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Neoclassicismo

Hugh Honour

Introduzione

Il neoclassicismo è un movimento artistico che si sviluppa nella seconda metà del Settecento, come
conseguenza alla cultura illuminista (epoca di grandi rivoluzioni).
Esso nasce come reazione agli eccessi del tardo Barocco e del Rococò (due tendenze artistiche che i
razionalisti del classicismo definivano teatrali, esuberanti, false, prive di gusto e di nobiltà
d’espressione poiché troppo lontane dalle regole auree dell’arte classica greco-romana a cui questi si
ispiravano).

Il termine “Neoclassicismo” viene coniato nell’800 con intento dispregiativo per indicare quello che
allora si considerava uno stile freddo e impersonale fondato sull’imitazione artificiosa della scultura
greco-romana.
Inoltre, il termine in questione mette in evidenza la sua contrapposizione con lo stile romantico
(attenzione: si tratta di una concezione tutta ottocentesca e quindi estranea al settecento).

Allo stesso modo, i termini “neoclassicismo” e “classicismo”non vennero utilizzati nel Settecento ma
coniati successivamente.

E allora che termine si usava per indicare il nuovo stile?

Critici, teorici e artisti per definire questa nuova corrente artistica utilizzavano l’espressione “vero
stile” poiché ritenevano che essa fosse una sorta di risorgimento\rinascimento delle arti.

Il Neoclassicismo è un movimento dalla breve durata che matura molto velocemente, seguito da un
periodo di decadenza e deprezzamento (svalutazione).
C’è da sottolineare però che il neoclassicismo va a degenerare in tante piccole correnti tra cui:

● Il ritorno all’ordine del periodo fascista → Negli anni 20 del ‘900 si registra un evidente
abbandono dallo sperimentalismo delle Avanguardie per ricercare un nuovo equilibrio,
recuperando linguaggi ed iconografie classici oltre che tecniche più tradizionali.

● L’architettura neoclassica del periodo fascista\nazista → architettura che proponeva un


linguaggio più sobrio, geometricamente semplificato ma non povero ed anzi di tipo
monumentale.

Durante il regime fascista l’arte neoclassica reincarnava i programmi politici più reazionari e veniva
utilizzata come potente mezzo propagandistico (come anche il giornalismo e il cinema).

Questa serie di correnti\sviluppi del neoclassicismo ha finito per oscurare il movimento neoclassico
vero e proprio e di conseguenza le sue reali aspirazioni.

Capitolo 1
Classicismo e Neoclassicismo
Un mutamento di sensibilità

Nel 1759 D’Alembert scriveva di un notevole mutamento delle idee.


Tale “mutamento” è probabilmente riferito alla filosofia ed in particolare al trionfo dei philosophes
(gli intellettuali dell’illuminismo) le cui idee non a caso erano contenute all’interno dell’Encyclopédie
(di cui lo stesso D'Alembert ne era direttore insieme a Diderot).

Nonostante ciò il mutamento di cui parla D'Alembert può essere anche applicato a:
● Arte → in particolare all’atmosfera che si iniziava a respirare all’interno dei salons
parigini, nei quali risulta evidente un cambiamento di stile decorativo più sobrio e leggero,
rispetto agli eccessi del Rococò (le decorazioni divennero meno stravaganti).
● Illuminismo → anche l’illuminismo subisce un mutamento assumendo toni più seri in
modo tale da potersi concentrare maggiormente nella costruzione di un mondo nuovo
senza più perseguire la lotta alla superstizione e al dogma.

Intanto sulla scena era entrato anche Rousseau con il “discorso sulle scienze e le arti” un’opera che diede
al filosofo molta fama ma che al tempo stesso lo allontanò dagli intellettuali illuministi (philosophes)
che lavoravano al progetto dell'encyclopédie e che avevano una concezione del progresso assai
di erente rispetto alla sua.
Rousseau infatti sosteneva che il progresso scientifico aveva:

● Incrementato la corruzione
● Indebolito la virtù civica (ovvero i valori della società civile) →in particolare l’amore del
cittadino verso la patria e la libertà.

Sempre secondo il filosofo il progresso culturale e materiale non comporta un miglioramento morale:
questo perché la vita ra nata e lussuosa conduce alla ricerca egoistica del vantaggio personale e al
disinteresse per il bene comune (evidente critica ai salons parigini che puntavano all’apparenza
piuttosto che all’essenza).

Allo stesso modo, la reazione di molti intellettuali illuministi non si fece attendere e sfociò in una forte
opposizione verso le frivolezze e il cinismo della società.

Questa reazione di opposizione trova il suo parallelo nell’arte con il rifiuto del rococò, espressione della
società dell’ancien régime dai gusti frivoli ed esageratamente lussuosi.
Si tratta di un fenomeno molto vasto che interessa tutta l’Europa seppur in modo di erente.

Siamo dunque di fronte ad un rifiuto radicale\disprezzo dei critici verso:

● Soggetti
● Elementi sensuali: charme, grazia etc… considerati immorali
● Mondanità, seduzione, virtuosismi, accorgimenti pittorici e illusionistici (di cui il
barocco e il rococò facevano ampio utilizzo).

ATTENZIONE: il Rococò non viene eliminato completamente e riesce a resistere in alcune zone sino
alla fine del secolo.

Questo atteggiamento di repulsione verso il Rococò spinge alcuni artisti come Flaxman a considerare
scultori ra nati come Rysbrack e Scheemakers come semplici artigiani (e dunque non come artisti).

A ciò consegue una diversa considerazione dell’artista e della sua funzione nella società: l’artista non
deve più rivolgere la sua arte al privato assecondando i capricci del committente (rifiutando il ruolo di
semplice artigiano) ma indirizzarla verso un pubblico più vasto (divenendo sommo sacerdote).

Per riuscire a far ciò l’artista doveva allontanarsi dalle frivolezze e dalle vuote pomposità del Rococò per
avvicinarsi ad uno stile di erente interessato a:

1. Scene virtuose → vi si attinge alla mitologia e alla storia per la rappresentazione di scene
borghesi.

2. Eroico patriottismo

Il nuovo stile cambia anche dal punto di vista tecnico; infatti si assiste a:

● Utilizzo di colori chiari e freddi (al posto dei colori pastello) stesi in modo piatto senza
tonalità chiaroscurali (non c’è più mescolanza di colori come nel Barocco e nel Rococò)
● Impiego della veduta frontale (al posto di quella diagonale barocca).

● Nessun impiego di soluzioni illusionistiche come lo sfondato barocco.

Questo cambiamento non interessa solo la pittura ma anche l'architettura, la musica e la letteratura.

Nel caso dell’architettura si assiste alla purificazione e semplificazione delle forme imponendo, contro
i toni mossi del barocco (modanature, ornamenti etc..) l’armonia e l’equilibrio del modello antico.

Nel caso della musica si assiste alla semplificazione dell’armonia; ciò significa che la musica viene
liberata dagli eccessi introdotti da compositori e cantanti e fondata su meno accordi possibili.
Le opere musicali neoclassiche dovevano essere caratterizzate da ordine ed equilibrio (un esempio può
essere Gluck con Alceste).

Nel caso della letteratura si assiste ad un ad una rivalutazione del mondo antico. A risvegliare questo
profondo interesse verso la civiltà greca e le sue bellezze è l’archeologo tedesco J. J. Winckelmann il
quale sosteneva che:

1. L’arte greca fosse l’unica ad aver raggiunto un grado di perfezione assoluto


2. Per divenire grandi bisognava imitare l’arte greca (attenzione imitazione ≠ copia).

Ovviamente non tutti i teorici e artisti del tempo la pensavano allo stesso modo sull’antichità; c’è da
dire però che nella maggior parte dei casi questa era vista come un elemento essenziale per
l’educazione di una persona colta.

In Francia la sua importanza viene espressa già con Poussin (artista del 1600) mentre in Italia una
tradizione classicheggiante aveva sempre resistito, con più o meno vitalità, dal rinascimento in poi.

In Francia, patria del barocco, per una trentina d’anni dopo la morte di Luigi XIV (avvenuta nel 1715) le
arti vennero impiegate con intento puramente decorativo.
Sarà solo quando Tournehem (zio di Madame de Pompadour) diverrà direttore generale degli edifici del
re (batiments du roi) che verrà data nuova importanza a tutta una serie di soggetti che il barocco aveva
messo da parte: il paesaggio, il ritratto, la natura morta, le scene di genere.

Addirittura per far sì che la pittura di storia ritornasse ad avere un ruolo primario, si decise di o rire
compensi maggiori agli artisti che la praticavano.

Tra le tante cose ricordiamo anche che egli fu fondatore dell’Ecole Royale, una scuola che assicurava ai
giovani studenti una vasta cultura generale, dando particolare importanza allo studio della storia,
a nché gli studenti assorbissero il culto morale degli antichi.

Dopo la morte di Tournehem, la successione del potere passò al nipote, il marchese di Vandieres (noto
come Marigny) fratello di Madame de Pompadour.
Nel 1949 il marchese e ettuò un viaggio in Italia per
studiare le recenti scoperte archeologiche di Pompei ed
Ercolano e predispose un tour per vedere altri
monumenti classici.
Dopo il suo ritorno in patria incoraggiò l’alta società
francese a guardare con maggiore ammirazione i
monumenti classici greci e romani e cominciò sin da
subito a commissionare quadri, sculture e persino
edifici dal tono classicheggiante tra cui ricordiamo
l’Ecole Militaire.

Ma ad anticipare l’architettura neoclassica è il Petit


Trianon progettato dall’architetto Gabriel. Si tratta di
un magnifico esempio di architettura del periodo di transizione dal Rococò al neoclassicismo.
La costruzione ha forma cubica e l’esterno dell’edificio è semplice ed equilibrato, l’edificio deve la sua
particolarità alle 4 facciate con 5 alte finestre e agli elementi decorativi (colonne e pilastri di ordine
corinzio).

Queste nuovi progetti architettonici prevedevano dunque:

1. Semplicità e grandiosità delle costruzioni classiche


2. L’equilibrio degli spazi
3. La simmetria degli elementi architettonici

Ben presto anche per la decorazione degli interni viene impiegato uno stile detto alla greca che,
attenzione, non prevedeva l’imitazione delle forme classiche per gli elementi di arredo ma un
ammorbidimento delle linee e degli ornamenti (per intenderci da curve sinuose a forme rettilinee e da
ornamenti capricciosi ad abbellimenti architettonici).

In pochi anni questo stile divenne una vera e propria mania (lo si ritrova ovunque: interni, esterni,
sto e, gioielli..).

In Germania, Svizzera, Inghilterra e Italia la reazione contro il rococò fu scatenata in buona parte dal
gusto francese in voga sotto Luigi XIV (il cosiddetto Revival di Luigi XIV) ma vi furono anche altri
motivi:

● In Italia, Monsignor Bottari, uno dei maggiori fautori nella lotta contro il barocco (il
rococò ebbe poca importanza al di fuori di Venezia e del Piemonte), lo associava ai Gesuiti.

● In Inghilterra, si trattava perlopiù di voler mettersi alla pari con Italia e Francia
potenziando le arti e creando una scuola nazionale.

Anche se le motivazioni del rifiuto del Rococò furono profondamente di erenti di paese in paese, il
nuovo stile ebbe una rapida di usione in tutta l’Europa e presentò caratteri straordinariamente
omogenei.

Diversi fattori contribuirono a ciò:

1. Le opere letterarie sull’arte (da Winckelmann a Mengs) → a nchè potessero essere


accessibili a tutti vennero tradotte in svariate lingue (italiano, spagnolo, inglese etc..).

2. L’a ermazione di Roma → luogo in cui gli artisti di una certa importanza facevano tappa
per studiare le opere antiche e i dipinti cinquecenteschi. (luogo di scambio di idee
artistiche).

CURIOSITA’ : l’educazione di un giovane artista non si considerava compiuta sino a quando questi non
avesse visitato la città (Roma).
Molti turisti prima di tornare in patria si facevano fare un ritratto ricordo da Pompeo Batoni.

Un quadro molto famoso di questo periodo fu il


Parnaso di Mengs (1761).

Nel dipinto, Mengs, probabilmente influenzato


dalle idee di teorici e artisti del primo
neoclassicismo, evita gli e etti chiaroscurali,
creando una composizione quasi priva di
movimento, profondità e accorgimenti
illusionistici. Per mettere in evidenza la sua
contrarietà verso il rococò ai lati del dipinto
inserì due tondi dai toni più caldi, con un più
marcato chiaroscuro e l’e etto illusorio del trompe l’oeil.

Il risorgimento delle arti

Le tendenze neoclassiche che si erano manifestate a metà del ‘700 culminarono in 3 capolavori senza
precedenti:

● Il giuramento degli orazi di David


● Il monumento funebre a Clemente XIV di Canova
● Le barrières parigine Ledoux.

Queste opere furono realizzate in anni compresi tra il 1783 e il 1789, alla vigilia della rivoluzione
francese; nonostante ciò le opere in questione non presentano un esplicito significato|richiamo
politico.

1.Jacques Louis David

Partiamo dal più grande degli esponenti dell’epoca: Jacques Louis David, il quale si forma nella sua
cittadina allora dominata ancora dal gusto Rococò.
Nel 1774 egli riceve la Prix de Rome1 che gli consente di studiare le grandi bellezze italiane. In un primo
momento l’artista non è entusiasta di questo viaggio poiché ritiene che non abbia nulla da imparare
dalle antichità ma tutto cambia quando a Napoli incontrerà un discepolo di Winckelmann tale
Quatremère de Quincy.

Da questo incontro ne nasce il Belisario che


riceve l’elemosina.

Dipinto dopo il rientro di David in Francia, la


tela narra un episodio, storicamente
infondato, attribuito a Belisario, un celebre
generale bizantino al servizio di Giustiniano:
caduto in disgrazia negli ultimi anni di vita e
ormai cieco, l’uomo fu riconosciuto da un suo
soldato - ritratto in atteggiamento di
evidente stupore a sinistra - mentre chiedeva
l'elemosina.

L’episodio era già stato dipinto


precedentemente ma mai sotto questa luce.

La vicenda rappresentata acquista qui un


significato universale: essa costituisce infatti
una meditazione sulla caducità della gloria
umana, sulla desolazione della vecchiaia e sulla necessità di conservare forza morale anche nelle
avversità.

Tutto ciò viene anche suggerito dalla sobrietà di gesti (contenuti) e colori (bassi).

Ma quest’opera si rifà ancora al Revival di Luigi XIV e risente moltissimo dello studio di Poussin.

E’ con il Giuramento degli Orazi che David raggiunge piena maturità mettendo a punto un nuovo stile
fondendo insieme forma e contenuto nel migliore dei modi.
Quest’opera rappresenta l'esito stilisticamente più alto della pittura di soggetto storico di età
neoclassica.

1
Prix de Rome → borsa di studio istituita dall’Accademia reale francese per premiare gli artisti più promettenti con un viaggio a
Roma.
Per il soggetto David si ispirò alle
vicende degli Orazi narrate da Tito
Livio ma anche all’Horace di Pierre
Corneille

L’episodio è assai noto: Nel corso


della guerra tra Roma e Albalonga
(nel VII secolo a. C.) si decise di
mettere fine al conflitto con uno
scontro diretto tra tre fratelli Albani,
i Curiazi, e tre fratelli romani, gli
Orazi.
Dopo la vittoria, l’unico superstite
Orazio uccise la sorella colpevole di
aver pianto la morte di un Curiazio a
cui era promessa in sposa.

Ma attenzione: l’Orazio superstite


aveva mostrato un ammirevole
spirito patriottico ma una forte
mancanza di autocontrollo.

Per tali ragioni, dopo aver eseguito un disegno preliminare fondato sulla versione di Livio, David decise
di abbandonarlo e rappresentare un momento che NON trova riscontro nelle fonti: quello del solenne
giuramento con il quale i tre giovani Orazi, di fronte al padre, programmano di essere disposti a
sacrificare la loro vita per la Patria.

Il messaggio morale, l’esaltazione del patriottismo ed il mantenimento\rispetto degli ideali politici,


viene ra orzato dalle scelte stilistiche di David (semplicità dell’ambiente, purezza del colore etc..) che
non permettono di distogliere l’attenzione dal soggetto principale ed anzi mettono in risalto l’eroismo
del gesto patriottico.

Un elemento che va sicuramente notato è che al coraggio e alla determinazione virile si contrappone la
rassegnazione femminile per le conseguenze fatali di tale decisione.
A sottolineare la distinzione tra fermezza maschile e femminile abbandono al dolore è il disegno
anatomico:

● Orazi → muscolatura tesa e potente resa attraverso contorni netti.


● Gruppo delle donne → mollezza data da un linearismo fluente.

La resa scultorea delle figure e la loro disposizione all’interno della scatola prospettica fanno pensare
immediatamente ai bassorilievi romani.
In realtà David deve questa sua impostazione alla teoria accademica insegnatagli all’Ecole che
frequentò per ben vent'anni; è anche vero però che in questo processo egli dovette confrontarsi con la
scultura antica e le descrizioni di Polignoto, facendo riferimento anche alle composizioni ad unico
piano di Perugino e forse anche a quelle di Giotto.

2. Antonio Canova

Altro grande esponente di questi anni fu Antonio Canova.


Come David, anch’egli iniziò la sua carriera a contatto con il Rococò; solo dopo il 1780, quando
Solo dopo un viaggio a Roma eseguito nel 1780 e nel quale entrò in una cerchia internazionale di artisti
e teorici elaborò un nuovo stile abbandonando ciò che fino ad allora aveva sperimentato.
Il risultato fu Teseo e il Minotauro morto.
L’artista scelse di non rappresentare il momento dello
scontro tra le due figure ma, su suggerimento di
Hamilton, di cogliere l’eroe nel momento di riposo e
riflessione successiva all’episodio, il momento di calma
dopo la vittoria.

L’opera è vista come un simbolo della sua conversione


stilistica: il naturalismo veneziano (la pelle e le viscere
del mostro) e l’idealismo (bellezza tipica di un eroe
classico).

L’opera conferì a Canova i titoli di “restauratore” e


“continuatore della tradizione classica” assicurandogli
un ruolo di primo piano sulla scena romana e diverse
importanti commissioni tra cui i due monumenti funebri
papali (a Papa Clemente XII ed a Papa Clemente XIV)

Nel suo
Monumento
funebre a Clemente
XIV, egli decise di mettere fine a molte delle soluzioni barocche
applicate sino ad allora ai monumenti funebri papali (panneggi
vorticosi, marmi policromi, ricchezza di elementi ornamentali e
accorgimenti illusionistici) per approdare verso qualcosa di
nuovo, con un evidente richiamo alle severe critiche di
Winckelmann.

L’artista infatti trasforma le personificazioni dell’umiltà e della


temperanza in soggetti che compiangono la morte del papa in
silenzio e con profondo dolore.

Queste soluzioni furono ampiamente apprezzate da tutti gli artisti


e critici più avanzati come ad esempio Milizia che dichiarò come
l’opera sembrasse “scolpita nel miglior periodo dell’arte greca”.

Forse David vide i modelli di questo monumento mentre stava lavorando al Giuramento degli orazi.
Questo principalmente per alcune similarità come:

1. L’insistenza sull'orizzontalità
2. Le figure di profilo o perfettamente frontali

Un analogo esempio di giustapposizione delle parti


lo possiamo vedere con Le barrières parigine
Ledoux, un’opera che va insieme al giuramento
degli orazi di David per via del linguaggio altamente
semplificato e al Monumento papale di Canova per
via dell’impiego di forme geometriche pure.
Essa era costituita da una pianta a croce greca
sormontata da un cilindro. Le colonne ed i pilastri
sono tuscanici senza base e volutamente severi (non
hanno alcuna funzione pratica).
Capitolo 2
La visione dell’antichità
Ercolano e Pompei

Il mutamento stilistico che si verifica a metà del ‘700 è stato spesso associato ad un maggiore
comprensione ed interesse nei confronti dell’antichità.
Si potrebbe pensare che ciò sia dovuto principalmente alle scoperte dei siti di Ercolano e Pompei
(rispettivamente negli anni 1738 e 1748); in realtà la causa sarebbe da ricercare nella reazione contro il
Rococò.

Questo nuovo atteggiamento nei confronti dell’antichità durante il Settecento può essere colto
guardando alla mitologia pagana ed in particolare alla considerazione degli dei pagani nei diversi secoli:

● Cristianesimo → condannati come illusioni o demoni maligni dai padri cristiani

● Medioevo → considerati come allegorie

● Rinascimento → trasformati in simboli

● Barocco → a servizio della chiesa e dello stato (alcuni a protezione di famiglie principesche
italiane)

Nel Settecento gli dei pagani vennero sottoposti ad una severa critica razionalistica e ritenuti:

1. O invenzioni di tiranni e sacerdoti


2. O benefattori dell’umanità (inventori dell’arte di fare il pane, il vino etc..)
3. O simboli di fecondità

Nonostante ciò, gli dei pagani riuscirono a sopravvivere nell’arte come tipi di bellezza fisica ma è anche
vero che sul finire del secolo erano veramente pochi i committenti che ne facevano richiesta e ancor
meno gli artisti disposti ad accontentarli.
Al posto dei satiri, fauni e dei, reputati immorali e assurdi, cominciarono ad essere proposti nuovi
soggetti come guerrieri, legislatori e grandi filosofi dell’antichità.

Ritornando alle scoperte di Pompei ed Ercolano, si può notare come inizialmente vennero accolte con
estrema freddezza (alcuni si dimostrarono persino scettici sulla veridicità della scoperta).

Non c’è alcun dubbio che i ritrovamenti più importanti relativi agli scavi dei due siti siano le pitture
parietali di grandi dimensioni poiché si trattava di qualcosa di estremamente raro; ma queste vennero
accolte con perplessità e poco entusiasmo e reputate abbozzi dallo stile approssimativo (anatomia
scorretta, espressioni deboli, colori poco ra nati ..) che non avevano niente a che vedere con le opere
classiche, tanto che Winckelmann ipotizzò che esse dovessero appartenere all’epoca di Nerone.
L’unico che si mostrò entusiasta fu Hamilton insieme agli antiquari e ai mercanti.

Questo profondo disappunto si intensificò quando, mentre i teorici settecenteschi criticavano la


moralità del Rococò proponendo il neoclassicismo come stile puro e incorrotto, l’Accademia ercolanese
pubblicò un volume in cui erano presenti incisioni di lampade e amuleti di forma fallica.

Le pitture parietali di Ercolano e soprattutto di Pompei furono delle ottime fonti per ricostruire in modo
corretto i particolari di ambienti e abiti ma servirono poco e niente come fonte di ispirazione stilistica.

Difatti furono veramente pochi gli artisti che se ne servirono:

● Mengs → realizza una sola imitazione di una pittura di ercolano; si tratta di un falso
volutamente eseguito per tentare di ingannare Winckelmann.
Vien → riprende la disposizione delle figure e i soggetti per
realizzare l’opera “Venditrice d’amorini” dove egli, rispetto
all’originale modifica alcuni aspetti:

1. Riempie il fondo vuoto


2. Inserisce arredi in stile Luigi XIV
3. Fa compiere a Cupido un gesto osceno
4. Fornisce alle figure un atteggiamento aggraziato

Nella “Vertueuse athénienne”


vediamo invece un un altare
antico che
avrebbe
fornito in
seguito agli
ebanisti il
modello per
un mobile
decorativo
che venne
chiamato
"athénienne"

Tuttavia, nonostante il culto dell’antichità si stesse di ondendo piuttosto


rapidamente, furono davvero pochi i tentativi di imitare il mobilio greco.
Vediamo solo qualche esempio:

- Robert, Sedia (1787) → sedia con particolari marginali ripresi dalla tradizione etrusca (non
è nuova nella forma, né antica).
- James Watt, altare romano → combina insieme un altare romano con un vaso greco
- Wedgwood → servizio da tavola etrusco in porcellana.

Questi oggetti, insieme ai quadri di Vien, sfruttavano il culto dell’antichità per fini puramente
decorativi.

Piranesi e Winckelmann

In questo contesto si aprì un dibattito sui meriti dell’architettura greca e su quella romana.
In particolare si schierarono da una parte i sostenitori filoromani, convinti che l’architettura fosse
giunta ad un elevato grado di perfezione grazie ai romani e dall’altra i sostenitori filoellenici, i quali
credevano fermamente che l’architettura romana fosse una semplice derivazione di quella greca.

In tale polemica si distinsero due grandi personalità del tardo ‘700:

● Giambattista Piranesi → a favore di Roma (filoromano)


● Johann Joachim Winckelmann → a favore della Grecia (filoellenico)

Il primo si formò a Venezia e solo nel 1744 si stabilì a Roma.


Le rovine antiche della città erano per lui testimonianza vivida della gloria antica dell’impero romano
e presto divennero fonte di ispirazione per le sue incisioni.

Egli infatti, a ascinato dalle antichità della città eterna, iniziò a produrre numerose incisioni in molte
delle quali emerge una dimensione visionaria, quasi onirica. Un esempio lo possiamo vedere con Castel
Sant’Angelo, trasformato in una titanica montagna di pietre.
La potente immaginazione di Piranesi influenzò personalità come Fuseli, il quale realizzerà un disegno
intitolato “l'artista commosso dalla grandiosità delle rovine antiche” ma provocherà anche parecchia
delusione in chi, come Goethe e Flaxman, si era creato delle grosse aspettative poi disattese (questi
infatti trovarono le rovine meno grandiose di quanto Piranesi avesse fatto credere con le sue incisioni).

Piranesi era fermamente convinto che la magnificenza romana si esprimesse attraverso la massa, ed
ecco allora che nelle sue incisioni:

1. Accentua la compattezza\solidità di muri e bastioni


2. Ricerca la scala ciclopica: muri molto alti e profondi
3. Realizza le vedute d’interni in uno spazio illimitato con volte e cupole che appaiono
so ocate dalla muratura che le sovrasta.

Nel 1761 il teorico scrisse un libro molto polemico intitolato “Della magnificenza ed architettura de’
romani” nella quale egli sosteneva che gli etruschi avessero portato le arti (pittura, scultura e
architettura ma anche matematica e arti tecniche) al loro massimo splendore che venne poi tramandato
dagli stessi ai loro eredi, i romani, e degradata dai greci.
Lo scopo di Piranesi era quello di far capire agli architetti la necessità di liberarsi della teoria
accademica per creare un nuovo stile ispirato all’architettura romana.

Egli ebbe ben poche occasioni per mettere in pratica le sue idee architettoniche; stranamente l’unico
edificio da lui costruito, la Chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma, risulta assai anonimo e privo di
quella sua potenza immaginativa.
CURIOSITA’: P. realizza un candelabro come ornamento per la propria tomba composto da frammenti
di marmo antico: elementi di troni, altari, sarcofagi, vasi, colonne etc…

Il pensiero di Piranesi si di use mediante le sue incisioni e molti architetti, tra i quali Soane e Ledoux,
ne trassero spunto per le proprie realizzazioni.

Il secondo si comporta esattamente come Piranesi ma nell’ambito dell’arte greca.


W. a erma che le statue antiche non sono semplicemente delle reliquie di una civiltà ormai scomparsa
ma opere d’arte vive che incarnano lo spirito greco e che pertanto possono destare l’interesse degli
uomini.
Prima di W. la parola “antichità” indicava un periodo che andava dal V secolo a.C. al regno bizantino di
Foca (imperatore); è sotto lo storico dell’arte che viene sviluppato un metodo storico per lo studio delle
opere antiche basato sulla suddivisione della storia dell’arte greca in 4 periodi storici:

1. Stile primitivo (quello che oggi noi chiamiamo arcaico).


2. Stile grandioso (quello di Fidia-prima metà del V secolo a.C.).
3. Stile bello (quello di Prassitele e Lisippo seconda metà del V secolo).
4. Stile d’imitazione (l’Ellenismo che perdura sino alla caduta dell’impero romano).

Per supportare la tesi della superiorità dell’arte greca rispetto ad altre, W. fece uso di una teoria in voga
all’epoca nella quale si a ermava che clima e ambiente fossero in grado di influenzare il genere
umano.
Ecco allora che per via del clima mite e dell’ambiente democratico (democrazia nata sotto Clistene e
portata avanti sotto Pericle) i greci divenivano la razza più bella mai esistita.
Per contro gli egizi venivano considerati come brutti uomini dai piedi piatti poiché erano il prodotto del
clima torrido e di un governo dispotico e pertanto incapaci di rappresentare la perfezione del genere
umano.

Winckelmann fu particolarmente colpito dall’Apollo del Belvedere di Leocare, una scultura che a suo
parere incarna la massima espressione della classicità.

«L’Apollo del Belvedere rappresenta il più alto ideale artistico fra tutte le opere dell’antichità sfuggite alla
distruzione.»
Per quanto l’Apollo del Belvedere fosse stato profondamente ammirato sin dalla sua scoperta avvenuta
nel ‘400 mai ricevette un elogio come quello di Winckelmann; ciò aprì le porte alla critica soggettiva ed
impressionistica dell’arte.
Winckelmann dunque non si limitò a suggerire regole e norme per fissare i nuovi canoni neoclassici, ma
invitò il pubblico a emozionarsi davanti alle opere antiche e ad accendere il proprio spirito di fronte
alla loro bellezza.

Lo storico dell’arte si spinge oltre a ermando che:

«L’unica via, per noi, per diventare grandi e se possibile inimitabili, è l’imitazione degli antichi»

Questo invito all’imitazione degli antichi però è stato a lungo frainteso: si credette infatti che con la
parola imitazione si intendesse copiare l’antico; ma Winckelmann non giunse mai a teorizzare la copia
che per giunta aveva un carattere servile ma a produrre opere in modo creativo, ispirandosi ai principi
regolatori dell’arte classica.
Solo in questo modo, imitando cioè l’arte antica, l’artista moderno poteva giungere alla nobile
semplicità e quieta grandezza.

Il pensiero di Winckelmann probabilmente influenzò molto di più scrittori e committenti che artisti;
persino personalità contrarie al suo pensiero come Herder.

Omero

Nel ‘700 si assiste ad una profonda rivalutazione del poeta greco Omero; ciò attesta e spiega il
cambiamento di posizione nei confronti dell’antichità e del valore e fine di tutte le opere antiche (dalla
letteratura all’arte).
Agli inizi del secolo Omero era considerato uno dei più grandi poeti antichi; solo Dante e Shakespeare, i
due giganti moderni, potevano stargli alla pari.

Ma qualcosa stava per accadere.


Il secolo in questione vide molteplici traduzioni dei poemi omerici, in particolare dell’Iliade: si va da
Cowper il quale accentua l’antichità usando versi sciolti miltoniani fino a Voss che con lo stesso intento
utilizza gli esametri megalitici2.
Tra tutte le traduzioni la più importante venne eseguita da Alexander Pope. Il poeta inglese tradusse il
poema ra orzandone la modernità inserendo un paesaggio pastorale e ampliando gli epiteti (elementi
sconosciuti al poema omerico).

Il poeta si spinse oltre dichiarando che:

“i poemi omerici sono un intrico di selvagge bellezze da poter migliorare attraverso l’uso di falcetto e
forbici”.

In altre parole Pope sta dicendo che i poemi omerici sono opere grezze da poter rifinire.

Dopo una tale dichiarazione in molti si accanirono contro lo scrittore inglese; un esempio lampante è la
traduttrice francese Mme Didier che lo accusava di giudizio ingiusto e malevolo asserendo che nessuno
sarebbe mai riuscito a raggiungere la perfezione della poesia di Omero. Controbattè con queste parole:

“lungi dall’essere un intrico di vegetazione incolta, l’iliade è il meglio ordinato e simmetrico dei
giardini che mai ci sia stato”.

Anche se a prevalere fu l’opinione di Pope, è interessante notare ciò che accadde in seguito ovvero un
generale apprezzamento delle opere antiche nella loro sostanza (così com’erano).
Da qui ebbero la loro rivalsa le tragedie greche di Eschilo, tradotte per la prima volta in inglese e
francese, le opere di Esiodo e Pindaro etc…
Questo nuovo atteggiamento fece sì che venisse prodotto e in seguito messo in circolazione il più
grande falso del secolo: i Canti di Ossian di James Macpherson.
Si tratta di un’opera che l’autore pubblicò in modo anonimo, facendo credere che si trattasse della
traduzione di una raccolta di antichi canti gaelici, attribuiti ad un leggendario cantore bardo chiamato
Ossian.
Sin da subito furono in molti a mostrarsi entusiasti: da Goethe che nei dolori del giovane Werther
scrisse “Ossian ha sostituito Omero nel mio cuore” sino a l’abate italiano Cesarotti che abbandonò il
suo commento a Omero per dedicarsi alla traduzione di Ossian.

Il fervore fu così forte che Ossian fu definito l’Omero del Nord; questo perché Macpherson cercò in ogni
modo di fare meglio di Omero, correggendo quelle che negli anni 60 erano state considerate le sue
deficienze.

Ciò risulta evidente se osserviamo le numerose di erenze tra i due poeti:

● Mentre l’elemento di superstizione di Omero coincideva con divino, per Ossian


corrispondeva agli spiriti i quali possono prendere forma di ricordi, visioni in sogno e
premonizioni senza avere un ruolo decisivo nella vita degli uomini.

● Nelle faccende erotiche Omero era molto spinto; Ossian rimane estraneo ad esse.

● Gli eroi di Omero erano spesso bugiardi e dall’atteggiamento infantile ed insistente,


quelli di Ossian nobili d’animo come se fossero stati educati secondo i progetti di Marco
Aurelio e Cicerone

Quello che è interessante notare è che Macpherson da vita ad un prodotto che rispecchia esattamente il
pensiero dell’epoca.
In altre parole i suoi poemi ci mostrano la poesia primitiva e di conseguenza la vita primitiva così
come il tardo settecento voleva vederla (rude, non ricercata, priva di immoralità ma non di
sentimento).

E questo stesso atteggiamento lo ritroviamo in moltissime rappresentazioni neoclassiche dei temi


omerici: artisti e committenti preferiscono soggetti che mostrano la loro nobiltà d’animo e l’eroismo
piuttosto che qualsiasi forma di sensualità (ciò è evidente per esempio in David che per il suo Paride ed
Elena cercò di non cadere nella lascivia o in Fuseli che nella rappresentazione di Achille ai funerali di
Patroclo si rivolse ad Omero per trovarvi temi che esprimessero in primis emozioni semplici e incorrotte
e in secundis la naturale nobiltà delle azioni eroiche).

Capitolo 3
Arte e politica

Legare l'arte alla politica e alle condizioni sociali era un modo di pensare abbastanza di uso nel
Settecento illuministico (lo vediamo con Winckelmann e Shaftesbury).
Tuttavia più guardiamo da vicino i singoli artisti e le loro opere d’arte più risulta di cile associare la
rivoluzione artistica a quella politica.

Per analizzare le possibili motivazioni politiche degli artisti dobbiamo fare un breve excursus sui fatti
accaduti durante gli anni della rivoluzione:

● 1788 →la situazione già precaria per via della crisi economica ed agricola si inasprì
ulteriormente per via dell’aumento del prezzo del pane aggravando così la miseria dei ceti
popolari e facendo crescere il numero degli a amati. Una grande responsabilità di tale
crisi andava attribuita alla monarchia: il re Luigi XVI sperperò denaro a piene mani per
mantenere la corte, l’esercito e la burocrazia, ma incassava assai meno di quanto
spendesse anche perché la nobiltà e il clero, le due classi più ricche, non pagavano le
imposte. Di fronte all’aumento del deficit divenne urgente fare una seria riforma del
sistema fiscale che tassasse tutte le classi in proporzione alla ricchezza posseduta
abolendo i privilegi goduti da clero e nobiltà.
Di fronte alla minacciosa riforma fiscale, clero e nobiltà passarono al contrattacco
chiedendo la convocazione degli Stati Generali che a loro giudizio era l’unica istituzione
che poteva approvare qualsiasi forma di tassazione.

● 1789 → Luigi XVI cercò di contrastare in ogni modo la ribellione nobiliare ma alla fine
dovette cedere e fu costretto a convocare gli Stati Generali.
Questi si aprirono con un duro scontro sui meccanismi di voto poiché nobili e clero
volevano il voto per stato mentre il terzo stato (ricco borghesi e contadini) voleva il voto
per testa:

Non arrivando ad un accordo il terzo stato si proclama assemblea nazionale: dichiaravano


di essere i veri rappresentati della nazione francese composta per il 98 % da non
privilegiati.
Di fronte alla fermezza del terzo stato il sovrano dovette ordinare a nobiltà e clero di unirsi
all’assemblea che venne così trasformata in assembela costituente.
Malgrado le apparenze permaneva uno stato di conflittualità che sfociò in un'aperta
sommossa quando si di use la notizia che il re intendeva sciogliere con la forza
l’assemblea costituente.
Così ottocento parigini si diressero verso la Fortezza della Bastiglia (simbolo di tirannia e
assolutismo) e la distrussero. Segue una vera e propria devastazione di Versailles poiché il
re si rifiutò di approvare i decreti di legge proposti dal terzo stato (soppressione dei diritti
feudali e l’uguaglianza di tutti davanti alla legge);

● 1793 → dopo svariate peripezie il re Luigi XVI venne decapitato e la Francia diventò una
Repubblica.

Gli artisti non presero parte alla rivolta nobiliare; c’è però da dire che in buona parte essi si mostrarono
inizialmente favorevoli al cambiamento dell’assetto sociale e politico: Ledoux fu imprigionato durante
la rivoluzione, molti artisti furono finanziariamente rovinati come Greuze che non riuscì a trovare più
committenti, altri furono ridotti in povertà o esiliati.
Ben presto però vediamo come tale atteggiamento cambia: molti artisti si pronunciano contro la
rivoluzione come Flaxman.

In tale contesto si distinse particolarmente J. L. David, considerato il “perfetto artista politico” anche
se il legame tra la sua arte e la politica non risulta così immediato.
Di grande importanza è la descrizione che ne viene data dai suoi contemporanei: David è sì un
rivoluzionario ma è anche parecchio opportunista.
Questo suo modo di essere risulta evidente se analizziamo alcune delle sue opere; prendiamo ad
esempio il Belisario, un’opera passata alla storia come manifesto di denuncia nei riguardi
dell’aristocrazia e in particolare verso tutti i re (soprattutto Luigi XVI).
Ma scavando a fondo scopriamo che essa venne commissionata proprio dalla corona francese.

Questa forte componente di ambiguità nelle opere di david scatena numerose polemiche; la più violenta
spetta al Giuramento degli Orazi, un’opera che per via del soggetto ra gurato è stata interpretata come
un sentito appello ai valori politici della Roma repubblicana e dunque come un manifesto della
rivoluzione.

Tuttavia, David non dipinse la scena con l’intento di sollevare messaggi rivoluzionari contro il regno;
l’opera aveva il solo scopo di sollecitare il sentimento collettivo e il sacrificio per la patria e a questo
punto non stupisce sapere che in Francia a questa data il patriottismo implicasse lealtà verso il re.

Fu solo in seguitò che gli ambienti della Rivoluzione francese trasformarono il dipinto di David in opera
di propaganda.

Allo stesso modo nessuno è in grado di chiarire se


l’opera I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli,
terminata prima dell’inizio della rivoluzione, veicoli
un messaggio antimonarchico o meno; ciò che è certo
è che quest’opera contribuisce ad accrescere il rigore
morale e il senso del dovere pubblico.
Protagonista del dipinto è infatti Lucio Bruto
personaggio della Roma antica che scacciò il re
Tarquinio il Superbo e instaurò la Repubblica,
divenendo quindi simbolo della lotta contro la
tirannide.

Il soggetto iconografico del dipinto riguarda però un


altro episodio, più tardo, della vita di Bruto; quando, divenuto console, non esitò a condannare a morte i
propri figli colpevoli di aver cospirato per abbattere la Repubblica.
Nonostante il soggetto ra gurato, David pone l’attenzione sul piano emotivo, escludendo dalla scena
qualsiasi riferimento politico.

Piccola parentesi: con il Giuramento degli Orazi e I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli David
espresse gli ideali di tutti quegli intellettuali che di lì a poco sarebbero stati trascinati dal fenomeno
della Rivoluzione (moralità, diritti, fede nella ragione, amore e sacrificio per la patria).

La situazione cambia quando, nel 1790, David riceve


dal club dei giacobini (di cui lo stesso David ne
faceva parte)l’incarico di eseguire un quadro
commemorativo che ra gurasse l’atto formale di
disubbidienza al re: Il giuramento della Pallacorda
con il quale il terzo stato giura di non sciogliersi
finchè non avrà una costituzione.

E’questo il primo esempio documentato di opera


politica in David.

ATTENZIONE: il riferimento politico non è stato


proposto solo perché più tardi David diventa un
politico attivo (deputato prima, presidente della Convenzione dopo).

Particolarmente interessante è il disegno di Maria Antonietta condotta alla


ghigliottina in cui l’artista, nonostante avesse votato per la sua decapitazione,
rivela tenerezza per la donna.
Si tratterebbe di uno schizzo a penna eseguito dall’artista pochi istanti prima la
decapitazione della donna (1793).
E’ un documento estremamente prezioso dal punto di vista storico, in quanto
rappresenta il ritratto più veritiero a noi giunto dell’ultima regina di Francia.
Da citare poi è la grande tela delle Sabine; i primi schizzi
furono realizzati quando David era in prigione (in
quanto amico e sostenitore di Robespierre).
La tela è una sorta di invito alla deposizione delle armi
a nché si possa raggiungere la pace nazionale dando
fine
al regime del terrore (fenomeno successivo alla
Rivoluzione).

David quindi diventa l'artista chiave per ogni discorso


sull'arte e sulla politica di questa epoca.
Ma ci sono stati altri artisti che seguirono la sua scia:

Nel 1799 uno dei suoi migliori seguaci, Pierre Narcisse


Guérin espose al Salon un quadro ra gurante Il ritorno di
Marco Sesto un romano esiliato da Lucio Cornelio Silla
ritornato in patria per trovare la moglie ormai morta e la
figlia distrutta dal dolore.
Quest’opera fu percepita dagli emigrati francesi che
proprio quell’anno erano rientrati in patria come
un'allegoria della loro condizione.

Ma è alquanto incerto che fosse stata questa l’intenzione


dell’artista al momento dell’esecuzione nel 1797.

A tal proposito,
Canova in una
lettera del 1799 o re un esempio della facilità con la quale
un’opera d’arte poteva essere legata all’attualità.

Nella lettera Canova racconta di un gruppo di francesi che


frequentavano il suo studio e che rimasero particolarmente
colpiti dal gruppo scultoreo di Ercole e Lica supponendo che
l’opera rappresentasse Ercole che gettava in aria la monarchia.

In conclusione un’opera d’arte veramente politica non deve


lasciare spazio ad ambiguità che generino mal interpretazioni.
L’opera d’arte politica dunque deve veicolare un messaggio
schietto e il più diretto possibile.

La funzione educativa dell'arte

Nel 1793 Leopold Boilly fu accusato della realizzazione di dipinti troppo osceni per la morale
repubblicana. In realtà l’artista non si spinse mai oltre un delicato erotismo; tuttavia le sue opere
risultano frivole e poco serie. Lebrun, membro della società popolare, definì le sue opere
controrivoluzionarie, utili solo ad alleviare la noia.

Nel Settecento furono oggetto di critica e successiva condanna non solo i soggetti artistici ritenuti
immorali e licenziosi ma anche tutte impurità di stile.
Per tali ragioni divenne essenziale impartire all’artista una precisa formazione intellettuale con la quale
egli fosse in grado di realizzare opere animate da un serio intento morale.
Se nel primo Settecento sotto Luigi XIV il compito dell’arte era quello di celebrare la gloria e tutte le
virtù annesse alla regalità, dal 1774 in poi sotto D’Angiviller le cose cambiano: l’arte viene ora
impiegata al fine di educare il popolo attraverso esempi di coraggio, sobrietà, patriottismo e rispetto
delle leggi.
I risultati più elevati in tal senso si hanno con David (in particolare con il Giuramento degli Orazi e i
Littori che riportano a Bruto i corpi dei suoi figli).

L’idea che l’arte potesse servire come esempio morale ed educativo a onda le proprie radici in epoca
romana con i busti ritratto.

Ed ecco che, dopo essere stato messo da parte nell’epoca successiva al Rinascimento, sulla metà del
‘700 il desiderio di celebrare uomini illustri (soprattutto filosofi e scrittori) attraverso la scultura
marmorea o bronzea torna a manifestarsi di ondendosi in tutta Europa.

Numerosi monumenti furono eretti per rendere omaggio a personaggi scomparsi da tempo: da Galileo
in Santa Croce (Firenze), a Shakespeare nell’abbazia di Westminster sino a Cartesio a Stoccolma.

Questo culto fu particolarmente intenso in:

● Inghilterra → la regina Carolina nel 1732 fece erigere busti a Locke (filosofo) Newton
(scienziato) Wollaston (fisico e chimico) e Clarke (filosofo) nell’Hermitage del suo
giardino.

● Italia → dal 1776 in poi a Roma busti di artisti e scrittori, tra cui quello di Winckelmann, si
accumularono nel Pantheon.

Sul finire del secolo, la tendenza dell’arte come esempio educativo,viene estesa anche ai monumenti
architettonici dedicati a idee generali o a singoli individui: è il caso del Cenotafio di Isaac Newton un
progetto eseguito dall’architetto Etienne Louis Boullée volto a ricreare un modello in miniatura
dell’universo (le cui dinamiche furono scoperte proprio dallo scienziato inglese attraverso la legge
gravitazionale).

Durante il settecento si di use tra gli illuministi la convinzione che la grandezza dei potenti si
misurasse attraverso la cultura (arte e letteratura) e che non dipendesse quindi dalle conquiste
territoriali e\o materiali; ciò contribuì ad accrescere l’importanza dell’arte.

In questo contesto si registrano due grandi avvenimenti:

● Si moltiplicano le Accademie
● Nasce il museo pubblico

Il primo museo pubblico nacque in Germania: si tratta del “Fridericianum” costruito nel 1769 in stile
classico ed ospitante statue classiche, una biblioteca ed una collezione di storia naturale.
In Italia i Musei Vaticani circa nello stesso periodo vengono dotati di innovative sale per l’esposizione
delle antichità volute da Papa Pio VI.

Tuttavia, non si può ancora parlare di museo pubblico in senso moderno: le collezioni esposte al loro
interno infatti non erano destinate a tutti ma solo ad alcune classi sociali (permangono dunque
distinzioni di ceto).

Bisogna aspettare la fine del Settecento perché l’opera d’arte venga considerata patrimonio
dell’umanità, un bene da custodire non più nei palazzi sotto forma di collezionismo privato accessibile
a pochi ma nei pubblici musei in modo da garantire a tutti il diritto di prenderne visione e, qualora si
avessero gli strumenti necessari, di compiere studi approfonditi per ampliarne le conoscenze.

Questa è una delle concezioni che il mondo moderno ha ereditato dal Neoclassicismo.
Artisti e committenti

La tendenza dell’arte come esempio educativo fu ben accolta dal ceto medio (borghesia), il quale tra
l’altro ebbe un ruolo importantissimo nella maturazione del gusto tardo settecentesco sia a livello
artistico che letterario.

E’ questo il periodo in cui giunge a piena fioritura il romanzo che trova l’interesse più vivo nel pubblico
borghese il quale sceglie letture meno frivole e più seriose con il puro intento di ampliare la propria
conoscenza e aprirsi al miglioramento (non leggono dunque per diletto).

In ambito artistico, il ceto medio, che non possedeva grandi spazi per l’esposizione delle opere, né
poteva permetterseli, cominciò a partecipare sempre più assiduamente alle esposizioni pubbliche.
Ed ecco che Parigi, Londra e alcune città italiane diventano mete frequentatissime soprattutto dal
pubblico borghese: solo i salons parigini ospitavano numeri altissimi di visitatori (700 al giorno).

Oltre all’aumento delle esposizioni pubbliche, nel Settecento si registra un’intensa di usione della
stampa (corrispettivo visivo del romanzo).
Grazie a quest’ultima fu possibile divulgare in tutta l’Europa illustrazioni ed opere: è il caso dei
quadri omerici di G. Hamilton e delle illustrazioni dei poemi omerici di Flaxman.

Le stampe più di use e gettonate ebbero come oggetto avvenimenti contemporanei.

Anche la visione della società nei confronti degli artisti è destinata a subire un grosso mutamento: se
prima venivano considerati come semplici artigiani alle dipendenze del committente, ora vengono
riconosciuti come professionisti.
Di conseguenza cambiano anche i rapporti con la committenza e l’artista si avvia verso l’indipendenza
artistica.

Per quanto riguarda le opere d’arte, la tipologia artistica più di usa tra i membri della borghesia fu il
ritratto ma, sebbene in precedenza la classe media era solita farsi ritrarre con fare nobile ad imitazione
delle classi sociali più alte, con il nuovo secolo inizia ad essere figurata così com’è realmente.

Ciò risulta evidente ad esempio


con Reynolds e il ritratto di
Baretti (che legge un libro) e
David con il Ritratto di Leroy (un
ginecologo al lavoro tra libri e
apparecchi di vario genere).
Si tratta di ritratti diretti e
concreti, privi di pose
importanti o gesti retorici, in
cui i soggetti risultano collocati
in una semplice atmosfera
familiare.

Questo genere artistico non era riservato


solo ai borghesi che esercitavano una
professione: molti furono i membri dell’alta nobiltà che vollero essere
ritratti allo stesso modo.
A lungo andare anche gli esponenti delle classi inferiori poterono avere
il loro ritratto (spesso di famiglia): ne è un esempio il Ritratto di un
uomo e dei suoi figli (artista anonimo).
Ma anche in questo caso si assiste ad una variazione: vengono eliminati
tutti gli elementi che contrassegnavano il vecchio ritratto proletario
(stracci, mani callose, rughe, piedi scalzi) che tanto divertivano i ricchi.
I nuovi ritratti mettono in evidenza il calore, la semplicità e la dignità,
tutte caratteristiche identificative di queste umili famiglie.

Nel tardo Settecento ampia di usione spetta anche agli studi scientifici: sono parecchie le opere
scientifiche o pseudoscientifiche, puramente divulgative o contributi alla conoscenza, che iniziano ad
avere ampia circolazione.
Gli studi in questione non trovano espressione solo nei libri ma anche:

● Nella creazione di Musei di storia naturale


● Nella richiesta di quadri “scientifici”, rappresentazioni scientificamente esatte di animali,
piante, formazioni geologiche, cieli, fenomeni naturali etc..

In questo contesto nasce la cosiddetta Lunar society un'associazione i cui membri si riunivano
periodicamente per compiere esperimenti scientifici oltre che per dibattere su varie questioni che
ruotavano intorno alla politica, alla letteratura, alle arti e alla filosofia.
Tra gli esponenti di spicco di tale associazione ricordiamo: James Watt, Benjamin Franklin e Josiah
Wedgwood.
Gli esponenti della Lunar Society si distinsero per il loro essere politicamamente progressisti tanto da
essere tra i primi a chiedere l’abolizione della schiavitù; artisticamente si legarono al neoclassicismo
(razionalizzante e semplificatore) che presto si rivelò essere adatto alla produzione industrializzata (si
pensi solo a Wedgwood con la sua produzione ceramica ispirata alla pittura vascolare greca).

L’artista che più rispecchia gli interessi della Lunar society è Joseph Wright; egli oltre a ritrarre diversi
membri dell’associazione manifestò un grande interesse verso i fenomeni naturali e il progresso
industriale; inoltre si rivelò essere fortemente a ascinato da tutti quei soggetti che gli permettevano di
indagare attorno alla luce: il chiaro di luna che filtrava oltre una rovina, una candela che illuminava una
statua antica, l’eruzione di un vulcano etc..

Tuttavia sia per l’artista che per i membri della Lunar Society il più importante prodotto della natura
attorno al quale indagare rimaneva l’essere umano con le sue emozioni.
E proprio queste ultime divennero un elemento fondamentale nei quadri di Wright of Derby (basti
pensare all’Esperimento su un uccello con una pompa pneumatica dove viene collocata una giovane
fanciulla piangente per la sorte di un povero uccellino).

Capitolo 4
La natura e l’ideale

Se osserviamo il modus operandi di Antonio Canova riusciamo a scorgere un evidente contrasto tra i
bozzetti di partenza in terracotta e le opere finite in marmo: le prime risultano immediate e di gran
lunga più suggestive rispetto alle seconde fredde, ferme e calcolate.

I bozzetti dell’artista sono estremamente significativi poiché si legano alla prima fase di sviluppo del
processo creativo, quella in cui l'artista tenta di dare forma alle sue idee.

Tra i vari bozzetti spicca quello che restituisce la prima idea,


poi variata, dei celeberrimi marmi di Amore e Psiche.
Qui c’è un evidente tentativo da parte dell’artista di mettere
a fuoco una possibile soluzione che risolva il problema del
rapporto tra le due figure.
Gli studi compositivi eseguiti attorno al soggetto in
questione permetteranno di avere come risultato finale
una composizione geometricamente equilibrata.

Il bozzetto di Amore e Psiche è così astratto e generico che


potrebbe essere scambiato facilmente per “Venere che
incorona Adone” a cui Canova stava lavorando negli stessi
anni.
Prima di giungere alla realizzazione in marmo dei gruppi scultorei, l’artista passava attraverso fasi
intermedie di elaborazione:

● Prima fase → realizzazione di schizzi a penna o a matita

● Seconda fase → produzione di piccoli bozzetti tridimensionali in terracotta

Attraverso queste prime due fasi l’artista sperimentava diverse soluzioni compositive per il soggetto
pensato.
Quando l’artista si reputava soddisfatto si passava alla terza fase.

● Terza fase → realizzazione del modello finale in creta a grandezza naturale; su


quest’ultimo veniva colato uno strato di gesso liquido; una volta solidificatosi si otteneva
un calco (forma negativa) del modello in creta, all’interno del quale veniva colato
dell’altro gesso. Così facendo si otteneva una copia del modello in creta che veniva poi
utilizzata per il riporto dei punti (si prendevano le coordinate di alcuni punti della scultura
per poi riportarli sul blocco di marmo).

● Quarta fase → Realizzazione definitiva dell’opera in marmo.

Questo metodo permetteva di valutare l’e etto generale dell’opera prima di porre mano al marmo.

Tutta l’opera di Canova è tesa tra naturalismo e idealizzazione, ma cosa si intende con questi due
termini?

- La natura → tutto ciò che non è deformità o alterazione, tutto ciò che non è stato
modificato dalle mode o dalle consuetudini locali.
La natura era spesso considerata come un insieme di leggi e di principi che governavano il
funzionamento del mondo e che potevano essere scoperti e compresi attraverso
l’osservazione e l’analisi scientifica.

- L’ideale → concetto più astratto e filosofico. L'ideale è tutto ciò che può essere visto solo
attraverso l’immaginazione.
La bellezza ideale si fonda sulla selezione delle cose più belle in natura (cioè quelle
purificate da ogni imperfezione).

In altri termini, la natura è bella, ma la sua bellezza è relativa; se l’arte vuole celebrare la vera bellezza,
quella universale, riconosciuta da tutti, deve andare oltre ciò che gli occhi vedono. L’artista dunque
aveva un compito arduo: purificare la natura da ogni difetto e rendere la sua bellezza perfetta e ideale.

Per fare ciò l’artista doveva studiare la natura e le opere in cui questa “selezione” era già stata
compiuta in particolare le opere greche in cui gli artisti avevano impiegato secoli per capire come
costruire forme perfette.

Altro concetto chiave del periodo è la distinzione tra copia ed imitazione.


Secondo i neoclassici, imitare significava studiare e osservare le grandi opere del passato. L’intento era
quello di prendere spunto dall’antico per giungere ad una rielaborazione personale del soggetto.
Ciò non era nelle corde di tutti ma solo di coloro dotati di capacità intellettive ed inventive.

La copia era invece considerata come puro artigianato.

Dall’inizio del ‘700 l’attività scultorea che prevedeva la mera copia di opere classiche era richiestissima
e fu sinonimo di guadagno economico per molti artisti.
Canova e Thorvaldsen si rifiutarono con decisione a tale prassi: in particolare, il secondo agli inizi della
propria carriera decise di realizzare le proprie sculture in gesso (il marmo aveva un costo elevatissimo)
perché non convinto di trovare qualcuno che le comprasse. Ne è un esempio il suo Giasone realizzato in
marmo solo dopo che Thomas Hope lo richiedette.
Il modello antico a cui Thorvaldsen si ispirò fu probabilmente il Doriforo di Policleto, ma dovette rifarsi
anche ad un disegno di Carstens per Gli Argonauti.

Questo è un passaggio importante poiché da qui si dà il via all’emancipazione degli scultori che adesso
possono lavorare anche senza commissione.

Durante tutto il XVIII secolo, soprattutto nel Nord Europa, viene spesso richiesto agli architetti di
impiegare, per la realizzazione dei nuovi edifici, elementi architettonici desunti delle antiche rovine
romane come: capitelli, colonne, motivi ornamentali etc…
Qualcuno si spinse addirittura a richiedere la riproduzione di interi edifici.

ATTENZIONE: qui non parliamo di imitazione ma di semplice riproduzione.

Gradualmente però l’architetto neoclassico si mostra incline ad inventare nuovi ordini sempre nel
rispetto dello spirito classico: in tal senso ricordiamo Latrobe che riprese la forma canonica del
capitello corinzio greco sostituendo le foglie d’acanto con foglie di tabacco e pannocchie.

In conclusione possiamo dire che artisti e progettisti cominciarono ad abbandonare le soluzioni


Rococò per aderire a soluzioni ben più sobrie e solide ispirate ad oggetti greci e romani.
Anche oggetti come vasi e zuppiere, sedie e tavoli sono di chiara ispirazione greco-romana: un
chiarissimo esempio è la salsiera di Boulton la quale combina insieme le forme del Kantharos e del
Kylix (due coppe usate durante i banchetti per bere il vino) con la decorazione scultorea romana.

Gli artisti neoclassici cominciarono ad avere una piena coscienza di sé: non si consideravano semplici
imitatori ma restauratori del vero stile.
Convinti che l’arte dovesse rivolgersi all’intelletto e alla percezione dei sensi, non vedevano di buon
occhio gli e etti di colore e materia perché ritenuti superficiali ed ingannevoli.
Difatti, il colore secondo la loro concezione, mascherava la purezza delle forme essenziali (come fanno
gli abiti sul corpo umano deformandolo).
Al colore si preferivano le pure e semplici linee di contorno (in tal senso, il settecento vedrà molti artisti
che faranno della linea di contorno il loro punto di forza, il più conosciuto è senz’altro Flaxman).

Il nudo neoclassico

Per quanto riguarda la rappresentazione del nudo nel ‘700, l’artista è obbligato a rifarsi ai modelli del
passato (statue antiche si intende), anche perché i modelli che posavano al tempo erano oltre che rari
poco soddisfacenti.
Gli artisti perciò cercavano dei modelli privati che potessero posare per loro. Non era a atto una ricerca
semplice e spesso si finiva in una serie di inconvenienti: è il caso di Bouchardon che cercando un
modello per il suo Cupido finì a sbirciare dei ragazzini che facevano il bagno nella Senna, per poi
avvicinare a sé quello che
che gli sembrava più adatto, o rendogli del denaro in cambio.
Ebbene si, l’unico esito che ottenne fu l’esser frainteso e portato alla polizia.

E’ chiaro che tutto ciò confinava l’artista in serie di coltà.


Un grande sussidio agli artisti però veniva fornito dalle raccolte di calchi in gesso delle statue antiche,
tanto che si cominciò a far posare gli stessi modelli in atteggiamenti simili.

Esempio pratico: Nella “Morte del Capitano Cook” di Zo any, Cook è ra gurato nell’atteggiamento del
Galata morente, la figura a destra invece è modellata sul Discobolo della collezione Townley e così via.

Vedi immagine sotto


Dunque, la statuaria antica diventava una seconda natura a cui far riferimento per la realizzazione del
nudo: utile sia per la ricerca delle pose, sia come guida per l’ottenimento di un’opera d’arte ideale.
In e etti, se ci pensiamo, gli scultori greci furono i primi a raggiungere la forma perfetta a livello
anatomico (in particolare nel periodo classico V-IV secolo).

L’obiettivo dell’artista neoclassico era quello di rimuovere ogni tipo di erotismo in favore di una resa
più pura, semplice e innocente del nudo.
Il nudo veniva accettato solo se rispecchiava questa concezione.

Molti furono gli esponenti del periodo a condividere tale concezione:


nel 1770 una serie di letterati commissionò a Pigalle, scultore francese,
la realizzazione di una scultura che ra gurasse il filosofo Voltaire, il
quale doveva essere ra gurato quasi completamente nudo se non fosse
per la presenza del succinto panneggio posto intorno ai fianchi.

Ancora una volta il modello viene ripreso dall’arte antica (vedi ad


esempio l’a resco di Socrate rinvenuto in una casa di Efeso).
In questo caso però abbiamo una grossa di erenza: il filosofo infatti
non è rappresentato nel pieno delle sue forze come si era soliti fare in
antico ma nelle vesti di un uomo ormai vecchio e stanco dal dorso
scarno e le gambe secche.
Agli occhi dei moderni quest’immagine viene letta come il trionfo dello
spirito sulla fragilità del corpo ma i contemporanei non la videro allo
stesso modo e la sua ra gurazione fu ampiamente discussa (fu
addirittura condannata da Quincy per essere troppo naturalistica e
troppo poco eroica).

Se la ragione fosse architetto

Durante il corso del ‘700 vi è una ricerca costante volta al raggiungimento di una maggiore semplicità e
purezza formale; ciò risulta evidente soprattutto in architettura, la quale approda al cosiddetto
primitivismo radicale, uno stile architettonico che vede l’utilizzo di forme semplici e primitive, ispirate
a quelle delle antiche civiltà, evitando le forme elaborate tipiche del Rococò e del Barocco.

Difatti, una delle ambizioni più sentite dalla prima generazione di neoclassicisti fu proprio quella di
liberarsi degli eccessi del Rococò.
Di conseguenza questi ultimi tornarono a confrontarsi con l’architettura antica e ne approfondirono lo
studio: i risultati ottenuti vennero pubblicati in manuali che gli architetti potevano consultare per
purificare e correggere il loro stile.

In un primo momento tali volumi vennero utilizzati perlopiù come spunti per la realizzazione di
elementi decorativi all’antica, allora di moda, che non di erivano molto da quelli Rococò.
Nonostante ciò, alcuni architetti, tra i quali Sou ot (Parigi) e Robert Adam (Inghilterra),
preannunciarono l’inizio dell’architettura geometrica (la quale avrà molta importanza in seguito).

Vediamo un esempio: La Chiesa dedicata a Saint-Geneviève, nota anche come Pantheon di Parigi, in cui
il progetto rompe
con gli stili
precedenti (Rococò e
Barocco) grazie alla
perfetta simmetria e
al rifiuto di qualsiasi
eccesso decorativo.
E’ molto importante
notare come la
severa regolarità
classica e la
monumentalità
romana si combinino insieme dando vita ad una straordinaria leggerezza, simile a quella degli edifici
gotici.

In questa, così come in altre architetture, si legge una nuova concezione dell’architettura: il desiderio
di risalire alla pura semplicità.

A metà del secolo, grazie all’attività archeologica, vennero messi a disposizione i primi disegni accurati
dei templi dorici greci; l’ordine dorico cominciò ad essere considerato il più puro e incorrotto tra gli
ordini architettonici poiché più virile e spoglio di ornamenti superflui.
Non contento, Ledoux, uno degli architetti più radicali del periodo, volle semplificare ancor di più
l’ordine in questione rimuovendo le scanalature (secondo lui non era abbastanza rude con esse).

Un’altra via per il raggiungimento dell’ideale architettonico venne rappresentata dalla geometria.
Tuttavia, vennero prese in considerazione solo alcune forme geometriche, le più pure e regolari
secondo gli architetti, quali: il cubo, la sfera, il cilindro, la piramide e il cono.

Alcuni architetti si avvicinarono sorprendentemente a questa assoluta purezza e semplicità.

Ciò lo vediamo ad esempio con il Palazzo


dell’Ammiragliato (Leningrado, opera di
Zacharov), in
cui vi è una
sezione sferica
che poggia su
un cilindro, la
quale a sua
volta poggia su
un cubo
massiccio
interrotto al
centro da un arco semicircolare o ancora con il Teatro anatomico di
Gondouin che si compone di un semicilindro e di un quarto di sfera (un
mezzo pantheon praticamente).
E’ interessante osservare che in tal periodo comincia a dilagare il cosiddetto ritorno alla natura, una
concezione filosofica nata come reazione contro l’illuminismo e la società urbana. I pensatori che
aderirono a tale concezione sostenevano che la natura fosse la fonte di tutta la verità e la bellezza e che
l’uomo dovesse vivere in armonia con essa per raggiungere la felicità e la pace interiore.

Il ritorno alla natura trovò riscontro in molte delle arti visive, compresa l’architettura. Molti architetti
del tempo come Vanbrugh, Kent e Lancelot Brown cominciarono a mostrare una maggiore attenzione per
il paesaggio circostante.
L’obiettivo era quello di integrare insieme edificio e natura in modo armonico, sempre tenendo conto
delle forme geometriche pure.

Esempio pratico: Latteria di Rambouillet, un edificio donato da Napoleone a Maria Antonietta e costruito
dall’architetto Jacques Thevenin.

Il Caseificio è costituito da due stanze:

● Prima stanza → detta “ Sala Tonda” al cui centro è posta una tavola rotonda in marmo.

● Seconda stanza → detta “Sala di Refrigerio” a forma di galleria, con in fondo una grotta
che ospita la statua della ninfa
Amalthée con accanto una capra.
La sala è decorata con diversi
medaglioni e due bassorilievi.

Questo stabilimento era destinato alla


degustazione dei prodotti caseari preparati negli
annessi vicini.

In questo caso siamo di fronte alla combinazione


di: sfera e cilindro (due elementi regolari) e grotta
(elemento irregolare).

Questa insistenza sulla purezza, semplicità e


chiarezza volumetrica nell’architettura trova
corrispondenza anche nella pittura con le
rappresentazioni a puro contorno come ad
esempio nell’opera del pittore austriaco Koch
intitolata “Paesaggio eroico con arcobaleno” in cui
l’architettura
Il concetto appare più chiaro dalle incisioni di
Carstens. Ne “Gli Argonauti” le colonne della
sala sono ridotte a semplici cilindri coronati da
capitelli rettangolari.

Le idee che stanno alla base della nuova


concezione architettonica erano state proposte
dall’abate italiano Carlo Lodoli (una delle
figure più importanti dell’illuminismo italiano)
negli anni 40.
Sembra infatti che Lodoli volesse eliminare
dall’architettura tutti gli elementi decorativi in
quanto privi di funzionalità e puramente
accessori.

Egli sosteneva inoltre che l’architettura dovesse basarsi su criteri matematici: simmetrie, proporzioni
etc.
Questo avrebbe consentito di creare strutture visivamente armoniche.

I nuovi ideali architettonici furono inizialmente accolti con scetticismo e ostilità da molti committenti
privati: ciò per via del fatto che questi nuovi principi erano troppo radicali e lontani dalle tradizionali
forme architettoniche.
Se ci pensiamo infatti, i committenti privati erano abituati alla visione barocca\rococò di edifici
riccamente decorati; dunque non erano ancora pronti ad accettare uno stile più minimalista e austero.

E’ per tali ragioni che le manifestazioni architettoniche più significative vedono edifici pubblici di
carattere monumentale (porte di città, ospedale, carceri, caserme etc..).

Un elemento particolarmente interessante da osservare riguarda la fantasia degli architetti: infatti, in


un periodo così poco prospero in termini economici in cui le possibilità di costruire si erano pressoché
ridotte all’indispensabile, gli architetti cominciarono ad elaborare progetti (potremmo dire utopici) per
lo più destinati a concorsi accademici: è il caso del Cenota o di Newton, un'immensa biblioteca
concepita come monumento del sapere piuttosto che come luogo dove custodire libri.

Capitolo 5

Senso e sensibilità.

Il culto della sensibilità potrebbe apparire in contrasto con gli ideali neoclassici (razionalità, bellezza
formale etc..); tuttavia, non è così.
Difatti nel Settecento, la sensibilità diventa un elemento chiave sia in ambito letterario che artistico.
Artisti e scrittori miravano alla creazione di opere toccanti, capaci di istruire e migliorare moralmente
un individuo.
In ambito letterario ebbe gran successo il romanzo sentimentale. Scrittori come Richardson o
Rousseau, considerati esponenti maggiori di questo genere letterario, miravano a colpire la sensibilità
del lettore attraverso scene toccanti e personaggi dai sentimenti complessi e profondi.

Molto importante è anche la scelta del soggetto che doveva evocare l’interesse e il sentimento
pubblico.
Si prediligevano scene tratte dalla mitologia e dalla storia antica perché più familiari al pubblico; la
popolarità delle storie illustrate aumentava la probabilità che lo spettatore riuscisse a relazionarsi con il
soggetto dell’opera e di conseguenza emozionarsi.
L’interesse per l’aspetto morale e sentimentale spinge gli artisti a trattare in modo nuovo soggetti già
illustrati da altri in precedenza: lo abbiamo già visto con David e il suo Belisario o con Greuze e il suo
Rientro dell’ubriacone; tuttavia la trasformazione più significativa spetta al tema della carità romana.

Il soggetto della Carità Romana ebbe un gran


successo nel periodo post rinascimentale e nel
Seicento;
Nella maggior parte dei casi si trattava di opere
eseguite per esercitare la propria abilità pittorica
e che spesso ra guravano una donna con il seno
scoperto (allegoria della giovinezza) intenta ad
allattare un uomo anziano (allegoria della

vecchiaia).
Inutile dirlo ma in questi casi era molto facile
cadere nella lascivia. (vedi immagine sopra).

E’ con G. Schick, artista tedesco, che il tema viene


a rontato in modo nuovo, con una semplicità e un
vigore tali da farla quasi sembrare una pietà.

Questo interesse per l’e cacia emotiva delle opere


d’arte si lega al concetto del sublime.

Ma cos’è il sublime?

● Il sublime è un concetto estetico riferito alla capacità di suscitare una vasta gamma di
emozioni forti e contrastanti (ammirazione, terrore e meraviglia..).

Il termine è stato spesso impiegato per descrivere la grandiosità sovrumana di certe opere, inspiegabile
attraverso criteri critici.
Inoltre, il concetto di sublime si lega a quello di genio: entrambi infatti sono associati all’idea di
eccezionalità e trascendenza.

Il modo neoclassico di morire

Era piuttosto raro che i critici d’arte dinanzi a scene di morte non
impiegassero il termine “sublime”.

Grimm, ad esempio, di fronte al Dipinto Andromaca che piange


Ettore di David, si espresse con le seguenti parole:

“la scena è la più accattivante, la più sublime, la più patetica”

Ciò non stupisce poiché si tratta di scene particolarmente toccanti


e colme di sentimento le quali, nella maggior parte dei casi,
causano allo spettatore emozioni forti e contrastanti.

L’artista neoclassico a ronta il tema della morte in modo assai


di erente rispetto ai suoi predecessori.

Ma vediamo cosa cambia:


● Abolizione della dimensione erotica tipica del barocco → ora i soggetti vengono ra gurati
in pacato riposo senza nessuna accentuazione sensuale (non c’è lo sfinimento erotico
tipico delle opere seicentesche).
Confrontiamo due opere per a errare meglio il concetto:

Le due opere sopra illustrano l’oltraggio a


Lucrezia, episodio per cui la nobildonna romana,
violentata da Sesto Tarquinio, deciderà di suicidarsi per la brutalità subita.

La prima opera risale al Seicento e mostra una sensualità e un erotismo tali da suscitare non poche
polemiche all’epoca. Questa forte accentuazione erotica è completamente assente nella seconda opera
realizzata da Hamilton nel 1623.
Un’ulteriore di erenza sta nel momento scelto per la ra gurazione dell’episodio: nel primo caso
l’istante in cui Lucrezia viene immobilizzata e minacciata dal suo aggressore; da lì a poco subirà la
violenza; nel secondo, quello in cui la nobildonna si suicida trafiggendosi il petto con un pugnale.

● Abbandono dell’immagine classica della morte → ora grazie a Winckelmann, il quale


durante lo studio di una tomba antica aveva descritto le due figure scolpite, Morte e Sonno,
come due bei giovani che tenevano delle torce rovesciate, si abbandona la vecchia
immagine dell’orribile scheletro per lasciare spazio ad una rappresentazione diversa.
La ra gurazione più significativa in tal senso è il genio della morte di Canova (impiegato
nel monumento funebre a Papa Clemente XIII) che
diventa espressione dell’aspirazione alla pace eterna.

In generale però, i pittori preferiscono accostare la calma della


morte all’agitazione della vita: ciò risulta evidente nell’opera
Andromaca piange Ettore di David in cui si evidenzia la quiete
dell'eroe ormai defunto e l'agitazione, il dolore e l'inquietudine della
donna e del figlio in vita.

Un e etto più intenso


poteva essere
raggiunto attraverso le
scene di battaglia in
cui l’eroe raggiunge la
quiete eterna mentre
gli eserciti ignari
continuano a
combattere: è il caso de
La morte del generale Wolfe (1779) ad opera di West, in cui
Wolfe muore nel momento del trionfo, intensificando così l’eroismo e la moralità dell’episodio.

● Laicizzazione della morte → se in precedenza la morte era spesso rappresentata come un


evento religioso o mistico in cui angeli e santi guidavano il defunto verso l’aldilà, col
nuovo secolo la questione cambia.
Difatti, ora la morte viene considerata come un evento naturale e inevitabile della vita.

Le nuove scene di morte pongono l’attenzione su diversi aspetti, in particolare:

1. Sul turbinio di emozioni provato da chi rimane in vita.


2. Sulle figure che circondano il morto\morente che in alcuni casi assumono addirittura un
ruolo centrale nella scena.

Nel Funerale di Milziade del pittore francese Peyron,


tutta l’attenzione viene rivolta alla figura maschile posta
a destra. Si tratterebbe del figlio di Milziade, Cimone, il
quale per garantire al padre una degna sepoltura, si farà
imprigionare al suo posto.
Questo consente al pittore di esaltarne la nobiltà
d’animo e la pietà filiale.

Nel Bruto di
David, tutto
il dramma
della scena
si focalizza sulle reazioni dei familiari: Bruto, seduto sulla
sinistra in penombra, è distrutto dal dolore; la moglie, in
preda alle urla, regge la figlia maggiore che per la so erenza
si accascia perdendo i sensi.

Nella figura di Bruto risulta evidente il conflitto interiore


che lo tormenta: il viso è contratto, i piedi accavallati.

Diverso è il discorso su “La morte di Marat”;


L’assenza di figure secondarie e la nota “A Marat, David”,
sono due chiari elementi che permettono allo spettatore di
capire che non si tratta solo di una scena di morte ma di un
tributo verso Marat, che l’artista considerava un martire
della Rivoluzione francese.
L’intento di David è dunque quello di esortare
l’osservatore a meditare attorno alla figura di Marat.

David ha inserito pochi particolari, essenziali però a


comprendere la scena:

● La lettera a Charlotte Corday (sua assassina)


● Il coltello, strumento di martirio
● Calamaio e penne, simboli della sua vocazione.

2
Pietà filiale → concetto che include il rispetto e la devozione per i genitori, la cura dei loro bisogni, la preoccupazione per il loro
benessere e il desiderio di onorarne la memoria dopo la loro morte.
Questi elementi fanno luce sulla semplicità della vita svolta da Marat e, ancor di più, sulla crudeltà con
la quale egli fu ucciso.

Diventa chiaro dunque che l’obiettivo di David sia quello di esaltare le virtù eroiche di Marat e di
rendere emozionante e densa di significato la sua morte.
Difatti l’artista non sceglie di ra gurare l’istante in cui Marat viene assassinato ma il momento
immediatamente successivo, quando ormai l’orribile gesto è stato compiuto e il corpo inanimato di
Marat mostra la cruda realtà della morte.

E evidente poi il richiamo alla classicità: la nudità è tipica degli eroi classici ed i filosofi morenti.

I 3 dipinti di cui abbiamo parlato sono laici.


Tuttavia, il nuovo atteggiamento nei confronti della morte e dell’immortalità si registra anche nelle
opere religiose (in particolare nei monumenti sepolcrali).
Le nuove opere non vedono più l’impiego di simboli religiosi (la croce e lo scheletro ad esempio) e
allegorie (prediletti invece durante il Seicento).

Vediamo qualche esempio:

Monumento funebre per la tomba della


duchessa Maria Cristina ad opera di
Canova.

Riprendendo un’idea che aveva già


elaborato dal 1790 al 1795 per un
Mausoleo in onore di Tiziano, poi non
realizzato, l’artista propose una
composizione semplice con una serie di
simboli immediatamente comprensibili.

Davanti ad una piramide bianca, si snoda


un gruppo di figure che si dirige verso una
porta, aperta e oscura, che dà sul niente.
In alto la personificazione della Felicità,
accompagnata da un putto alato, regge un
ritratto a bassorilievo di Maria Cristina
incorniciato da un serpente che si morde
la coda (emblema arcaico
dell’immortalità).
A destra un angelo\genio della morte si appoggia ad un leone, simbolo della forza morale.
Sul lato opposto la pietà che porta nel sepolcro le ceneri della defunta, contenute entro un’urna,
accompagnata da due fanciulle.
In coda la Beneficenza conduce un vecchio cieco dalle gambe incerte, a ancato a sinistra da un
bambino seminascosto.

Il monumento o re due chiavi di lettura:

1. Rappresentazione di una cerimonia funeraria antica in cui il corteo di piangenti


accompagna le ceneri del defunto verso il sepolcro.

2. Allegoria delle tre età dell’uomo (per il gruppo di sinistra composto da un vecchio, una
donna e un bambino).

A di erenza di altri, questo monumento funebre non si configura come un epita o o un necrologio ma
come un’elegia, in grado di veicolare il tema universale della morte che coinvolge l’intera umanità.
Comprendiamo dunque che il vero soggetto dei monumenti funebri di Canova è il dolente ricordo che i
sopravvissuti hanno dei cari defunti, di fronte alle cui tombe piangono, rimpiangendo il tempo
trascorso insieme e ormai perduto.

Il paesaggio neoclassico

Nel 1800, in occasione della prematura morte di Christine Boyer, consorte di Luciano Bonaparte,
l’artista francese Antoine Jean Gros eseguì un suo ritratto.
La donna, nel pieno della sua giovinezza, è ra gurata in piedi mentre, con sguardo malinconico,
osserva una rosa che viene trascinata dalla forza dirompente dell’acqua.

Citiamo questo dipinto perché racchiude in sé una novità NON di


poco conto: se osserviamo con attenzione l’ambiente attorno al
quale si svolge la scena, noteremo un importante cambiamento:
il paesaggio non è più quello selvaggio e ostile tipico dei dipinti

precedenti ma assume un carattere più romantico e ideale, ispirato


ai paesaggi letterari Omerici e Virgiliani.
Diversi sono anche i riferimenti alla classicità: templi, statue etc..

Ma vediamo qualche esempio concreto:

Parco di Stourhead → nel 1744 i giardini della tenuta Stourhead


furono
a dati a
Henry
Hoare.
Questi
riuniscono
molti degli
elementi
del
paesaggio virgiliano come templi e grotte
con tanto di iscrizioni (per esempio, in una
delle grotte del parco compaiono incise le
parole che la sacerdotessa nella grotta
dell’Averno rivolge ad Enea).

E’ chiaro dunque che dietro la realizzazione di questi parchi e giardini ci sia un intenso studio dei poeti
greci e latini.

Latteria del Castello di Rambouillet → costruita nel 1785 per volere del Re, si trattava di un edificio
segreto, nascosto da una palizzata di ramature.
In questo luogo Maria Antonietta e le sue dame di corte potevano assaporare i piaceri di una vita
bucolica e semplice, ispirata al mondo incorrotto di poeti e pastori.

La struttura mostra similitudini con un tempio classico. La facciata prevede un ingresso dotato di due
colonne e di un frontone nel quale campeggia un medaglione in marmo che ra gura una mucca
mentre allatta il suo vitello.
Attraversato l’ingresso si giunge presso una sala, detta sala rotonda (vedi paragrafo “se la ragione
fosse architetto"), sormontata da una cupola ornata da foglie e ghiande, un chiaro riferimento alla
natura. Lungo il perimetro della stanza vi sono delle tavole sostenute da mensole; qui vi si deponeva il
vasellame in porcellana destinato a servire il latte.

La cupola è un elemento che ha lo scopo di legare insieme la perfezione geometrica con la semplicità
della vita bucolica\arcadica.
Oltrepassato questo primo ambiente si accede alla seconda sala, detta Sala del Refrigerio, un ambiente
oblungo destinato al diletto e al piacere (a di erenza del primo riservato alla raccolta del latte e alla
fabbricazione di crema, burro e formaggi).
Sul fondo sorge un ammasso di rocce monumentali nel cuore delle quali si erge in tutta la sua grazia la
ninfa Amaltea.

Edifici di questo genere venivano ammirati sia per la loro bellezza che per la loro capacità di evocare
nello spettatore emozioni e riflessioni (es:una rovina romana, anche se artificiale, ricorda da un lato la
gloria romana ma suscita dall’altro meditazioni sulla caduta dell’impero).

Allo stesso modo anche i quadri di paesaggio erano in grado di suscitare tali suggestioni:

Tomba di Virgilio - J. Wright of Derby → veduta in cui


compare la figura di Silio Italico, ammiratore di Virgilio che
nel I secolo comprò il terreno sul quale sorgeva la tomba del
poeta latino.
Questo quadro ci o re una chiara meditazione sul concetto
di vita e morte ed in particolare sul tema gloria terrena e
gloria eterna.
La prima, riferita alla fama e al successo che un individuo
può ottenere in vita, è temporanea e di conseguenza può
essere perduta.
La seconda è per lo più un riconoscimento che un individuo
riceve dopo la morte in base alle azioni compiute in vita ed è quindi permanente.
La gloria eterna viene rinnovata attraverso il ricordo; questo garantisce l’immortalità dell’individuo e
del suo operato.

Opere di questo tipo non hanno lo scopo di imitare la natura ma di ricercare l’ideale, il bello e di
racchiudere in sé tutto ciò che di meglio la natura aveva da o rire.
Poussin e Claude divennero guide fondamentali per il raggiungimento di tale ideale.

I monumenti dell’isola di Pasqua - Hodges, 1774

Paesaggio con arcobaleno, Koch, 1805

La valle dei Narni, Wilson, 1770-71

Di fronte ad opere come quelle sopra citate, possiamo iniziare a parlare di Romanticismo, corrente che
rinnova profondamente la concezione di pittura di paesaggio, proponendo al pubblico un’importante
alternativa alla pura ra gurazione della natura, basata sulla semplice mimesis, che sarebbe stata
comunque perseguita dai realisti e impressionisti nel corso del 1800.
Il paesaggismo romantico può infatti rivelare, attraverso la produzione di elementi naturali, uno stato
dell’anima.

Spesso per giungere a tale obiettivo, gli artisti traggono spunto dalla poesia (è il caso di Wilson e Koch
che danno alle loro opere un’impronta poetica).
Epilogo
L’impero

Sotto l’impero Napoleonico, l’antichità sarà rievocata con una certa insistenza;
E’ in questo periodo che ebbe origine il cosiddetto “stile impero”, una corrente del Neoclassicismo che
interessò l’architettura, l’arredamento, le arti decorative e le arti visive e che mirava a celebrare
l’ascesa al potere di Bonaparte.
In questa fase Canova e David assumeranno un ruolo importantissimo: il primo diventa artista
prediletto della famiglia reale, il secondo verrà nominato primo pittore di Napoleone.

Ma nonostante sembri che a questo punto il Neoclassicismo abbia raggiunto l’apice del successo, la
realtà è ben diversa: il suo declino è alle porte.
Spoglio di tutti i suoi intenti morali, ideali e artisti, il Neoclassicismo era diventato uno stile puramente
decorativo destinato solo a dare grandezza all’impero.

In molte opere di questo periodo si assiste ad una svalutazione


artistica molto forte:

In Amore e Psiche di F.Gerard (1798) non c’è più quella forza


di suggestione tipica delle opere neoclassiche.
In quest’opera le soluzioni adottate dal Canova vengono messe
da parte: grazia e purezza dell’amore giovanile vengono
trasformate in puro erotismo.
Vengono perciò riprese molte delle soluzioni rococò che i
neoclassicisti avevano condannato in precedenza e viene data
loro una finta parvenza neoclassica.

Un altro esempio è
fornito da un
orologio da
collezione (1810),
decorato da statuette
in bronzo
ra guranti il
Giuramento degli
Orazi di David, in cui
viene ripresa un’idea tanto nobile per poi essere strappata dal
suo contesto originario e ridotta ad un semplice ornamento
da salotto.

Anche in ambito architettonico le cose cambiano: mentre i


neoclassicisti si erano ispirati al mondo greco, i fautori
dello stile impero vengono fortemente influenzati dalle
costruzioni della Roma imperiale e in parte dalle
architetture egizie.
I principali architetti che a ermarono le nuove tendenze
furono Percier e Fontaine che tra l’altro collaborarono
insieme nella costruzione dell'Arco di Trionfo del
Carrousel a Parigi voluto da Napoleone per commemorare
le sue vittorie militari e realizzato sul modello degli archi
di Settimio Severo e di Costantino a Roma.

Queste nuove costruzioni sono particolarmente


stravaganti ed elaborate (numerose colonne, statue, rilievi) e impreziosite da materiali molto costosi.
Pertanto la concezione neoclassica di primitivismo radicale viene abbandonata e si assiste quasi ad un
ritorno al Rococò.

Napoleone si mostrò entusiasta del nuovo stile tanto da volere che questo venisse applicato anche al
mobilio: ed ecco che nelle residenze imperiali tutto comincia a riportare elementi simbolici: api e leoni,
aquile imperiali romane, grandi N, motivi egizi (i quali ricordano la campagna napoleonica compiuta
presso il Nilo).
Dunque Napoleone sfrutta il nuovo stile per glorificare la sua figura e il suo regime.

Quanto alla pittura, tornò in voga il compito di illustrare le virtù del monarca: molti sono gli esempi
che vedono Napoleone arringare le truppe, visitare gli accampamenti, preoccuparsi della cura dei feriti
dopo la battaglia etc..
L’ammirazione per Napoleone era così grande che finì addirittura per essere considerato discendente
spirituale di Traiano e Alessandro.

Sotto l’impero napoleonico l’arte ha per lo più una funzione propagandistica (non è più un fatto
educativo) ed è volta alla celebrazione del culto dell’imperatore.

Tra gli artisti che celebrarono Napoleone ricordiamo principalmente J. L. David.


Egli sfruttò il suo talento artistico per celebrare i momenti salienti della carriera politica di Bonaparte
(vedi Napoleone che attraversa il passo del San Bernardo o L’incoronazione di Napoleone e Giuseppina).

Tutte le opere che David realizza per Napoleone hanno un chiaro intento
propagandistico; una di queste più delle altre: stiamo parlando del
ritratto di Napoleone nel suo studio alle Tuileries.
Qui, elementi come le candele quasi del tutto consumate, l’orologio che
segna le 4:13 o il volto stanco del protagonista non sono altro che piccoli
accorgimenti volti ad esaltare la magnanimità di Napoleone, il quale
rinuncia al riposo per elaborare nuove leggi in grado di garantire il
benessere del popolo.

Richiestissimi in tutto l’impero erano i ritratti di Napoleone (sia dipinti


che scolpiti) tanto da spingere la sorella dell’imperatore ad organizzare
dei laboratori per la produzione di busti in marmo.

Ma il potere della famiglia Bonaparte venne espresso per lo più attraverso


la costruzione di edifici, non solo nella capitale francese: negli anni
dell’ascesa di Napoleone in Italia, vennero innalzati palazzi e monumenti
celebrativi come l’Arco della pace a Milano o la Piazza del Plebiscito a
Napoli.

Inoltre, la famiglia Bonaparte promulgò un progetto di abbellimento delle loro capitali, attraverso
nuove costruzioni, e di rinnovo delle vecchie strutture.

Il nuovo stile avrà seguito anche in America, Russia ed Inghilterra.

Neoclassicismo e romanticismo

Col nuovo secolo la fine del neoclassicismo è ormai alle porte.


Sebbene si creda che la sua fine sia stata provocata dalla Rivoluzione francese, evento che aveva avuto
un e etto traumatico sull’uomo, la realtà è ben diversa.
La causa da ricercare è interna al neoclassicismo stesso, il quale infatti conteneva dentro sé gli stimoli
che sarebbero poi esplosi nel Romanticismo.

Se ci facciamo caso infatti è proprio dall’atelier di David che uscirono i primi pittori romantici.
● Girodet → Comincia la sua carriera come allievo prediletto di David ereditandone il
linguaggio neoclassico.
Ma ben presto, spinto dal “desiderio di essere originale”, se ne staccherà per approdare ad
uno stile di erente.
La rottura completa con l’ideale neoclassico arriva quando l’artista realizza l’Ossian che
riceve i regali della repubblica”che lo stesso David disprezza dicendo:

“O Girodet è matto, oppure io non so più nulla dell'arte della pittura”

L’opera in questione si allontana dalla concezione di immortalità, tanto osannata dai


classicisti del ‘700 per accostarsi alla sfera allegorica e fantasmagorica.
Non a caso qui l’Ossian Omerico viene trasformato in un cantore del mistero e del
sovrumano.
Non è tutto: quest’opera segna un ritorno alle soluzioni compositive e agli e etti pittorici
impiegati durante il Barocco.

● Primitifs\Barbus → allievi di David, si dissociano dalle soluzioni neoclassiche e aderiscono


ad uno stile ispirato alla pittura vascolare greca arcaica.
Fanatici di Omero, dei canti di Ossian e della Bibbia, essi auspicavano ad un ritorno alla
purezza primitiva dell’arte.
Al pari di Girodet, se pur diametralmente opposti, essi segnarono la morte del
neoclassicismo nell’arte europea.
I barbus influenzarono un altro degli allievi di David, ovvero J.A. D. Ingres, pittore francese
che viene spesso definito come l’ultimo degli artisti neoclassici.

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