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GIUSEPPE ELENA: TRE DIPINTI RITROVATI.

UN ARTISTA ECLETTICO NELLA MILANO DELLA


PRIMA META’ DELL’800
(1801-1867)
Roberts Mazzuconi
https://www.academia.edu/96824881

E’ indubbio e unanimemente riconosciuto dagli storici dell’Arte che nell’ambiente artistico


milanese della prima metà dell’800 Giuseppe Elena si colloca come una figura di artista
eclettico particolarmente versato nell’arte figurativa dell’incisione e soprattutto della
litografia, ma anche scrittore e poeta dialettale. Sempre attento alle novità e ai fatti del
tempo, non certamente conservatore e men che meno filoaustriaco, seppe trovare il suo
spazio tra la moltitudine di artisti presenti a Milano nella prima metà dell’800, riuscendo a
mantenere entrate accettabili per un decoroso tenore di vita, pur con le difficoltà economiche
che lo accompagneranno per tutta la vita. La sua figura e la sua produzione artistica sono
molto ben documentate e analizzate nel saggio a lui dedicato da Paolo Arrigoni, cui si
rimanda per un approfondimento puntuale ed esaustivo.(1)
Della sua arte come litografo abbiamo completa testimonianza non solo per le opere
pubblicate nel periodo dal 1827 al 1831 in cui Elena condusse la propria stamperia, ma
anche successivamente con i lavori di sua composizione richiesti da altri stampatori ed
editori milanesi che evidentemente apprezzavano le tavole da lui realizzate, in primis Pietro
Bertotti, con il quale proseguì la collaborazione iniziata ben prima della chiusura della sua
stamperia avvenuta nel 1831, poi con gli stampatori Fortunato Stella, Giuseppe Pagani,
Santo Bravetta, Francesco Corbetta e altri, dando vita ad una produzione di oltre 350
litografie con una grande varietà di soggetti, paesaggi, personaggi che sono preziosi
testimoni della vita e dell'ambiente lombardo e milanese dell'epoca.
La produzione pittorica di Giuseppe Elena costituì per l’artista un’importante occupazione,
soprattutto a partire dagli anni ’30 dopo la cessazione della sua attività di stampatore, anche
perché da essa traeva un importante ritorno economico a sostegno della sua famiglia.
L’unica documentazione della sua produzione artistica è rintracciabile nei cataloghi delle
Esposizioni delle Belle Arti di Brera dove tra il 1822 e il 1860 sono riportati 36 dipinti.(1)
Dai titoli assegnati alle sue opere presentate all’Esposizione si evince una predilezione per
il soggetto di paesaggio, tema sicuramente da lui ben conosciuto e padroneggiato in quanto
eseguito per l’illustrazione litografica, che ben si prestava al suo gusto per il pittoresco e
perché adatto a soddisfare le richieste di quadri “alla moda” da parte della borghesia
cittadina.
Le uniche presenze nel soggetto storico avvennero nel 1834, Campo dei Milanesi dopo la
vittoria da essi riportata contro il Barbarossa e nel 1835 Ezzelino da Romano fatto
prigioniero nelle vicinanze di Cassano.
D’altro canto il buon senso pratico gli consigliava di non cimentarsi nei due filoni principe
della pittura del tempo, il ritratto e il soggetto storico, per almeno due buone ragioni.
La prima stava nell’alto numero di artisti presenti a Milano che si occupavano di questi due
generi artistici. La consultazione delle edizioni annuali dell’Utile Giornale ossia Guida di
Milano relative al decennio 1830-40 testimonia una presenza costante di oltre 100 artisti.
Nella Guida del 1838 sono riportati attivi 62 pittori figuristi, di storia, di prospettiva e ritrattisti,
tra cui Giuseppe Elena, 12 pittori paesisti, 10 pittori di scene, 28 pittori ornatisti o di
decorazioni e 5 pittori di vetri, smalti, ec.(2)
La seconda ragione conseguiva al fatto che lo standard di riferimento era rappresentato
dall’eccellente qualità artistica espressa nei due generi dai mostri sacri la cui arte era
continuamente richiesta nei salotti milanesi: Francesco Hayez e Giuseppe Molteni.
Hayez si era stabilito a Milano nel 1823 perché, come lui stesso aveva scritto a Canova nel
luglio 1821, a Venezia non trovava estimatori e acquirenti e non riusciva a vivere della
propria arte: a Milano invece fu subito un successo.(3)
In pochi anni raggiunse una tale notorietà che gli permise la frequentazione delle famiglie
più altolocate in Milano sia nobili che della nuova borghesia. La considerazione sociale
dell’artista è ben testimoniata dall’incarico ricevuto dal conte Antonio Giuseppe Batthyany
di disegnare i costumi per la Festa da Ballo da lui organizzata il 30 gennaio 1828 nel suo
palazzo in occasione del carnevale. Ancor più significativo è il fatto che Hayez fu invitato e
prese parte alla festa cui erano presenti praticamente tutte le famiglie più altolocate di
Milano, i Borromeo, i Belgioioso, Greppi, Litta, Serbelloni, Strassoldo, Trivulzio, Visconti.
Nell’occasione scelse di mascherarsi nella parte di Giulio Romano, mentre affidò all’amico
Giovanni Migliara il ruolo di Claudio di Lorena, avendo l’onore di essere gli unici pittori
presenti alla festa.
Di questo evento Elena acquisì i diritti per realizzare le 60 litografie a colori che pubblicò
come editore in sei fascicoli dal marzo 1828 al gennaio 1829.(4)

Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli, Milano


Molteni, già apprezzato dal 1824 come valente restauratore, nel 1828 espose a Brera 7
ritratti e nel 1829 ben 19 ritratti, dando inizio al genere del ritratto ambientato ricco di colori
fulgidi, di accessori lussuosi, di velluti e rasi realistici che, così diverso dallo stile pittorico di
Hayez, più sobrio e intimista, accese subito un forte dualismo tra le schiere di estimatori e
acquirenti milanesi.(5)
Hayez e Molteni erano quindi i due primattori sulla scena del ritratto e tenevano la barra
dritta nella loro differenza artistica, ben consapevoli che essere argomento delle discussioni
nei salotti garantiva loro una posizione di assoluta centralità nei gusti della società.
Altrettanto improbo, se non impossibile, era confrontarsi nel genere della pittura storica, che
aveva in Hayez l’ideatore e il massimo interprete, nonché per il folto numero di pittori che
ad esso si dedicava.

Decisamente più agevole era trovare spazio nel genere del paesaggio che proprio nei primi
decenni dell’800 trovò apprezzamento soprattutto tra la nuova classe borghese e a poco a
poco da genere trascurato venne acquistando importanza di committenza, anche perché fu
percepito come espressione artistica “moderna”, sebbene il mondo accademico ancora non
ne riconoscesse la dignità di genere e tardasse a percepirne la novità.
E’ un dato di fatto che l'istituzione della scuola di paesaggio avvenne solo nel 1838 con
l’assegnazione della cattedra ad un artista già affermato come Giuseppe Bisi, dopo che una
precedente richiesta al governo di Vienna formulata dal conte Luigi Castiglioni, quale
presidente dell’Accademia, era stata respinta per motivi economici.
La radice del recupero del genere del paesaggio a Milano tra età Napoleonica e
Restaurazione è sicuramente da ricondurre all’esigenza pratica di pubblicizzare le opere
finanziate ed eseguite dall’Amministrazione Napoleonica prima, Asburgica dopo, come
esempio di buon governo, con il fine di ottenere o sostenere il consenso da parte delle classi
sociali più prossime al potere politico.
Il principale sostenitore di questa linea fu Ludovico Giuseppe Arborio Gattinara marchese di
Breme, dal 1806 al 1809 Ministro degli Interni del Regno d’Italia, al quale dicastero facevano
capo anche la Pubblica Istruzione e i Lavori Pubblici, considerati da Napoleone branche
della pubblica amministrazione. Il Breme, diplomatico esperto, fautore di iniziative sociali
illuminate e favorevole alla modernizzazione dovuta alle opere di ingegneria e di utilità
pubblica che intervenivano modificando la morfologia stessa del territorio, svolse
un’importante ruolo per procurare a Marco Gozzi la famosa commissione governativa da
parte del viceré Eugenio di Beauharnais.
Il contratto, stipulato nel settembre 1807, prevedeva la realizzazione di dodici paesaggi da
consegnare nell’arco di quattro anni, dipinti che, riproducendo “dal vero” luoghi indicati dal
di Breme stesso, dovevano documentare una serie di punti strategici del territorio del Regno.
Le indicazioni furono anche volte a rappresentare nuove attività industriali promosse
dall’Amministrazione pubblica in considerazione dell’importanza che assumeva via via
l’attività manifatturiera nel quadro economico del Regno.
Il contratto fu rinnovato nel marzo 1812 e dopo il 1814 fu confermato e rinnovato
dall’Amministrazione austriaca che mantenne l’impostazione iniziale e anzi rafforzò le
indicazioni che i dipinti rappresentassero luoghi dove più erano evidenti gli interventi di
pubblica utilità legati alla creazione di una moderna rete viaria, con ponti, strade e canali per
la navigazione fluviale che costituivano i soggetti principali.
A partire dal 1813 Marco Gozzi cominciò a partecipare alle esposizioni annuali
dell'Accademia di Brera e i suoi dipinti diventarono modelli di studio per gli allievi
dell'Accademia ed esempi per altri pittori paesaggisti. Il continuo incremento del successo
della pittura di paesaggio alle esposizioni annuali dell'Accademia di Belle Arti di Brera,
concretizzatosi anche nell’incremento delle vendite dei dipinti, fu un fenomeno esplosivo
con una folta schiera di pittori, che annualmente cresceva di numero, presente con le proprie
opere alle esposizioni braidensi.
Gli anni ’20 furono caratterizzati dal definitivo superamento del paesaggio d’invenzione a
favore del paesaggio ripreso dal vero caratterizzato dall’attenzione topografica per i luoghi
e i monumenti rappresentati, sempre più orientandosi a nuovi soggetti protagonisti nei dipinti
come gallerie, ponti, strade e luoghi di attività produttive.
A partire dal 1831 sulla scena delle esposizioni di Brera subentrarono due grandi novità
artistiche rappresentate da Massimo Taparelli d'Azeglio e Giuseppe Canella. Per oltre un
decennio ebbero grande fortuna, d’Azeglio per il paesaggio istoriato, in cui l'attenzione si
concentra sull'ambientazione nel paesaggio naturale delle grandi vicende storiche e Canella
per la resa del paesaggio naturale e del vero atmosferico, attento agli effetti atmosferici
determinati dallo scorrere delle stagioni e dalle differenti ore del giorno.(6)
In questo contesto, alla fine degli anni ’30 e primi anni ’40, si trovò a operare ed entro certi
limiti a fare i conti Giuseppe Elena.
La sua arte nei tre dipinti:
Cernobbio, Il ponte di Baveno, Il promontorio di Varenna

La conoscenza dell’artista, critico d’arte e litografo, è dovuta principalmente all’intensa


attività incisoria e litografica dedicata in particolare alla rappresentazione di vedute
paesaggistiche, nonché alla riproduzione delle opere più celebri dei maggiori artisti
dell’epoca come Pelagio Palagi, Giuseppe Canella, Giovanni Migliara e Francesco Hayez.
Della sua attività di pittore poco ci è giunto. Il passaggio di sue opere sul mercato antiquario
è inesistente e sono presenti solo due suoi dipinti nei musei milanesi, Piazza Vetra alle
Gallerie d’Italia e Osteria del Rebecchino al Museo di Milano.
Ho ritenuto pertanto utile segnalare l’esistenza dei tre dipinti di seguito descritti, in modo da
aggiungere un ulteriore contributo alla conoscenza artistica del pittore Giuseppe Elena.
I tre dipinti furono eseguiti congiuntamente su committenza per arredare una casa signorile
di villeggiatura come sovrapporta, dato desumibile dal fatto che le tele, rese indipendenti
tramite il restauro, sono state ritrovate incollate su tre pannelli di legno, rifiniti con una
cornice che si prolungava nei copritelai delle porte, il tutto realizzato con un unico manufatto
in legno senza soluzione di continuità. Non è da escludersi che l’incarico ad Elena fosse
dovuto ad una discreta considerazione tra la borghesia milanese del tempo per le sue abilità
artistiche nel genere del paesaggio, come testimonia la precisazione nel catalogo
dell’Esposizione di Brera del 1841 che riporta il dipinto Veduta della Laguna di Venezia col
ponte da erigersi per la strada ferrata, di proprietà del Sig. Baldassare Gnocchi.
Gnocchi era un abile imprenditore nel settore caffè ed offellerie proprietario del rinomato
Caffè dei Greci, posto in contrada del Rebecchino al civico 4060, che nel 1844 rilevò dalla
famiglia Gottardi il Caffè che si trovava al centro della Galleria De Cristoforis. Costruita nel
1832, era famosa all’epoca per essere tra le prime architetture in ferro e vetro d'Europa a
copertura del passaggio tra gli immobili che ospitavano circa 70 negozi e l’Albergo Elvetico.
Uno di questi negozi era l’editoria di Luigi Valeriano Pozzi, contrassegnato dai numeri 45 e
46, proprio di fronte al Caffè Gnocchi. Il caffè divenne il luogo più apprezzato dalla borghesia
milanese ed era frequentato da artisti e scrittori.
Frequentare i Caffè della città era il modo principale di Elena per intrattenere relazioni sociali
con potenziali clienti e committenti anche facoltosi.
Gaetano Savallo, Nuova guida della città di Milano e sobborghi pel 1881

La Galleria De Cristoforis e il negozio di Luigi Valeriano Pozzi


Civiche Raccolte Storiche di Palazzo Morando, Milano
Nei tre dipinti ritrovati traspare tutta l’esperienza e la conoscenza del vasto mercato delle
incisioni a stampa da parte di Elena, in particolare dei lavori che si caratterizzavano per la
cura e la resa perfetta della prospettiva e del carattere topografico delle vedute.
Elena scelse di dipingere soggetti paesaggistici da lui ben conosciuti in quanto temi di
incisioni presenti come illustrazioni in alcune pubblicazioni dell’epoca.
Nella scelta si mostrò attento a due particolari aspetti. In primo luogo che le stampe fossero
state pubblicate recentemente e quindi trovassero piena rispondenza con il “sentimento
romantico” in quel periodo culturalmente predominante. In secondo luogo che l’autore
avesse rappresentato il paesaggio riprendendolo dal vero a garanzia che anche il suo lavoro
non potesse essere criticato perché troppo di fantasia.
Dell’importanza che Elena attribuiva al fatto che il paesaggio fosse colto dal vero, nel suo
caso anche a rischio della propria incolumità personale, ne è testimonianza diretta quanto
lui stesso scrive nella Guida critica all’Esposizione delle Belle Arti in Brera, tenutasi nel 1844.
In quella edizione Elena non presentò un dipinto, ma una incisione su rame all’acquatinta
Veduta generale della città di Milano presa fuori di Porta Ticinese che così commenta:
Una veduta generale di città è sempre bene prenderla fuori della medesima,
perché in allora la si presenta più per esteso alla vista, e tanto più poi riesce di
effetto, se sul davanti si trovano luoghi o monumenti rimarchevoli e subito
riconoscibili. Perciò io ho disegnata questa veduta sul tetto della cupola della
chiesa di S. Gottardo fuori di Porta Ticinese, a rischio di cadere come un tegolo
sulla testa de’ passaggieri.
Per quanto mi senta umile, devo dire che ci vuol tanto studio d’arte a fare un
disegno come questo quanto ce ne vuole a far un dipinto dello stesso genere, in
maggior dimensione.(7)
Decise pertanto di ispirarsi per i soggetti di Cernobbio e Varenna a due stampe ideate da
Giuseppe Bisi e incise ad acquatinta da Louis Cherbuin e per Baveno alla stampa realizzata
su disegno di Pompeo Pozzi e incisa ad acquaforte ed acquatinta da Johann Jacob
Falkeisen. Tutte e tre le stampe erano parte di una pubblicazione con vedute di Milano e dei
laghi curata dall’editore Luigi Valeriano Pozzi tra il 1838 e il 1839, estensiva con 16 vedute
di laghi della precedente raccolta di 30 incisioni all'acquatinta, 28 con vedute di Milano e
due della Certosa di Pavia pubblicata dal 1835 al 1838. Nella introduzione Associazione,
che presenta sinteticamente l’opera e più diffusamente le modalità con cui acquistare le
incisioni all’acquatinta, Luigi Valeriano Pozzi fissa la data di inizio della commercializzazione
al 24 aprile 1838 ed è molto probabile che questa costituisca il terminus post quem Giuseppe
Elena abbia avuto disponibili le incisioni.(8)
E’ interessante osservare che a partire dal 1840 cominciò a diffondersi a Milano la moda del
dagherrotipo, presentato al pubblico l’anno precedente a Parigi, e soprattutto delle stampe
tratte da dagherrotipi, considerato che questi avevano la caratteristica di essere
un’immagine unica e non riproducibile.
Nel 1840 furono pubblicate da Artaria sotto il titolo Le Daguerrotype, una serie di stampe
della città e dei laghi lombardi. In questa pubblicazione Louis Cherbuin realizzò
un’acquatinta della stessa veduta di Varenna da lui eseguita in precedenza per la
pubblicazione di Luigi Valeriano Pozzi, che riporta nell’iscrizione in basso a sinistra Exécuté
d'après l'original du Daguerréotype.(9)
La circolazione di queste fotografie ante litteram avrebbe permesso ad Elena di avvalersi di
paesaggi reali, decisamente ancora più precisi nei particolari rispetto ai soggetti ripresi dal
vero e riprodotti con le incisioni. Considerando che Elena non avesse ancora a disposizione
queste nuove immagini al momento della realizzazione delle tre opere, è possibile ritenere
che i dipinti siano stati eseguiti nella seconda metà del 1838, molto probabilmente durante
il corso del 1839.
D’altro canto la scelta di trarre ispirazione da stampe in cui è ben evidente il risalto delle
architetture poste al centro delle opere – l’abitato di Cernobbio, il ponte di Baveno sulla
strada del Sempione, i manufatti edificati sul promontorio di Varenna – è in piena sintonia
con una costante della produzione artistica e del pensiero critico di Giuseppe Elena, in
aperta polemica e in contrapposizione con la pittura caratterizzata da vedute urbane
popolate da personaggi ed episodi di vita contemporanea.
Sono temi che oltre ad essere connaturati nel carattere dell’artista, testimoniano la
modernità di Elena rispetto alla tradizione portata avanti da Angelo Inganni che, pur
aggiornandoli e reinterpretandoli con la sua arte, si mantiene costante ai canoni lanciati in
precedenza da Giovanni Migliara. Dipingere in modo diverso da lui, figura ben inserita nel
contesto dell’alta società milanese e ritenuto simpatizzante del potere austriaco, era più
consono al carattere popolare e da scapigliato ante litteram di Giuseppe Elena.

Elena nel rappresentare tre paesaggi tra loro molto diversi esalta la tecnica compositiva
presente nelle incisioni che li accomuna e li caratterizza, testimoniando la sua padronanza
nella resa delle proporzioni e della fuga prospettica.
In tutti i tre dipinti è ben percepibile la scansione per piani successivi: un piano anteriore
dove pone alcune figure umane (e un mulo) diversamente disposte e orientate in modo da
evidenziare a loro volta la profondità; un piano intermedio in cui colloca il “soggetto
principale” - il ponte e le isole borromee, l’abitato di Cernobbio e il promontorio di Varenna -
ponendolo in tal modo nel cuore del dipinto; infine un piano posteriore occupato dalle
montagne e dall’orizzonte che invita lo sguardo a proseguire ancora più lontano.
Ponte di Baveno, olio su tela cm 110 x 112

Il promontorio di Varenna, olio su tela cm 110 x 112


Certamente Elena si attiene ai dettami accademici e realizza i tre dipinti nel suo studio, per
cui mantiene la composizione generale presente nelle incisioni e riversa la sua originalità
nella resa della luce, in particolare dando risalto al contrasto tra la luminosità delle acque e
delle nuvole rispetto ai toni scuri del paesaggio circostante. Soprattutto reinterpreta i
particolari togliendo e modificando secondo il suo estro artistico e curando la definizione
della vegetazione in modo molto più accurato di quello permesso dalla tecnica incisoria.

Il Promontorio di Varenna, particolari

E’ una precisa scelta artistica quella di limitare a poche figure la presenza umana, non certo
per limitatezza di tecnica (basti pensare all’incisione Gustavo Adolfo Re di Svezia tratta da
Palagi o Il Verziere di sua ideazione, oppure al dipinto Piazza Vetra oggi alle Gallerie
d’Italia), ma perché il paesaggio e l’architettura, con le loro fughe prospettiche verso un
orizzonte più ampio, sono una metafora rappresentativa dello spirito di libertà che animava
il pittore e della sua insofferenza ai vincoli autoritari.

Resta infine da sottolineare come Elena vuole mantenere, anzi valorizzare l’armonia
complessiva dei paesaggi e l’equilibrata integrazione della natura con il segno dell’attività
umana a compendiarsi l’un l’altra. Anche i grandi alberi non hanno nulla di minaccioso nei
confronti delle persone sottostanti, che anzi sono in un atteggiamento di calma e serenità,
in perfetta sintonia con la realtà circostante. In questo Elena dimostra una conoscenza dei
temi propri del Romanticismo, pensiero culturale e artistico dominante in quel periodo, ma
anche in questo afferma la sua originalità facendo la scelta di tenersi lontano dagli schemi
storico rievocativi tipici dell’espressione artistica romantica italiana e lombarda in particolare.
Niente di rivoluzionario e d’avanguardia, ma certamente più vicino all’espressione europea
del tempo.
Oltre all’impronta artistica propria di Elena, all’evidente conoscenza dei soggetti delle
incisioni riprodotte nei primi decenni dell’800, alla composizione dei dipinti ricorrendo ad una
rigorosa resa prospettica, figlia anch’essa di una pratica incisoria molto ben conosciuta, la
presenza del monogramma GE testimonia la paternità dei dipinti in modo certo. La sigla,
identica a quelle presenti in alcune delle litografie da lui realizzate, è riconoscibile sul piccolo
cancello di ferro battuto che si intravede tra i due grandi alberi nel dipinto Cernobbio, apposta
come fosse una lavorazione decorativa e quindi volutamente dissimulata nella
composizione.

A chiusura di queste riflessioni e analisi delle opere presentate viene spontaneo richiamare
il giudizio di Paolo Arrigoni, che al termine del suo lavoro sintetizza in queste righe il valore
dell’uomo e dell’artista:
“Per quanto abbiamo esposto confidiamo che il paziente lettore concordi con noi
nell'assegnare il Nostro a quella schiera di milanesi o milanesizzati ricchi d'ingegno e d'estro,
dalla mente aperta, anzi protesa alle nuove idee, i quali nel secolo scorso diedero un
accento particolare alla vita dello spirito nella nostra città e che nel clima della ottenuta
libertà diedero vita, tra l’altro, a quel movimento che fu detto della Scapigliatura. Di questa
non è il Nostro un antesignano?”
Cernobbio, olio su tela cm 110 x 112
Fonti e Bibliografia

1) Paolo Arrigoni, Il pittore litografo Giuseppe Elena, in Raccolta delle stampe A. Bertarelli,
Rassegna di studi e di notizie, vol. II°- Anno I°, pp 61-160; Comune di Milano, 1974

2) Utile Giornale ossia Guida di Milano per l’anno 1838, Anno XV, Editore Giuseppe Bernardoni di
Gio., Milano 1838, pp. 524 - 529

3) Fernando Mazzocca, “Il Genio democratico” di Hayez. Un grande pittore italiano interprete delle
speranze e delle delusioni del Romanticismo, Catalogo della mostra Francesco Hayez, Gallerie
d’Italia (Milano 7/11/2015 - 21/2/2016), Silvana Editoriale Cinisello Balsamo 2015, pp. 25 e 26

4) Elenco dei principali costumi Vestiti alla Festa da Ballo data dal Nobilissimo Sig. Conte G.
Batthyany la sera del 30 gennaio 1828, Editore Giuseppe Elena Milano: marzo 1828 - gennaio
1829

5) Fernando Mazzocca, Il ritratto specchio dell’animo, Catalogo della mostra Romanticismo, Gallerie
d’Italia (Milano 26/10/2018 – 17/3/2019), Silvana Editoriale Cinisello Balsamo 2018, p.188

6) Cecilia Ghibaudi, Massimo d’Azeglio e la nascita del “paesaggio istoriato”, Catalogo della mostra
Il Paesaggio dell’Ottocento a Villa Reale a cura di Fernando Mazzocca, Monza Serrone della Villa
Reale (20/3/2010 – 11/7/2010), Umberto Allemandi & C. Torino 2010, pp. 122 - 128

7) Guida Critica all’Esposizione di Belle Arti in Brera scritta dal pittore Giuseppe Elena, Anno Quarto,
Editore Giuseppe Réina, Milano 1844, p. 6

8) Raccolta di vedute della città di Milano e dei laghi principali d'Italia, Edizione di L.V. Pozzi Negoz.te
di Stampe nella Galleria Decristoforis N. 45-46, Editore Luigi Valeriano Pozzi, Milano 1838-1839

9) Recueil des principales vues de Milan et des environs executées d'après le Daguerréotype et
gravées par J. J. Falkeisen et L. Cherbuin, Editore Ferdinando Artaria et Fils, Milano 1840

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