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GIORGIO GHELFI
Abstract
The ancient theatre of Tindari has been the subject of numerous restoration projects
throughout the 20th century. The study carried out on the building has highlighted critical
points in terms of both conservation and use. Today, it is essential to rediscover this
particular piece of authorial architecture through an integrated study of archive
documentation and the materiality of the building.
Keywords
Theater, Tindari, anastylosis, restoration, conservation.
Introduzione
Il teatro greco-romano del Parco Archeologico di Tindari costituisce uno degli
esempi più significativi dell’architettura scenica dell’età imperiale romana
[Bernabò Brea 1964-65, 99]. Dell’edificio originario, risalente al III secolo a.C., si
conservano le geometrie principali del koilon e del scaenae frons. La ricerca
condotta si è occupata di analizzare il manufatto mediante un approccio
multidisciplinare rivolto ad una conoscenza che tenesse conto del complesso
processo di trasformazione del manufatto e del suo attuale stato conservativo. La
ricerca di archivio ha permesso di portare alla luce alcune vicende inedite legate
ai molteplici interventi di restauro e di anastilosi realizzati sull’edificio. La
documentazione rinvenuta, ricca di disegni, fotografie storiche e documenti
epistolari ha consentito inoltre di svolgere alcune riflessioni sull’evolversi della
fruizione del teatro dalla sua riscoperta Settecentesca fino ad oggi.
2 Nome Cognome Autori
Descrizione edificio
L’importante complesso archeologico di Tindari comprende, oltre al teatro greco-
romano trattato in questa sede, anche altri manufatti emergenti di indubbio
valore storico artistico, quali la cinta muraria, tra le meglio conservate del mondo
antico [Pietrafitta 1984, 410], l’Insula IV, la cosiddetta Basilica e la necropoli. Il
teatro si localizza a nord ovest del sito archeologico facendo uso del naturale
pendio della collina. Il manufatto, collegato al resto della città mediante il
decumano superiore, si orientava verso nord-est, rivolgendo la cavea verso il
nucleo abitato dell’antica città. Questa posizione permette oggigiorno di far
godere agli spettatori del teatro di un’invidiabile vista sul mare. Le porzioni
laterali del teatro sono realizzate mediante un terrapieno sorretto da possenti
analemmata in blocchi di arenaria. La tesi più affermata vede la divisione del
teatro in undici cunei, dei quali oggi troviamo esigua traccia. Solamente due cunei
su undici risultano quasi totalmente completi delle sedute. Negli altri quest’ultime
sono incomplete o totalmente assenti. I cunei sono alternati da dieci scalette,
anch’esse oggi presenti in minima parte. Non vi è invece alcuna traccia di diazoma,
probabilmente mai esisti viste le dimensioni contenute del teatro. Parte
Titolo contributo 3
integrante del manufatto e degno di nota è l’antico scaenae frons che si trova
raffigurato in alcune ricostruzioni di Henry Wirsing del 1924. Di quest’ultimo
rimane una traccia planimetrica davanti al teatro che consente di comprendere
l’articolazione degli ambienti di cui si componeva. Due grandi vani quadrati
occupanti il corpo principale e i due paraskenia, più stretti e allungati, agli estremi.
I paraskenia sono della stessa tipologia dei teatri di Segesta, Monte lato e
Morgantina [Spigo 2005, 61]; tre parodoi davano l’accesso alla scena mediante
aperture ad arco, di cui troviamo traccia solamente di quello settentrionale.
Presso il piccolo antiquarium interno al parco si trova la restante parte dei blocchi
rinvenuti dello scaenae frons. Sono disposti, mediante l’ausilio di supporti, in
modo da ricreare un’ipotesi ricostruttiva dello stato originale. Quest’ultima
ricostruzione viene realizzata nell’autunno del 19621 e tiene conto delle nuove
osservazioni ed ipotesi avvalorate dai ritrovamenti degli anni ‘60.
3: Vista del teatro durante i restauri del 1938-39, [Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico,
contenitore 137, 010]
Lo stato di conservazione del teatro prima dei restauri del ’38-’39 rimane
sostanzialmente lo stesso dei primi del Novecento. Riportando le parole di Luigi
Bernabò Brea riguardo l’operato del suo predecessore Giuseppe Cultrera «Fu
dunque quello del 1938-39 un restauro egregio sotto ogni aspetto, contenuto e
moderato e perfettamente rispettoso delle strutture antiche» [Bernabò Brea,
1964-65, 108-109] si può essere abbastanza certi sulla correttezza dell’approccio
scientifico utilizzato; soprattutto perché Bernabò Brea stesso, come è stato
studiato per gli altri manufatti del sito archeologico di Tindari [Ghelfi, 2020],
possedeva un metodo di studio molto meticoloso. La perizia, unita alle immagini
di archivio4, mostra come i lavori condotti sul volume del koilon lo avessero
modificato in modo da avvicinarlo il più possibile a quella che era la forma
originaria. Questa operazione fu possibile grazie anche alla realizzazione di «muri
di imbrigliatura suddetti a semicerchio, e con rientranze saltuarie a sega, formati
di grosso calcestruzzo cementizio a valle della cavea»5. Pertanto, dopo le prime
operazioni di scavo si ricostruirono e consolidarono i muri alla base del koilon,
riportando alla luce le due gallerie esistenti. Questa operazione permise di
ricostituire l’immagine del teatro, ricomponendo anche i gradini franati nel lato
nord della cavea. La perizia ci consente di conoscere la tecnica costruttiva di
reintegro, «muratura di mattoni6», utilizzata per la sistemazione delle sedute.
L’utilizzo di un materiale compatibile e distinguibile è segno di una grande
lungimiranza da parte di Giuseppe Cultrera. Le reintegrazioni in laterizio oggi si
trovano in uno stato di conservazione ottimo, a differenza di quelle fatte in
calcestruzzo che presentano evidenti segni di degrado. Lo stesso Luigi Bernabò
Brea nei successivi restauri utilizza il laterizio come materiale per il reintegro. Nei
muri dell’Insula IV è evidente il sottile strato orizzontale di mattoni per
distinguere le porzioni originali da quelle costruite.
Oltre a quello basamentale è stato realizzato un consolidamento delle ali laterali
del teatro mediante muri di supporto. Quest’ultimi sono visibili fino agli interventi
4: Vista del teatro durante i restauri del 1960, [Soprintendenza archeologica di Siracusa, archivio fotografico,
contenitore 137, 056]
A partire dal 1949 con finanziamenti della Regione Siciliana e della Cassa per il
Mezzogiorno si iniziarono importanti restauri nell’area urbana dell’antica
Tyndaris. Oltre alla figura di Luigi Bernabò Brea, anche Nino Lamboglia, Direttore
dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, condusse insieme alla sua équipe
importanti studi e scavi. Sebbene i lavori si concentrarono maggiormente in zone
ancora da indagare, come la zona urbana e la cosiddetta Basilica, anche il teatro
fu oggetto di interventi. In particolare, nel 1950 venne riportato alla luce
l’analemmata settentrionale del teatro mediante una sezione di scavo. Attraverso
alcune fotografie è stato possibile comprendere con precisione il posizionamento
dei blocchi e lo stato di conservazione del muro. Questo dato inedito, emerso dalle
ricerche archivistiche è di fondamentale importanza visto lo stato odierno della
porzione muraria: è in atto un dissesto che ha portato al crollo di diversi blocchi
lapidei. In un progetto di restauro la documentazione rinvenuta
rappresenterebbe un importante risorsa.
Tra gli anni ’50 e’60 il teatro non è al centro delle attività della soprintendenza ma
lo sono invece altre zone dell’area archeologica di Tindari: la Basilica è oggetto
della prima anastilosi, viene riportato alla luce gran parte dell’impianto urbano
della città e l’Insula IV viene consolidata e resa fruibile al pubblico.
Titolo contributo 9
Nel mese di maggio del 1960 viene ultimata la prima sistemazione dei blocchi
dello scaenae frons. I blocchi sparsi vengono riposizionati in sede liberando
l’accesso ai tre parodoi. Dove il terreno si presentava più dissestato venne
realizzata una gettata di pietre di fondazione, per poi disporre nuovamente i
blocchi in posizione.
Nell’aprile del 1961 si riunirono tutti i blocchi rimasti relativi alle gradinate,
ricomponendoli prima a terra e poi ricollocandoli nelle porzioni di koilon di
appartenenza. Si ricostruì parte del secondo, del terzo e del quarto cuneo. Di
quest’ultimo di scelse di lasciarlo separato tramite una fascia terrosa in modo che
rimanesse distinta da quella originaria. [Pietrafitta 1984, 419].
5: Vista della ricostruzione dello scaenae frons vicino l’antiquarium, dicembre 1962 [Soprintendenza
archeologica di Siracusa, archivio fotografico, contenitore 137, 077]
Nello stesso momento si provvede anche alla ricostruzione del proscenio dietro
all’antiquarium. I blocchi non riposizionabili in sito vennero disposti, tramite dei
supporti, in modo da ricreare il disegno scenico. Nel dicembre del medesimo anno
gli interventi risultano terminati.
veniva messa in evidenza già nel 1965 dal commissario straordinario del sito
Nicola Adamo, il quale avanzava la richiesta in forma scritta9 di allungare la
chiusura del sito oltre le ore 18. Questo orario di chiusura «impedisce a molti
visitatori di conoscere e ammirare le ricchezze archeologiche di Tindari». La
richiesta non venne accolta e l’orario del sito è rimasto lo stesso fino ad oggi. La
visita serale del sito rappresenterebbe un’importante risorsa non solo per ragioni
climatico-ambientali ma anche per le nuove opportunità illuminotecniche
applicate al settore dei beni culturali. Attraverso la luce sarebbe possibile aiutare
la lettura del sito, valorizzando trasformazioni sia dell’urbano che dei monumenti
singoli. L’altra criticità del sito è rappresentata dalla viabilità interna. Non esiste
un percorso univoco, ma è un’area da “esplorare” con una cartellonistica
esplicativa praticamente inesistente. Il visitatore tende a sentirsi spaesato senza
sapere se effettivamente è riuscito a vedere il sito nella sua interezza. Questo
aspetto incide e incideva sull’accesso al teatro durante gli spettacoli serali. Già in
una lettera del 197710 la allora Associazione Turistica di Tindari chiedeva alla
soprintendenza di Siracusa che fosse implementato il sistema di accesso per gli
spettacoli serali e che fosse trovata una soluzione per implementare il numero di
sedute, ricostruendo magari le porzioni mancanti. Sebbene sia ragionevole
pensare, come allora, che sia necessario un miglioramento dei sistemi di accesso
del sito archeologico che sia in grado di sopperire alle diverse esigenze che
presenta, non è altrettanto ragionevole immaginare una ricostruzione del teatro,
soprattutto per fini esclusivamente ludici. Contravvenendo alle indicazioni della
Carta di Siracusa, come chiarisce Riccardo Rudiero [Rudiero, 2020], non è
trascurabile il rischio di trasformare un sito archeologico in un simulacro di
un’ipotesi solo per fini ludici o di valorizzazione. Ciò non toglie che nel teatro di
Tindari, soprattutto forti di una documentazione storica e di indagini
approfondite, non si possa trovare una soluzione che rispetti sia il sito
archeologico che il paesaggio circostante.
Bibliografia
BERNABO’ BREA L. (1964-65). Due secoli di studi, scavi e restauri del teatro greco di
Tindari, in Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, XIII-XIV 1964-
1965.
BERNABO’ BREA L. (1965). Scavi in Sicilia. I Lipari. II Tindari, in Bollettino d’Arte, 1965.
FASOLO M. (2013). Tyndaris e il suo territorio, Roma.