Nel corso del XVIIII secolo scienza della meccanica e architettura entrarono in effettiva e non più prescindibile
relazione.
Nel 700 trovano le basi discipline scientifiche che studiano la struttura degli edifici.
Scienza sempre più esatta che studia la statica degli edifici.
1638 Galileo Galilei scrive il libro “Discorsi e dimostrazioni matematiche” studia il comportamento dei materiali, la loro
resistenza, composizione ecc.
Nel Settecento i progressi delle scienze matematiche inizieranno a offrire effettivamente agli architetti strumenti
applicativi, dapprima imprecisi e successivamente sempre più utilizzabili. Ne è dimostrazione la cupola di San Pietro
che diventò oggetto di studio per alcune crepe e fessurazioni che presentava.
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo si sviluppa un nuovo approccio alle opere del passato che non prevede
più tentativi di completamento, ma il massimo rispetto per l’integrità del testo: all’esigenza di ‘richiudere’ una forma,
subentra la volontà di valutare il frammento nella sua autenticità, anche a costo di rinunciare alla lettura della
compiutezza della forma originaria
Si effettuano studi attraverso scavi.
Nascono le esigenze di restaurare nel senso di completare ade esempio statue.
Nel 700 i restauri sono legati a tre aspetti: 1 - scoperta di molte città archeologiche, da cui un rinnovato interesse per
le antichità classiche; 1734 scoperta di Ercolano 1748 scoperta di Pompei 2 - nascono le prime proposte di restauro di
statue ed edifici per la conservazione come modelli 3 - nascita dell'enciclopedismo, dal trattato si passa
all'enciclopedia, ovvero una diffusione più scientifica del sapere.
Raffaele Stern Nasce a Roma nel 1774 in una famiglia di antica origine olandese. Ebbe la sua
prima formazione dal padre Giovanni, Architetto coadiutore del Comune di Roma e Architetto
dei Palazzi Papali Nel periodo di dominio francese (1809 -1815) è inviato da Napoleone a
Parigi per studiare le più moderne soluzioni per la trasformazione del Quirinale in palazzo
imperiale. A Parigi ha occasione di frequentare l’ambiente dell’Ecole Polytechnique che
rappresentava l’avanguardia nel panorama architettonico e tecnico, Nel 1812 è professore di
Architettura teorica all’Accademia di San Luca di Roma.
Il Colosseo
- XI sec. Fabbrica di Proprietà privata dei Frangipane, adattata a fortezza;
- XIII-XIV sec. Danneggiamenti cospicui (crollo di gran parte delle arcate -anelli esterni), causa terremoti del1231e
del1349. I materiali del crollo vengono reimpiegati per la costruzione di palazzi;
-XVI sec. Progetto di Domenico Fontana di trasformazione dell’anfiteatro in un Opificio della Lana;
a una squadra viene incaricato lo studio statico del Colosseo.
- XVII sec. Utilizzo della fabbrica come deposito di letame, per ricavare Salnitro;
-1744 Editto papale che ne stabilisce la conservazione; papa Benedetto XIV decise di consacrare il monumento alla
memoria dei martiri cristiani e vi collocò le edicole della Via Crucis
- 1804 Eliminazione del deposito di letame;
-1806 Istituzione da parte di Pio VII di una Commissione (Camporesi, Palazzi, Stern), per il consolidamento delle arcate
pericolanti. Ipotesi che rigetta una precedente proposta di demolizione.
Esiti della Commissione Camporesi, Palazzi, Stern nominata nel 1806 da Papa PioVII
Palazzi:
Necessità di realizzazione di un intervento di reale consolidamento e non di un elemento solo scenografico ed
inefficace;
Camporesi:
Unica soluzione possibile al dissesto in atto, la realizzazione di uno sperone di consolidamento;
Stern:
Proposta di murazione degli archi che presentavano un abbassamento dei conci di chiave (conservazione del dissesto);
In questo punto della fabbrica fin dall'anno scorso si riconobbero necessari tali riscontri; ora però vi sono lesioni
urgentissime. L'ultima scossa di terremoto aumentò notabilmente lo strapiombo laterale a quest’ala di esterna
facciata che ritrovò senza appoggio, e già inclinata e sconnessa: lo scollocamento dei massi di travertino cagionato
dalle aperture verticali che segnatamente si osservano nel secondo e terzo ordine, ha prodotto praticamente nei
piedritti dei due ultimi archi una divergenza per la quale le pietre cuneiformi che ne compongono le chiavi sono
notabilmente calate in forza della loro gravità.
È dunque chiarissimo che la muratura dei vari partiti servirà per sostenere le indicate
chiavi nel loro stato presente ed impedire l'ulteriore discesa delle medesime, onde non
forzino lateralmente le parti sfiancate; e lo sperone lo giudico il necessario rincontro,
che potrà sostenere la parte laterale e la sua spinta. Questo sperone costituisce la
quantità di mille e venti canne dì muro quadrate di palmi100. Deve essere lavorato a
cortine con la massima esattezza, e perfezione con basamento di travertino.
Stern realizzò il grande sperone in laterizi e la tamponatura delle due campate su tre ordini di fornici all’estremità
settentrionale dell’anello interrotto. Conservò l’effetto visivo del dissesto delle arcate, quasi un’istantanea dell’attimo
di un crollo. In questo modo, egli non cancellò i segni del tempo e del degrado subito dal monumento. Rifiutando ogni
ipotesi di smontaggio delle parti degradate e precarie, l’architetto provvide infatti a murare le arcate pericolanti con
mattoni, che ancora oggi svolgono la funzione di immobilizzare i concilapidei nella loro posizione di dissesto.
Ricorrendo a un espediente tecnico di limitata invasività strutturale, Stern costruì inoltre uno sperone di appoggio
all’estremità delle arcate, che essendo incomplete e quindi prive di sostegno, tendevano ulteriormente a sgretolarsi. Il
nome di Pio VII Chiaramonti, sotto il cui pontificato Stern portò a compimento l’intervento sul Colosseo, si legò anche
all’importante chirografo (1802) che costituì il primo nucleo organico di leggi per la tutela nello Stato Pontificio. Alle
direttive segnate nel chirografo si richiamò nel 1820 l’editto emanato dal cardinale Bartolomeo Pacca, esso conteneva
le misure da prendersi per verificare il complesso di antichità esistenti nello Stato Pontificio.
- XVIsec.: Primi restauri consistenti nella demolizione di alcuni edifici dal lato Sud, e realizzazione di un contrafforte.
Successivo inglobamento dell’arco nelle strutture del Convento di S. Francesca Romana.
- 1812-13: Danni a seguito del sisma del 1812. Interventi di iniziale liberazione dalle strutture conventuali, demolite.
Durante il periodo Napoleonico, molti architetti francesi vengono in Italia attratti dal Prix de Rome, una sorta di borsa
di studio concessa agli artisti che volevano dedicarsi allo studio delle antichità romane, ai loro rilievi e a proposte per il
loro restauro Uno di questi, Auguste Guénépin (1780 -1842), realizza un rilievo dell’Arco di Tito estremamente preciso
e propone una ricostruzione dell’arco che già si potrebbe definire restauro, ossia una restituzione dell’aspetto che
avrebbe dovuto avere in origine il monumento. Prospetta il ripristino delle sue parti laterali e la ricostruzione di tutta
la trabeazione, in parte perduta, riproponendo la tradizionale quadriga in bronzo che coronava l’attico.
Incarico a Stern
Nel 1817 con il ritorno del governo papale, si propone il restauro dell’arco Il cantiere fu approntato nel 1818 da Stern,
che scelse il travertino per l’intervento e impostò la prima fase dei lavori. A seguito della sua morte, l’incarico passò
nel 1820 a Valadier, che concluse l’intervento nel 1824.
Giuseppe Valadier
Nasce a Roma nel 1762. Grazie al padre, grande amico di Pio VI, ottiene non ancora ventenne il titolo di architetto dei
Sacri Palazzi nel 1871.
L’intervento di Valadier Il monumento venne studiato dal Valadier e per confronto con altri archi romani meglio
conservati con l’intento di comprendere quale potesse essere stata la sua forma originale, ormai irrimediabilmente
manomessa e della quale rimaneva solo il fornice. Egli decise per un intervento di liberazione dell’antica architettura
dagli edifici addossati in età medievale. Considerate le carenze statiche del monumento, l’architetto optò per lo
smontaggio dei conci di marmo dissestati, numerandoli precisamente. Questa operazione gli consentì di verificare
anche il sistema costruttivo dell’Arco. I conci marmorei vennero poi ricomposti e opportunamente fissati. Infine, l’arco
fu completato integrandone le parti mancanti con nuovi conci di travertino. A questo proposito, l’Abate Carlo Fea, in
qualità di Commissario alle antichità dello Stato Pontificio, impose all’architetto di non
spingersi a ricostruire i capitelli e le cornici secondo il criterio di analogia con gli
elementi originali ancora conservati, limitandosi a ripristinarli in forme molto
semplificate dal punto di vista stilistico, affinché rimanessero chiaramente distinguibili.
Integrazione delle parti mancanti:
– A dx colonna e capitello originali
– A sx colonna e capitello di restauro
Non tutti furono d’accordo con valadier, infatti Stendhal scrive: …[L’Arco di Tito] è il più antico [monumento] di Roma e
fu anche il più bello fino all’epoca in cui fu restaurato dal signor Valadier. Questo sciagurato, che nonostante il nome
francese è romano di nascita, invece di rafforzare l’arco che pericolava con delle ‘armature’ di ferro e con una gettata
di mattoni assolutamente distinta dal monumento pensò bene di ricostruirlo di nuovo… Insomma, dell’arco di Tito non
ci resta che una copia”.
Colosseo:
Condizioni della fabbrica dopo il 1809
-1810 Incarico a Valadier e Camporesi da parte della Commissione per i monumenti pubblici di eseguire progetti per la
sistemazione del Foro e del Colosseo
-1812 Piano di esecuzione degli espropri relativi alle fabbriche attorno ed addossate al Colosseo.
-1814 Problematiche di infiltrazione di acque–relazione Camporesi
- 1815 Progetto di chiusura con cancelli del Colosseo–Valadier
- 1823-26 Intervento integrativo di Valadier
La realizzazione del progetto di Giuseppe Valadier fu preceduta, nel 1814-15, dal risanamento dell’area sulla quale
sorge il Colosseo, prevedendo un’opera di isolamento dalle acque del sottosuolo che rendevano paludoso e instabile il
terreno. Il Valadier volle di seguito chiudere gli accessi al monumento con dei cancelli. Il restauro vero e proprio si
concretizzò con la costruzione di un contrafforte in mattoni e travertino. L’architetto fece ricostruire per analogia
alcune delle arcate crollate, in numero decrescente a partire dal basso, secondo modalità che vorrebbero rendere lo
sperone perfettamente mimetico con le parti originali dell’edificio.
Lo stesso Valadier riporta nel suo scritto del 1833 “Opere di Architettura e di Ornamento”: «Il nuovo lavoro, per
procurare la possibile economia, ha di travertino soltanto la metà dell’altezza dei primi piloni, le imposte degli archi, le
basi delle colonne e i rispettivi capitelli e l’ultima membratura dei cornicioni, perchè siano più stabili. Tutto il resto è di
mattoni, con i quali si sono fedelmente imitate le antiche scorniciature, ed avendovi data una patina a fresco generale,
imitante l’antico, sembra di travertino intieramente »
Sotto Gregorio XVI furono ricostruite le parti mancanti del secondo anello nel settore meridionale, ovvero sette arcate
del primo ordine e otto del secondo ordine. L'intervento iniziato dal Salvi fu concluso dal Canina che eseguì anche, nel
1852, il restauro del settore nord, ove l'architetto ricostruì parte del piano dell'ultimo ordine.
ll Dizionario rileva la differenza sostanziale che separa il restauro scultorio da quello architettonico, infatti, mentre il
completamento delle opere d'arte scultorie lacunose, ha bisogno di un contributo creativo, questo non può dirsi per
quanto riguarda il restauro architettonico.
L'architettura, infatti, si compone di parti similari che possono, mediante un'esatta osservanza delle misure, essere
identicamente copiate o riprodotte. Questa operazione, può ridursi ad un semplice meccanismo. Quatremère
distingue pertanto tra atto creativo (Restauro scultorio) e atto meccanico (Restauro architettonico) di riproduzione ed
integrazione.
L'integrazione del monumento è dunque auspicabile in quanto è la materia che è sostituita, mentre il modello viene
recuperato. Parallelamente viene però sostenuta la necessità di una distinzione tra le parti originarie del monumento
e quelle aggiunte, al fine di evitare che l'osservatore possa incorrere in errori di lettura e d'interpretazione.
Condannando il ripristino di parti mancanti con "falsi" identici agli originali, Quatremère de Quincy anticipa, con
straordinaria intuizione, quanto sarà poi ripreso nelle enunciazioni teoriche successive.
L'idea di un restauro inteso come reintegrazione di parti mancanti, espressa da Quatremère, è integrata da altre due
osservazioni che si ritengono fondamentali. La prima, rileva come l'opera di restauro risulti accettabile in quanto " di
tale natura da non poter indurre chicchessia in errore ", condannando qualsiasi possibilità di falsificazione storica. La
seconda, introduce il concetto di manutenzione come alternativa, preferibile, al più " pesante " intervento di restauro.
" Quanti monumenti antichi si sarebbero conservati se qualcuno si fosse presa la cura di rimettere al loro posto i
materiali caduti, o soltanto di sostituire una pietra ad un'altra pietra!".
In sintesi
1) Restaurare è “rifare a una cosa le parti guaste e quelle che mancano, o per vecchiezza o per altro accidente”
2) Le ragioni del restauro stanno nel “conservare ciò che è suscettibile di somministrare all’arte dei modelli, o alla
scienza dell’antico delle autorità preziose”
3) Occorre conservare, quando possibile, col solo “rimettere al loro posto i materiali caduti”, o con semplici opere di
puntellamento. Importanza della manutenzione
4) Contro il sentimento del pittoresco, perché produce rovine
5) Il restauro deve essere fondato sul principio della reintegrazione delle parti distrutte con materiali differenti dagli
originari e limitando la riproduzione degli ornati alle sole linee di inviluppo
6) Distingue il restauro rivolto alle opere di scultura (per le quali considera lecita la reintegrazione delle parti secondo
un atto) da quello riferito all’architettura, per il quale bisogna rispondere a misure precise.
7) L’architettura è fatta di parti similari che possono essere imitate, ovvero riprodotte attraverso un’attenta analisi
delle misure e delle proporzioni (metodo analogico)
E’ precisamente quel che c’è di fittizio e d’incompleto in ogni arte che la costituisce arte. E’ di là che trae la sua
principale virtù e l’effetto della sua azione è di là che viene il potere che essa ha di piacerci. Si riconosce in Quatremère
la base del pensiero moderno fondato sulle due istanze, la storica (monumento/documento) e l’estetica (monumento-
opera d’arte-modello)
Agli elementi fondamentali che abbiamo individuato prima del periodo illuminista:
• un pensiero filosofico improntato al riconoscimento razionale del vero/autentico
• un sistema giuridico capace di tutelare i beni di valore
• un’interpretazione della materia autentica come portatrice di valori spirituali
• una visione lineare del tempo che riconoscesse il mondo antico come ormai distante