noscenze che ci permettono oggi di riconoscere nelle murature e nei loro rivestimenti ancora su- perstiti il carattere proprio di alcune architettu- re del Cinquecento a Roma. La bibliografia di sintesi su questo tema re- cente, fortemente specialistica e limitata a po- chissimi testi. Introdotta dagli scritti di Paolo Marconi sulla cultura materiale e sul restauro delle superfici 1 , e incoraggiata dallinteresse di Manfredo Tafuri e soprattutto di Christoph Frommel, si esaurisce con la citazione di pochi testi e di qualche articolo, tutti pubblicati tra il 1980 e il 1992 2 . A seguire ne offriamo un reso- conto che mette in evidenza i problemi ancora irrisolti, anche in relazione ai dati che sono emersi nel corso di alcuni recenti restauri. La facciata ideale tra Quattrocento e Cinquecen- to: in pietra o in laterizio? La costruzione del Palazzo vaticano di Niccol V introduce a Roma, alla met del Quattrocen- to, luso di cortine laterizie realizzate con mat- toni nuovi, dopo secoli di paramenti murari ese- guiti in tufo o al massimo in laterizio di recupe- ro. Nel suo recente articolo sulle murature late- rizie a Roma alla fine del Quattrocento 3 , Pier Nicola Pagliara mette in evidenza il progressivo affinamento di questa pratica costruttiva, attra- verso gli esempi di fine secolo (le fodere lateri- zie della Cappella Sistina, della Chiesa di S.Au- rea a Ostia, della Sacrestia della Sistina, del fianco di S.Pietro in Montorio, del campanile di S. Agnese f.l.m., dellottagono di S.Maria della Pace e della Torre Borgia) fino agli exploit del- le architetture sangallesche. I segnali di una sempre pi evidente regolarizzazione della fo- dera laterizia, dalle superfici non arrotate delle pareti quattrocentesche composte di mattoni ordinari, con giunti di spessore elevato, fino al- le pareti quasi monolitiche di pianelle tagliate con giunti pressoch invisibili, ben levigate in superficie e con apparecchio isodomo di molte architetture del primo Cinquecento, servono a dimostrare che, nel corso di una cinquantina danni, si afferma a Roma il gusto per la super- ficie laterizia a vista. Introdotto da alcuni ap- prezzamenti dellAlberti, favorito dallaffluenza delle maestranze edili dellItalia settentrionale e documentato dalle sempre pi numerose testi- monianze di fornaci attive, il rivestimento in la- terizio si perfeziona per conquistare anchesso quasi al pari di quello in pietra da taglio il ri- conoscimento di superficie muraria allantica. Le accuratissime cortine laterizie dei sepolcri romani, rilevate da molti architetti e descritte Elisabetta Pallottino Architetture del Cinquecento a Roma. Una lettura dei rivestimenti originari 1. Roma, Palazzetto Turci: particolare della cortina laterizia isodoma. 3. Roma, Stalle Chigi: particolare della cortina laterizia isodoma dei basamenti e delle paraste.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 289 nei trattati, stanno ad indicare la giusta via per ottenere solidit e bellezza. Anche se, come os- serva Pagliara, non sono quegli esempi a far adottare lapparecchio isodomo nelle cortine romane del primo Cinquecento prima fra tut- te quella dei piani superiori del cortile della Cancelleria (dopo il 1497) ma piuttosto la vo- lont di emulare, con una materia meno costo- sa, lopus isodomum in pietra descritto da Vi- truvio ed esteso da Francesco di Giorgio Marti- ni, nella sua traduzione del testo vitruviano, an- che allapparecchio in cotto 4 . Quindi, secondo la lettura che abbiamo appena esposto, laccura- tezza dellapparecchio con mattoni tutti posti di taglio e a giunti sfalsati, unita alla maggiore re- golarit visiva derivante anche dalle operazioni di taglio degli elementi laterizi e di arrotatura della parete, il segno dellintenzionalit origi- naria di lasciare in vista le cortine. Gli esempi non mancano: dal cortile della Cancelleria in poi, al Palazzetto Turci (ill. 1), alle arcate del- lordine dorico del Cortile inferiore del Belve- dere, a Palazzo Pichi, a Palazzo Fieschi, a S. Maria dellAnima, alle Stalle Chigi (ill. 2), fino al culmine virtuosistico dei Palazzi Baldassini (ill. 3) e del Vescovo di Cervia (con moduli ri- dotti a 15 e 14 cm), mattoni e pianelle, pi o meno arrotati e tagliati, concorrono a dare alle architetture del Cinquecento, rivestite in lateri- zio, quellaspetto che noi oggi vediamo. Ma altri segnali e diverse spiegazioni hanno fatto pensare che non fosse questa lapparenza voluta dai costruttori di allora e che solo il tem- po e una pi tarda rivalutazione della materia- lit dellapparecchio laterizio, abbiano cancel- lato le tracce di un suo ruolo alternativo e mol- to pi nascosto. A chi si chiesto infatti, sulla base di numerosi ritrovamenti di scialbi, into- nachini o sottili strati di stucco sulle superfici laterizie di ottima fattura, se queste fossero de- 3. Roma, cortile di Palazzo Baldassini: particolare della cortina laterizia isodoma. stinate veramente ad essere in vista fin dallori- gine, stata data recentemente una risposta di- versa e opposta a quella che, nellarticolo citato di Pier Nicola Pagliara, riassume e documenta unopinione comune e consolidata. Da allora citazioni dai trattati e dai documenti di cantie- re, riferimenti a disegni e annotazioni di archi- tetti rinascimentali, segnalazioni di particolari costruttivi a sostegno delluna e dellaltra tesi si sono accumulati nella letteratura che abbiamo citato, fino allultimo emozionante ritrovamen- to di ampie tracce di uno scialbo di calce color travertino sul mattone vergine delle accuratissi- me cortine tagliate nella prima campata latera- le del Palazzo dei Conservatori in Campido- glio 5 (ill. 4-5). Non qui possibile ripercorrere ogni indizio, n esaminare tutti i rivestimenti controversi. Ci limiteremo a richiamare gli ar- gomenti pi rilevanti della tesi opposta avanza- ta, ormai pi di dieci anni fa, dal restauratore Antonio Forcellino 6 e tesa a dimostrare che nellarchitettura del primo Cinquecento roma- no le fodere laterizie erano apprezzate soltanto per le loro caratteristiche tecnico costruttive e non certo per le loro qualit visive. Come si vedr, molti dubbi restano irrisolti tanto da suggerire di riservare ampio spazio a questa di- scussione piuttosto che dilungarsi su temi me- no controversi. Alcuni ritrovamenti di scialbature e tinteg- giature su edifici diversi, sia precedenti che suc- cessivi alla prima met del secolo (dai resti di stucco sui mattoni dellantica basilica scavata recentemente nel cortile della Cancelleria, fino alle tracce visibili sulle cortine della Chiesa di S.Omobono), hanno dimostrato particolare che non era stato sufficientemente considerato in precedenza che lapplicazione diretta di una stuccatura sottile (fino al grado limite di una pellicola di tinta) su una qualsiasi superficie sottostante permette di assimilarne la qualit di lavorazione modificandone al tempo stesso le prerogative visive. Cos, con la stesura di uno strato sottile di stucco del color del travertino su una superficie in cotto molto irregolare e con segni di sgrossature alla subbia, si pu ottenere leffetto di un travertino rustico (vedi le appli- cazioni di Giulio Romano a Mantova e il prece- dente analogo di Palazzo Baldassini 7 ), mentre un identico strato steso su una cortina laterizia tagliata e arrotata in opera, permette di ottene- re leffetto di una lastra di pietra, come dimo- strano le tracce di scialbatura sul fianco del Pa- lazzo dei Conservatori. Una conversione, per usare le famose parole del Cornaro, del cotto in sasso, che garantisce al tempo stesso una maggior resistenza e durata rispetto a un sem- plice substrato di malta e una maggiore econo- micit rispetto alla vera pietra. Convincente dal punto di vista tecnico e attestato dai ritrova-
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 290 menti citati, questo tipo di rivestimento pu es- sere esteso in via ipotetica anche alle cortine la- terizie pi accurate del primo Rinascimento ro- mano, come ad esempio alle fodere sangallesche del Palazzo Baldassini e del Palazzo del Vescovo di Cervia. Rimane indiscusso il percorso di per- fezionamento della fodera laterizia delle corti- ne, ma il suo traguardo non , secondo questa diversa lettura, lesposizione di un apparecchio isodomo e levigato, bens la sua adozione come substrato ottimale per ottenere, con un sempli- ce rivestimento del colore della pietra, la massi- ma somiglianza possibile con una lastra lapidea. Se al Palazzo del Vescovo di Cervia le disconti- nuit materiali tra le parti in travertino e quelle in cortina possono motivare sia lipotesi di una scialbatura color travertino che quella di un in- tonachino segnato a cortina, lesempio di Palaz- zo Baldassini pi convincente (ill. 6 e 7). Due riscontri diretti sul vivo della fodera laterizia (il rinvenimento di tracce di scialbo sulla cortina vergine del risvolto laterale 8 e levidenza di trac- ce di lavorazione a gradina sulle cortine del cor- tile) e una testimonianza del Vasari (che scrive nella vita di Polidoro e Maturino: nella casa di Baldassino fecero graffiti e storie e nel cortile alcune teste dimperatore sopra le finestre) rendono credibile lipotesi formulata. Dopo il 1513-14 sono messe in opera le fodere laterizie di pianelle tagliate nel cortile e in facciata; an- che ammesso che la decorazione di cui parla Va- sari sia pi tarda non interferisca cio con lin- tenzione originaria di esporre le cortine alla vi- sta si tratta pur sempre di una prassi in uso, senza suscitare stupore, almeno fin dagli anni 20, circostanza questa che da sola toglie molta forza allequazione obbligata tra buona fattura della fodera in cotto e suo conseguente apprez- zamento visivo. Stuccature pi consistenti sono destinate a ri- vestire invece le cortine meno accurate, sia quel- le arrotate ma non tagliate i cui giunti pi alti rendono comunque lapparecchio pi irregolare, sia quelle arrotate fuori opera cio mattone per mattone , sia infine quelle rustiche la cui fun- zione di substrato murario generalmente ac- cettata (cfr. ad esempio Palazzo Sacchetti). Per la discussione di alcuni esempi appartenenti ad ognuna di queste tipologie rimandiamo alla bi- bliografia citata, limitandoci a richiamare senza discuterli alcuni dei casi pi controversi: fianchi della Cancelleria, Cortile del Belvedere, Cortile di S. Damaso, Stalle Chigi, Palazzo Alberini, Farnesina Chigi, ed alcuni edifici sangalleschi. Qualche considerazione va riservata infine allattendibilit di alcune fonti e ad un argomen- to centrale che rimane a mio parere ancora irri- solto. I riferimenti ai trattati, alla ricerca di os- servazioni favorevoli o contrarie allapprezza- mento estetico dei mattoni, non sono dirimenti. Le citazioni fino ad oggi riportate in letteratura, autorizzano spesso infatti una lettura ambiva- lente e, in definitiva, quando sottolineano la bel- lezza del mattone, lo fanno sempre in via subor- dinata al maggior splendore della pietra, con lunica eccezione dellapprezzamento dello Sca- mozzi per il laterizio dei sepolcri antichi (non si pu vedere cosa pi diligente e bella 9 ) che per risale ormai ad unepoca in cui il diffon- dersi delle cortine, eventualmente rimaste anche scoperte, doveva aver modificato la gerarchia dei rimandi antiquari. La stessa osservazione pu valere per unaltra fonte importante: i dise- gni dallantico e i disegni delle nuove fabbriche in costruzione da parte degli architetti rinasci- mentali forniscono molte indicazioni interes- santi ma di nuovo si prestano a letture di segno contrario (appunti sui caratteri costruttivi o vi- ceversa rappresentazione dellapparenza?). Ri- mane infine non chiarito quale fosse il ruolo strutturale attribuito alla fodera laterizia dal momento in cui comincia ad acquistare regola- rit di apparecchio con le cortine della Cancel- leria. La disposizione isodoma, infatti, con soli mattoni di taglio a giunti sfalsati, imponeva una rinuncia ad una regolare ammorsatura con mat- toni posti di testa nella muratura retrostante. Mi sembra difficile per che si rinunciasse a questa possibilit solo per ottenere una simulazione dellopera isodoma in pietra citata da Vitruvio ed estesa da Francesco di Giorgio, come si detto, anche allopera laterizia: con il virtuosi- smo raggiunto nelle cortine tagliate a giunti in- visibili infatti, la loro peculiarit pi evidente di- ventava laspetto monolitico dellinsieme e non il disegno dellapparecchio. pi probabile in- vece che si rinunciasse a predisporre mattoni di testa per ottenere il minor numero possibile di giunti favorendo in tal modo il raggiungimento della levigatezza della superficie prima ancora di intraprendere le operazioni di finitura. Anche in area bolognese infatti (dove il muro in mattoni veniva sottoposto a trattamenti di sagramatura o anche rivestito del colore della pietra, il bi- gio), ogni volta che lapparecchio laterizio era destinato ad essere arrotato in opera o rivestito, si cercava di eliminarne lirregolarit gi in fase di costruzione, diminuendo il pi possibile il numero delle commessure (cortine con mattoni posti di taglio) e riducendo lo spessore dei giun- ti (cortine tagliate) 10 . Nelle fodere laterizie ro- mane, questa scelta di regolarit obbligava a ri- solvere con altri sistemi, meno visibili del mat- tone posto di testa, il problema dellammorsatu- ra. Non facile individuare, anche per la diffi- colt di procedere a verifiche in loco, quali si- stemi venissero effettivamente adottati: tra gli altri, pu essere ipotizzato luso di mattoni qua- dri (a 2 teste) la cui produzione in fornace non da escludere gi a quella data.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 291 Di fronte a due letture cos radicalmente op- poste, come quelle che abbiamo riassunto in pre- cedenza, e fondate spesso su dati ambivalenti, la tentazione quella un po banale e ingrata di la- sciare aperte tutte le strade interpretative. Lo suggeriscono altri elementi che, per via indiretta, sconsigliano di cercare spiegazioni troppo tota- lizzanti. Come spesso stato segnalato, in diver- si esempi di architetture dipinte sono raffigurati paramenti in cotto di interni ed esterni: se alcuni di questi potrebbero anche rappresentare pan- nelli di marmi mischi (affresco di Pirro Ligorio a S. Giovanni Decollato), in altri (Isacco e Rebecca spiati da Abimelech in una delle volte dipinte da Giulio Romano alle Logge Vaticane 11 ) in evi- denza il disegno accurato dei filari di mattoni. Per contro, se la cortina tagliata avesse effettiva- mente incontrato allepoca tanto apprezzamento, sarebbe stata replicata ma difficile trovarne testimonianza con materiale pi povero da quei committenti della classe media che non si stanca- vano invece di simulare con diversi espedienti a buon mercato le superfici in marmo e travertino che evidentemente consideravano il vero rivesti- mento allantica e quindi alla moda 12 . Infine, ma non ci dilungheremo su questo punto, una lettu- 4, 5. Roma, Palazzo dei Conservatori: risvolto verso la citt; e, sotto, particolari dei resti dello scialbo del colore del travertino che ricopre le cortine tagliate sulla prima campata del fianco verso la citt. 6, 7. Roma, Palazzo Baldassini; e, sotto, tracce di scialbo del colore del travertino sulle cortine tagliate del risvolto.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 292 ra delle interpretazioni funzionaliste di tanta ar- chitettura romana del Cinquecento 13 , proposte da architetti e teorici della seconda met del Set- tecento, ci permette di capire fino a che punto unarchitettura del passato possa allontanarsi dal- la sua origine quando ad essa si sovrappongono attualizzazioni radicali, e quando, come nel caso che stiamo esaminando, il convinto apprezza- mento del materiale in rappresentazione (il bel mattone che Milizia vedeva dappertutto, anche dove non era mai stato) riesce a rendere inconce- pibile, pur di fronte a molti indizi evidenti, una sua intenzionale obliterazione. Sui rivestimenti in peperino La stessa obliterazione pu aver interessato an- che le superfici realizzate in peperino. Oggi vi- sibili nella loro nudit, sono anchesse forte- mente indiziate di essere state destinate in ori- gine al ruolo di supporto murario per la realiz- zazione di finiture simulanti il marmo e il tra- vertino. Leffettiva deperibilit della pietra la- ziale, poco adatta a resistere allesposizione al- laperto e in compenso le sue buone caratteristi- che di lavorabilit, ne facevano un materiale molto indicato a realizzare superfici e modana- ture salvo poi proteggerle con stucchi e tinteg- giature che, come gi in antico, nascondevano la sua coloritura non troppo magnificente. Tracce di stucco sono state ritrovate ad esempio su al- cuni elementi in peperino di Palazzo Ossoli (ill. 8 e 9) e hanno indirizzato i criteri del recente restauro che (con il rivestimento in stucco di travertino e in color travertino rispettivamente dellordine e del basamento bugnato in peperi- no) ha radicalmente modificato limmagine no- ta della facciata. Sulla finalit pratica ed estetica di questi rivestimenti e sulla loro diffusione in alcune architetture del primo Cinquecento ro- mano le opinioni sono meno contraddittorie di quanto non abbiamo visto a proposito del late- rizio. Sono comunque ancora in discussione al- cuni singoli edifici (Porta Julia, Palazzo Jacopo da Brescia, Palazzo Chiovenda, Palazzetto Spa- da Capodiferro e pi tardi il S. Andrea del Vi- gnola), dove, anche in assenza di eloquenti do- cumenti e di tracce visibili, la presenza di alcu- ne stridenti anomalie costruttive o testimonian- ze di altro genere rendono pi che verosimili ipotesi di rivestimento. Va segnalato per contro lesplicito intento decorativo delle finestre della Villa Aldobrandini a Frascati dove il peperino delle mostre, lasciato in vista, valorizzato nel contrasto con il bianco della calce, ed esplicita- mente apprezzato allinizio del Seicento per il suo colore scuro 14 . 8. Roma, Palazzo Ossoli: la facciata prima del restauro con il basamento e lordine in peperino a vista. 9. Roma, Palazzo Ossoli: la facciata dopo il restauro (1992) con il basamento tinteggiato in color travertino e lordine rivestito di stucco di travertino.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 293 10. Roma, Palazzo Massimo alle Colonne: particolare del rivestimento in stucco di travertino sulle superfici del portico. 11 Roma, Casa in via della Maschera dOro: particolare della decorazione a graffito. Superfici in stucco di marmo e di travertino Anche a non voler considerare i numerosi casi controversi di rivestimento su superfici in cotto e peperino, gli stucchi di marmo e travertino, pi o meno consistenti a seconda della qualit del substrato, costituiscono la finitura artificiale per eccellenza del primo Cinquecento romano 15 . Circostanze sfortunate, degrado delle superfici e rimozioni di natura diversa, hanno cancellato le testimonianze pi autorevoli (Palazzo Caprini, Palazzo Branconio dellAquila, Villa Madama, in parte Villa Lante, Palazzo Gaddi), ma riman- gono eloquenti e affascinanti i segni ben visibili della facciata e del cortile di Palazzo Massimo (ill. 10) a rievocare una citt che appare ancora ai nostri occhi difficile da immaginare. Lo stuc- co (colla di travertino o colla di marmo, va- le a dire calce e polvere di travertino e calce e polvere di marmo), facilmente identificabile nei documenti di cantiere della seconda met del se- colo, dove stimato ad un prezzo pari al doppio di quello corrente della colla ordinaria (calce e pozzolana), contribuisce a qualificare tutte le ti- pologie di rivestimento che, nel corso della pri- ma met del secolo e poi ancora oltre, intendo- no evocare la materia lapidea. Lo troviamo nel- le ville luoghi per eccellenza, anche nel secolo successivo, dellallusione antiquaria e nei pa- lazzi cittadini a qualificare le pareti lisce delle superfici esterne (a Villa Madama e a Villa Lan- te, e pi tardi a Villa Giulia e infine alla Villa Borghese dove viene diffusamente adottata, ol- tre alla colla di stucco di marmo, anche una semplice scialbatura chiara sullintonaco in calce e pozzolana; al Palazzo Vaticano e al Palazzo Lancellotti ai Coronari). Sul finire del secolo, l dove lallusione al travertino si fa ancora pi rea- listica, i rivestimenti in stucco sono graffiati con la gradina per imitare al meglio anche le moda- lit di lavorazione della pietra. Molte testimo- nianze di questo sofisticato accorgimento sono state offerte dai restauri degli ultimi anni che hanno rivelato intere superfici in stucco graffia- to nel cortile di Palazzo Altemps 16 , sui fronti del- la Palazzina gregoriana al Quirinale (ill. 12), sul- le paraste del Palazzo Senatorio in Campido- glio 17 e ancora, per citare anche due casi del pri- mo Seicento, sulla facciata di S. Eligio degli Orefici e sulle pareti dello Scalone Quadrato a Palazzo Barberini. Sono in stucco anche molte facciate bugnate (a Palazzo Massimo, a Palazzo Torres Lancellotti, a Palazzo Delfini e a Palazzo Cenci e in molte case dei rioni Ponte e Regola) e diverse figurazioni graffite di tante facciate cittadine (ill. 11) (dove lo stucco di pietra viene usato, come gi a Firenze, al posto della colla di calce e sabbia). E infine, come pi ovvio, viene realizzata in stucco buona parte degli ornamen- ti scultorei allantica di case, palazzi e ville (Pa- lazzo Branconio, Casa Crivelli, Palazzo Spada (ill. 13), Casino di Pio IV, Villa Medici). Sul finire del secolo, le simulazioni in stucco, pi rare per evidenti ragioni economiche, sono sostituite da altre contraffazioni della pietra rea- lizzate con materiale meno costoso. Autorevoli fonti, quali la lettera sulle incrostazioni scritta dal marchese Vincenzo Giustiniani intorno al 1625 18 , vero compendio delle pratiche ereditate dallarchitettura barocca in materia di rivesti-
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 294 menti, e numerosi documenti di cantiere, ne certificano lesistenza. Sono le colle alla geno- vese adottate diffusamente sulle superfici di al- cune fabbriche sistine (ad es. Palazzo Laterano [ill. 14], Ospedale dei Mendicanti a Ponte Sisto) e sugli esterni di Palazzo Altemps, dopo essere state sperimentate sulla prima facciata del Palaz- zo cittadino del marchese Giustiniani (1586). Di colore chiaro (come dimostrano le rappresenta- zioni delle fabbriche di Sisto V negli affreschi vaticani) e corrugate in superficie, queste colle introducono un nuovo carattere di scabrosit nei rivestimenti della prima architettura barocca romana, replicato di l a poco dalle analoghe colle brodate di Palazzo Borghese e di Palaz- zo Barberini 19 . Le cortine laterizie nei rivestimenti del secondo Cinquecento La possibilit di consultare un numero rilevante di documenti contabili, precisi e attendibili nel descrivere lopera delle maestranze, i materiali impiegati e le diverse partite effettivamente rea- lizzate, ci autorizza ad avere maggiori certezze sui rivestimenti in uso nella seconda met del se- colo. E in particolare, a proposito delle cortine laterizie, pur mantenendosi problematiche le conoscenze dei precedenti e quindi le spiegazio- ni della genesi di alcune nuove pratiche costrut- tive, possiamo con soddisfacente precisione in- dividuare esempi e modalit tecniche 20 . Le cortine tagliate e arrotate, perfezionate al massimo grado negli edifici sangalleschi e poi riproposte nel 1564 sulle fodere del Palaz- zo dei Conservatori, ritornano ad affermarsi dopo la costruzione della Cappella Sistina (ill. 15) che Domenico Fontana descrive in modo entusiasta proprio per i suoi mattoni tagliati & arrotati. Alcune di loro sono in vista, anche se permane il ricorso a scialbi che simulano la pietra (Oratorio del Ss. Sacramento e Oratorio del Crocifisso) e non mancano esempi di ade- guamenti superficiali tra materiali diversi (il 12. Roma, Palazzina gregoriana al Quirinale: particolare della lavorazione a gradina dello stucco. tardo rivestimento in color travertino realizza- to da Borromini sulle cortine tagliate del Tea- tro della Sapienza di Giacomo Della Porta per adeguarlo alle superfici di S. Ivo). Labitudine allo scialbo della cortina tagliata e arrotata ri- mane in vita a lungo nel cantiere romano, sen- za provocare stupori e perplessit, anche quan- do la tinta di rivestimento, probabilmente ap- plicata con funzione protettiva, replica lo stes- so colore e lo stesso apparecchio del laterizio sottostante (Palazzo Nuovo al Campidoglio, lato sinistro della facciata di S. Maria Maggio- re realizzato dal Fuga, Cortile ottagono del Museo Pio Clementino al Vaticano, dove i pi- lastri del portico, sempre in cortina tagliata, sono tinteggiati in color travertino). Sono per sicuramente in vista le cortine tagliate descrit- te dal marchese Giustiniani nella sua lettera: a Palazzo Farnese 21 , sulle ali della facciata di S. Susanna (ill. 17) e sulla facciata principale ver- so la piazza della nuova Sacrestia di Paolo V a S. Maria Maggiore. Mentre niente di certo pu dirsi sulle altre cortine tagliate della seconda met del Cinquecento, quelle della facciata di S. Maria in Trivio, dei fianchi di S. Maria dei Monti e di S. Luigi dei Francesi, e su quelle primo secentesche dei fronti di S. Andrea delle Fratte e di S. Maria in Aquiro e del retro di Palazzo Barberini. La compresenza di corti- ne tagliate scialbate del colore del travertino e di cortine tagliate esposte alla vista, in un ar- co di tempo che va dalla costruzione del Palaz- zo dei Conservatori al completamento del Teatro della Sapienza, induce a credere che non esistessero opzioni radicali. Se questo vale per la seconda met del Cinquecento, diffici- le ipotizzare che nella prima met del secolo ci si comportasse diversamente e si praticassero invece scelte esclusive a favore delluno o del- laltro metodo di rivestimento. Il discorso un po diverso per quelle corti- ne realizzate con mattoni ordinari (26 cm ca. 3,5 cm ca.) disposti prevalentemente di taglio e murati con giunti di ca. 1 cm, che in tutti i do- cumenti della fine del secolo sono indicate con la precisa dicitura cortina rotata e stuccata o cortina rotata, stuccata e segnata. Introdotte dai Gesuiti, come si preoccupa di testimoniare il marchese Giustiniani, (o forse pi verosimil- mente dai Teatini), presentano un apparecchio destinato con tutta probabilit a rimanere in vi- sta, per la presenza di un reticolo di giunti stuc- cati in rilievo che, se rivestiti, ostacolerebbero la realizzazione di una superficie regolare. Questo tipo di cortina, che chiameremo ordinaria, an- cora oggi ben visibile sui fianchi della Chiesa del Ges, sulle pareti del Collegio Romano (ill. 16 e 18) e della Casa Professa dei Gesuiti, oltre che allesterno della Casa dei Teatini. Ad essa posso- no essere accostate cortine simili, pi o meno
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 295 stuccate nei giunti e stilate, che si diffondono sulle pareti degli edifici cittadini dopo la costru- zione delle fabbriche dei Gesuiti e in particolare della imponente superficie muraria del Collegio Romano. Sono ancora visibili, o lo erano prima di alcuni recenti restauri, in molti edifici roma- ni: a S. Atanasio dei Greci, a S. Girolamo degli Schiavoni, a S. Salvatore in Lauro, a S. Paolo al- le Tre Fontane, a S. Andrea della Valle, a S. An- drea delle Fratte, al Convento di S. Carlo ai Ca- tinari e alla Casa dei Neofiti e dei Catecumeni. E ancora a Palazzo Spinola, a Palazzo Bonelli- Valentini, a Palazzo Mattei (altro modello co- struttivo per eccellenza dopo quello dei Gesuiti) e al Palazzo di S. Callisto 22 . Quando il program- ma costruttivo annunciato nel capitolato, con la formula canonica che abbiamo citato (cortina, rotata, stuccata e segnata), non viene rispettato al momento della costruzione, la fodera laterizia pu ancora essere rivestita da strati coprenti di scialbo. il caso della Torre Capitolina (1578- 1583): nel capitolato si fa esplicito riferimento al modello della cortina laterizia della Chiesa del Ges e quindi anche al tipo di finitura (stucca- tura dei giunti e stilatura delle commessure) che la caratterizza. Ma poi questa finitura non viene realizzata e la cortina della Torre (che oggi si presenta faccia a vista), proprio perch privata dei sistemi di finitura citati, pu essere soggetta a rivestimento: il che di fatto avviene, pi di un secolo dopo quando la Torre viene tinteggiata, come attestano i documenti del 1693, in color del travertino e color mattone. In definitiva sono gli espedienti di finitura de- scritti a rendere diverse e nuove molte fodere la- terizie dellultimo quarto del secolo. Il fatto che non li ritroviamo nelle cortine ordinarie prece- denti (Cortile del Belvedere, fianchi della Can- celleria, Farnesina Chigi, Palazzina di Pio IV, S. Maria Porta Paradisi, fianchi di S. Caterina dei Funari, S. Andrea del Vignola, S. Maria dellOr- to) e anche in alcune di quelle pi tarde (Palazzo Cesi, Palazzo della Sapienza e Palazzo Vaticano, S. Omobono, S. Maria Scala Coeli, fianchi di S. Maria della Consolazione e di S. Maria in Aqui- ro, facciata di S. Prisca e parte dei fianchi di S. Giovanni dei Fiorentini) uno dei motivi che ci autorizza ad ipotizzarne il rivestimento. Quindi, come si detto, la presenza della stuccatura aggettante e in secondo ordine anche della stilatura dei giunti, il motivo tecnico che permette di dare per certa lesposizione a faccia vista della superficie laterizia 23 ; le intenzioni esplicite della committenza delle fabbriche dei Gesuiti, che vede nella realizzazione di una fo- dera cos rifinita un giusto compromesso tra de- coro e severit costruttiva, forniscono una buo- na spiegazione ad una scelta che sembra essere senza precedenti a Roma, almeno stando alle pa- role del Giustiniani. Anche se i nuovi sofisticati espedienti di rifinitura della cortina ordinaria, messi a punto in maniera esemplare dai Gesuiti, non sono adottati regolarmente, possiamo per affermare che un nuovo modello di rivestimen- to in cotto di qualit media si ormai imposto a Roma, e che questo almeno viene sicuramente apprezzato e scelto con intenzione. In definitiva sono le nuove esigenze della committenza a ren- dere appropriato, e per la prima volta quindi an- che esteticamente conveniente, un rivestimento che allinizio del secolo doveva pur sempre co- stituire quale che sia linterpretazione che ne vogliamo dare una diminutio nei confronti del- la pi ricca e appropriata superficie lapidea. Se- condo alla pietra da taglio nella gerarchia dei ri- ferimenti allantico durante la prima met del Cinquecento, il laterizio rimane ancora, anche sul finire del secolo, in una posizione subalterna per pi banali motivi di minor pregio materiale. 13. Roma, cortile del Palazzo Capodiferro Spada.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 296 Ma proprio per questo diventa, per alcune com- mittenze, il miglior rivestimento possibile. A conclusione di questo paragrafo sulle cor- tine laterizie romane, la nostra curiosit si spo- sta inevitabilmente al di fuori dellarea che ab- biamo esaminato per verificare la diffusione di questo tipo di rivestimento in altre regioni. A Roma, lampio ricorso al laterizio nel corso di tutto il Cinquecento nel ruolo peculiare di fo- dera muraria e con i diversi espedienti costrut- tivi che abbiamo visto, aveva finito per caratte- rizzare la cortina laterizia come un prodotto ti- pico di quel contesto geografico. Laffluenza delle maestranze settentrionali aveva favorito a pi riprese, fino alla massiccia immigrazione degli ultimi decenni del secolo, ladozione e la produzione di un materiale ampiamente diffuso nellarea padana e lombarda come componente essenziale dellintera struttura muraria. Ma una volta a Roma le stesse maestranze, messe di fronte agli esempi delle strutture antiche, si era- no esercitate a realizzare diversi tipi di rivesti- mento in cotto. Alla fine del secolo le cortine romane, che fossero o meno ulteriormente ri- vestite, si proponevano come una superficie che aspirava alla monoliticit (cortine tagliate con giunti invisibili) o almeno allestrema regolarit (cortina rotata, stuccata e segnata dove linci- sione dei giunti riproponeva il segno sottile di una commessura tra mattoni tagliati). Autocto- na nei prestigiosi esempi antichi ma rifiorita an- che grazie al contributo di maestranze non ro- mane, la cortina laterizia alla romana poteva anche essere esportata. Fino a che punto ci av- venne? Per ora dobbiamo limitarci a citare sol- tanto pochi casi. Un ritorno allarea lombarda nella facciata secentesca dellOspedale Maggio- re di Milano: qui il Richini, che a Roma aveva conosciuto i lavori di Fontana, Della Porta e Maderno tutti esperti artefici di cortine late- rizie di svariata fattura , contribu a far esegui- re una cortina di una qualit non frequente a Milano 24 e molto vicina invece agli esempi ro- mani di cortine tagliate. E unespansione nella- rea campana, dove le cortine laterizie si affer- marono grazie allopera di architetti, spesso di origine settentrionale come Domenico Fontana e la sua cerchia, arrivati a Napoli sul finire del Cinquecento e provenienti dai cantieri romani degli ultimi decenni del secolo 25 . Fonti scritte e fonti materiali per la conoscenza dei rivestimenti del Cinquecento romano. La necessit di istituire un osservatorio e un archivio del restauro. Ho fin qui riassunto alcuni tentativi di sistematiz- zazione proposti in un ambito di conoscenze che risulta essere in continua evoluzione. Nonostante lo sforzo compiuto e il buon livello di sintesi rag- giunto, ogni cantiere che si apre ci offre, se op- portunamente indagato, unenorme quantit di nuovi dati, ci pone di fronte a nuovi interrogativi e mette in discussione le spiegazioni gi date. Una nuova occasione si presenta, grazie alla competenza specifica di chi restaura le superfici, per mettere a punto una filologia pi libera da pregiudizi ereditati e pi disponibile a conside- rare nuovi dati materiali. Una nuova cultura, quella del cantiere, si afferma in modo ineludi- bile e diventa uno degli strumenti pi promet- tenti di conoscenza dellarchitettura a nostra di- sposizione. Ma chi pu fare in modo che questa cultura ancora molto giovane possa organizzarsi in ma- niera trasmissibile, abbia in s e metta a disposi- zione di chi la pratica i normali strumenti di ve- rifica e di controllo che ne possono garantire la crescita? In definitiva chi controlla i restaurato- ri e chi mette insieme i dati da loro accumulati? infatti innegabile che proprio il restaura- tore delle superfici il protagonista di questa nuo- va cultura, linterprete privilegiato, per mestiere, e per frequentazione continua del dato materia- le, della vera natura di un rivestimento, della sua originalit e delle stratificazioni ad esso sovrap- poste. Rappresenta in questo campo la figura del conoscitore, capace di distinguere e di decifrare. In genere per anche se nuovi percorsi di for- mazione sono stati previsti e avviati il restaura- tore sconta una preparazione pi artistica che ar- chitettonica che non lo mette in condizione di offrire sintesi e di collegare, sulle facciate, tracce materiali e disposizione generale degli elementi. Sono quindi troppo pochi i restauratori che par- lano, e che offrono contributi di conoscenza. Ci non impedisce che da parte degli stessi restauratori possa arrivare qualche maggiore ele- mento di controllo: quando saranno in molti a parlare, a discutere e a contraddirsi, quando sar 14. Il Palazzo del Laterano a Roma in uno degli affreschi del Salone Sistino della Biblioteca Vaticana.
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 297 anche pi chiaro e verificabile il procedimento di lettura dei dati materiali, il loro contributo di- venter pi accessibile e meno dogmatico. Ma anche alcuni tra gli storici si sono accorti dellimportanza di questa nuova cultura e seguo- no il percorso inverso, dal significato della strut- tura architettonica alla materia che lo esprime. A essi servirebbe, per poter proporre nuove sintesi e nuove spiegazioni, che i dati provenienti dai cantieri fossero pi facilmente verificabili, ma soprattutto che fossero immediatamente dispo- nibili ad essere confrontati in modo sistematico. Circostanza questa che, come tutti sanno, ben lontana dal realizzarsi . Fino ad oggi infatti si conoscono soltanto i dati e i problemi di alcuni restauri molto famo- si, resi popolari il pi delle volte dallinsorgere di questioni esterne al merito tecnico (vedi il ca- so del Palazzo dei Diamanti a Ferrara, oggetto di pubbliche discussioni nel 1991). Ma di tut- ti i restauri di media rilevanza che la ristretta comunit scientifica di storici e restauratori ca- paci di offrire valutazioni, dovrebbe essere mes- sa in grado di occuparsi. Il confronto di dati concreti, che difficilmente sono oggetto di di- scussione nei convegni e nei seminari anche pi specialistici, faciliterebbe la buona riuscita di al- tri restauri analoghi per epoca o per tipologia costruttiva dove non bisognerebbe riprendere da zero, come sempre accade, il lavoro esegeti- co. E permetterebbe anche agli storici di avere un accesso pi regolare alle informazioni tecni- che. Cos, esperienze sporadiche come quelle promosse dalla Biblioteca Hertziana sul restau- ro di Palazzo Ossoli e di Palazzo Zuccari o sul- la tecnologia dei rivestimenti in stucco, come anche gli incontri organizzati dalla Soprinten- denza per i Beni Ambientali e Architettonici di Siena sulle case graffite o come il Convegno sul restauro di Landsuht, potrebbero diventare la norma e costituire un osservatorio permanente di restauri omogenei (per fare esempi romani: anche un solo appuntamento annuale sulle no- vit e sui problemi emersi nel corso dei restauri di edifici cinquecenteschi, potrebbe essere suffi- ciente, se ben impostato, a diffondere i dati ma- teriali e anche ad operare un indiretto collaudo culturale del lavoro; e lo stesso potrebbe orga- nizzarsi per discutere i restauri di opere borro- miniane o ancora per confrontare dati tecnici congruenti ecc.). Confronti di questo tipo si ri- velerebbero meno effimeri se ad essi fosse af- 15. Roma, Cappella Sistina a S. Maria Maggiore con le superfici in mattoni tagliati & arrotati. 16. Roma, Collegio Romano (foto Alinari).
10-11|1998-99 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 298 1. Citiamo per tutti P. Marconi, Arte e cultura della manutenzione dei monumenti, Bari 1984 e id., Dal piccolo al grande re- stauro, Venezia 1988. 2. In ordine cronologico citiamo: P.N. Pagliara, Note su murature e intonaci a Ro- ma tra Quattrocento e Cinquecento, Ricer- che di Storia dellarte, 11, 1980, pp. 35-44; M. Bertoldi - M.C. Marinozzi - L. Scolari - C. Varagnoli, Le tecniche edi- lizie e le lavorazioni pi notevoli nel cantie- re romano della prima met del Seicento, in Ricerche di Storia dellarte, 20, 1983, pp. 77-124; Fabbriche romane del primo 500. Cinque secoli di restauro, catalogo della mostra, Roma 1984; A. Forcellino, Le fabbriche cinquecentesche di Roma: note sulle finiture esterne, in Ricerche di Sto- ria dellarte, 27, 1986, pp. 81-93; Into- naci, colore e coloriture nelledilizia storica, Atti del Convegno, (Roma ottobre 1984), in Bollettino dArte, supple- mento al 35-36, 1986 (sul Cinquecento citiamo in particolare I: G. Zander, La coloritura degli edifici e lordine architetto- nico, pp. 25-29, F.P. Fiore, Funzioni e trattamenti dellintonaco nella letteratura architettonica dal Cesariano al Valadier, pp. 37-46 e M. Campisi, I colori del Palazzo Senatorio in Roma, pp. 87-88, II: P. Phi- lippot-L. Mora-P. Mora, Il restauro degli intonaci colorati in architettura: lesempio di Roma e la questione di metodo, pp.139-141; Il colore nellarchitettura italiana: ricerche e restauri, Atti del Kolloquium organizza- to dalla Bibliotheca Hertziana, (Roma febbraio 1987), in Bollettino dArte, 1988 (sul Cinquecento citiamo in parti- colare: n47 A. Bruschi, Problemi di ma- teriali e di colori delle facciate con ordini ar- chitettonici nella Roma rinascimentale e ba- rocca, pp. 117-122 e A. Forcellino, Into- naci e coloriture nel Cinquecento e Seicento: vocazioni espressive e tecniche esecutive, pp. 125-132, n48: K. Herrmann Fiore, Il co- lore delle facciate di Villa Borghese nel con- testo delle dominanti coloristiche delledilizia romana intorno al 1600, pp. 93-100 e F.- E. Keller, Ancora sul colore di Villa Lante, pp. 123-125); A. Forcellino, Glossario dei termini tecnici relativi ai rivestimenti degli edifici romani del XVI e XVII secolo, in P. Marconi - F. Giovanetti - E. Pallottino (direzione scientifica), Manuale del recu- pero del Comune di Roma, Roma 1989, pp.165-171; La materia e il colore nellar- chitettura romana tra Cinquecento e Neo- cinquecento, in Ricerche di Storia del- larte, 41-42, 1990, con editoriale di P. Marconi, presentazione di C.L. From- mel e scritti di A. Forcellino (Leon Batti- sta Alberti e la nascita di una nuova cultura materiale, pp. 9-22, La diffusione dei rive- stimenti a stucco nel corso del XVI secolo, pp. 23-51, Il problema delle cortine laterizie nellarchitettura della prima met del Cin- quecento, pp. 52-74) e di E. Pallottino (Incrostature romane tra Cinquecento e Seicento, pp. 76-108, Il Neocinquecento nei rivestimenti dellarchitettura, pp. 109-128, Colori di Roma, pp. 129-149), recensiti da P.N. Pagliara, Roma nel Rinascimen- to, 1991, pp. 168-179; P.N. Pagliara, Raffaello e la rinascita delle tecniche antiche, in Les chantiers de la Renaissance, Actes du Colloque tenu Tours en 1983-1984, Paris 1991, pp. 51-69; id., Murature late- rizie a Roma alla fine del Quattrocento, Ricerche di Storia dellarte, 48, 1992, pp. 43-54, recensito da E. Pallottino, Roma nel Rinascimento, 1994, pp. 219-222 I; E. Pallottino, Stucchi in ester- no: la nuova scabrosit delle superfici nellar- chitettura del Seicento romano, in Il giovane Borromini. Dagli esordi a San Carlo alle Quattro Fontane, a cura di M. Kahn-Ros- si, M. Franciolli, Milano 1999, pp. 315- 321. 3. Cfr. Pagliara, Murature..., cit. [cfr. nota 2], 1992, per le osservazioni che seguono. 4. id., ibidem, p.45. 5. Cfr. Il Palazzo dei Conservatori e il Pa- lazzo Nuovo in Campidoglio, Pisa 1997 (in particolare gli scritti di C.L. Frommel, A. Forcellino, P.N. Pagliara, F. de To- masso e W. Menichini, N. Berlucchi e R. Ginanni Corradini); cfr. anche lo scritto di M. Cordaro, Il problema storico del colo- re e il Palazzo Senatorio, in La facciata del Palazzo Senatorio in Campidoglio, Pisa 1995, p.89-104. 6. Cfr. Forcellino, Le fabbriche..., cit. [cfr. nota 1], 1986 e id., Il problema..., cit., 1990. 7. Cfr. id., ibidem, pp. 60-61: a Palazzo Bal- dassini, le bugne in mattoni del cantonale so- no scalpellate e scialbate in color travertino. 8. Il saggio di pulitura stato eseguito da Antonio Forcellino nel 1990: cfr. id., Il problema..., cit. [cfr. nota 1],1990, p.69. 9. Vincenzo Scamozzi, Idea dellarchitet- tura universale, Venezia 1687, (I ed. Ve- nezia 1615), parte II, p.300, cit. in Pa- gliara, Murature..., cit. [cfr. nota 1], 1992, pp. 46 e 48. 10. Cfr. L. Marinelli - P .Scarpellini, Larte muraria in Bologna nellet pontifi- cia, Bologna 1992, pp. 111 e 148. 11. Cfr. Pagliara, Murature..., cit. [cfr. nota 1], p.47. 12. Cfr. Pallottino, Colori..., cit. [cfr. nota 1], 1990, p.136. 13. Cfr. ead., Il Neocinquecento..., cit. [cfr. nota 1], 1990. 14. Cfr. Herrmann Fiore, Il colore, cit. [cfr. nota 1], 1988, p.98. 15. Cfr. in particolare, per molte delle osservazioni che seguono, Forcellino, La diffusione, cit. [cfr. nota 1], 1990. 16. Cfr. A. Alessandri, Osservazioni sulle tecniche e lo stato di conservazione. Gli stuc- chi nel cortile principale di Palazzo Altemps, in Palazzo Altemps. Indagini per il restauro della fabbrica Riario, Soderini, Altemps, a cura di F. Scoppola, Roma 1987, pp.309- 312 (309). 17. Cfr. Cordaro, Il problema..., cit. [cfr. nota 1], 1995, p.100. 18. Cfr. Pallottino, Incrostature..., cit. [cfr. nota 1],1990. 19. Cfr. Forcellino, Glossario..., cit. [cfr. nota 1], 1989; Pallottino, Stucchi..., cit. [cfr. nota 1], 1999. 20. Cfr. ead., ibidem, per molte delle os- servazioni che seguono. 21. Sono le cortine studiate da Varagno- li, Le tecniche..., cit. [cfr. nota 1],1983, pp.78-84. 22. Il recente restauro (1999), che non possiamo commentare in dettaglio per motivi di spazio, ha portato alla luce una cortina decorata da motivi geometrici e anche naturalistici i fiori sui timpani delle finestre realizzati con mattoni bi- cromi gialli e rossi. Tale decorazione, probabilmente intenzionale come risulta dalle tracce sistematiche di ridipintura dei singoli mattoni, appare nellinsieme talmente irregolare da confermare il da- to di incompiutezza dellintero prospetto e la conseguente rinuncia ad adottare a Roma i modi decorativi gi sperimentati al Nord e di l a poco proposti al Palazzo Farnese di Caprarola. 23. Ma non sempre le cortine laterizie stuccate e stilate rimangono in vista: a S.Eligio degli Orefici, i restauri portati a termine alla fine del 1997, hanno permesso di osservare sotto allo strato di scialbo co- prente tuttora conservato il trattamento di stuccatura e stilatura della cortina laterizia della facciata (1620). Forse destinata ad es- sere esposta nel momento della sua costru- zione, fu poi quasi subito rivestita per mo- tivi difficilmente comprensibili in un con- testo che si muoveva nella direzione oppo- sta verso la progressiva messa in luce dei paramenti in cotto. Ringrazio Anna Maria Pandolfi, che ha curato il restauro per con- to dellIstituto Centrale per il Restauro, per avermi permesso di visitare il cantiere. 24. Cfr. S. Della Torre - I. Giustina, Do- cumenti notarili per la storia del cantiere sei- centesco, in La Ca Granda di Milano. Lin- tervento conservativo sul cortile richiniano, Milano 1993, pp.111-123. 25. Cfr. L. Guerriero, Note sulle cortine laterizie napoletane dellet moderna, in Storia delle tecniche murarie e tutela del co- struito. Esperienze e questioni di metodo, a cura di S. Della Torre, Milano 1996, pp.71-81. 26. Uniniziativa simile del Centro Inter- nazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, mirata a documentare i dati materiali concernenti linsieme delle opere dellarchitetto padovano anche ai fini di migliorarne il restauro, stata an- nunciata da Howard Burns ai partecipan- ti al XXXIX Corso sullarchitettura pal- ladiana (settembre 1997). fiancata una raccolta ragionata dei dati mate- riali e documentali emersi di volta in volta, a costituire un centro di documentazione o archi- vio del restauro aperto alla consultazione di re- stauratori e studiosi. Osservatorio e archivio del restauro: da pi parti, in varie forme e a diverse istituzioni, stata gi fatta presente lurgenza di realizzare strutture di collegamento di questo genere 26 . Prima ancora di procedere a nuove ricerche, a tali strutture do- vrebbe spettare il compito di mettere finalmente in relazione dati storici e nuove fonti materiali. 17. Roma, S. Susanna: paticolare della cortina laterizia tagliata e arrotata. 18. Roma, Collegio Romano: particolare della cortina laterizia ordinaria arrotata, stuccata e segnata nei giunti.
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