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TRA OTTOCENTO E NOVECENTO:

I “maestri” dei “maestri” del Movimento Moderno


In questo periodo sono note le figura di personaggi che si sono formati con una logica ottocentesca
ma che hanno deciso di aprirsi a strade che li avrebbero condotti ad un’idea di architettura moderna.
Tra questi vi sono:
 PETER BEHERENS: con il suo “rapporto tra architettura e industria”
 TONY GARNIER: con il suo “rapporto tra architettura e città”
 HENDRIK PETRUS BERLAGE
 AUGUSTE PERRET: con il suo “rapporto tra architettura e costruzione”
 AUGUSTE CHOISY
HENDRIK PETRUS BERLAGE
Si tratta di un architetto di origini olandesi e lavora prevalentemente ad
Amsterdam. Amsterdam, ma così come anche l’Olanda, in questo periodo, è una
città che ha una forte vocazione commerciale, ricca di zone portuali.
Durante la sua formazione, Berlage assorbe fortemente la lezione dell’800, studia
i libri di architetti come Viollet Le Duc, l’architetto francese teorico che portava
avanti un’idea che si legava alla ripresa dell’architettura gotica con l’utilizzo di
materiali come la ghisa (il sistema di volte complesse, con l’arco rampante).
Berlage, in questo momento, comincia a realizzare opere che potranno essere definite come gli
anelli, un punto unito ad una nuova concezione di architettura moderna. Non è infatti un caso che
Mies dirà “voglio fare come faceva Berlage”. Una delle opere più celebri, realizzate dall’architetto è
il progetto della BORSA DI AMSTERDAM, in cui viene incaricato nel 1884 dopo aver vinto ad un
concorso. Viene fatto un primo progetto in cui viene coinvolto Berlage, insieme ad un architetto più
anziano, Theodore Sanders: un progetto che viene immaginato senza un’attinenza del luogo preciso.
Dopodiché, nel 1885 viene realizzato un progetto di secondo grado, ma la realizzazione sarà negli
anni successivi.
Questo progetto risulta essere molto importante nella vicenda professionale dell’architetto poiché
è un progetto in cui è possibile notare questo netto passaggio tra un’architettura di atteggiamento
eclettico ad un’architettura di atteggiamento moderno.
La Borsa, per un paese commerciale come l’Olanda (un paese che si fonda sulle attività commerciali),
è un edificio che ha un ruolo molto fondamentale: si tratta dell’edificio che rappresenta proprio il
cuore di una società civile, che si fonda sull’attività mercantile. Non è infatti un caso che nell’800,
Amsterdam aveva già una borsa, ma il presidente decide di costruire una nuova sede, dicendo
“voglio un monumento nel quale si rispecchierà lo spirito risoluto e concreto dei mercanti di
Amsterdam”, con l’intento di realizzare un vero e proprio monumento che possa celebrare la
concretezza dei mercanti di Amsterdam.
Inizialmente, il progetto di II grado si tratta di una struttura che occupa un intero grande lotto, libero
sui quattro lati, che si affaccia su una piazza. Oltre che per le dimensioni, l’edificio viene considerato
“monumentale” anche per il suo linguaggio, il quale ripesca dal passato alcuni elementi che poi
vengono messi insieme. Come è possibile notare, nella facciata principale viene realizzato un portico
con una seri di archi a tutto sesto, torrette, guglie, tetti spioventi, gli abbaini. Il tutto era realizzato
in mattoni, richiamando così quella che era l’architettura romana. Quindi, si tratta di un edificio che
tratta elementi stilisti, formali, ovvero un edificio eclettico.
Ad un certo punto, nel 1896, il progetto passa nelle mani di
Berlage, il quale decide di trasformare completamente il
carattere eclettico dell’edificio in una struttura
completamente moderna. In questo nuovo edificio non è
presente alcun riferimento all’architettura dell’epoche del
passato, se non qualche citazione ma che viene riletta
sempre in chiave moderna, semplificando il linguaggio.
Si tratta di un edificio mastodontico, costituito da linee
molto semplici. L’edificio è caratterizzato, non più da guglie
ma, da una torre quadrangolare, che segnale nel tessuto urbano la presenza di questa struttura. Ciò
che viene lasciato dall’edificio preesistente è la scelta del materiale utilizzato per la muratura,
ovvero il mattone, facendo permanere l’idea del romanico.
Le quattro facciate vengono realizzate totalmente diverse una dall’altra, in cui permangono alcuni
elementi come il portico, la triplice fornice, le arcate a tutto sesto, le bifore. Su uno dei fronti laterali
è possibile vedere una certa serialità di finestre tutte uguali.
A proposito del linguaggio scelto per quest’edificio, l’architetto vuole dire che l’architettura
romanica può essere considerata come un modello, un’idea, ma senza essere totalmente imitata
con altre strutture. Berlage riconosce nell’architettura romanica un carattere moderno, innovativo,
un’architettura priva di decorazione ossessiva. Per questo motivo afferma
“Il romanico si accorda alle più basilari concezioni moderne per la semplicità della volumetria, della
struttura, della costruzione e il ruolo della decorazione”
L’edificio è un edificio di dimensioni notevolissime che si articola intorno a tre ampie corti coperte,
tre ampie sale: le sale delle contrattazioni.
All’interno, l’architetto progetta uno spazio nuovo: una grande sala
delle contrattazioni, come una sorta di piazza moderna luminosa,
priva di ingombri e intermezzi, sovrastato da un sistema di archi a
tutto sesto, che definiscono queste sorte di capriate di ferro e in
cui viene inserito il vetro. Dunque l’idea di Berlage è un po’ simile
a quella di Labroust nella Biblioteca di Saint Genevieve: la struttura
viene realizzata come una sorta di scatola muraria, di un linguaggio
molto classico, all’interno del quale viene creata, invece, una
macchina di ferro per realizzate delle coperture leggere e uno spazio libero da ingombri eccessivi.
Vengono adottati degli archi a tutto sesto che poggiano sulle murature perimetrali, su dei pilastri,
su cui scarica il proprio peso, e che vengono connessi mediante un nodo (una cerniera flessibile).
Questa grande struttura crea una forte spinta che tende a fare divaricare le pareti perimetrali.
Berlage nota che questi archi a tutto sesto tendono ad aprire la muratura, allora decide di creare
tutt’attorno un anello di costruzione, il quale definisce il sistema che è una loggia a tre altezze (una
triplice loggia a tre arcate), in cui vi sia una spinta assorbita che viene esercitata all’arco a tutto sesto.
Tutti i dettagli, ad esempio, del porticato, come il capitello e il concio di chiave vengono realizzati in
pietra, poiché sono dei punti nevralgici.
Ritornando al nodo che lega l’arco a tutto sesto alla muratura perimetrale, Berlage crea una cerniera
flessibile poiché ferro e granito hanno dilatazioni diverse. A proposito della maestria e la padronanza
dell‘architetto con i materiali, Mies dirà
“Berlage era un uomo di grande serietà che non avrebbe mai accettato alcuna cosa falsa e fu proprio
lui a dire che niente dovrebbe essere realizzato che non sia costruito con chiarezza. Berlage fece
esattamente questo. E lo fece a un tale livello che il suo famoso edificio ad Amsterdam, la Borsa,
aveva un carattere medievale senza essere medievale. Egli usava il mattone nel modo in cui il
Medioevo l’aveva usato”

Dopo aver realizzato la Borsa, Berlage, compie un viaggio negli Stati Uniti, entrando in contatto con
le innovative costruzioni, le prime architetture multipiano con scheletri in ferro. Nel 1914, quando
rientra in Europa, riceve l’incarico di progetta a Londra la Holland House, un edificio per uffici. Viene
incaricato da una famosa famiglia di collezionisti olandese, Croller-Muller.
L’architetto progetta un edificio dove è presente uno scheletro di metallo, che è possibile vedere
attraverso lo schema modulare in facciata, rivestito con delle mattonelle di ceramica. L’utilizzo di
questa griglia metallica consente di avere un palazzo per gli uffici, dove si inizia a vedere la finestra
che dal tetto arriva fino al pavimento, illuminando l’intero edificio.
Nel 1920 progetta anche il Museo Municipale Den Hoag, il quale rappresenta la conclusione del suo
percorso professionale. Si tratta di un edificio che si struttura attraverso un incastro di volumi
semplici e che sarà anche una delle caratteristiche che porterà avanti la progettazione di Gropius, il
quale dirà
“L’arte di costruire non può essere che l’arte di comporre i volumi”

PETER BEHRENS 1868-1940


Egli nasce in Amburgo, si forma in Germania. Inizialmente lavora come pittore,
nell’ambito delle arti applicate. Anche la Germania, in questo arco temporale, è
un paese in rapidissima evoluzione: l’unità tedesca, prima divisa in piccoli stati
dall’impero prussiano, avviene nel 1871. All’inizio del secolo, questo paese si
confronta fortemente con la questione del prodotto industriale: si porta ad una
competizione industriale con altri paesi europei, i quali sono tecnologicamente
più avanzati.
In quel periodo, il rapporto tra industria e architettura è un rapporto molto forte,
che sta soprattutto alla base della riflessione tedesca. Behrens è un personaggio che potrebbe
essere considerato come il primo vero e proprio “industrial designers” moderno e contemporaneo.
Infatti, Behrens lavorerà prevalentemente per un’industria che è l’AEG, un’industria legata
all’energia elettrica ma anche di prodotti come elettrodomestici.
Prima di essere assunto presso la AEG, il primo incarico di Behrens è un incarico che gli viene dato
dal Drand Duca d’Assia, il principe Ludwig, il quale voleva progettare a Darmstadt una sorta di
colonia, dove possa vivere circondato da artisti.
Behrens dunque entra a far parte di questa colonia di artisti che circondano il principe, progettando
la sua casa, Casa Behren. Si tratta di una casa di marcato gusto Art Nouveau, in cui mescola alcuni
elementi.
Viene chiamato negli anni successivi, dopo l’esperienza nella colonia di Darmstadt, nella città di
Hagen dove progetta alcuni edifici come
 il Crematorio, un edificio molto semplice, realizzato con volumi puri che richiama un po’ la
classicità con questo grande frontone, ma richiama anche l’architettura romanico-
fiorentino;
 la Casa Cuno, un edificio moderno per l’epoca in cui viene realizzato. Possiede sempre una
memoria classica con un grande corpo centrale vetrato cilindrico, e ai lati vengono
posizionate delle finestre, come semplici bucature.
In questi anni, mentre lavora ad Hagen, nel 1907 Behrens lavora con quello che sarà il suo più
importante committente, che altro non è che il proprietario dell’AEG che si chiama Emil Rathenau.
Quest’ultimo dà un incarico allo studio di Behrens di progettare tutto quello che occorre per
riconfigurare una nuova immagine per questa importante fabbrica tedesca.
Behrens progetterà tutto per questa fabbrica, dagli oggetti all’edificio, dal logo ai cartelloni
pubblicitari ecc… Tutte le scale di progettazione verranno affrontate da Behrens, il quale, in questi
anni, apre a Berlino uno studio di architettura dove lavorano Gropius, Mies e Le Corbusier, ancora
non conosciuti dal mondo.
Uno dei progetti di questi importanti è il PADIGLIONE PER L’AEG in occasione dell’esposizione
cantieristica navale tedesca tenutasi a Berlino nel 1908. Si tratta di un padiglione che ha un impianto
ottagonale, simile a quello del Battistero di Firenze, con alcuni elementi che richiamano la classicità
(il frontone), da un lato sempre l’architettura romanica (il sistema dell’arco a tutto sesto). Ma tutti
questi elementi vengono reinterpretati in una forma molto più astratta, in chiave moderna.
L’edificio che segna una totale svolta è la celebre FABBRICA DI
TURBINE AEG, che Behrens progetta a Berlino. Si tratta proprio
della struttura che pone inizio al processo della progettazione
industriale dell’architetto. Decide di costruire questo edificio
come una sorta di grande scatola di vetro che assomiglia ad un
vero e proprio capannone industriale, interamente sfinestrato
sul lato corto e sul lato lungo. La fabbrica viene fiancheggia da
un edificio che, invece, è caratterizzato da una copertura piana
a terrazzo, che è la sede amministrativa.
All’interno è possibile vedere che la fabbrica è concepita come una sorta di scatola di vetro, con un
grande lucernario in alto. Tutta la struttura è uno scheletro di ferro, il quale consente di avere,
ancora una volta, una finestratura così ampia. La struttura della
copertura è costituita da un sistema di archi a tre cerniere, una
spezzata. Questo profilo prosegue per l’intera lunghezza fino al
corpo di testata, definendo poi nella facciata (lato corto)
l’elemento che è interpretato come una sorta di timpano di un
qualsiasi tempio classico.
Guardando il fianco dell’edificio, è possibile notare un ritmo
sostenuto di pilastri, molto ravvicinati, collegati ad un'unica trave che corre per l’intera lunghezza.
Questo lato dell’edificio, con questa serie di sostegni verticali, ricorda più o meno, il tempio greco.
Sulla facciata principale, rispetto al fianco, è presente una grande finestratura, la quale è
fiancheggiata da due elementi, due pieni murari, costituiti da un sistema di ricorsi orizzontali, come
se fossero delle bugne orizzontali in calcestruzzo. Nel complesso la “struttura parla il linguaggio
classico dell’architettura” (come dice Summerson), ricorda quello che è il fronte di un tempio
classico. In realtà, in una costruzione tradizionale, in muratura portante, l’angolo è uno dei punti più
nevralgici della costruzione, poiché soggetto agli sforzi, dunque ha bisogno di essere rinforzata.
Behrens decide di rinforzare gli angoli con questa parte di pieno murario, e vengono anche
arrotondati.
Ma c’è qualcosa che stona, che è ambiguo. Perché dovrebbe rinforzare degli angoli che non hanno
bisogno di tale intervento? La struttura con cui Behrens lavora è una struttura metallica, in ferro.
Quindi se si lavora con una struttura di questo tipo, moderna, con uno scheletro di ferro, non
necessita la presenza di rinforzamenti.
Per di più, questi elementi che sembrerebbero dei pieni murari in calcestruzzo sono rastremati verso
l’alto, e la trave prosegue oltre i pilastri e quindi funziona a sbalzo. Quindi, l’angolo di questo edificio
non è tenuto dal pieno murario come Behrens vuol far intendere, ma è tenuto insieme da queste
travi. Ciò significa che Behrens rinforza visivamente, ma non realmente, l’angolo dell’edificio. La
struttura si regge benissimo da sé.
Probabilmente svolge tale operazione perché vuole richiamare questa necessità statica
ottocentesca e, forse, perché vuole anche richiamare l’immagine di un tempio classico.
In anni 20-24 progetta l’Edificio per l’industria chimica Hoechst a Francoforte: un edificio che si
segnala attraverso la presenza di una torre con l’orologio (fabbrica come simbolo della centralità
urbana). Nella hall di ingresso è possibile vedere uno strano edificio caratterizzato da una sorta di
plissettatura della superficie in mattoni, sovrastato da strani lucernari.
Un edificio che mostra un rapido spostamento verso un filone, definito con il termine di
Espressionismo, che si focalizza sulle sensazioni umane.
TONY GARNIER 1869-1948
Il terzo personaggio che viene inserito in questa sorta di Pantheon della
modernità è Tony Garnier, in particolare per il suo progetto per la “CITTA’
INDUSTRIALE”, per il quale comincia a lavorare nei primi anni del 900.
Tony Garnier è uno di quei personaggi che Le Corbusier cercherà di
incontrare, poiché riconosce in lui una figura fondamentale nella costruzione
di un’idea di architettura moderna. Quello che Le Corbusier apprezza e
guarda in Garnier non è la forma delle sue architetture, ma l’idea.
L’inizio di questo progetto per la città industriale è un inizio tutto ottocentesco. Garnier infatti è uno
studente dell’Accademia des Beaux Arts, di Parigi, un luogo dove si insegna in modo tradizionale.
Garnier, dopo aver vinto un Prix de Rome, si reca a Roma presso l’Accademia di Francia (la villa
medici) e dove poi si trasferisce. Ma a Roma, il suo lavoro da studente non è molto apprezzato dai
professori dell’accademia. Egli, fin dal quel momento, inizia a lavorare al suo progetto per una città
industriale, che però viene definito dai suoi maestri come uno “scarabocchio indecifrabile”, a causa
del suo impianto disordinato. Allora è costretto a cambiare totalmente quella che era la sua idea
iniziale di città industriale, riproponendo una città antica come modello.
Nel 1904, Garnier tacitamente però continua ad elaborare quella
che era la prima idea iniziale, concludendolo. Questo progetto
viene addirittura poi esposto prima che Garnier lascia Roma, ma
senza riscuotere alcun successo. Allora ritorna a Lione, dopo
aver concluso i suoi studi presso l’Accademia, fino a quando nel
1917 non viene finalmente pubblicato.
Questa città è una città che parte dall’idea che oggi verrebbe
chiamata “zonizzazione”: all’interno della città vengono individuate delle zone che hanno varie
funzioni (zona industriale, zona residenziale, zona per gli edifici sanitari). Viene immaginata da
Garnier come una città capace di ospitare 35 milioni di abitanti, ma che non la immagina in un luogo
ben preciso. L’architetto, di questa sua idea, mostra più o meno come è l’andamento del terreno,
se si è in presenza di colline o zone piane. Inoltre, viene pensata la presenza anche di un fiume,
elemento naturale che permette la diffusione di oggetti tramite un commercio fluviale; oppure
viene ipotizzata la presenza di una ferrovia, altro elemento capace di mettere in comunicazione le
zone e usa come mezzo di trasporto delle merci.
Si tratta di una città che ha delle determinate caratteristiche senza essere individuato in un luogo,
poiché non è una città reale, ma immaginaria, che l’architetto pensa di voler progettare come su
una tabula rasa. Ciò che afferma Garnier a proposito di tale città è
“La nostra città è una finzione senza realtà, possiamo dire
tuttavia che alcune città francesi hanno necessità analoghe a
quelle della città da noi immaginata; la regione del sud est della
Francia è quella in cui situiamo questo studio, i materiali utilizzati
saranno quelli impiegati in questa regione come mezzi di
costruzione”.
Questa città è una città che nasce in una zona pianeggiante, vicino ad un fiume, dove viene utilizzato
un sistema gerarchico di lottizzazione del terreno attraverso una maglia razionale, con strade
ortogonali: l’edificio assembleare viene realizzato a forma di losanga.
Per questa città industriale, Garnier comincia anche ad ipotizzare gli edifici che ne faranno parte.
Per esempio comincia ad ipotizzare la stazione con la torre dell’orologio a traliccio, le pensiline, i
luoghi di sosta e di arrivo.
Come ha suggerito lo stesso Garnier, il quale afferma che per questa città industriale avrebbe
utilizzato i materiali del sud est della Francia, pensa di realizzare la struttura in cemento armato, che
la Francia disponeva.
Dopodiché inizia a progettare anche quelle che poteva essere le possibili residenze unifamiliari.
Queste hanno delle caratteristiche molto particolari: sono dei volumi semplici, con dei tetti piani,
intonacate di bianco. Dunque possiedono un carattere molto razione e moderno.
In questa città, ovviamente, vengono realizzati anche quegli elementi che costituiscono la ragion
d’essere di questa sua idea: le industrie, come la grande diga di sbarramento del fiume che consente
alla città di essere autosufficiente dal punto di vista del rifornimento, la centrale elettrica, lo scalo
fluviale per i commerci marittimi.
Vengono disegnati gli edifici sanitare, come la zona ospedaliera collocata sotto la collinetta, protetta
dai fumi provenienti dalle industrie.
Questa città, peraltro, è una città realistica che potrebbe essere assolutamente realizzata. Ma ciò
che manca sono tutti gli apparati che riguardano la difesa, che riguardano la giustizia, perché è una
sorta di città pacificata, socialista. Garnier immagina che tutti i problemi legati alla giustizia sia tutti
problemi superati, poco rilevanti.
Ovviamente la città in sé non viene interamente realizzata, ma soltanto una piccola parte di edifici.
Infatti, quando Garnier rientra a Lione, incontrerà un sindaco progressista, socialista, che chiederà
all’architetto di mettere in pratica alcuni progetti da lui proposti. Mentre Garnier sta progettando
per questa sua idea di città industriale, il giovane Le Corbusier cercherà di andare a trovarlo, per
impadronirsi di questa idea di città industriale, di questa idea di città costruita per zone.
Le Corbusier, mentre cerca di avere un appuntamento con Garnier, contemporaneamente si trova
a lavorare nello studio parigini nel quarto personaggio del pantheon moderno. Auguste Perret.

AUGUSTE PERRET 1874-1954


È un personaggio anche lui molto importante, riconosciuto come un
architetto-ponte che traghetta tra la lezione dell’800 e il 900.
Perret è figlio di un grande imprenditore che ha un’impresa a Parigi, che poi
cede ai due figli Auguste e Gustave. La singolarità di questa impresa, che si
chiama “Les Freres Perret”, è il fatto che è l’unica impresa a Parigi ad aver il
brevetto per realizzare e costruire con il cemento armato. Il cemento armato
è un’invenzione a cui si arriva attraverso progressive sperimentazioni, e che
viene protetta da un brevetto.
Il cemento armato deriva dall’unione di due elementi: calcestruzzo e ferro.
L’uso di questo materiale non era scontato nell’800 perché il primo problema che si poneva era che
il calcestruzzo e il ferro, pur se messi assieme, non sempre hanno un carattere monolitico. Per poter
lavorare in termini monolitici è necessaria l’invenzione del tondino di ferro, una sottile asticella a
sezione circolare. Questi tondino se viene trattato come una sorta di spirale, rigato, ha una aderenza
maggiore con il calcestruzzo. In più il tondino non può avere una forma indefinita, deve vere al
contrario una certa dimensione.

Un’idea che viene sviluppata nell’800 è quella di Auguste Choisy, il quale analizza puntigliosamente
un dettaglio del tempio greco, dove vi è la colonna con un semplice capitello di ordine dorico,
sormontata un architrave, il fregio con metope e triglifi, e la cornice. Di questo dettaglio fa una
trasposizione del tempio classico, realizzato in marmo o in pietra, in un elemento fatto in legno. La
teoria di Choisy dice che il tempio classico, in muratura, altro non è che la trasposizione della tecnica
in legno del tempio classico. Il sistema della decorazione dell’edificio classico altro non sono che la
memoria dell’aggancio delle testate delle travi di legno sull’architrave orizzontale.

Una delle opere più importanti di Perret è la CASA AL N.25 DI RUE FRANKLIN realizzata a Parigi nel
1903. Si tratta della prima casa a Parigi realizzata interamente con un sistema intelaiato di
calcestruzzo, costituito da pilastri e travi. Viene elaborata una pianta tipo
che si ripete nei singoli piani. I muri perimetrali sono portanti ma ai quali
la casa non si appoggia, poiché sono delle proprietà confinanti. La vera e
propria struttura portante della casa è proprio il sistema di pilastri,
rappresentati da puntini in pianta. Un sistema di pilastri e travi portanti,
certamente, non necessità di grossi spessori murari, quindi i muri hanno
soltanto la funzione di dividere gli ambienti. La prima scelta che fanno i
fratelli Perret è quella di piegare la facciata, in modo da ampliare la
superficie illuminata.
Con questo edificio, ci si trova in presenza di una pianta che potrebbe essere definita come una
“pianta libera” dagli ingombri dei muri portanti. Tuttavia, però, è ancora una pianta bloccata poiché
vi è sempre un’impostazione simmetrica, ma anche perché vi è una ripetizione di questa pianta tipo.
Guardando la facciata nel dettaglio, è possibile notare la presenza di un sistema intelaiato che
costituisce la struttura (pilastri, le travi), la quale viene ancora rivestito da delle piastrelle,
mattonelle di rivestimento lisce per quanto riguarda gli elementi strutturali, mentre, con dei pannelli
che riprendono il tema floreale dell’Art Nouveau, vengono rivestiti i pannelli di chiusura, di
tamponamento.
Ancora, in quel periodo, il cemento armato non era visto come un materiale di decoro e che poteva
stare all’interno di una città.
Nel caso del progetto del Garage in rue de Ponthieu, a Parigi (1906), utilizzano sempre il sistema
intelaiato con pilastri e travi lasciato a filo con la facciata, condizionandone il disegno.
Tra il ’22 e il ’24, Perret continua a lavorare sul sistema del cemento armato, progettando la Notre
Dame du Raincy. In questa chiesa elabora l’idea dei pilastri cilindrici in cemento armato che
sorreggono delle volte a botte. La struttura, però, stavolta viene presentato così per come è stata
realizzata, Perret decide di lasciare a vista il cemento armato, infatti è possibile vedere i segni delle
casseformi usate per il getto del calcestruzzo. Il sistema delle vetrate ricorda molto quello presente
nelle grandi chiese gotiche. A proposito di questa sua opera, Perret affermerà
“L’architetto è un poeta, la sua lingua madre è la costruzione”
La costruzione al centro della riflessione di questi architetti.
Inoltre, due frasi molto significative sono state dette da due grandi architetti, Perret e Loos:
“Io affermo che chi, senza tradire mai né i materiali né i programmi moderni, sappia produrre
un’opera che sembri esistere da sempre, che in una parola sembri banale, io penso che possa
ritenersi soddisfatto” (Perret)
“Lavoriamo senza fermarci un solo istante a pensare alla forma, non abbiate paura se la forma è già
pronta, che ben venga, non abbiate paura di essere ripetitivi e non cercate l’originalità “(Loos)

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