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Inizialmente il gruppo non aveva un termine per definire se stesso: presero però a chiamarsi “macchiaioli” dopo
che un anonimo recensore del quotidiano La Gazzetta del Popolo, in un articolo pubblicato il 3 novembre del 1862,
utilizzò in senso spregiativo questo termine per riferirsi agli artisti che avevano esposto le loro opere a una mostra
della Società Promotrice di Belle Arti di Torino l’anno precedente.
“Mi dirà il lettore, se non è un artista, ma cosa sono questi macchiaioli?”, si domandava il giornalista.
I macchiaioli, non ebbero mai un pittore che si possa considerare “padre” del movimento, nonostante alcuni, come
Giovanni Fattori, Silvestro Lega e lo stesso Signorini siano giunti a risultati più estremi rispetto agli altri e siano
considerati quelli di maggior successo.
Erano artisti sostanzialmente indipendenti, che in una sorta di moto di ribellione contro la pittura storica e
mitologica di matrice romantica vollero proporre un’arte nuova, più spontanea, fondata sull’attenzione alla
realtà e alla vita quotidiana, con uno stile in grado di trasmettere con immediatezza i soggetti che i
macchiaioli affrontavano.
Storia dei macchiaioli
La storia dei macchiaioli ha inizio al Caffè Michelangelo di Firenze, locale nei pressi del duomo dove, a partire dagli
anni Cinquanta dell’Ottocento, si ritrovava un gruppo di artisti toscani.
Inizialmente, i macchiaioli si definivano “progressisti” e il loro scopo era contestare l’accademia, specialmente a partire
dal 1855, quando si recarono a Parigi per visitare l’Esposizione Universale e conobbero la moderna pittura francese di
paesaggio. I macchiaioli (che, come ricordato sopra, sarebbero stati chiamati così solo nel 1862, e avrebbero subito
fatto loro quel nomignolo spregiativo) si misero subito in luce in senso polemico, come spesso accade quando un
gruppo di artisti giovani intende sovvertire le regole.
L’esperienza del Caffè Michelangelo terminò nel 1866 con la chiusura del locale. Il gruppo allora si riunì attorno alla
rivista Gazzettino delle arti del disegno, fondata e diretta da Diego Martelli che, attraverso la testata, volle creare un
luogo di ritrovo “virtuale” per il gruppo e allo stesso tempo diffondere le idee dei macchiaioli. Il movimento avrebbe
cominciato a perdere mordente negli anni Settanta, con la scomparsa di alcuni macchiaioli della prima ora, con alcuni.
A Firenze rimasero in pochi. I macchiaioli continuarono tuttavia a dipingere e a sperimentare per tutta la loro vita: il
successo fu definitivamente sancito negli anni Novanta quando arrivarono a esporre alla prima Biennale di Venezia.
La rivoluzione dei macchiaioli
La rivoluzione dei macchiaioli partì “dall’interno”: le loro opere, inizialmente, prediligevano infatti il soggetto storico, ma con un’ottica del tutto
nuova che si concentrava sui dettagli apparentemente più insignificanti di un fatto storico, raccontandoli però in maniera veritiera. Presto però
anche la pittura storica cominciò a star stretta ai “progressisti”, che decisero dunque, di concentrarsi sulla pittura di paesaggio.
E ognuno cercò di farlo in maniera indipendente, viaggiando lungo l’Italia oppure rimanendo in Toscana ma senza mai smettere di aggiornarsi. I
macchiaioli si concentravano anche sui paesaggi apparentemente meno interessanti (uno scorcio di spiaggia, un vicolo di una città, una stradina
di campagna), ma in grado di trasmettere una sensazione all’osservatore, in anticipo dunque sulle ricerche del paesaggio-stato d’animo che di lì a
pochi anni avrebbero caratterizzato la pittura europea. Erano estimatori della pittura di Corot e dei pittori della Scuola di Barbizon.
Momento di snodo della storia dei macchiaioli è dato dal 1859, anno della seconda guerra d’indipendenza: molti artisti partecipano in prima
persona ai combattimenti, e la possibilità di osservare da vicino gli eventi bellici diventa un modo per rinnovare la pittura di battaglia, che viene
svuotata di ogni intento retorico (gli artisti preferiscono infatti sottolineare il valore dei soldati concentrandosi sulla durezza del loro sacrificio e
sulla verità dei loro sentimenti piuttosto che sull’eroismo delle loro imprese).
1861 l’esposizione alla Promotrice di Torino che valse ai macchiaioli il nome con cui sarebbero stati poi universalmente noti. Qui, i pittori del
gruppo esposero i loro esperimenti più arditi attirando critiche ma anche lodi, tanto che l’esposizione fu considerata una vittoria, e da allora gli
artisti acquisirono una sempre maggior consapevolezza della bontà del loro progetto. In questo momento si ha una maggiore attenzione al
paesaggio, tanto che molti sceglieranno dei luoghi in cui ritirarsi: alcuni animeranno dunque la cosiddetta “Scuola di Castiglioncello”, dal nome
della località nei pressi di Livorno giovanissimo ma divenuto ben presto critico di e la “Scuola di Piagentina”, dal nome della località vicina a
Firenze che fu invece prediletta da Silvestro Lega e dove lavorarono, oltre al romagnolo, Sernesi e Abbati.
la “pittura di macchia”
La realtà è il campo d’indagine privilegiato dei macchiaioli: gli effetti che la luce proietta su di un muro in
campagna, l’effetto del sole sulle onde del mare, un bosco in lontananza, un casolare in controluce, una riga di
monti sono forse i protagonisti più genuini dell’arte macchiaiola, anche perché i pittori del gruppo vedevano nel
paesaggio una sorta di equivalente della loro sensibilità, anticipando in questo modo le ricerche sul paesaggio-
stato d’animo.
La teoria della macchia precede cronologicamente le enunciazioni teoriche degli impressionisti francesi e, per
alcuni aspetti, vi si avvicina.
La teoria sostiene che l'immagine del vero è costituita da un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro, che si
possono rilevare tramite una tecnica chiamata dello specchio nero, mediante cioè uno specchio annerito con il
fumo che permette di esaltare i contrasti chiaroscurali.
è considerato uno dei più sensibili esponenti del movimento
dei Macchiaioli.
Silvestro Lega
una tecnica disegnativa sicura e sciolta, ma anche a organizzare il
quadro in tutte quelle componenti tramite le quali il soggetto
assume la verità di una narrazione». Dopo l'esperienza militare del
1848 iniziò a prediligere soggetti tratti dalla vita militare: la sua
conversione alla pittura macchiaiola avverrà solo nel 1861, quando
Telemaco
a frequentare il Caffè Michelangelo, accostandosi ai pittori
che in quegli anni stavano teorizzando la pittura di
macchia, ossia i Macchiaioli.