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L’arte del Settecento, Illuminismo, Neoclassicismo, Romanticismo

Il settecento è il secolo in cui nasce l’Illuminismo, cioè il sistema di pensiero che ha affermato il primato
della ragione e della conoscenza come condizione necessaria per raggiungere la libertà e l’uguaglianza fra
tutti gli uomini. si fecero spazio nuove idee ottimistiche, maturate assieme alla convinzione di una sicura felicità
per l’uomo che era aiutato anche dai continui progressi della scienza. L’ottimismo veniva dalla fede nelle capacità
intellettive degli uomini i quali, con la sola ragione, sarebbero stati in grado di liberarsi dalle vecchie idee, dai
pregiudizi, dall’ignoranza e dalla superstizione. Le tenebre in cui l’uomo si dibatteva, quindi, sarebbero
state rischiarate dalla luce della ragione. Da ciò il termine Illuminìsmo, che indica l’atmosfera culturale
caratterizzante il XVIII secolo, detto pure «secolo dei lumi». Le idee dell’Illuminismo – fiducia nel progresso,
tensione verso una società giusta, uguaglianza di tutti gli uomini, tolleranza politica e religiosa, internazionalismo
della cultura – vennero diffuse soprattutto dalla monumentale Encyclopédie, diretta dal filosofo Denis Diderot
e dal matematico Jean-Baptiste Le Rond d’Alember È il secolo che ha posto le basi della Civiltà moderna
attraverso la Rivoluzione industriale inglese e la Rivoluzione Francese, evento che ha scardinato i precedenti
sistemi politici ( ancien regime) per affermare una nuova idea di Stato, di società e di cultura. Eppure per
quasi tutto il Settecento l’Europa è stata guidata da monarchie assolute e segnata da un profondo squilibrio
tra le classi sociali. L’arte è stata espressione quasi esclusiva del mondo aristocratico, orientato verso un
gusto raffinato ed elegante espresso attraverso la realizzazione di residenze sontuose ( Reggia di Versailles
o Reggia di Caserta). È dalla Francia che all’inizio del Settecento si diffonde in tutta Europa uno stile
fantasioso ed elegante: è lo stile del Rococò, dal nome portoghese Rocaille, le decorazioni dei giardini
realizzate con pietre e conchiglie. Si può considerare il Rococò come l’evoluzione dello stile Barocco
seicentesco, caratterizzato da linee sinuose ed irregolari. L’affermazione del pensiero illuminista attribuisce
alla conoscenza un ruolo di primo piano per il miglioramento della società. Gli artisti dunque fanno proprie
queste nuove idee e considerano il loro lavoro come un mezzo per affermare ideali di chiarezza, giustizia
sociale e ordine. Il linguaggio classico appare il più adatto ad affermare questi valori , anche perché si
contrappone in modo evidente all’esuberanza dello stile Rococò, espressione di un modello sociale da
combattere. Nel rifiutare gli eccessi del Barocco e del Rococò, movimenti che ben interpretavano i sentimenti
delle classi dominanti e dei governanti dispotici, il Neoclassicismo guardava all’arte dell’antichità classica, in
specie a quella della Grecia che si era potuta sviluppare grazie alle libertà di cui godevano le poleis. Il termine fu
coniato alla fine dell’Ottocento con intento dispregiativo per indicare un’arte non originale, fredda e accademica.
Alla base dell’arte Neoclassica si trova il principio di armonia, derivato dallo studio dell’arte greca e romana: le
forme sono pure e semplici, razionali e governate da precise regole di proporzione. Importante è il contributo dato
dall’archeologo tedesco Winckelmann che nella sua opera Nei Pensieri sull’imitazione dell’arte greca parte dal
presupposto che il buon gusto aveva avuto origine in Grecia e che tutte le volte che si era allontanato da quella
terra aveva perduto qualcosa. La grandezza artistica era, perciò, propria dei Greci. Pertanto «l’unica via per
divenire grandi e, se possibile, inimitabili, è l’imitazione degli antichi». L’imitazione è cosa diversa dalla copia.
Imitare, infatti, vuol dire ispirarsi a un modello che si cerca di uguagliare, copiare è invece azione fortemente
limitativa in quanto prevede la realizzazione di un’opera identica in ogni parte al modello, l’originale.
«la generale e principale caratteristica dei capolavori greci
è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione
che nell’espressione. Come la profondità del mare
che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie,
l’espressione delle figure greche, per quanto agitate
da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata».
Winckelmann sostiene, inoltre, che «più tranquilla è la posizione del corpo e più è in grado di esprimere il vero
carattere dell’anima». Se è vero, perciò, che è più facile riconoscere l’anima nelle passioni forti e violente, tuttavia
essa è grande e nobile «solo in istato d’armonia, cioè di riposo». Una scultura neoclassica, allora, non dovrà mai
mostrare intense passioni o il verificarsi di un evento tragico mentre accade. Nella composizione dei propri
soggetti, pertanto, l’artista dovrà sempre scegliere l’attimo successivo all’ardente turbamento emotivo e
rappresentare il momento che precede o segue un’azione tragica, quando il tumulto delle passioni o non c’è ancora
o si è già attenuato.

Il più rappresentativo pittore del Neoclassicismo francese è David, elaboratore del genere pittorico della pittura di
storia, riferita sia ad eventi del passato ( Giuramento degli Orazi) che contemporanei ( Morte di Marat). Egli ha
riconosciuto nelle figure eroiche dell’antichità la personificazione di valori morali necessari anche al tempo
presente: nei suoi dipinti i protagonisti mostrano le virtù del coraggio, della fermezza e del controllo delle
emozioni, caratteristiche di coloro che sanno sacrificare la propria individualità per un ideale superiore e il bene
collettivo.

ROMANTICISMO

S toricamente il Romanticismo si configura come un complesso movimento politico, filosofico, artistico e


culturale diffusosi in Europa tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Esso assume caratteri molto
diversi in relazione ai vari contesti nazionali all’interno dei quali si sviluppa, dando origine a orientamenti
estremamente disomogenei – quando non addirittura contrapposti – anche fra gli intellettuali e gli artisti d’uno
stesso Paese. L’ideologia romantica, del resto, è il prodotto di una società in grave crisi economica e sociale,
fortemente travagliata – come si è accennato – sia dai problemi derivanti dalla crescente industrializzazione, sia da
quelli della restaurazione politica. I fini dichiarati del Congresso di Vienna di rinchiudere politicamente
e culturalmente ogni Stato all’interno dei propri confini prenapoleonici avevano fatto sì che venissero
necessariamente meno anche quegli ideali di universalità propri della cultura illuminista e dell’arte neoclassica.
Già dagli ultimi decenni del XVIII secolo, del resto, a tali ideali avevano cominciato a sostituirsene di nuovi,
tendenti a rivalutare la storia e le origini di ciascun popolo. Molto significativo, a tale riguardo, fu il movimento
letterario dello Sturm und Drang (letteralmente «tempesta e impeto»), diffusosi in Germania tra il 1770 e il 1780
circa. Esso apre anticipatamente la strada al Romanticismo europeo e i suoi sviluppi furono fondamentali
per la maturazione di personalità quali quelle di Schiller 􀁝, di Goethe 􀁝, senza dubbio tra i maggiori artisti tedeschi
di tutti i tempi. Il concetto di popolo che il Romanticismo esalta è quello connesso all’idea di Nazione, cioè un
insieme di individui legati fra loro da vincoli indissolubili di lingua, religione, cultura e tradizioni. E se ogni
azione impara a rivendicare la propria originalità storica anche ciascun uomo può legittimamente vantare la
propria storia personale che, in quanto soggettiva, è sempre unica, preziosa e irripetibile. Da ciò deriva una nuova
attenzione per tutta quella sfera di sentimenti, affetti e passioni caratteristici di ciascuna personalità.
La sensibilità romantica predilige infatti le individualità singole e tutti i fattori ambientali e culturali che hanno
contribuito a formarle. Se noi siamo quello che siamo – sostenevano i Romantici – lo dobbiamo soprattutto
all’ambiente in cui abbiamo vissuto e nel quale siamo cresciuti, maturando progressivamente consapevolezze,
scelte e identità. Il nostro presente, in altre parole, è profondamente intriso del nostro passato.Non certo il passato
remoto, astratto e indifferenziato, al quale faceva ideale riferimento il Neoclassicismo, ma, più concretamente, il
nostro passato prossimo, quello più vicino, più sentito, più sofferto.
Negli intellettuali romantici, infatti, traspare sempre una certa insoddisfazione rispetto a un presente che produce
disorientamento e frustrazione e che finisce poi per risolversi nel predominio assoluto del sentimento soggettivo.
Disprezzando la volontà di autodominarsi, il temperamento romantico cerca dunque rifugio nel proprio passato, al
fine di alleviare la paura di un presente che spesso è percepito come ostile e degenerato.
Sulla base di queste riflessioni, maturate dal punto di vista filosofico soprattutto in ambiente tedesco, ma poi
rapidamente diffusesi in Francia, Inghilterra e Italia, il Romanticismo si pone come momento di forte e totale
contrapposizione con il Neoclassicismo e con tutta la cultura illuminista. Mentre quest’ultima faceva infatti
riferimento a un passato ideale (cioè l’antichità greco-romana), che non apparteneva a nessuno di coloro i quali vi
si riferivano, il movimento romantico ricerca le proprie radici nel più vicinoMedioevo, con i suoi ricchi fermenti
nazionalistici, del quale si sente erede e continuatore. Non credendo più nei valori assoluti di una classicità
ormai troppo lontana e astratta, infatti, si arriva ad acquisire un profondo senso della relatività, dal quale discende
un prepotente desiderio di conoscere e di studiare le proprie origini.
La fede, il sentimento e l’irrazionalità che il «secolo dei lumi» aveva condannato e bandito riaffiorano
ora in mille forme. Sul piano letterario la cultura romantica predilige il romanzo storico e la poesia dei sentimenti
soggettivi. Nell’ambito della continua ricerca delle proprie origini storiche e culturali si arriva poi a dare dignità
artistica addirittura alle favole 􀁝 e, in Italia, anche ai componimenti dialettali 􀁝, simbolo entrambi di un profondo
radicamento nel retroterra delle tradizioni popolari più antiche e sentite. A ciò fa parallelamente
riscontro anche un risveglio del sentimento religioso in tutte le sue componenti: da quelle più mistiche, relative
alla ricerca di sicuri punti di riferimento morali, fino a quelle intrise di superstizione popolare, quasi al limite della
magia. Sul pianomusicale i compositori romantici – primi fra tutti Beethoven e Chopin 􀁝􀀃– tendono verso una
musica più passionale e coinvolgente, evocatrice di sensazioni estreme, fortemente legata agli eventi della natura e
costantemente venata da qualche nota di malinconica tristezza.
Per quel che riguarda le arti figurative, invece, al perfetto rigore formale di artisti quali David o Ingres si
preferiscono rappresentazioni di più immediata presa sul pubblico. Ai soggetti della mitologia classica, evocatori
di virtù morali ormai poco sentite e praticate, se ne sostituiscono di nuovi, sempre più legati alle leggende
ossianiche 􀁝, alla tradizione favolistica locale (spesso di ascendenza medioevale) e alla rappresentazione
di una natura fortemente personificata che, in relazione ai sentimenti dell’artista, riesce a suscitare grandi
emozioni, mostrandosi indifferentemente madre dolcissima o spietata matrigna. Questo secondo aspetto è
perfettamente espresso da Caspar David Friedrich nel suo celebre Mare Artico, altrimenti noto come Il naufragio
della Speranza, dove il tragico affondamento di una nave tra i ghiacci (appena distinguibile sulla destra) diventa il
pretesto per celebrare la grandiosità della natura, rappresentata dai ghiacci irti e taglienti come gigantesche lame,
al confronto della piccolezza impotente dell’uomo. Alle atmosfere chiare e definite del repertorio neoclassico
vengono così a sovrapporsi ambientazioni volutamente fosche, ricche spesso di riferimenti simbolici, magici e
misteriosi. In questo modo gli artisti cercano di toccare il tasto dell’emozione e della sensazionalità piuttosto che
quello della ragione e del contenuto, promuovendo il coinvolgimento emotivo e l’adesione più istintiva degli
spettatori. La «nobile semplicità» e la «quieta grandezza» delle opere neoclassiche cederanno progressivamente il
passo a sentimenti espressi in modo più convulso e passionale, tanto che, pur acquistando talvolta in realismo,
perderanno comunque in armonia ed equilibrio. La passione e il turbamento, che i Neoclassici non
rappresentavano mai, preferendo a essi la pacata consapevolezza dell’attimo che precede l’azione o la serena
distensione del momento che la segue, diventano per i Romantici due delle principali motivazioni artistiche.
Il sublime A questo tipo di sensibilità artistica è strettamente connesso il sentimento del sublime 􀁝. Esso rappresenta
un altro degli importanti caratteri distintivi del Romanticismo. Secondo Edmund Burke (1729-1797), intellettuale
e uomo politico britannico, il sublime consiste in quel misterioso e affascinante insieme di sensazioni che è
possibile provare solo di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali (un tramonto infuocato, una tempesta
impetuosa, una notte di vento, una tormenta di neve, un paesaggio che – visto dall’alto – appare
infinito), quando le sensazioni che ne derivano «tendono a colmare l’animo di un orrore dilettevole». Ne è un
tipico esempio la grande tela dell’inglese John Martin (1789-1854), intitolata
Pianure del Paradiso [Fig. 25.6], nella quale egli immagina gli eletti (vestiti di bianco sulla cresta della collina in
primo piano) sullo sfondo di uno sconfinato paesaggio montano, con al centro un gran lago alimentato da
impetuose cascate. Nella sensibilità romantica il sublime si pone dunque all’estremo limite superiore della
percezione del bello. Dove perfezione, grazia e armonia confinano con lo smarrimento della nostra mente,
incapace di percepire razionalmente sensazioni così intense e assolute, là si affaccia il sublime, che è
nel contempo piacere e dolore. «Il pinnacolo della beatitudine », si affermava in un saggio di estetica del 1785 «è
confinante con l’orrore, la deformità, la follia: un culmine che fa smarrir la mente di chi non sa guardar oltre».
Il genio Fortemente legato al concetto di sublime è anche quello di genio. Genio è infatti colui che, grazie alla sua
sensibilità artistica e ai mezzi tecnici con i quali sa tradurla in opera compiuta, ci consente di accedere alla ver-
tigine del sublime. Nella visione romantica, dunque, geni si nasce e certo non si diventa. Da cui l’inutilità, ai fini
creativi, dell’esperienza scolastica e accademica, che può al massimo servire ad apprendere e affinare alcune utili
tecniche. Il genio, nella sua assoluta libertà morale ed espressiva, si sente simile a Dio nel momento della
Creazione. È proprio da questa visione fortemente idealizzata che discende anche una certa propensione tendente
a giustificare ogni comportamento del genio che, in quanto tale, può permettersi qualsiasi intemperanza,
addirittura fino all’autodistruzione. Grande scalpore, a tale proposito, fu sollevato dal suicidio con il veleno di
Thomas Chatterton (1752-1770), poeta inglese non ancora diciottenne che preferì togliersi la vita piuttosto di
accettare che non venisse riconosciuto il proprio talento letterario. E non è un caso che il suo tragico gesto abbia
colpito tutta la generazione artistica successiva

N eoclassicismo e Romanticismo costituiscono due importanti fasi di uno stesso processo storico che, pur
sembrando a prima vista assolutamente opposte, risultano in realtà tra loro profondamente connesse sul piano
artistico e culturale, oltre che spesso sovrapponibili anche temporalmente. Mentre il Neoclassicismo si fa
promotore del ritorno all’ordine, alla regolarità e alla disciplina, ispirandosi ai modelli classici, il Romanticismo
esalta la fantasia, la sensibilità personale e la malinconia, esasperando il sentimento e rifiutando tutto ciò che si
poteva in qualche modo ricollegare al Razionalismo illuminista che del Neoclassicismo aveva costituito la base
teorica. Gli artisti e gli intellettuali romantici, pur contrapponendosi in modo vivace (e talvolta addirittura
violento) a quelli neoclassici, hanno comunque una formazione culturale assai simile. Sia gli uni sia gli altri,
infatti, vivono alla costante ricerca di forme espressive che si dimostrino in grado di far evadere
dall’insoddisfazione di un oggi in sempre continua e spesso troppo rapida evoluzione. Il modo di vedere e di
sentire la natura, ad esempio, rende perfettamente l’idea della contrapposizione ideologica fra i due
movimenti. L’artista romantico si sente parte integrante della natura e vi si immerge profondamente,
personalizzandola e spesso anche modificandola in funzione dei propri stati d’animo e delle proprie necessità
espressive. L’artista neoclassico, al contrario, si sforza di rimanerne estraneo e di indagarne razionalmente
le caratteristiche al fine di padroneggiarla, negandole volutamente qualsiasi valore poetico ed espressivo e
utilizzandola al massimo come scenografico elemento di contorno. L’arte neoclassica, infatti, non vuole essere
imitatrice della natura ma dei modelli ideali che di essa hanno elaborato i classici. Ne consegue, però, che
mitizzando l’età classica come età dell’oro, alla quale fare sempre e comunque riferimento, il Neoclassicismo
compie di fatto un’operazione assolutamente irrazionale, contraddicendo le sue stesse premesse illuministe
e preludendo in modo chiaro a quella che sarà l’evasione romantica verso le dimensioni della soggettività, della
fiaba e della fantasia.

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