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VETERUM SIGNA TANQUAM SPOLIA: ASPETTI DEL REIMPIEGO DI SCULTURE

ANTICHE A ROMA NEL SEICENTO



Fabrizio Federici

Nella Roma seicentesca il riutilizzo di materiali da costruzione ed opere darte
provenienti da edifici eretti nei secoli precedenti era una pratica ampiamente diffusa,
giustificata non solo dalla convenienza economica delloperazione, ma anche, talvolta, da
precise motivazioni di ordine politico e culturale
1
; ovviamente le vestigia della venerata
Antichit erano le prime ad essere interessate da questo fenomeno, secondo diverse modalit,
che andavano dal massiccio recupero delle colonne e dei rivestimenti in marmi policromi che
impreziosivano gli interni di templi e palazzi in rovina alla rifunzionalizzazione di edifici
classici ancora esistenti
2
. Di particolare interesse si rivela il reimpiego di statue e bassorilievi
antichi, che potevano essere riutilizzati sia nella creazione di sculture moderne che nella
decorazione delle facciate di palazzi e ville nobiliari.

RESTAURO E REIMPIEGO DELLE STATUE ANTICHE

La prassi di servirsi di frammenti di sculture di epoca classica nella produzione di nuove
opere affondava le proprie radici nelle caratteristiche del restauro seicentesco. Le esigenze del
collezionismo dellepoca, che ammetteva unicamente lesposizione di statue complete in ogni
loro parte e facilmente leggibili
3
, avevano fatto del restauro delle sculture antiche, avviato in
maniera piuttosto episodica in et rinascimentale
4
, unattivit assai praticata;

1
Persino opere di epoca medievale potevano essere reimpiegate in nuovi contesti, come prova in maniera
eclatante, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, linserimento nelle memorie funebri borrominiane di
frammenti provenienti dalle tombe originarie, distrutte durante il radicale rifacimento della chiesa (cfr. A. ROCA
DE AMICIS, Borromini in Laterano sotto Alessandro VII: le memorie antiche, in Palladio, n. s., X, fasc. 20,
1997, 61-82).
2
Sul riutilizzo dei marmi colorati antichi cfr. da ultimo C. NAPOLEONE, I marmi dellantica Roma. Note in
margine al trattato Delle pietre antiche di Faustino Corsi, in F. CORSI, Delle pietre antiche [Roma, Puccinelli
1845
3
], Milano, Franco Maria Ricci 2001, 7-22; il pi stupefacente progetto seicentesco di rifunzionalizzazione
di un edificio antico certamente quello, rimasto sulla carta, di Carlo Fontana, che prevedeva la costruzione di
una grande chiesa a pianta centrale allinterno del Colosseo (Cfr. E. COUDENHOVE-ERTHAL, Carlo Fontana und
die Architektur des rmischen Sptbarocks, Wien, Schroll 1930, 97 sgg.).
3
Si veda a questo proposito quanto scriveva nel settembre del 1651 Monanno Monanni al cardinale Leopoldo
de Medici: in una galleria, o sala dove sta altre statove, il vedere un poco di mozzicone di testa soprun
peduccio non par che porti nobilt, ma posto sopra di un bel busto dalabastro et sopra un peduccio, mi pare che
accrediti la testa (D. L. SPARTI, Tecnica e teoria del restauro scultoreo a Roma nel Seicento, con una verifica
sulla collezione di Flavio Chigi, in Storia dellArte, XCII, 1998, 60-131, 62).
4
Cfr. A. CONTI, Storia del restauro e della conservazione delle opere darte, Milano, Electa 1988, 32-38.
conseguentemente si afferm la figura del restauratore di professione e la trattatistica
specialistica prese a concedere maggiore spazio allaccomodamento delle statue, come
provano soprattutto le Osservazioni della scoltura antica di Orfeo Boselli
5
.
Il desiderio di completezza cui si fatto cenno conferiva al restauro scultoreo i caratteri
di un intervento integrativo, inteso a rifare [...] le parti guaste, e quelle che mancano per
vecchiezza, o per altro accidente simile
6
; il tutto, di solito, con grande libert e senza troppe
preoccupazioni per liconografia originale e la compostezza stilistica dellopera da
rabberciare
7
. Pertanto non erano rari i casi in cui, per la frammentariet del pezzo antico o
per deliberata volont dello scultore o del committente, si procedeva ad un intervento di tale
portata, che risulta arduo parlare semplicemente di integrazione: si pensi al Seneca morente
del Louvre, creato ai primi del secolo a partire dal torso e dalla testa di un umile pescatore,
tramite laggiunta delle braccia, delle gambe e di un vaso di marmo africano; o al frammento
antico raffigurante un cavallo, trasformato, probabilmente per mano di Pietro Bernini, in un
Curzio che si getta nel golfo (oggi nel salone dingresso di Villa Borghese)
8
. Ancora, non
erano infrequenti gli esempi di bassorilievi classici mutati in statue a tutto tondo, come il

5
O. BOSELLI, Osservazioni della scoltura antica, riprod. anast. dei mss. Corsini e Doria a cura di P. Dent Weil,
Firenze, SPES 1978 (Boselli dedica al restauro i capitoli XIII-XXII del libro V, ff. 171v-179v del ms. Corsini).
6
F. BALDINUCCI, s. v. Restaurare, in Vocabolario toscano dellarte del disegno, Firenze, Franchi 1681
[Firenze 1985], 134. Quando a dedicarsi al restauro sono stati artisti di primordine (Bernini, Algardi,
Duquesnoy), ci si a lungo affannati a ricercare nei loro interventi riflessi della loro produzione originale,
tentando in tal modo di distinguere fra restauri barocchi e classicistici; prima Jennifer Montagu (Roman
Baroque Sculpture: the Industry of Art [New Haven-London, Yale University Press 1989] trad. it., Torino,
Allemandi 1991, 161-162) e in seguito Donatella Sparti si sono giustamente opposte a questa visione,
sottolineando che gli scultori non restauravano con tendenze barocche o classiciste, che invece connotavano la
loro produzione moderna, ma si differenziavano soltanto nellinterpretazione dei soggetti e diremmo oggi nel
maggiore o minore rispetto per la scultura antica. Difatti il restauro era escluso dal contemporaneo dibattito
barocco-classicismo essendo le due tendenze legate da uno stesso fine: completare (SPARTI, art. cit., 60).
7
Non mancarono gi nel Seicento voci critiche nei confronti del livello qualitativo degli interventi di
integrazione e delle libert che si prendevano artisti e committenti: si vedano ad esempio le aspre parole di Orfeo
Boselli (op. cit., lib. V, cap. XIII, f. 171v del ms. Corsini): ... ai nostri giorni vi si applicano [alle ristaurature],
li pi debili sogetti del mestiero per non spendere, e cos si mirano statue accomodate simili alli mostri descritti
nellarte poetica di Oratio; et quella cosa si pregia che costa meno; e lironia di Fideno nella Fiera di
Michelangelo Buonarroti il Giovane: Non lontana / ecco di l una gran galleria / dove altre statue, ma restarate
/ modernamente e di frammenti varj / sono, e rimesse insieme: / come se voi diceste, / la testa dun Apollo /
sopra l busto dun Bacco: una di Giove / sopra quel dun Plutone: una Minerva / ridotta in una Venere: un
Mercurio / n un Ganimede: e simili altre molte, / comha voluto il caso, o i poco sperti / maestri rappezzare
hanno saputo. Non meno pungente la risposta di Enrico, il quale osserva che non facile attaccare le membra
ad una statua che ne priva, n toglierle alle sculture integre, per completare poi con esse le opere da restaurare:
Aggiustar bene insieme una figura / con tutte le sue membra, / e trle altronde, difficile molto (M.
BUONARROTI, La fiera, giornata I, atto III, scena II, in P. FANFANI (a cura di), Opere di Michelangelo Buonarroti
il Giovane, I, La Fiera - La Tancia, Firenze, Le Monnier 1860, 62).
8
Su queste opere cfr. F. HASKELL, N. PENNY, Taste and the Antique: the Lure of classical Sculpture 1500-1900
[New Haven-London, Yale University Press 1981], trad. it., Torino, Einaudi 1984, 445-449 e 254-257.
Pastore della Galleria Colonna restaurato da Baldassarre Mari nel 1651
9
. In questi casi,
tuttavia, la definizione di restauro risulta essere la pi adatta, perch comunque le opere
rimaneggiate continuavano ad essere considerate sculture antiche.
preferibile, invece, parlare di reimpiego
10
, allorch frammenti antichi erano
assemblati con altri scolpiti da uno o pi artisti seicenteschi, a creare opere dal carattere
affatto moderno, che difficilmente potevano essere prese per sculture classiche
11
. A venire
reimpiegati erano soprattutto torsi antichi, generalmente panneggiati, che per la bellezza della
lavorazione o per la preziosit del materiale impiegato non si volevano lasciare inutilizzati e
intorno ai quali si costruivano statue sia sacre che profane
12
; talvolta nella decisione di
recuperare tali frammenti intervenivano motivazioni di altro genere, cui per, come vedremo,
non dobbiamo dare eccessivo peso.
Il pi prestigioso esempio di reimpiego seicentesco senza dubbio la statua che nel 1630
i Conservatori decisero di erigere a Carlo Barberini, fratello da poco scomparso di papa
Urbano VIII (fig. 1); per lopera si riutilizz il torso loricato di una statua di Giulio Cesare e si
chiamarono a collaborare i pi grandi scultori del tempo: Gian Lorenzo Bernini, cui spett
lesecuzione del ritratto di Barberini, e Alessandro Algardi, che scolp le braccia e le gambe
da aggiungere al frammento classico. Il risultato fu una sontuosa raffigurazione allantica

9
Cfr. SPARTI, art. cit., 64, e F. CARINCI, H. KEUTNER, L. MUSSO ET ALII, Catalogo della Galleria Colonna in
Roma: sculture, Roma-Busto Arsizio, Bramante 1990, 109-110.
10
in ambito francese (ad esempio in S. PRESSOUYRE, Nicolas Cordier. Recherches sur la sculpture Rome
autour de 1600, Roma, cole Franaise de Rome 1984, passim, e in P. SNCHAL, Restaurations et remplois de
sculptures antiques, in Revue des Arts, LXXIX, 1988, 47-51) che troviamo impiegato questo termine in
riferimento a casi seicenteschi; gli studiosi italiani hanno preferito parlare di ricreazioni dallantico (I. FALDI,
Il mito della Classicit e il restauro delle sculture antiche nel XVII secolo a Roma, in A. GIULIANO (a cura di),
La collezione Boncompagni Ludovisi: Algardi, Bernini e la fortuna dellantico. Catalogo della mostra di Palazzo
Ruspoli, Roma, 5 dicembre 1992 - 30 aprile 1993, Venezia, Marsilio 1992, 207-226, 211) o semplicemente di
restauri. Orietta Rossi Pinelli (Chirurgia della memoria: scultura antica e restauri storici, in S. SETTIS (a cura
di), Memoria dellantico nellarte italiana, III, Torino, Einaudi 1986, 183-252) ha definito riusi alcuni
interventi cinquecenteschi, come linserimento di Romolo e Remo sotto il ventre della Lupa capitolina e la
sostituzione della testa di una tigre con quella di una lupa nella statua del Tigri in Campidoglio, che veniva cos
trasformata in un Tevere (ibid., 192). In questi casi forse preferibile limitarsi a parlare di un rafforzamento o di
un mutamento del significato dellopera, che non perdeva comunque la propria individualit e continuava ad
essere percepita come un pezzo antico.
11
In realt non sempre cos semplice determinare se una scultura rimodernata debba essere considerata come
opera antica o seicentesca, e se quindi si debba parlare di restauro o di reimpiego; lo dimostra la vicenda del
Fauno Rondinini restaurato da Duquesnoy, che, dopo aver languito per anni nei depositi del Dipartimento di
Antichit Greche e Romane del British Museum, ora uno dei pezzi pi importanti della collezione di sculture
seicentesche del Victoria and Albert Museum (MONTAGU, op. cit., 162).
12
L'ondata di rimozione delle integrazioni storiche, che, fra Ottocento e Novecento, ha eliminato molti restauri
realizzati fra il XVI e il XIX secolo, ha prodotto i danni pi gravi proprio nei casi di reimpiego; Italo Faldi (art.
cit., 217-218) riporta lesempio di un frammento ellenistico della parte inferiore di una figura femminile
giacente, riutilizzato da Giulio Cartari per una patetica ed agitata Clizia trasformata in girasole di schietto
stampo berniniano... Lintegrazione del Cartari sottolinea lo studioso trasformava in una vibrante ricreazione
che in nessun modo poteva essere scambiata per un originale romano, in considerazione
soprattutto delle fattezze del volto, con la bocca incorniciata da grandi baffi e da un fluente
pizzetto; solo ad un esame ravvicinato lantichit del torso, cui non si faceva alcun cenno
nelliscrizione del basamento della statua
13
, poteva essere colta dallo spettatore. Di certo a
convincere i Conservatori ad utilizzare il frammento non fu solo la possibilit di servirsi di un
pezzo gi pronto (e di ottima fattura), ma anche la volont di paragonare a Cesare il fratello
del pontefice
14
; tuttavia il fatto che in quegli stessi anni si pensasse di riusare per Innocenzo X
una statua di un papa tanto inviso ai romani quale Paolo IV
15
, ci induce a non attribuire, in
casi come questi di reimpiego a scopo celebrativo, unimportanza decisiva alliconografia
originale del pezzo riutilizzato.
Per quanto riguarda invece la statuaria sacra, il tema non stato affrontato nel suo
complesso che in un vecchio articolo di Walter Amelung
16
, il quale in un rapido censimento
senza pretese di completezza individuava cinque casi di statue antiche trasformate in figure
di Santi. Lo studioso riteneva opera seicentesca, oltre alla SantAgnese in SantAgnese fuori
le Mura, di cui si parler pi avanti, il San Sebastiano creduto di Giovanni Battista Maini in
SantAgnese in Agone, il cui torso appartiene ad una statua di Giove o di imperatore seduto (e
che fu in realt realizzato da Pier Paolo Campi fra il 1717 e il 1719)
17
. Probabilmente fu
assemblato nel XVII secolo il busto di SantAgnese composto da due frammenti antichi (un
torso di Diana e una testa femminile) posto in un ovale al di sopra della porta di accesso al
matroneo di SantAgnese fuori le Mura, a sinistra dellabside della chiesa
18
, mentre una

artistica il frammento antico in s morto e abbastanza insignificante; la sua rimozione ha dunque distrutto un
capolavoro barocco che attualmente smembrato fra il Prado e il Museo di Pontevedra in Galizia.
13
Cfr. V. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e daltri edificii di Roma, I, Roma, Tipografia delle scienze
matematiche e fisiche 1869, 56, n. 137.
14
Notevole influenza sulla decisione di riutilizzare un torso antico ebbero certamente due precedenti posti nella
stessa Sala dei Capitani del Palazzo dei Conservatori, ove conservato il Carlo Barberini: la statua di
Alessandro Farnese duca di Parma, di Ippolito Buzi, eretta nel 1593, e quella di Francesco Aldobrandini
innalzata nel 1602, le quali furono costruite intorno a due torsi di statue militari romane (cfr. H. STUART JONES,
A catalogue of the ancient sculptures preserved in the municipal collections of Rome: the sculptures of the
Palazzo dei Conservatori, Oxford, Clarendon 1926 [Roma, LErma di Bretschneider 1968], 41-42).
15
Dal diario di Giacinto Gigli (settembre 1645): In Campidoglio si fabricava in questo tempo il Portico
incontro al Palazzo delli Conservatori, et fu scavata la statua di papa Paolo IV, la quale gi gli fu alzata dal
Popolo Romano per i beneficii che li fece, ma poi havendo fatto sdegnare il medesimo popolo con le molte
gabelle e i suoi rigidi costumi, quando stava per morire fu tirata gi questa statua, et la testa tagliata fu per tre
giorni trascinata per Roma, et finalmente gettata nel Tevere. Ma il tronco della medesima statua fu sotterrato in
un andito scoperto appresso il giardino del palazzo delli Conservatori, et hora fu dissotterrata con il pensiero di
farci una testa, et alzarla a papa Innocenzo X (SPARTI, art. cit., 83).
16
W. AMELUNG, Di statue antiche trasformate in figure di Santi, in Mitteilungen des kaiserlich Deutschen
Archaeologischen Instituts. Rmische Abteilung, XII, 1897, 71-74.
17
Cfr. G. EIMER, La Fabbrica di SantAgnese in Navona, II, Stockholm, Almqvist & Wiksell 1971, 571.
18
Oggi il busto acefalo: la testa stata rubata una ventina danni fa. Anche le colonne e i capitelli delledicola
che precede la porta sembrano essere materiale di spoglio.
SantElena nella cripta di Santa Croce in Gerusalemme, il cui corpo apparteneva ad una
Giunone, devesser stata fatta nel tempo che intercede fra la pubblicazione del Titi e la
rivoluzione francese
19
; lultimo caso riportato da Amelung un San Giuseppe in Palazzo
Sacripante risale invece alla fine dellOttocento.
Lo scultore che con maggiore assiduit si dedic alla pratica del riuso di frammenti
antichi (tanto da meritarsi l'appellativo di virtuoso del reimpiego
20
) fu senza dubbio il
lorenese Nicolas Cordier, detto il Franciosino, attivo a Roma negli anni a cavallo fra il XVI e
il XVII secolo; nei primi anni del Seicento egli realizz per Scipione Borghese almeno un
paio di sculture policrome, la cosiddetta Zingarella (fig. 2), ancora oggi a Villa Borghese, e
un Moro (fig. 3), attualmente conservato a Versailles. Per la veste della prima statua lartista
riutilizz un frammento antico in marmo bigio, che complet con la parte terminale della
tunica in marmo bianco e con la testa, i piedi, la mano destra e alcuni dettagli ornamentali in
bronzo; probabilmente anche la veste del Moro, in alabastro fiorito, antica
21
. Sempre a
Versailles si trova unaltra Zingara (fig. 4) di provenienza Borghese, creata da un anonimo
scultore dinizio Seicento secondo lo stesso procedimento seguito da Cordier: ad un corpo in
marmo pentelico, gi appartenuto ad una statua di Diana, furono aggiunti testa, piedi e
avambracci in bronzo
22
.
Al momento della vendita delle sculture antiche di propriet Borghese, effettuata dal
principe Camillo a Napoleone nel 1807, le due opere di Cordier, che forse in origine facevano
pendant, furono divise: la Zingarella rimase a Roma, mentre il Moro emigr al Louvre, dove,
prima di passare al castello di Versailles, trov posto fra le antichit reali e, dal 1850, fra le
sculture rinascimentali
23
. La statua venne dunque vista ora come creazione antica, ora come
scultura moderna; ma sicuramente nel Seicento le due figure policrome furono quasi sempre
interpretate come opere contemporanee
24
.
Labilit del Franciosino nellassemblare materiali diversi ebbe modo di esplicarsi anche
in ambito sacro, fornendo con la SantAgnese (fig. 5) posta sullaltare maggiore di

19
AMELUNG, art. cit., 74. Lo studioso allude a F. TITI, Studio di pittura, scoltura, et architettura, nelle chiese di
Roma, Roma, Mancini 1674.
20
SNCHAL, art. cit., 49.
21
Cfr. PRESSOUYRE, op. cit., 413-417 (con bibliografia).
22
Cfr. la scheda di F. Rausa in E. BOREA, C. GASPARRI (a cura di), LIdea del Bello. Viaggio per Roma nel
Seicento con Giovan Pietro Bellori. Catalogo della mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 29 marzo - 26
giugno 2000, II, Roma, De Luca 2000, 281-282; lo studioso ipotizza che le integrazioni in bronzo siano state
realizzate dallo stesso Cordier, fra il 1607 e il 1612, e che esse abbiano sostituito un precedente completamento
della statua in marmo nero.
23
Cfr. PRESSOUYRE, op. cit., 414.
SantAgnese fuori le Mura il pi bellesempio di reimpiego seicentesco presente in una chiesa
romana. Ad un prezioso torso antico in alabastro orientale lo scultore aggiunse testa, mani e
gambe in bronzo dorato ed un agnellino dargento; ne nacque una figura di grande
compostezza e dallaspetto insolitamente arcaizzante
25
. Jennifer Montagu ha ravvisato alla
base delloperazione compiuta da Cordier motivazioni che vanno ben al di l di quelle di
ordine pratico ed estetico che hanno agito negli altri casi presi in considerazione: queste
divinit pagane trasformate in martiri cristiani, in un certo senso come se venissero
battezzate, convertite al Cristianesimo, e allo stesso tempo rappresentano una vittoria del
Cristianesimo sull'antichit pagana, un ribaltamento del martirio subito da SantAgnese tanti
secoli prima, come appare in modo molto pi evidente nelle antiche colonne e negli obelischi,
eretti di nuovo ma ora sormontati dai simboli della Chiesa trionfante
26
. Ma il concetto era
per lappunto ben pi visibile nelle colonne e negli obelischi che nellopera del Franciosino,
nella quale la reale origine del corpo della Santa era difficilmente intuibile dallosservatore; e
difatti nella letteratura artistica dellepoca non viene fatto alcun cenno allantichit del torso
27
.
Sar soltanto a seguito della polemica sollevata da Middleton alla met del Settecento che
Marangoni e molte guide dopo di lui accenneranno al reimpiego del pezzo antico, senza
peraltro alcun riferimento a battesimi o conversioni di idoli pagani
28
.

LE RELIQUIE DE MARMI DISTRUTTI SULLE FACCIATE DI VILLE E PALAZZI

Il prototipo della sistemazione di facciate e cortili di ville e palazzi romani tramite la
collocazione sulle pareti di pezzi antichi, opportunamente restaurati e disposti secondo criteri
di simmetria e di serialit, va rintracciato nellallestimento del cortile di Palazzo Della Valle,

24
Cfr. HASKELL, PENNY, op. cit., 505-509. Anche la Zingara di Versailles, pur essendo inclusa in qualche
repertorio di antichit, venne generalmente ritenuta opera moderna (ibid., 507).
25
Cfr. PRESSOUYRE, op. cit., 411-412 (con bibliografia).
26
MONTAGU, op. cit., 155.
27
Cfr. G. BAGLIONE, Le vite de pittori scultori et architetti, Roma, Fei 1642, 97: ... e sopra laltare [fu] posta
una statua dalabastro orientale con la testa, e braccia di metallo dorato, che rappresenta SantAgnese vergine, e
martire romana con lagnello; e la statua di mano di Niccol Cordieri, detto il Franciosino...; ibid., 115: La
statua sopra laltare di SantAgnese fuori di Porta Pia fatta di alabastro, e di metallo, di sua mano; F. TITI,
Studio di pittura, scoltura, et architettura, nelle chiese di Roma [Roma, Mancini 1674], ediz. comparata a cura di
B. Contardi e S. Romano, Firenze, Centro Di 1987, 155: ...Paolo V vi rinov il ciborio con le colonne, che lo
sostengono, e la pretiosa statua dalabastro, e di metallo posta sopra laltare di mano di Nicol Cordieri.
28
Conyers Middleton (in Lettre crite de Rome o lon montre lexacte conformit entre le papisme et la
religion des Romains daujourdhuy, Amsterdam 1744, 184) scrisse che la statua di SantAgnese era stata creata
a partire da unimmagine di Bacco e che la sua presenza sopra laltare costituiva lennesimo scandalo della
Roma papista; Giovanni Marangoni (in Delle cose gentilesche e profane trasportate ad uso ed adornamento
delle chiese, Roma 1744, 215) respinse laccusa di Middleton insistendo sullaspetto modesto e virginale della
fanciulla, assai lontano da quello di un Bacco. Sulla polemica cfr. PRESSOUYRE, op. cit., 27-28.
decorato da Lorenzetto fra il 1525 e il 1527 con statue, busti, bassorilievi e grandi maschere
29
;
ma fu solo con la fastosa sistemazione della facciata verso il giardino di Villa Medici,
realizzata negli anni Ottanta del Cinquecento
30
, che la decorazione con pezzi antichi si impose
come una delle opzioni pi raffinate nella sistemazione degli esterni degli edifici. La facciata
di Villa Borghese (fig. 6), terminata entro il 1613, era in origine impreziosita da numerose
sculture, per lo pi antiche: centoquarantaquattro bassorilievi, settanta busti e quarantatr
statue, asportati nel 1807 da Napoleone
31
. Ancora in loco sono invece le sculture che ornano
le quattro facciate del Casino del Bel Respiro (fig. 7), sistemate intorno alla met del secolo
sotto la supervisione dell'architetto della villa, Alessandro Algardi. Furono collocati sulle
pareti statue, busti e medaglioni, ma soprattutto bassorilievi e fronti di sarcofago, isolati o
uniti insieme a formare lunghi fregi, senza alcuna preoccupazione per la coerenza narrativa
delle nuove composizioni; la decorazione fu completata con opere allantica create ex novo
sulla base dei pi diffusi repertori di antichit dellepoca: lAntiquae Urbis Splendor di
Giacomo Lauro (1637), lHistoria Augusta di Francesco Angeloni (1641) e le Icones di
Franois Perrier (1653)
32
. Avveniva in pratica il contrario di quanto abbiamo visto accadere
nei casi di reimpiego dellantico per la produzione di sculture isolate, laddove il frammento
perdeva di fatto il proprio status di pezzo classico, per essere assorbito nellopera moderna:
ora invece il bassorilievo o il medaglione seicentesco allantica, confuso fra rilievi e statue
autenticamente antichi, finiva per essere antichizzato e lallestimento che risultava da tale
commistione era avvertito dallosservatore impossibilitato ad esaminare da vicino i singoli
pezzi come una coerente sfilata di originali.
Anche i cortili di alcuni palazzi nobiliari furono decorati con fronti di sarcofago, clipei,
rilievi di vario genere e busti murati nelle pareti o inseriti entro nicchie: lesempio pi ricco ed
affascinante senza dubbio la sistemazione del cortile del Palazzo Mattei di Giove, realizzata
fra il 1613 e il 1616 (fig. 8), nella quale ancora una volta vengono accostati pezzi antichi e
moderni
33
. Il committente, il marchese Asdrubale Mattei, spieg nelliscrizione

29
Cfr. CH. L. FROMMEL, Der rmische Palastbau der Hochrenaissance, II, Tbingen, Wasmuth 1973, 349-350.
30
Cfr. F. E. KELLER, Les reliefs de la faade sur jardin, in A. CHASTEL (a cura di), La Villa Mdicis, II, Roma,
Acadmie de France Rome - cole Franaise de Rome 1991, 412-442.
31
Cfr. C. CRESTI, C. RENDINA, Ville e palazzi di Roma, Udine, Magnus 1998, 274.
32
Cfr. C. BENOCCI, Algardi a Roma: il Casino del Bel Respiro a Villa Doria Pamphilj, Roma, De Luca 1999,
15-25.
33
Cfr. L. GUERRINI (a cura di), Palazzo Mattei di Giove: le antichit, Roma, LErma di Bretschneider 1982,
24-30; sulla costruzione e la decorazione del palazzo cfr. G. PANOFSKY-SOERGEL, Zur Geschichte des Palazzo
Mattei di Giove, in Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, XI, 1967-1968, 111-187. Lallestimento del
cortile sub alcune modifiche tra il 1634 e il 1636, quando vennero realizzati ed inseriti nelle pareti otto busti di
commemorativa che a spingerlo a rivestire le pareti di quei signa tanquam spolia ex
antiquitate detracta erano state non solo motivazioni di carattere estetico, ma anche la volont
di suscitare nei posteri un forte sentimento di ammirazione e di emulazione della prisca
virtus:
ASDRUBAL MATTHAEIUS MARCHIO IOVII
VETERUM SIGNIS TANQUAM SPOLIIS
EX ANTIQUITATE OMNIUM VICTRICE DETRACTIS
DOMUM ORNAVIT AC PRISCAE VIRTUTIS INVITAMENTUM
POSTERIS SUIS RELIQUIT ANNO DOMINI MDCXVI
34
.
Alla seconda met del secolo (intorno al 1677) risale invece la ben pi sobria
decorazione del cortile di Palazzo Giustiniani
35
.
Straordinario interesse riveste, nellambito del nostro discorso, il caso di Zagarolo, feudo
suburbano prima dei Colonna, poi dei Ludovisi e infine dei Rospigliosi, che venne
letteralmente disseminato di reperti antichi per iniziativa del duca Marzio Colonna (1585-
1607 ca.). Questa singolare e misteriosa figura di collezionista di antichit intendeva in tal
modo sottolineare lillustre origine del borgo, erede dellinsediamento romano di Gabii, e
celebrare nel contempo la propria famiglia, tramite lesposizione di numerose colonne
antiche, allusive al cognome e allo stemma della casata
36
. Nellambito di un ambizioso
programma di rinnovamento edilizio, imperniato sulla ricostruzione del palazzo baronale (poi
finito dal cardinale Ludovico Ludovisi), il duca fece collocare nella piazza antistante il

imperatori romani, otto medaglioni con imperatori bizantini e otto busti di imperatori asburgici (GUERRINI, op.
cit., 25).
34
Ibid., 24-25 (liscrizione posta sul lato destro del cortile).
35
Cfr. F. QUINTERIO, Profilo storico, in F. BORSI, F. QUINTERIO, G. MAGNANIMI ET ALII, Palazzo Giustiniani,
Roma, Editalia 1989, 41-104, 77. Degno di nota pure lallestimento dello scalone di Palazzo Cardelli, che fu
decorato con busti antichi e con bassorilievi costituiti da frammenti classici fantasiosamente ricomposti ed
integrati, veri e propri pasticci opera del gi menzionato Orfeo Boselli (cfr. C. SCANO, Palazzo Cardelli, in
Capitolium, XXXVI, fasc. 10, 1961, 22-26).
36
Andrea Carone riferisce, in uninedita Descrittione del territorio di Zagarolo e dintorni (1637), che Martio
Colonna... aveva pensieri grandi di ampliar quel nome [della citt di Gabii] conducendo in questa terra di
Zagarolo statue antiche, colonne di diverse forme, base et capitelli, vasi grandi, tolti la maggior parte da altre
antichit desertate, quali parte di esse dimorano nelle strade della terra, et altre collocate in ornamento (A.
NEGRO, Committenza e produzione artistica nel Ducato di Zagarolo dai Ludovisi ai Rospigliosi, in
SOPRINTENDENZA AI BENI ARTISTICI E STORICI DI ROMA, Larte per i papi e per i principi nella campagna
romana: grande pittura del Seicento e del Settecento. Catalogo della mostra, Museo Nazionale del Palazzo di
Venezia, Roma, 8 marzo - 13 maggio 1990, II, Roma, Quasar 1990, 201-239, 232). Sui reimpieghi di Zagarolo
cfr. G. TOMASSETTI, La Campagna Romana antica, medioevale e moderna, nuova ediz. aggiornata a cura di L.
Chiumenti e F. Bilancia, III, Firenze, Olschki 1979, 510-519; J. PIEPER, Zagarolo: Studien zur Architektur einer
rmischen Baronalstadt des Manierismus, Aachen, s.e. 1985; A. COSTAMAGNA, I principi di Paliano e alcuni
momenti della committenza Colonna nella Campagna, in SOPRINTENDENZA AI BENI..., op. cit., II, 5-29; H.
palazzo due grandi colonne di granito e due sarcofagi strigilati, sostenuti da are funerarie;
pose un antico busto di Minerva a coronamento della Porta del Colle, fiancheggiata sul lato
esterno da due colonne di marmo ricomposte; orn le facciate dellattuale Palazzo Comunale
con statue di personaggi togati e, in Piazza delle Tre Cannelle, rialz due colonne di granito,
fra le quali un tempo era posta una grandissima tazza ellittica di porfido rosso, con testa
gorgonica in rilievo
37
, sormontata da uniscrizione, anchessa scomparsa, che ben testimonia
il clima di nostalgico e megalomane classicismo imperante in quegli anni nel feudo del Dux
Gabinorum
38
.
Ma il monumento pi sorprendente senza dubbio larco trionfale (fig. 9) che funge da
ingresso meridionale alla residenza dei Colonna, sul quale furono collocati, come sulle
facciate di Villa Doria Pamphilj e del cortile di Palazzo Mattei, frammenti marmorei sia
antichi che moderni; fulcro della decorazione sono tre rilievi classici pesantemente restaurati
ed ampliati, ovvero un fregio con cavalieri, un altro con una scena di trionfo e una bella fronte
di sarcofago dionisiaco, che venne inserita nel fregio dellattico
39
.
Accanto a questi casi, nei quali furono cardinali o nobili di primo rango a finanziare la
decorazione delle loro sontuose residenze, dobbiamo ricordare la singolare azione di un
esponente della piccola nobilt, il cavalier Francesco Gualdi, che fra gli anni Trenta e gli anni
Cinquanta del secolo si priv di alcuni pezzi antichi della sua collezione di antichit e di
curiosa per farne dono alla citt, sistemandoli, corredati di iscrizioni che ne ricordavano la
provenienza, nei portici delle chiese e sulle facciate di alcuni palazzi romani
40
. A spingere il
cavaliere a tali donazioni erano soprattutto le sue vanit dimmortalare il suo nome
41
e il
desiderio di celebrare il proprio collezionismo tramite lesposizione di alcuni pezzi che
lasciassero intuire la ricchezza della raccolta custodita nellabitazione del nobiluomo; ma non
mancavano motivazioni di altro genere, come la volont di tributare un omaggio al glorioso
passato di Roma e alle sue istituzioni ( il caso del monumento a Scipione lAfricano (fig. 10)

GABELMANN, Der Triumphbogen in Zagarolo: Antiken in einem Bildprogramm des Manierismus, Kln-Weimar-
Wien, Bhlau 1992.
37
TOMASSETTI, op. cit., 518.
38
MARTIO COLUMNAE DUCI GABINORUM PRUDENTISSIMO / AURI DITIONE PRODUCTA, URBE
AUCTO POMERIO, / AMPLIFICATA SOEPTE [SIC] MOENIBUS, / AEDIBUS SACRIS, PRAETORIO,
GYMNASIO, CURIA, VALETUDINARIO, / AQUIS, FONTIBUS, VIIS, FORO, TEATRO [SIC], CIRCO /
MAGNIFICENTIUS EXORNATA / S. P. Q. G. / GRATI ANIMI, ET MEMORIAE MONUMENTUM
POSUIT. / MDCV (GABELMANN, op. cit., 8).
39
I Rospigliosi inserirono in seguito sulla facciata esterna dellarco uniscrizione con le date del 1670 e del 1722,
che ha a lungo falsato la datazione e linterpretazione del monumento; cfr. TOMASSETTI, loc. cit.
40
Cfr. C. FRANZONI, A. TEMPESTA, Il museo di Francesco Gualdi nella Roma del Seicento tra raccolta privata
ed esibizione pubblica, in Bollettino darte, LXXII, s. VI, fasc. 73, 1992, 1-42.
realizzato nel 1655 con frammenti antichi pesantemente restaurati sul fianco settentrionale del
Palazzo Senatorio) o il proposito di glorificare una delle famiglie pi illustri della citt, i
Colonna (nellassemblaggio di frammenti di fregi con girali dacanto (fig. 11) sulla facciata di
una torre medievale in Via 4 Novembre). Interessante pure linserimento di un sarcofago
paleocristiano in un monumentale allestimento moderno nel portico del Pantheon (oggi
scomparso): il sarcofago , come sottolinea liscrizione che lo sormontava, adversus
iconomachos testimonium ed stato innalzato veluti trophaeum, con chiaro riferimento
alla polemica protestante contro le immagini, di cui con questopera si voleva dimostrare
luso gi presso le prime comunit cristiane
42
.

TESTIMONIANZE LETTERARIE SUL REIMPIEGO E REIMPIEGHI LETTERARI

A riprova di quanto la pratica del reimpiego di materiale antico fosse diffusa e a
dimostrazione della sua risonanza in ambito letterario si possono citare alcune testimonianze
di scrittori seicenteschi relative sia a riusi attuati nei secoli precedenti che a quelli
contemporanei. Per quanto riguarda i primi, la nascita dellarcheologia cristiana e il crescente
interesse per la vita delle prime comunit portarono ad interrogarsi sul reimpiego di manufatti
pagani in et paleocristiana; nelle Considerazioni sulla pittura Giulio Mancini, dopo aver
parlato delladozione di simboli e usanze gentili da parte dei credenti nella vera fede,
ricorda i casi di una lapide ethnica riusata come altare in San Callisto, di una tavola di
marmo, servita per basamento alla statua di un pagano e trovata sotto una sepoltura cristiana
in San Pietro, e di molte tavolette, gi usate come altari per gli idoli, rinvenute negli scavi per
le fondamenta della nuova Basilica Vaticana. Infine lamatore darte riporta linteressante

41
Paris, Archives du Ministre des Affaires Etrangres, Correspondance Politique, Rome, 126, f. 47v, lettera di
Elpidio Benedetti al cardinale Mazzarino del 26 gennaio 1654.
42
Nel cavalier Gualdi era senzaltro viva, come dimostra il ritorno di Scipione sul Campidoglio e la
collocazione dei sarcofagi cristiani nelle chiese, la volont di ricondurre le opere nei contesti per i quali erano
state prodotte. A questo proposito C. Franzoni (art. cit., 32-33) ha scritto che il reinserimento delle varie opere
nel loro contesto [avviene] non tanto come esito di un approccio filologico, quanto come condizione per lo scopo
che il promotore si era prefisso, trasformare cio i resti antichi in testimonia, far svolgere loro una sorta di
funzione retorica, imaginibus coarguere... Sembra quasi di scorgere in Francesco Gualdi un rinnovarsi
dellatteggiamento tipicamente medievale che privilegia una lettura ideologica dei monumenti antichi.... Per
quanto riguarda il sarcofago del portico del Pantheon, comunque, bisogna aggiungere che il tono apologetico
delliscrizione motivato, pi che dallapproccio alle antichit cristiane di Gualdi, il quale and oltre
lapprezzamento di tipo devozionale loro riservato dai prelati e dagli eruditi della Controriforma, dalla volont di
ottenere la protezione di un porporato profondamente impegnato, in Francia, nella lotta contro gli ugonotti, quale
era il cardinale Mazzarino, cui il monumento era dedicato. Sulla lettura apologetica delle testimonianze della
Chiesa primitiva cfr. B. AGOSTI, Collezionismo e archeologia cristiana nel Seicento: Federico Borromeo e il
Medioevo artistico tra Roma e Milano, Milano, Jaca Book 1996, in part. 39-48, e G. PREVITALI, La fortuna dei
primitivi dal Vasari ai neoclassici, Torino, Einaudi 1964, 28-38.
vicenda duna colonnetta nella quale era intagliato a lettere greche un voto dun gentile alla
deit del Sole e di Serapide. Riusata sotto Leone IV per la costruzione del campanile di San
Pietro, essa era stata, alla demolizione della basilica costantiniana, nuovamente reimpiegata
a torno alla fontana della piazza di San Jacomo Scossacavallo
43
. Secondo Mancini si puol
credere che casualmente fussero adoperate molte cose di gentili per uso di Cristiani, se bene
aggiungo che sono state servate ancora simil gentilit per uso delli studiosi della pittura e
scoltura e daltre professioni
44
.
La poetica barocca, di cui la metamorfosi e la dialettica fra Vita e Morte costituivano due
temi fondamentali, non poteva non trovare motivo dispirazione in un fenomeno come quello
del reimpiego, in cui le morte vestigia classiche erano riportate in vita, in nuovi contesti e con
nuove funzioni. E difatti Giovan Battista Marino dedica al riutilizzo di un antico sarcofago un
madrigale dal titolo Urna in una fontana, che rientra fra i Capricci della sua Galeria. Non si
tratta in verit del reimpiego colto di un sarcofago riusato come vasca per una fonte in
tanti palazzi e ville di Roma , bens del risultato del riprovevole gesto di un contadino
profano; dal contrasto fra la funzione originale del manufatto marmoreo e gli umor vitali
che ora ne fuoriescono nasce nellosservatore (proprio come nel caso della contemplazione
delle rovine, ma con ancora maggior forza) una dolente riflessione sulle umane vicende:
Tu, chal mio fonte vieni
perdona (prego) al cenere gelato,

43
G. MANCINI, Considerazioni sulla pittura, ediz. a cura di A. Marucchi e L. Salerno, I, Roma, Accademia dei
Lincei 1956, 52-53: Non negarei gi che alle volte sia avenuto che qualche cosa ethnica sia casualmente stata
adoperata in uso christiano, come in particolare ultimamente s visto nella dimolitione di San Calisto, dove fu
trovato una pietra che da una parte che si vedeva haveva servito per uso daltare, et dallaltra, non vista e murata,
vi era questa inscrittione: I. H. B. F. RUBIANUS POETA FICTOR.... Che per esser cosa che far a proposito
nostro m parso proporla. Et in San Pietro, mentre si cavava per fare il pavimento della chiesa, avanti laltar
maggiore fu trovata una tavola di marmo sotto la seppoltura dun christiano, la quale per avanti era stata sotto la
statua dun tal Orso Togato, inventore dun certo gioco detto la pila vitrea, inventata da lui, per leccellenza di
detto gioco al tempo di Vero imperatore; nella quale tavola era intagliato lelogio di questo Orso Togato che, per
esser singolarissima cosa, lho voluta proporre et questo: URSUS TOGATUS VITREA QUI PRIMUS
PILA.... Et ultimamente, nel fare i fondamenti della fabrica nuova di San Pietro verso Campo Santo, furono
trovate molte tavolette di marmo, che gi havevan servito per laltari dellidoli per il sacrificio detto taurobolio et
creobolio, in un luogo cos santo come la chiesa di San Pietro fino al tempo di pontefici santissimi e
christianissimi come Damaso e Siricio; e le dette tavolette furon trovate rotte et ammontinate perch cos da un
prefetto di Roma molto pio, come disse lUgonio, erano state rovinate e sotterrate. Di pi noi sappiamo che i
campanili delle chiese son ancor loro luoghi sacri istituiti per eccitar col suono delle campane benedette e
battezzate il popol christiano a laudar Iddio, e che per nelle tempeste et altri temporali dannose alle campagne
soglian sonare, nondimeno Leon IV, nel fare il campanile di San Pietro, si serv duna colonnetta nella quale era
intagliato a lettere greche un voto dun gentile alla deit del Sole e di Serapide, che cos in latino fu tradotta:
FAUSTA FORTUNA.... Che per non tediar il lettore lasciamo il greco, potendosi vedere in detta colonnetta
che hora sta a torno alla fontana della piazza di San Jacomo Scossacavallo, dalla banda della chiesa, et risguarda
Borgo Novo.
44
Ibid., 53.
che dal fatal sepolcro, overa chiuso,
per volgerlo ad altruso,
contadino profano ha discacciato.
E se da me suggendo umor vitali
de lumane vicende piangerai
le memorie mortali,
vie pi di senno assai
che dacqua ne trarrai
45
.
Lo stesso contrasto fra lacqua che dona la vita e il fatal sepolcro ritorna in alcuni versi
della fine del secolo, in cui anzi lopposizione ancor pi accentuata, trattandosi non di una
semplice fontana, ma di un fonte battesimale. Il Seicento si chiude infatti con un reimpiego
sensazionale: la tazza di porfido che secondo la tradizione proveniva dalla tomba
dellimperatore Adriano e che era gi stata reimpiegata come copertura del sepolcro di Ottone
II nellatrio della vecchia basilica di San Pietro (per poi essere relegata, a partire dal 1610,
nelle Grotte) venne riutilizzata per il nuovo fonte battesimale del tempio, realizzato fra il 1692
e il 1697 su disegno di Carlo Fontana (fig. 12)
46
. Lavvenimento fu immortalato dal romano
Giovan Battista Vaccondio, dottor nelluna, e nellaltra legge e autore di libretti per oratori,
in un sonetto che fa parte delle sue Rime pellegrine, pubblicate nel 1705:
Questa lurna fatal, dove che Cloto
ridusse in polve limperial grandezza
dAdriano il Pio, e da quel regio loto,
che in s racchiuse eredit chiarezza.
Quindi del Tempo a lo instancabil moto
la Parca, chera entro quel sasso avvezza
a digerirne il cenere gi noto,
in Ottone ferm la sua fierezza.
Rise la Fama, e al riso suo, che pasce
laltrui intelletto, udij, che in dolce metro
volea in quellurna il Sol tornasse in fasce.
Ma poi, che in mar manc la Fede a Pietro
perch la peschi luomo allhor che nasce

45
G. B. MARINO, La Galeria, ediz. a cura di Marzio Pieri, I, Padova, Liviana 1979, 308.
46
Cfr. la scheda di Michela Gani in A. PINELLI (a cura di), La Basilica di San Pietro in Vaticano, II, Modena,
Franco Cosimo Panini 2000, 523-525.
gli apr fonte di vita entro il feretro
47
.
Il poeta gioca dunque sul fatto che il cristiano ricever lacqua salvifica del Battesimo
proprio dallurna in cui grandi personaggi hanno avuto sepoltura; ma soprattutto colpisce la
consapevolezza che non solo la preziosit del porfido a spingere al riutilizzo del manufatto,
ma anche la chiarezza del pezzo, ovvero la sua illustre storia di sepolcro imperiale.
Ancora Marino accenna in due celebri lettere al riutilizzo di sculture antiche nella
decorazione degli edifici. Nella lettera anteposta alla terza parte delle Rime (firmata da
Onorato Claretti, ma di quasi certa paternit mariniana) il poeta affronta il tema
dellimitazione, che deve essere praticata ritignendo daltro colore il drappo della spoglia
rubbata, accioch non sia con facilit riconosciuto
48
. A questa regola Marino si sempre
mantenuto fedele, quando ha rubato qualche cosa ad altri autori; ed ha sempre saputo fare un
buon uso delle spoglie:
E ben vero che se gli venuto fatto di servirsi a tempo e luogo di colonna, di cornice o di statua tratta
da qualchedificio antico, si ingegnato di situarla in modo che ne sia cresciuto ornamento alla
fabrica
49
.
Suggestionato probabilmente dal ricordo della facciata di Villa Medici e di quella che
egli vide non ancora terminata di Villa Borghese, Marino non solo ha compreso laffinit fra
il procedimento del reimpiego scultoreo e la propria abitudine di reimpiegare estesamente le
creazioni di altri scrittori, ma ha anche voluto sottolineare la fondamentale importanza di
uningegnosa disposizione dei pezzi antichi perch lornamento della fabrica risulti
accresciuto.
Parole molto simili si ritrovano nella lettera che nel gennaio del 1620 il poeta scrisse da
Parigi a Claudio Achillini; ancora una volta Marino, impegnato a difendere loriginalit della
propria opera letteraria, si sofferma con una breve digressionetta sul concetto e i modi
dellimitazione, descrivendo il proprio metodo di lavoro e paragonandolo alla pratica di
decorare le fabriche nuove con le reliquie de marmi distrutti:
Sappia tutto il mondo che infin dal primo d chio incominciai a studiar lettere, imparai sempre a
leggere col rampino, tirando al mio proposito ci chio ritrovava di buono, notandolo nel mio

47
G. B. VACCONDIO, Rime pellegrine, Roma, Gonzaga 1705, 126. Il componimento reca il seguente titolo:
Lurna di porfido che serv per sepolcro alle ceneri degli Imperadori ora destinata, per Fonte Battesimale, nella
Basilica Vaticana. Sonetto al Signor Carlo Francesco Bizzaccheri insigne architetto.
48
G. B. MARINO, Lettere, ediz. a cura di M. Guglielminetti, Torino, Einaudi 1966, 603. La lettera risale al 1614.
zibaldone e servendomene a suo tempo: ch insomma questo il frutto che si cava dalla lezione de
libri Le statue antiche e le reliquie de marmi distrutti, poste in buon sito e collocate con
bellartificio, accrescono ornamento e maest alle fabriche nuove
50
.
Laccento anche in questo caso posto sul bellartificio che, in stretta analogia con i
criteri espositivi del collezionismo dellepoca, deve presiedere alla disposizione delle sculture.
Si tentati di ravvisare in questi due passi una sorta di anticipazione dellipotesi
interpretativa degli spolia medievali elaborata da Salvatore Settis, che ha visto nelle antichit
reimpiegate lequivalente figurativo delle citazioni letterarie
51
. Certo, si tratta di due tipologie
di reimpiego quella medievale e quella seicentesca, cui fa riferimento Marino molto
diverse, e daltra parte il poeta non sta parlando di citazioni in senso stretto, ma di un modo di
importare materiale altrui nelle proprie opere molto pi sottile e dissimulato; tuttavia resta il
fatto che per la prima volta viene qui stabilito fra la pratica artistica e quella letteraria un
parallelismo, che pu essere peraltro visto come lennesima testimonianza della viva curiosit
dello scrittore napoletano per le arti figurative.
A questo proposito, opportuno sottolineare come lattenzione di Marino verso le
reliquie riutilizzate avr sicuramente avuto origine dalla consonanza fra tale pratica e il suo
modo dintendere il lavoro dello scrittore o anche, nel caso dellUrna in una fontana, dalla
sua sensibilit barocca; ma non dobbiamo dimenticare i numerosi contatti che il poeta ebbe
con gli ambienti antiquari, segnatamente romani. Di particolare rilievo appaiono, in un
discorso sul riuso di materiale antico, i suoi rapporti con quel singolare collezionista e
donatore di antichi cimeli che era il gi menzionato Francesco Gualdi; della conoscenza fra i
due serba memoria una lettera di Marino ad Antonio Bruni, scritta da Napoli nel 1624:
Il signor cavalier Francesco Gualdi sar da me servito del sonetto che desidera sopra una di coteste sue
antichit, subito che mi vedr di vena; il che far per non mancar alla promessa, non gi per recar
alcun ornamento al suo studio. Quella sera che noi ci fummo, <stata> da me osservata pi chaltra,
perch in una sola camera si vede raccolto il fiore del pi bello che dal seno dellantichit potrebbe
altri giamai sperare. Certo degno cotesto gentiluomo di grandissima loda, ed a gran ragione non

49
Ibid., 604.
50
Ibid., 249.
51
S. SETTIS, Continuit, distanza, conoscenza. Tre usi dellantico, in Memoria dellantico cit., III, 375-486, 383-
398.
viene in Roma curioso oltramontano, che non voglia ammirare tante variet di cose antiche e
peregrine
52
.
Ritorna, nella richiesta di Gualdi di un sonetto su una delle sue antichit, quella volont
di esibizione pubblica della collezione che abbiamo visto stare alla base dei reimpieghi
promossi dal cavaliere; ma la morte dello scrittore, avvenuta pochi mesi dopo linvio della
lettera a Bruni, imped al collezionista di vedere esaudito il suo desiderio, privandoci nel
contempo di versi meravigliosi, che avrebbero rappresentato quasi un emblema dellaffinit
di fondo fra lenciclopedismo delle raccolte di rarit e la curiosit per ogni aspetto del reale,
propria della poesia barocca
53
.

52
MARINO, Lettere cit., 401. Il passo mariniano, sfuggito a quanti si sono in passato occupati della figura di
Francesco Gualdi, riveste qualche importanza anche per la conoscenza della consistenza e dellallestimento della
raccolta, confermando in particolare quanto Franzoni e Tempesta (art. cit., 2) hanno presentato in via ipotetica,
cio che la collezione, almeno fino alla prima met degli anni Venti, fosse esposta in un unico ambiente della
casa del cavaliere. A far conoscere il poeta e il collezionista fu probabilmente Girolamo Aleandri il Giovane
(1574-1629), amico sia di Marino (che infatti gli manda i suoi saluti al termine della lettera: Saluto gli amici, e
fra primi il nostro signor Aleandri, in MARINO, Lettere cit., loc. cit.), sia di Gualdi, per il quale scrisse una
explicatio ad un incisione raffigurante un celebre sistro conservato nel museo del nobiluomo (FRANZONI,
TEMPESTA, art. cit., 6-7).
53
Cfr. G. OLMI, Science-Honour-Metaphor: Italian Cabinets of the sixteenth and seventeenth Centuries, in O.
IMPEY, A. MACGREGOR (a cura di), The Origins of Museums. The Cabinet of Curiosities in sixteenth- and
seventeenth-century Europe, Oxford, Clarendon 1985, 5-16, 11: ... the interrelationship between eclectic
collections and contemporary literature is so evident that one can speak of the former as visualized poetry and of
some of the latter as imaginary museums. Through many private collections of the seventeenth century runs the
same thread of surprise and wonder, typical of the poetics of Giambattista Marino; at the same time one finds
evidence in the works of the latter of a taste for analytical inventory and the listing of all aspects of reality.

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