Gli scavi di Ercolano furono fondamentali per la costituzione di un clima di interesse per la
ripresa iconografica della pittura antica e ci viene in aiuto l’opera di Joseph-Marie Vien, “La
venditrice di Amorini”, che venne esposta al Salon del 1763; già
all’interno di questa composizione ci
sono serie di elemnti dell’architettura
antica, come le lesene della parete di
fondo.
La scelta dell’iconografia viene, in
maniera perissequa, da una “tavola delle antichità di Ercolano”
del 1762.
Nella Francia degli anni ’60 del XVIII secolo, c’è già prima di
David un interesse forte per l’antico e la storia dell’antichità,
da parte di artisti come Greuze, con una semplificazione e
severità maggiore di quelle narrazioni movimentate del
Rococò.
L’esempio di Jean-Baptiste Greuze è “Settimio Severo
rimprovera Caracalla” del 1769.
Uno dei temi centrali della storia dell’architettura è il modo in cui gli architetti si
relazionano con le proprie rappresentazioni, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga
attraverso materiale visivo; le sue convenzioni: ortografica, prospettica; o se è attraverso il
linguaggio.
Erano chiamati “architetti visionari”, non solo perché ripensavano all’architettura i rapporti
con la rappresentazione, con le parole o con l’immaginario, ma anche perché iniziarono a
inventare l’utopia. “architetture parlant-speaking architecture”
Per quanto riguarda l’architettura neoclassica ha, in autori come Etienne-Louis Boullè e
Claude-Nicolas Ledoux, esponeti “architetti visionari” per i progetti utopici che creavano:
- “Cenotafio di Newton” di E.L. Boullè (1784), con giochi di luci particolari e una forma
bizzarra;