Sei sulla pagina 1di 10

Ludwig Mies van der Rohe (Aachen 1886-1969)

Nasce Ludwig Mies, nel 1910 aggiunge il cognome della madre perché il doppio
cognome gli avrebbe conferito un’aura più alta di fronte alle committenze dell’alta
società.
Il padre era scalpellino, aveva una cava ed era impegnato in lavori di marmo, per cui
Mies conosceva la pietra da taglio in generale e le potenzialità di questa. Ritroviamo
questa attenzione nel dettaglio architettonico e nell’uso dei materiali pregiati.
Non si diplomerà mai nella facoltà di ingegneria o architettura, ma frequenta la
Domschule (scuola cattedrale).
Trascorse un periodo nel laboratorio del padre e nell’azienda di mobili di Bruno Paul, nel
1905 si trasferisce a Berlino e dal 1908 al 1911 lavorò nello studio di Behrens (dove
conobbe Gropius e Le Corbusier): qui fu esposto all’idea di sintesi per il disegno
industriale moderno e alla questione di una cultura industriale capace di unire
pragmatico e utile.
Allo scoppio della guerra aveva già disegnato degli edifici e tra gli anni 20 e 30 definì la
maggior parte dei termini di base della sua opera successiva: la ricerca di valori
spirituali, la riduzione a forme semplici, gli elementi essenziali della storia, l’ordine della
tecnica industriale.
Dopo la guerra, Mies van der Rohe diresse la sezione di architettura di uno dei gruppi
radicali, il “Novembergruppe”.
Nel 1923 divenne membro fondatore della “rivista G Materiale per la progettazione
elementare ” di Berlino, dichiarando la sua opposizione al formalismo, a un’architettura
che non trova corrispondenza nella funzione, un’architettura vuota, sostenendo forme
legate alla praticità e una costruzione sotto il vessillo di una Nuova Oggettività.
Nel 1937 non concorde col nazismo scappa in America. Inoltre vi si recherà anche
Gropius in quanto avevano problemi a gestire la Bauhaus. In America trova ricchezza e
quindi occasioni per la sua architettura.
“Less is more” una frase che lo identifica. Come Loos, tende a prosciugare l'architettura
di ciò che secondo lui è ininfluente nel suo linguaggio. Conia anche lo slogan “God is in
the details”, e insieme riflettono una lenta maturazione su certi temi che culmina nelle
ultime opere.
In un’intervista parla di un’etica della sua architettura: l'architetto non è chiamato a
lasciare un segno di sé come uomo ma ad interpretare la cultura del momento, l’edificio
deve essere un oggetto fabbricato dalla cultura del tempo. Quindi l’opera di Mies van
der Rohe doveva esprimere un tempo dove la tecnologia consentiva delle scelte
figurative diverse.

● Grattacielo della Friedrichstrasse, Berlino, 1921


Potrebbe essere letto in chiave razionalista come tentativo di spogliare un edificio alto
fino alla sua struttura essenziale, avvolta da un curtain-wall in vetro (le due soluzioni
possibili per la struttura arretrata rispetto al filo di facciata sono 1 - la curtain wall, 2 -
le fasce alternate piene e vetrate) . La sua idea è simile a Wagner quando diceva che la
struttura non deve essere esposta in facciata, o come il Johnson wax di wright. Una
cortina esterna tutta in vetro in modo tale che sia tutto visibile. L’edificio alto sembra
qui indicare il fervore progressista.
La pianta è a “diamante”. La forma triangolare deriva, disse, dalla volontà di massimo
sfruttamento del lotto.

● Progetto per un Grattacielo in vetro, 1922


Modifica la pianta in un sistema radiale di forme curve che partivano da un nucleo
distributivo centrale, abbandonando così l’angolo retto. Le curve furono determinate da
tre fattori: l’illuminazione dall’interno, la percezione della massa dell’edificio dalla
strada, il gioco di riflessi.

● Progetto per un Edificio per uffici in cemento, 1922-23


Qui porta l’idea della cortina esterna in vetro attraverso un’altra soluzione
sperimentale, fasce alternate piene e vetrate.
L’enfasi si sposta sulla stratificazione orizzontale e sull’espressione dei piani sospesi:
l’edificio era un insieme di solai aggettanti poggiati su pilastri con mensole.
La pianta rappresentava una maglia di montanti strutturali con tamponature inserite
tra loro.
Per realizzarlo, il parapetto doveva essere continuo con il piano del solaio.
Tensione visiva creata dalla sporgenza di ogni piano rispetto a quello sottostante.

I tre progetti possono essere visti come il tentativo di sondare le caratteristiche


espressive di diversi materiali con altrettanti schemi funzionali e, insieme, come la
messa a punto di una strategia logico-formale unitaria da attuare nelle opere
successive.

● Progetto per una Villa in mattoni, 1923


La casa avrebbe dovuto sorgere in aperta campagna nei dintorni di Berlino e in questo
progetto Mies van der Rohe cristallizzò un’idea spaziale chiave.
La pianta (che ricorda quelle a mulino di Wright) era composta da una trama di linee
(muri portanti) di varia lunghezza e spessore che si estendevano gradualmente verso
l’esterno. I piani murari si interrompevano in alcuni punti per permettere l’inserimento
di aperture vetrate a tutt’altezza. Alcuni volumi si alzavano a due piani e tutte le
coperture erano piane e formate da solette sottili.
il tutto è richiuso da una sottile parete in cemento armato che senza soluzione di
continuità (non c’è un luogo di sutura) avvolge tutta la casa. L’involucro non è portante
perché forato dalla fessura alla base dei volumi.
Apre delle asole a terra per far capire che la parete non è portante ma solo una
chiusura. Inoltre l’asola è tracciata in modo tale che l’edificio sembra staccarsi dal
suolo data l’ombra così generata. Ritroviamo questo sistema nei progetti dell’illinois
University, l’idea è quella di “tagliare la base”.

● Padiglione di Barcellona, 1928-29


Fu costruito come struttura temporanea per l’Esposizione Internazionale di quell’anno e
doveva rappresentare il livello tecnologico raggiunto dalla Repubblica di Weimar. In
realtà il padiglione, vuoto all’interno, mostrava sé stesso attraverso lo spazio continuo,
una sintesi di forma e tecnica, di valori classici e moderni.
Si solleva come un tempio su un podio al quale si accede da una scalinata. Le
architetture di Mies van Der Rohe sono di fatto sempre impostate su uno stilobate, una
piattaforma cromaticamente distinta e lavorata di travertino. Il fatto di essere alzato
su un podio determina una percezione per cui bisogna salire e guadagnare il piano
dove sono collocati gli edifici, situazione di attesa come nelle chiese, soprattutto
antiche.
La soletta del tetto poggia su otto montanti d’acciaio cruciformi cromati (profilati
commerciali che diventano una croce combinati insieme. Coperti da acciaio lucidato
così che riflettendo ciò che c’è intorno sembrano trasparenti. Così smaterializza la
struttura, processo di carterizzazione). La concezione richiama lo scheletro della maison
Dom-Ino ma con un piano solo.
Lo spazio non è una sequenza di stanze ma suddiviso da setti privi di connotazione
tettonica (preziosi anch’essi) e elementi di separazione più leggeri. Alcuni muri erano
portanti ma il telaio strutturale era tutto fuorché tradizionale perché accompagnato da
materiali costosi (muri in marmo e onice, vetro dipinto semi-riflettente, acciaio
inossidabile e marmo travertino).
La struttura è delimitata da un recinto di marmo travertino montato a macchia aperta.
Ricavata una vasca d’acqua che serve a moltiplicare l’effetto dell’architettura
(chandigarh). L’acqua sembra che continui sotto al piano del podio grazie al sistema
della soletta.
Un’altra vasca a chiudere lo spazio espositivo interno. In una delle vasche era stata
collocata una contemporanea statua classica di donna. Il podio qui è circondato da un
segmento di muro di marmo verde a forma di “U”.
Il passaggio all’interno dell’edificio implica l’attraversamento di numerosi strati e si
comprende come le pareti divisorie fondano insieme spazio esterno e interno.
Gli interni vennero arredati da pesanti sedie in pelle, raggruppate come gli altri arredi
in modo formale, in quanto avevano la funzione ufficiale di sala di ricevimento dei re di
Spagna da parte dell’ambasciatore tedesco.
Il Padiglione fu smontato negli anni Trenta e ricostruito negli anni Ottanta seguendo le
piante originali ma gli elementi originali erano andati quasi tutti perduti.
Si vede l’evoluzione della sua idea delle solette orizzontali sospese e della pianta
centrifuga, ma si riconosce anche una concentrazione su elementi classici essenziali
(proporzioni, senso di riposo, riproposizione in forma astratta di colonna e trabeazione).

● Casa Tugendhat, Brno, 1928-30


I due coniugi Fritz e Grete volevano ariosità, lucentezza e trasparenza, ispirandosi al
padiglione di Barcellona. La villa si doveva inserire in un quartiere residenziale dell’alta
borghesia. Viene immediatamente contestata per la sua diversità rispetto agli edifici lì
intorno (ad esempio, questa non aveva il tetto spiovente e il rivestimento in mattoni).
Era una famiglia ebraica quindi la casa viene anche occupata dalle SS. Nel tempo è
stata restaurata grazie alle foto di Fritz.
Si sviluppa su un piano inclinato, tre piani complessivi. La struttura è metallica e
costituita da pilastri cruciformi portanti, arretrati rispetto al perimetro della casa,
rivestiti con un carter a forma stondata che nelle parti esterne è in lamiera di bronzo
brunita mentre nelle parti interne è cromata, come nel Padiglione di Barcellona.
La parte a monte affaccia su una strada di vicinato dove affacciano tutte le palazzine
mentre quella a valle si apre su un panorama della città di Brno verso sud. La parte a
Nord è chiusa e riservata mentre quella a Sud aperta e trasparente.
L’accesso avviene dal lato Nord che possiede un unico livello destinato alla zona notte.
Qui si accede all’autorimessa e anche alla zona della servitù. Un tempo a questo livello
c’erano anche delle vasche con i giochi per i figli.
Il tetto è sorretto da un’asta di bronzo (non più in acciaio), elemento scelto anche per il
resto degli elementi verticali di sostegno esterni, mentre all’interno sono ripresi da
quelli del Padiglione di Barcellona.
Anche qui la piattaforma più elevata distingue, sollevata, l’edificio dal piano di
campagna.
Tramite la scala principale si accede al piano di sotto, un open space di circa 300 mq
destinato al soggiorno e alla sala da pranzo. Suddiviso non come stanze ma libero
diviso e specializzato dagli arredi e diaframmi talvolta in legno e in pietra, curvi o
rettilinei. Le pareti non chiudono ambienti, sono spesse 7 cm in onice e hanno un’anima
che consente al marmo di stare in piedi. Le lastre sono fissate con un getto in
calcestruzzo e ancoraggi al pavimento e al soffitto. Il decoro è semplicemente il
marmo.
Viene qui riportato il lusso del Padiglione ma adattato ad un ambiente domestico.
Dall’altra parte la cucina e i servizi. Ci sono altri percorsi esterni. Uno spazio tramite
una scala scende fino al giardino.
Elemento montato a soffitto: egli spesso divide gli ambienti con tendaggi molto
preziosi, di seta pesante (shantung), per cui una parte dell’isolamento della sala da
pranzo era completata così. Queste tende erano anche il sistema di oscuramento della
parete a valle. Inoltre i coniugi chiedono di realizzare un dispositivo per cui parte della
facciata a valle si apra, con i pannelli di vetro che scorrono verso il basso e si
alloggiavano in asole nel pavimento finendo nel seminterrato.
All'estremità orientale del salone si trovava una zona oscurata dalle cui vetrate era
possibile vedere un giardino d’inverno.
Nel piano interrato tutti gli spazi per la gestione della casa, la camera oscura per le
fotografie e la sala delle tarme (sala interamente rivestita di maiolica in cui la signora
conservava le pellicce).
L'edificio è ricco di richiami classici uniti alla lussuosa idea di macchinismo.
Lo spazio è legato al paesaggio.

● Farnsworth House, Plano, Illinois, 1945-51)


Edith Farnsworth: la committente. Laureata in letteratura e medicina, nefrologa, a 60
anni dopo una causa civile e dopo aver venduto questa casa andrà a vivere a Fiesole
(FI) diventa la traduttrice più importante delle opere di Quasimodo e di Montale.
Conosce Mies van der Rohe nel 1945 a Chicago e, innamorata della sua architettura
tanto diversa dal pragmatismo degli Stati Uniti, gli chiede di realizzare questa casa per
il weekend. In Mies c’era la fusione tra le tradizioni europee e americane.
L’architetto diventa anche appaltatore dell’opera (imprenditore). La stima preventiva
era di 54 mila dollari ma diventano 74 mila (attuale 1 milione). Per questo Edith cita
l’architetto in giudizio e in generale non era soddisfatta perchè riteneva che la casa non
fosse adatta per una donna, anche se stava sempre a studio con lui e con i suoi
collaboratori e aveva seguito interamente tutto il processo ideativo e progettuale.
Anche gli aumenti quindi erano stati concordati insieme. Alla fine lui viene scagionato e
la questione si risolve amichevolmente.
I blocchi di cui è costituita misurano 16,9 x 7 m e 23,5 x 8,8 m.
La casa sorge su un piano inclinato che declina verso il fiume Fox River a carattere
torrentizio (tende quindi a ingrossarsi nella stagione invernale). Gli edifici in queste
aree non dovrebbero sorgere dentro la golena del fiume: l’ingresso dell’edificio in
questione si trova qui ma l’architetto studia i livelli raggiunti dal fiume e si posiziona
leggermente più in alto rispetto al livello massimo raggiunto.
È una palafitta coperta da un solaio che ha un’anima in acciaio e sostenuto da dei
pilastri in metallo HE (sezione a forma di h girata I) con intervallo di 8,5 m che
sorreggono travi a C alte 38 cm. A differenza di casa tugendhat, i pilastri non sono posti
all’interno della pelle ma al margine e saldati ad esso. Il soffitto contiene a spessore
l’ordito del solaio determinando l’assoluta libertà dell’organizzazione dello spazio.
Qui il legame con l’esterno è affidato alla disposizione degli schermi parietali, in questo
caso l’assoluta trasparenza delle lastre di vetro dell’involucro. Quest’ultimo è composto
in vetro spesso 0,6 cm, alto 2,9 m .
L’ossatura è tutta in acciaio.
Si tratta di una sorta di scatola vetrata issata su una piattaforma nella quale sembra
scorrere, sotto un enorme acero. Si accede attraverso un secondo podio, rivolto verso il
fiume. La casa in sé e per sé occupa una parte della piattaforma racchiusa da una pelle
trasparente e all’interno è una pianta libera specializzata attraverso la scelta degli
arredi. L’unico nucleo tecnico è un blocco opaco. La cucina si affaccia sulla strada, dal
lato opposto la camera e il camino.
Decide di dipingere tutto di bianco per rendere astratta la struttura portante. L’edificio
doveva essere solo pelle e ossa, nessun decoro tranne la struttura portante e la pelle.
Si nota qui il concetto di “less is more” applicato in un contesto naturale come l’area in
cui sorge questa casa.
Il litigio fa sì che la casa venga lasciata in parte incompleta e poi completata dai
collaboratori.

● Illinois Institute of Technology, Chicago, 1939-56


Ci troviamo in una zona di circa 48 ettari,5 km al di fuori del Chicago Loop.
Prima della fondazione dell’Illinois Institute Technology (IIT), costruita per gli studi di
scienze e architettura, c’erano due università, l’Armour Institute (1890) e il Lewis (1895).
Il primo era un’università anche per i meno abbienti, l’altra spingeva alle professioni in
età adulta. Entrambe private, vanno in crisi e si fondono.
Alla fine degli anni 30 viene fondata l’Illinois Institute, pensato come un campus era
collocato in una zona di chicago che era un distretto nero. Qui sono nati anche
movimenti musicali importanti, è una zona ricca di storia.
L’istituto sorge a ridosso della rete viaria cittadina che lo collega internamente ma
serve anche il resto della zona.
Mies e Gropius vengono chiamati a dirigerlo e a Mies van der Rohe viene affidata la
pianificazione della planimetria del campus e il progetto di 20 edifici in circa 20 anni, il
tempo della sua direzione.
Nella realizzazione, guarda alle fabbriche e ai magazzini di Chicago per cui c’è una
scelta programmatica di non realizzare un campus tradizionale all’europea: pensava
alle attività all'interno del campus come grandi fabbriche di idee. Inoltre, progetta
l’impianto con Coldwell, un architetto paesaggista.
Lo stesso architetto dichiara che l’ordine è il vero motivo e partiva tutto dalle
dimensioni delle aule e delle scrivanie e via via il tutto si estendeva a ordini sempre
maggiori.
Suddivide i 48 ettari secondo una maglia di 24 piedi x 24 (un piede misura 30 cm). Il
modulo consente così di governare lo spazio.
Le funzioni principali erano raggruppate in scatole rettangolari, con struttura in acciaio
e collocate su un podio, combinando assialità neoclassica e asimmetria tipica degli
anni Venti.
Nella prima fase del progetto i singoli blocchi erano eretti sulla griglia stradale in modo
che potessero armonizzarsi tra loro durante la costruzione. Le strade preesistenti sono
state incorporate nel campus. Nella seconda fase, a partire dal 1952, gli edifici
dell’istituto di ricerca sono stati realizzati in calcestruzzo o acciaio con elementi
portanti dei solai posti dietro la facciata rivestiti in pannelli in cemento armato o
mattoni.
La normativa antincendio richiedeva che l’acciaio della struttura portante fosse
rivestito da uno strato ignifugo di cemento armato (questo consente un maggiore
tempo di esposizione alle fiamme). Ma volendo esprimere la struttura, l’architetto
utilizza un ulteriore rivestimento in acciaio intorno alla protezione antincendio e mette
a nudo la struttura attraverso un carter metallico all’angolo dell’edificio, da dove
traspare il nucleo in acciaio.
Robert F. Carr Memorial Chapel of St. Savior, 1949-52
L’unico edificio sacro costruito da Mies è una cappella universitaria di 180 mq, anche
chiamata God Box, una scatola che doveva essere tutta in acciaio portante e
tamponata con pannelli in muratura, invece viene realizzata in muratura portante con
solo il soffitto in acciaio. È opaca tranne la porta d’ingresso, quindi la luce proviene solo
dalla porzione di parete all’ingresso in vetro. La luce artificiale proviene da corpi
illuminanti.
L’altare è tutto in travertino.
Crown Hall (1950-56)
Edificio del dipartimento di Architettura, anche qui predomina l’immagine della
fabbrica. Intitolata a un grande magnate dell’industria edilizia.
La costruzione è tecnologicamente avanzata.
Formata da due livelli di cui uno interrato. Di fronte all’ingresso due scale consentono di
arrivare al piano terreno sollevato di circa 1,80 m. anche qui, come in casa Farnsworth
c’è l’idea di un piano superiore come un sagrato, un piano a cui accedere salendo due
piani.
Il piano fuori terra non ha sostegni intermedi, è un open space di 67 m per 36,50, il
soffitto misura 5,50 m. Elimina i sostegni all’interno e separa lo spazio solo con dei
diaframmi lignei in betulla. Lo spazio è specializzato solo con l’arredo. Si può pensare
che lo spazio sia dispersivo, ma in un intervista mies dice sia un luogo piacevole,
insonorizzato. Declinazione ulteriore di casa Tugendhat, per il discorso dello spazio
continuo e le divisioni dello spazio.
La struttura primaria consiste in una serie di 4 travature a ponte, saldate alle 8 colonne
H, dalle quali il tetto piano era di fatto sospeso. L’articolazione secondaria era formata
da travi (alte 1,9 m) e pilastri più sottili a “I”, agganciati al lato esterno delle bande
orizzontali di acciaio del volume principale. La sottostruttura è in cemento armato ed è
indipendente dalla sovrastruttura.
Il piano seminterrato è illuminato da vetrate in vetro satinato che consente
illuminazione e protezione dall’esterno.
Al primo livello, che occupa solo il 50% dell’area totale dell’edificio, c’è un grande
laboratorio con un’illuminazione a giorno, la biblioteca e gli uffici, gli spazi liberi per la
docenza.
Al piano inferiore ci sono le aule tradizionali e i servizi.
I dettagli delle travi e del podio e gradini “fluttuanti” donano leggerezza alla struttura
nel suo insieme.
Di recente è avvenuto un restauro.

● Nuovi edifici della Bacardi, Santiago de Cuba, 1957-60


Aveva lavorato al progetto con un suo allievo.
L’edificio non fu mai realizzato per ragioni di tipo politico.
Era in parte seminterrato e al di sopra dello stilobate c’era il livello scoperto.
La grande tettoia veniva chiamata “il tetto con le colonne” o anche “tavolo”, anche se
erano in effetti sostegni. Come nella Crown Hall, questi sono 8.
Al di sotto il perimetro vetrato racchiude parte di tutta questa zona coperta.
In una tavola esecutiva si rintracciano le tecniche costruttive, i sostegni anche qui
cruciformi non sono in acciaio ma in conglomerato cementizio mentre la piastra
superiore in acciaio è a cassettoni, in questo caso strutturale (di solito il cassettonato è
un controsoffitto dorato, come a Roma).

● Neue Nationalgalerie, Berlino, 1962-68


Vengono ripresi molti temi precedenti, ad esempio il soffitto a cassettoni, la pianta
libera, la salita in un tempio moderno.
Viene richiamato a Berlino dopo l’innalzamento del muro (che si trovava nei pressi nel
museo) per costruire un museo che dovesse raccogliere opere d’arte contemporanea
preziosissime, in parte confiscate durante in nazismo.
L’edificio è formato da un grande padiglione vetrato di 2600 mq coperto da un
imponente tetto piano a pianta quadrata supportato grazie a un giunto con 8 pilastri a
croce ricrociata rastremati (come delle colonne doriche).
La struttura è interamente in acciaio ma Mies van der Rohe utilizza anche il vetro, il
ferro dipinto, i setti rivestiti in verde antico (marmo), legno di quercia per i diaframmi,
granito bocciardato per rendere antiscivolo il pavimento.
Il tetto viene realizzato e assemblato a piè d’opera e poi issato mediante dei martinetti
idraulici, tecnica che viene dall’industria nautica e ferroviaria. Il soffitto è a cassettoni,
in questo caso strutturale (di solito il cassettonato è un controsoffitto dorato, come a
Roma). Inoltre, l’ampia copertura sporgente evoca l’idea di una trabeazione.
Quest’aula superiore poggia su un’ampia terrazza di 110 x 105 mq sopraelevata rispetto
al livello stradale, dal quale si accede attraverso due rampe di scale, come il podio di
un tempio sacro. La terrazza sembra continuare al di sotto del padiglione grazie alla
continuità del materiale del pavimento.
Al di sotto della terrazza, il piano seminterrato misura 10.000 mq, sul quale poggia il
padiglione.
La parte superiore è destinata alle mostre temporanee, lo spazio è lasciato dividere da
pochi elementi lignei o per questioni tecniche con quercia o rivestiti con marmo verde.
Il seminterrato è riservato alla collezione permanente ed è inoltre destinato alla
biblioteca, uffici, ristorante e servizi
Sul podio, sembra un altare dell’arte moderna.
Attraverso la divisione dello spazio grazie a colonne, partizioni piane con lo scopo di
sorreggere i quadri, l’architetto crea uno spazio astratto “universale” dando vita a una
monumentalità legata al sistema architettonico preesistente. Alcuni fondamenti del
classicismo erano ripensati in un moderno materiale industriale e in un nuovo contesto
sociale.

● Seagram Building, New York 1954-58


Considerato il grattacielo più costoso in America.
Sulla Park Avenue a New York.
Misura 157 m, 39 piani. Fu progettata da Mies e Philip Johnson (che aveva introdotto Le
Corbusier al Moma e si occupa dell'interno del ristorante al piano terreno. Progetta
anche i negozi al piano terreno.)
Destinato agli uffici delle distillerie canadesi Joseph Seagram&Son (tra cui Phyllis
Lambert, figlia di Samuel Bronfman, il committente, e colei che propose il nome di Mies
per il progetto del centro a New York).
Si tratta di una variazione del tema del nucleo centrale e dell’involucro.
La pianta misura 26,7 x 43,6 m e poggia su una piattaforma lapidea in travertino che si
estende fino al filo stradale lasciando scoperta una grande piazza concepita
all’europea, con vasche d’acqua simmetriche bordate di marmo. Questo tipo di modello
farà scuola ed è simbolo della ricchezza, in quanto il suolo newyorkese è estremamente
costoso.
La struttura portante è in acciaio e calcestruzzo, rivestito in travertino. La struttura a
prisma non concede alcuna fantasia ed è racchiusa in un curtain wall. C’è distinzione
tra struttura portante e margine che diventa autoportante. Per la cortina decide una
struttura interamente in bronzo perchè insieme al vetro davano l’effetto del colore delle
bottiglie di whisky prodotto dalla casa, come fosse una specie di propaganda. Inoltre, il
curtain wall è segnato da aste verticali ravvicinate a tutt’altezza.
Le tapparelle di oscuramento possono essere posizionate in tre modi: chiuse, aperte o a
metà, per questioni di economia dell’immagine finale.
Gli interni. Troviamo arredi degli anni Trenta. Il ristorante chiamato “Four Season”
veniva a volte chiuso in caso di eventi importanti e cambiava arredo a seconda della
stagione.
La postura è monumentale è la soletta aggettante dell’ingresso suggerisce l’idea di un
portico.
Aldo Rossi scrive un testo critico sull’edificio su casabella, spiegando il fatto che una
persona formata nella vecchia europa e spostata in america porta un innesto tra due
culture diverse. E portare lì una piazza, un luogo di incontro vuol dire portare una
tradizione europea in america. Realizza opere in Europa, America e Giappone. È anche
designer. Autore del teatro del mondo per una biennale di venezia.

Potrebbero piacerti anche