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Neoclassicismo

L’inizio della storia dell’arte contemporanea si fa risalire al Neoclassicismo (nella seconda


metà del ‘700), ma è un tipo di periodizzazione adottata negli studi in Italia; trovare una
rottura all’interno dello scorrere del tempo può non essere condivisa, poiché si possono
trovare in vari momenti.
Si tratta della rappresentazione “L’artista sgomento di fronte
alla grandezza di antichi frammenti” (1778-80) di J.H. Füssil,
artista di origine svizzera che lavorò molto in Inghilterra e
soggiornò per lungo tempo in Italia dal 1769, per cu a contatto
diretto con monumenti e resti dell’antichità; quest’opera è
importante perché è raffigurato un artista sgomento davanti
la grandezza dell’antico, cioè si tratta dei frammenti della
monumentale scultura di Costantino (oggi ai Musei Capitolini,
Roma).
L’atteggiamento di questo artista di fronte le rovine è quello
di una presa di consapevolezza con la rottura con il passato;
questa immagine ci fa capire che la sensazione provata
durante la fine del ‘700 è quella di provare un distacco irrimediabile con l’antico.
Naturalmente, è l’antico ad essere ancorala base per la produzione e la formazione
dell’artista neoclassico, ma allo stesso tempo ciò che cambia è la consapevolezza di questo
rapporto e come ci si colloca all’interno della storia; da qui la dicitura di “Neoclassico”: il
“neo” sta a indicare non soltanto qualcosa di nuovo e qualcosa che viene dopo, ma è
qualcosa di diverso e veramente nuovo, per cui non colloca più gli artisti all’interno di una
tradizione di continuità. È anche qualcosa legato ad un fattore filosofico e concettuale di
esperienza come qualcosa di radicalmente diverso dal passato.
Per cui, il passato diventa un modello da cui attingere, ma con un senso del frammento.
L’arte dell’800 è un’arte fatta di frammenti e rovine, con un senso della nostalgia del
passato, con una consapevolezza dell’antico negli artisti neoclassici; è per quest’idea che si
viene a creare nella cultura europea di quegli anni, che gli storici dell’arte italiani
individuano nel neoclassicismo la fase d’inizio dell’arte contemporanea.
Questo potrebbe essere messo in discussione, poiché esiste una pluralità di sguardi e una
grande linea di discontinuità.
Il rapporto con l’antico è uno dei cardini del Neoclassicismo: qual è l’antico a cui si guarda?
Dopo gli scavi archeologici di Ercolano e Pompei nel 1738, questi diventeranno dei modelli
fondamentali a cui guardare per una conoscenza più diretta alla cultura antica.
Ma non tutto il neoclassicismo può essere considerato in modo compatto, poiché ci sarà
anche chi guarderà ai modelli dell’antica Roma.
È anche una tendenza che ha come arco cronologico un’estensione molto ampia, che va
dalla metà del ‘700 fino all’800 inoltrato, poiché ancora ci sarà un’influenza stringente di
quelli che sono i modelli accademici della scultura classica.
Giovanni Battista Piranesi lavorò alle “Tavole delle antichità
Romane” nel 1748, nelle quali ci sono delle incisioni di gusto
neoclassico, con uno sguardo quasi visionario; i quattro volumi,
impreziositi da una legatura in marocchino rosso con cornici
dorate, contengono non solo le splendide tavole incise che
documentano i monumenti antichi come apparivano a metà
Settecento ai viaggiatori stranieri ed ai romani, ma anche un
ampio apparato documentario manoscritto che ci racconta una
storia interessante.
Uno degli esponenti più importanti all’interno della pittura del
neoclassicismo è sicuramente Anton Raphael Mengs (1728-1779), che ebbe un rapporto
stretto con J.J. Winkelmann (1716-1768), tra gli iniziatori degli storici dell’arte su questa
stagione ed era convinto della supremazia dell’arte greca rispetto la romana, interessandosi
soprattutto alla scultura greca.
Due testi rimangono molto importanti:
- “Pensieri sull’imitazione della pittura e scultura dei Greci” (1756);
- “Storia dell’arte antica” (1764).
L’idea di una nobile semplicità e della grandezza che contraddistingue, dal punto di vista
dell’espressione del pathos, la scultura e l’arte pittorica del neoclassicismo.
“La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una
quieta grandezza, sia nella posizione che nell'espressione. Come la profondità del mare che
resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure
greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata.”
Questa metafora del mare, che in profondità rimane sempre immobile per quanto si
increspi nella superficie, è molto nota e celebre; ci dà un’idea di quelle che sono, dal punto
di vista visivo, sia delle scelte iconografiche sia per ciò che riguarda la pittura.
Ma cosa si intende per imitazione e quali sono le arti che vengono guardate con più
attenzione da Winkelmann.
“Winckelmann descrive questo sviluppo prima come culmine di una successione di culture
figurative, da quella egiziana con le sue appendici fenicie e persiane a quella etrusca con
cenni alle appendici di questa, le espressioni sannitiche e campane (sulle quali ovviamente
ha informazioni assai vaghe), quindi come il succedersi delle fasi della cultura figurativa
greca e romana. Nell’ambito dell’arte greca e romana la parabola prevede una successione
di quattro differenti stili, corrispondenti ad altrettante epoche: lo stile «antico» a lui
essenzialmente noto attraverso le monete greche arcaiche, lo stile «alto», preparazione di
quello classico che egli mette in parallelo con la tragedia di Eschilo, lo stile «bello»,
momento più felice dell’arte greca, quello di Prassitele e di Apelle, e lo infine stile degli
«imitatori», inizio del declino, divenuto vertiginoso con l’età romana, che egli tratta
sommariamente, poiché non la considera come un’esperienza autonoma, destinata solo a
concludere la storia dell’arte antica con la fondazione di Costantinopoli” (Mario Torelli, La
mimesi di Winckelmann, 2019)
Questa impostazione di stili che vengono a susseguirsi l’uno con l’altro, che ha un culmine
che va verso un declino e un periodo di crisi, è un’idea molto lineare della storia dell’arte, è
una base che ancora oggi è quella preponderante del racconto d’arte.
Winkelmann ha una posizione non troppo dissimile da quella che gli storici dell’arte
continueranno ad avere.
L’idea dell’imitare:
“Incontro al pensare proprio io pongo il copiare non l’imitare: per il primo io intendo il
seguire servilmente, per mezzo del secondo, la cosa imitata ove sia fatta con intendimento
prende quasi un’altra natura e diviene originale.”
(Winckelmann, Avvertenza sulla considerazione riservata alle opere d’arte, 1759)
Per cui, c’è differenza tra l’imitare e il copiare; l’imitazione è qualcosa che sottintende una
capacità di rielaborazione, poiché si è compreso l’originale.
Si tratta di Anton Raphael Mengs,
“Parnaso”, 1760-61, negli anni sostenuto
dal Cardinale Alessandro Albani, per la
Villa Torlonia, dove Winkelmann lavorava
come bibliotecario; per cui, Winkelmann
poteva formarsi e visionare
quotidianamente le antichità presenti in
Villa.
È una raffigurazione del Parnaso, largamente diffusa tra I temi dell’epoca; come modelli si
avevano anche opera dell’arte rinascimentale, perchè Mengs era stato chiamato a
realizzare una copia degli affreschi di Raffaello in Vaticano, per cui aveva una conoscenza
della sua opera.
Tra ‘700 e ‘800, quest’idea dell’antico è supportata dal
discorso del Grand Tour, per la formazione della classe
intellettuale europea (l’Italia era tappa fondamentale).
Tra i personaggi più di spicco troviamo Goethe (Johann
Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe nella Campagna
Romana, 1786-87); in quest’opera abbiamo un senso di
frammento che ritorna, perché si può vedere come
venga presentato Goethe: nella campagna romana, circondato da resti e “rovine” antichi,
anche con l’edera che vi cresce sopra, per il senso di tempo che passa.
Anche Andy Warhol, nel 1982, fece
una dedica a Goethe tramite un
ritratto.
reinterpreta l’opera originale
di Tischbein, come fece poi
anche Luigi Ontani nel 1992 con
“Ehteog nel Gothe RomAmor”
(gioco di parole).

Gli scavi di Ercolano furono fondamentali per la costituzione di un clima di interesse per la
ripresa iconografica della pittura antica e ci viene in aiuto l’opera di Joseph-Marie Vien, “La
venditrice di Amorini”, che venne esposta al Salon del 1763; già
all’interno di questa composizione ci
sono serie di elemnti dell’architettura
antica, come le lesene della parete di
fondo.
La scelta dell’iconografia viene, in
maniera perissequa, da una “tavola delle antichità di Ercolano”
del 1762.
Nella Francia degli anni ’60 del XVIII secolo, c’è già prima di
David un interesse forte per l’antico e la storia dell’antichità,
da parte di artisti come Greuze, con una semplificazione e
severità maggiore di quelle narrazioni movimentate del
Rococò.
L’esempio di Jean-Baptiste Greuze è “Settimio Severo
rimprovera Caracalla” del 1769.

Jaques Louis David rappresenta il massimo esponente in Europa del Neoclassicismo,


fenomeno già attivo dalla metà del ‘700.
Incarna uno spirito rivoluzionario di questa tendenza, con un’attenzione fortissima
all’aspetto civile ed etico del fare pittura; è anche ben inserito nell’ambiente artistico
dell’epoca.
Fu membro dell’Accademia de Saint-Luc e dell’Accademia Reale di pittura e Scultura; dopo
vari tentativi, riuscì a vincere il Grand Prix, passando un lungo periodo di studio-formazione.
Fu allievo di Joseph-Marie Vien, artista che fece da accordo tra passaggio Rococò e la
severità del Neoclassicismo.
David girò per l’Italia, recandosi a Roma per il contatto con l’antico e a Napoli per gli scavi
archeologici di Ercolano e Pompei (nella tipicità del Grand Tour).
Parte con opere più didascaliche e movimentate tipiche del Rococò, per arrivare e
approdare nel 1793 con l’opera caposaldo della sua pittura per la estrema modernità
compositiva e semplicità, così classica e lineare che riesce ad
evocare quelli che erano i principi di Winkelmann, con
l’idealizzazione di un fatto di cronaca, “La morte di Marat”.
Gli esordi di Jaques Louis David avvennero con “La morte di
Seneca” (1773), in cui risente ancora fortemente di un clima
Rococò; lo si vede nell’impostazione movimentata e con
un’insistenza dei particolari, che poi verrà decantata con una
semplificazione e serietà delle forme che l’artista riuscirà a raggiungere qualche anno dopo.
L’opera con cui riuscirà a vincere il Prix de Rome (premio che gl permetteva di soggiornare a
Roma a villa Medici per poter ampliare la sua formazione) e che lo porterà sul giornale dal
1775 al 1780 in Italia fu “Antioco e Stratonice”
(1774); il tema è tratto dalle “Vite Parallele” di
Plutarco, in cui si narra e si scopre la causa della
malattia di Antioco, cioè il suo amore per
Stratonice che però è la moglie del padre. Un
medico venne chiamato a curare Antioco: il padre
e imperatore Fistrato gli fa comparire dinanzi sua
moglie e, davanti alla sua vista, il battito del
giovane si rivitalizza e si capisce che la malattia è
dovuta all’amore che prova per la moglie del
padre; quest’ultimo, per far guarire il figlio, rinuncia a Stratonice ed acconsente alle nozze
tra i due.
Questa storia è raccontata dal pittore ancora all’interno di una classicità di architetture, con
una realizzazione dei movimenti che sono ancora debitrici della tradizione dl Rococò, che in
questa fase David non ha del tutto abbandonato.
Nel 1779 David ci racconta del suo viaggio a Pompei:
“aver fatto un'operazione di cataratta: compresi che non potevo migliorare la mia maniera,
il cui principio era falso, e che dovevo separarmi da
tutto ciò che in precedenza avevo creduto essere il
bello e il vero.”
Lìimmagine della catarratta, cioè del velo che viene
tolto e non offusca più la vista, riuscendo a capire
quale sia l’essenziale.
Effettivamente, guardando l’opera “Belisario chiede
l’elemosina” del 1781, che venne esposta al Salon,
rispetto le opere precedenti, si ha un’idea maggiore di
semplicità e severità della forma, anche se le passioni ci sono: vengono espresse, ma
rimangono immobili.
Belisario, che è un importante generale bizantino, è ritratto nel momento in cui viene
riconosciuto dal soldato sulla sinistra (che fa un gesto plateale), che è caduto in miseria e
chiede l’elemosina alla donna.
È un’opera che ci parla della caducità de potere, dell’essere potenti durante la propria
esistenza ma l’avanzare del tempo colpisce tutti gli uomini; il destino umano è quello della
crisi e della morte.
Altra opera fondamentale, con cui David entrò a far parte
dell’Accademia divenendone membro, fu “Ettore e Andromaca” del
1783, sempre un tema che si rifà alla tradizione della letteratura
antica e della mitologia.
Si tratta di una composizione formale teatrale molto evidente.
Si arriva al capolavoro dei capolavori, “Il giuramento degli Orazi” del
1784-85; anche qui la composizione sembra quella di un teatro, di un
palcoscenico con delle quinte e uno sfondo tripartito, poiché tutta la
composizione si gioca su numero “3”:
- Gli archi sullo sfondo sono tre;
- I tre figli che compiono il
giuramento, che ha una simbologia
molto legata all’eroismo e al
sacrificio di sé per la patria, uno dei
temi fondamentali della pittura di
David (il suo classicismo aveva un
senso politico e morale profondo);
- Focus principale delle tre spade
tenute dal padre;
- La parte femminile all’estremità
destra del quadro, dedicata al
sentimento e parte legata al futuro,
perché ci fa vedere cosa succederà in ogni caso in una guerra, per cui si pensa già alla
perdita e alla morte.
Per cui, la gestualità del corpo e la disposizione nello spazio, da una parte essere eretti e
dall’altra parte essere accasciati dimostrando fisicamente le emozioni, quest’opera lo fa
in maniera estremamente diretta.
L’opera “La morte di Socrate” (1787) è anche
questo un tema della grande paura civile, perché
Socrate non ha paura della morte e si differenzia
da tutto il resto dell’umanità prorpio per il suo coraggio, che si può vedere anche in
questa composizione dalla gestualità del corpo.
Questo schema ritorna anche nell’opera “Bruto” del 1789; si tratta del Bruto che ha
deciso la morte dei figli traditori, quindi un tema del dissidio tra la virtù e la fedeltà verso
lo Stato alla causa della Res Publica e il sacrificio personale dei figli, restando fedeli a
Roma.
Quest’idea è resa dal posizionamento
del personaggio Bruto nell’ombra,
distrutto per la scelta difficle che ha
dovuto compiere; dietro si vedono i
corpi dei figli assassinati e la madre-
donne che stanno a simboleggiare la
parte emotiva e sofferente.
Anche questa scena è plasticamente
divisa in sezioni:
- La parte in ombra, rappresentata da
Bruto;
- Il fascio di luce, che cade sul gesto
teatrale della madre.
Ma david non è soltanto un pittore che analizza e
rappresenta la storia antica romana o il passato
mitologico; è un artista che guarda anche al presente e, in
alcuni casi, è anche un ritrattista: “Lavoisier e la moglie”
(1788), rappresenta lo scienziato accompagnato dalla
moglie; è un’opera che ci parla di quelli che sono i
progressi scientifici del clima illuminista che predomina la
seconda parte del ‘700.
È un ritratto che ha sempre uno sguardo all’antico, si
guardi la lesena sullo sfondo, ma è anche estremamente
moderna nel ritrarre i rapporti familiari: la famiglia
borghese nella quotidianità cambia, come si vede dal
gesto della moglie di Lavoisier, che è estremamente
affabile e contemporaneo dell’affettività; egli si fa ritrarre
sì con quelli che sono i simboli e gli strumenti del proprio mestiere, ma in questo caso
pubblico e privato hanno un peso quasi equivalente:
- Parte pubblica data dalla presenza degli oggetti scientifici;
- Parte privata del gesto affettuoso della moglie, che ci parla di intimità matrimoniale e
relazionale abbastanza nuova, poiché l’espressione che viene data è quella di una
famiglia borghese che ha scelto un proprio percorso di vita.
Anche altri artisti, meno eclatanti di David, lavorano su questa idea della scienza; un
esempio potrebbe essere “Esperimento con un
uccello nella pompa d’aria” di Joseph Wright of
Derby del 1768, in cui sono rappresentati dei
soggetti intenti a vedere un esperimento
condotto su un uccello all’interno di una
pompa d’aria, ampolla di vetro da cui viene
sottratta l’aria e che porterà alla morte
dell’animale: si vede come una bambina si gira
per non guardare, poiché si tratta di qualcosa
di raccapricciante.
È un quadro di estrema modernità dal punto di
vista tematico, in cui mette in mostra i risvolti della scienza e sopraffazione dell’uomo
rispetto la specie animale; lo fa in un modo estremamente narrativo, andando ad analizzare
il dettaglio in una maniera didascalica, tutto viene raccontato in una maniera iper-
dettagliata con la rappresentazione puntuale della strumentistica: cosa fa lo scienziato,
come reagiscono gli spettatori dell’esperimento, la strumentazione usata.
Per cui un quadro molto meno essenziale.
Diversamente da David, che possiede la capacità
dell’essenzialità per trasmettere un messaggio, come in
un’opera come “La morte di Marat” del 1793, una delle sue
opere più importanti.
Marat era un politico giornalista dell’epoca, vicino a
Robespierre e giacobino; quest’opera non potrebbe definirsi
un’opera di cronaca, poiché è un quadro di storia: anche se
David sta parlando di un fatto estremamente recente, lo fa
utilizzando iconografie e modelli dei grandi dipinti di storia:
qua ci sta parlando di un fatto di cronaca, ma lo sta facendo
idealizzando attraverso i modelli della classicità più alta.
Se si guarda al gesto del braccio, dove si
parcepisce la vita che sta fluendo, è un chiaro riferimento a Caravvaggio
alla “Sepoltura del Cristo” (presente nella pinacoteca Vaticana).
Esistono serie di studi con delle cere che rappresentavano il volto di Marat
assassinato e dei passaggi successivi, in cui il volto viene idealizzato e
spogliato delle smorfie di dolore che nella realtà ci sarebbero state; questo
quadro non è realistico, anche se l’artista sta rappresentando una scena in
cui sottolinea dei particolari, come il legno della cassetta oppure la lettera
di Charlotte Corve (assassina di Marat) che per farsi accogliere in casa aveva escogitato
questo tranello in cui chiedeva assistenza per la sua famiglia.
In questo cado, David vuole sottolineare ed enfatizzare il valore umano e la grande
generosità di Marat, il suo essere giusto; i pochi oggetti presenti nella rappresentazione
vanno verso quella direzione:si trova immerso nella vasca d’acqua che utilizza perché ha un
problema alla pelle, ma mentre è impegnato a lenire i propri dolori con queste abluzioni
continua a lavorare, per cui ci indica la nobità umana e civile e l’impegno intellettuale di
questo politico che quest’uomo francese ha.
È un quadro che è diviso in due metà:
- Una sezione superiore quasi monotona, attraversta solo da una luce nella parte
superiore destra;
- Una sezione inferiore, in cui si svolge la scena; troviamo due oggetti, la penna e il
coltello utilizzati dall’assassina sono visti come gli opposti, da una parte la penna
come strumento per coinvolgere e accentuare la passione civile di Marat e dall’altra
parte il coltello stumento di morte.
Anche qui tutto è molto spoglio, per eccentuare la sobietà dello stile di vita di Marat.
esaltazione delle virtù morali di Marat.
David è un artista che accogli lo spirito rivoluzionario e si fa portatore degli ideali
rivoluzionari, anche di quelli più sanguinari; sarà anche tra coloro che farà indagare alcuni
dei suoi clienti più stretti, come Lavoisiere, contribuendone alla condanna.
Dal punto di vista dell’opera, ha sicuramente una fama e una fortuna sia critica che tra gli
artisti che la guarderanno e la celebreranno pe rmolti anni; Boudelaire scriverà nel 1846 di
quest’opera:
"Questo è il pane dei forti ed il trionfo dello spiritualismo; crudele come la natura, questo
dipinto ha il profumo tutto dell'ideale.”
Questa idea del “profumo tutto dell’ideale” è interessante, perché ci fa capire come pur
descrivendo un momento storico ravvicinato nel tempo e sanguinario, David riesca a farlo
con un’idealizzazione della forma molto forte; da esempio fanno gli studi preparatori
dell’opera, in cui tra i vari disegni del volto si vede che David passò da una smorfia di dolore
a un’espressione riposata e di tranquillità, poiché muore in pace.
“Quale era dunque la bruttezza che la santa Morte lo ha così prontamente cancellata con la
punta della sua ala? Marat può ormai sfidare Apollo, la Morte lo ha ora baciato con labbra
amorose, e lui riposa nella quiete della sua metamorfosi. Vi è in questa opera alcunché nel
contempo di tenero e pungente; nell'aria fredda di questa camera, su questi muri freddi,
intorno a questa fredda e funebre vasca da bagno, si libra un'anima”.
Descrive il passaggio dalla vita alla morte il quale, attraverso quest’iconografia del braccio
che si lascia andare, sembra proprio come se l’anima stesse lasciando il corpo; per cui, un
quadro che in maniera sintetica riesce a cogliere un momento fondamentale di questo
passaggio.
In questo senso non è un quadro di cronaca o realista, nonostante esista un realismo nellla
rappresentazione: egli è un artista che conosce bene l’anatomia, che ha studiato
approfonditamente gli studi pittorici sul corpo umano, per cui ha la capacità di restituire
tutti i dettagli; allo stesso tempo, ha la capicità di sublimare il reale.
Quest’opera verrà guardata con molta anche da Picasso, “La morte di Marat” (1934), una
rivisitazione dell’opera di David, la quale è
emblematica dello scontro tra bene e male, del
passaggio dalla vita alla morte.
Rivisitazione che testimonia il dialogo che rimane tra
‘800 e ‘900, tra antico e nuovo, alla base di tutta l’arte
successiva; diviene una sorta di icona, processo di
iconizzazione che ci interessa, poiché il visivo ha
assunto delle grandi proporzioni e anche per la cultura
visiva, all’interno della quale la storia dell’arte ha un
peso rilevante. immagini che ne generano altre in momenti storici diversi.
David aderì agli ideali rivoluzionari,
venendo anche incarcerato, momento
durante il quale realizzò l’imponente
opera de “Le donne Sabine” (1794-99,
385x522 cm, Louvre): la storia
rappresentata è quella del popolo dei
Sabini, i quali cercano di riconquistare le
donne che i Romani avevano rapito, ma
queste donne avevano creato una
famiglia e rapporti stabili con il nemico;
quindi, sono le donne stesse a farsi
portatrici di un messaggio di conciliazione, di pace e armonia.
È un modo con cui David cerca di sollecitare una riconciliazione all’interno del popolo
francese, che era devastato dalla fase di terrore che seguì la Rivoluzione Francese; per cui, il
quadro è un mezzo usato per farsi da portavoce di un’esigenza di riconciliazione.
Nel quadro, si può notare la figura centrale femminile
che compie il gesto di mettersi in mezzo, cercando di
dividere i soldati delle diverse fazioni; è un richiamo
molto diretto alla donna dell’opera “Adorazione del
Vitello d’oro” di N. Poussin (1633-34), ripresa da David
in maniea molto precisa: per cui, non soltanto un
dialogo con l’antico evidente per l’ambientazione e al
guardare alla statuaria antica, ma ha anche un
dialogo con gli autori del ‘600 della pittura francese.
Altra opera molto celebre è “Napoleone valica le Alpi” (1800); sposò le idee rivoluzionarie e
con l’ascesa di Napoleone si farà portavoe degli ideali napoleonici e aderirà ai cambiamenti
che ne conseguiranno.
In quest’opera, Napoleone viene rappresentato come
un gran condottiero: si può notare la sproporzione tra
la sua immagine di lui a cavallo e le figure sullo
sfondo, poiché da parte di David c’era una volontà di
glorificazione, un’opera del genere è il trionfo per
eccellenza.
Per capire quanto egli stia celebrando la visione di
Napoleone, ne quadro è presente la scritta “Annibale”
nei sassi in primo piano, per cui c’è un collegamento
con le gesta eroiche di Annibale e un Napoleone visto
come un eroe del passato.
Quest’iconografia verrà ripresa da Paul Delaroche
(artista accademico, percerti aspetti in continuità con
l’opera di David, che sposerà determinate cose del
Neoclassicismo come l’uso della pennellata levigata; da tenere
conto che si è in un clima formale diverso, alle porte del
Realismo), con “Napoleone attraversa le Alpi” (1848): egli
rappresenta un Napoleone che valica le Alpi, ma non sul dorso di
un cavallo, bensì su un asino/somaro, in un atteggiamento più
dimesso e realistico; in realtà, si tratta di propaganda e ideologia,
è una rappresentazione di Napoleone postuma al suo esilio e alla
sua morte e non c’è più il bisogno di enfatizzare le sue opre, bensì
di mettere in sordina quello che è stato.
il discorso sulla propaganda è fondamentale per leggere le
immagini e ciò che vogliono veicolare.
Opera monumentale, che venne esposta al Salon del 1808, è “L’incoronazione
dell’Imperatore e dell’Imperatrice” (1805-07, 621x980 cm), di cui lo stesso David racconta:
“Disegnai la scena dal vivo e
fissai separatamente tutti i
gruppi principali. Annotai
quello che non potevo fare in
tempo a disegnare […]
Ciascuno occupa il posto
secondo l'etichetta, vestito
degli abiti propri alla sua
dignità. Dovetti affrettarmi a
riprenderli in questo quadro,
che contiene più di duecento
figure”; opera monumentale
completamente al servizio della propaganda napoleonica, che mostra un virtuosismo
estremo.
Per il suo legame con Napoleone, verso la fine della sua
vita, David venne esiliato passando un periodo un
Svizzera, dove si dedicò a serie di opere con temi diversi;
come “Marte disarmato da Venere” (1824), temi scelti
sempre dall’antico e dal mito, però in cui non c’è più
l’esaltazione della vistù morale: parafrasando, è un
guerriero che viene disarmato dall’amore, per cui un
quadro che continua ad avere dei legami formali con la
pittura precedente, ma in cui il sentimento rivoluzionario
non sussiste.

Questo è il percorso di uno dei più grandi esponenti del


Neoclassicismo, che in Italia vide un allargamento alla scultura; infatti, il maggiore
esponente neoclassico italiano fu Antonio Canova, che verrà considerato il nuovo Fidia e
che ebbe anche dei riconoscimenti importanti nel corso della sua carriera.
Tra le sue sculture, vi è “Dedalo e Icaro” del 1777-79, che
appartiene alla prima fase della sua carriera, una delle prime
opere che realizza quando era ancora a Venezia e che gli darà
una prima fama e gli consentirà di guadagnare i soldi per andare
a Roma (poiché era la capitale culturale), in cui ebbe l’occasione
di venire in contatto con l’antico.
Canova perse il padre molto presto e venne cresciuto dal nonno
paterno, che contribuì al suo mantenimento e alla sua
formazione mandandolo in bottega e consentendogli anche di
avere il tempo per dedicarsi allo studio dell’antico; guarda alle
collezioni di statuaria veneziane. L’esigenza di spostarsi a Roma
divenne fondamenale.
In quest’opera, ci rendiamo conto che le tematiche erano sempre riprese dalla mitologia
antica: Canova, però, non si sofferma sul moemento della caduta
di Icaro, ma nel momento in cui Dedalo sta cercando di
agganciare le ali.
Altra opera è “Teseo che siede sul Minotauro” (1781-83), in cui
non vi è un interesse da parte di Canova di illustrare il momento
della battaglia, ma ciò che avvenne dopo, per cui il momento di
quiete: Canova è forse l’artista che incarna meglio l’ideale di
Winkelmann, ossia il ritorno alla nobile semplicità, oltre al fatto
che egli a Roma fu vicino alla cerchia di Winkelmann e Mengs, per cui ci sono dei rapporti
precisi che lo collocano nell’ambiente neoclassico romano.
Vi è anche lo studio preparatorio di una delle sue opere
più famose, “Gesso dell’Amore e Psiche” (1794); Canova
ebbe una grande bottega a Roma e il fatto di essere
stato lui stesso garzone di bottega lo ha aiutato a
comprendere i meccanismi della bottega, con molti
aiutanti. Egli metteva su creta un prima idea di quella
che poi sarebbe stata l’opera finita, poi la sbozzatura
avveniva dagli aiutanti di bottega e la parte finale delle
riiniture era di sua mano (la levigatura e serie di prodotti
che rendeva la scultura più attraente e lucida).
Canova ebbe grande successo e
sarà l’autore dei monumenti
funebri dei Papi Clemente XIII
(1783-92) e Clemente XIV (1783-
87), in cui si possono vedere echi
di Bernini molto forti, in cui la
figura del defunto ha un ruolo di
primo piano.
Ma è con il “Monumento funebre
a Maria Cristina d’Asburgo”
(1798-1805, Chiesa Sant’Agostino
Vienna), che c’è una ridefinizione dell’iconografia e della struttura plastica del monumento
funebre.
Si tratta di una forma piramidale con un corteo
funebre che ha una natura estremamente umana: la
figura della defunta è rappresentata in una medaglia
(ripresa dell’antico), il corteo funebre è composto da
persone di età diverse e che ci parlano della caducità
della vita, in qualche modo rappresentano le tre età
dell’uomo (tema che attraverserà tutto l’800).
Anche il passaggio dalla luce al buio, reso dall’apertura
in un passaggio estremamente umano e non sublimato
nella religione, il destino umano in un senso molto
laico.
La scultura “Ercole e Lica” del 1795-1815, commissionata da
Onorato Gaetani dei Principi di Aragona e poi acquistata nel 1800
dal banchiere romano Giovanni Raimondi Torlonia, fa vedere
come Canova abbia appreso, grazie ai suoi viaggi a Roma-Napoli
(città fondamentali per la formazione di un pittore o di uno
scultore nell’800), tecniche che ci rimandano alla statuaria antica;
come modelli vi sono “Ercole
Farnese” del III secolo d.C.
che si trova al museo
Archeologico di Napoli e il
“Gruppo del Lacoonte”
scultura ellenistica dei Musei
Vaticani molto guardata dagli scultori di quegli anni.
Lo vediamo nella muscolatura, nella struttura a
chiasmo, che sono elementi che ci rimandano immediatamente alla statuaria antica greca e
romana.
Canova fu anche incaricato di cercare di recuperare i tesori del patrimonio italiano rubati da
Napoleone, riuscendo a recuperare molti di questi.
Riuscì anche a vedere le sculture del
Partenone, che erano a Londra e proprio
nell’ambiente londinese conobbe John Flaxman
(“Illustrazione per l’Iliade, 1805”), un artista
che rappresenta un’altra linea del
neoclassicismo perché naturalmente si rifà a
tematiche legate al culto classico e lo fa con un
gusto linearistico molto acceso e che sarà di
fondamentale importanza anche nelle
porcellane, ceramiche e arti decorative di quegli anni (grazie ai quali lo spirito neoclassico si
diffuse).
Un esempio sono anche i vasi di Josiah Wedgwood,
“Vaso che celebra l’accordo commerciale anglo-
francese del 1786” (1787) e “Vaso con l’Apoteosi di
Omero” (1786), che decorava anche suppellettili
quotidiani riprendendo le tematiche tipiche
dell’antichità e anche le forme vascolari, diffondendo lo
stile neoclassico in maniera meno legata alla pittura e alla scultura.

Uno dei temi centrali della storia dell’architettura è il modo in cui gli architetti si
relazionano con le proprie rappresentazioni, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga
attraverso materiale visivo; le sue convenzioni: ortografica, prospettica; o se è attraverso il
linguaggio.
Erano chiamati “architetti visionari”, non solo perché ripensavano all’architettura i rapporti
con la rappresentazione, con le parole o con l’immaginario, ma anche perché iniziarono a
inventare l’utopia. “architetture parlant-speaking architecture”
Per quanto riguarda l’architettura neoclassica ha, in autori come Etienne-Louis Boullè e
Claude-Nicolas Ledoux, esponeti “architetti visionari” per i progetti utopici che creavano:
- “Cenotafio di Newton” di E.L. Boullè (1784), con giochi di luci particolari e una forma
bizzarra;

- “La casa del giardiniere” di C.N. Ledoux (1775-79);

- “Progetto delle saline di Chaux” di C.N. Ledoux (1775-79, edito 1804).

Si tratta della prima industria moderna.


Oggi, quando pensiamo al processo
architetturale, un architetto ha la sua idea, la
realizza su un foglio e costruisce un modello; si
muove attraverso una serie di
rappresentazioni convenzionali: il piano, la
sezione, l’elevazione.
Una delle cose strane del XVIII secolo è che gli architetti invertono il processo;
costruiscono la costruzione e dal reale immaginano un’architettura immaginaria.
Se, per esempio, prendiamo le Saline, che oggi fanno parte del patrimonio culturale
UNESCO, esistono e sono state costruite e funzionavano come un’industria nel tardo XVIII
secolo e nel XIX secolo; ma ciò che fece Ledoux fu prendere l’industria e immaginare una
città ideale, una città utopica chiamata “la città ideale di Chaux”.
Nel 1804 Ledoux pubblicò un libro con dei suoi lavori, che intitolò “Architettura in relazione
alle Arti, ai Costumi Sociali e alla Legislazione”; in questo libro possiamo trovare una mappa
topografica e una vista prospettica a vista d’uccello della città ideale di Chaux.
Ma ci sono delle differenze tra le due rappresentazioni:
- se si guarda la mappa, si può vedere una configurazione altamente geometrica e il
teatro della produzione di sale è situata al centro in un ovale circoscritto, come se la
città fosse fortificata, con ai lati una chiesa e un tribunale; ci sono solo due strade che
vanno dentro e fuori la città: una che va da nord a sud dalla foresta al fiume e una
che va da est a ovest, gli unici punti di accesso alla città;
- se si guarda la vista propettica, si osserva un’intera esperienza differente; qui, la
topografia rivela le montagne sullo sfondo e un senso di spazio più aperto, senza più i
bastioni e una sorta di integrazione del paesaggio con la città.
Per cui, quando si guarda a questa rappresentazione, è essa stessa a parlare e non la
legenda: si hanno due grandi piazze pubbliche semicircolari, una chiesa a ovest con
uno spazio pensato per l’università di medicina e un meracto a est, bagni pubblici e
centro scambi a nord.
Questo progetto ha generato una visione di una società ideale, un’utopia; la
rappresentazione viene dopo la costruzione della struttura per generale un perfetto mondo
sociale; anche la forma geometrica del cerchio e dell’ellisse è una sorta di metafora per
l’armonia dell’esistenza tra uomo e natura:
“ogni cosa presente in natura è circolare; la pietra che cade nell’acqua genera infiniti cerchi;
la forza centripeta è incessantemente contrastata da un moto rotatorio; l’aria e i mari si
muovono in circoli perpetui…così la città di Chaux è un immenso cerchio dalla forma pura
come quella descritta dal sole…La linea che interseca il diametro delle saline attraversa il
fiume Loue, immensa la pianura, la città la foresta, il canale di Ginevra, i pascoli svizzeri; a
sinistra si trovano i grandi fiumi, il porto di Anversa e i mari del Nord portano i primi e tanto
desiderati frutti del nostro lavoro, commercio e arti negli stessi deserti della Siberia.”
Questo neoclassicismo fu una tendenza importante per generare forme che si riperquosero
nel corso dell’800; anche all’interno della scuola di David e da
artisti protetti da lui, troviamo Antoine-Jean Gros, che realizzò
“Napoleone ad Arcole” (1796); ci sono delle piccole differenze,
che poi diverranno sempre più evidenti in autori come Delacroix,
che arriveranno nella stagione romantica.
In questo dipinto, la pennellata nella capigliatura e nella
bandiera si distacca dal modello di David ed è autovedente, cioè
una pennellata che mostra se stessa e i segni del pennello sulla
tela, non è una pennellata levigata o stesa a velature; un
qualcosa che verrà ripreso da artisti come Delacroix, che
porteranno questo elemento nuovo a conseguenze più estreme.
Un’altra opera importante dello stesso autore è
“Napoleone che visita gli appestati di Jaffa” (1804),
opera che verrà guardata da artisti come Delacroix,
perché c’è un uso del colore e della contrapposizione
di colori primari e secondari molto forte, l’associazione
del rosso e del verde, quindi un uso dei complementari
che verrà guardato con interesse da artisti successivi.
Dal punto di vista della propaganda, è un quadro molto riuscito, perché ci fa vedere un
Napoleone che tocca per appurare le sofferenze dei soldati e degli appestati, può toccare
perché è talmente invincibile che non ha paura delle conseguenze sul piano fisico.
Altra opera in cui viene mostrato ed
esaltato il valore di Napoleone è
“Napoleone sul campo di battaglia di Eylau”
(1808).

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