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per lantico
nei pittori italiani
del Quattrocento
di Salvatore Settis, Vincenzo Farinella,
Giovanni Agosti
Edizione di riferimento:
Settis - Farinella - Agosti Passione e gusto per lantico nei pittori italiani del 400
Settis - Farinella - Agosti Passione e gusto per lantico nei pittori italiani del 400
Settis - Farinella - Agosti Passione e gusto per lantico nei pittori italiani del 400
Settis - Farinella - Agosti Passione e gusto per lantico nei pittori italiani del 400
sorger dalla storia stessa lo stimolo a cercarne, guardando lantico, una rappresentazione pi legittimata
perch pi vera. Prosecuzione del genere profano
ed estensione del repertorio portano cos fatalmente a
una nuova attenzione per lantico. Con altro spirito si
poteva guardare alle storie sempre ripetute di Cristo e
dei Santi: dove la collocazione nelle chiese, e la destinazione allo sguardo di tutti, certo obbligavano a un
grado altissimo di fedelt alla tradizione, di riconoscibilit del soggetto, chiunque ne fosse il committente. Ma
quante di quelle storie chiamavano dentro di s imperatori e consoli romani, soldati e insegne! Corre perci
fra storie profane e storie sacre uno stesso ordito: luso,
cos poco studiato, di quadri di soggetto sacro nelle
case, per gli occhi di pochi e la loro privata piet, potrebbe aver fatto da ponte.
Il catalogo delle antichit che si offrivano alla vista a
Roma e altrove potrebbe essere di per se stesso un polo
di riferimento, il punto estremo di una linea di tensione. Da un lato, infatti, esso va inteso come un repertorio in continuo movimento: alle presenze antiche, e
spesso inascoltate per secoli, si sommano infatti nuove
scoperte, sculture dimenticate acquistano nuovo prestigio dopo lingresso in una collezione o una lode di Donatello. Dallaltro lato, si tratta qui di un repertorio potenziale, entro il quale prima locchio di ogni artista, e solo
per gradi un generale consenso operano, con filtri tutti
da indagare, una selezione che ci appare sempre pi
avara. Poich proprio questa selezione che si rivela
determinante nella storia dellarte, n si pu giudicarne
se non la si considera per quello che , una scelta appunto frammezzo alle tante offerte del generoso repositorium
dei marmi antichi, palese che il catalogo delle antichit
visibili agli artisti del Quattrocento, proprio perch
assai pi vasto di quello delle antichit che essi hanno
usato, va stilato seguendo altre strade (testi, epigra-
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gresso finiva con lo spostare su un altro piano ogni consapevole scarto dalla tradizione, consegnandolo anzi ai
coetanei e ai posteri come un passo, possibile, su una
strada in crescendo e alimentando di una forza inaudita lautoconsapevolezza dellartista e limpulso alla sua
promozione intellettuale e sociale.
Pratica pittorica, ruolo del committente, catalogo
delle antichit visibili e di quelle viste, storia e teoria artistica: fra questi quattro poli (e, certo, non solo
fra questi) corrono multiple e non sempre esplorate linee
di tensione, che passano attraverso il concreto operare
di scultori e pittori e architetti cercando di fondare su
principi di distinzione la classificazione e la gerarchia
delle arti, e per al tempo stesso, esprimendosi in scritti letterari e in dotte epistole, permeano il gusto e trasformano profondamente il sistema delle attese dei committenti e del pubblico. A ciascuno di essi e in questo quadro a ciascuna delle arti potrebbe esser dedicata una fresca attenzione: a tentare per ciascuno (ricercando) di recuperare una mappa con propri interni e
spesso contraddittori percorsi. E sar solo sovrapponendo, in trasparenza, luna allaltra mappa che potr
vedersi almeno a tratti quella trama fittissima di pensieri
e di ambizioni, sperimentazioni e fallimenti, dove trovino posto distintamente e insieme, trascrizioni scolastiche o visioni vertiginose, tutti gli sguardi sullantico.
Che solo a Firenze, Padova, Roma e Venezia i pittori nel Quattrocento si interessassero alle antichit
quanto si evince dalla bibliografia accumulatasi in circa
un secolo su questo argomento. La fortuna dellantichit si muoveva, in ricerche di questo tipo, entro un
generale orizzonte iconologico, sotto un cielo di schietta marca neoplatonica, ma il quadro storico di riferimento rimaneva invariabilmente arcaico, e sfocate le
persone prime degli artisti; basterebbe pensare a quan-
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dra, che andranno collocati, grossomodo coevi, nellultima fase della sua attivit, e quindi sulla met del secolo: qui lallievo veneziano di Gentile da Fabriano ha
modo di dispiegare le proprie passioni, senza, o quasi,
scivolate rinascimentali. Architetture dalle prospettive
scombinate descrivono una Venezia da palcoscenico,
tutta praticabili e pedane, che accoglie nei suoi campielli
le scene sacre pi disparate, mentre da sotto le grondaie
occhieggiano teste di Cesari o sui muri si spiaccicano
conii monetali ingranditi a figurare rilievi preziosi. In
quei teatrini veneziani e in quei dirupi di cartapesta si
edifica il rinascimento dellantichit, i cui meriti, nella
solerzia degli storici, andranno invece perlopi ai fiorentini.
Qui pi che la simpatia generica e un poco indifferente nel suo essere curiosa un po di tutto dei pittori tardogotici: Jacopo poteva risalire, in Veneto, alla
tradizione di Altichiero e di Avanzo che avevano narrato per figure, seguendo Flavio Giuseppe tramite lineliminabile umanista di turno, sulle pareti della Loggia di Cansignorio a Verona la presa di Gerusalemme e
il trionfo di Tito e Vespasiano: ed anche se di quella
decorazione restano solo le teste imperiali dei sottarchi
bisogna farne di continuo debito conto, visto che, a
stare col Vasari, ci fu anche Mantegna ad apprezzare
quelle pitture.
Il mondo figurativo di Jacopo Bellini fu uninvenzione di lungo getto: a lui devono essere fatte risalire le
diversioni antiquarie che compaiono da un certo punto
in poi nellattivit della bottega di Antonio Vivarini e
Giovanni dAlemagna.
I Cesari dipinti da Vincenzo Foppa ventenne, probabilmente nel 1456, sullarco trionfale dei Tre Crocefissi di Bergamo devono trovare una spiegazione non
sulle pareti degli Eremitani, di tanto diversa temperatura morale, oltre che artistica, ma tra i fogli del Belli-
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ni pi vecchio: al Pittore bresciano continuer a spettare in ogni modo linvenzione della luce che allaga lancor esile scenografia classica.
Quei profili imperiali per non sono pi della stessa
marca tardogotica di quelli che, poniamo, decorano tra
girali gli strombi delle finestre della Cappella Rusconi
nel Duomo di Parma, inaugurano, invece, la dinastia di
quelli che, scolpiti o miniati, sui portali o sui libri, dilagheranno nella Lombardia della seconda met del secolo, fino a trovare tra i sussulti della mente di Leonardo
nuove possibilit di contorte trascrizioni.
A neanche ventanni di distanza dalla follia cortigiana della cappella del Duomo di Monza, dove gli Zavattari davano vita allepica profana e longobarda della
regina Teodolinda, la decorazione del Banco Mediceo a
Milano richiedeva nuovi soggetti: ed il Foppa dipingeva gli imperatori di Roma, tra cui, apprezzatissimo,
Traiano nellatto di render giustizia alla vedova. E, per
colmo daffetto, rappresentava sulla loggia, senza paralleli nella pittura di tutto il Rinascimento dItalia, un
bambino intento a studiare Cicerone: lunico frammento superstite di quella decorazione, che non si stenta a
figurare come memorabile.
Elementi del repertorio anticheggiante (le solite teste
di Cesari, le monete ingrandite a far da rilievi, i fregi di
bestie mai viste) non mancheranno in altre opere del pittore lombardo, e forse, come ha suggerito Gianni Romano, al suo giro che andr avvicinato un gruppo di disegni dallantico della Biblioteca Ambrosiana, ritenuto ai
tempi del Padre Resta una specie di abbecedario di Leonardo da Vinci, quando hera putto, tutto ripieno di
statue di Roma.
Dalle costole di Jacopo Bellini trasse qualcosa anche
Francesco Squarcione, grandissimo impresario ed intelligente pittore, che, se anche si rec in Grecia, come
scrisse nei suoi Ricordi, non mostr nelle sue opere echi
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ri, pu dire qualcosa sullo sconquasso che quel ciclo provoc nelle menti e nei cuori dei pittori di educazione,
tutto sommato, tardogotica: lanziano impresario padovano andava dicendo infatti che quegli affreschi non
erano cosa buona, perch [Mantegna] aveva nel farli
imitato le cose di marmo antiche, dalle quali non si pu
imparare la pittura perfettamente; perciocch i sassi
hanno sempre la durezza con esso loro, e non mai quella tenera dolcezza che hanno le carni e le cose naturali,
che si piegano e fanno diversi movimenti; aggiungendo
che Andrea avrebbe fatto molto meglio quelle figure, e
sarebbero state pi perfette, se avesse fattole di color di
marmo, e non di que tanti colori; perciocch non avevano quelle pitture somiglianza di vivi, ma di statue antiche di marmo o daltre cose simili.
Senza esperienze romane, attraverso qualche racconto, molta fantasia individuale, cacce epigrafiche per
lentroterra veneto che Andrea mette su lattrezzeria
complessa e appassionata dei suoi affreschi.
Oggi il mondo perduto degli Eremitani non ci appare pi impigliato in una tagliola antiquaria, un po fascista nella sua romanit, quale dovette parere nei clamori del dopoguerra, e ne possiamo cogliere la severa temperatura monumentale, che non rinuncia a dettagli
straordinari: come quello del bambino, presente allinterrogatorio di San Giacomo, che indossa un elmo e uno
scudo troppo grandi per lui, tolti per gioco a qualcuna
di quelle prestanti comparse, vestite da antichi romani,
sulla cui genesi si interrog persino Marcel Proust.
Sono i letterati antiquari, gli amici umanisti a scoprire il giovane pittore, Andrea Squarcione, e ad
instradare le sue doti verso una ricostruzione figurata
dellantichit, come di certo pi semplice credere,
oppure si d il caso che, dopo lo scoprimento della Cappella Ovetari, si instauri una convergenza di intenti tra
i letterati e lartista? Le testimonianze infatti delle fre-
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quentazioni erudite del Mantegna (la dedica della silloge del Feliciano 1463, la gita archeologica sul Lago di
Garda 1464, le poesie con le lodi sconfinate...) sono
tutte posteriori allinaugurazione degli affreschi; problema questo, la genesi dello stile lapidario del Mantegna, che viene ad occupare un posto non marginale nei
bilanci dei rapporti tra artisti e committenti nel Quattrocento.
Eppure, per noi che siamo cresciuti con Piero della
Francesca al centro e al vertice della pittura del Quattrocento, il ristabilimento della reale posizione storica
del Mantegna e la comprensione del suo classicismo
sono ancora in parte da compiere: di certo sappiamo
invece che le fonti antiche di Piero della Francesca sono
un mito novecentesco, per la genesi del quale il volume
longhiano del 1927 ebbe unimportanza incalcolabile. La
straordinaria curialit del mondo di Piero della Francesca, in cui gravitano inserti di realismo e di violenza che
continuano a sbigottire, trova ragione di quel suo aspetto classico pensando ad una falsariga del sistema che
andava edificando per iscritto e coi mattoni Leon Battista Alberti.
Trovare in questa storia, che si va tracciando, un
posto per il De pictura una delle difficolt pi grandi:
nel 1435 lAlberti descrive infatti un pittore di storia,
che si dedica alla rappresentazione di temi antichi (la
Calunnia, le tre Grazie), che tiene conto dellesperienza anatomica e compositiva della plastica antica, mediante un singolare rimando ad un sarcofago romano con
Meleagro (uno dei miti pi presto decifrati allermeneutica rinascimentale), che rinuncia, per rendere la
luce, al fascino degli ori in nome del bianco, che si sottrae al miniaturismo per il monumentale, che, valutando la Navicella di Giotto come lIfigenia di Timante,
supera volontaristicamente il problema increscioso della
perdita della pittura antica.
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la Punizione di Corah e la Consegna delle chiavi. Si tratta di rese scrupolose e un po pedanti di un monumento che si avviava a diventare una quinta impiegatissima
persino nella pittura da cassone.
I capifila, almeno a livello contrattuale, dellquipe
sistina, Botticelli Ghirlandaio Perugino, si ritrovavano,
con in pi il giovane Filippino Lippi e in meno Cosimo
Rosselli, a decorare qualche anno dopo, per Lorenzo il
Magnifico, la villa di Spedaletto, nei pressi delle terme
di Morba, frequentate annualmente dal signore mediceo. Questa volta si trattava di un grande ciclo mitologico, oggi perduto, di cui si conosce solo un soggetto, la
Fucina di Vulcano dipinta da Ghirlandaio, ma di cui
per non si stenta ad immaginare limportanza. Limpresa di Spedaletto si inserisce perfettamente in una cultura cortigiana come quella di Lorenzo il Magnifico,
dove il ricorso ai miti del mondo antico accomunava artisti, letterati e filosofi, senza che si possano o si debbano tracciare linee troppo nette di convergenza. Accompagnava questi interessi un vivace collezionismo di antichit, che vedeva il signore mediceo in prima fila con le
raccolte del palazzo di Via Larga e del giardino di San
Marco; non si trattava solo di adunate di sculture di
grandi dimensioni, spesso restaurate da scultori di primo
ordine: spiccavano, per quantit e pregio, gemme e vasi
in pietra dura. Questo tipo di interessi interferiva inevitabilmente con la produzione artistica contemporanea: si pensi, per esempio, alle innumerevoli miniature
fiorentine dellultimo quarto del secolo in cui vengono
riprodotte le pi celebri gemme della collezione di
Lorenzo, senza per toccare mai i vertici di esaltazione
anticheggiante raggiunti dalle produzioni analoghe dellItalia settentrionale: Monte o Attavante non valgono,
sia chiaro, il Maestro delle Sette Virt o il Maestro dei
Putti o lincredibile Marmitta.
Alla cerchia medicea Botticelli destinava la Venere, la
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Una camera della casa di Guidantonio Vespucci veniva decorata con pannelli dedicati a illustri eroine dellantichit, sfornate dalla bottega del Botticelli; Antonio
Segni riceveva dal medesimo pittore il quadro con la
Calunnia, ricostruzione di una perduta pittura di Apelle, descritta in un opuscolo di Luciano, tradotto da Guarino Veronese, raccomandata dallAlberti, disegnata
anche dal Mantegna: il soggetto antico era ambientato
dentro unarchitettura, aperta sul mare, stracolma di
rilievi e statue di soggetto biblico e mitologico. Allo
stesso committente Leonardo da Vinci dedicava, qualche anno dopo, uno dei suoi rari disegni di presentazione, Nettuno su una quadriga di cavalli marini scalpitanti. Le nozze fra due rampolli di casa Tornabuoni e
Albizzi fornivano lo spunto 1487 a Bartolomeo di
Giovanni, Biagio dAntonio e Pietro del Donzello per
narrare, su scenari aggiornati alle nuove mode romane,
la favola antica e cortese degli Argonauti.
Francesco del Pugliese e Giovanni Vespucci avevano
la fortuna di vedere alcune stanze delle loro case decorate dalle mitologie di Piero di Cosimo, strapiene di animali
tondi e panciuti, come nel migliori Walt Disney, mentre
il pistrice che cerca di assalire Andromeda, nei pi tardi
pannelli per Filippo Strozzi il giovane, sembra gi pronto a farsi orca e ad entrare nellOrlando Furioso.
Superato il cordone sanitario che Roberto Longhi
aveva rizzato attorno al nome e alle opere di Leonardo
da Vinci, lanti-Renoir corruttore della pittura lombarda, e in attesa di riscattarlo dalle mani forse troppo
avide dei leonardisti, si pu solo accennare qui al singolare rapporto che Leonardo intrattenne con larte del
mondo antico: un percorso continuamente anticanonico, che lasciava da parte ogni richiamo al monocromo o
allattrezzeria, in nome di una pi complicata comprensione del senso e della natura dei tempi.
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Avviato allarte nella tentacolare bottega del Verrocchio, giovane di molte letture (anche di classici, tra
cui Vitruvio), tramutava le effigi dei Cesari antichi,
tanto care al signore di Milano, presso cui era andato a
lavorare dal 1482, in pretesti di caricature.
Scriveva che limitazione delle cose antiche pi
laudabile che quella delle moderne, e studiava a Pavia
il Regisole, a Tivoli le rovine della villa di Adriano, a
Civitavecchia i resti del porto di Traiano, ma si esita un
poco a pensare che avrebbe dovuto dipingere nel castello del foro della Vigevano sforzesca un ciclo di storie
romane.
Non gli mancavano competenze specifiche nel trattare gli oggetti antichi: a lui, in quanto esperto riconosciuto, veniva infatti richiesto, nel 1501, un parere da
Isabella dEste su alcuni vasi antichi provenienti dal
tesoro mediceo.
Aggiornava ad una lettura fulminante dei testi antichi il proprio inesauribile desiderio di sperimentazione:
e cos la tecnica strana e disastrosa con cui inizi a
dipingere la Battaglia di Anghiari pot sembrare agli occhi
dei contemporanei una restituzione dellencausto, tanto
apprezzato nelle pagine della Naturalis Historia.
Con un soggetto mitologico per eccellenza, sia pur
ancora non troppo battuto, la Leda, rinunciava allesercitazione archeologica, per tentare una spiegazione artistica dei misteri della generazione.
Confinato nel Belvedere vaticano, da vecchio, continuava a studiare gli amati animali, mentre sembrava
ridurre a giocattoli di corte i risultati delle sue riflessioni, senza uscire a dare uno sguardo alle statue antiche
delle raccolte papali o ai mondi clamorosi e insostenibili delle Stanze e della Sistina; i ragazzacci che si portava appresso andavano tra i ruderi a tirare di fionda agli
uccelli, non a misurare e a far rilievi come gli scrupolosi impiegati della ditta di Raffaello.
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Quanto stava avvenendo a Firenze intorno a Lorenzo il Magnifico era comune, sia pur senza i medesimi
successi storiografici, ad altri centri dItalia. La cultura
cortigiana prevedeva infatti un discreto, ma costante,
appello a motivi e a temi antichi, nelle produzioni letterarie e figurative. Agli artisti sempre pi spesso era
richiesta la decorazione di ambienti di dimore private o
lallestimento di complicate occasioni festive: ed in
entrambi i casi il mondo antico offriva un repertorio inesauribile di spunti, sollecitati o, comunque, bene accolti dalla committenza. Se poi in queste manifestazioni si
dava prova di correttezza o di fedelt archeologica, questo era qualcosa di pi e che non stonava. Erano compiti che toccavano sia ai pittori sia agli scultori, che
negli ornati anticheggianti avevano il modo di revisionare la grande tradizione della decorazione antica. Questo gusto per il mondo antico, dilagato almeno dagli
anni ottanta e valido circa un trentennio, era fiancheggiato dallo sviluppo di innumerevoli collezioni di oggetti antichi, di tutti i tipi, dalle epigrafi alle sculture.
Sarebbe una fatica di Sisifo stilare un inventario di
tutte le Nativit o i Martiri di San Sebastiano, sui cui
fondali compaiono edifici in rovina: vale in ogni modo
invece la pena di cercare di capire come mai in certe
situazioni, in cui esistono corti, umanisti, antichit,
embrioni di collezionismo, la pittura resti sostanzialmente impermeabile agli interessi per lantico: il caso,
ad esempio, del regno di Napoli, dove ben poco si pu
trovare da inserire in questo profilo, oltre allanta dorgano dipinta da Francesco Pagano per SantEfrem
Nuovo di Napoli, alla fine degli anni ottanta, dove, dietro ai due santi e allarmigero carnefice, sul canonico edificio in rovina, svetta un monocromo che giunta arditamente pi di uno dei rilievi traianei dellArco di
Costantino con la fronte di un sarcofago di Oreste.
La decorazione degli studioli, gli ambienti dove pi
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Su fondi marmorizzati dei colori pi diversi il Mantegna e la sua bottega sfornavano tavolette con episodi
di storia biblica o grecoromana, pitture che i signori di
Mantova potevano regalare, per rappresentanza, con la
sicurezza che sarebbero state gradite alla stregua, e forse
pi, che veri rilievi antichi.
Le stampe del Mantegna, con le baruffe degli dei
acquatici o le cervellotiche allegorie della virt o i baccanali di ragazzi e satiri, e quelle che riproducevano le
sue invenzioni pi famose, permettevano lappropriazione divulgata di tematiche e di soluzioni figurative,
altrimenti confinate nelle camere private dei signori:
era cos possibile un loro riuso, al di qua e al di l delle
Alpi, per ambienti o committenti di rango inferiore.
Su un altro registro ancora, meno rischiatamente
monumentale, si provava il Mantegna da vecchio nelle
composizioni mitologiche per lo studiolo di Isabella dEste, luogo tra i pi battuti dalla storiografia artistica pi
recente, dove le sue tavole preziose trovavano presto
come compagne composizioni analoghe del Perugino o
di Lorenzo Costa, in una assennata esaltazione dellAmore celeste, tutta ripiena di mitologici travestimenti,
ideata dalla marchesa e da Paride da Ceresara, presto
sconfessata per da differenti spiegazioni della fenomenologia dei sentimenti.
Quando Pandolfo Petrucci, signore di Siena, in vista
delle nozze di suo figlio con una delle ragazze della
migliore societ, decideva di allestire nel suo palazzo un
gabinetto allantica, prima del 1509, replicava in qualche modo limpresa mantovana di Isabella: i tempi
erano per velocemente cambiati, ed i pittori coinvolti erano ancora quelli, in sostanza, dellimpresa della
Cappella Sistina, su cui cominciava a gravare la volta
michelangiolesca. Signorelli e Pintoricchio, con collaboratori pi giovani, tra cui sicuramente il Genga, si
davano, tra candelabre intagliate, mattonelle istoriate,
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pi di virt: buona guida per questo giro saranno Roberto Guerrini e Sandro Angelini.
Da risarcire sar il posto di Milano, che, dopo le
imprese del Foppa, non potr non brillare in questa
mappa: la citt infatti in cui, tra regime sforzesco e
dominazione francese, presero forma, in nessi ancora da
districare tra pittura, scultura, arti suntuarie e appassionate interferenze di intellettuali, i gusti e le competenze antiquarie del Caradosso, o le architetture del
Bramantino, o i trofei del Bambaia, ma anche, e non
poco, la ferrea epigrafia storica di Andrea Alciati, per
fare solo degli esempi.
Nel quadro che andr costruito, si sa gi fin da ora
che si tratta di una disposizione romantica a riguardare
la grandezza di Roma, che precede in Lombardia gli arrivi di Filarete e di Bramante; ma chiaro altres che il
bramantismo costituisce la variante lombarda dellantichismo che pervade la pittura italiana verso la fine del
secolo. Formatosi in un ambiente da cui erano emerse
le Tavole Barberini di Fra Carnevale, dove in luminose
costruzioni spaziali i monocromi riproducono solo parzialmente motivi antichi, la carriera di Bramante nellItalia settentrionale annoverava dapprincipio i filosofi
presocratici immortalati in prospettiva sulla facciata del
Palazzo del Podest di Bergamo nel 1477, a cui si
aggiungeva poi, capitale, la comparsa, 1481, dellincisione Prevedari, con quel tempio antico in rovina riconsacrato e colmo di fregi e di decorazioni, tali da impressionare non pochi dei contemporanei, vicini e lontani:
e poi su queste piste, e con queste soluzioni, decorazioni di interni, come quella di Casa Panigarola, o facciate dipinte, come quella di Casa Fontana Silvestri. Ch
anzi la decorazione di queste ultime sar specialit lombarda: il grande Polidoro dovr perdere, prima o poi,
qualche grumo di raffaellismo per trovare pi spiegazione di quel da Caravaggio, centro esportatore di
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cupazioni ritrattistiche risolte certo pi in senso araldico che psicologico, prevedeva il richiamo a scenari molto
diversi da quelli battuti con insistenza ossessiva dal
cognato Mantegna. Il suo un Oriente senza rovine, un
po come quello del Carpaccio, che solo nei quadri pi
mistici allenta la presa della sua imperturbabilit, e lascia
comparire inserti di are spezzate, ruderi e epigrafi nella
campagna del Veneto.
Anche a Venezia, come nelle corti dellItalia del
Nord, si tratta di sbrogliare i legami tra i letterati, i collezionisti-committenti, i pittori e gli scultori, che, in
questo caso, sono, prima di tutti, Tullio e Antonio Lombardo con le loro soluzioni classicistiche, pronti a risentire dei pezzi antichi che giungevano dalla Grecia o dallAsia Minore, oppure Cristoforo Solari, le cui figure
parevano ai contemporanei antiquo scemate. Per fare
un esempio solamente, in un paesaggio di cui si vanno
rimontando episodi maggiori e minori ed anche minimi,
dovr riprendere il suo posto Ambrogio Leone, medico
nolano trasferitosi a Venezia: lui infatti a descrivere
in versi un busto marmoreo di Beatrice dEste, a partecipare pesantemente alla disputa sulle arti con un passo
del suo De nobilitate rerum, a commettere ad un artista
multiforme della bottega belliniana, Girolamo Mocetto,
una serie di piante di Nola antica e dei suoi monumenti, realizzate sul luogo, che verranno pubblicate a corredo illustrativo del suo De Nola, vera e propria monografia sulla sua patria.
Nel corso della sua carriera lunghissima e spettacolosa
Giovanni Bellini ebbe modo di provare, fornendo risposte sempre personali e inconfondibili, diversi dei modi
di approccio allarte del mondo antico sperimentati dai
pittori suoi contemporanei: da giovane sfuggiva allesilit delle soluzioni paterne, ricorrendo al robusto antichismo del Donatello padovano e fiancheggiava, indipendente, le avventure della banda degli squarcione-
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schi, come si pu vedere in un disegno degli Uffizi; dialogava, con differenti soluzioni, sui problemi che affascinavano Andrea Mantegna, in quadri come il Sangue
del Redentore, dove la balaustrata con scene di sacrifici
pagani si innalza su un pavimento piastrellato bianco e
nero, da rammentare il ben pi tardo ring dellAllegoria
Sacra degli Uffizi, con tuttintorno una campagna e un
patetismo che mai il cognato terribile avrebbe contemplato; nella Piet di Brera poteva correre il rischio di
inserire, per volont di uno sconosciuto committente, un
verso oscuro di Properzio, pi lontano che mai dalle
lapidi degli Eremitani; nella pala di Pesaro aveva modo
di ritornare sulle soluzioni decorative inventate da quellaltro genio che era stato suo padre, senza pi paura di
rischiare limitazione: il trono codussiano su cui Cristo
incorona la Madonna, ed entro cui si staglia lucente la
rocca di Gradara, sovrastato da un fregio a figurette
che rammenta quelli dei libri di Jacopo, allora nelle mani
distratte di Gentile, che presto se ne sbarazzava di uno,
regalandolo ai Turchi, e in una delle formelle di questa
chiave di volta della storia artistica nazionale, dipinta
per la citt della propria madre, Giovanni rappresentava una piazza dei suoi tempi, coi comignoli di Venezia,
con un San Terenzio stante come una statua, unepigrafe
antica reimpiegata nella muratura di un palazzo, anche
qui una risposta sommessa ed atmosferica alle ricostruzioni lapidee ed implacabili della Cappella Ovetari,
come gi qualche anno prima aveva tentato in uno scomparto della predella del polittico di San Vincenzo Ferrer; pi avanti cogli anni, faceva qualche concessione ai
lettori dellHypnerotomachia Poliphili con pezzi di soggetto profano, allegorico e mitologico, destinati a decorare la mobilia di quei colti personaggi, che volevano
specchi, cassoni o strumenti da musica impreziositi da
rimandi al mondo antico (qualcosa del genere produceva in quegli anni anche un altro grande pittore veneto,
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Settis - Farinella - Agosti Passione e gusto per lantico nei pittori italiani del 400
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