Sei sulla pagina 1di 13

1

L’ANTICO TEATRO DI TINDARI. STUDI


PRELIMINARI PER LA CONSERVAZIONE
ED IL RESTAURO

GIORGIO GHELFI

Abstract
The ancient theatre of Tindari has been the subject of numerous restoration projects
throughout the 20th century. The study carried out on the building has highlighted critical
points in terms of both conservation and use. Today, it is essential to rediscover this
particular piece of authorial architecture through an integrated study of archive
documentation and the materiality of the building.

Keywords
Theater, Tindari, anastylosis, restoration, conservation.

Introduzione
Il teatro greco-romano del Parco Archeologico di Tindari costituisce uno degli
esempi più significativi dell’architettura scenica dell’età imperiale romana
[Bernabò Brea 1964-65, 99]. Dell’edificio originario, risalente al III secolo a.C., si
conservano le geometrie principali del koilon e del scaenae frons. La ricerca
condotta si è occupata di analizzare il manufatto mediante un approccio
multidisciplinare rivolto ad una conoscenza che tenesse conto del complesso
processo di trasformazione del manufatto e del suo attuale stato conservativo. La
ricerca di archivio ha permesso di portare alla luce alcune vicende inedite legate
ai molteplici interventi di restauro e di anastilosi realizzati sull’edificio. La
documentazione rinvenuta, ricca di disegni, fotografie storiche e documenti
epistolari ha consentito inoltre di svolgere alcune riflessioni sull’evolversi della
fruizione del teatro dalla sua riscoperta Settecentesca fino ad oggi.
2 Nome Cognome Autori

1: Arch. Gianluca Fenili, Vista del Parco Archeologico di Tindari, 2021

Descrizione edificio
L’importante complesso archeologico di Tindari comprende, oltre al teatro greco-
romano trattato in questa sede, anche altri manufatti emergenti di indubbio
valore storico artistico, quali la cinta muraria, tra le meglio conservate del mondo
antico [Pietrafitta 1984, 410], l’Insula IV, la cosiddetta Basilica e la necropoli. Il
teatro si localizza a nord ovest del sito archeologico facendo uso del naturale
pendio della collina. Il manufatto, collegato al resto della città mediante il
decumano superiore, si orientava verso nord-est, rivolgendo la cavea verso il
nucleo abitato dell’antica città. Questa posizione permette oggigiorno di far
godere agli spettatori del teatro di un’invidiabile vista sul mare. Le porzioni
laterali del teatro sono realizzate mediante un terrapieno sorretto da possenti
analemmata in blocchi di arenaria. La tesi più affermata vede la divisione del
teatro in undici cunei, dei quali oggi troviamo esigua traccia. Solamente due cunei
su undici risultano quasi totalmente completi delle sedute. Negli altri quest’ultime
sono incomplete o totalmente assenti. I cunei sono alternati da dieci scalette,
anch’esse oggi presenti in minima parte. Non vi è invece alcuna traccia di diazoma,
probabilmente mai esisti viste le dimensioni contenute del teatro. Parte
Titolo contributo 3

integrante del manufatto e degno di nota è l’antico scaenae frons che si trova
raffigurato in alcune ricostruzioni di Henry Wirsing del 1924. Di quest’ultimo
rimane una traccia planimetrica davanti al teatro che consente di comprendere
l’articolazione degli ambienti di cui si componeva. Due grandi vani quadrati
occupanti il corpo principale e i due paraskenia, più stretti e allungati, agli estremi.
I paraskenia sono della stessa tipologia dei teatri di Segesta, Monte lato e
Morgantina [Spigo 2005, 61]; tre parodoi davano l’accesso alla scena mediante
aperture ad arco, di cui troviamo traccia solamente di quello settentrionale.
Presso il piccolo antiquarium interno al parco si trova la restante parte dei blocchi
rinvenuti dello scaenae frons. Sono disposti, mediante l’ausilio di supporti, in
modo da ricreare un’ipotesi ricostruttiva dello stato originale. Quest’ultima
ricostruzione viene realizzata nell’autunno del 19621 e tiene conto delle nuove
osservazioni ed ipotesi avvalorate dai ritrovamenti degli anni ‘60.

2: Arch. Gianluca Fenili, Vista del teatro antico, 2021

Il teatro di Tindari ai tempi del “Grand Tour”


La prima stagione di studi e ricerche che interessa il sito archeologico di Tindari
inizia con l’importante attività condotta dall’architetto francese Jean-Pierre

1 Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137, 077.


4 Nome Cognome Autori

Houël, il quale, soggiornando in Sicilia nel 1776, fornisce la prima dettagliata


descrizione delle rovine mediante anche l’utilizzo di disegni e rilievi dei resti
archeologici visibili in quel periodo. Il teatro viene descritto e disegnato in
maniera puntuale.
Sebbene le geometrie del manufatto fossero ben visibili, tuttavia, il koilon
presentava evidenti cedimenti. Nella sua opera Jean-Pierre Houël descrive il
teatro, menzionando importanti crolli causati dalle ingenti infiltrazioni di acque
meteoriche che impedivano la visibilità della scena. È logico pensare che l’edificio
gravasse in una situazione critica già sul finire del Settecento. Le cause sono da
imputare sicuramente a motivi ambientali, ma non è da escludere la natura del
sito. La falesia tindaritana infatti è stata oggetto di un numero elevato di terremoti,
primo tra tutti quello che ha distrutto midiam urbem ed è stato riportato da Plinio
il Vecchio nella Naturalis Historia [Plinio, II, 206]. Dell’antico scaenae frons, invece
non si hanno notizie da Jean-Pierre Houël, ma tramite un altro viaggiatore, sir
Richard Colt Hoare. Quest’ultimo, nel suo scritto del 1819 (A classical tour
through italy and Sicily) descrive lo stato di conservazione del manufatto
specificando di aver trovato esistenti l’intero fronte e parte dei muri adiacenti la
scena. Altra importante testimonianza è rappresentata da Ignazio Paternò
Castello, Principe di Biscari, nominato nel 1778 Regio Custode delle Antichità
delle Valli di Demone e Noto dal governo borbonico. Rispetto ai precedenti è il
primo a ipotizzare che il teatro «avea full’eftremo una Loggia, come mostrano
alcuni pezzi caduti» [Paternò Castello, 1781, p.189]. L’ipotesi viene confermata
anche qualche anno dopo dall’abate Francesco Ferrara, il quale nel suo scritto
Memorie sopra l’antica distrutta città di Tindari del 1814 riporta la presenza di
resti di colonne scanalate nella parte apicale del koilon. Come vedremo, queste
testimonianze sono importanti perché le fotografie del cantiere di restauro degli
anni Settanta mostrano nella parte apicale la presenza di fondazioni di una
possibile loggia. Oggigiorno le tracce di quest’ultima non sono più visibili; con
buona probabilità sono state ricoperte dopo i restauri.

Scavi e restauri dalla metà del XIX secolo


I primi studi sistematici sul sito archeologico di Tindari iniziano negli anni
Quaranta del diciannovesimo secolo con la figura di Domenico Lo Faso
Pietrasanta, Duca di Serradifalco. Altri scavi erano stati condotti agli inizi
dell’Ottocento, ma vengono associati più a delle espoliazioni che a scavi per fini
scientifici. Il Serradifalco promosse a Tindari fra il 1842 e il 1845 alcune
campagne di scavo e di restauro che interessarono anche la zona del teatro. Gli
scavi condotti permisero di riportare alla luce gran parte dei sedili del teatro e
alcune costruzioni del pulpito e della scena [Fasolo, 2013, 48]. Come emerge dalla
descrizione del Serradifalco [Serradifalco, 2013, 54], tramite l’identificazione
delle tecniche costruttive si iniziò a riflettere sulle trasformazioni romane
dell’edificio, «[…] è solamente nel fabbricato che si inoltra verso l’orchestra, che
Titolo contributo 5

esistono opere laterizie indicanti la maniera romana». Questa campagna di scavi


iniziò a mettere in relazione i materiali con i relativi periodi di messa in opera: i
blocchi lapidei vennero attribuiti al periodo greco, gli archi in laterizio e l’opera
cementizia al periodo romano. Per adattare la struttura ad anfiteatro gli interventi
nella porzione basamentale furono molti. Per prima cosa venne rimossa qualche
gradinata inferiore al fine di adattare la struttura alle differenti funzioni che
avrebbe dovuto accogliere. Seguì la realizzazione di un podio intorno all’arena
mediante i blocchi rimossi, circondato verso la cavea da due brevi tratti di
corridoio imboccanti delle parodoi e terminanti in due nicchie aperte verso
l’arena. Una terza nicchia, in corrispondenza del cuneo mediano, restava priva di
accessi laterali. Le nicchie erano coperte con volte a botte in laterizio, di cui oggi
troviamo solamente i muri d’imposta. I restauri condotti dal Serradifalco sebbene
rappresentarono il punto di partenza per lo studio scientifico del sito, tuttavia
peggiorarono lo stato conservativo del teatro. Da una testimonianza di Luigi
Bernabò Brea si evince la situazione del teatro prima degli interventi degli anni
Cinquanta. L’edificio si presentava fortemente dissestato proprio a causa di
infelici scavi realizzati nel secolo precedente. Quest’ultimi avevano scalzato le
fondazioni dei muri scendendo con gli scavi al di sotto della loro base e li avevano
lasciati sospesi su lame di terra che si erano disgregate in seguito al ristagno delle
acque [Bernabò Brea, 1966, 115].

L’attività della Soprintendenza alle Antichità per la Sicilia


Orientale
Lo stato conservativo del teatro ad inizio Novecento è noto grazie a due fotografie
trovate nell’archivio Alinari2. Le immagini, scattate probabilmente tra il 1915 e
1920, mostrano come il teatro giacesse in pessime condizioni. La maggior parte
dei cunei del koilon risultano assenti; gli unici ancora in sede sono gli stessi che
troviamo oggi. Anche quest’ultimi, come mostrano le fotografie, presentavano un
principio di scivolamento ai margini laterali. Il podio costruito in epoca romana
era presente solamente nelle porzioni laterali del teatro; nella porzione centrale
lo scivolamento di un fronte di terra sembra aver distrutto le strutture di
supporto. La scena era colma di blocchi lapidei disposti in ordine sparso. Si ritrova
dalle fotografie blocchi inerenti sia le gradinate che anche porzioni di architravi
dello scaenae frons. Si nota anche un avvallamento del terreno nella porzione
tangenziale al decumano superiore. Come è visibile da alcune fotografie, il
cedimento del terreno ha portato alla rottura trasversale di alcuni blocchi del
proscenio. Questo particolare non è di poca importanza poiché la medesima zona
del teatro sarà oggetto di ulteriori cedimenti che porteranno alla realizzazione di
importanti interventi di consolidamento negli anni Sessanta.

2 Archivio Alinari di Firenze


6 Nome Cognome Autori

All’interno dell’istituzione della Soprintendenza alle antichità della Sicilia


Orientale è noto il passaggio di nomina da Paolo Orsi a Giuseppe Cultrera nel
1933. Alcuni documenti3 testimoniano come l’interesse di Cultrera verso il sito
archeologico di Tindari si fosse manifestato già a partire dal 1935 per monitorare
alcuni eventi climatici che avevano portato dei danni alla cinta muraria. I primi
interventi di restauro si hanno tra il 1938 e il 1939 e interessarono il teatro.
Attraverso la documentazione di archivio è stato possibile sciogliere le inedite
vicende legate a questi primi restauri.

3: Vista del teatro durante i restauri del 1938-39, [Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico,
contenitore 137, 010]

Il 30 maggio 1938 il Ministero dell’Educazione Nazionale scrive alla


Soprintendenza di Siracusa chiedendo spiegazioni in merito all’interruzione dei
lavori di restauro del teatro greco di Tindari e fa richiesta di ulteriori dettagli per
poter prendere in carico la richiesta di stanziare ulteriori fondi. A seguito di una

3 Soprintendenza archeologica di Siracusa, Archivio documenti, Me_Div II_Fal_37_032-050


Titolo contributo 7

tempestiva risposta da parte di Giuseppe Cultrera, in data 2 giugno il medesimo


ministero comunica che avrebbe esaminato l’opera nel successivo esercizio
finanziario. Il 28 giugno la Soprintendenza realizza una dettagliata perizia dei
lavori da eseguire per la cifra di 25.000 lire e la invia al Ministero. Nella stessa
data viene apposto anche il visto da parte dell’Ufficio del Genio Civile di Messina.
Il 18 agosto con provvedimento ministeriale viene approvata la perizia e
accreditata la cifra richiesta. La perizia in questione rappresenta un’importante
risorsa poiché ci consente di comprendere in modo preciso gli interventi realizzati
nell’anno a seguire.

Lo stato di conservazione del teatro prima dei restauri del ’38-’39 rimane
sostanzialmente lo stesso dei primi del Novecento. Riportando le parole di Luigi
Bernabò Brea riguardo l’operato del suo predecessore Giuseppe Cultrera «Fu
dunque quello del 1938-39 un restauro egregio sotto ogni aspetto, contenuto e
moderato e perfettamente rispettoso delle strutture antiche» [Bernabò Brea,
1964-65, 108-109] si può essere abbastanza certi sulla correttezza dell’approccio
scientifico utilizzato; soprattutto perché Bernabò Brea stesso, come è stato
studiato per gli altri manufatti del sito archeologico di Tindari [Ghelfi, 2020],
possedeva un metodo di studio molto meticoloso. La perizia, unita alle immagini
di archivio4, mostra come i lavori condotti sul volume del koilon lo avessero
modificato in modo da avvicinarlo il più possibile a quella che era la forma
originaria. Questa operazione fu possibile grazie anche alla realizzazione di «muri
di imbrigliatura suddetti a semicerchio, e con rientranze saltuarie a sega, formati
di grosso calcestruzzo cementizio a valle della cavea»5. Pertanto, dopo le prime
operazioni di scavo si ricostruirono e consolidarono i muri alla base del koilon,
riportando alla luce le due gallerie esistenti. Questa operazione permise di
ricostituire l’immagine del teatro, ricomponendo anche i gradini franati nel lato
nord della cavea. La perizia ci consente di conoscere la tecnica costruttiva di
reintegro, «muratura di mattoni6», utilizzata per la sistemazione delle sedute.
L’utilizzo di un materiale compatibile e distinguibile è segno di una grande
lungimiranza da parte di Giuseppe Cultrera. Le reintegrazioni in laterizio oggi si
trovano in uno stato di conservazione ottimo, a differenza di quelle fatte in
calcestruzzo che presentano evidenti segni di degrado. Lo stesso Luigi Bernabò
Brea nei successivi restauri utilizza il laterizio come materiale per il reintegro. Nei
muri dell’Insula IV è evidente il sottile strato orizzontale di mattoni per
distinguere le porzioni originali da quelle costruite.
Oltre a quello basamentale è stato realizzato un consolidamento delle ali laterali
del teatro mediante muri di supporto. Quest’ultimi sono visibili fino agli interventi

4 Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137, 011


5 Soprintendenza archeologica di Siracusa, Archivio documenti, Me_Div II_Fal_37_022
6 Soprintendenza archeologica di Siracusa, Archivio documenti, Me_Div II_Fal_37_023
8 Nome Cognome Autori

degli anni Sessanta, quando si decide di coprirli. Conclusi i lavori troviamo un


teatro con l’immagine del koilon ricostituita, una scena completamente sgombra
dai blocchi e una sistemazione approssimativa del proscenio.

4: Vista del teatro durante i restauri del 1960, [Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico,
contenitore 137, 056]

A partire dal 1949 con finanziamenti della Regione Siciliana e della Cassa per il
Mezzogiorno si iniziarono importanti restauri nell’area urbana dell’antica
Tyndaris. Oltre alla figura di Luigi Bernabò Brea, anche Nino Lamboglia, Direttore
dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, condusse insieme alla sua équipe
importanti studi e scavi. Sebbene i lavori si concentrarono maggiormente in zone
ancora da indagare, come la zona urbana e la cosiddetta Basilica, anche il teatro
fu oggetto di interventi. In particolare, nel 1950 venne riportato alla luce
l’analemmata settentrionale del teatro mediante una sezione di scavo. Attraverso
alcune fotografie è stato possibile comprendere con precisione il posizionamento
dei blocchi e lo stato di conservazione del muro. Questo dato inedito, emerso dalle
ricerche archivistiche è di fondamentale importanza visto lo stato odierno della
porzione muraria: è in atto un dissesto che ha portato al crollo di diversi blocchi
lapidei. In un progetto di restauro la documentazione rinvenuta
rappresenterebbe un importante risorsa.

Tra gli anni ’50 e’60 il teatro non è al centro delle attività della soprintendenza ma
lo sono invece altre zone dell’area archeologica di Tindari: la Basilica è oggetto
della prima anastilosi, viene riportato alla luce gran parte dell’impianto urbano
della città e l’Insula IV viene consolidata e resa fruibile al pubblico.
Titolo contributo 9

Dal 1960 si inizia nuovamente ad intervenire sul teatro. Da un lato vengono


realizzati i primi studi che vedono la ricomposizione del scaenae frons7, dall’altro
si continua il consolidamento dell’analemmata settentrionale mediante la
realizzazione di muretti di contenimento del terreno.

Come emerge dalla documentazione di archivio rinvenuta, furono condotti


importanti studi da Cultrera e Bernabò Brea per comprendere quale fosse
l’aspetto originario del teatro. Sia dalle fonti edite che dai disegni di archivio,
sappiamo per certo che vennero studiati quasi tutti i viaggiatori menzionati in
questa sede; nel materiale di archivio erano presenti copie dei disegni contenuti
all’interno dei trattati. Nella ricostruzione dell’immagine del koilon è stato di
fondamentale importanza il ruolo di Jean-Pierre Houël, il quale per primo ha
individuato la divisione del teatro in 11 cunei. Mentre per la ricomposizione dello
scaenea frons sono state trovate copie dei disegni di H. Wirsing, pubblicati da H.
Bulle nel 1924.

Nel mese di maggio del 1960 viene ultimata la prima sistemazione dei blocchi
dello scaenae frons. I blocchi sparsi vengono riposizionati in sede liberando
l’accesso ai tre parodoi. Dove il terreno si presentava più dissestato venne
realizzata una gettata di pietre di fondazione, per poi disporre nuovamente i
blocchi in posizione.

Nell’aprile del 1961 si riunirono tutti i blocchi rimasti relativi alle gradinate,
ricomponendoli prima a terra e poi ricollocandoli nelle porzioni di koilon di
appartenenza. Si ricostruì parte del secondo, del terzo e del quarto cuneo. Di
quest’ultimo di scelse di lasciarlo separato tramite una fascia terrosa in modo che
rimanesse distinta da quella originaria. [Pietrafitta 1984, 419].

Come datato da alcune fotografie8 il giorno 20 aprile 1962 vengono iniziate le


operazioni di ricostruzione dell’unico arco del proscenio. Mediante l’utilizzo di
una centina vengono riposizionati i conci in sede. I due blocchi mancanti dell’arco
vengono sostituiti attraverso delle ricostruzioni in calcestruzzo.

7 Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137, 044


8 Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137, 061
10 Nome Cognome Autori

5: Vista della ricostruzione dello scaenae frons vicino l’antiquarium, dicembre 1962 [Soprintendenza
archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137, 077]

Nello stesso momento si provvede anche alla ricostruzione del proscenio dietro
all’antiquarium. I blocchi non riposizionabili in sito vennero disposti, tramite dei
supporti, in modo da ricreare il disegno scenico. Nel dicembre del medesimo anno
gli interventi risultano terminati.

L’interesse verso il sito da parte della Soprintendenza di Siracusa non si esaurisce


nel 1962. Nel febbraio del 1963 infatti vennero realizzati nuovi scavi nella
porzione apicale del teatro che riportarono in luce delle fondazioni curvilinee
parallele all’andamento del koilon. Inoltre, erano evidenti anche porzioni di
colonne annegate nell’opus incertum della fondazione. Questi risultati
confermerebbero l’esistenza di una antica loggia. Quest’ultima veniva ipotizzata
anche nelle raffigurazioni di Jean-Pierre Houël e degli altri viaggiatori.

Lo studio della documentazione di archivio ha portato anche alla scoperta di


un’altra vicenda non riportata dalle fonti edite. Il 13 ottobre 1963 alle ore 21.15,
come riportato da una lettera del custode del sito di Tindari e indirizzata a
Titolo contributo 11

Bernabò Brea, si è verificato un terremoto che «ha provocato il cedimento


dell’arco della scena del teatro (…) dal blocco n°1 alla base c’è uno strapiombo di
cm 7». La soprintendenza risponde in data 17 ottobre, prendendo atto della
situazione. A distanza di quasi due anni dalla prima lettera, in data 9 settembre
1965, il dissesto viene segnalato anche dall’associazione Turistica di Patti,
rappresentando una questione di sicurezza per la fruibilità del sito.
I primi interventi per il consolidamento dell’arco si registrano a partire dal 1967.
Nella prima fase si realizzò un ponteggio in legno e si iniziò la rimozione ordinata
dei blocchi della porzione muraria che aveva subito il cedimento. In seguito, fu
realizzato uno scavo a sezione obbligata della profondità di quasi un metro e lungo
quanto il muro stesso. All’interno del terreno venne inserita una vera e propria
armatura costituita da 6 tondini longitudinali e una staffatura con interasse di
circa 30 cm. Dopo la presa del calcestruzzo vennero riposizionati i blocchi
utilizzando malta cementizia sia come strato di allettamento che per la stilatura
dei giunti. Stessa tecnica venne impiegata per la realizzazione delle anastilosi
della Basilica [Ghelfi, 2020]. Nel medesimo periodo si provvide anche a
consolidare l’annalemmata occidentale. Come era stato realizzato per quello
orientale, vennero realizzati dei muri di contenimento sotto il livello del suolo pe
evitare che l’ala del teatro scivolasse verso valle.
Conclusi anche gli ultimi lavori, il teatro appariva nel suo disegno attuale.

Rilievo e analisi dello stato conservativo


In parallelo allo studio delle fonti e del materiale di archivio, è stato redatto un
progetto conoscitivo con l’obiettivo di indagare e restituire il processo storico-
costruttivo del teatro e del sito archeologico. Oltre ad analizzare la consistenza
materica, archeologica e conservativa, si è pianificato l’attività di rilevazione in
base alle peculiarità del manufatto. Come è ormai prassi nell’ambito dei beni
architettonici, si proceduto mediante rilievo laser scanner e fotogrammetrico, per
poi ottenere elaborati bidimensionali, base essenziale per realizzare le mappature
dei materiali e l’analisi del loro stato conservativo. Dalle point cloud è stato
estrapolato un modello 3D dell’area, in modo da poter archiviare, gestire e
condividere i dati acquisiti. I risultati di queste analisi hanno riscontrato uno stato
conservativo generale non critico, tranne che per il muro di contenimento del lato
orientale. Le principali patologie di degrado sono rappresentate da fenomeni
erosivi e, in alcuni casi, disgregativi indotti dagli agenti atmosferici.

Fruizione del teatro e dell’area adiacente


Uno dei temi più importanti non solo del teatro, ma dell’intero Parco Archeologico
di Tindari è la fruizione. Quest’ultima oggigiorno presenta notevoli criticità. A
partire dagli orari di visita che prevedono una apertura esclusivamente diurna del
sito, non tenendo di conto delle temperature raggiunte dall’area geografica nei
mesi estivi, limitandone così la presenza da parte dei visitatori. Questa criticità
12 Nome Cognome Autori

veniva messa in evidenza già nel 1965 dal commissario straordinario del sito
Nicola Adamo, il quale avanzava la richiesta in forma scritta9 di allungare la
chiusura del sito oltre le ore 18. Questo orario di chiusura «impedisce a molti
visitatori di conoscere e ammirare le ricchezze archeologiche di Tindari». La
richiesta non venne accolta e l’orario del sito è rimasto lo stesso fino ad oggi. La
visita serale del sito rappresenterebbe un’importante risorsa non solo per ragioni
climatico-ambientali ma anche per le nuove opportunità illuminotecniche
applicate al settore dei beni culturali. Attraverso la luce sarebbe possibile aiutare
la lettura del sito, valorizzando trasformazioni sia dell’urbano che dei monumenti
singoli. L’altra criticità del sito è rappresentata dalla viabilità interna. Non esiste
un percorso univoco, ma è un’area da “esplorare” con una cartellonistica
esplicativa praticamente inesistente. Il visitatore tende a sentirsi spaesato senza
sapere se effettivamente è riuscito a vedere il sito nella sua interezza. Questo
aspetto incide e incideva sull’accesso al teatro durante gli spettacoli serali. Già in
una lettera del 197710 la allora Associazione Turistica di Tindari chiedeva alla
soprintendenza di Siracusa che fosse implementato il sistema di accesso per gli
spettacoli serali e che fosse trovata una soluzione per implementare il numero di
sedute, ricostruendo magari le porzioni mancanti. Sebbene sia ragionevole
pensare, come allora, che sia necessario un miglioramento dei sistemi di accesso
del sito archeologico che sia in grado di sopperire alle diverse esigenze che
presenta, non è altrettanto ragionevole immaginare una ricostruzione del teatro,
soprattutto per fini esclusivamente ludici. Contravvenendo alle indicazioni della
Carta di Siracusa, come chiarisce Riccardo Rudiero [Rudiero, 2020], non è
trascurabile il rischio di trasformare un sito archeologico in un simulacro di
un’ipotesi solo per fini ludici o di valorizzazione. Ciò non toglie che nel teatro di
Tindari, soprattutto forti di una documentazione storica e di indagini
approfondite, non si possa trovare una soluzione che rispetti sia il sito
archeologico che il paesaggio circostante.

Bibliografia
BERNABO’ BREA L. (1964-65). Due secoli di studi, scavi e restauri del teatro greco di
Tindari, in Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, XIII-XIV 1964-
1965.
BERNABO’ BREA L. (1965). Scavi in Sicilia. I Lipari. II Tindari, in Bollettino d’Arte, 1965.
FASOLO M. (2013). Tyndaris e il suo territorio, Roma.

9 Lettera del 9 settembre 1965. Soprintendenza archeologica di Siracusa, Archivio documenti,


Me_Div II_Fal_37_011

10 Lettera del 9 settembre 1965. Soprintendenza archeologica di Siracusa, Archivio documenti,


Me_Div II_Fal_37_007,008
Titolo contributo 13

FERRARA F. (1814). Memorie sopra l’antica distrutta città di Tindari.


LAMBOGLIA N. (1953). Gli scavi di Tindari, La Giara, II, 1.
LA TORRE G.F. (2004). ll processo di romanizzazione della Sicilia. Il caso di Tindari in
«Sicilia Antiqua, International Journal of Archaeology».
PIETRAFITTA, F. (1984). Tindari, complesso archeologico, in Restauro e cemento in
architettura 2, a cura di G. Carbonara, AITEC, Roma.
ROMEO, E (2012). Paesaggio e spettacolo. Considerazioni sulla valorizzazione degli edifici
ludici e teatrali, in Che almeno ne resti il ricordo. Riflessioni sulla conservazione del
patrimonio architettonico e paesaggistico, a cura di E. Romeo, E. Morezzi, Aracne Editrice,
Roma.
RUDIERO, R (?). Le Carte sugli edifici ludici e per spettacolo, tra conservazione e uso
compatibile
SPIGO U. (2005). Tindari. L’area archeologica e l’antiquarium, Milazzo, Rebus edizioni.

Elenco delle fonti archivistiche o documentarie


Siracusa, Soprintendenza archeologica di Siracusa, Archivio documenti, Me_Div II_Fal_37
Siracusa, Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137

Potrebbero piacerti anche