Elaborato finale
del laboratorio
“Arte ed Estetica del 9o0”
Bianchi Rossana
Matricola 755087
A.a. 2008/09
1. Introduzione.
Decisivo è un suo viaggio a Tunisi nel 1914: “il colore mi possiede. Non devo
inseguirlo. Mi possederà sempre, lo so. Io e il colore siamo uno. Sono un
pittore” (diari III) scrive nel suo diario durante questo viaggio.
Da quel momento lo stesso Klee afferma di essersi pienamente impadronito
del colore. Può così sentirsi un pittore completo, avendo in effetti fino a quel
momento esercitato la sua arte più sul piano grafico-disegnativo che
pittorico in senso stretto. Lo stesso anno viene però richiamato alle armi per
combattere nella prima guerra mondiale. Congedato a Natale del 1918,
inizia per lui il periodo più fecondo e felice della sua carriera artistica. Nel
1920 viene chiamato da Gropius ad insegnare nella Bauhaus. Qui Klee si
applicherà alla didattica in maniera entusiasta, avendo la possibilità di
organizzare in maniera più sistematica l'aspetto teorico del suo fare
artistico.
1
MAURICE MERLEAU-PONTY, L’occhio e lo spirito, SE, Milano, 1989, p.15
dell’incompiutezza) teorizzata da Klee, il passo è breve.
Proprio nell’arte e nella letteratura contemporanea Merleau-Ponty vedeva
l’opera sotterranea di quella che lui definiva “nuova ontologia”, la possibilità
cioè di intravedere l’idea nel sensibile, e non al di là di esso: “Incontriamo
qui il punto più difficile, cioè il legame della carne e dell’idea, del visibile e
dell’ossatura interiore che esso manifesta e nasconde. Nessuno si è spinto
più lontano di Proust nella fissazione dei rapporti del visibile e
dell’invisibile, nella descrizione di un’idea che non è il contrario del
sensibile, che ne è il risvolto e la profondità”
“Quale artista non vorrebbe abitare là dove l’organo centrale del tempo
e dello spazio – non importa se si chiami cervello o cuore – determina
tutte le funzioni? Nel grembo della natura, nel fondo primitivo della
creazione, dove è riposta la chiave segreta del tutto?”.2
Klee dipinge dunque in funzione delle forze creatrici, in virtù di tali forze,
ricercando quell’attimo fecondo della creazione a partire dal quale appare il
tutto, quella chiave segreta di cui parla.
Tutto ciò non è altro che quella soglia che andiamo cercando.
Se l’immagine, la pittura vuole davvero essere raffigurazione di ciò che è
soltanto possibile e quindi di ciò che non si è interamente spogliato della
sua originaria invisibilità, essa deve accettare l’onere della contraddizione e
farsi icona, che è immagine visibile dell’invisibile. Ma qui è richiesta
un’ulteriore caratteristica: essa può farlo, solo assumendo la forma di
un’immagine che dilegua: solo così, nel loro porsi come raffigurazioni che si
sottraggono, i quadri di Klee possono rivelare la natura ossimorica di
2
PAUL KLEE, Ueber die moderne Kunst, Bern, 1945. La conferenza fu tenuta nel 1924.
La citazione è tratta da MARIO DE MICHELI, Le avanguardie artistiche del Novecento, ed.
Feltrinelli, 2002, p.109
immagini che vogliono mostrare ciò che ancora non si vede, che ancora non
è emerso ed è al di qua dell’apparire.3
«Ma la vocazione fondamentale di Klee era la costruzione mitica, esposta
nella diversità, dei linguaggi espressivi. Non per "trastullarsi con quelle
immagini nel solo campo della fantasia", come crede l'iconologo e
neppure per un razionalismo primitivista2, ma per costruire, coi mezzi
della lingua e del mondo naturale, un universo semantico e concettuale
coerente. Spazi, forme e colori, scritture verbali o musicali costituiscono,
con i loro richiami e contrasti, il piano espressivo di un senso profondo e
complesso. Qui si apprende - dice Klee - a "organizzare il movimento in
relazioni logiche", qui si riconosce "il flusso sotterraneo" che costituisce
"la preistoria del visibile" (die Vorgeschichte des Sichtbaren)».4
Paul Klee: "le forme e i colori ci suggeriscono qualcos'altro, un "prima", la
"preistoria del visibile", cioè quelle possibilità che si potevano dare ma che
non tutte e non completamente si sono date, quelle che Klee chiama "i morti
e i non nati", il mondo intermedio.
Tale “mondo intermedio” richiama una dimensione di preistoria, di
primitività, dove con “primitivo” vogliamo circoscrivere il momento
originario, il paese fertile kleeiano , il “mondo possibile dell’artistico”.
Klee stesso dirà:
“Io sento questo mondo intermedio tra i mondi percettibili
esteriormente ai nostri sensi e posso afferrarlo intimamente in modo tale
che posso proiettarlo verso l’esterno in forme equivalenti.”5
E' grazie al ricorso a queste possibilità che quelle forme, quelle linee e quei
colori ci suggeriscono cose sempre nuove e diverse. Lo stesso artista si
lascia guidare dalle linee, perché sono le linee stesse che ci suggeriscono
immagini sempre nuove e diverse, possibilità sempre diverse.
Nelle linee troviamo "occulte visioni" e il procedimento artistico è quello di
far emergere, di portare in superficie l'occulto, ed essere il medium di un
senso che eccede la mimesis che presenti forme estetiche che conducano al
di là del sensibile e dell’immagine.
In questo modo l’arte diviene una manifestazione spirituale di una poeticità
originaria “paese fertile” dell’emergere della forma e della visione.
3
Cfr. P. SPINICCI, Percezioni ingannevoli. Lezioni di filosofia della percezione, CUEM,
2005.
4
“La Sfinge incompresa: Sphinxartig di P. Klee” in AA.VV., Forme della Testualità.
Teoria, modelli, storia e prospettive, a cura di P. Bertetti e G. Manetti, Idea &
Immagine, Torino 2001.
5
PAUL KLEE, Diari 1898-1918. La vita, la pittura, l’amore: un maestro del Novecento si
racconta, ed. Il Saggiatore, Milano 1897, p.162
Ma come manifestare questo occulto se non grazie e attraverso le linee e i
colori?
Grazie alle linee qualcosa di occulto si manifesta, ma nel momento in cui la
linea è tracciata e qualcosa comincia ad emergere, in parte emerge e in
parte - necessariamente - deve rimanere nascosto.
«L’occhio vede il mondo, ciò che manca al mondo per essere quadro, e
ciò che manca al quadro per essere se stesso»6.
Lo sguardo penetrante dell'artista deve penetrare il visibile attingendo dal
non visibile e riportando l'invisibile in superficie, nel visibile stesso: come se
in quelle linee si facesse il percorso da ciò che è nascosto a ciò che è visibile.
«L’occhio è ciò che è stato toccato da un certo impatto con il mondo, e lo
restituisce al visibile mediante i segni tracciati dalla mano […]. La
pittura risveglia, porta alla sua estrema potenza un delirio che è la
visione stessa, perché vedere è avere a distanza, e la pittura estende
questo bizzarro possesso a tutti gli aspetti dell’Essere, che devono in
qualche modo farsi visibili per entrare in lei. […]la pittura …dona
esistenza visibile a ciò che la visione profana crede invisibile, fa in modo
che non ci occorra un “senso muscolare”per avere la voluminosità del
mondo»7
6
MAURICE MERLEAU-PONTY, L’occhio e lo spirito, SE, Milano, 1989, p.22
7
Ivi, p.23
8
PAUL KLEE, Ueber die moderne Kunst, Bern, 1945. La conferenza fu tenuta nel 1924.
La citazione è tratta da MARIO DE MICHELI, Le avanguardie artistiche del Novecento, ed.
Feltrinelli, 2002, p.111
«La teoria è un aiuto per il chiarimento, abbiamo delle leggi, ma anche
la possibilità di allontanarci da loro. Uno che segue le regole con troppo
rigore si perde in un campo sterile. Si può mutare il punto di vista e
anche le cose. Comunque il movimento libero è quasi u dovere morale. Si
può sempre rappresentare qualcosa, soltanto per interesse alla norma.
Ma, con questo, l’artista non compie però il suo dovere, perché lo scopo
di un quadro è sempre quello di renderci felici.»9
4. Il Paese Fertile
10
PAUL KLEE, Monumento al limite del paese fertile, 1929, acquerello su carta, cm 45,8
x 30,7, Lucerna, Collezione Rosengart.
Le linee che de-limitano le gradazioni impediscono loro di delirare, alla
ricerca di un’armonia che procede gradatamente dai toni chiari sulla destra
ai toni scuri sulla sinistra del dipinto.
L’osservatore così non sa se dirigere il suo sguardo da sinistra verso destra,
e fare in modo che le tinte scure vadano verso quelle chiare, o, seguendo il
titolo, spingere con forza e violenza in quanto contro “corrente” la parte
chiara e luminosa del dipinto verso quel limite rappresento dalle forme
scure, in un movimento di ritorno all’origine, verso quella soglia
dell’apparire, verso l’attimo fecondo della creazione dell’opera.
Anche per quest’opera valgono le osservazioni che abbiamo fatto sulla sua
struttura: ritroviamo infatti gli stessi elementi geometrici e grossomodo le
stesse tonalità (che sono poi quelle del deserto).
Essa sembra il preludio, per usare un termine musicale e quindi senza far
torto a Klee, all’opera che abbiamo precedentemente analizzato.
La visione risulta in qualche modo più pacificata, non si va verso alcun
limite, e la stessa indicazione del titolo, “monumento nel paese fertile”, ci
11
PAUL KLEE, Monumento nel paese fertile, 1929, matita ed acquerello con velatura su
carta fissata su cartone, cm 45,7 x 30,8, Berna, Zentrum Paul Klee
rimanda ad una suggestione di una visione centrale, tanto che cerchiamo
una possibile figura (il monumento “promesso”) al centro dell’opera.
È la visione successiva, quella del “monumento al limite” che ci impone uno
sforzo, quello di decentrare il nostro sguardo e spingerlo al limite della sua
possibilità, a tentare di attraversare quella soglia che sta al di là del nostro
sforzo.
Conclusione