami sono costruiti in modo reale ed è presente, ancora, una interpretazione emotiva delle forme
in chiave espressionista.
✽ Composizione e inquadratura: Albero Rosso presenta un’inquadratura orizzontale, che ricorda
quella tradizionalmente utilizzata per il paesaggio. La composizione è essenziale, con l’albero
dipinto al centro e perfettamente incorniciato dal rettangolo dell’immagine. La curva creata dal
tronco verso destra, domina la struttura compositiva e da essa si generano le curve dei rami.

Albero blu (1910)


Mondrian elabora sullo stesso soggetto un processo di stilizzazione, buona parte
del realismo è conservato, ma i dettagli sono quasi assenti e le diramazioni
appaiono più lineari e schematizzate. La scala cromatica è fortemente differente
da quella dell’Albero rosso.

Albero grigio (1911)


Pochi anni dopo l'interpretazione in chiave espressionista di Albero rosso, Mondrian ripropone lo
stesso soggetto tradotto in termini stilistici e compositivi completamente diversi, dimostrando di
avere maturato un percorso formale rivolto alla semplificazione e all'assoluta essenzialità della
rappresentazione. L'Albero grigio rappresenta ancora di più il processo di astrazione: infatti, la
figura dell’albero, come indicato dal titolo, si coglie nella disposizione delle linee curve nere di
diverso orientamento. Inoltre, tratti di diverso spessore si intrecciano e si sovrappongono
suggerendo l’intrico di rami di un grande albero privo di foglie. I dettagli figurativi, ormai, hanno
lasciato il posto a un ritmo puramente grafico.

✽ Il colore e l’illuminazione: L’opera di Mondrian, come


indicato nel titolo, presenta una tonalità generale di colore
grigio. Qui le tinte violente vengono abbandonate in
favore di tonalità più fredde, quasi monocrome, e la
struttura della pianta è ridotta all'intreccio di linee. Lo
sfondo che si intravede tra i rami è grigio, dai toni chiari e
scuri che creano una vibrazione atmosferica. Il colore non
uniforme apporta un dato naturalistico.
✽ La tecnica: Albero grigio di Mondrian è un dipinto
realizzato con impasto di colori ad olio applicato su tela.

✽ Lo spazio: Il dipinto semi-astratto di Mondrian presenta una spazialità bidimensionale: il


fondo poggia sullo stesso piano dell’albero e dei suoi rami senza suggerire un minimo di
profondità. Così anche il prato è separato dal cielo da una linea nera tratteggiata, appena
percepibile. I rami si fanno largo attraverso un colore denso e pastoso e in questo modo sono
sempre di più riprodotti a linee semplici e così il senso di profondità si annulla.
✽ La composizione e l’inquadratura: Il dipinto di Mondrian è di forma rettangolare e presenta
una inquadratura progettata per accogliere la composizione ramificata astratta nella sua
interezza. Rispetto all’Albero rosso, l’Albero grigio è raffigurato al centro della composizione.
La simmetria si fa così più evidente e la composizione inoltre è più astratta. Si evidenziano,
inoltre, alcune fasce compositive nelle quali la disposizione di queste curve, i rami, sono più
fitte e più orizzontali. Al di sopra, invece, le curve sono disposte in modo contrario, verso l’alto,
più ampie e più aperte creando una superficie più ariosa. Le linee non sono apposte con un
ordine naturale ma con un ordine compositivo e regolare. Al centro, una fascia curva di colore
grigio rappresenta il basso tronco deviato leggermente verso sinistra.
Melo in fiore (1912)
In Melo in fiore le tonalità di colore sono simili all'Albero grigio, ma vi è un livello di astrazione
ancora ulteriore. Le linee dell'albero sono estremamente sintetizzate e non si riconosce alcuna sua
parte. Melo in fiore si può, così, considerare uno dei passaggi di avvicinamento allo stile
neoplastico.

✽ Il colore: Il colore si avvicina a un monocromatismo verde-grigio in cui vi sono alcune zone


con tonalità più fredde ed altre con tonalità più calde. Alcune delle linee sono ripassate in nero
nella parte inferiore dove le tonalità sono più marcate e colorate, mentre in quella superiore le
tonalità sono più deboli, tanto da avvicinarsi al colore del fondo del dipinto.

✽ Lo spazio: Con quest'opera Mondrian non rappresenta un


oggetto, quindi un albero, e le sue forme immerse in uno
spazio tridimensionale, l'osservatore infatti non vi può
scorgere alcun riferimento alla realtà, ma solo forme
bidimensionali fatte di linee curve spezzate. Queste linee
incontrandosi creano forme a losanga, ovvero romboidali,
distribuite da Mondrian sul piano pittorico secondo un
preciso ordine compositivo dettato dalla forma reale
dell'albero.

✽ La composizione e l’inquadratura: Il dipinto Melo in fiore è di forma rettangolare con


andamento orizzontale. Su questa dimensione Mondrian ha organizzato la sua composizione
tenendo conto della struttura, reale, dell’albero di partenza. La fascia inferiore rappresenta il
prato, il tronco e i rami laterali; mentre quella superiore mostra i rami che si stagliano contro il
cielo.

Composizione con rosso, giallo e blu (1930)


Si tratta di un olio su tela realizzato nel 1930.

Per comprendere l’opera, dobbiamo forse ascoltare le parole stesse dell’autore, che afferma in una
lettera ad Arnold Saalborn: «Il comune essere umano cerca la bellezza nella vita materiale, ma
l’artista non dovrebbe farlo. La sua creazione deve collocarsi ad un livello immateriale: quello
dell’intelletto». Sono due concetti che dobbiamo tenere in mente, quando contempliamo una delle
composizioni astratte di Mondrian, se vogliamo evitare di vedere sulla tela quello che non c’è e
confondere quel punto di arrivo con il percorso che l’artista ha dovuto compiere per arrivarvi.

Il soggetto di Composizione con rosso, giallo e blu è puramente astratto,


in quanto presenta solo forme geometriche, linee e colori primari. Il
dipinto è diviso in una griglia di forme rettangolari, con linee nere che ne
definiscono i bordi. All'interno di questa griglia, Mondrian ha utilizzato,
oltre al nero e al bianco, solo tre colori primari: rosso, blu e giallo,
disposti in una composizione equilibrata. I colori e le forme sono
posizionati con cura per creare un senso di armonia ed equilibrio, con i
blocchi rossi, blu e gialli posizionati in posizioni strategiche per creare
una tensione dinamica tra di loro. Il dipinto è una celebrazione della
semplicità e dell'ordine, ed è diventato un simbolo iconico dell'arte
moderna.

Mondrian credeva che questo linguaggio visivo astratto potesse trasmettere l'equilibrio e l'armonia
universali che sono alla base di tutta la realtà. Vedeva la sua arte come un modo per rappresentare
l'essenza spirituale sottostante dell'universo, che credeva potesse essere espressa attraverso semplici
forme geometriche e colori primari.

Quest’opera aderisce perfettamente ai dogmi del neoplasticismo in pittura che, sotto l’ala
dell’astrattismo geometrico, assomigliava molto più ad un’operazione matematica piuttosto che
pittorica, basando la sua teoria sugli elementari della linea, del piano e dei colori primari.

L’autore dichiarò di essersi ispirato alla natura: “La natura mi ispira, mi mette in uno stato
emozionale che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa. Voglio arrivare più vicino possibile alla
verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta. Credo sia possibile
che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, guidate da un’alta intuizione, e
portate all’ armonia e al ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre
linee o curve, possano divenire opere d’arte, così forti quanto vere.”

Quest’opera si deve guardare con il proposito di trovarsi di fronte a un’idea, una ricerca estrema
dell’armonia teorizzata dal pittore. Dovrebbe essere osservata come si osserva un teorema
matematico o un assunto filosofico.

Per l’osservatore è inutile cercare di intravedere delle irregolarità tra le campiture; cercare di
dedurre qualcosa dello stato d’animo dell’artista da eventuali ondulazioni delle rette. Offenderemo
Mondrian, se lo facessimo. Mondrian non vuole rappresentare proprio nulla e certamente non il
proprio stato d’animo.
L’artista qui rappresenta elementi indispensabili e inseparabili. Il quadrato blu non è nient’altro che
un quadrato blu, così come le linee parallele e perpendicolari sulla tela che si rincorrono e si
scontrano formando un connubio tanto ingegnoso quanto euritmico. È come singole arie che
insieme danno vita a una grande opera sinfonica, come la scelta scrupolosa del lessico per la
composizione poetica. E ogni elemento si richiama all’altro in maniera del tutto univoca e
dipendente.

Robert Delaunay (1885-1941)


Cominciò a dipingere in giovane età tecnica post-impressionista.
Dal 1908 la sua arte inizia ad essere caratterizzata dal rigore formale e ricerca analitica sul colore in
relazione alla moltiplicazione dei piani luminosi.

Dal 1909 dipinge la serie della città di Parigi e della Torre Eiffel, in cui l'interesse si spostò
gradualmente dalla scomposizione dei volumi, propria del cubismo analitico, alla scomposizione
del colore e allo studio del movimento.

Intorno al 1912 infatti Delaunay si allontanò dal cubismo e, insieme alla moglie Sonia, creò una
corrente detta orfismo → le scomposizioni del colore con i loro effetti di compenetrazione, di
simultaneità, di dinamismo, acquistano un valore autonomo, indipendente dagli oggetti
rappresentati = teoria artistica che considerava il quadro come un'organizzazione ritmica basata su
una scelta di piani colorati

Un esempio della produzione di Delaunay è l’opera Contrasti simultanei: sole e luna


del 1913. Qui è presente la scomposizione dei piani, tipica del cubismo, ma l’uso del
colore è peculiare: il sole per esempio è reso in una luminosa scomposizione di colori.
La luna è invece circondata da un alone che riflette alcuni dei colori del sole.

"The colored planes are the structure of the picture, and nature is no longer a subject
for description but a pretext."

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