ammirarvi tante belle antichit che ci sono, un pezzo del gocciolatoio duno dei famosi tempj di quella citt. [] Or vorrei sapere se Sua Santit per cui si pu dire che lantica Roma risorge, lo volesse avere (divenendo in certo modo tipo per larchitettura) o in Roma, oppure nellIstituto di Bologna. Nel febbraio del 1756 Francesco Algarotti invia questa lettera da Venezia a Roma, indiriz- zata allabate Flaminio Scarselli, al momento in carica nella legazione di Bologna presso il pon- tefice 1 . I motivi di questa libera offerta del dono non sono resi espliciti; con buone probabilit possono per essere individuati nel ruolo che Algarotti aveva avuto sino a pochi anni prima presso la corte di Federico II. Nel centro di Ber- lino era allora in corso la costruzione di Santa Edwige, la grande chiesa cattolica concessa dal monarca protestante e attentamente seguita, in tutte le sue fasi, sia da Algarotti, che dalla Segre- teria di Stato vaticana 2 . Inoltre, lofferta segue e precede il reiterato annuncio di una program- mata visita di Algarotti al papa, sempre postici- pata e quindi cancellata, foriera forse di un desi- derato incarico presso la corte pontificia, che mai egli ebbe 3 . 159 Susanna Pasquali Francesco Algarotti, Andrea Palladio e un frammento di marmo di Pola 1. Veduta di uno dei templi di Pola, secolo XVIII (J. Stuart, N. Revett, Le antichit di Atene, Milano 1832-1844, vol. IV). Il maggiore interesse della vicenda risiede nel passaggio di un oggetto antico da una collezione privata a una pubblica. E tale idea ad Algarotti poteva essere stata suggerita dalla politica in quel momento perseguita dallo stesso Benedetto XIV nei riguardi delle tre arti del disegno. Le due istituzioni cui si riferisce la lettera, il Museo Capitolino a Roma e lIstituto di Bologna, erano state entrambe gratificate dellinteresse del papa, a partire dai primi anni del suo lungo pontifica- to (1740-58), attraverso diversi provvedimenti. Non ultimi, gli acquisti di statue che dovevano entrare nel Museo Capitolino, munite di quelle grandi iscrizioni che celebravano la generosit di chi le aveva acquistate e ne aveva pagato il labo- rioso restauro 4 . Statue che, pur non vedute nella loro pi recente collocazione da Algarotti in per- sona, assente da Roma dai primi anni Trenta, erano state peraltro rese ampiamente note dal primo della serie di cataloghi a stampa delle col- lezioni 5 . Inoltre, in occasione dellanno santo del 1750, era stata inaugurata la Galleria dei quadri, il nuovo ampliamento dei Musei Capitolini che introduceva per la prima volta anche i dipinti tra le opere in mostra. Stretti erano infine, al momento, i rapporti tra lAccademia di Roma e lIstituto di Bologna, seconda citt dello Stato pontificio e patria del pontefice. A Roma, la pre- miazione ufficiale dei giovani allievi della Acca- demia di San Luca era stata celebrata invitando a parlare il bolognese Francesco Maria Zanotti 6 . A Bologna, Ercole Lelli, che aveva assunto la dire- zione dellIstituto dal 1746, ne stava riformando lassetto. Situazioni che Algarotti non mancava di sottolineare: Sento che Bologna e Roma, lIstituto e il Campidoglio si vadano arricchendo alla giorna- ta per la munificenza del papa. Due gran Musei, due tempj sinnalzan quivi alle arti sorelle, si fanno quivi conserve dogni bello; frammenti di antica architettura, quadri, e statue che faranno precetti, ed esempi alla studiosa giovent. Le dir io la fantasia, che a tal proposito mi surta in mente di contribuire anche io a s grande impresa, di portare una gocciola al mare 7 . Nellaprile del 1756, Algarotti scrive di nuovo da Venezia al solito abate per dare final- mente le disposizioni per consegnare il marmo di Pola promesso 8 . In mezzo, a probabile stimo- lo per la reiterazione dellofferta, c da ricorda- 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org re la grande impresa di Filippo Farsetti: il ricco veneziano che per la sua privata galleria eretta in Venezia aveva ottenuto da Benedetto XIV lau- torizzazione a trarre una copia in gesso dalle principali statue conservate a Roma, in cambio di una seconda copia da consegnarsi allIstituto di Bologna 9 . Recente e ricca donazione (aprile 1755) che, forse, anche alla base del motivo per cui il papa, accettando il dono, lo destini al Museo Capitolino, piuttosto che allIstituto, come invece Algarotti avrebbe preferito 10 . Spedito il marmo e recapitato, per ordine del papa, al marchese Giovan Pietro Lucatelli, responsabile del Museo Capitolino, affinch esso abbia luogo tra le altre memorabili anti- chit, tuttavia accade qualcosa di imprevisto, che labate con ogni scrupolo riferisce. Gli architetti e antiquari che fanno parte della cer- chia pi allargata di Lucatelli gente, Scarsel- li aggiunge, per lo pi superba e sprezzante non avrebbero tenuto in alcuna considerazione il dono del frammento di uno dei templi di Pola. Nellapprendere la notizia del suo arrivo, questi avrebbero infatti dichiarato che di lavori dello stesso ordine e della stessa maniera, corinzia di epoca augustea, la citt ne piena, anche di fab- briche intere 11 . Ricezione scarsa quindi, che destinata a consolidarsi nel tempo: nel terzo volume del nuovo catalogo del museo, a cura del pi famoso Giovanni Gaetano Bottari, del dono non fatta menzione; nel quarto volume, quan- do pubblicato nel 1782, il pezzo non presen- tato 12 . In assenza di inventari storici conservati, e nelle attuali condizioni del museo 13 , il pezzo figura oggi perduto. Perduto del tutto nella memoria storica del museo fin dal momento nel quale esso entrato a farne parte. Commenter, amaro, Algarotti sul destino della sua gocciola persa nel mare, con un altro e pi tedesco modo di dire: portare marmi a Roma come portare porcellane a Meissen 14 . Significati del dono e sua ricezione a Roma Se guardiamo per al dono, non per lesito che esso ha avuto, ma per le intenzioni che vi erano sottese, il discorso diventa pi interessante. Nel 1728, Scipione Maffei, dopo aver visitato le anti- chit romane in Istria 15 , aveva gi individuato nei due templi un loro ruolo fondamentale. Cittadi- no della Repubblica veneta che al tempo com- prendeva anche Pola tra le sue province, chiede- va pubblicamente che almeno uno dei due edifi- ci potesse essere smontato, trasportato e quindi ricostruito integralmente nella capitale: Con ci una scuola si aprirebbe utilissima darchitet- tura, e si farebbe a tutti conoscere, come vada lavorato il Corintio, e quanto pi vaghe, e gra- ziose riuscissero lopere degli Antichi con sana maniera condotte, dalcune di quelle de nostri giorni ripiene di stravaganze, o sia di pazie 16 . Questa straordinaria proposta, nella quale veniva affidata alle rovine romane presenti nel Nord un ruolo esemplare per la moderna archi- tettura 17 , era stata avanzata da Maffei sulla scor- ta di Palladio, il celebre architetto veneto che per primo aveva reso noti i disegni di Pola e quellordine tuscanico da Maffei difeso nel libro da cui tratta la citazione. E quando lintero tempio non trova modo di essere trasportato, a uno dei suoi frammenti che Algarotti affida il medesimo messaggio. Il marmo, destinato quale dono a Benedetto XIV, nella prima lettera da lui messo in valore con le seguenti parole: pro- viene dai templi di Pola, che Ella sa quanto sieno comendati da Palladio per la squisitezza dellarchitettura 18 ; aggiungendo, nella lettera seguente, finanche la pagina del Quarto Libro, ove il tempio e quindi il pezzo figura rappre- sentato 19 (ill. 2). Tale legame, tra il marmo e Pal- ladio, doveva inoltre consolidarsi nel tempo, attraverso la rielaborazione delle vicende che ne avevano consentito la disponibilit: nella lettera, il frammento risulta portato via, come Algarotti esplicitamente scrive, in occasione di una sua visita a Pola; in unaltra versione, il marmo risul- ta essere appartenuto a Palladio medesimo. Sot- tratto dalla Dalmazia nel Cinquecento, custodi- to in Italia e quindi acquistato da Algarotti da non precisati eredi dellarchitetto. Il marmo, nel corso degli anni Cinquanta, era anche divenuto oggetto di un nuovo interesse e, di conseguenza, acquistava ancora maggiore valore. E quel pezzo di gocciolatoio singolar- mente lo vedr intagliato nellopera del signore Stuard, che fu non ha molto in Venezia, andan- do in Atene, e ne dar delle cose dellAttica un cos bel libro, come quello di Palmira. Anco- ra cinque anni dopo, Algarotti ripete: questo pezzo fu disegnato qui in mia casa da quegli inglesi che andarono in Attica, e di cui per uscire lopera; e si trover intagliato nellopera medesima 20 . Si parla qui di James Stuart e Nicholas Revett che, lasciata Roma nel marzo 1750 per raggiungere Venezia, avevano dovuto poi attendere sino al gennaio dellanno seguente prima di poter salpare verso Atene, al fine di intraprendere quellopera di misurazione delle architetture greche che doveva renderli famosi; durante lattesa, avevano passato tre mesi a Pola a misurare lanfiteatro, i templi e la porta dei Sergi 21 . E, apprendiamo quindi da Algarotti, ave- vano anche potuto rilevare, nella sua casa e con agio, quel frammento di cornice che, nelle parti restanti in loco, doveva essere di ben pi dif- ficile raggiungimento. Il disegno annunciato, del quale Algarotti si mostra cos fiero, non per mai stato reso noto. Nellordine con il quale gli edifici antichi sono pubblicati da Stuart e Revett nelle loro Antiquities of Athens, i disegni di Pola figurano 160 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org solo nellultimo dei volumi, edito nel 1816 a cura di quanti hanno successivamente portato a termine la lunghissima impresa 22 (ill. 3). Morti ormai da gran tempo sia Stuart che Algarotti, nel testo di presentazione ai due templi non fatta alcuna menzione del disegno del marmo esegui- to a Venezia 23 ; cos come, nelle tavole corrispon- denti, non compaiono specifici disegni tratti dal frammento di cornice, perch presumibilmente reintegrati nellordinato rilievo generale della trabeazione. Resta inoltre da notare come anche un altro modo di celebrazione a stampa sia stato da Algarotti mancato: Giovan Battista Piranesi, lunico artista che allepoca poteva rappresenta- re i singoli frammenti erratici di un edificio anti- co, senza necessariamente utilizzare le consuete convenzioni autorevolmente dettate da Palladio per dare una rappresentazione dinsieme, non ne ha pubblicato alcuna incisione. Il marmo di Pola non figura tra le altre decine di frammenti di marmi da lui presentati, con lindicazione del proprietario, nelle tavole della sua Magnificenza dei romani (1761) 24 . Se il pezzo della cornice di Pola mai riusci- to, in alcuna delle vicende nel quale stato coin- volto, a dare maggiore lustro al nome del suo proprietario e donatore, i testi con i quali lof- ferta presentata mettono in luce i significati che Algarotti intendeva affidargli. Il frammento di marmo costituiva un esplicito invito, offerto a Benedetto XIV in occasione della riorganizza- zione dei musei e dellinsegnamento delle arti promossa a Bologna e a Roma, affinch i giova- ni studiassero larchitettura prendendo a esem- pio Palladio, lartista che tanto aveva costruito del suo linguaggio moderno a partire dallo stu- dio dellarchitettura romana antica. E, dando qualche credito al fatto che Palladio ne fosse stato proprietario, il marmo poteva addirittura essere interpretato come una reliquia laica: dalle mani di un architetto vissuto allepoca di Augu- sto, attraverso quelle di Palladio, esso trovava il suo posto ideale in una accademia, affinch potesse essere maneggiato da ogni giovane architetto che sceglieva di rapportarsi a quei due modelli ivi straordinariamente riuniti. Di conse- guenza, che nel 1756, nella Roma di Fuga e Van- vitelli, i superbi e sprezzanti architetti loro emuli non abbiano afferrato il messaggio sotteso al dono non stupisce: probabilmente non aveva- no alcuna intenzione di recepirlo. Algarotti promotore di Palladio in Italia (1753-64) Nei primi anni Cinquanta Algarotti seguiva quanto stava avvenendo a Roma e a Bologna da Berlino, nel 1756 scrive da Venezia. Tornato definitivamente in Italia alla fine del 1753, dove- va consolidare di l a poco la sua autorit in Ita- lia in materia di architettura con la pubblicazio- ne del suo celebre Saggio (1757) 25 . Scritto, come noto, su invito di Andrea Memmo e con lap- provazione del padre Carlo Lodoli 26 , aveva lo scopo di divulgare il pensiero di questultimo nei riguardi dellarchitettura. E se, rispetto a tale programma, lopera appena pubblicata doveva scontentare sia Memmo, sia tutti coloro che nei 161 2. Andrea Palladio, Tempio di Pola (Andrea Palladio, I quattro libri dellarchitettura, Venezia 1570, Libro IV, p. 107). 3. J. Stuart, N. Revett, Trabeazione del tempio di Pola, secolo XVIII (J. Stuart, N. Revett, Le antichit di Atene, Milano 1832-1844, vol. IV, tav. XVIII, dettaglio). 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org duecento anni successivi si sono posti il compito di ricostruire il pensiero originale di padre Lodoli 27 , uno sguardo pi attento alle circostan- ze della sua composizione non inutile. Pu contribuire, perlomeno, a metterne in luce le diverse componenti presentate da Algarotti e in conflitto con lo scopo assegnatogli dai suoi suc- cessivi detrattori. Il dono del frammento, da Algarotti definito in certo modo tipo per larchitettura, e lelabora- zione del saggio hanno luogo negli stessi mesi. Il saggio infatti dedicato nel dicembre 1756 al senatore bolognese Cesare Malvasia che era allo- ra in procinto di trasformare una serie di edifici nel centro di Bologna in un unico palazzo dalle facciate unitarie (ill. 4) 28 , avvalendosi dellopera dellarchitetto Francesco Tadolini (1723-1805) 29 . Larchitetto non per citato, perch al com- mittente, quale dilettante di architettura, che viene riconosciuta la paternit di una architettura che intende esplicitamente essere diversa da quel- la corrente al momento. E, in tali vesti, il conte bolognese paragonato a Lord Burlington e a Federico II: esempi a lui socialmente imparago- nabili, che insieme ai conti italiani Alessandro Pompei e Girolamo del Pozzo sono comunque accomunati dallessere tutti promotori aristocra- tici di una nuova architettura che prende a model- lo, oltre a Palladio, anche Inigo Jones. Compaio- no cio citati, gi nella lettera dedicatoria, i mag- giori riferimenti a persone e modelli che, nella vita di Algarotti svoltasi per lo pi allestero tra la met degli anni Trenta e i Cinquanta, hanno mar- cato la distanza con le precedenti esperienze maturate in Venezia presso padre Lodoli o, per interposta persona, presso i suoi seguaci. Nomi e riferimenti che fanno del suo neopalladianesimo unesperienza di importazione. Come egli scrive di s in terza persona dopo il 1751: non in Italia, ma a Londra per tramite di Lord Burlington, in casa del quale ebbe agio di coltivare lo studio della bella architettura, di cui si pu chiamare restauratore di questo secolo 30 , egli ha avuto modo di conoscere sia i disegni ori- ginali di Palladio, sia luso che il conte inglese ne ha fatto per elaborare le sue nuove architetture 31 . Cos come a quella esperienza compiuta tra il 1736 e il 1739 32 , egli si rapporta quando, dieci anni pi tardi, promuove presso Federico II la ricostruzione del borgo di Potsdam 33 . Gli stessi nomi di una ideale costellazione di modelli anglofili, infine, si rileggono ancora nel 1760 nel suo personalissimo programma distruzione allarchitettura elaborato per lunico allievo Mauro Tesi (1730-1766), al quale Algarotti pre- senta, nellordine: il Vitruvio del Barbaro, le terme di Palladio pubblicate da milord Burling- ton, il Palladio medesimo; come [] le inven- zioni di Inigo Jones e daltri inglesi 34 che nella architettura ci fanno ora la lezione 35 (ill. 5). Non stupisce quindi che, nel Saggio del 1757, le fondamentali questioni relative al rapporto tra forma e funzione nellarchitettura sollevate da Lodoli siano da Algarotti poste a confronto con le idee di un fittizio interlocutore che si limita a riconoscere come abuso solo quanto anche Palladio ha riconosciuto come tale. Presumibil- mente, la posizione personale di Algarotti deve riconoscersi nel secondo interlocutore. Il marmo di Pola dunque per Algarotti un modello di rilievo dellantico, una memoria della lezione che ne ha tratto Palladio e una forma capace di orientare la pratica moderna dellarchi- tettura. Ma questi tre messaggi sono omogenei e congruenti? Non proprio. La pratica nel disegno dallantico, sia nelle parole che accompagnano il dono, sia altrove negli scritti di Algarotti degli anni Cinquanta, se individua in Palladio il model- lo esistenziale, non loda per i suoi specifici pro- dotti. N le xilografie del Quarto Libro, n i dise- gni autografi, che egli aveva attentamente esami- nato a Londra presso Lord Burlington 36 , sono da lui considerati privi di difetti. Sono ancora gli stranieri a dettare la lezione. I modelli sono piut- tosto i citati disegni di Stuart e Revett, unitamen- te a quelli di Charles-Louis Clrisseau che egli potrebbe aver veduto pochi anni dopo, quando larchitetto francese, tornando da Pola e da Spala- to 37 , passa per Bologna. E, accanto a questi, alla base dei convincimenti espressi da Algarotti sono soprattutto le straordinarie novit che potevano leggersi nelle due celebri Proposte, formulate dagli stessi Stuart e Revett gi nel 1748 e nel 1751 38 . Palladio, secondo i due inglesi, colui che, per primo, ha pubblicato un volume dedicato ai rilie- vi degli edifici antichi, facendo uso della rappre- sentazione in pianta prospetto e sezione, correda- ta del dettaglio di tutti gli elementi degli ordini impiegati. Ma se il suo metodo assunto nei modi di rappresentazione, la precisione auspicabile piuttosto quella di Desgodetz, che nel 1682 aveva pubblicato, a cura dellAccademia Reale di Parigi, la ben nota raccolta di rilievi dei maggiori monu- menti romani 39 . E che non si tratti di semplice livello di precisione nella rappresentazione dichiarato da Stuart e Revett quando essi per la prima volta esplicitamente affermano che, nei procedimenti di rilievo, haste and system sono the most dangerous enemies to accuracy and fidelity 40 : la fretta e, soprattutto, qualsiasi sistema a priori imposto alledificio, tra i quali il maggio- re proprio quello che individua la dimensione delle singole parti attraverso le unit del modulo. Nei rilievi di Pola e quindi degli edifici in Grecia pubblicati da Stuart e Revett, interrompendo una tradizione che vedeva in Palladio una delle mag- giori autorit, la misura data in termini assoluti; i relativi strumenti sono per loccasione fatti for- giare in Inghilterra, al pari di quelli di ogni spedi- zione scientifica che, nel corso del Settecento, 162 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org stata organizzata da cittadini inglesi. Inoltre, i rilievi eseguiti da Stuart e Revett negli edifici superstiti di Pola il teatro era stato nel frattem- po demolito e il secondo dei templi era utilizzato quale cucina delledificio moderno, costruito tra i due e adibito a residenza del Provveditore 41 (ill. 1) mostravano oltre alle imprecisioni commesse da Palladio, estendendo quanto gi Desgodetz aveva notato per i soli edifici romani 42 , anche quelle degli italiani che avevano inteso emendare lo stes- so Palladio. Maffei, che aveva fatto eseguire i disegni dellanfiteatro nel 1728, non ha proposto, nel correggere Palladio, dei disegni pi affidabili. Perch tra i modelli di rilievo, fino a quel momento pubblicati a stampa, sono solo i disegni di Wood relativi a Palmira e Baalbek del 1753 e 1757 e, quindi, di Stuart e Revett 43 che fornisco- no nelle esplicite asserzioni di Algarotti del 1763 gli esempi di un nuovo modo di rappre- sentare le architetture antiche, tale che rende obsoleto ogni altro precedente: n pochi n pic- cioli sono gli errori che sfornarono qua e l le tavole del Serlio e anche del Palladio [] e per cosa mirabile si additano coloro che meritano da noi unintera fede come un Desgodetz, che della antichit di Roma ne diede cos scrupolosamente le misure, ovvero quegli Inglesi, tanto dellarchi- tettura benvenuti, che hanno fatto novellamente listesso de preziosi avanzi di Atene 44 . Eredit italiana di un cosmopolita nellet dei nazionalismi Mai sono stati sufficientemente messi in luce, in una edizione critica, i significati delle variazioni apportate da Algarotti alla prima edizione del suo Saggio (1757) 45 nella seconda e definitiva (1764) 46 . In questultima, frutto in pi luoghi di unopera di riscrittura tesa a rendere le posizioni di Lodoli e del palladianista pi nette, ci che emerge sono anche le novit che compaiono nellapparato delle note. Nella illustrazione del pensiero di Lodoli, oltre alla nuova presenza del saggio di Marc- Antoine Laugier 47 , evidente anche una cono- scenza pi aggiornata dellarchitettura degli anti- chi: nel discutere dellorigine lignea delle forme dellarchitettura classica, alla consueta autorit di Vitruvio e alla tradizione razionalista francese, Algarotti, in attesa della lentissima edizione di Stuart e Revett 48 , pu accostare la descrizione delle fabbriche di Atene del V secolo a.C. cos come Julien-David Leroy le aveva nel frattempo fatte conoscere nel 1758 49 . Modelli di architettu- ra, cio, ben lontani da quelli allora creduti repubblicani o augustei che, come il suo marmo di Pola, gi rilevati da Palladio, erano fino allora stati in auge tra i neopalladiani. Con la conse- guenza, di non poco momento, di fare riferimen- to ad architetture che non erano a eccezione del difficile dorico pestano presenti in Italia. la novit dirompente degli anni Sessanta, che Algarotti luomo pi informato dItalia o perlomeno colui che, osservata una novit, era in grado di trasmetterla in modo pi veloce e bril- lante degli altri per via di stampa , nei pochi mesi che la malattia gli concede prima della morte (1764), non ha modo di afferrare in tutte le sue implicazioni. Perch il nuovo modo di misurare, che Stuart utilizza a Pola, senza ricor- rere allunit di misura ricavata dal diametro della colonna, proponeva quale risultato finale la rappresentazione di ogni singolo pezzo, senza che se ne suggerissero le proporzioni relative da 163 4. Francesco Tadolini, Palazzo del Senatore Cesare Malvasia, Bologna, 1757-60 (foto di G.P. Consoli). 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org ogni patrimonio cittadino. Di conseguenza, al rilievo dallantico egli ora affianca, sulla scorta della sua personale esperienza, anche la promo- zione del rilievo dal moderno 51 . E se, per lItalia centro-settentrionale, questa la strada intrapresa da molti, a Roma Algarotti non tuttavia dimenticato: contro laffermarsi delle architetture ateniesi pubblicate da Leroy, nella replica del 1765 indirizzata a Jean Pierre Mariette, Piranesi, che aveva difeso nel 1761 la preminenza delle antichit etrusco-romane, uti- lizzer la citata lettera di Algarotti quale argo- mento sussidiario alla difesa nazionalistica della preminenza delle arti in Italia 52 . Interpretazione questa, probabilmente estranea allAlgarotti appena tornato dallestero nei primi anni Cin- quanta, che doveva invece essere progressivamen- te assunta quale sua principale eredit in Italia. Specchio, piccolo ma molto significativo, di questa lettura riduttiva del ruolo di Algarotti pu riconoscersi anche nella combattuta fortuna di Inigo Jones in Italia. Nullaltro che un nome, connesso a opere conosciute per lo pi attraverso le incisioni pubblicate a Londra intorno a Lord Burlington, Jones evocato per la prima volta da Maffei nel 1738 53 e quindi, come abbiamo visto, citato pi volte e in pi occasioni da Algarotti, a vanto delle architetture inglesi e a dimostrazione dei risultati che possono ottenersi una volta che si sia assunto Palladio quale maestro. Cos che, sulla scorta di questultimo, Temanza nella Vita di Andrea Palladio del 1762 poteva sinteticamente definirlo: Un inglese architetto, per nome Inigo Jones, studi con tale ardore i modi del nostro architetto, che in Londra e altrove, per quel regno, fece opere chiarissime sul gusto palladia- no 54 . Stesse scarne informazioni che, prive ormai di ogni rapporto con le incisioni che ne hanno fatto conoscere in Italia le opere, diventano sem- plice luogo retorico quando si ritrovano invece ribaltate nel loro significato. In occasione della premiazione presso lIstituto di Bologna nel 1758, per il gesuita Giovanni Battista Roberti (1719- 1786), incaricato dellorazione ufficiale, Jones colui che adorn di tante magnifiche fabbriche lInghilterra, ma ricopiando il Palladio 55 . Affermazione malevola di un qualsiasi letterato del tutto ininfluente, se non fosse stata di nuovo assunta ancora nel 1782 da un pi tardo ammira- tore di Algarotti, Giovanni Battista Giovio, il quale, nel comporre una orazione laudatoria dedicata a Palladio 56 , insistite sul medesimo argo- mento: gli stranieri avrebbero raggiunto qualche risultato solo replicando le opere dei maestri ita- liani. Alla fine del Settecento, quando ogni stori- co locale si pone il compito di costruire un fram- mento della storia nazionale delle arti, ormai defi- nitivamente post barocca , gli inglesi che nella architettura ci fanno ora la lezione non sono pi utili. Cessano quindi di essere i benvenuti. 164 5. Giovanni Battista Cipriani, Capitello lucidato da altro fatto da Mauro Tesi; in alto si legge: Palladio Ordini dArchitettura (BIASA, Roma, Collezione Lanciani, Mss. n. 33). prendere universalmente a modello per analo- ghe architetture. Era cio il nuovo strumento di misura coniato per dare conto di qualsiasi parte o insieme di edifici greci, proto-greci, egiziani e quantaltro poteva essere ulteriormente scoper- to, senza che fosse necessario collegarvi lidea che larchitettura avesse dei costanti rapporti modulari tra le parti. A chi voleva trarre inse- gnamento dalle fabbriche che le successive spe- dizioni portavano progressivamente alla luce in quello che era stato il mondo antico nel bacino mediterraneo, le accurate incisioni nei relativi libri pubblicati consentivano solo la citazione e, quindi, la replica del singolo pezzo. A queste implicazioni Algarotti reagisce, piuttosto, in una direzione opposta: nella celebre lettera dedicata nel 1763 a Thomas Hollis 50 , scritta per difendere la permanenza, allora con- testata, della Accademia di Francia in Roma, individua tutti i motivi per cui Roma e lItalia debbono essere stabilmente considerate il luogo elettivo per la formazione di ogni architetto europeo. Non per il Sud delle citt vesuviane e della Magna Grecia, che Algarotti non fece mai in tempo a visitare, a essere indicato quale nuova meta di interesse, quanto piuttosto ancora Roma e, quale estensione del suo insegnamento, lar- chitettura che da Roma ha preso le mosse: le maggiori fabbriche costruite nel Cinquecento a Mantova, Verona, Vicenza e in tante altre citt italiane. Lattento Algarotti, se scarta ogni studio dellantico che demolisca il sistema modulare degli ordini, non si limita qui a esporre ancora una volta un generico neopalladianesimo di importazione: attento al vivace sviluppo delle storiografie locali, propone la rivalutazione di 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 165 1. Lettera di F. Algarotti a F. Scarselli, Venezia 27 febbraio 1756. Bologna, Biblioteca Universitaria (dora in poi: BUB), Mss italiani 72, vol. IV, 1, lett. n. 17, cc. 35-36. pubblicata in F. Alga- rotti, Opere del conte A., tomo X, Cre- mona 1784, pp. 118-120, con una data anticipata (Berlino 27 febbraio 1751) e un testo molto pi elegante: Da Pola, dove fui alcuni anni addietro, io recai gi a Venezia un bel frammento di anti- chit. Questo un pezzo del gocciola- tojo di uno de due tempj, chivi sono, e per la somiglianza loro paion gemelli nati a un parto. Sono del tempio di Augusto di proporzioni scelte, e di maniera soda, quando lArchitettura non era farcita di troppi ornamenti, non dello stile affettato, dir cos, delle terme di Diocleziano, ma del puro, e semplice stile del Portico del Pantheon. [] Cotesto pezzo adunque dar ordi- ne, che sia da Venezia trasportato a Bologna o a Roma, allIstituto o in Campidoglio, come meglio piacer alla Santit Sua. Tale lettera non stata inclusa, n nella versione originale, n migliorata, nellordinata sequenza delle lettere a Scarselli presentata nella edizione successiva (F. Algarotti, Opere del conte A. Edizione novissima, vol. XIII, Venezia 1794). Data lampiezza e la qua- lit della riscrittura del testo secondo noi probabile che sia stato lo stesso Algarotti, in previsione di una sua pub- blicazione, a darne unedizione miglio- rata; in questa sede prendiamo quindi in considerazione entrambe le versioni. 2. Algarotti a Berlino dalla primavera del 1747; un suo coinvolgimento per Santa Edwige documentato per linca- rico da lui fatto avere allo scultore Gio- vanni Marchiori per il gruppo Noli me tangere destinato allaltare maggiore (Lettera a Bonomo Algarotti, Berlino 13 settembre 1750, in G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, n. CCXLI). La prima pietra posta nel luglio 1747; due disegni sono spediti a Roma nel novembre dello stesso anno (ASV, Legazione di Germania, b. 762; G. Erouart, Architettura come pittura. Jean- Laurent Legeay un piranesiano francese nel- lEuropa dei Lumi, Milano 1982, pp. 95- 104, note 51-52 e figg. 92-93). 3. Lettera allabate Scarselli, 12 maggio 1754 (BUB, Mss italiani 72, vol. IV, 1, cc. 19-20; trascrizione inalterata in Algarotti, Opere, cit. [cfr. nota 1], parte III, pp. 233-234). Dalle lettere seguenti (cfr. ivi) si pu dedurre che Algarotti, costretto dalla cattiva salute a tornare in Italia, sperasse in qualche incarico dal pontefice. 4. C. Pietrangeli, Munificentia Benedicti XIV, in Bollettino dei Musei Comunali di Roma, XI, 1964, pp. 604-609; M.G. Barberini, De lavori ad un fauno di rosso antico ed altre sculture al Museo Capitolino (1736-1746). Alessandro Gregorio Capponi, Carlo Antonio Napolioni e Clemente Bianchi, in Bollettino dei Musei Comunali di Roma, ns. VII, 1993, pp. 23-32; Ead., Clemente Bianchi e Bartolomeo Cavaceppi 1750-1754. Restauri conservativi e alcune statue del Museo capitolino, in Bollettino dei Musei Comunali di Roma, ns. VIII, 1994; Bartolomeo Cavaceppi 1715-1779, catalogo della mostra a cura di M. G. Barberini, Roma 1994. 5. G.P. Lucatelli, Museo capitolino, o sia Descrizione delle statue, busti, bassirilievi che si custodiscono nel Palazzo alla destra del Senatorio, Roma 1750. 6. M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823; sui rapporti di Algarotti con Bologna, cfr. A.M. Matteucci, Carlo Francesco Dotti e larchitettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, pp. 42-45. 7. Citiamo qui dal testo edito (cfr. supra, nota 1). 8. Lettera di F. Algarotti, Venezia 10 aprile 1756 (BUB, Mss italiani 72, vol. IV, 1, lett. n. 18, c. 37; trascrizione inaltera- ta in Algarotti, Opere, cit. [cfr. nota 1], pp. 249-251). 9. N. Dalle Laste, De Musaeo Philippi Far- setii Epistola, in A. Caloger, Nuova rac- colta dopuscoli scientifici e filologici, tomo 13, Venezia 1765, pp. 53-72; F. Haskell, Mece- nati e pittori. Studio sui rapporti tra arte e societ italiana nellet barocca, Firenze 1985 2 , pp. 548-553. In BUB, Mss italiani 3882, capsa LVIII, A 13, sono conservate lettere di Flaminio Scarselli indirizzate a Ercole Lelli al riguardo (D. Biagi, Maino, Magistero e potest pontificia sullAccademia Clementina di Bologna. Per una indagine sulle congiunture tra cultura artistica bolo- gnese e romana, in Benedetto XIV e le arti del disegno, Atti del convegno internazionale di studi [Bologna 28-30 novembre 1994], Roma 1998, pp. 323-356). 10. Lettera di F. Algarotti a F. Scarselli, Venezia 29 maggio 1756 (BUB, Mss ita- liani 72, vol. IV, 1, lett. n. 20; trascrizio- ne inalterata in Algarotti, Opere..., cit. [cfr. nota 1], lett. XXII, pp. 253-54). 11. Lettera di F. Scarselli a F. Algarotti, Roma 15 maggio 1756 (Algarotti, Opere..., cit. [cfr. nota 1], pp. 251-252). 12. Musei Capitolini tomus tertius continens Deorum Simulacra, Romae 1755; Del Museo Capitolino, tomo quarto contenente i bassorilievi, Roma 1782. 13. Larchivio della presidenza conser- vato dal 1830 ca. (M. Franceschini, La Presidenza del Museo capitolino (1733- 1869) e il suo archivio, in Bollettino dei Musei Comunali di Roma, ns. I, 1987, pp. 63-72); per il Settecento, solo gli anni Trenta-Quaranta sono ben docu- mentati (M. Franceschini, La nascita del Museo capitolino nel diario di Alessandro Gregorio Capponi, in Roma Moderna e Contemporanea, I, n. 3, 1993, pp. 73- 80). Ringrazio la dottoressa Magda Cima e larchitetto Francesco Giovanetti che, mentre il museo era in corso di ristruttu- razione e i depositi inaccessibili, hanno tentato di aiutarmi nella (infruttuosa) ricerca del marmo. 14. Lettera di F. Algarotti a F. Scarselli, Venezia 29 maggio 1756, cit. [cfr. nota 10]. 15. G.P. Marchi, Un italiano in Europa. Scipione Maffei tra passione antiquaria e impegno civile, Verona 1992; Scipione Maf- fei nellEuropa del Settecento, Atti del con- vegno, a cura di G.P. Romagnoli (Verona 23-25 settembre 1996), Verona 1998. 16. S. Maffei, De gli anfiteatri e singolar- mente del veronese libri due, Verona 1728, Capo ultimo, p. 314. 17. Notare che la proposta formulata nel 1728 (cfr., supra, nota 16); prima cio che Maffei si rechi in Inghilterra ed entri in documentato contatto con Lord Bur- lington (1736). 18. Nella versione a stampa: meritarono aver luogo nellopera del Palladio con tutte le loro parti e membrature (per il confronto delle due versioni, cfr., supra, nota 1). 19. Andrea Palladio, I quattro libri dellar- chitettura, Venezia 1570, pp. 107-109 (Lettera di F. Algarotti a F. Scarselli, Venezia 10 aprile 1756, cit. [cfr. nota 8]). 20. Lettera di F. Algarotti a F. Scarselli, Venezia 10 aprile 1756, cit. [cfr. nota 8]. 21. J. Stuart, N. Revett, The Antiquities of Athens. Measured and delineated, vol. IV, London 1816. In base ai documenti ivi pubblicati, si deduce questa sequenza di fatti: nel marzo sono a Venezia, il 26 luglio 1750 arrivano a Pola ove si trat- tengono 3-4 mesi; a novembre sono di nuovo a Venezia e nel gennaio del 1751 si imbarcano per la Grecia. I disegni del marmo di Algarotti potrebbero essere stati eseguiti prima o dopo il viaggio a Pola, tra il marzo e il dicembre 1750. 22. D. Wiebenson, Sources of greek revival architecture, London 1969, cap. 1. 23. Stuart, Revett, The Antiquities, cit. [cfr. nota 21], vol. IV. specificato nella Preface che tutti i rami relativi al tempio di Augusto a Pola erano stati gi appron- tati; uno di cattiva qualit stato ese- guito di nuovo in base ai disegni originali. 24. G.B. Piranesi, Della magnificenza e architettura de romani, Roma 1761. Pira- nesi (o chi ha collaborato alla stesura del suo testo), nelle Osservazioni di G.B.P. sopra la lettre de Monsiuer Mariette aux Auteurs de la Gazette Littraire de lEuro- pe, Roma 1765, p. 8, avr occasione di citare esplicitamente Algarotti per la sua difesa delle accademie in Roma (F. Alga- rotti, Saggio sopra lAccademia di Francia che in Roma, Livorno 1763). 25. F. Algarotti, Saggio sopra larchitettu- ra, in Id., Opere varie del conte F.A. Ciam- bellano di S. M. Re di Prussia, tomo 2, Venezia 1757. La relativa lettera dedica- toria datata 24 dicembre 1756. 26. A. Memmo, Elementi di architettura lodolina, Roma 1786 e Zara 1833-34; A. Comolli, Bibliografia storico-critica dellar- chitettura civile, vol. IV, Roma 1792, pp. 297-298. Non possibile confrontare tali affermazioni, scritte quando sia France- sco che il fratello Bonomo Algarotti sono morti, con alcun documento di Algarotti in merito alla genesi di questa opera. 27. Memmo, Elementi, cit. [cfr. nota 26], 1786; E. Kaufmann, Piranesi, Alga- rotti and Lodoli. A controversy in XVIII cen- tury Venice, in Gazette des Beaux-Arts, t. XLVI, juillet-aut, 1955; E. Kaufmann jr., Memmos Lodoli, in The Art Bulle- tin, XLVI, 1964, pp. 159-175; M. Bru- satin, Venezia nel Settecento: stato, architet- tura, territorio, Torino 1980, capp. IV-V. 28. Palazzo Malvasia, gi Manzoli, via Zamboni 16. La licenza edilizia richie- sta nel 1757; ledificio terminato nel 1760 (C. Malvasia, Pitture scolture ed architetture delle chiese luoghi pubblici di Bologna, e suoi sobborghi, Bologna 1776, p. 55; Matteucci, Carlo Francesco Dotti , cit. [cfr. nota 6], p. 62; D. Lenzi, Palazzi Senatori a Bologna fra Sei e Sette- cento, in Luso dello spazio privato nellet dellIlluminismo, a cura di G. Simoncini, Firenze 1995, tomo 1, pp. 247-252; A.M. Matteucci Armandi, Momenti neo- palladiani a Bologna, in Saggi in onore di Renato Cevese, Vicenza 2000, pp. 375- 383); un progetto alternativo di G. Jar- morini, 22 aprile 1760, in E. Emiliani, F. Varignana (a cura di), Le collezioni darte della Cassa di Risparmio in Bologna, I disegni, vol. I, Bologna 1973, p. 276. La facciata principale delledificio, che presenta dorico e composito sovrappo- sti, in un generico modello palladiano di palazzo con facciata templare, non sem- bra avere rapporti diretti con una nuova attenzione ai modelli antichi; non ha rapporti evidenti con la sede della Society of Dilettanti in Cavendish Square, progettata nel 1753 con lespli- cito uso del fronte del tempio di Pola che gli stessi membri, promuovendo limpresa di Stuart e Revett, avevano contribuito a mettere in luce (Wieben- son, Sources, cit. [cfr. nota 22], p. 62 e bibl. ivi cit.). Delledificio ho parlato con Gian Paolo Consoli e Francesco Ceccarelli che qui ringrazio. 29. A testimonianza della fiducia che comunque Algarotti accordava a Tadoli- ni: nel 1759 larchitetto da lui incarica- to di trarre una copia dei disegni di Pal- ladio per San Petronio per conto di T. Temanza (lettera di F. Algarotti a T. Temanza, Bologna 14 aprile 1759, in Algarotti, Opere..., cit. [cfr. nota 1], Livorno 1764-65, vol. VI, pp. 204-208). 30. Da una lettera di Algarotti al conte Mazzuchelli, datata Berlino 17 marzo 1751 (Algarotti, Opere, cit. [cfr. nota 1], Livorno 1765, t. VII, p. 266) si deduce che egli accetta di comparire nella raccol- ta di biografie intrapresa dal conte bre- sciano e si propone di inviare il relativo testo, poi pubblicato (G.M. Mazzuchelli, Gli scrittori dItalia cio Notizie storiche e critiche intorno alle vite e agli scritti dei let- terati italiani, vol. I, parte I, Brescia 1758; a p. 479 si legge che le notizie rela- tive alla vita di Algarotti sarebbero state comunicate da tal padre Giovanni Merati Chierico regolare e zio dellautore). 31. J. Harris, The Palladian Revival. Lord Burlington, his villa and garden at Chi- swick, catalogo della mostra (Montreal- Pittsburg-London luglio 1994 - aprile 1995), New Haven and London 1994. 32. Sui suoi soggiorni in Inghilterra, occorsi nella primavera-estate 1736 e dal marzo 1739 al 6 giugno 1740 (con lim- portante intermezzo del viaggio in Rus- sia e negli Stati tedeschi), cfr. D. Miche- lessi, Memorie intorno alla vita e agli scrit- ti del conte Francesco Algarotti ciambellano di S. M. il re di Prussia, Venezia 1770, p. XXVII; R. Halsband, Lord Hervey. Eighteenth Century Courtier, Oxford 1973, capp. 11-12; I. Grundy, Lady Mary Wortley Montagu, Oxford 1999, ad indi- cem. Tra le tappe pi significative: aprile- 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org 166 maggio 1736, quando proposto quale membro della Royal Society e della Society of Antiquarians; la primavera del 1739, quando ospite nella residenza di Lord Burlington a Chiswick. 33. Cfr., da ultimo, K. W. Foster, Palladio nei paesi germanici, e relative schede, in Palladio nel Nord Europa. Libri, viaggiato- ri, architetti, catalogo della mostra (Vicenza 27 marzo - 13 giugno 1999), Milano 1999, pp. 169-176. 34. Presumibilmente attraverso C. Campbell, Vitruvius Britannicus or the British Architect, London 1715-17 e 1725 (E. Harris, British architectural books and writers 1556-1785, Cambridge 1990, nn. 97-103; Catalogo ragionato dei libri darte posseduti dal conte Cicognara, Pisa 1821, n. 4116). Partendo dalla certezza che la copia delledizione delle terme di Burlington presente nella biblioteca Cicognara (ivi n. 597) era stata possedu- ta da Algarotti, si pu pensare che i testi di I. Ware (1731) e di W. Kent (1727) potrebbero avere la stessa provenienza: acquistati o ottenuti durante i soggiorni a Londra, potrebbero essere questi i testi che Algarotti mostra a Tesi, e forse anche a Tadolini e al conte Malvasia in relazione al palazzo in costruzione di questultimo. 35. Prosegue quindi: E con quale ardo- re non lho io veduto copiare alcuni pezzi delle antichit romane, che io gi lo con- dussi a vedere alla Biblioteca dellIstituto ne libri del Piranesi (Lettera di F. Alga- rotti a Gasparo Pesci, Venezia 12 feb- braio 1760, in G.G. Bottari, S. Ticozzi, Raccolta di lettere, vol. VII, Milano 1822, lett. XXIV). 36. P. Fraser, J. Harris, A catalogue of the drawings by Inigo Jones (1573-1652), John Webb (1611-1672) and Richard Boyle, 3rd Earl of Burlington (1694-1753) in the Bur- lington-Devonshire Collection, s.l. 1960; Harris, The Palladian Revival, cit. [cfr. nota 31]. 37. Venerd prossimo partono alla volta di Fiorenza un francese nominato Clris- seau e un Inglese Adams (Lettera a Mauro Tesi, Bologna 5 gennaio 1760; Bologna, Biblioteca dellArchiginnasio, ms B 207, 6; Algarotti, Opere, cit. [cfr. nota 1], 1794, vol. X). 38. Wiebenson, Sources, cit. [cfr. nota 22], Appendix I, pp. 75-85. 39. Una delle poche testimonianza del- lapprezzamento dellopera di Desgodetz in Italia pu leggersi in una lettera del 6 aprile 1720 scritta da Roma da Francesco Bianchini a Ortensio Zago a Vicenza (Biblioteca Civica Bertoliana, Vicenza, Carteggio Zago, ms 135). 40. J. Stuart, N. Revett, The Antiquities of Athens. Measured and delineated, Lon- don 1762, Preface, p. VI. 41. Stuart, Revett, The Antiquities of Athens, cit. [cfr. nota 21], vol. IV. 42. but Desgodetz, who has discovered some errors in the delineations of that excellent architect in other buildings, might have found a more ample field of criticism (ibid., vol. IV, cap. II). 43. Stuart, Revett, The antiquities of Athens, cit. [cfr. nota 40], vol. I. Nelle lettere a Mauro Tesi, le edizioni di Leroy e di Stuart e Revett, per il solo primo volume pubblicato a Londra nel 1762, sono poste a confronto, a tutto vantaggio degli inglesi (Bologna, Biblioteca del- lArchiginnasio, ms B 207, 39). Nellin- ventario della biblioteca redatto alla morte di Bonomo Algarotti (Catalogo dei quadri dei disegni e dei libri che trattano del- larte del disegno della Galleria del fu conte Algarotti in Venezia, Venezia 1776), pre- sente lopera. 44. F. Algarotti, Saggio sopra lAccademia di Francia, cit. [cfr. nota 24]. 45. Algarotti, Saggio sopra larchitettura, cit. [cfr. nota 25], tomo 2; la prefazione datata 24 dicembre 1756. In F. Algarotti, Saggi, a cura di G. Da Pozzo, Bari 1963, non data sufficiente attenzione alle due versioni. 46. Saggio sopra larchitettura, in F. Alga- rotti, Opere del conte A., Pisa 1764-65, vol. 2. In questa seconda edizione, il nome di padre Lodoli, non citato nella prima, esplicitato in nota come morto non gran tempo; egli muore a Padova nel 1761, ma non sono molto note le sue attivit nellultimo decennio della vita. Che del saggio Algarotti abbia dato una seconda versione non sorprende: secon- do la testimonianza di quanti lo hanno conosciuto, egli riscriveva incessante- mente i suoi testi (G.B. Giovio, Elogio del conte Algarotti, in Elogi italiani, a cura di A. Rubbi, vol. 5, Venezia 1782). 47. Il testo di Laugier, Essai sur larchitec- ture, vi compare citato solo nelledizione anonima (Paris 1753). 48. Come noto, solo nel secondo volume (London 1789) che sono pubbli- cati i rilievi degli edifici dellAcropoli. 49. J. D. Leroy, Les ruines des plus beaux monuments de la Grce, Paris 1758. 50. Algarotti, Saggio sopra lAccademia, cit. [cfr. nota 24]. Sulla dedica a Thomas Hollis: G.T. Hollis, Count Francesco Alga- rotti and the Society, in The virtuoso tribe of art and sciences: studies in eighteenth century work and membership of the London Society of arts, manufacture and commerce, a cura di D.G.L. Allan e J.L. Abbott, Athens- London 1993, pp. 235-264. 51. Algarotti dichiara di fare abitualmen- te disegnare le architetture che attirano il suo interesse; in viaggio si accompagna a qualcuno che pu trarre i necessari dise- gni di ci che vede. Dal contesto delle lettere indirizzate a J.-P. Mariette (Alga- rotti, Opere, cit. [cfr. nota 1], 1765, vol. VI) se ne deduce che, oltre alle rovine antiche, il costante interesse sia orientato verso le fabbriche del primo Cinquecen- to. Non conosciamo alcuno di questi disegni; tra i beni elencati alla morte del fratello Bonomo ne sono per registrati molti. Tra questi: 43 vari suoi studi di architettura con annotazioni, 20 anoni- mi disegni geometrici di architettura, nonch quelli fatti fare a Mauro Tesi (Catalogo dei quadri, cit. [cfr. nota 43]). 52. Piranesi, Osservazioni, cit. [cfr. nota 24], p. 8 (per tali controversie vi riman- do a ci che ha saputo dirne listesso sig. Algarotti). Chi sia il co-autore delle Osservazioni rimane un problema aperto. 53. S. Maffei, Osservazioni letterarie che posson servire di continuazione al Giornal de Letterati dItalia, III, Verona 1738, pp. 206-208. 54. T. Temanza, Vita di Andrea Palladio vicentino, Venezia 1762, p. LXXXIX. Precede la seguente lode: Ma lInghil- terra singolarmente si distingue, nel riconoscere il di lui sommo merito, col fare plauso delle sue opere, col promuo- vere magnifiche edizioni dei suoi libri, e collerigere edifizi molto simili a quelli gi architettati da Palladio in varj siti del Vicentino. 55. G.B. Roberti, Orazione del padre G. R. della Compagnia del Ges letta nellIstituto delle scienze per la solenne distribuzione de premj il d 3 di giugno lanno 1758, Bolo- gna 1758, p. 33. 56. Non con altro mezzo Inigo Jones sotto il primo Carlo abbell lInghilterra, a Potsdam si ricopiano dal saggio Federi- co le facciate del celebre vicentino, e i pi colti milordi rinnovano nelle lor terre gli edifizi di quel solenne maestro (G.B. Giovio, Elogio di Palladio, in Elogi, cit. [cfr. nota 46], vol. 11, p. 33). 12|2000 Annali di architettura Rivista del Centro internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza www.cisapalladio.org