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Il Museo nazionale di Capodimonte � un museo di Napoli, ubicato all'interno della

reggia omonima, nella localit� di Capodimonte: ospita gallerie di arte antica, una
di arte contemporanea e un appartamento storico.

� stato ufficialmente inaugurato nel 1957, anche se le sale della reggia hanno
ospitato opere d'arte gi� a partire dal 1758. Conserva prevalentemente pitture,
distribuite largamente nelle due collezioni principali, ossia quella Farnese, di
cui fanno parte alcuni grandi nomi della pittura italiana e internazionale (tra cui
Raffaello, Tiziano, Parmigianino, Bruegel il Vecchio, El Greco, Ludovico Carracci,
Guido Reni), e quella della Galleria Napoletana, che raccoglie opere provenienti da
chiese della citt� e dei suoi dintorni, trasportate a Capodimonte a scopo
cautelativo dalle soppressioni in poi (Simone Martini, Colantonio, Caravaggio,
Ribera, Luca Giordano, Francesco Solimena). Importante anche la collezione di arte
contemporanea, unica nel suo genere in Italia[3], in cui spicca Vesuvius di Andy
Warhol.

Nel 2017 il museo ha fatto registrare 262 440 visitatori[2], collocandosi al 28�
posto fra i 30 musei statali pi� visitati[4].

toria
XVIII secolo
Carlo di Borbone, ideatore della reggia di Capodimonte per la sistemazione della
collezione Farnese

Carlo di Borbone, salito al trono di Napoli nel 1734, si pose il problema di


fornire una degna sistemazione alle opere d'arte ereditate dalla madre, Elisabetta
Farnese[5], facenti parti della sua collezione familiare, iniziata da papa Paolo
III nel XVI secolo e portata avanti dai suoi eredi[6]. Sparse ancora tra Roma e
Parma, alcune opere, in particolare quelle il cui valore superava le spese di
trasporto, vennero trasferite nel palazzo Reale di Napoli (tra i maggiori,
Raffaello, Annibale Carracci, Correggio, Tiziano e Parmigianino)[7], dove per�
mancava una galleria vera e propria: col tempo anche il resto della collezione
venne spostata e conservata all'interno dei depositi del palazzo, minacciati nella
loro integrit� anche da elementi naturali come la vicinanza del mare[8]. Nel 1738
il re avvi� i lavori di costruzione di un palazzo, sulla collina di Capodimonte, da
adibire a museo[9]; al contempo una squadra di esperti defin� gli ambienti interni
per sistemare la collezione: il progetto prevedeva che le opere fossero ospitate
nelle stanze che affacciano verso sud, sul mare[10]. Con una costruzione ancora
incompleta, le prime tele furono sistemate nel 1758, in dodici cameroni, divise per
artisti e scuole pittoriche: tuttavia non si conosce con esattezza quali opere
fossero esposte nel museo, poich� gli annuari dell'epoca sono andati distrutti
durante la seconda guerra mondiale. Accanto all'allestimento museale, gi� dal 1755,
venne istituita la Reale Accademia del Nudo, affidata alla direzione del pittore
stabiese Giuseppe Bonito[11].

Nel 1759 venne trasferito il resto della collezione: si trattava dei cartoni
preparatori per gli affreschi della cappella Paolina di Michelangelo e quelli per
la stanza di Eliodoro in Vaticano di Raffaello[12], dipinti di Giorgio Vasari,
Andrea Mantegna e Masolino da Panicale. Tra i visitatori dell'epoca figuravano
Jean-Honor� Fragonard, il marchese de Sade, Joseph Wright of Derby, Antonio Canova,
Johann Wolfgang von Goethe e Johann Joachim Winckelmann[13]. Intorno alla fine
degli anni '70, con il trasferimento di altri pezzi della collezione Farnese, il
museo arrivava a possedere ventiquattro sale: furono inoltre acquistate nuove
pitture, le prime dei pittori meridionalisti, come Polidoro da Caravaggio, Cesare
da Sesto, Jusepe de Ribera, Luca Giordano, oltre ai pannelli di Anton Raphael
Mengs, Angelika Kauffmann, �lisabeth Vig�e-Le Brun e Francesco Liani, mentre nel
1783 � acquistata la collezione del conte Carlo Giuseppe di Firmian, contenente
circa ventimila tra incisioni e disegni di artisti come Fra Bartolomeo, Perin del
Vaga, Albrecht D�rer e Rembrandt[14]. Nello stesso periodo venne inaugurato un
laboratorio di restauro affidato prima a Clemente Ruta, poi a Federico Andres, su
suggerimento del pittore di corte Jakob Philipp Hackert[14]. Con Ferdinando I delle
Due Sicilie, nel 1785, venne istituito il Regolamento del Museo di Capodimonte:
furono quindi definiti gli orari di apertura, i compiti dei custodi, la
responsabilit� del consegnatario, l'accesso ai copisti, mentre non venne
liberalizzato l'accesso alla popolazione, cosa che invece gi� avveniva in altre
realt� museali borboniche, se non con un permesso rilasciato dalla Segreteria di
Stato[11]. Alla fine del XVIII secolo, quando il museo ospitava circa
milleottocento dipinti, venne presa la decisione di creare un unico polo museale
napoletano: la scelta ricadde sul Palazzo degli Studi, il futuro Museo archeologico
nazionale, dove i lavori per la nuova fruizione pubblica erano gi� iniziati dal
1777 a cura di Ferdinando Fuga, con l'intento di trasportarvi tutta la collezione
Farnese e quella Ercolanense, quest'ultima formatasi a seguito dei ritrovamenti
archeologici dagli scavi di Pompei, Ercolano e Stabia, oltre a farne sede della
biblioteca e dell'accademia[15].
XIX secolo
Gioacchino Murat, il sovrano che arred� gli ambienti della reggia

Un duro colpo al museo venne inferto nel 1799 con l'arrivo a Napoli dei francesi e
la breve istituzione della Repubblica Napoletana: temendo il peggio, l'anno
precedente Ferdinando aveva gi� trasferito a Palermo quattordici capolavori. I
soldati francesi depredarono infatti numerose opere: dei millesettecentottantatr�
dipinti che facevano parte della collezione, di cui trecentoventinove della
collezione Farnese e il restante composto da acquisizioni borboniche, trenta furono
destinati alla Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti, in particolar
modo a Roma[14]. Ritornato a Napoli, Ferdinando ordin� a Domenico Venuti di
ritrovare le opere depredate: le poche recuperate non tornarono per� a Capodimonte,
bens� al Palazzo Francavilla[16], la nuova sede scelta per il museo cittadino.

L'inizio del decennio francese nel 1806 corrispose all'abbandono definitivo del
ruolo museale della reggia di Capodimonte a favore di quello abitativo[17]: tutto
venne spostato all'interno del palazzo degli Studi, anche se, per arredare le nuove
sale del palazzo, vennero utilizzate pitture provenienti da monasteri soppressi[7]
come quello di Santa Caterina a Formiello, Monteoliveto e San Lorenzo[18], tant'�
che Gioacchino Murat ipotizz� la creazione a Capodimonte di una galleria
napoletana, con l'intento, come egli stesso dice, di:

�Eccitare il genio della giovent�, sull'esempio degli antichi maestri[19].�


(Gioacchino Murat)

Anche con la restaurazione dei Borbone nel 1815, la reggia di Capodimonte continu�
a svolgere la sua funzione abitativa: le pareti delle sale vennero adornate con
dipinti inviati da giovani artisti napoletani mandati a Roma per studiare a spese
della Corona, e che potevano cos� mostrare i loro progressi[20]. Nel 1817 arriv� a
palazzo la collezione del cardinale Borgia, fortemente voluta da Murat ma con
l'acquisto completato da Ferdinando[19]. In questi anni tuttavia non mancarono
esempi di dispersione di opere facenti parte del vecchio museo, come quelle donate
all'Universit� degli Studi di Palermo nel 1838 o la vendita della collezione di
Leopoldo di Borbone-Napoli, fratello di Francesco I delle Due Sicilie, al genero
Enrico d'Orl�ans, per saldare i debiti di gioco e poi trasferita al castello di
Chantilly[19].

Con l'unit� d'Italia e la nomina a direttore della Real Casa di Annibale Sacco, la
reggia di Capodimonte, oltre a continuare ad assolvere al suo ruolo di
abitazione[17], torn� nuovamente ad avere, seppure non ufficialmente, una funzione
museale. Dopo la cessione di circa novecento pitture, con Sacco e i suoi
collaboratori Domenico Morelli e Federico Maldarelli furono trasferite nelle sale
del palazzo numerose porcellane e biscuits, sistemate nell'ala nordoccidentale,
pitture di fattura napoletana, che in poco pi� di vent'anni superarono le seicento
unit�, e oltre cento sculture: tutte le opere sono disposte cronologicamente,
secondo i moderni standard museali, nelle sale intorno al cortile settentrionale,
creando una sorta di pinacoteca al piano nobile. Nel 1864 venne trasferita la
collezione di armi farnesiane e dell'Armeria borbonica; nel 1866 fu il turno del
salottino in porcellana dal gusto cineseggiante di Maria Amalia di Sassonia,
inizialmente ospitato in un ambiente della reggia di Portici, e nel 1880 sono
trasferiti arazzi tessuti dalla Manifattura Reale e animali da presepe di
artigianato napoletano[21]. La reggia di Capodimonte torn� a diventare un centro
culturale napoletano tant'� che nel 1877 al suo interno si svolse una festa in
occasione dell'Esposizione Nazionale di Belle Arti[21].
XX e XXI secolo
Benedetto Croce, una delle personalit� che si adoperarono per la creazione del
museo

L'inizio del XX secolo segn� un periodo di stasi nella fase di musealizzazione: il


palazzo divenne abitazione fissa della famiglia del duca di Aosta[9], mentre le
collezioni che formeranno il nucleo del futuro museo erano ancora raccolte nel
palazzo degli Studi, che con l'Unit� d'Italia aveva preso il nome di Museo
nazionale. Nonostante l'acquisto di opere di pittori come Masaccio, nel 1901[7], e
Jacopo de' Barbari, tra gli anni venti e trenta, si raggiunge l'apice delle
cessioni[16]: queste vennero compiute in parte per soddisfare le richieste avanzate
da Parma e Piacenza, come sorta di risarcimento di ci� che aveva preso Carlo di
Borbone, sia per arredare sale delle sedi istituzionali dello Stato italiano, come
il palazzo del Quirinale, palazzo Montecitorio, palazzo Madama, ambasciate
all'estero e universit�[22]. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, le
collezioni dei musei napoletani furono trasferite, nell'estate del 1940,
all'abbazia territoriale della Santissima Trinit� di Cava de' Tirreni e, a seguito
dell'avanzata dei tedeschi nel 1943, nell'abbazia di Montecassino. Tuttavia le
truppe della divisione Goering riuscirono a trafugare pitture di Tiziano,
Parmigianino, Sebastiano del Piombo e Filippino Lippi: queste saranno ritrovate
alla fine del conflitto in una cava nei pressi di Salisburgo e restituite a Napoli
nel 1947[23].

Nel dopoguerra, cavalcando l'onda di entusiasmo per l'opera di ricostruzione del


paese, venne attuato un progetto di sistemazione dei musei napoletani. Bruno
Molajoli quindi trasfer� definitivamente tutte le pitture presso la reggia di
Capodimonte, liberata anche della sua funzione abitativa dopo la partenza dei duchi
di Aosta nel 1946[9]. Si esaudiva cos� la richiesta gi� espressa diversi anni prima
da personalit� illustri della cultura italiana, tra cui Benedetto Croce, di
dedicare il Museo archeologico nazionale esclusivamente alla collezione di
antichit�, anche perch� quest'ultima aveva acquistato nel corso degli anni sempre
pi� spazio sia dalla galleria che dalla biblioteca, gi� trasferita al palazzo Reale
nel 1925[23]. Con un decreto firmato nel 1949 nacque ufficialmente il Museo
nazionale di Capodimonte. I lavori di ristrutturazione degli ambienti della reggia
iniziarono nel 1952, grazie al finanziamento della Cassa del Mezzogiorno, e vennero
seguiti dallo stesso Molajoli, da Ferdinando Bologna, Raffaello Causa ed Ezio De
Felice[24], che si occup� principalmente del profilo architettonico e
dell'allestimento museografico, ammirato per modernit� e funzionalit� e a lungo
preso come modello[9]. Al primo piano furono quindi sistemati i dipinti
dell'Ottocento e ricostruiti gli ambienti dell'appartamento reale, oltre ai
laboratori per la conservazione e il restauro, mentre al secondo piano venne creata
una pinacoteca per i dipinti classici[25].

Il museo fu ufficialmente inaugurato nel 1957[9]: con un approccio molto moderno, i


dipinti erano divisi innanzitutto per collezioni storiche, evidenziandone la
diversa storia; seguivano poi un ordine cronologico e per scuole di pittura, con
l'aggiunta di disegni e testi esplicativi, oltre a una illuminazione zenitale e con
un sistema di filtraggio della luce. Successivamente si arricch� di nuove
collezioni: venne donata, nel 1958, la collezione De Ciccio, con le sue numerose
arti applicate, e la collezione di Disegni e Stampe, oltre a numerose opere
provenienti dalle chiese cittadine, spostate nella reggia di Capodimonte a scopo
conservativo[7].

Durante gli anni settanta furono ospitate una serie di mostre temporanee
finalizzate alla conoscenza della produzione artistica napoletana: accanto a
queste, nel 1978, Alberto Murri propose una mostra di arte contemporanea, il cui
successo invogli� a crearne una permanente. A seguito del terremoto dell'Irpinia
del 1980, grazie ai numerosi finanziamenti, il museo chiuse parzialmente per un
totale restauro: nel 1995 riapr� il primo piano, mentre nel 1999 riapr�
completamente[9]; Nicola Spinosa, coadiuvato da Ermanno Guida, si occup� della
nuova collocazione delle opere, seguendo un ordine storico e geografico,
privilegiando anche la provenienza degli oggetti, integrando la storia di questi
con quella della loro musealizzazione[26].

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