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oggetto di questa relazione lo stato delle co-


noscenze che ci permettono oggi di riconoscere
nelle murature e nei loro rivestimenti ancora su-
perstiti il carattere proprio di alcune architettu-
re del Cinquecento a Roma.
La bibliografia di sintesi su questo tema re-
cente, fortemente specialistica e limitata a po-
chissimi testi. Introdotta dagli scritti di Paolo
Marconi sulla cultura materiale e sul restauro
delle superfici
1
, e incoraggiata dallinteresse di
Manfredo Tafuri e soprattutto di Christoph
Frommel, si esaurisce con la citazione di pochi
testi e di qualche articolo, tutti pubblicati tra il
1980 e il 1992
2
. A seguire ne offriamo un reso-
conto che mette in evidenza i problemi ancora
irrisolti, anche in relazione ai dati che sono
emersi nel corso di alcuni recenti restauri.
La facciata ideale tra Quattrocento e Cinquecen-
to: in pietra o in laterizio?
La costruzione del Palazzo vaticano di Niccol
V introduce a Roma, alla met del Quattrocen-
to, luso di cortine laterizie realizzate con mat-
toni nuovi, dopo secoli di paramenti murari ese-
guiti in tufo o al massimo in laterizio di recupe-
ro. Nel suo recente articolo sulle murature late-
rizie a Roma alla fine del Quattrocento
3
, Pier
Nicola Pagliara mette in evidenza il progressivo
affinamento di questa pratica costruttiva, attra-
verso gli esempi di fine secolo (le fodere lateri-
zie della Cappella Sistina, della Chiesa di S.Au-
rea a Ostia, della Sacrestia della Sistina, del
fianco di S.Pietro in Montorio, del campanile di
S. Agnese f.l.m., dellottagono di S.Maria della
Pace e della Torre Borgia) fino agli exploit del-
le architetture sangallesche. I segnali di una
sempre pi evidente regolarizzazione della fo-
dera laterizia, dalle superfici non arrotate delle
pareti quattrocentesche composte di mattoni
ordinari, con giunti di spessore elevato, fino al-
le pareti quasi monolitiche di pianelle tagliate
con giunti pressoch invisibili, ben levigate in
superficie e con apparecchio isodomo di molte
architetture del primo Cinquecento, servono a
dimostrare che, nel corso di una cinquantina
danni, si afferma a Roma il gusto per la super-
ficie laterizia a vista. Introdotto da alcuni ap-
prezzamenti dellAlberti, favorito dallaffluenza
delle maestranze edili dellItalia settentrionale e
documentato dalle sempre pi numerose testi-
monianze di fornaci attive, il rivestimento in la-
terizio si perfeziona per conquistare anchesso
quasi al pari di quello in pietra da taglio il ri-
conoscimento di superficie muraria allantica.
Le accuratissime cortine laterizie dei sepolcri
romani, rilevate da molti architetti e descritte
Elisabetta Pallottino Architetture del Cinquecento a Roma.
Una lettura dei rivestimenti originari
1. Roma, Palazzetto Turci: particolare
della cortina laterizia isodoma.
3. Roma, Stalle Chigi: particolare della
cortina laterizia isodoma dei basamenti
e delle paraste.





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nei trattati, stanno ad indicare la giusta via per
ottenere solidit e bellezza. Anche se, come os-
serva Pagliara, non sono quegli esempi a far
adottare lapparecchio isodomo nelle cortine
romane del primo Cinquecento prima fra tut-
te quella dei piani superiori del cortile della
Cancelleria (dopo il 1497) ma piuttosto la vo-
lont di emulare, con una materia meno costo-
sa, lopus isodomum in pietra descritto da Vi-
truvio ed esteso da Francesco di Giorgio Marti-
ni, nella sua traduzione del testo vitruviano, an-
che allapparecchio in cotto
4
. Quindi, secondo
la lettura che abbiamo appena esposto, laccura-
tezza dellapparecchio con mattoni tutti posti di
taglio e a giunti sfalsati, unita alla maggiore re-
golarit visiva derivante anche dalle operazioni
di taglio degli elementi laterizi e di arrotatura
della parete, il segno dellintenzionalit origi-
naria di lasciare in vista le cortine. Gli esempi
non mancano: dal cortile della Cancelleria in
poi, al Palazzetto Turci (ill. 1), alle arcate del-
lordine dorico del Cortile inferiore del Belve-
dere, a Palazzo Pichi, a Palazzo Fieschi, a S.
Maria dellAnima, alle Stalle Chigi (ill. 2), fino
al culmine virtuosistico dei Palazzi Baldassini
(ill. 3) e del Vescovo di Cervia (con moduli ri-
dotti a 15 e 14 cm), mattoni e pianelle, pi o
meno arrotati e tagliati, concorrono a dare alle
architetture del Cinquecento, rivestite in lateri-
zio, quellaspetto che noi oggi vediamo.
Ma altri segnali e diverse spiegazioni hanno
fatto pensare che non fosse questa lapparenza
voluta dai costruttori di allora e che solo il tem-
po e una pi tarda rivalutazione della materia-
lit dellapparecchio laterizio, abbiano cancel-
lato le tracce di un suo ruolo alternativo e mol-
to pi nascosto. A chi si chiesto infatti, sulla
base di numerosi ritrovamenti di scialbi, into-
nachini o sottili strati di stucco sulle superfici
laterizie di ottima fattura, se queste fossero de-
3. Roma, cortile di Palazzo Baldassini:
particolare della cortina laterizia isodoma.
stinate veramente ad essere in vista fin dallori-
gine, stata data recentemente una risposta di-
versa e opposta a quella che, nellarticolo citato
di Pier Nicola Pagliara, riassume e documenta
unopinione comune e consolidata. Da allora
citazioni dai trattati e dai documenti di cantie-
re, riferimenti a disegni e annotazioni di archi-
tetti rinascimentali, segnalazioni di particolari
costruttivi a sostegno delluna e dellaltra tesi si
sono accumulati nella letteratura che abbiamo
citato, fino allultimo emozionante ritrovamen-
to di ampie tracce di uno scialbo di calce color
travertino sul mattone vergine delle accuratissi-
me cortine tagliate nella prima campata latera-
le del Palazzo dei Conservatori in Campido-
glio
5
(ill. 4-5). Non qui possibile ripercorrere
ogni indizio, n esaminare tutti i rivestimenti
controversi. Ci limiteremo a richiamare gli ar-
gomenti pi rilevanti della tesi opposta avanza-
ta, ormai pi di dieci anni fa, dal restauratore
Antonio Forcellino
6
e tesa a dimostrare che
nellarchitettura del primo Cinquecento roma-
no le fodere laterizie erano apprezzate soltanto
per le loro caratteristiche tecnico costruttive
e non certo per le loro qualit visive. Come si
vedr, molti dubbi restano irrisolti tanto da
suggerire di riservare ampio spazio a questa di-
scussione piuttosto che dilungarsi su temi me-
no controversi.
Alcuni ritrovamenti di scialbature e tinteg-
giature su edifici diversi, sia precedenti che suc-
cessivi alla prima met del secolo (dai resti di
stucco sui mattoni dellantica basilica scavata
recentemente nel cortile della Cancelleria, fino
alle tracce visibili sulle cortine della Chiesa di
S.Omobono), hanno dimostrato particolare
che non era stato sufficientemente considerato
in precedenza che lapplicazione diretta di
una stuccatura sottile (fino al grado limite di
una pellicola di tinta) su una qualsiasi superficie
sottostante permette di assimilarne la qualit di
lavorazione modificandone al tempo stesso le
prerogative visive. Cos, con la stesura di uno
strato sottile di stucco del color del travertino
su una superficie in cotto molto irregolare e con
segni di sgrossature alla subbia, si pu ottenere
leffetto di un travertino rustico (vedi le appli-
cazioni di Giulio Romano a Mantova e il prece-
dente analogo di Palazzo Baldassini
7
), mentre
un identico strato steso su una cortina laterizia
tagliata e arrotata in opera, permette di ottene-
re leffetto di una lastra di pietra, come dimo-
strano le tracce di scialbatura sul fianco del Pa-
lazzo dei Conservatori. Una conversione, per
usare le famose parole del Cornaro, del cotto in
sasso, che garantisce al tempo stesso una
maggior resistenza e durata rispetto a un sem-
plice substrato di malta e una maggiore econo-
micit rispetto alla vera pietra. Convincente dal
punto di vista tecnico e attestato dai ritrova-





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menti citati, questo tipo di rivestimento pu es-
sere esteso in via ipotetica anche alle cortine la-
terizie pi accurate del primo Rinascimento ro-
mano, come ad esempio alle fodere sangallesche
del Palazzo Baldassini e del Palazzo del Vescovo
di Cervia. Rimane indiscusso il percorso di per-
fezionamento della fodera laterizia delle corti-
ne, ma il suo traguardo non , secondo questa
diversa lettura, lesposizione di un apparecchio
isodomo e levigato, bens la sua adozione come
substrato ottimale per ottenere, con un sempli-
ce rivestimento del colore della pietra, la massi-
ma somiglianza possibile con una lastra lapidea.
Se al Palazzo del Vescovo di Cervia le disconti-
nuit materiali tra le parti in travertino e quelle
in cortina possono motivare sia lipotesi di una
scialbatura color travertino che quella di un in-
tonachino segnato a cortina, lesempio di Palaz-
zo Baldassini pi convincente (ill. 6 e 7). Due
riscontri diretti sul vivo della fodera laterizia (il
rinvenimento di tracce di scialbo sulla cortina
vergine del risvolto laterale
8
e levidenza di trac-
ce di lavorazione a gradina sulle cortine del cor-
tile) e una testimonianza del Vasari (che scrive
nella vita di Polidoro e Maturino: nella casa di
Baldassino fecero graffiti e storie e nel cortile
alcune teste dimperatore sopra le finestre)
rendono credibile lipotesi formulata. Dopo il
1513-14 sono messe in opera le fodere laterizie
di pianelle tagliate nel cortile e in facciata; an-
che ammesso che la decorazione di cui parla Va-
sari sia pi tarda non interferisca cio con lin-
tenzione originaria di esporre le cortine alla vi-
sta si tratta pur sempre di una prassi in uso,
senza suscitare stupore, almeno fin dagli anni
20, circostanza questa che da sola toglie molta
forza allequazione obbligata tra buona fattura
della fodera in cotto e suo conseguente apprez-
zamento visivo.
Stuccature pi consistenti sono destinate a ri-
vestire invece le cortine meno accurate, sia quel-
le arrotate ma non tagliate i cui giunti pi alti
rendono comunque lapparecchio pi irregolare,
sia quelle arrotate fuori opera cio mattone per
mattone , sia infine quelle rustiche la cui fun-
zione di substrato murario generalmente ac-
cettata (cfr. ad esempio Palazzo Sacchetti). Per la
discussione di alcuni esempi appartenenti ad
ognuna di queste tipologie rimandiamo alla bi-
bliografia citata, limitandoci a richiamare senza
discuterli alcuni dei casi pi controversi: fianchi
della Cancelleria, Cortile del Belvedere, Cortile
di S. Damaso, Stalle Chigi, Palazzo Alberini,
Farnesina Chigi, ed alcuni edifici sangalleschi.
Qualche considerazione va riservata infine
allattendibilit di alcune fonti e ad un argomen-
to centrale che rimane a mio parere ancora irri-
solto. I riferimenti ai trattati, alla ricerca di os-
servazioni favorevoli o contrarie allapprezza-
mento estetico dei mattoni, non sono dirimenti.
Le citazioni fino ad oggi riportate in letteratura,
autorizzano spesso infatti una lettura ambiva-
lente e, in definitiva, quando sottolineano la bel-
lezza del mattone, lo fanno sempre in via subor-
dinata al maggior splendore della pietra, con
lunica eccezione dellapprezzamento dello Sca-
mozzi per il laterizio dei sepolcri antichi (non
si pu vedere cosa pi diligente e bella
9
) che
per risale ormai ad unepoca in cui il diffon-
dersi delle cortine, eventualmente rimaste anche
scoperte, doveva aver modificato la gerarchia
dei rimandi antiquari. La stessa osservazione
pu valere per unaltra fonte importante: i dise-
gni dallantico e i disegni delle nuove fabbriche
in costruzione da parte degli architetti rinasci-
mentali forniscono molte indicazioni interes-
santi ma di nuovo si prestano a letture di segno
contrario (appunti sui caratteri costruttivi o vi-
ceversa rappresentazione dellapparenza?). Ri-
mane infine non chiarito quale fosse il ruolo
strutturale attribuito alla fodera laterizia dal
momento in cui comincia ad acquistare regola-
rit di apparecchio con le cortine della Cancel-
leria. La disposizione isodoma, infatti, con soli
mattoni di taglio a giunti sfalsati, imponeva una
rinuncia ad una regolare ammorsatura con mat-
toni posti di testa nella muratura retrostante. Mi
sembra difficile per che si rinunciasse a questa
possibilit solo per ottenere una simulazione
dellopera isodoma in pietra citata da Vitruvio
ed estesa da Francesco di Giorgio, come si
detto, anche allopera laterizia: con il virtuosi-
smo raggiunto nelle cortine tagliate a giunti in-
visibili infatti, la loro peculiarit pi evidente di-
ventava laspetto monolitico dellinsieme e non
il disegno dellapparecchio. pi probabile in-
vece che si rinunciasse a predisporre mattoni di
testa per ottenere il minor numero possibile di
giunti favorendo in tal modo il raggiungimento
della levigatezza della superficie prima ancora di
intraprendere le operazioni di finitura. Anche in
area bolognese infatti (dove il muro in mattoni
veniva sottoposto a trattamenti di sagramatura o
anche rivestito del colore della pietra, il bi-
gio), ogni volta che lapparecchio laterizio era
destinato ad essere arrotato in opera o rivestito,
si cercava di eliminarne lirregolarit gi in fase
di costruzione, diminuendo il pi possibile il
numero delle commessure (cortine con mattoni
posti di taglio) e riducendo lo spessore dei giun-
ti (cortine tagliate)
10
. Nelle fodere laterizie ro-
mane, questa scelta di regolarit obbligava a ri-
solvere con altri sistemi, meno visibili del mat-
tone posto di testa, il problema dellammorsatu-
ra. Non facile individuare, anche per la diffi-
colt di procedere a verifiche in loco, quali si-
stemi venissero effettivamente adottati: tra gli
altri, pu essere ipotizzato luso di mattoni qua-
dri (a 2 teste) la cui produzione in fornace non
da escludere gi a quella data.





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Di fronte a due letture cos radicalmente op-
poste, come quelle che abbiamo riassunto in pre-
cedenza, e fondate spesso su dati ambivalenti, la
tentazione quella un po banale e ingrata di la-
sciare aperte tutte le strade interpretative. Lo
suggeriscono altri elementi che, per via indiretta,
sconsigliano di cercare spiegazioni troppo tota-
lizzanti. Come spesso stato segnalato, in diver-
si esempi di architetture dipinte sono raffigurati
paramenti in cotto di interni ed esterni: se alcuni
di questi potrebbero anche rappresentare pan-
nelli di marmi mischi (affresco di Pirro Ligorio a
S. Giovanni Decollato), in altri (Isacco e Rebecca
spiati da Abimelech in una delle volte dipinte da
Giulio Romano alle Logge Vaticane
11
) in evi-
denza il disegno accurato dei filari di mattoni.
Per contro, se la cortina tagliata avesse effettiva-
mente incontrato allepoca tanto apprezzamento,
sarebbe stata replicata ma difficile trovarne
testimonianza con materiale pi povero da quei
committenti della classe media che non si stanca-
vano invece di simulare con diversi espedienti a
buon mercato le superfici in marmo e travertino
che evidentemente consideravano il vero rivesti-
mento allantica e quindi alla moda
12
. Infine, ma
non ci dilungheremo su questo punto, una lettu-
4, 5. Roma, Palazzo dei Conservatori:
risvolto verso la citt; e, sotto, particolari
dei resti dello scialbo del colore del travertino
che ricopre le cortine tagliate sulla prima
campata del fianco verso la citt.
6, 7. Roma, Palazzo Baldassini; e, sotto,
tracce di scialbo del colore del travertino
sulle cortine tagliate del risvolto.





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ra delle interpretazioni funzionaliste di tanta ar-
chitettura romana del Cinquecento
13
, proposte
da architetti e teorici della seconda met del Set-
tecento, ci permette di capire fino a che punto
unarchitettura del passato possa allontanarsi dal-
la sua origine quando ad essa si sovrappongono
attualizzazioni radicali, e quando, come nel caso
che stiamo esaminando, il convinto apprezza-
mento del materiale in rappresentazione (il bel
mattone che Milizia vedeva dappertutto, anche
dove non era mai stato) riesce a rendere inconce-
pibile, pur di fronte a molti indizi evidenti, una
sua intenzionale obliterazione.
Sui rivestimenti in peperino
La stessa obliterazione pu aver interessato an-
che le superfici realizzate in peperino. Oggi vi-
sibili nella loro nudit, sono anchesse forte-
mente indiziate di essere state destinate in ori-
gine al ruolo di supporto murario per la realiz-
zazione di finiture simulanti il marmo e il tra-
vertino. Leffettiva deperibilit della pietra la-
ziale, poco adatta a resistere allesposizione al-
laperto e in compenso le sue buone caratteristi-
che di lavorabilit, ne facevano un materiale
molto indicato a realizzare superfici e modana-
ture salvo poi proteggerle con stucchi e tinteg-
giature che, come gi in antico, nascondevano la
sua coloritura non troppo magnificente. Tracce
di stucco sono state ritrovate ad esempio su al-
cuni elementi in peperino di Palazzo Ossoli (ill.
8 e 9) e hanno indirizzato i criteri del recente
restauro che (con il rivestimento in stucco di
travertino e in color travertino rispettivamente
dellordine e del basamento bugnato in peperi-
no) ha radicalmente modificato limmagine no-
ta della facciata. Sulla finalit pratica ed estetica
di questi rivestimenti e sulla loro diffusione in
alcune architetture del primo Cinquecento ro-
mano le opinioni sono meno contraddittorie di
quanto non abbiamo visto a proposito del late-
rizio. Sono comunque ancora in discussione al-
cuni singoli edifici (Porta Julia, Palazzo Jacopo
da Brescia, Palazzo Chiovenda, Palazzetto Spa-
da Capodiferro e pi tardi il S. Andrea del Vi-
gnola), dove, anche in assenza di eloquenti do-
cumenti e di tracce visibili, la presenza di alcu-
ne stridenti anomalie costruttive o testimonian-
ze di altro genere rendono pi che verosimili
ipotesi di rivestimento. Va segnalato per contro
lesplicito intento decorativo delle finestre della
Villa Aldobrandini a Frascati dove il peperino
delle mostre, lasciato in vista, valorizzato nel
contrasto con il bianco della calce, ed esplicita-
mente apprezzato allinizio del Seicento per il
suo colore scuro
14
.
8. Roma, Palazzo Ossoli: la facciata prima
del restauro con il basamento e lordine in
peperino a vista.
9. Roma, Palazzo Ossoli: la facciata dopo
il restauro (1992) con il basamento
tinteggiato in color travertino e lordine
rivestito di stucco di travertino.





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10. Roma, Palazzo Massimo alle Colonne:
particolare del rivestimento in stucco di
travertino sulle superfici del portico.
11 Roma, Casa in via della Maschera
dOro: particolare della decorazione
a graffito.
Superfici in stucco di marmo e di travertino
Anche a non voler considerare i numerosi casi
controversi di rivestimento su superfici in cotto
e peperino, gli stucchi di marmo e travertino,
pi o meno consistenti a seconda della qualit
del substrato, costituiscono la finitura artificiale
per eccellenza del primo Cinquecento romano
15
.
Circostanze sfortunate, degrado delle superfici e
rimozioni di natura diversa, hanno cancellato le
testimonianze pi autorevoli (Palazzo Caprini,
Palazzo Branconio dellAquila, Villa Madama,
in parte Villa Lante, Palazzo Gaddi), ma riman-
gono eloquenti e affascinanti i segni ben visibili
della facciata e del cortile di Palazzo Massimo
(ill. 10) a rievocare una citt che appare ancora
ai nostri occhi difficile da immaginare. Lo stuc-
co (colla di travertino o colla di marmo, va-
le a dire calce e polvere di travertino e calce e
polvere di marmo), facilmente identificabile nei
documenti di cantiere della seconda met del se-
colo, dove stimato ad un prezzo pari al doppio
di quello corrente della colla ordinaria (calce e
pozzolana), contribuisce a qualificare tutte le ti-
pologie di rivestimento che, nel corso della pri-
ma met del secolo e poi ancora oltre, intendo-
no evocare la materia lapidea. Lo troviamo nel-
le ville luoghi per eccellenza, anche nel secolo
successivo, dellallusione antiquaria e nei pa-
lazzi cittadini a qualificare le pareti lisce delle
superfici esterne (a Villa Madama e a Villa Lan-
te, e pi tardi a Villa Giulia e infine alla Villa
Borghese dove viene diffusamente adottata, ol-
tre alla colla di stucco di marmo, anche una
semplice scialbatura chiara sullintonaco in calce
e pozzolana; al Palazzo Vaticano e al Palazzo
Lancellotti ai Coronari). Sul finire del secolo, l
dove lallusione al travertino si fa ancora pi rea-
listica, i rivestimenti in stucco sono graffiati con
la gradina per imitare al meglio anche le moda-
lit di lavorazione della pietra. Molte testimo-
nianze di questo sofisticato accorgimento sono
state offerte dai restauri degli ultimi anni che
hanno rivelato intere superfici in stucco graffia-
to nel cortile di Palazzo Altemps
16
, sui fronti del-
la Palazzina gregoriana al Quirinale (ill. 12), sul-
le paraste del Palazzo Senatorio in Campido-
glio
17
e ancora, per citare anche due casi del pri-
mo Seicento, sulla facciata di S. Eligio degli
Orefici e sulle pareti dello Scalone Quadrato a
Palazzo Barberini. Sono in stucco anche molte
facciate bugnate (a Palazzo Massimo, a Palazzo
Torres Lancellotti, a Palazzo Delfini e a Palazzo
Cenci e in molte case dei rioni Ponte e Regola)
e diverse figurazioni graffite di tante facciate
cittadine (ill. 11) (dove lo stucco di pietra viene
usato, come gi a Firenze, al posto della colla di
calce e sabbia). E infine, come pi ovvio, viene
realizzata in stucco buona parte degli ornamen-
ti scultorei allantica di case, palazzi e ville (Pa-
lazzo Branconio, Casa Crivelli, Palazzo Spada
(ill. 13), Casino di Pio IV, Villa Medici).
Sul finire del secolo, le simulazioni in stucco,
pi rare per evidenti ragioni economiche, sono
sostituite da altre contraffazioni della pietra rea-
lizzate con materiale meno costoso. Autorevoli
fonti, quali la lettera sulle incrostazioni scritta
dal marchese Vincenzo Giustiniani intorno al
1625
18
, vero compendio delle pratiche ereditate
dallarchitettura barocca in materia di rivesti-





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menti, e numerosi documenti di cantiere, ne
certificano lesistenza. Sono le colle alla geno-
vese adottate diffusamente sulle superfici di al-
cune fabbriche sistine (ad es. Palazzo Laterano
[ill. 14], Ospedale dei Mendicanti a Ponte Sisto)
e sugli esterni di Palazzo Altemps, dopo essere
state sperimentate sulla prima facciata del Palaz-
zo cittadino del marchese Giustiniani (1586). Di
colore chiaro (come dimostrano le rappresenta-
zioni delle fabbriche di Sisto V negli affreschi
vaticani) e corrugate in superficie, queste colle
introducono un nuovo carattere di scabrosit
nei rivestimenti della prima architettura barocca
romana, replicato di l a poco dalle analoghe
colle brodate di Palazzo Borghese e di Palaz-
zo Barberini
19
.
Le cortine laterizie nei rivestimenti del secondo
Cinquecento
La possibilit di consultare un numero rilevante
di documenti contabili, precisi e attendibili nel
descrivere lopera delle maestranze, i materiali
impiegati e le diverse partite effettivamente rea-
lizzate, ci autorizza ad avere maggiori certezze
sui rivestimenti in uso nella seconda met del se-
colo. E in particolare, a proposito delle cortine
laterizie, pur mantenendosi problematiche le
conoscenze dei precedenti e quindi le spiegazio-
ni della genesi di alcune nuove pratiche costrut-
tive, possiamo con soddisfacente precisione in-
dividuare esempi e modalit tecniche
20
.
Le cortine tagliate e arrotate, perfezionate
al massimo grado negli edifici sangalleschi e
poi riproposte nel 1564 sulle fodere del Palaz-
zo dei Conservatori, ritornano ad affermarsi
dopo la costruzione della Cappella Sistina (ill.
15) che Domenico Fontana descrive in modo
entusiasta proprio per i suoi mattoni tagliati
& arrotati. Alcune di loro sono in vista, anche
se permane il ricorso a scialbi che simulano la
pietra (Oratorio del Ss. Sacramento e Oratorio
del Crocifisso) e non mancano esempi di ade-
guamenti superficiali tra materiali diversi (il
12. Roma, Palazzina gregoriana al
Quirinale: particolare della lavorazione
a gradina dello stucco.
tardo rivestimento in color travertino realizza-
to da Borromini sulle cortine tagliate del Tea-
tro della Sapienza di Giacomo Della Porta per
adeguarlo alle superfici di S. Ivo). Labitudine
allo scialbo della cortina tagliata e arrotata ri-
mane in vita a lungo nel cantiere romano, sen-
za provocare stupori e perplessit, anche quan-
do la tinta di rivestimento, probabilmente ap-
plicata con funzione protettiva, replica lo stes-
so colore e lo stesso apparecchio del laterizio
sottostante (Palazzo Nuovo al Campidoglio,
lato sinistro della facciata di S. Maria Maggio-
re realizzato dal Fuga, Cortile ottagono del
Museo Pio Clementino al Vaticano, dove i pi-
lastri del portico, sempre in cortina tagliata,
sono tinteggiati in color travertino). Sono per
sicuramente in vista le cortine tagliate descrit-
te dal marchese Giustiniani nella sua lettera: a
Palazzo Farnese
21
, sulle ali della facciata di S.
Susanna (ill. 17) e sulla facciata principale ver-
so la piazza della nuova Sacrestia di Paolo V a
S. Maria Maggiore. Mentre niente di certo pu
dirsi sulle altre cortine tagliate della seconda
met del Cinquecento, quelle della facciata di
S. Maria in Trivio, dei fianchi di S. Maria dei
Monti e di S. Luigi dei Francesi, e su quelle
primo secentesche dei fronti di S. Andrea
delle Fratte e di S. Maria in Aquiro e del retro
di Palazzo Barberini. La compresenza di corti-
ne tagliate scialbate del colore del travertino
e di cortine tagliate esposte alla vista, in un ar-
co di tempo che va dalla costruzione del Palaz-
zo dei Conservatori al completamento del
Teatro della Sapienza, induce a credere che
non esistessero opzioni radicali. Se questo vale
per la seconda met del Cinquecento, diffici-
le ipotizzare che nella prima met del secolo ci
si comportasse diversamente e si praticassero
invece scelte esclusive a favore delluno o del-
laltro metodo di rivestimento.
Il discorso un po diverso per quelle corti-
ne realizzate con mattoni ordinari (26 cm ca.
3,5 cm ca.) disposti prevalentemente di taglio e
murati con giunti di ca. 1 cm, che in tutti i do-
cumenti della fine del secolo sono indicate con
la precisa dicitura cortina rotata e stuccata o
cortina rotata, stuccata e segnata. Introdotte
dai Gesuiti, come si preoccupa di testimoniare il
marchese Giustiniani, (o forse pi verosimil-
mente dai Teatini), presentano un apparecchio
destinato con tutta probabilit a rimanere in vi-
sta, per la presenza di un reticolo di giunti stuc-
cati in rilievo che, se rivestiti, ostacolerebbero la
realizzazione di una superficie regolare. Questo
tipo di cortina, che chiameremo ordinaria, an-
cora oggi ben visibile sui fianchi della Chiesa del
Ges, sulle pareti del Collegio Romano (ill. 16 e
18) e della Casa Professa dei Gesuiti, oltre che
allesterno della Casa dei Teatini. Ad essa posso-
no essere accostate cortine simili, pi o meno





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stuccate nei giunti e stilate, che si diffondono
sulle pareti degli edifici cittadini dopo la costru-
zione delle fabbriche dei Gesuiti e in particolare
della imponente superficie muraria del Collegio
Romano. Sono ancora visibili, o lo erano prima
di alcuni recenti restauri, in molti edifici roma-
ni: a S. Atanasio dei Greci, a S. Girolamo degli
Schiavoni, a S. Salvatore in Lauro, a S. Paolo al-
le Tre Fontane, a S. Andrea della Valle, a S. An-
drea delle Fratte, al Convento di S. Carlo ai Ca-
tinari e alla Casa dei Neofiti e dei Catecumeni.
E ancora a Palazzo Spinola, a Palazzo Bonelli-
Valentini, a Palazzo Mattei (altro modello co-
struttivo per eccellenza dopo quello dei Gesuiti)
e al Palazzo di S. Callisto
22
. Quando il program-
ma costruttivo annunciato nel capitolato, con la
formula canonica che abbiamo citato (cortina,
rotata, stuccata e segnata), non viene rispettato
al momento della costruzione, la fodera laterizia
pu ancora essere rivestita da strati coprenti di
scialbo. il caso della Torre Capitolina (1578-
1583): nel capitolato si fa esplicito riferimento al
modello della cortina laterizia della Chiesa del
Ges e quindi anche al tipo di finitura (stucca-
tura dei giunti e stilatura delle commessure) che
la caratterizza. Ma poi questa finitura non viene
realizzata e la cortina della Torre (che oggi si
presenta faccia a vista), proprio perch privata
dei sistemi di finitura citati, pu essere soggetta
a rivestimento: il che di fatto avviene, pi di un
secolo dopo quando la Torre viene tinteggiata,
come attestano i documenti del 1693, in color
del travertino e color mattone.
In definitiva sono gli espedienti di finitura de-
scritti a rendere diverse e nuove molte fodere la-
terizie dellultimo quarto del secolo. Il fatto che
non li ritroviamo nelle cortine ordinarie prece-
denti (Cortile del Belvedere, fianchi della Can-
celleria, Farnesina Chigi, Palazzina di Pio IV, S.
Maria Porta Paradisi, fianchi di S. Caterina dei
Funari, S. Andrea del Vignola, S. Maria dellOr-
to) e anche in alcune di quelle pi tarde (Palazzo
Cesi, Palazzo della Sapienza e Palazzo Vaticano,
S. Omobono, S. Maria Scala Coeli, fianchi di S.
Maria della Consolazione e di S. Maria in Aqui-
ro, facciata di S. Prisca e parte dei fianchi di S.
Giovanni dei Fiorentini) uno dei motivi che ci
autorizza ad ipotizzarne il rivestimento.
Quindi, come si detto, la presenza della
stuccatura aggettante e in secondo ordine anche
della stilatura dei giunti, il motivo tecnico che
permette di dare per certa lesposizione a faccia
vista della superficie laterizia
23
; le intenzioni
esplicite della committenza delle fabbriche dei
Gesuiti, che vede nella realizzazione di una fo-
dera cos rifinita un giusto compromesso tra de-
coro e severit costruttiva, forniscono una buo-
na spiegazione ad una scelta che sembra essere
senza precedenti a Roma, almeno stando alle pa-
role del Giustiniani. Anche se i nuovi sofisticati
espedienti di rifinitura della cortina ordinaria,
messi a punto in maniera esemplare dai Gesuiti,
non sono adottati regolarmente, possiamo per
affermare che un nuovo modello di rivestimen-
to in cotto di qualit media si ormai imposto a
Roma, e che questo almeno viene sicuramente
apprezzato e scelto con intenzione. In definitiva
sono le nuove esigenze della committenza a ren-
dere appropriato, e per la prima volta quindi an-
che esteticamente conveniente, un rivestimento
che allinizio del secolo doveva pur sempre co-
stituire quale che sia linterpretazione che ne
vogliamo dare una diminutio nei confronti del-
la pi ricca e appropriata superficie lapidea. Se-
condo alla pietra da taglio nella gerarchia dei ri-
ferimenti allantico durante la prima met del
Cinquecento, il laterizio rimane ancora, anche
sul finire del secolo, in una posizione subalterna
per pi banali motivi di minor pregio materiale.
13. Roma, cortile del Palazzo Capodiferro
Spada.





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Ma proprio per questo diventa, per alcune com-
mittenze, il miglior rivestimento possibile.
A conclusione di questo paragrafo sulle cor-
tine laterizie romane, la nostra curiosit si spo-
sta inevitabilmente al di fuori dellarea che ab-
biamo esaminato per verificare la diffusione di
questo tipo di rivestimento in altre regioni. A
Roma, lampio ricorso al laterizio nel corso di
tutto il Cinquecento nel ruolo peculiare di fo-
dera muraria e con i diversi espedienti costrut-
tivi che abbiamo visto, aveva finito per caratte-
rizzare la cortina laterizia come un prodotto ti-
pico di quel contesto geografico. Laffluenza
delle maestranze settentrionali aveva favorito a
pi riprese, fino alla massiccia immigrazione
degli ultimi decenni del secolo, ladozione e la
produzione di un materiale ampiamente diffuso
nellarea padana e lombarda come componente
essenziale dellintera struttura muraria. Ma una
volta a Roma le stesse maestranze, messe di
fronte agli esempi delle strutture antiche, si era-
no esercitate a realizzare diversi tipi di rivesti-
mento in cotto. Alla fine del secolo le cortine
romane, che fossero o meno ulteriormente ri-
vestite, si proponevano come una superficie che
aspirava alla monoliticit (cortine tagliate con
giunti invisibili) o almeno allestrema regolarit
(cortina rotata, stuccata e segnata dove linci-
sione dei giunti riproponeva il segno sottile di
una commessura tra mattoni tagliati). Autocto-
na nei prestigiosi esempi antichi ma rifiorita an-
che grazie al contributo di maestranze non ro-
mane, la cortina laterizia alla romana poteva
anche essere esportata. Fino a che punto ci av-
venne? Per ora dobbiamo limitarci a citare sol-
tanto pochi casi. Un ritorno allarea lombarda
nella facciata secentesca dellOspedale Maggio-
re di Milano: qui il Richini, che a Roma aveva
conosciuto i lavori di Fontana, Della Porta e
Maderno tutti esperti artefici di cortine late-
rizie di svariata fattura , contribu a far esegui-
re una cortina di una qualit non frequente a
Milano
24
e molto vicina invece agli esempi ro-
mani di cortine tagliate. E unespansione nella-
rea campana, dove le cortine laterizie si affer-
marono grazie allopera di architetti, spesso di
origine settentrionale come Domenico Fontana
e la sua cerchia, arrivati a Napoli sul finire del
Cinquecento e provenienti dai cantieri romani
degli ultimi decenni del secolo
25
.
Fonti scritte e fonti materiali per la conoscenza
dei rivestimenti del Cinquecento romano.
La necessit di istituire un osservatorio
e un archivio del restauro.
Ho fin qui riassunto alcuni tentativi di sistematiz-
zazione proposti in un ambito di conoscenze che
risulta essere in continua evoluzione. Nonostante
lo sforzo compiuto e il buon livello di sintesi rag-
giunto, ogni cantiere che si apre ci offre, se op-
portunamente indagato, unenorme quantit di
nuovi dati, ci pone di fronte a nuovi interrogativi
e mette in discussione le spiegazioni gi date.
Una nuova occasione si presenta, grazie alla
competenza specifica di chi restaura le superfici,
per mettere a punto una filologia pi libera da
pregiudizi ereditati e pi disponibile a conside-
rare nuovi dati materiali. Una nuova cultura,
quella del cantiere, si afferma in modo ineludi-
bile e diventa uno degli strumenti pi promet-
tenti di conoscenza dellarchitettura a nostra di-
sposizione.
Ma chi pu fare in modo che questa cultura
ancora molto giovane possa organizzarsi in ma-
niera trasmissibile, abbia in s e metta a disposi-
zione di chi la pratica i normali strumenti di ve-
rifica e di controllo che ne possono garantire la
crescita? In definitiva chi controlla i restaurato-
ri e chi mette insieme i dati da loro accumulati?
infatti innegabile che proprio il restaura-
tore delle superfici il protagonista di questa nuo-
va cultura, linterprete privilegiato, per mestiere,
e per frequentazione continua del dato materia-
le, della vera natura di un rivestimento, della sua
originalit e delle stratificazioni ad esso sovrap-
poste. Rappresenta in questo campo la figura del
conoscitore, capace di distinguere e di decifrare.
In genere per anche se nuovi percorsi di for-
mazione sono stati previsti e avviati il restaura-
tore sconta una preparazione pi artistica che ar-
chitettonica che non lo mette in condizione di
offrire sintesi e di collegare, sulle facciate, tracce
materiali e disposizione generale degli elementi.
Sono quindi troppo pochi i restauratori che par-
lano, e che offrono contributi di conoscenza.
Ci non impedisce che da parte degli stessi
restauratori possa arrivare qualche maggiore ele-
mento di controllo: quando saranno in molti a
parlare, a discutere e a contraddirsi, quando sar
14. Il Palazzo del Laterano a Roma in uno
degli affreschi del Salone Sistino della
Biblioteca Vaticana.





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anche pi chiaro e verificabile il procedimento di
lettura dei dati materiali, il loro contributo di-
venter pi accessibile e meno dogmatico.
Ma anche alcuni tra gli storici si sono accorti
dellimportanza di questa nuova cultura e seguo-
no il percorso inverso, dal significato della strut-
tura architettonica alla materia che lo esprime. A
essi servirebbe, per poter proporre nuove sintesi
e nuove spiegazioni, che i dati provenienti dai
cantieri fossero pi facilmente verificabili, ma
soprattutto che fossero immediatamente dispo-
nibili ad essere confrontati in modo sistematico.
Circostanza questa che, come tutti sanno, ben
lontana dal realizzarsi .
Fino ad oggi infatti si conoscono soltanto i
dati e i problemi di alcuni restauri molto famo-
si, resi popolari il pi delle volte dallinsorgere
di questioni esterne al merito tecnico (vedi il ca-
so del Palazzo dei Diamanti a Ferrara, oggetto
di pubbliche discussioni nel 1991). Ma di tut-
ti i restauri di media rilevanza che la ristretta
comunit scientifica di storici e restauratori ca-
paci di offrire valutazioni, dovrebbe essere mes-
sa in grado di occuparsi. Il confronto di dati
concreti, che difficilmente sono oggetto di di-
scussione nei convegni e nei seminari anche pi
specialistici, faciliterebbe la buona riuscita di al-
tri restauri analoghi per epoca o per tipologia
costruttiva dove non bisognerebbe riprendere
da zero, come sempre accade, il lavoro esegeti-
co. E permetterebbe anche agli storici di avere
un accesso pi regolare alle informazioni tecni-
che. Cos, esperienze sporadiche come quelle
promosse dalla Biblioteca Hertziana sul restau-
ro di Palazzo Ossoli e di Palazzo Zuccari o sul-
la tecnologia dei rivestimenti in stucco, come
anche gli incontri organizzati dalla Soprinten-
denza per i Beni Ambientali e Architettonici di
Siena sulle case graffite o come il Convegno sul
restauro di Landsuht, potrebbero diventare la
norma e costituire un osservatorio permanente
di restauri omogenei (per fare esempi romani:
anche un solo appuntamento annuale sulle no-
vit e sui problemi emersi nel corso dei restauri
di edifici cinquecenteschi, potrebbe essere suffi-
ciente, se ben impostato, a diffondere i dati ma-
teriali e anche ad operare un indiretto collaudo
culturale del lavoro; e lo stesso potrebbe orga-
nizzarsi per discutere i restauri di opere borro-
miniane o ancora per confrontare dati tecnici
congruenti ecc.). Confronti di questo tipo si ri-
velerebbero meno effimeri se ad essi fosse af-
15. Roma, Cappella Sistina a S. Maria
Maggiore con le superfici in mattoni
tagliati & arrotati.
16. Roma, Collegio Romano (foto Alinari).





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1. Citiamo per tutti P. Marconi, Arte e
cultura della manutenzione dei monumenti,
Bari 1984 e id., Dal piccolo al grande re-
stauro, Venezia 1988.
2. In ordine cronologico citiamo: P.N.
Pagliara, Note su murature e intonaci a Ro-
ma tra Quattrocento e Cinquecento, Ricer-
che di Storia dellarte, 11, 1980, pp.
35-44; M. Bertoldi - M.C. Marinozzi -
L. Scolari - C. Varagnoli, Le tecniche edi-
lizie e le lavorazioni pi notevoli nel cantie-
re romano della prima met del Seicento, in
Ricerche di Storia dellarte, 20, 1983,
pp. 77-124; Fabbriche romane del primo
500. Cinque secoli di restauro, catalogo
della mostra, Roma 1984; A. Forcellino,
Le fabbriche cinquecentesche di Roma: note
sulle finiture esterne, in Ricerche di Sto-
ria dellarte, 27, 1986, pp. 81-93; Into-
naci, colore e coloriture nelledilizia storica,
Atti del Convegno, (Roma ottobre
1984), in Bollettino dArte, supple-
mento al 35-36, 1986 (sul Cinquecento
citiamo in particolare I: G. Zander, La
coloritura degli edifici e lordine architetto-
nico, pp. 25-29, F.P. Fiore, Funzioni e
trattamenti dellintonaco nella letteratura
architettonica dal Cesariano al Valadier, pp.
37-46 e M. Campisi, I colori del Palazzo
Senatorio in Roma, pp. 87-88, II: P. Phi-
lippot-L. Mora-P. Mora, Il restauro degli
intonaci colorati in architettura: lesempio di
Roma e la questione di metodo, pp.139-141;
Il colore nellarchitettura italiana: ricerche e
restauri, Atti del Kolloquium organizza-
to dalla Bibliotheca Hertziana, (Roma
febbraio 1987), in Bollettino dArte,
1988 (sul Cinquecento citiamo in parti-
colare: n47 A. Bruschi, Problemi di ma-
teriali e di colori delle facciate con ordini ar-
chitettonici nella Roma rinascimentale e ba-
rocca, pp. 117-122 e A. Forcellino, Into-
naci e coloriture nel Cinquecento e Seicento:
vocazioni espressive e tecniche esecutive, pp.
125-132, n48: K. Herrmann Fiore, Il co-
lore delle facciate di Villa Borghese nel con-
testo delle dominanti coloristiche delledilizia
romana intorno al 1600, pp. 93-100 e F.-
E. Keller, Ancora sul colore di Villa Lante,
pp. 123-125); A. Forcellino, Glossario dei
termini tecnici relativi ai rivestimenti degli
edifici romani del XVI e XVII secolo, in P.
Marconi - F. Giovanetti - E. Pallottino
(direzione scientifica), Manuale del recu-
pero del Comune di Roma, Roma 1989,
pp.165-171; La materia e il colore nellar-
chitettura romana tra Cinquecento e Neo-
cinquecento, in Ricerche di Storia del-
larte, 41-42, 1990, con editoriale di P.
Marconi, presentazione di C.L. From-
mel e scritti di A. Forcellino (Leon Batti-
sta Alberti e la nascita di una nuova cultura
materiale, pp. 9-22, La diffusione dei rive-
stimenti a stucco nel corso del XVI secolo, pp.
23-51, Il problema delle cortine laterizie
nellarchitettura della prima met del Cin-
quecento, pp. 52-74) e di E. Pallottino
(Incrostature romane tra Cinquecento e
Seicento, pp. 76-108, Il Neocinquecento nei
rivestimenti dellarchitettura, pp. 109-128,
Colori di Roma, pp. 129-149), recensiti da
P.N. Pagliara, Roma nel Rinascimen-
to, 1991, pp. 168-179; P.N. Pagliara,
Raffaello e la rinascita delle tecniche antiche,
in Les chantiers de la Renaissance, Actes du
Colloque tenu Tours en 1983-1984,
Paris 1991, pp. 51-69; id., Murature late-
rizie a Roma alla fine del Quattrocento,
Ricerche di Storia dellarte, 48, 1992,
pp. 43-54, recensito da E. Pallottino,
Roma nel Rinascimento, 1994, pp.
219-222 I; E. Pallottino, Stucchi in ester-
no: la nuova scabrosit delle superfici nellar-
chitettura del Seicento romano, in Il giovane
Borromini. Dagli esordi a San Carlo alle
Quattro Fontane, a cura di M. Kahn-Ros-
si, M. Franciolli, Milano 1999, pp. 315-
321.
3. Cfr. Pagliara, Murature..., cit. [cfr. nota
2], 1992, per le osservazioni che seguono.
4. id., ibidem, p.45.
5. Cfr. Il Palazzo dei Conservatori e il Pa-
lazzo Nuovo in Campidoglio, Pisa 1997 (in
particolare gli scritti di C.L. Frommel,
A. Forcellino, P.N. Pagliara, F. de To-
masso e W. Menichini, N. Berlucchi e R.
Ginanni Corradini); cfr. anche lo scritto
di M. Cordaro, Il problema storico del colo-
re e il Palazzo Senatorio, in La facciata del
Palazzo Senatorio in Campidoglio, Pisa
1995, p.89-104.
6. Cfr. Forcellino, Le fabbriche..., cit. [cfr.
nota 1], 1986 e id., Il problema..., cit., 1990.
7. Cfr. id., ibidem, pp. 60-61: a Palazzo Bal-
dassini, le bugne in mattoni del cantonale so-
no scalpellate e scialbate in color travertino.
8. Il saggio di pulitura stato eseguito da
Antonio Forcellino nel 1990: cfr. id., Il
problema..., cit. [cfr. nota 1],1990, p.69.
9. Vincenzo Scamozzi, Idea dellarchitet-
tura universale, Venezia 1687, (I ed. Ve-
nezia 1615), parte II, p.300, cit. in Pa-
gliara, Murature..., cit. [cfr. nota 1], 1992,
pp. 46 e 48.
10. Cfr. L. Marinelli - P .Scarpellini,
Larte muraria in Bologna nellet pontifi-
cia, Bologna 1992, pp. 111 e 148.
11. Cfr. Pagliara, Murature..., cit. [cfr.
nota 1], p.47.
12. Cfr. Pallottino, Colori..., cit. [cfr. nota
1], 1990, p.136.
13. Cfr. ead., Il Neocinquecento..., cit. [cfr.
nota 1], 1990.
14. Cfr. Herrmann Fiore, Il colore, cit.
[cfr. nota 1], 1988, p.98.
15. Cfr. in particolare, per molte delle
osservazioni che seguono, Forcellino, La
diffusione, cit. [cfr. nota 1], 1990.
16. Cfr. A. Alessandri, Osservazioni sulle
tecniche e lo stato di conservazione. Gli stuc-
chi nel cortile principale di Palazzo Altemps,
in Palazzo Altemps. Indagini per il restauro
della fabbrica Riario, Soderini, Altemps, a
cura di F. Scoppola, Roma 1987, pp.309-
312 (309).
17. Cfr. Cordaro, Il problema..., cit. [cfr.
nota 1], 1995, p.100.
18. Cfr. Pallottino, Incrostature..., cit. [cfr.
nota 1],1990.
19. Cfr. Forcellino, Glossario..., cit. [cfr.
nota 1], 1989; Pallottino, Stucchi..., cit.
[cfr. nota 1], 1999.
20. Cfr. ead., ibidem, per molte delle os-
servazioni che seguono.
21. Sono le cortine studiate da Varagno-
li, Le tecniche..., cit. [cfr. nota 1],1983,
pp.78-84.
22. Il recente restauro (1999), che non
possiamo commentare in dettaglio per
motivi di spazio, ha portato alla luce una
cortina decorata da motivi geometrici e
anche naturalistici i fiori sui timpani
delle finestre realizzati con mattoni bi-
cromi gialli e rossi. Tale decorazione,
probabilmente intenzionale come risulta
dalle tracce sistematiche di ridipintura
dei singoli mattoni, appare nellinsieme
talmente irregolare da confermare il da-
to di incompiutezza dellintero prospetto
e la conseguente rinuncia ad adottare a
Roma i modi decorativi gi sperimentati
al Nord e di l a poco proposti al Palazzo
Farnese di Caprarola.
23. Ma non sempre le cortine laterizie
stuccate e stilate rimangono in vista: a
S.Eligio degli Orefici, i restauri portati a
termine alla fine del 1997, hanno permesso
di osservare sotto allo strato di scialbo co-
prente tuttora conservato il trattamento di
stuccatura e stilatura della cortina laterizia
della facciata (1620). Forse destinata ad es-
sere esposta nel momento della sua costru-
zione, fu poi quasi subito rivestita per mo-
tivi difficilmente comprensibili in un con-
testo che si muoveva nella direzione oppo-
sta verso la progressiva messa in luce dei
paramenti in cotto. Ringrazio Anna Maria
Pandolfi, che ha curato il restauro per con-
to dellIstituto Centrale per il Restauro, per
avermi permesso di visitare il cantiere.
24. Cfr. S. Della Torre - I. Giustina, Do-
cumenti notarili per la storia del cantiere sei-
centesco, in La Ca Granda di Milano. Lin-
tervento conservativo sul cortile richiniano,
Milano 1993, pp.111-123.
25. Cfr. L. Guerriero, Note sulle cortine
laterizie napoletane dellet moderna, in
Storia delle tecniche murarie e tutela del co-
struito. Esperienze e questioni di metodo, a
cura di S. Della Torre, Milano 1996,
pp.71-81.
26. Uniniziativa simile del Centro Inter-
nazionale di Studi di Architettura Andrea
Palladio, mirata a documentare i dati
materiali concernenti linsieme delle
opere dellarchitetto padovano anche ai
fini di migliorarne il restauro, stata an-
nunciata da Howard Burns ai partecipan-
ti al XXXIX Corso sullarchitettura pal-
ladiana (settembre 1997).
fiancata una raccolta ragionata dei dati mate-
riali e documentali emersi di volta in volta, a
costituire un centro di documentazione o archi-
vio del restauro aperto alla consultazione di re-
stauratori e studiosi.
Osservatorio e archivio del restauro: da pi
parti, in varie forme e a diverse istituzioni, stata
gi fatta presente lurgenza di realizzare strutture
di collegamento di questo genere
26
. Prima ancora
di procedere a nuove ricerche, a tali strutture do-
vrebbe spettare il compito di mettere finalmente
in relazione dati storici e nuove fonti materiali.
17. Roma, S. Susanna: paticolare della
cortina laterizia tagliata e arrotata.
18. Roma, Collegio Romano: particolare
della cortina laterizia ordinaria arrotata,
stuccata e segnata nei giunti.





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