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I.

DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI


Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

I.6 Negli anni della diffusione delle strutture reticolari spaziali : il secondo dopoguerra verso
l’attualità.

«La costruzione moderna sostituisce:

1. All’elemento artigianale quello meccanico,


2.all’elemento capriccioso, individuale, quello collettivo, normalizzato,
3.alla casualità l’esattezza».
(M.STAM, Costruzione moderna, 1924, in A.Vitale – M.Perriccioli – S.Pone, op.cit., 1989,
p.42)

Ogni guerra porta sempre con sé un fermento di idee nuove che effettivamente si manifestarono a partire dal
1945 anche nel campo dell’architettura.
All’incremento dell’industria in tutti i campi e soprattutto nella meccanica nella motorizzazione e nella
elettrotecnica, fece riscontro, nell’edilizia, il forte sviluppo tecnico del cemento armato, che, rimasto per lo più
fermo ai primi risultati dal tempo di Perret, dopo la guerra, raggiunse una diffusione mai vista prima e riuscì ad
affermarsi formalmente e tecnicamente in alcune opere eccezionali. Le cause di questo sviluppo sono da
ricercarsi soprattutto in ragioni di ordine economico, mentre l’acciaio, meno abbondante e ancora controllato
dallo Stato, aveva un prezzo elevato, che non invitava gli imprenditori al suo impiego. Esso incomincerà ad
essere concorrenziale solo quando potrà competere sul piano economico con gli altri materiali, o quando il suo
impiego sarà giustificato da particolari situazioni contingenti. Intanto il lavoro di personalità come Pierluigi
Nervi, Felix Candela, Riccardo Morandi e Eduardo M.Torroja portava alla realizzazione di grandi coperture,
con sistemi precompressi o pretesi, e di opere di carattere eccezionale, in cui il cemento armato veniva usato
per quelle caratteristiche di plasticità, malleabilità e forza espressiva che gli sono proprie. L’impiego
dell’acciaio, che aveva caratterizzato alcune importanti costruzioni del periodo prebellico, subì così, nei
primissimi anni di pace, una notevole flessione, non denunciando progressi degni di nota e rivolgendosi a
sistemi analoghi a quelli dei decenni anteriori al ‘40.
Di fatto fu la C.E.C.A. a favorire la rinascita dell’acciaio quale materiale da costruzione, promuovendo una
serie di studi e di ricerche, che portarono in poco tempo ad importanti risultati. Riviste tecniche specializzate
pubblicarono fra il ‘50 e il ‘60 numerosi articoli, anche a carattere divulgativo, in cui si facevano conoscere le
più importanti opere prebelliche in acciaio e si invitavano i progettisti all’impiego del materiale e alla ricerca di
soluzioni tecniche ed estetiche innovative. I motivi addotti per la promozione dell’acciaio furono : la possibilità
di totale prefabbricazione ; la resistenza del materiale, quindi la maggior sottigliezza strutturale, e, di
conseguenza, lo sfruttamento massimo del volume edificabile ; la rapidità di esecuzione per lo più “a secco” ; la
semplificazione e “maccanizzazione” delle operazioni in cantiere ; la flessibilità planimetrica ; la possibilità di
modifiche ed ampliamenti a posteriori.
Si avviò, cosi, verso la fine degli anni ’50, il rilancio del materiale, facilitato dall’enorme potenziamento del
settore industriale siderurgico, che, operata la riconversione dalla produzione bellica, fornì maggiori quantità di
materiale utilizzabile anche nel completamento della ricostruzione edilizia. Il parallelo diffondersi della
prefabbricazione, come previsto, trovò nell’acciaio e nei metalli in genere un fattore decisivo per la sua
affermazione e, nelle loro tecnologie, i modelli per i propri procedimenti sia teorici che pratici di produzione e
assemblaggio, trovando nei prodotti siderurgici elementi particolarmente adatti alla realizzazione dei loro
programmi.

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I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

In questo quadro, le prime realizzazioni europee del dopoguerra confluiscono in tre indirizzi principali di
tendenza : il primo è caratterizzato dall’uso di elementi profilati e in lamiera, il secondo dall’impiego di
elementi tubolari a diametro vario e ridotto, il terzo è rappresentato dalla costruzione “a telaio” riedizione di un
tipo “moderno” a ossatura portante, le cui facciate sono caratterizzate nell’aspetto esteriore in due differenti
maniere, indici di altrettante tendenze: nel caso in cui la struttura sia “introversa” (cioè arretrata dalla facciata),
si incontrano diverse soluzioni di “curtain-wall”; nel caso in cui la griglia uniforme di elementi verticali e
orizzontali sia “estroversa” (portata cioè all’esterno dell’edificio, davanti all’involucro spaziale), e sia
tamponata da finestre e davanzali che, talvolta, giocano un ruolo secondario nell’aspetto dell’edificio, abbiamo
la tipica ossatura metallica “a vista”  soprattutto quest’ultimo indirizzo interesserà fortemente l’architettura
sino agli anni ‘70.
Fuori dallo schema l’Olanda, in cui continuava a prevalere la tipica struttura caratterizzata dal connubio di
acciaio, laterizio e vetro, soluzione adottata dagli architetti Jakob Bakema e Johannes H.Van den Broeck negli
edifici del 1950 Ahoyhol e Energiehol allo Stadpark di Rotterdam.
Appartiene al primo indirizzo l’Aérogare Sud (1953-54), dell’aeroporto di Orly, progettato dall’architetto
H.Vicariot, in cui viene impiegata la lamiera di acciaio anche per i pannelli di tamponamento verticale.
L’utilizzazione dell’acciaio ha qui permesso un risparmio di tempo considerevole nell’ambito di una
pianificazione dei lavori assai complessa.
La seconda tendenza, in particolare francese, faceva capo all’architetto E.Albert e all’ingegnere Sarf, ed
impiegava elementi costruttivi in tubo e “croci di Sant’Andrea” come sistema controventante, nonché lo stesso
tubo a minor sezione per la formazione di ampi solai e di strutture tridimensionali.
Si può affermare che l’impiego del tubo nel campo delle costruzioni metalliche ha portato una vera e propria
rivoluzione, in quanto, sia per la concezione, che per il calcolo e la realizzazione, le strutture tubolari sono
sostanzialmente diverse da quelle realizzate con i profilati normali. Nelle costruzioni il tubo lasciato in vista
creava nuovi effetti estetici e consentiva soluzioni più semplici dei nodi della struttura. Esso, inoltre, acquisì
particolari doti antincendio e acustiche, qualora riempito di calcestruzzo.
Nel 1955, a Parigi, Albert realizzava il Palazzo per uffici di rue Jouffroy. L’edificio avvolgeva una piccola
costruzione che non aveva la resistenza per sostenere una sopraelevazione di 4 piani. Cosicché l’esile struttura
metallica, esterna, in risalto e indipendente dai vincoli distributivi interni, ha permesso di realizzare l’opera
senza ricorrere a grossi pilastri che avrebbero snaturato l’aspetto della vecchia casa. Ogni montante è qui
costituito dall’accoppiamento di due elementi che si controventano reciprocamente : la forma del montante
contribuisce a dare un aspetto nuovo alla facciata, che tuttavia ben s’inserisce nella cortina di case di un
tradizionale quartiere parigino.
Più diffuso fu il fenomeno della costruzione “a telaio”. Fu H.Salvisberg a inaugurare la stagione europea di
questo tipo di costruzione con il Bleicherhof (1938) di Zurigo1. Questo edificio fu d’esempio per gli architetti
tedeschi allorché, verso il ’50, la situazione economica prese a migliorare e la ricostruzione di edifici
amministrativi e per uffici divenne una necessità ; ma, già a mezzo degli stessi anni, si fece sentire un
malcontento crescente per la rigidità e la monotonia dello schema a griglia. Gli architetti cercarono una via
d’uscita ora in una lavorazione plastica più marcata della facciata, ora nel ritorno al rivestimento tradizionale
continuo, uniforme e liscio, ora in una articolazione meno rigida dell’edificio ; d’altra parte, nei medesimi
anni, si andava affermando la tendenza verso muri con pannelli e facciate sospese in vetro e metallo (“courtain-
wall”) di vaga matrice statunitense.

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Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

«[...] Il muro pannello non è tuttavia esclusivamente un oggetto importato dagli U.S.A., esiste anche una linea di
evoluzione europea [...] che ha permesso di passare a poco a poco dall’ossatura portante con riempimento
tradizionale e, in particolare, dalla struttura a griglia alla facciata con muri pannello.
Dapprima è il grigliato della trama che si impone ed espande essendo gli elementi verticali limitati ai soli pilastri
portanti. Gli spazi liberi così allargati sono in seguito riempiti, non più da pannelli in muratura e da finestre, ma da
elementi esterni dell’altezza di un piano, in metallo e vetro, legno e vetro, o altre combinazioni di materi ali —
come era già stato fatto nel 1931 nella Maison Clarté.
Con la sua Città Rifugio, costruita a Parigi nel 1932, Le Corbusier aveva anticipato anche in questo ambito, la fase
successiva : gli elementi verticali si ritirano dietro la facciata, le nervature dei solai sono i soli elementi
dell’ossatura portante che restano in evidenza, gli elementi della facciata si allineano in bande orizzontali continue.
Non resta più che un passo da fare per giungere ai muri pannelli nei quali l’ossatura portante scompar e
completamente dietro la pelle sospesa della facciata.
Con i muri-pannello comincia un nuovo periodo evolutivo della costruzione metallica moderna. [...] Il muro
pannello rappresenta una novità decisiva in quanto è sotto il suo regno che l’edificio ad ossatura in acciaio è riuscito
a superare certe tendenze regionali e divergenze per imporsi e giungere ad una dimensione realmente
internazionale».
(F.HART - W.HENN - H.SONTAG, op.cit., 1974, p.27)

Si possono considerare come prime realizzazioni europee di tale tipo di struttura le soluzioni applicate da Jean
Prouvé‚ nel 1925, nella Gare Routière Citroën e nella Maison du Peuple de Clichy del 1939 (Beaudouin - Lods
- Bodiansky - Prouvé), seguite dalla Sede della Federation du Bâtiment (1949), a Parigi, in cui la facciata in
metallo e vetro, interamente prefabbricata, è sospesa ad una struttura portante in c.a.
In ogni caso, è negli Stati Uniti, sotto l’influenza dell’opera di Mies Van der Rohe, che la parete-pannello va
assumendo un ruolo di protagonista nel trattamento superficiale degli edifici più progressisti.
Nel vero senso del termine curtain-wall è la cortina leggera di pannelli, modulari, prefabbricati, non portanti,
montata “a secco” per sospensione davanti alla struttura “a scheletro” portante, che somma alle funzioni di un
muro di tamponamento anche quelle difesa dagli agenti esterni e dall’inquinamento acustico e di regolazione
dell’illuminazione naturale e dello scambio d’aria. I vantaggi che favorirono la sua diffusione furono :
guadagno di spazio, riduzione dei carichi, accelerazione e razionalizzazione dell’esecuzione in opera e, quindi,
riduzione dei costi di mano d’opera, reversibilità, “programmabilità” della durata, facilità di manutenzione e
sostituzione delle componenti.
Nei già citati Lake Shore Drive (1948-1951), le torri ad appartamenti non sono che una “gabbia” di vetro e
acciaio assolutamente uniforme in cui le vetrate sono sostenute da montanti in acciaio saldati ai bordi della
travatura di ogni piano. Per aumentare la solidità i montanti sono applicati alle colonne. Questa soluzione era
stata preceduta dal progetto della Promotory Apartment House (1949), mentre verrà perfezionata nei
Commonwealth Promenade Apartments (1953-1956), sempre a Chicago. Soluzione altrettanto interessante si
riscontra nella Crown Hall (1955), dell’Illinois Institute of Technology di Chicago, dove la struttura costituisce
il motivo dominante di tutta la composizione e l’acciaio ne è materiale essenziale.
L’evoluzione dell’uso del curtain-wall prosegue con i grattacieli dell’Alcoa Building (1951) per l’Aluminium
Company of America, a Pittsburgh, di W.K.Harrison e Max Abramovitz — preceduta dal Segretariato
dell’O.N.U. (1947-1950), a New York — e della Lever House, a New York, progettata da Skidmore-Owings &
Merrill, ancora del 1951. Il primo edificio introdusse, per la prima volta, l’uso su grande scala di solai metallici
cellulari “Q-floors”, permettendo di realizzare una struttura puramente metallica ; mentre la facciata
rappresenta il prototipo della “costruzione a pannelli” in alluminio, sagomati a piramide inversa ribassata,
ulteriormente irrigiditi da piegatura profilata dei bordi d’attacco alla carpenteria metallica di sostegno. Nel

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secondo edifico, l’aspetto caratteristico deriva dalla struttura “a nervature” sottili in acciaio inossidabile e dalla
notevole trasparenza, dovuta al preponderante rivestimento esterno in cristallo colorato attraverso il quale si
intravedono appena i pilastri d’acciaio dell’ossatura portante abbondantemente arretrati. Ancora,
appartengono al genere di edificio in pannelli in lamiera d’acciaio inossidabile o di lega leggera : la sede della
Thyssen Haus già Phoenix Rheinrohr (1958), degli architetti Helmut Hentrich - H.Petschnigg & Partners, a
Düsseldorf, e l’edificio della Equitable Life Assurance Society of the U.S. (1959), a Pittsburgh, sempre degli
architetti Harrison e Abramovitz. Qui, la superficie continua ed omogenea, che la lamiera conferisce agli
edifici, porta i loro volumi a sfiorare la perfezione platonica, che, nonostante le dimensioni considerevoli, non
denuncia alcuna pesantezza. Mentre, sul piano del rigore costruttivo e della trasparenza, non è possibile evitare
il confronto del Lever col Seagram Building (1955-1957) a New York, di Mies Van der Rohe, dove la perizia
tecnica implica un affinamento pari a quello dell’industrial design.
Ritornando in Europa, la via del courtain-wall descritta precedentemente non fu di particolare profitto
immediato per la costruzione metallica. In effetti, essa si alleò innanzitutto con l’ossatura in cemento armato
ancora predominante, contribuendo soltanto a rinforzare l’uso di dislocare gli elementi portanti verticali dietro
il muro-pannello e di svincolare la “pelle” sempre di più dall’“ossatura” portante. In questo maniera di
concepire l’edificio dobbiamo ravvisare la permanenza di un modo di fare che bene descrivono Peter Gössel e
Gabriele Leuthäuser (op.cit., 1990, p.183) parlando dell’architettura “moderna” :

«Poiché la struttura portante è costituita principalmente da uno scheletro di acciaio o calcestruzzo, le piante
potevano venire progettate con maggiore libertà e i muri perimetrali perdevano l’importanza di un tempo :
l’involucro esterno diventava nulla più che un elemento di protezione dal tempo e dal clima. La soluzione ideale
per questa pelle è costituita da una facciata di vetro, come quella introdotta già nel 1922 da Mies Van der Rohe
nel suo progetto per una casa a torre. Essa non posa sulle fondazioni, ma è appesa ad un telaio portante interno.
L’effetto di una tale facciata sospesa o “curtain wall” poteva venire ulteriormente rafforzato mediante
l’arretramento dei pilastri e il fissaggio degli elementi di facciata a lastre aggettanti».

«Le esigenze sempre maggiori che, allo stadio di progetto, impongono la trasparenza e la precisione della
facciata sospesa in vetro e metallo, unitamente alla robustezza di un’ossatura sottomessa a delle considerevoli
sollecitazioni statiche, hanno obbligato i migliori architetti a rimeditare più profondamente l’alternativa acciaio
o cemento armato» (F.HART - W.HENN - H.SONTAG, op.cit., 1974, p.30), determinando ben presto
un’equivalenza delle soluzioni, almeno dal punto di vista quantitativo.
Se, verso il 1955, la ricerca di settore annovera tra gli esempi più riusciti di courtain-wall, la soluzione a
pannelli in lamiera2 messa a punto a Parigi da Jean Prouvé in collaborazione con le ditte Studal e C.I.M.T., il
confronto ideale fra il Grattacielo Pirelli (1955-1957), a Milano, realizzato, fra gli altri, da Gio Ponti e Pier
Luigi Nervi, e la Caisse Centrale d’Allocations Familiaires (1955-1958), a Parigi, del team Lopez & Reby e
Pascaud, non indica ancora il prevalere di una tendenza strutturale (rispettivamente, cemento armato o acciaio),
pur impiegando entrambi il muro-pannello. Costituiscono, ancora, eccellenti esempi della cosiddetta “era del
muro-pannello” l’edificio Mannesmann (1957)3, degli architetti Schneider - Esleben & Knothe e dell’ingegnere
Lewenten, a pianta compatta, e l’edificio Phoenix-Rehinrohr (1957-1960)4, detto oggi Thyssen-Haus, degli
architetti Hentrich & Petschnigg, eccellente esempio di “forma aperta”, entrambi a Düsseldorf ed entrambi
caratterizzati da una struttura d’acciaio a pilastri tubolari radi posizionati dietro la facciata indipendente.
I primi edifici con struttura portante situata decisamente all’esterno dell’edificio appaiono verso la metà
degli anni ’50, e ancora una volta sembra essere Mies il principale promotore di questa soluzione con i
“portali” della Crown Hall (1952-1956), all’I.I.T. di Chicago. L’ossatura “estroversa”, staccata dalla facciata e

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priva di rivestimento protettivo si dimostrò anche particolarmente efficace come soluzione antincendio, come fu
dimostrato in occasione della realizzazione dell’edificio per uffici della M.A.N. (1955), a Gustavsburg, in
Germania. Fu così che, già entro il 1960, questa soluzione si impose un po’ dovunque e accrebbe la propria
popolarità con la costruzione del John Deere Building (1962-1964), a Moline, di Eero Saarinen, che diverrà il
prototipo di un gran numero di costruzioni analoghe. Qui l’ossatura portante è lasciata scoperta: sui lati
longitudinali si vedono i pilastri e le travi principali, sugli altri le travi secondarie a sbalzo; le travi ausiliarie
sul contorno servono per l’ancoraggio degli schermi e dei grigliati brise-soleil verticali ed orizzontali; inoltre,
non ci sono elementi saldati “testa a testa”, ma le travi sono sovrapposte e interpenetrate in modo che tutte le
sezioni restino “a vista”. Il problema della manutenzione fu risolto a priori utilizzando l’acciaio Cor-ten, in
grado di creare autonomamente la sua stessa protezione anti-corrosione mediante un velo di ossido.
I pilastri situati all’esterno hanno per conseguenza la diretta influenza delle escursioni termiche e la formazione
di ponti termici. Se nel primo caso le variazioni dimensionali e le deformazioni non presentavano
necessariamente degli svantaggi, nel secondo caso si dovettero studiare soluzioni di taglio termico talvolta
complesse, compensate, però, da una semplificazione dei problemi d’installazione di sistemi per il controllo
microclimatico.
Verso la metà degli anni ’60 ricomincia la corsa all’edificio più alto, per il quale l’ossatura metallica
“estroversa” è importante fondamento per lo sviluppo di nuovi sistemi statici più efficaci per uno sviluppo
verticale estremo, e, oltre certe altezze, è indispensabile alternativa al cemento armato  in sistemi strutturali
analoghi il limite di resa dell’acciaio si pone 60100 piani più in alto del c.a.
È lo studio S.O.M. (Louis Skidmore – Nathaniel A.Owings – John O.Merril), noto per la capacità di progettare
macro-strutture complesse usando materiali adatti a specifici contesti, ad aprire la competizione tra cemento
armato e acciaio per i grattacieli. Nel B.M.A. Building (1964), A Kansas City, l’ossatura in cemento armato
non poteva rispondere efficacemente alle dimensioni richieste e alla disposizione in pianta avversa alla
costruzione di un nucleo massiccio. Sicché, si optò per una ossatura in acciaio ad alta resistenza, in travi e
pilastri “incastrati” per saldati, controventata tramite portali in piano, rivestita in facciata di marmo bianco. Nel
Civic Center (1963-1966), a Chicago, dei S.O.M. e Charles F.Murphy, la disposizione molto spaziata dei
pilastri in acciaio “a croce” rastremati verso l’alto, indotta da difficoltà di fondazioni e dalla necessità di
flessibilità planimetrica, portò a solai “a traliccio” saldato con luci enormi (26,5x14,7 metri) necessariamente
in acciaio. Nelle due direzioni principali, le travi reticolari “di bordo” (alte 1,6 metri) permettono l’integrazione
dei sub-sistemi impiantistici. Travi “di bordo” e pilastri sono rivestiti in cemento sul quale si ancora l’involucro
metallico nervato che, in questo modo, collabora all’irrigidimento dell’insieme. La soluzione statica finale
prevede, nella metà superiore, un effetto “portale” e, nella metà inferiore, un effetto combinato di “portale” e
controventamenti in travi “a ‘K’” situate all’interno.
D’altra parte, parallelamente, per il Chestnut De Witt Apartments (1963) i S.O.M. elaborano il sistema in c.a.
“framed tube”, in cui gli effetti orizzontali sono diretti verso l’esterno e la struttura monolitica dei portali dei
muri esterni si comporta come un tubo incastrato nelle fondazioni. Nel 1968, poi, con l’One Shell Plaza, a
Huston, il “framed tube” si trasforma in “tube in tube”, in cui il contorno esterno agisce insieme al tubo del
nucleo massiccio. Nascono, così, le due soluzioni migliori per confrontarsi con l’acciaio, che per parte sua
continua ad evolversi in sistemi strutturali controventati sempre più intensamente ed efficacemente. Per
esempio, nel U.S.Steel Building (1967-1970), a Pittsburgh, del team Harrison & Habramowitz & Abbe, le
pareti del nucleo tubolare triangolare in tralicci reticolari sono rigidamente collegate agli angoli e alle
fondazioni in modo da raccogliere le forze orizzontali. All’ultimo piano il nucleo è collegato con un “cappello”
reticolare ai pilastri perimetrali esterni, che si oppongono alla sua flessione (assorbendo compressioni e

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trazioni), impedendo la torsione della copertura e l’oscillazione dell’edificio. Pilastri “a cassone” e


rivestimento, riempiti d’acqua, costituiscono la parte esterna di un sistema chiuso di raffreddamento automatico
in caso di incendio.
«Con l’aiuto del “framed tube” o del portale in tubo, si possono realizzare convenientemente delle altezze di
edifici da 70 a 80 piani. Questa altezza può essere teoricamente raddoppiata se si passa dal portale in tubo a
quello in trave reticolare a tubo, vale a dire se si perfezione l’irrigidimento dei pannelli e del “tubo”
dell’ossatura di contorno tramite diagonali» (F.HART - W.HENN - H.SONTAG, op.cit., 1974, p.38), è il caso de’:
l’I.B.M. Building, a Pittsburgh, dello studio Curtis & Davis, caratterizzato da un involucro a maglia serrata di
diagonali; l’Alesa, a San Francisco, dei S.O.M., dove l’irrigidimento esterno è ottenuto integrando i pilastri
principali del sistema portante con i controventi a maglia rada e i portali di piano; il John Hancock Center
(1968), a Chicago, del team S.O.M. & B.J.Crahan, in cui sono state integrate nel reticolo di facciata le barre
diagonali incastrate con le travi di bordo orizzontali, aumentando la stabilità complessiva mediante un forte
restringimento verso l’alto della torre.
Un’eccezione al sistema ampiamente controventato è rappresentata dal World Trade Center (1966-1976), a
New York, del team Minoru Yamasaki & Co. – Emery Roth & Sons, in cui l’ossatura di facciata presenta una
tessitura estremamente fitta e sottile  tutto l’involucro può essere considerato come formato da unità
composte formate da tre componenti elementari “di davanzale” in piastra sprandel d’acciaio, piegata e bucata
fra le nervature poste a un metro di distanza l’una dall’altra, bullonate a tre sezioni di pilastro tubolare.
Nell’insieme, dal punto di vista statico, si tratta di nuovo di un “tubo” incastrato, dove i pilastri interni sono
calcolati unicamente per la ripresa dei carichi verticali e le unità composte, assemblate rigidamente,
determinano il comportamento delle pareti esterne “a portale” vierendel in migliaia di elementi. Un’altra
eccezione è rappresentata dalla Sears Tower (1974), a Chicago, dei S.O.M., in cui il “tubo” incastrato è
divenuto un fascio di nove (3x3) “tubi” quadrati (22,5 metri di lato), di cinque campi di travate accostate
ciascuno. La flessibilità planimetrica richiesta impediva l’uso di diagonali di irrigidimento, sicché si dovette
adottare un sistema di portali vierendel analogo a quello del World Trade Center, anche se più ampi.
Bisogna riconoscere che oggi, nel settore delle torri, i progressi nella tecnologia del calcestruzzo armato lo
hanno reso di nuovo conveniente anche per le grandi altezze, soprattutto per elementi compressi.
«Aggiungendo microsilice e altri composti al calcestruzzo di base, se ne può aumentare enormemente la
resistenza. Questo calcestruzzo ad alta resistenza può essere utilizzato per realizzare elementi strutturali più
compatti. Altri materiali contribuiscono a conferire al calcestruzzo proprietà superiori. Agenti super-
plastificanti ne rendono facile il pompaggio. Quando l’acqua reagisce con le particelle di cemento e altre
componenti per dar luogo al calcestruzzo, si produce calore che, se eccessivo, può provocare fratture nel
calcestruzzo stesso. Sostituendo in parte il cemento con cenere da centrali a carbone si riesce a scongiurare
questa evenienza» (C.PELLI – C.THORNTON – L.JOSEPH, op.cit., 1998). Questo fatto fa si ché, in un’ottica
puramente utilitaristica, non si possa più parlare di edifici matericamente “puri”, né dal punto di vista della
struttura, né, tanto meno, da quello dell’involucro, dove le soluzioni composite hanno sempre subito un più
rapido aggiornamento.
Con gli edifici “a ponte” e quelli “a sbalzo” si sono creati due nuovi tipi edilizi in cui la luce, i carichi e le
sollecitazioni raggiungono un ordine di grandezza analogo a quello dei ponti, che tradizionalmente, per grandi
luci, adottano strutture metalliche. Due esempi caratteristici del primo tipo sono: la sopraelevazione del
Parlamento Cecosclovacco, a Praga, e la Federal Reserve Bank di Minneapolis. Nel primo caso, il corpo
dell’edificio è costituito da una trave vierendel “a vista” di due piani d’altezza ad anello rettangolare (60x80
metri), ed è posto su quattro pilastri agli angoli, a 25 metri di altezza da terra. Nel secondo caso, il carico dei

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Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

dodici piani è parzialmente ripreso (per sospensione dalla parte convesse) da due archi parabolici inversi, fissati
alle estremità di due travi reticolari di 8,5 metri di altezza (che assorbono le reazioni orizzontali degli archi),
che raccolgono anche l’altra parte del carico dei piani ad essa sospesi (nella regione individuata dalla concavità
degli archi), e convogliano il tutto ai pilastri di “testa”, a due a due, distanziati di 84 metri (luce totale del
“ponte”). Semplificando, permanendo la disposizione degli appoggi a terra concentrati verso le teste
dell’edificio, nei ponteggi possiamo individuare alcune possibilità fondamentali: la prima vede l’utilizzo di più
travi-ponte (mono- o pluri-piano) sovrapposte e distanziate di almeno un piano; la seconda vede l’utilizzo di un
unica trave-ponte pluri-piano; la terza si basa sulla sospensione (inferiormente) di un gruppo di piani ad una
trave-ponte più o meno praticabile; la quarta vede la sovrapposizione di un gruppo di piani su una trave-ponte
 gli ultimi due sistemi possono essere moltiplicati nello stesso edificio. Per il secondo tipo ricorderemo
l’Hotel du Lac (1969-1972), a Tunisi, di R.Contigiani, caratterizzato da una ossatura in travi reticolari e solai
in c.a. precompresso caratterizzata da nove piani a sbalzo simmetrico crescente verso l’alto, sorretti da un corpo
centrale controventato dimensionalmente ridotto per via dei problemi indotti dal terreno di fondazione.
Generalizzando, per questa tipologia, diremo che i carichi vengono trasmessi esclusivamente ad un nucleo
centrale rigido, liberando il perimetro da elementi di sostegno verticali compressi e da appoggi a terra. Le
principali soluzioni possono derivare da: un forte irrigidendo delle piastre “a sbalzo” dei solai; la sospensione a
mezzo di cavi delle travi di un gruppo di solai a una trave (o sistema di travi) principale posta in cima
all’edificio o, nel corpo, a distanze regolari; una trave (o sistema di travi) principale a metà (o a distanza
regolare) cui sono poggiati (superiormente) e sospesi (inferiormente) diversi gruppi di piani; una piastra di
fondazione “a sbalzo” sopra gli appoggi al terreno e sotto i piani. Il sistema può essere simmetrico o
asimmetrico, se nel primo caso le spinte orizzontali dovute ai carichi permanenti uniformemente distribuiti si
equilibrano, nel secondo caso l’ossatura centrale raccoglie dei forti momenti flettenti che limitano la libertà
compositiva.
La tendenza a sfruttare la resistenza (a trazione) dell’acciaio per arricchire i mezzi creativi si esprime anche
nelle molteplici varianti del tipo edilizio “sospeso”, a cui le due tipologie precedenti possono far riferimento
ibridandosi, come nel caso della Federal Reserve Bank.
Sin qui si è dato spazio a edifici imponenti di carattere pubblico, polifuzionale o terziario, ma non meno
notevole fu il successo dell’acciaio nell’edilizia residenziale soprattutto negli Stati Uniti, dopo le prime
realizzazioni di Neutra, la Casa Farnsworth (1946-1951) di Mies e la Glass House (1949), a New Canaan, nel
Connecticut, di Philip Johnson, sebbene esistessero contemporanee realizzazioni pregevoli, come le Case Study
House (1945-1949), presso Pacific Palisades, in California, di Charles Eames5. Le migliori case californiane in
acciaio6 si distinguono per una disposizione “libera” e ben studiata dei vani, in sintonia con l’architettura
residenziale di Wright, un’apertura più tipicamente miesiana, e un palese utilizzo del metallo, lontano da
quanto avveniva in Europa sulla scorta della tradizione moderna. Negli anni ’70, anche il neo-razionalismo, o
per qualcuno “iper-razionalismo” (cfr. N.PEVSNER – J.FLEMING – H.HONOUR, op.cit., 1981, p.217), dei Five
Architects (P.Eisenman – M.Graves – C.Gwathmey – J.Hejduk – R.Rogers) si distinguerà per un uso più
“sincero” dell’acciaio, laddove presente.

Nel 1983 P.Buchanan coniò l’espressione “High-Tech” per indicare un approccio progettuale sviluppato a
partire dagli anni ’70 da alcuni architetti inglesi come Norman Forster, Richard Rogers, componenti del Team
4, e, poco dopo, Renzo Piano. La prima architettura High-Tech si esprime principalmente su grande scala e
investe la realizzazione di contenitori polifunzionali come il Centre Pompidou (1977), a Parigi, i grattacieli
come la sede della Hong Kong & Shanghai Bank (1986), a Hong Kong, o della Commerzbank (1997), a

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I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

Francoforte, i complessi commerciali come l’edifico dei Lloyd’s (1987), a Londra, i musei come la Menil
Fundation (1983), a Huston, gli impianti industriali come la Fabbrica della Renault (1983), a Swindon, gli
aeroporti come quello di Osaka (1988-1994) o quello di Stansted (1981-1991), presso Londra. La concezione di
questa architettura, intrinsecamente legata al progresso tecnico, è basata sull’utilizzo diffuso ed esplicito di
elementi ingegneristici e tecnologici e sull’esaltazione delle loro potenzialità espressive. I caratteri distintivi
possono essere individuati nell’esposizione della struttura in acciaio o in c.a.  come si è visto, fattore non
nuovo , nella visibilità e nella caratterizzazione accurata dei sub-sistemi di servizio ed impiantistici,
nell’adozione di rivestimenti uniformi in grado di modulare variamente il rapporto tra interno ed esterno,
nell’estrema mobilità e flessibilità degli spazi interni, esigenza che spesso è determinante per lo spostamento
presso l’involucro dei sostegni verticali e degli elementi impiantistici ingombranti. Le origini di questo
approccio tipicamente funzionalista sono da rintracciarsi nell’architettura prodotta a seguito dell’opera di
Joseph Paxton, nell’influenza esercitata da strutturisti e tecnologi produttivisti come Ricard Buckminster
Fuller, Konrad Wachsmann e Frei Otto, ma, soprattutto, nelle proposte del Gruppo Archigram (Warren Clalk –
Peter Cook – Dennis Crompton – David Greene – Ron Herron – Mike Webb)7 e del Gruppo Metabolism
(Kiyonori Kikutake – Noriaki Kisho Kurokawa – Funihiko Maki – Masato Otaka – Noburu Kawazoe)8.
Escludendo opere pertinenti di architetti dominati dalla formazione espressionista, organicista, naturalisti e
formalista, come potrebbero essere quelle di Massimiliano Fuksas 9, Santiago Calatrava10, Emilio Ambasz11 o
Ieoh Ming Pei12, e procedendo ad una grossa semplificazione, attualmente si assiste un po’ ovunque alla
radicalizzazione di due tendenze principali nate negli Stati Uniti: «quella che potremmo chiamare mimetico-
analogica e quella che si potrebbe definire minimalista-razionale» (M.NERI - M.SOLE, op.cit., 1992, p.24). Sulla
scia di idee di stampo avanguardista sovietico, alla prima tendenza fanno riferimento una serie di edifici che
interpretano il potere evocativo della macchina attraverso una tecnologia palesata dalla struttura (portante ed
impiantistica) o dalla forma strutturata, come le realizzazioni di Richard Rogers, Norman Foster, Renzo Piano,
Arup Associates  occorre riconoscere che la ricerca non è più indirizzata ai limiti della materia o a concrete
dichiarazioni ideologiche, ma ai limiti della funzionalità informata dalla memoria archetipica e dalla sen sibilità
estetica contemporanea. Invece, ponendo in secondo piano soprattutto le istanze formali, alla seconda tendenza,
di matrice vagamente miesiana, appartengono quegli edifici che fanno della “leggerezza”, della “rarefazione”,
della “demateralizzazione” e della “sparizione” i loro principi ispiratore, soprattutto — ma non unicamente —
per quanto riguarda la struttura, producendosi, al contempo, in ricerche evolutive nel campo della “pelle” e
degli involucri, a livello tecnologico ed estetico  è il caso di alcune opere di architetti come Peter Rice,
Nicholas Grimshaw, Jean Nouvel, Dominique Perrault, Meinhard Von Gerkan, per citare solo alcuni fra gli
esponenti europei più noti. In tutti i casi il metallo assume un ruolo da protagonista non solo a livello
strutturale, a anche, insieme al vetro, a livello superficiale.

Dall’inizio degli anni ’80 sommessamente e dal giugno ’88 ufficialmente, il “Decostruttivismo” prese ad
imporsi come modus operandi alternativo attraverso l’opera di Frank O.Ghery, Daniel Libedskind, Rem
Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Coop Himmelblau (Wolf D.Prix + Helmut Swiczinsky – Rainer
M.Holzer) e Bernard Tschumi. Inizialmente, comune denominatore è l’evidente riferimento all’avanguardia
costruttivista sovietica, che, col Futurismo, condivideva il progetto di un nuovo linguaggio espressivo a partire
dalle “proposte” figurative e materiali della tecnologia e della meccanica industriale, e dall’abolizione
dell’unicità e della staticità dello spazio razionale e prospettico.
Il rifiuto di un’arte “ufficiale”, il ricorso all’architettura quale aggancio alle diverse istanze sociali progressiste
in campo culturale ed eidomatico, una spazialità inquieta, una geometria conflittuale, instabile, atettonica,

Arch. G.Salomoni 8
I. DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

restia ad assumere assialità e gerarchie riconoscibili, la forma libera e l’uso espressivo della struttura sono
aspetti della ricerca decostruzionista che fa della complessità e della contraddizione, caratteristiche della
contemporaneità, un fattore fondamentale nella composizione progettuale, in netta contrapposizione con
l’univocità e la coerenza tipiche della tradizione moderna. Le tesi di Jacques Derrida 13 hanno fornito un solido
telaio teorico di riferimento, pur non esaurendone l’ampiezza di richiami e d’ispirazione, mentre l’interesse per
la complessità risente delle posizioni sostenute negli anni Sessanta da Robert Venturi, di cui viene recuperato il
paradossale invito alla sovrapposizione e alla ibridazione. La dichiarata attenzione per la molteplicità del reale
riecheggia gli slogan della Pop Art, mentre la predilezione per il gioco combinatorio riscopre affinità con le
avanguardie artistiche degli anni Sessanta e Settanta. L’attitudine a considerare la geometria quale
traslitterazione figurata di un’astrazione teorica ripercorre le tematiche minimaliste e, insieme con la carica
trasgressiva ereditata dalle avanguardie radicali, legittimano qualsiasi forma architettonica e qualsiasi
ibridazione.
Fatto sta’ che, almeno inizialmente, il Decostruttivismo ebbe come obbiettivo quello di procedere ad una
esplorazione “interstiziale” muovendosi fra le “pieghe” del linguaggio e lavorando per “differenza” in modo da
liberare l’energia “catarchica” inscritta in ogni opposizione; in un approccio teso alla complessità, ciò condusse
inevitabilmente a un progetto asintetico, stratificato, che non componeva i contrasti, ma li esibiva nella loro
diacronicità appoggiandosi ad una struttura spesso metallica 14, proprio perché di matrice “macchinista” ed
estremamente complicata, e a materiali di rivestimento inclini all’ambiguità o ad esistere fuori di sé, fra cui di
nuovo i metalli, magari in lavorazioni dall’alto contenuto tecnologico  bisogna riconoscere, comunque, che
raramente struttura e involucro hanno il ruolo dominante che ricoprono nell’High-Tech, ma il più delle volte
sono asserviti alla forma e alla spazialità concreta derivata da un’idea di spazio preesistente.

Se escludiamo il Decostruttivismo, tutte le altre correnti architettoniche sin qui indicate hanno un punto di
contatto fondamentale col “reticolare”, specie nella sua accezione “spaziale” di cui ci occuperemo tra breve, nel
Produttivismo (o Neoproduttivismo), sviluppatosi in Inghilterra, Germania, Stati Uniti e Giappone a partire
dagli anni ’50  che non deve essere associato al funzionalismo dell’International Style o al produttivismo del
Costruttivismo russo.
Il Produttivismo trova origine principalmente nell’opera di quattro architetti: L.Mies van der Rohe e il suo
principio del “quasi nulla”; Richard Buckminster Fuller e il principio de’ “il massimo con il minimo”; Konrad
Wachsmann e il suo impegno sul fronte della prefabbricazione elementare; Max Bill fondatore della
Hochschule für Gestaltung di industrial design, sulla scorta della tradizione del Bauhaus. Esso teorizza che sia
la struttura sia l’ordine architettonico derivino dall’assemblaggio di elementi costruttivi prefabbricati, che gli
aspetti espressivi dell’architettura siano ricondotti, idealmente, alla sola forma produttiva, la Produktform.
Coerentemente con questo principio, si verifica un percepibile disimpegno rispetto al problema della
contestualizzazione della costruzione o della sua incompatibilità con l’ambiente circostante; così, risultano
caratteristiche la neutralità formale e la decontestualizzazione degli edifici produttivisti.

«Contrassegno della costruzione moderna è la continuità  espressione delle forze che circondano
l’intero edificio.
La costruzione moderna realizza nuovi sistemi, obbedendo all’obbligo dell’economia.
L’architetto affronta il compito  libero da tradizioni estetiche  incurante di pervenire alla bellezza
formale  e vi trova la soluzione giusta, elementare».
(M.STAM, Costruzione moderna, 1924, in A.Vitale – M.Perriccioli – S.Pone, op.cit., 1989,

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I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

p.43)

Il termine “struttura spaziale” (“space frame”) può essere applicato ad una categoria molto estesa di
costruzioni dalle strutture piane “a traliccio” (dal latino TRALIX che significa formato da tre fili  tre rette per
tre punti individuano un piano) a quelle sospese “a cavi”.
I particolari requisiti tecnici dei profili metallici tubolari hanno reso possibili le “prime” strutture
tridimensionali, le quali, a loro volta, hanno portato ad una concezione spaziale completamente nuova
dell’architettura. L’originalità di tale sistema, in rapporto alla soluzione classica “bidimensionale” per piani
resistenti (“a telaio”) composti tridimensionalmente (“a scheletro” o “gabbia”) e dotati di diagonali o incroci
ortogonali controventati complanari, risiede nel disporre elementi strutturali lineari, più o meno discontinui, su
uno schema geometrico polidirezionale staticamente determinato, permettendo di ottenere una grande e
uniforme resistenza e rigidità strutturale.
Dopo l’opera di William Thomson Kelvin intitolata Division Homogène de l’espace (1887), e lo scritto
(1892) di Föppl dedicato alla teoria delle volte a botte reticolare mono-strato15, pioniere nel concreto delle
strutture che nascono dalla moltiplicazione di moduli tridimensionali a geometria tetraedrica e semiottaedrica,
può essere considerato Alexander Graham Bell, che abbiamo ricordato all’inizio del ‘900 per gli esperimenti di
intelaiature di una leggerezza, essenzialità e libertà compositiva allora eccezionali. Ma, solo diversi decenni più
tardi Robert Le Ricolais, Richard Buckminster Fuller, Frei Otto, Konrad Wachsmann — per ricordare solo le
prime personalità più importanti —, sulla scia di un diffuso sentimento di insofferenza ai moduli tradizionali
dell’architettura razionalista, alla sua ignoranza strutturale e verso i vincoli indotti dal legame fra fatti sociali e
entità spaziali, convinti dell’inutilità del fondamento estetico dato a priori e sottoposto alle mode,
riprenderanno gli studi sul reticolare per applicazioni strutturali e, sfruttando le possibilità e le prospettive
aperte da nuove geometrie spaziali, da loro stessi sviluppate, dallo studio di nuove tecniche di analisi
matematica e di calcolo elettronico, da processi di prefabbricazione perfezionati, si impegneranno nella
definizione di un linguaggio architettonico nuovo tanto per fondamenti culturali e scientifici, quanto per
risultati estetici.
Ora, più che procedere nell’ardua impresa di individuare opere emblematiche del “reticolare spaziale”
immobile16, un campo estremamente vasto ma sostanzialmente ripetitivo, ci sembra opportuno tentare una
panoramica sull’apporto caratteristico ed innovativo della ricerca dei suoi principali esponenti, accomunati
fondamentalmente da alcune convinzioni: che «la materia costruita va esplorata evidenziandone le leggi
organizzative le quali non nascono tanto dalla sua destinazione o dalla sua acquisizione d’uso, quanto piuttosto
dalla sua coerenza morfologica nell’ambito delle leggi della “natura”, in quanto per gli strutturisti la
morfogenesi del design è analoga a quella della biologia e degli organismi naturali» (M.BOTTERO, op.cit., in
«Zodiac 21», 1972, p.10), oltre a quella della cristallografia 17  «così, il designer passa analogicamente dalla
ricerca dei diagrammi di forze che definiscono una forma (organica o inorganica) alla ricerca dei diagrammi
schematici (o invarianti) che sottendono l’atto progettuale linguistico» (M.BOTTERO, op.cit., in «Zodiac 22»,
1973, p.V); che «la tecnologia in sé non è architettura, ma strumento per costruire; che debba cambiare il
concetto di “funzione”, nel nuovo significato espresso da David George Emmerich (op.cit., 1968, p.15) : «… se
proprio si vuole, nonostante tutto, impiegare l’espressione “funzione”, sarebbe necessario intenderla in una
accezione più vasta, come un insieme di proprietà permanenti e possibili  dei qualsiasi fattori determinanti
 che rapportati in una struttura e sotto l’effetto di un campo di forze generano una forma. È chiaro qui che
funzione non significa soltanto destinazione o uso, tanto più che una funzione può essere soddisfatta da forme
differenti, e inversamente più funzioni possono essere soddisfatte da una sola forma»  quest’accezione guida

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I. DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

la ricerca morfologica sperimentale come principio organizzatore “interno” alla forma stessa che può indurre
una propensione d’uso, della quale il designer, è interessato per lo più a posteriori.
Tra il 1935 e il 1940, Le Ricolais pubblica due lavori: Les Toles Composée e Essai sur des systèmes
réticulés à trois dimensions. Qui, il suo metodo teorico-sperimentale ha già stabilito ed elaborato l’insieme di
quei riferimenti  biologia, cristallografia, geometria, matematica, topologia  su cui si fonderà tutta la
ricerca successiva, basata su un procedimento euristico che sfiora l’eclettismo. Su di essa  sulla formulazione
del principio di “economia strutturale”, di “identità” fra struttura e suo diagramma astratto e di
“semplificazione” economica in strutture non ridondanti  avranno particolare influenza la teoria della
“morfologia generale” del filosofo naturalista Ernst Hendrich Haeckel  che afferma che lo scopo della
morfologia è quello di trovare una spiegazione causale delle strutture “monistiche” degli organismi, cioè delle
strutture “vere” per tutti i gradi della natura organica ed inorganica  e la teoria della “identità realtà”
dell’epistemologo Emille Meyerson  basata sulla ricerca di ciò che di identico resta nel flusso delle
variazioni. Il trasferimento allo strutturale del principio sotteso alle equazioni di campo 18 di James Clerk
Maxwel fu, invece la chiave di svolta per la formulazione del principio di “continuità” della materia reticolata.
La forma è manifestazione di un concetto continuo riconducibile, per analogia automorfica19, dalle strutture
materiali ai modelli fisici di studio. «In questi modelli le forze si propagano senza soluzione di continuità lungo
catene di configurazione biunivocamente corrispondenti e riproducenti e riproducenti gerarchicamente
l’identico insieme» (P.NEPOTI, op.cit., 1973, p.X). I modelli fisici di L.R. sono interpretabili come effettivi
“modelli” di un campo continuo di forze che per essere studiato con gli “algoritmi topologici” di calcolo, tipici
del procedimento di Le Ricolais, esigono principalmente l’esistenza di una “connessione continua” tra i punti
caratteristici di una figura o di una configurazione specifica. D’altra parte, la connessione impone il giunto, il
quale introduce l’ampio problema dell’“ottimizzazione” strutturale in termini di “efficienza” delle unioni, ma
anche di “peso non ottimale” e “dimensionalità” geometrica20.
In America sono da segnalare le opere teoriche e pratiche di Wachsmann e di Fuller, il cui comune portato
fondamentale fu quello di concepire l’oggetto architettonico non più come massa unitaria, ma come un insieme
di singoli elementi integrati gli uni agli altri e composti in un sistema spaziale dinamico, identificabile
idealmente con la totalità dello spazio (close-packing infinito), o, più facilmente, con il massimo spazio
costruito ed effettivamente involucrabile.
Alla luce del proprio lavoro e nell’intenzione di indicarne le conseguenze, così si esprime, Wachsmann :
«La costruzione-massa solida andrà sempre più trasformandosi in combinazione di funzioni e di elementi
singoli. Domineranno le superfici orizzontali connesse e stratificate tra loro concepite come aree di movimento
e contemporaneamente rappresentanti il carattere poroso della massa, circoscritta da elementi funzionali e
molto meno dal concetto della massa solida della parete. Lo spazio libero influenzerà ogni progettazione. Le
grandi estensioni avranno di conseguenza nuovi concetti di possibilità dello spazio. I sistemi di appoggio
diventeranno tanto secondari da scomparire quasi completamente. I sostegni non saranno riconosciuti tali
neppure staticamente e strutturalmente, poiché saranno aggiunti come elementi portanti le aste di trazione e le
piastre e saranno scomposti nello spazio. L’importanza degli assi e degli altri mezzi di formazione sarà
sostituita dal ritmo funzionale delle aperture e delle schermature. […] Guardando la lucente superficie esterna
della costruzione non si potrà più indovinare il suo sistema strutturale nel senso di “la forma segue la
funzione”. Queste superfici infatti non saranno più facciate, poiché saranno applicate con funzione di
schermatura ma, essendo completamente indipendenti, non avranno più alcun rapporto diretto con la
costruzione stessa. La ricerca della leggerezza e del superamento visivo della gravità troverà il suo
adempimento nelle superfici verticali liberate di peso e di sostegni. Lo schieramento di elementi […], in

Arch. G.Salomoni 11
I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

qualsivoglia numero e combinazione, […] creerà una sorta di epidermide mobile ed ariosa. Questi elementi,
messi in rapporto fra loro con sistemi modulari, si uniranno mediante articolazioni rappresentanti nello spazio
punti congiungibili da linee immaginarie, possibilmente identificate alle connessioni delle superfici. Ordinato
in tale modo, il materiale si disporrà sotto forma di superficie, oppure, se farà parte della costruzione, sarà
plasmato e punteggiato dalle sue stesse torsioni, atte ad accogliere e a redistribuire le linee di forza. Perciò, in
un primo tempo, ogni previsione dovrà limitarsi al punto, alla linea, alla superficie ed al volume. Poiché il
gioco del materiale, delle linee, delle superfici e dei solidi rappresenta un mezzo molto semplice ma anche
molto sensibile, l’occhio avrà meno da vedere, ma quel poco sarà ben più significativo. In questo modo la
costruzione verrà spogliata di un mistero e sarà esposta palesemente all’osservazione critica» (K.WACHSMANN,
op.cit., 1960, pp.231-232). Da questa concezione evidentemente non scaturisce una architettura definita, ma
uno “space frame” infinibile, in cui si abolisce la distinzione fra esterno ed interno, che si compenetrano senza
definizione reciproca.
Per Wachsmann l’architettura deve essere fondata su possibilità costruttive concrete per elementi semplici di
normale produzione industriale. Il designer di strutture deve essere conscio dei livelli di controllo del processo
di fabbricazione, vale a dire dei vincoli e delle possibilità delle interrelazioni uomo-macchina-prodotto, e dei
procedimenti di costruzione e di distruzione.
L’elemento di base, che quasi sempre è l’asta tubolare, diventa l’elemento costruttivo per eccellenza e
concretizza il “modulo della costruzione” che, insieme ai moduli “del materiale”, “del rendimento”, “della
geometria”, “del movimento”, “degli elementi”, “dei collegamenti”, “delle componenti”, “della tolleranza”,
“degli impianti” e “dell’arredamento”, costituisce un addendo del “modulo della progettazione”, una sorta unità
di destinata al loro controllo e coordinamento di cui il progettista dovrà essere padrone, conscio del fatto che
l’invenzione è innanzitutto concettuale. Il giunto individuerà l’inizio e la fine, l’origine e la destinazione di
ogni componente elementare  e, quindi, dell’intero sistema , per questo motivo costituirà uno dei principali
interessi della ricerca architettonica.
Considerato da molti un visionario, Fuller si rivela realizzando per conto della Ford (1953-1954) una cupola
di 40 metri di diametro in profilati di alluminio secondo un sistema di struttura tridimensionale di una
leggerezza eccezionale, ma già nei saggi 4D e 4D Timelock del 1927 molti presupposti fondamentali della sua
“filosofia” progettuale erano chiari. In particolare, si insisteva sul fatto che i bisogni universali, come quello
abitativo, dovessero essere affrontati ad una scala universale estranea alla “antiquata industria edilizia”
tradizionale, sottoponendoli al principio del “massimo di funzionalità per chilogrammo di materiale usato”, che
costituisce uno dei criteri chiave per comprendere il carattere innovativo del pensiero e dell’opera di Fuller. Il
nome Dymaxion (1929), poi, compendia altri concetti ricorrenti  dinamismo, maximum, ione ,
significando “massimo di risultati raggiungibili mediante il minimo impiego di energia”, con l’utilizzazione
più spinta dei mezzi scientifici e tecnici disponibili. «La casa Dymaxion non fu mai intesa come progetto per un
unico, eccezionale edificio, ma ebbe in realtà la funzione di prototipo sperimentale per una prefabbricazione su
scala mondiale, simile a quella delle automobili, delle navi e degli aerei» (J.M CHALE, op.cit., 1964, trad.it.,
p.16), una “macchina per abitare” intelligente, quasi autosufficiente.
La geometria energetica e sinergetica fulleriana, da cui nascono le strutture geodetiche e tensegrali, invece,
prese le mosse da studi specifici sui limiti massimi di controllabilità delle forze mediante effettivi calcoli
energetici. «Fuller usa il termine “energetico” [peso e spinta] in riferimento ai singoli e separati elementi di un
sistema, cioè relativamente “locali”. Il concetto di “sinergia” invece serve a definire il comportamento
dell’intero sistema, come unità trascendente la semplice somma delle sue parti, ed avente dei propri caratteri

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I. DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

che non possono venire calcolati solo sulla base del comportamento delle singole parti, cioè dei fatti locali»
(J.MCHALE, op.cit., 1964, trad.it., p.25).
Partendo dall’idea che l’universo sia il sistema energetico primario, Fuller cercò di realizzare un modello di
vettori, o linee di forza, che rispecchiasse la complessità del sistema universale, un microcosmo geometrico con
maggiore manovrabilità e più facile comprensibilità. Dall’impacchettamento di sfere, arrivò all’“ottetto”
“dimaxion”  un poliedro a quattordici facce formato da tetraedri e semi-ottaedri , una forma topologica
concentrica omnidirezionale che fornisce un sistema dinamico coordinato rispondendo a numerose e complesse
leggi fisiche, in perfetta aderenza alle loro funzioni, ma concluse che il più economico sistema strutturale
sarebbe potuto derivare dalla fusione del tetraedro con la sfera  infatti, la sfera racchiude più spazio con
minor superficie, ed è più resistente alla pressione interna, mentre il tetraedro, fra tutti i poliedri, racchiude
meno spazio con più superficie, ma è più resistente alle pressioni esterne. Tale fusione poteva avvenire tramite
l’icosaedro, un tetraedro multifase. A prescindere dai limiti dimensionali, che a livello teorico non esistono, col
dilatare questa forma nell’intento di farla coincidere con la sua circosfera, suddividendo simmetricamente le
sue facce, si arriva al reticolo sferoidale geodetico omnidirezionale, che racchiude il massimo volume con la
massima resistenza alle tensioni esterne ed interne, e si fa relativamente più leggero ed invisibile man mano
che si amplia. L’intervenire dell’instabilità quale problema aggiuntivo nel calcolo delle componenti elementari
compresse, e la consapevolezza che “nulla nell’universo è in contatto fisico con qualcos’altro” sarà, poi, la
causa dello spostamento della ricerca verso soluzioni reticolari massimamente tese che porteranno allo sviluppo
delle “tensegrity structures”, strutture costituite da un sistema discontinuo di aste connesse mediante un sistema
continuo di cavi di trazione.
Tutto sommato, nello sforzo di “fare di più con meno” e di “adeguare” l’energia strutturale all’ordinamento
naturale, Fuller arrivò a strutture analoghe tanto a quelle di certi organismi naturali che dei modelli realizzati
per lo studio di meccanismi biologici e cibernetici, che possiedono doti d’equilibrio dinamico simili a quelle dei
sistemi autocontrollati. Il suo maggior merito va cercato, anche in questo caso, nell’influenza della sua
metodologia sulla ricerca seguente. «Il suo sistema teoretico è una sintesi creativa e coerente che abbraccia tutti
i fatti più significativi della società, dell’industria, della scienza e dell’individuo. Rappresenta il grandioso
tentativo di fondare una cosmologia avente funzione operativa e conoscitiva ad un tempo, tale da consentire la
valutazione di tutti i fenomeni di comportamento fisico e psicofisico entro il quadro relazionale fornito da tutte
le leggi e le ipotesi […] note» (J.MCHALE, op.cit., 1964, trad.it., p.35).
In Europa, dopo i cosiddetti “neo-pionieri” appena introdotti, alcuni fra i più importanti studiosi del settore
furono Zigmund S.Makowski, Keith Critchlow, Alfred Neumann, Stéphane Du Chateau e Serge Ketoff, Gernot
Minke D.G.Wood, Steve Beer, R.K.Thomas, Safdi e Myor Guran, Felix Candela, Michael Burt.
In particolare in Gran Bretagna, sin dal 1963, la sezione di ricerche per le strutture spaziali dell’Università
del Surrey, e il “Centro Studi Strutture Tridimensionali” della Facoltà di Ingegneria Civile nel Battersea
College of Technology di Londra, sotto la guida di Z.S.Makowski, promosse una serie di studi sulla
classificazione delle “reti” e sulla distribuzione teorica e sperimentale degli sforzi in esse. In seguito, la prima
conferenza internazionale sulle strutture tridimensionali venne organizzata dalla medesima università e tenuta
a Londra nel 1966; essa fornì l’occasione per fare il punto sugli sviluppi della ricerca di settore, e diede
l’impulso decisivo per l’attività didattica e divulgativa di Makowski, impegnata non solo nel campo teorico del
calcolo strutturale, ma anche nel campo tipologico e della produzione di sistemi costruttivi reticolari, nel
tentativo di conservare un certo equilibrio fra l’indagine pure e quella applicata, fra il mondo della ricerca
analitico sperimentale accademica e la società industriale.

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I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

Un ulteriore apporto allo strutturismo e alle posizioni di Emmerich è dato dal pensiero di Neumann (cfr.
«Zodiac 16», 1966, e «Zodiac 19», 1969), che parte dalla problema della suddivisione geometrica dello spazio
(“close-packing” tridimensionale), per focalizzare l’attenzione sulle relazioni tra il sistema di leggi naturali il
sistema semiotico del linguaggio architettonico e giungere alla conclusione che la forma astratta è più stabile
del significato ad essa associato e della funzione ad esso connessa. Occorre ricordare che la questione
dell’invarianza delle forme del linguaggio spaziale in rapporto al variare del significato, ossia del contenuto,
ossia della funzione, ha come referente fondamentale la tesi fondamentale dell’antropologia strutturale di Lévi
Strauss dell’invarianza delle forme linguistiche rispetto al variare dei contenuti. Alla luce di quanto appena
detto, potremmo sostenere che la ricerca morfologica si trova al confine fra il campo della fisica e della biologia
e il campo espressivo linguistico. Ciò trova ulteriore giustificazione quando si consideri, analogamente a quanto
sostenuto da Noam Chomsky, che il pensiero e il linguaggio nascono dall’interazione fra un sistema complesso
biologicamente dato, come la mente umana, e il mondo fisico e sociale.

«Con il continuo evolversi delle conoscenze tecnologiche, i problemi che gli architetti e i designers si trovano a
dover affrontare diventano sempre più problemi di portata universale. […] Sia la disciplina che l’ispirazione
possono trovarsi solo all’interno di un determinato ordine, in uno spazio funzionale e universale».
(K.CRITCHLOW, op.cit., in «Zodiac 22», 1973, trad.it. p.235)

Il lavoro di Critchlow si inscrive nel quadro delle ricerche sui principi di “relazione d’ordine” matematico-
geometrico dello spazio, o di sui “intorni” particolari, che, secondo lo stesso studioso, costituiscono la
sovrastruttura di ordine dell’invenzione e la grammatica di un linguaggio universale. «Il mio compito era di
trovare un metodo per evidenziare e descrivere in modo sistematico le relazioni nello spazio solido, a partire da
ciò che era semplice e regolare via via proseguendo verso ciò che è più complesso e meno regolare […] [e]
cercare i legami diretti che esistono tra la concettualizzazione secondo relazioni pure e le strutture a scala
umana […] nella convinzione che “leggi originarie” dello spazio e della struttura possono, se viste nella giusta
luce, abbattere le barriere fittizie che separano architetti e ingegneri» (ibidem, p.234).

Ma, quando oggi occorre coprire una grande superficie senza ricorrere ad appoggi intermedi, la soluzione
che si presenta per prima al progettista, sia sotto l’aspetto economico, che sotto quello della maggior libertà di
invenzione formale, è quella di una struttura reticolare sospesa, detta più comunemente “tensostruttura”, per lo
più, “a membrana” o “in foglio”, che, d’altronde, in una visione armonica del rapporto uomo-natura, privilegia
ed esalta i valori legati all’“effimero”, alla “temporaneità” e alla “modificabilità” dell’ambiente costruito.
L’origine e lo sviluppo delle tensostrutture risalgono indubbiamente all’antichità: alle tende, alle strutture a
vela per le navi, e anche ai primi ponti sospesi su funi. Inizialmente le funi erano liane composte da fibre
vegetali, in seguito sostituite da catene fucinate e da cavi a fascio in fili metallici ritorto, oggi possono essere
composti da centinaia di trefoli contenenti, ciascuno, più di un centinaio di fili ad alta resistenza. L’esempio dei
ponti sospesi e la possibile interazione fra un sofisticato sistema di calcolo e l’impiego di nuovi materiali tessili
(Poli-Tetra-Fluoro-Etilene, Teflon, dalla fine degli anni ’60, e poliestere spalmato con P.V.C., dalla seconda
metà degli anni ‘80), portò alle prime costruzioni di coperture sospese, generalmente più leggere dei ponti e
quindi maggiormente sensibili al sollevamento prodotto dall’azione del vento.
Le prime applicazioni delle moderne tensostrutture risalgono agli anni ‘30 con le realizzazioni di coperture
di grandi silos per granaglie con lamiere d’acciaio curvate da una sola parte. In seguito, verso gli anni ’50 e
’60, le tensostrutture hanno avuto notevole sviluppo, ed è proprio da quegli anni che si può veramente parlare
di un interessamento internazionale. Ma il vero salto di qualità, che ha permesso la definitiva affermazione di
questo tipo di struttura è avvenuto con la progressiva messa a punto dei sistemi pretesi.

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I. DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

Le coperture pretese, dette comunemente vele, non sono solo sospese ma la messa in tensione
preventivamente al carico le rende perfettamente statiche. Rene Sarger è il creatore di numerosi sistemi di
notevole audacia e il fondatore, in Francia, dell’I.T.R.V.P. (Institut Technique des Resilles et Voiles
Pretendues). Sarger fu tra i primi a preoccuparsi di creare le condizioni per rendere rigide le trame di cavi
sospesi. In effetti una trama di cavi non è che un tessuto ed è stabile alla sola condizione di essere
sufficientemente teso lungo i bordi perché‚ in nessun caso rischi di essere parzialmente in stato, anche
momentaneo, di compressione sotto l’azione di forze esterne.
Fra i più noti studiosi e progettisti di tensostrutture pretese, nonché vero e proprio pioniere, fu il tedesco Frei
Otto, che si è sempre mosso, sperimentalmente e intuitivamente, senza prefissarsi delle forme particolari, se
non quelle dettate dal contorno e dalle sollecitazioni: egli sottopone a determinate tensioni un modello elastico
e sapendo che la membratura si deformerà per assumere una forma equilibrata dovuta solamente agli sforzi
interni, forma che in definitiva è quella esatta che deve assumere la struttura nelle determinate condizioni
sperimentali cui è sottoposta. Otto ha concepito una serie di nuovi tipi di coperture, dando un notevole impulso
allo sviluppo delle tensostrutture, a partire da un principio fondamentale che lo avvicina a Fuller: ottenere i
massimi risultati funzionali col minimo sforzo edificativo e senza concessioni alle false apparenze. Il
Padiglione Tedesco per l’Esposizione mondiale di Montreal del 1967, progettato in collaborazione con
Gutbrod, Leonhardt, Kendel, Kies e Medlin, propaganda in tutto il mondo la validità delle nuove coperture.
Proprio in Germania la ricerca sulle strutture leggere a grandi luci conosce un grande sviluppo che porta nel
1972 alla realizzazione della grande struttura a rete di cavi d’acciaio per gli Stadi dei Giochi Olimpici di
Monaco di Baviera, sempre dello staff di Otto. Mentre le precedenti strutture progettate svolgevano la sola
funzione di proteggere contro la pioggia, la copertura di Monaco di Baviera offre in più la protezione contro il
vento ed una notevole tenuta termica, sia per il periodo estivo, che invernale, creando un elemento
architettonico in grado di unificare le diverse forme di destinazione d’uso e l’area libera che sta tra lo stadio e
la piscina, prolungando quest’ultima verso il paesaggio collinare  uno fra i primi tentativi di dimostrare la
“grande integrabilità” fra questo tipo di ambiente e di costruzione artificiale e l’ambiente naturale con la sua
conformazione a-geometrica.

Gli studi e le esperienze sulle strutture spaziali hanno aperto più vasti e liberi orizzonti ai concetti
architettonici di spazio e di tempo, in una nuova visione compositiva in cui i rapporti statici tra le parti sono
rivissuti in modo dinamico come fasi dialettiche di una progettazione-costruzione continua.. Questo fatto oltre
ad avere influito sull’attuale architettura ha creato, a partire dagli anni ’60, un nuovo spazio progettuale, non
certo alternativo, ma parallelo : l’architettura megastrutturale, l’architettura dell’iper-spazialità del contenitore
di altre spazialità. Essa non parte da un piano urbanistico per svolgersi nello spazio, ma unifica in un unico
spazio continuo urbanistica e architettura. Essa non seleziona esigenze primarie, mezzi di sperimentata tecnica
ed economia, forme definite, ma mira ad un habitat globale con mezzi intuiti con forme sostanzialmente vaghe,
perché transitorie.
Per concludere, è interessante constatare come quasi sempre l’ossatura portante di queste enormi strutture
totalizzanti non può essere pensate che in metallo  soprattutto quando la si debba valutare anche in termini
economici, oltre che prestazionali; come questo materiale sia spesso l’unico elemento veramente reale in queste
fantastiche visioni; come certe soluzioni, oggi evidentemente impossibili, possano risultare possibili
ipotizzando un’accentuazione delle qualità proprie dei metalli, accentuazione che il progresso scientifico fa
prevedere non utopica, anche hanno maggior fascino e, forse, maggior possibilità le vie che portano ai materiali
sintetici e a quelli compositi.

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I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

1
Negli anni ’40, questo edificio fu il modello di diversi edifici circostanti, tant’è che alcuni storici sono tentati di parla re di
una “Scuola di Zurigo” in analogia alla Scuola di Chicago.

2
Si tratta di elementi murali, dell’altezza di un piano, con vetri fissi incastrati nelle finestre scorrevoli verticalmente e
orizzontalmente, costituiti da due superfici in lamiera di alluminio, con eventuale contro-placcatura, irrigiditi da un telaio
intermedio in profilati d’acciaio, utile anche per l’assemblaggio, e colmati con materiale per l’isolamento termico.

3
«L’elegante muro pannello in vetro con nervature di alluminio e in lastre d’acciaio smaltate non poteva che essere
continuo su tutto il contorno in ragione della forma dell’edificio ; i pilastri tubolari arretrati rispetto alla facciata
sono articolati, la forza del vento viene trasmessa ad un nucleo massiccio che, leggermente sfalsato rispetto all’una
delle due facciate longitudinali, restringe ulteriormente la pianta già molto stretta».
(F.HART - W.HENN - H.SONTAG, op.cit., 1974, p.30)

4
«La forza del vento non viene trasmessa ad un nucleo centrale massiccio, ma ripresa da controventamenti sui lati
frontali dei tre corpi dell’edificio. La funzione statica dei lati frontali liberi tutti di finestre è ancora accentuata
dall’alternanza di materiali : l’alluminio delle facciate longitudinali lascia qui il posto ad un rivestimento in acciaio
inossidabile».
(F.HART - W.HENN - H.SONTAG, op.cit., 1974, p.31)

5
Credo non si possa ritenere casuale il successo dell’intelaiatura metallica leggera soprattutto negli Stati Uniti. Essa infatti
era stata anticipata e, per così dire, introdotta dal sistema ballon frame, che rappresenta uno dei primi esempi storici 
insieme al celeberrimo Cristal Palace  di ricerca di leggerezza inscritta nel quadro della prefabbricazione “aperta”.

6
Alcuni validi esempi sono rappresentati da: la Case Study House n.21 (1956-1958), a Los Angeles, di Pierre Koenig,
realizzata con un telaio di acciaio tamponato in lamiera sagomata  per migliorare il microclima, l’acqua viene pompata
sul tetto e torna poi attraverso alcuni doccioni alla “reflecting pool”; la Casa Julius Shulman (1950), a Los Angeles, di
Raphael S.Soriano, anch’essa intelaiata in metallo, ma con un tamponamento più tradizionale in muratura intonacata; la
Casa Kaufmann (1946-1947), a Palm Springs, la Casa Atwell (1950), e il Club Eagle Rock (1950-1954), entrambi a Los
Angeles, tutti di Richard Neutra  particolarità del primo edificio è quella di essere dotato di lamelle metalliche per la
protezione dalla sabbia volatile, di avere un sistema di controllo termico basato su un rivestimento del tetto in granulato
ceramico riflettente e condutture idrauliche sotto i pavimenti, mentre, per il terzo edificio, è quella di poter ruotare verso
l’alto le pareti della sala principale.

7
Attivo in Inghilterra negli anni ’60, il gruppo sviluppò la problematica metropolitana post-razionalista, contrapponendo
all’arretratezza tecnologica dei processi di crescita autorizzati dalla prassi e dalla normativa edilizia proposte utopiche di
gusto surrealista e pop, in una visione fortemente ottimistica delle prospettive energetiche e meccaniche. Partendo dalla
consapevolezza della caducità dell’ambiente fisico e della materia, i progetti puntano alla variabilità spazio-temporale, alla
gestualità (action-building and action-planning) dell’organizzazione strutturale, discontinua, alla spazialità effimera in cui
gli abitanti siano sollecitati al moto, e, al contempo, ad una certa indifferenziazione funzionale. La città si trasforma in puro
intreccio di flussi energetici, non ha più “luogo”, non c’è, ma esiste istante per istante (“Istant City”, 1969, P.Cook), il
“luogo” assume una dimensione regressiva come “capsula” abitativa (“Gaskit Homes”, 1965, W.Clark e R.Herron), o
“esoscheletro mobile” (“Capsula mobile”, 1966, D.Greene), o “utero artificiale” trasportabile (“The Cushicle”, 1967,
M.Webb), o “baccello vitale” (“Living Pod”, 1967, D.Greene).

8
Si tratta di un gruppo di architetti e urbanisti giapponesi fondato nel 1960, che si muoveva nell’ambito della ricerca
utopica tecnologica. Il nome del gruppo fa riferimento ad una concezione della città come organismo metabolico, cioè in

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I. DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

continua trasformazione secondo le leggi del dinamismo vitale. La ricerca si caratterizzava per la volontà di elaborare
mega-modelli urbani, o, semplicemente, mega-strutture, ad alta qualificazione tecnologica in cui fosse facilitata la
variabilità spazio-funzionale.

9
Si veda il complesso polifunzionale di Candie Saint-Bernard (1989), presso Parigi.

10
Fra le tante opere per lo più dominate dall’uso del c.a., si consideri la Stazione di Lyon-Satolas (1990-1994).

11
Si veda, ad esempio, il Giardino Botanico di San Antonio (1991), in Texas.

12
Esemplari sono la sede della Bank of China (1981-1990), a Hong Kong, e la Piramide del Louvre (1985), a Parigi.

13
«La sostanza teorica del discorso decostruttivista è fornita principalmente dalle riflessioni del filosofo
poststrutturalista francese Jacques Derrida […]. L’elemento centrale della posizione di Derrida può essere riassunto
nella negazione di una univoca trasparenza del testo e nella conseguente impossibilità di interpretare in senso
veritiero un testo dato. La compresenza del significato e dell’impossibilità di significare sono secondo Derrida
elementi costitutivi del linguaggio stesso, organizzato da una ambiguità strutturale retta su coppie di opposizione
fra significato e valore che costituiscono il nucleo profondo della “metafisica occidentale” (coppie come forma e
contenuto, natura e cultura, pensiero e percezione, essenza e accidente, mente e corpo, teoria e pratica, maschio e
femmina, concetto e metafora, scritto e orale)».
(AA.VV., Enciclopedia cit., 1996, p.242)

14
Si vedano, per esempio, i seguenti progetti: gli Edifici al Parc de la Villette (1983-1990), a Parigi, e la Galerie Video
(1989), a Gronigue, nei Paesi Bassi, di Bernard Tschumi; il Centro Wexner delle Arti Visuali (1988), a Colombus, Ohio, di
Peter Eisenman; la copertura dell’immobile viennese nella Falkestrasse (1983-1988), o il Musée de Groningue (1994), nei
Paesi Bassi, di Coop Himmelblau; la Casa di Pietra (1986), a Steindorf, di Günther Domenig; L’Istituto per le Ricerche
Solari (1987) dell’Università di Stoccarda, dello studio Benisch & Partner (F.Stepper – A.Ehrhardt); l’Edgemar-Center
(1987-1988), a Santa Monica, il Museo Frederick R.Weisman (1990-1993), a Minneapolis, l’E.M.R. Communication &
Technology Center (1992-1995), a Bad Oeynhausen, in Germania, o il Guggenheim (1991-1997), a Bilbao, di Frank
O.Ghery; il Mediation Pavilion (1991-1993), a Unazuki, o la New Entrance (1991-1993), alla Takaoka Station, entrambi in
Giappone, o il Puente Industrial (1991-1949), per la Camy-Nestlé, a Viladecans, presso Barcellona, di Eric Miralles; il
Berlin I.B.A. Housing (1987-1993), a Berlino, di Zaha Hadid; il Congrexpo (1990-1994), a Lille, o la Casa nel Bosco
(1992-1993), in Olanda, di Rem Koolhaas; il Jewish Museum (1989-1992), a Berlino, di Daniel Libeskind.

15
«Questo lavoro ha soltanto un valore storico, ma esso influenzò decisamente gli studi successivi sulle costruzioni
tridimensionali. Si può considerare come un’ironia del destino il fatto che nel 1890 l’Ufficio tedesco dei brevetti
rifiutò a Föppl il brevetto che egli richiedeva, con il pretesto che non si trattava di un’invenzione reale; forme
analoghe di traliccio esistevano già da diversi anni per formare i telai di sostegno dei serbatoi per acqua e gas (il
fatto che questi telai erano disposti verticalmente e non orizzontalmente non cambiava il principio)».
(Z.S.MAKOWSKI, op.cit., 1967, p.80)

16
Questa precisazione è necessaria per definire il quadro di riferimento per la panoramica che si va a proporre. Infatti, un
ambito evolutivo estremamente interessante ed ampio all’interno dell’ordine reticolare è anche quello che comprende le
strutture “pieghevoli” o “estensibili”, come quelle sviluppate da Perez Piñero, che tuttavia hanno ben poco in comune con il
sistema che ci accingiamo a progettare.

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I.6 NEGLI ANNI DELLA DIFFUSIONE DELLE STRUTTURE RETICOLARI :
IL SECONDO DOPOGUERRA VERSO L’ATTUALITÀ.

17
Per gli strutturisti furono di estremo interesse le ricerche del biologo darwiniano Ernst Henrich Haeckel e, soprattutto, i
disegni dei protozoi e dei radiolari, raccolti nel suo atlante, nei quali si possono rintracciare tutte e cinque le c onformazioni
poliedriche platoniche.
Il mondo dei cristalli, invece, è del tutto privo dei due più articolati solidi regolari. Il cristallo si accresce secondo un ’unica
legge fondamentale detta “legge della costanza dell’angolo diedro”. In base a questa legge, gli angoli diedri tra facce
omologhe di cristalli, appartenenti a una stessa fase cristallina di uno stesso composto chimico, sono uguali (a temperatura
costante) qualunque sia l’origine e la provenienza dei cristalli. A tale legge si associano: la legge di Haüy o “della
razionalità degli indici”, che dice che nei cristalli di una stessa sostanza i rapporti tra i quozienti dei parametri di du e
facce stanno tra loro come due numeri interi  sicché, come spiega D’Arcy Wentwort Thompson, gli indici del dodecaedro
e dell’icosaedro sarebbero dei numeri irrazionali e perciò non è possibile che un minerale cristallizzi secondo queste forme;
e la “legge della simmetria”, per cui il grado di simmetria di una stessa sostanza rimane sempre costante.
Il cristallo, di fatto, non risolve alcun problema spaziale in maniera staticamente determinata, esso, infatti, si accresce
semplicemente riempiendo tutto lo spazio disponibile; diversamente, gli organismi viventi prendono forme che
generalmente la miglior risposta possibile al complesso di forze cui sono sottoposti, soprattutto a livello superficiale. Per
questo motivo l’interesse degli strutturisti fu innanzitutto verso gli esseri organici.

18
Maxwell suppose «che le azioni elettromagnetiche subite da un corpo dovessero dipendere da una situazione fisica
particolare della regione occupata dal corpo (azione a contatto), cioè dal modificarsi delle proprietà fisiche della regione
stessa; nacque così il concetto di campo elettromagnetico, come variazione delle proprietà fisiche dello spazio generata da
cariche elettriche e poli magnetici, ma dotata di esistenza autonoma e propagantesi a velocità finita (eguale nel vuoto a
quella c della luce» (AA.VV., Enciclopedia cit., 1993, p.908).

19
Nel caso dell’automorfismo il referente primario sembra essere la proposizione di E.Weyl secondo la quale due sistemi
di riferimento sono ugualmente ammissibili se tutte le leggi universali fisiche e geometriche conservano in ambedue la
stessa espressione algebrica. Le trasformazioni per passare dall’uno all’altro formano il gruppo di automorfismi fisici dello
spazio: le leggi di natura saranno invarianti rispetto alle trasformazioni di questo gruppo. Inoltre, una figura automorfica si
dirà tale quando linee e punti di intersezione si riprodurranno con la stessa incidenza. «La rappresentazione delle forze che
agiscono in una rete automorfica, forma un automorfismo» (R.LE RICOLAIS, op.cit., in «Zodiac 22», 1973, trad.it. p.216); e
ne deduce, per esempio, che «all’automatismo della ripetizione del reticolato triangolato deve corrispondere un
automatismo della distribuzione delle forze» (ibidem), fattore che induce una forte semplificazione del calcolo strutturale in
strutture omogenee.

20
Quanto ai giunti, era convinzione di Le Ricolais che, «al crescere del numero dei giunti (N) [interni], il fattore di
inefficienza del giunto (kji) aumenta» (P.MCCLEARY, op.cit., in «Zodiac 22», 1973, trad.it. p.220); inoltre, un gran numero
di giunti determina nella struttura il problema dell’“adattamento geometrico” per deformazione indotta dal fatto che più
componenti competono per uno stesso spazio nei poli di giunzione.
Quanto al “peso ottimale” e al “peso non ottimale”, «la struttura è definita come quelle parti la cui funzione primaria è
quella di trasmettere forze attraverso lo spazio. Il peso ottimale di una struttura è quel peso necessario a trasmettere queste
forze, ed è determinato da carico, proprietà dei materiali, dimensioni e proporzioni della configurazione. Il peso reale di
ogni struttura è considerevolmente maggiore del peso ottimale […]. Questo peso eccedente viene chiamato peso non-
ottimale. La più ricorrente causa di peso non-ottimale è la scelta di una inefficiente configurazione primaria» (ibidem).
Infine, il problema della “dimensionalità” geometrica è collegato sia alla convinzione che, per un dato carico, e date
condizioni esterne, esista nello spazio tridimensionale una configurazione ottimale di volume minimo, sia al fatto che un
eccesso di materiale (“peso non-ottimale”) sia determinato spesso dal fatto che la sezione adottata sia maggiore della
sezione teoricamente necessari.

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