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— Età Neoclassica —

Tra Settecento e Ottocento

Processi, contesti, prospettive delle civiltà artistiche


UN’EPOCA DI RINNOVAMENTO
Tra Settecento e Ottocento ha luogo in Europa la rivoluzione industriale, che avvia il cambiamento della
composizione della società, dei rapporti tra le classi e del modo di pensare. La borghesia è la classe che
caratterizza questa trasformazione: nel campo artistico comincia a rappresentare il nuovo pubblico, che
sostituirà la figura del mecenate (committente diretto). In seguito a questi cambiamenti, vi saranno
consistenti interventi di riorganizzazione architettonica e urbanistica in grado di corrispondere a esigenze
inedite. Questo costituisce il quadro di fondo della tendenza di pensiero, intensamente innovativa sul piano
politico, sociale e culturale, definita Illuminismo e descritta dal filosofo Kant come: «l'uscita dell'uomo dallo
stato di minorità ch'egli deve imputare a se stesso».

L'illuminismo trova la sua espressione simbolica nella metafora della luce dell'intelletto, trionfante sulle
tenebre dell'ignoranza, della superstizione, della cieca fede nel principio d’autorità. Il pensiero illuminista
costituisce un appello alla libertà di pensiero e d'azione, guidati dalla ragione, e si contrappone a ogni
privilegio e disuguaglianza fondati sulla nascita. Anche la cultura e l'arte tendono a perdere il loro carattere
elitario, diventando componenti attive del processo di rottura con il passato. Il prodotto più rappresentativo
della cultura illuminista è l'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts, et des métiers, il
cui primo volume viene pubblicato a Parigi nel 1751, sotto la direzione dei filosofi Denis Diderot e Jean-
Baptiste Le Rond D'Alembert. Ciò che la distingue da pubblicazioni simili è l’impostazione pluridisciplinare
fondata su scienze teoriche e sperimentali, arti, pensiero filosofico-scientifico e tecnologia.

Il pensiero illuminista agisce nel campo della produzione artistica, trovando riscontro nel dibattito sul ruolo
dell'arte, dei suoi protagonisti e delle sue istituzioni. L'arte era considerata come un mezzo per arrivare a
un fine piuttosto che un fine in sé, il che ne accresce il significato, sottolineandone il carattere didascalico,
formativo, di strumento di trasmissione di idee e sensibilità.

Il momento più alto della cultura illuminista è rappresentato dal Neoclassicismo, termine che indica il
riemergere con particolare forza di quella componente “classica”. Tale indirizzo è in sintonia con le tendenze
razionaliste del secolo dei lumi. Per capirlo, bisogna pensare al termine classicismo in contrapposizione a
naturalismo, seguendo un'interpretazione delle due maniere tipica della teoria artistica seicentesca, ma in
fondo ancora valida nel XVIII secolo. Il naturalismo si basa su una rappresentazione puramente imitativa,
mimetica, della natura in grado di cogliere il fenomeno occasionale, l'apparenza delle cose; il classicismo
tende a una rappresentazione capace di andare "oltre" i fenomeni per arrivare ai principi immutabili alla
base dei fenomeni stessi per rendere una “idealizzazione". Si affianca, nei neoclassicisti, l'idea di una
selezione dei soggetti da rappresentare e di una scelta dei modi più adatti per farlo per cercare una sorta di
"astrazione", nella convinzione che un bello assoluto non esista in natura, e si tratti dunque, per scultori e
pittori, di "inventarlo" prendendo eventualmente soltanto spunto dagli elementi naturali. La freddezza, il
distacco, l'astrazione di operazioni possono unirsi a un progetto di rappresentazione delle passioni: la
comunicazione di idee attraverso la “lettura” delle opere e l'emozione suscitata dall'esercizio dei sensi. I
soggetti non devono essere né frivoli né d'occasione ma capaci di costituire degli exempla di moralità e di
virtù, poiché all'arte si riconosce un fondamentale ruolo educativo. La componente etico-didascalica del
Neoclassicismo trova espressione in uno stile razionale, austero, fondato essenzialmente sul disegno e sulla
chiarezza delle forme. In architettura Neoclassicismo significa negazione di un gusto decorativo fine a se
stesso a vantaggio di uno schema razionale teso a funzionalità e de coro, a loro volta specchio di moralità.

Raphaël Mengs è la figura iniziale della svolta verso il gusto neoclassico. Egli si impegna sia in un'opera
critica di definizione di nuovi canoni sulla base di modelli antichi sia nella traduzione pittorica di tali ideali,
concretizzatasi in primo luogo nel Parnaso.

Il francese Jacques-Louis David, giunto a Roma da Parigi una prima volta nel 1775, esegue Il Giuramento
degli Orazi, comunemente ritenuto il primo grande esempio di compiuto Neoclassicismo pittorico: il rigore
geometrico e razionale nella costruzione della scena si coniuga a un nitore cromatico derivato dalla
tradizione classicista italiana, tra Raffaello e i bolognesi del Seicento. Attraverso David il Neoclassicismo
diventa il linguaggio di un'accademia francese rinnovata, limpida forma espressiva degli ideali rivoluzionari
e di quelli imperiali napoleonici: loro veicolo principale è una pittura di storia che parla del presente anche
ricorren do a soggetti antichi, storici e letterari.

Antonio Canova, che aveva studiato a Venezia, giunge a Roma nel 1779 e vi realizza i primi lavori che
propongono un'interpretazione semplificata nel senso degli ideali di bellezza e di grazia propugnati da
Winckelmann, principale divulgatore della nuova estetica neoclassica e massima autorità europea del
tempo in materia di scultura greca e romana. Il procedimento di idealizzazione in Canova viene temperato

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da un senso di naturalità che lascia trasparire passioni e sentimenti. La grande fortuna internazionale di
Canova coincide comunque con l'età napoleonica. Bertel Thorvaldsen, formatosi a Copenaghen ma attivo
a Roma dal 1797, raccoglie e sviluppa l'eredità di Canova accentuando la tendenza a un'astratta
idealizzazione delle forme, costituendo una figura di congiunzione tra il Neoclassicismo “storico" e le sue
interpretazioni puriste della prima metà del XIX secolo. Anche Giovan Battista Piranesi, incisore e
architetto veneziano, guarda all'antico e lo reinterpreta con accenti di visionarietà, presentando rovine e
monumenti romani come proiezioni dell'immaginario.

In Inghilterra, paese interessato dal consolidamento della borghesia come classe dominante e dagli effetti
della rivoluzione industriale, la componente idealizzante del Neoclassicismo appare bilanciata sia da forme
di rappresentazione di impronta schiettamente realistica, sia dal primo sviluppo di quella dimensione
dell’“immaginario” che può essere interpretata come fuga dal mondo e apertura sugli spazi dell’inconscio.
William Hogarth restituisce il clima dell’egemone civiltà borghese con uno stile diretto, spregiudicato,
attingendo a soggetti tipici del proprio tempo con intenzioni moralizzanti, proprio come in certa coeva
produzione letteraria. Il panorama inglese si completa con l'opera di Joseph Wright of Derby che guarda ai
fenomeni naturali con occhio scientifico, rappresentando con dettaglio i progressi della scienza e di Johann
Heinrich Füssli, svizzero di nascita ma operante a Londra dal 1763, che viceversa interpreta le idee di
Winckelmann e i modi principalmente michelangioleschi portando alla luce la dimensione dell'inconscio.

Nella corte spagnola, apparentemente separata dalle correnti artistiche più vitali, domina un contesto
politicamente ed economicamente in declino. Per molti versi ancora vincolata dal ricordo dei fasti passati, la
Spagna vede le differenti componenti della cultura artistica dell'età dell'illuminismo esemplarmente raccolte
da Francisco Goya. Egli gioca la sua opera sulla dialettica di ragione e oscurità, ponendosi come fonte di
diversi e opposti sviluppi dell'arte del XIX e del XX secolo. Da un lato il pittore esprime una linea realista che
interpreta rappresentando fatti della storia spagnola contemporanea con una libertà non accademica;
dall'altro lascia emergere la componente dell'immaginario e del visionario.

IL MESTIERE DELL’ARTISTA
L'attribuzione di un ruolo sociale alle arti trova riscontro concreto nella promozione delle accademie,
che si diffondono in tutta Europa. Nel 1790 si contano in Europa ormai più di cento accademie d'arte,
rispetto alle diciannove esistenti nel 1720 e alle venticinque del 1740. Il programma dei corsi è pressoché
comune in tutte le accademie europee: l'insegnamento è impostato soprattutto sull'esercizio del disegno. Si
aggiungono lezioni di anatomia, geometria e prospettiva; essenziale resta lo studio della figura umana,
mentre non è previsto alcun insegnamento sistematico della pittura a olio. Per questo, l’appartenenza di un
giovane a un'accademia non risulta incompatibile con il tirocinio nello studio di un maestro, al quale lo
studente si rivolge proprio per apprendere la tecnica della pittura. Nei programmi di molte accademie
europee si comincia a insistere sulle potenzialità economiche di tali istituti, sulla loro capacità di creare
ricchezza attraverso l'impulso a un miglioramento della produzione e all'esportazione di oggetti d'arte di
alta qualità. Solo alcune vecchie scuole con tradizioni radicate mantengono finalità puramente artistiche,
sottraendosi a inclinazioni di carattere commerciale. Le accademie organizzano anche le prime esposizioni
d'arte, nate come dimostrazione pubblica della loro attività. Attraverso lo sviluppo delle mostre si diffonde la
presentazione al pubblico di opere d'arte contemporanea allo scopo di offrire un godimento estetico a un
più vasto numero di persone.

La prima mostra regolamentata di Belle arti, finanziata dallo stato e inizialmente riservata ai soli membri
dell'Académie royale, è il Salon di Parigi. La prima edizione ha luogo nel 1667, ma il termine Salon viene
introdotto a partire dal 1725, quando sede dell'esposizione diviene il Salon Carré del Louvre. Dal 1748 viene
istituita una forma di giuria d'ammissione, composta da una commissione di professori dell'accademia.
Essa ha il compito di salvaguardare ed esaltare la tradizione della grande pittura, caratterizzata soprattutto
da soggetti storici, con particolare preferenza per eventi della storia greca e romana, e da uno stile
classicista ma con contaminazioni delle maniere in voga. Con la Rivoluzione del 1789 si effettuano delle
modifiche al regolamento del Salon; nel 1791, l'accademia viene momentaneamente chiusa e l'esposizione
diventa libera e accessibile a tutti gli artisti, mentre nel 1798 la giuria torna a operare regolarmente, con una
maggiore apertura nei confronti degli espositori. Protagonista assoluta è sempre la pittura di storia; sono
però mutati gli obiettivi ideologici e i messaggi civili e morali.

Nel corso della seconda metà del Settecento il Salon assume una dimensione culturale di grande rilevanza,
come dimostrano anche le numerose "recensioni" e i commenti pubblicati su alcuni giornali, che a questo
scopo istituiscono rubriche specializzate. I più famosi scrittori d'arte sono i salonniers: si tratta di amatori,
moralisti e filosofi che redigono resoconti dei Salon, esprimendo il loro giudizio sulle opere e cercando
pronostici sulle tendenze del gusto. I resoconti di Diderot, scritti a partire dal Salon del 1759, avviano la
critica d'arte in senso moderno. Nell'Ottocento e nel Novecento diventerà una forma letteraria di grande
importanza sulla riflessione estetica, ma anche per la promozione delle opere d'arte e per il loro mercato.

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La figura dell’architetto è affiancata da quella dell’ingegnere civile, nuovo protagonista del rinnovamento
dei centri urbani. La cultura architettonica riceve nuovi stimoli dagli scavi archeologici e dalla scoperta degli
antichi complessi architettonici greci e romani nell’Italia centro-meridionale, che architetti e studiosi visitano
personalmente traendone idee e modelli. Si instaura un rapporto più dinamico fra archeologia e progetto
che comincia a incrinare la tradizione dell’accademia.

LA NASCITA DEL MUSEO MODERNO


All'inizio del XVIII secolo tutte le grandi collezioni reali e aristocratiche di opere d'arte sono private. Artisti,
studiosi e visitatori vi sono ammessi solo se invitati o su precisa richiesta, e sempre per concessione del
principe. Le poche raccolte di dipinti, statue e disegni aperte al pubblico si formano a fini didattici presso le
accademie. Nella letteratura artistica dell'ancien régime prende progressivamente corpo una concezione
rivoluzionaria della funzione del museo, che giunge a maturità verso la metà del secolo. I nuovi ceti
borghesi cominciano a rivendicare i propri diritti sugli strumenti della cultura, collezioni d'arte comprese, e i
lasciti di raccolte private ad accademie e istituti archeologici diventano sempre più frequenti. In molte città
europee si aprono al pubblico numerose collezioni e vengono fondati diversi musei. Per quanto aperti ai
visitatori, questi musei restano ancora sostanzialmente collezioni private. Un vero prototipo di collezione
pubblica è rappresentato, in Italia, dai Musei capitolini a Roma. Già nel 1734 un provvedimento di papa
Clemente XII ne decreta l'apertura al pubblico.

Il principio sociale di togliere ai privati per destinare a uso pubblico ciò che viene inteso come diritto di tutti
investe direttamente l'arte con la Rivoluzione francese, consentendo ad artisti e intellettuali di mettere in
atto idee ed esperienze maturate in precedenza. La creazione di un museo pubblico è uno dei risultati più
duraturi ottenuti negli anni a ridosso del 1789. Il bisogno di arginare il drammatico polverizzarsi di un
patrimonio artistico sotto i colpi dell'iconoclastia popolare e l'improvvisa disponibilità di oggetti di valore
accelera la necessità di trovare un luogo dove conservare tale patrimonio, conferendo al museo precise
motivazioni morali e ideologiche. Nel 1793 nei locali del Louvre viene inaugurato il Museo nazionale,
proclamato “Museo della Repubblica”. Enormemente arricchito, il Louvre arriverà a porre a raffronto diverse
civiltà artistiche, costituendo il primo museo moderno, modello indiscusso di tutti i successivi musei.

Il concetto di grande museo come espressione del prestigio culturale e politico di una nazione si diffonde
in Europa. Hirt, studioso di architettura antica, invia a Federico Guglielmo III di Prussia un memorandum in
cui definisce la concezione fondamentale del museo come educazione nel senso vasto del termine. Nel
1797 Federico Guglielmo III dichiara di proprietà pubblica le sue collezioni, costituendo il Kaiser Friedrich
Museum di Berlino.

In Italia le soppressioni napoleoniche di chiese, conventi e confraternite, con il passaggio dei loro beni alla
proprietà statale risulta decisivo nel caratterizzare diversamente le differenti istituzioni museali. Esemplare è
il caso della Pinacoteca annessa all'Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, nella quale confluiscono
opere provenienti dagli istituti soppressi dai decreti napoleonici. La Pinacoteca di Brera svolge un ruolo
rappresentativo di ogni scuola pittorica del Regno e vede affluire nelle sue sale capolavori provenienti da
diverse regioni. I decreti napoleonici sanciscono il principio della fruizione pubblica delle raccolte d'arte.
Gli impegni sottoscritti al Congresso di Vienna sono che i beni restituiti dalla Francia debbano essere resi
accessibili al pubblico. Data la vastità delle requisizioni di opere d'arte, non era sfuggito il valore politico e
simbolico che. avrebbe avuto la loro restituzione ai paesi d'origine. L'Italia è rappresentata dallo scultore
Antonio Canova, in missione a Parigi per conto dello Stato pontificio.

L’ANTICO
Il mutamento stilistico che si verifica a partire dal secondo Settecento è stato collegato alla riscoperta di
Pompei ed Ercolano, dove oltre a monumenti architettonici erano venuti alla luce documenti della vita
quotidiana e dipinti murali, a svelare quella pittura antica per secoli rimasta un mistero. I primi resoconti
degli scavi non sono tutti entusiastici: c'è chi trova dipinti “poveri come disegno, scorretti nell'anatomia,
deboli nell'espressione, malsicuri nella composizione”.

Inizialmente, i dipinti di figura ritrovati vengono utilizzati come fonti per definire con correttezza particolari
degli abiti e degli ambienti in com posizioni di genere storico, ma servono ben poco come modelli di stile.
Riprese del genere rivelano una visione dell'antichità superficiale, che si limita a mascherare un gusto in
fondo di matrice Rococò. Tale atteggiamento, che mira a modernizzare formule stilistiche, si modifica
quando una approfondita conoscenza dell'arte greca e romana porta artisti e teorici a considerare l'antico
come il punto di partenza di un vero e proprio rinnovamento estetico ed etico.

Le scoperte archeologiche stimolano la voga del "viaggio in Italia", favorendo anche il mercato antiquario;
e chi non può permettersi reperti d'arte originali si accontenta di portare a casa souvenir più dozzinali. Si
diffonde l'usanza del cosiddetto ritratto-souvenir, nel quale il viaggiatore viene rappresentato su uno sfondo
di paesaggio italiano popolato da statue e monumenti antichi. Nel 1755 giunge a Roma Winckelmann.
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Prima della sua partenza aveva pubblicato i Pensieri sull'imitazione dell'arte greca nella pittura e nella
scultura, che possono essere considerati il precoce manifesto dei principi estetici neoclassici. Winckelmann
si fa portavoce della tendenza artistica, che agli eccessi decorativi del Barocco e del Rococò contrappone
«la nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue greche». I greci erano stati i soli ad aver raggiunto la
purezza e armonia che la semplice imitazione della natura non era in grado di offrire. Egli non raccomanda
di limitarsi a copiare fedelmente le opere antiche: il passato non deve essere recuperato solo in chiave
archeologica e di repertorio formale, ma per i valori spirituali e i contenuti estetico-etici. Il modello dell’“anti
co" costituisce un punto di riferimento per il Neoclassicismo nel suo complesso, in pittura e in scultura
come in architettura. L'“idea" ne è una sorta di filo conduttore, che significa, in pittura, priorità del disegno,
della linea, come mezzo di rappresentazione; in scultura, ripresa dei canoni della plastica greca attraverso la
mediazione delle copie romane; in architettura, affermazione di esigenze di razionalità e funzionalità con
particolare attenzione alle necessità abitative e di pubblica rappresentanza della collettività e dello stato.
Per lui, l’arte antica è concepita come un processo organico, articolato in quattro periodi, ognuno con un
proprio stile: lo stile primitivo o arcaico (prima di Fidia), quello sublime o grandioso (Fidia e i suoi
contemporanei), quello bello (da Prassitele a Lisippo), quello d'imitazione (fino alla caduta dell'impero).

Anche gli oggetti d'uso riaffiorati dagli scavi archeologici hanno una grande risonanza, influenzando la
produzione artigianale. Winckelmann è tra i primi ad apprezzare il valore artistico ed estetico delle arti minori
antiche. Artigiani di ogni genere si sforzano di produrre mobili e oggetti decorativi ispirati a manufatti greci e
romani, mentre architetti allestiscono intere stanze con arredi e decorazioni murali ispirati a quelli antichi.

Analisi delle opere


WILLIAM HOGARTH (1697-1764)
A sedici anni entra come apprendista nella bottega di Gamble, un incisore di stemmi su argento. Comincia
a studiare pittura e, dal 1720, lavora per suo conto: per guadagnarsi da vivere, esegue cartelli e insegne di
negozi, di carattere popolare, e inizia a pubblicare stampe d’attualità. Dal 1725 frequenta l'accademia
privata di Thornhill, pittore noto, del quale sposa la figlia. Dalla fine degli anni venti si dedica a piccoli ritratti,
gruppi di figure e a incisioni satiriche con sottintesi moralistici. Nascono le Carriere, opere che illustrano
vicende e drammi contemporanei, fondati sulla virtù ricompensata e il vizio punito. Nel 1735 Hogarth fonda
l'Accademia di St Martin's Lane. Importante è la sua intensa attività di ritrattista. In alcuni suoi scritti vi si
trovano raccolti i suoi pensieri sull'arte e la sua teoria estetica, di impronta antibarocca e anticlassicistica.
Nel 1763 si ammala gravemente e muore l'anno successivo.

Hogarth non crede che l'arte antica debba essere la suprema fonte d'ispirazione per pittori e scultori. Lungo
la sua carriera, infatti, egli sostiene che l'osservazione della realtà, con il suo andamento sorprendente e
non lineare, sia il modo migliore di avvicinarsi all'arte, l'unico in grado di produrre qualcosa di originale.
Hogarth guarda al mondo contemporaneo che rappresenta lo specchio reale della società del tempo
(complessità dell'esistenza umana, dagli eccessi della moda e della raffinatezza fino al degrado e ai vizi).

Nasce La carriera del libertino, che narra la storia di Tom Rakewell, lascivo figlio di un avaro, reso folle
da dissolutezza e prodigalità. Il giovane Tom è presentato come un personaggio senza cuore: ereditate
le sostanze del padre morto da poco, si fa tagliare un vestito alla moda, rifiutandosi di sposare la
giovane sedotta quand'era studente a Oxford. Egli vuole vivere come un vero aristocratico, spendendo
come chi può contare su una cospicua rendita fondiaria. Di giorno si dedica a passatempi mondani, dai
più raffinati ai più grossolani, di notte si lascia andare a schiamazzi e bagordi accompagnandosi a
ubriaconi e prostitute. Rischia un primo arresto per debiti, ma viene salvato dall'amica, che offre il suo
denaro per riscattare il debito dell’innamorato. Tom tradisce nuovamente la salvatrice, sposando una
vecchia guercia ma assai ricca. Comincia però a precipitare verso la rovina: prima perde al gioco l'intera
fortuna della moglie, poi finisce nella prigione per debitori, infine viene
ricoverato, pazzo, nel grande manicomio londinese.

La Carriera del libertino sboccia dalla tipica mentalità del ceto medio
inglese in pieno sviluppo, che sta elaborando un nuovo codice di condotta
morale e costituisce il parallelo figurativo della letteratura borghese nel
Settecento. La sequenza della Carriera del libertino può essere letta come
un sermone figurato, un insegnamento morale laico e borghese.

JOSEPH WRIGHT OF DERBY (1734-1797)


Il progresso scientifico è un tema centrale nel mondo borghese e trova espressione nella sua pittura.

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Nel 1768 egli presenta al pubblico l'Esperimento con una pompa ad aria, a illustrare un
esperimento scientifico che all'epoca aveva suscita to molto scalpore: l'aspirazione dell'aria
da una campana di vetro mediante una pompa, con i conseguenti effetti mortali sugli esseri
viventi all'interno della campana stessa. Si tratta di una scena drammatica, pervasa da un
senso di morte, cui fa riferimento il teschio nell'ampolla di vetro. I personaggi, allusivi alle età
dell'uomo, reagiscono in modi diversi: due bambine si spaventano mentre l'uomo accanto a
loro cerca di rassicurarle; un vecchio medita sulla fragilità della vita, una coppia d'innamorati si
disinteressa dell'evento e lo scienziato-filosofo richiama l'attenzione sull'esperimento. La luce
della candela simboleggia il sapere scientifico e conferisce alla scena carattere religioso.

La modernità del soggetto di Wright non esclude un'impostazione fortemente classicista.


L'immagine è imperniata su una piramide centrale cui si sovrappone la linea ellittica che secondo Winckelmann «descrive il Bello».

JOHANN HEINRICH FÜSSLI (1741-1825)


Negli ultimi due decenni del Settecento si va sempre più affermando un'arte "fantastica e visionaria" che,
per certi aspetti, prelude all'immaginario visivo dell'esperienza romantica. Un suo originale interprete è il
pittore svizzero naturalizzato inglese Johann Heinrich Füssli. Osservatore degli affreschi di Michelangelo e
delle opere dell'antichità classica, Füssli scopre nell'antico il senso oscuro della tragedia, quello irrazionale
della passione e quello della carnalità e dell'erotismo.

Questa lettura dell'antichità trova esemplare raffigurazione pittorica in L'incubo, accostabile a


opere di tema orrifico dipinte in Inghilterra verso la fine del XVIII secolo. La tela di Füssli è
ambientata in un interno moderno, con oggetti, tendaggi e tessuti del tempo. È proprio
l'immediatezza dell'immagine, la sua chiara leggibilità, che colpisce il pubblico, il quale non può
sottrarsi alle suggestioni equivoche e licenziose che il dipinto suscita. L'incubo raffigura una
donna addormentata: un mostro le opprime il petto e la testa di un cavallo spunta da una
tenda. Per la figura dell'addormentata Füssli ha attinto a un vasto repertorio iconografi co: dal
Baccanale di Tiziano al cosiddetto Sogno di Raffaello di Marcantonio Raimondi, fino al Sogno di
Ecuba di Giulio Romano. Per la sua esplicita relazione con il sonno e il sogno si potrebbe dire,
richiamandosi alla psicoanalisi freudiana, che la scena allude a impulsi inconsci di natura
erotica, associati alla violenza carnale. Lo stallone potrebbe simboleggiare l'aggressività
maschile e l'inaspettata irruzione della sua testa attraverso le tende equivarrebbe allo stupro. D'altra parte, si è anche supposto che
la tela abbia avuto origine da un'infelice e frustrata passione di Füssli; in tal caso, più che il desiderio sessuale della donna,
l'immagine paleserebbe il desiderio represso del pittore.

JACQUES-LOUIS DAVID (1748-1825)


Nato a Parigi nel 1748, studia al Collège de Beauvais, mostrando una buona attitudine al disegno. Viene
affidato a Joseph-Marie Vien, docente all'Académie royale. Nel 1774 vince il Prix de Rome, che gli consente
di trascorrere cinque anni in Italia, maturando un deciso interesse per la pittura italiana. Progressivamente
abbandona la maniera settecentesca degli anni settanta, per orientarsi verso uno stile compositivo fondato
su simmetria e frontalità, con pochi personaggi che agiscono sulla scena. Tornato in Francia, nel 1781 viene
accettato come membro dell'Accademia, riscuotendo un notevole successo al Salon dello stesso anno con
il grande dipinto Belisario chiede l'elemosina. Durante gli anni della Rivoluzione assume svariati incarichi
direttivi, specialmente nell'amministrazione delle arti: tuttavia non trascura la pittura. David continua a
giocare un ruolo d’importanza durante il periodo napoleonico, realizzando grandi tele a destinazione
pubblica, volte alla celebrazione dell'imperatore. Ricopre diverse cariche, la più prestigiosa delle quali è
quella di "primo pittore" dell'imperatore. Colpito da congestione cerebrale, muore a Bruxelles nel 1825.

Le varie e complesse tendenze che cominciano a delinearsi intorno alla metà del
XVIII secolo si coagulano nel 1784 nel Giuramento degli Orazi, considerato il
“manifesto" del Neoclassicismo, non soltanto francese. Il motivo del giuramento
come espressione di lealtà politica non è nuovo. Il quadro di David segna l'apice
di una serie di precedenti raffigurazioni di giuramenti che intonavano, in una
chiave più bassa, gli stessi accenti di energico idealismo. Il Giuramento degli
Orazi riassume e amplifica questa sequenza, conferendo al tema la sua
espressione più forte e rivelatrice della temperie estetica dell’epoca.

Commissionata per la corona, l'opera viene dipinta nel corso del secondo
soggiorno di David a Roma ed esposta al Salon parigino del 1785, dove riscuote
un notevole successo. Per il soggetto David s'ispira all'Horace di Corneille e alle
vicende degli Orazi narrate dallo storico romano Tito Livio: la loro decisione di
risolvere la guerra tra Roma e Alba con un duello con i tre fratelli Curiazi, la loro
vittoria e l'uccisione per mano dell'unico Orazio superstite della sorella Camilla,
che piange per la morte di uno dei Curiazi, cui era fidanzata. Ma David abbandona la versione di Livio dopo aver eseguito un disegno
preliminare ispirato e sceglie come soggetto un momento che non trova riscontro nelle fonti: quello del solenne giuramento, quando i
tre giovani Orazi decidono, di fronte al padre, di sacrificare la loro vita per la patria. Il punto centrale del quadro è la mano sinistra del
padre degli Orazi che alza le tre spade; il suo sguardo s'incontra con quello dei figli sulle impugnature unite e distinte delle armi; verso
lo stesso punto convergono le braccia tese dei giovani, due dei quali prestano giuramento con la mano sinistra. Al coraggio e alla
determinazione virili si contrappongono i gesti teneramente compassionevoli delle donne: la madre degli Orazi stringe a sé i nipotini
mentre le due figlie, Sabina e Camilla, sono sopraffatte da un impotente e rassegnato dolore. A rompere decisamente l'unità familiare
e a distinguere tra fermezza maschile e abbandono femminile a sentimenti meno eroici, non è soltanto la disposizione se parata di
uomini e donne, ma anche lo stile del disegno. La tesa anatomia muscolare, precisamente definita, degli Orazi impone contorni netti
e pose rigide, i cui ritmi fermi e lineari sembrano evocare la metallica rigidità delle armi. Nel gruppo delle donne questo cede il passo
a uno stile morbido di fluente sviluppo semicircolare, salendo dal piede sinistro di Sabina fino a morire nel braccio abbandonato di
Camilla, amante di uno dei Curiazi. La coincidenza in David di stile e severità morale, è rafforzata dall'impostazione della scena,
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razionalmente organizzata su una scansione geometrica. La semplicità dell'ordine spaziale si trasmette alla luce che, fredda e limpida,
definisce con massima plasticità le figure, i cui precisi contorni sono riecheggiati nelle ombre nettamente delineate.
Nella Morte di Marat, una sorta di "santificazione" laica di un martire della Rivoluzione, David si avvale
del recupero di schemi iconografici cristiani e di una riduzione dei particolari, tutti densi di informazioni
per lo spettatore. Seduto nella tinozza a lenire le sofferenze provocate da una malattia della pelle,
Marat ha ancora in mano la lettera di Charlotte Corday, che lo ha appena pugnalato: vi si leggono la
data del 13 luglio 1793, il nome dell'assassina, l'indirizzo «Al cittadino Marat e la falsa supplica: “la mia
grande infelicità mi dà diritto alla vostra benevolenza”. Sulla cassa da imballaggio spicca il biglietto di
Marat che accompagna un assegno: «darete questo assegno a vostra madre [...]», testimonianza della
bontà cui si contrappone il coltello del crimine, a terra in sanguinato. David aveva esplicitamente
paragonato l'esemplare nobiltà della vita di Marat a quella di eroi classici come Catone e Socrate.
Questo quadro può essere quindi considerato come la traduzione in un moderno contesto del suo
giovanile Dolore di Andromaca, dove l'eroe antico morto per la patria, Ettore, è sostituito dall'eroe
moderno, assassinato per la fede politica. Allo stesso tempo, il quadro può essere letto come una
"pietà giacobina", come una reincarnazione laica di motivi e schemi fissati dalla tradizione iconografica
cristiana. La posa di Marat, con la testa reclinata e il braccio abbandonato lungo il fianco della vasca,
rimanda alle Pietà di Michelangelo e al Cristo deposto di Caravaggio: è una posizione che esprime il senso della morte, accentuando
la pesantezza di un corpo privo di vita. L'oscura parete di fondo suggerisce un silenzio soprannaturale; così, la luce caravaggesca
che cade da un'alta e invisibile fonte sul corpo di Marat, trasforma la vittima di un omicidio nell'icona di una nuova religione. Il colore
si manifesta con intensità solo negli accessori, mentre nella raffigurazione della figura prevalgono i valori plastici e il disegno. Gli
oggetti che circondano Marat assumono il significato di sante reliquie, e infatti alcuni elementi materiali vennero esposti al suo
funerale come oggetti di venerazione.

Verso la metà degli anni novanta, con la caduta dei giacobini rivoluzionari, il potere passa, sotto il
Direttorio, nelle mani della componente più facoltosa della classe media, che volge le spalle ai
severi ideali repubblicani. Questo mutamento politico e sociale influenza profondamente la pittura
di David. Nelle Sabine David manifesta un sentimento di riconciliazione nazionale, in linea con la
politica conservatrice del Direttorio. Significativa è anzitutto la scelta di non rappresentare il
consueto episodio del ratto delle donne ma l'epilogo teso alla pacificazione, il momento in cui le
Sabine, tre anni dopo il rapimento, intervengono tra i combattenti delle opposte fazioni
implorando che venga posta fine alla lotta fratricida.

Il messaggio politico e i contenuti formali della scena sono concentrati nell'episodio in primo
piano: Ersilia, al centro, spalanca le braccia per dividere i due principali contendenti, Romolo, a destra, e Tazio, a sinistra,
rispettivamente capo dei romani e capo dei sabini. Per eseguire fedelmente i costumi antichi, inoltre, nella versione definitiva del
quadro David elimina le tuniche, che nei bozzetti preparatori coprivano i corpi. Le Sabine si pongono in antitesi con le opere
precedenti: qui vediamo linee eleganti, morbide, che attenuano l'eccessivo realismo anatomico delle figure.

Con Napoleone l'idea di arte come strumento educativo si trasforma progressivamente in quella di arte come propaganda, incentrata
sul culto della personalità dell'imperatore. David è nuovamente l'interprete primo
di tale progetto, con i suoi grandi quadri celebrativi dei fasti napoleonici a partire
dall'Incoronazione dell'imperatore e dell'imperatrice. La monumentale tela
raffigura la cerimonia svoltasi nella cattedrale parigina di Notre-Dame nel 1804
alla presenza di Pio VII, giunto eccezionalmente da Roma. Vi è raffigurato il
momento immediatamente successivo al rito d'incoronazione, quando
Napoleone, cinto d'alloro, alza la corona sul capo di Giuseppina. David si
preoccupa dell'esatta resa naturalistica dei numerosissimi personaggi
rappresentati: circa ottanta, a grandezza naturale, tra esponenti dello stato
francese, cortigiani, cardinali romani e amba sciatori, tutti disposti secondo un
ordine prefissato. Nella nuova situazione politica, alla sobrietà repubblicana si
sostituiscono la magnificenza e la magniloquenza dell'impero.

ANTONIO CANOVA (1757-1822)


Nato a Possagno, intorno al 1768 entra nello studio dello scultore Bernardi, con il quale si trasferisce a
Venezia. Qui comincia a frequentare la scuola di nudo dell'Accademia e a copiare i calchi in gesso di opere
antiche nella galleria di Filippo Farsetti. Entusiasta per il vivace ambiente cosmopolita di Roma, studia con
le opere degli antichi, frequentando l'Accademia di Francia e il Museo capitolino ed entrando in contatto
con numerosi artisti. Canova viene nominato Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della
Chiesa, dell'Accademia di San Luca, dei Musei vaticani e del Campidoglio, carica che gli conferisce
estesissimi poteri. Recatosi a Parigi nel 1802 per eseguire un ritratto di Napoleone, è ospitato a più riprese
da David. Tornato a Roma, inizia a lavorare a numerosi busti e statue-ritratto, che rivelano il lungo studio
dell'antichità classica. Nel 1815 viene mandato a Parigi dallo Stato pontificio per recuperare le opere d'arte
sottratte dai francesi durante le campagne d’Italia, riuscendo a riportare in patria numerosi capolavori. Negli
ultimi anni, anche per l'affermarsi della nuova tendenza purista, il suo stile rivela accenti arcaicizzanti,
neoquattrocenteschi. Muore a Venezia nel 1822.

Commissionato da don Onorato Gaetani dei principi di Aragona nel 1795, Ercole e Lica viene tradotto in
marmo solo nel 1815, benché il modello in gesso a grandezza naturale sia già pronto nel 1796. La violenta
tensione del gruppo di Canova sembra smentire l'idea della «nobiltà greca nel la sofferenza» professata da
Winckelmann, e avvicinarsi a un filone iconografico, riconducibile all'idea di un «neoclassicismo orrifico»,
che tende a raffigurare impulsi violenti, a mettere in risalto il riflesso fisiologico del dolore e lo scoppio
sanguigno della passione. Ercole, impazzito di dolore dopo aver indossato la camicia avvelenata con il
sangue del centauro Nesso, uccide il giovane messaggero che gli aveva recato il fatale indumento. Canova
raffigura Lica che, afferrato per un piede e per i capelli, sta per essere scagliato lontano da Ercole. La
tensione e la violenza del gruppo, contenuti in un contorno semplice nella sua circolarità, sono espresse
attraverso lo sforzo contrapposto dei gesti dei protagonisti, ambedue tesi ad arco. La visione frontale non
rivela interamente l'azione: la scultura di Canova dev'essere 6vista anche da dietro, soprattutto per
comprendere la disperata resistenza di Lica.
Il Monumento funebre di Maria Cristina d'Austria nella chiesa degli agostiniani a
Vienna viene commissionato a Canova dall'arciduca Albert di Sachsen Teschen
nell'agosto del 1798 per onorare la moglie Maria Cristina, da poco scomparsa.
Canova giunge nella capitale austriaca dopo un soggiorno romano, durante il quale
ha già realizzato impor tanti monumenti funebri. Lo storico dell'arte e suo amico
perso nale Quatremère de Quincy ritiene che, ideando quest'opera di carattere più
"funerario" che "monumentale", Canova abbia creato un nuovo modello di tomba
nel quale diventa centrale il motivo della meditazione sul mistero della morte, un
tema che nella cultura neoclassica è associato al pensiero di una classicità perduta
e irrecuperabile. Canova ha modificato gli schemi del monumento sepolcrale
barocco, collocando tutti gli elementi della composizione all'interno di uno schema
geometrico piramidale. Nel monumento viennese tale impostazione perde la sua
funzione di semplice impianto compositivo e diventa una piramide, che costituisce
una pura forma geometrica corrispondente a un simbolo della morte e
dell'oltretomba dagli evidenti rimandi alle tombe dei faraoni egiziani.

Una soluzione del genere si collega alla volontà dello scultore di organizzare l'opera in maniera semplice e comprensibile nei suoi
significati. Concepisce il monumento come un'azione in divenire, disponendo le figure dei dolenti, che compongono il corteo funebre,
a intervalli regolari sui gradini della piramide. Sul più alto vi sono la Pietà, che regge l'urna con le ceneri della defunta, e una coppia di
bambine; segue, sul gradino intermedio, la figura della Carità, alla quale si appoggia un vecchio cieco piegato su un bastone che
chiude il corteo. Questo è diretto verso l'oscura porta centrale, che segna il passaggio fra il mondo dei vivi e l'ignoto regno dei morti.

Stendhal ha definito la tomba di Maria Cristina «il più bel monumento funerario esistente». Realizzandolo, Canova porta a esiti radicali
la definizione moderna della tipologia: massima depurazione da elementi decorativi e abbandono di quelle «espressioni forzate» che
Winckelmann riteneva estranee alla nuova idea di bellezza.

Il ritratto di Paolina Bonaparte Borghese come Venere Vincitrice appartiene


alla tradizione iconografica del ritratto divinizzato. In essi il riferimento alla
mitologia o alla storia antica serve per simboleggiare, in modo allegorico, il
potere vittorioso e pacificatore, le qualità materne, la bellezza armoniosa.
Canova rappresenta gli "dei" del nuovo Olimpo napoleonico. In quest'ambito il
ruolo dell'avvenente Paolina può essere soltanto quello di Venere, in accordo
con la sua famosa bellezza e con la mitologia di Casa Borghese: Venere era
infatti madre di Enea, a sua volta progenitore di quell'antica stirpe di eroi romani
da cui discendevano, secondo le fantasiose tradizioni familiari, gli avi di Camillo
Borghese, che aveva sposato Paolina nel 1803. Il matrimonio è fortemente
voluto da Napoleone nell'ambito di una politica dinastica volta a recuperare le
relazioni diplomatiche tra Francia e Stato pontificio; in coincidenza con le nozze Camillo commissiona il ritratto di Paolina a Canova.
Canova attinge a diverse fonti: dai classici antichi, in particolare Polibio e Tacito; dalla tradizione pittorica, soprattutto di Giorgione e
Correggio, deriva il modello per Paolina.

Canova impiega circa tre anni per completare l'opera, che diventa immediatamente oggetto di culto per l'insolito abbinamento
ritratto-nudo di una donna altolocata, celebre per splendore fisico e spregiudicatezza mondana. La figura di Paolina è concepita
attraverso modulazioni di linee curve e linee ondulate: nella visione frontale, il busto nudo appoggiato ai cuscini s'inarca
morbidamente connettendosi al resto del corpo all'altezza del ventre, dove s'incrocia il panneggio. Tutti i dettagli appaiono studiati
per raggiungere la massi ma sublimazione. La stessa agrippina di legno stuccato e dipinto in colori grigio azzurrino, bianco e oro,
partecipa a questo processo idealizzante. Per consentire agli spettatori di ammirare il gruppo da ogni punto di vista, Canova
concepisce un meccanismo che permetteva un movimento di rotazione completo della scultura. Le cortine di legno, progettate come
pannelli mobili, mascherano un sistema a cilindro con ruote, collocato all'interno, in corrispondenza del busto di Paolina.

Il pubblico accorre numeroso ad ammirare la statua anche di notte, quando è illuminata da torce. Ma al momento della disfatta
napoleonica Paolina chiede al marito di non permettere più a nessuno di vedere il suo ritratto, «perché la nudità della scultura sfiora
l'indecenza». La scultura celebra il fulgore, fisico e mitico, di una dea dell'Olimpo napoleonico: ma al momento della decadenza fisica
e della fine dell'utopia imperiale non c'è più ragione di esporre un'opera che contrasta con il presente, mettendone in evidenza il
brusco declino rispetto agli splendori del passato.

FRANCISCO GOYA (1746-1828)


Nato a Fuendetodos nel 1746, si trasferisce presto a Saragozza, dove nel 1759 entra nello studio di José
Luzán, pittore di grande esperienza. Dopo un soggiorno in Italia nel 1770-71, realizza un affresco per la
volta del coro della chiesa di Nuestra Señora del Pilar, a Saragozza. Nel 1773 sposa la sorella di Francisco
Bayeu, pittore di gusto neoclassico, seguace di Raphaël Mengs e introdotto nell'ambiente artistico di
Madrid. Nel 1789 gli viene conferito da re Carlo V il prestigioso incarico di ritrattista ufficiale di corte. Nel
1792, colpito da una grave malattia, perde l'udito: da allora la sua pittura comincia a inasprirsi e a orientarsi
verso nuove soluzioni formali e nuovi soggetti, caratterizzati da una costruzione dell'immagine fondata
unicamente sul colore e su forti contrasti di luce e ombra. Nel 1797 inizia a lavorare ai Capricci, una serie di
incisioni di tono fortemente satirico che ha per oggetto i comportamenti malvagi e superstiziosi degli
uomini. Durante il periodo della domi nazione francese il suo atteggiamento appare contraddittorio: da un
lato si schiera con i ribelli spagnoli, dall'altro mantiene rapporti con il nuovo sovrano, ottenendo incarichi
direttivi sotto il breve regno di Giuseppe Bonaparte. Nel 1819 si trasferisce a vivere in una casa detta Quinta
del Sordo che riempie di scene fantastiche e visionarie, dette pitture nere per il prevalere di toni scuri e grigi.
Trascorre gli ultimi anni tra Spagna e Francia, morendo a Bordeaux nel 1828.

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La pittura di Goya comincia presto a staccarsi dalle edulcorate visioni che offre l'arte spagnola del tempo,
avviandosi più verso una registrazione lucida e accurata della crisi politica e sociale che caratterizza la sua
epoca. Egli imprime una svolta alla propria produzione con la serie dei Capricci, iniziati nel 1797. In questi
fogli - il più famoso dei quali è Il sonno della ragione genera mostri – il pittore ricorre a violenti contrasti
di luce e ombra per alludere alla vittoria delle forze della morte dell'irrazionale su quelle della vita e della
ragione, anticipando per certi aspetti i drammatici avvenimenti che si verifiche ranno a partire dal 1808,
quando le truppe di Napoleone invaderanno la Spagna, sconvolgendo la vita della nazione.

Il 18 marzo la sommossa di Aranjuez provoca l'incarcerazione del primo ministro Godoy,


l'abdicazione di Carlo IV e l'ascesa al trono di suo figlio Ferdinando VII. Quattro giorni dopo
il generale Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, entra a Madrid alla testa dell'esercito
francese. Il 2 maggio una folla di madrileni dà il via alla rivolta, che si diffonde in tutta la
città. I soldati spagnoli, benché consegnati nelle caserme, riescono a fornire armi agli
insorti. Dopo autentiche battaglie i mamelucchi riescono a ristabilire l'ordine. Nella notte del
3 maggio, il generale Grouchy ordina per rappresaglia alcune fucilazioni. Ferdinando VII è
costretto ad abdicare e il 5 maggio Carlo IV cede a Napoleone tutti i diritti che i Borboni
avevano sulla corona di Spagna, che viene assegnata a Giuseppe Bonaparte, fratello
dell'imperatore. La dominazione francese suscita una forte avversione negli spagnoli che,
tra il 1808 e il 1814, con azioni di guerriglia, opporranno una sanguinosa resistenza
all'invasore straniero. Nella serie di oltre ottanta incisioni dei Disastri della guerra,
pubblicata postuma nel 1863, Goya raffigura come un fotografo al fronte, in termini di cruda
verità, gli episodi violenti della resistenza spagnola, le rapine, i saccheggi, gli assassini, le
mutilazioni. Nel 1814, l'artista coglie l'occasione per sintetizzare quelle drammatiche
immagini in una forma più maestosa, proponendo al Consiglio della Reggenza di dipingere
due grandi tele per «perpetuare con il pennello le più eroiche azioni e scene della nostra
gloriosa insurrezione contro il tiranno d'Europa». I risultati sono i quadri 2 maggio 1808:
lotta contro i mamelucchi e 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio:
il primo raffigura l'insurrezione spontanea del popolo madrileno contro i mamelucchi della
cavalleria francese, il secondo la rappresaglia del giorno dopo, quando i francesi fucilano,
senza processo, tutti gli spagnoli sospettati di aver partecipato alla sommossa.

Ne 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio il fuoco dell’immagine è costituito dall’uomo inginocchiato con le
braccia aperte, violentemente illuminato dalla luce della lanterna: la sua camicia bianca, in contrasto col tono scuro degli altri colori,
costituisce la nota più chiara e luminosa della composizione. Di fronte a lui è schierato il plotone di soldati, di cui l'artista evita di
raffigurare i volti: il ritmo dei loro corpi, diagonalmente allineati con le gambe divaricate e le braccia tese, si fonde in un movimento
reiterato in avanti, gli sguardi fissi sulle canne dei fucili. L'occhio dell'osservatore è subito attirato dalla figura centrale investita dalla
luce. L'impressione iniziale è di trovarsi di fronte a un flash fotografico, che ha fissato l'istante fuggevole che separa l'atto di premere
il grilletto dei fucili e la morte dell'uomo. Il significato della scena si di spiega in questa progressione temporale che va dal "prima"
della fucilazione all’adesso e al "dopo", tre momenti che corrispondono ad altrettante fasi dell'agonia delle vittime. Goya dispone i
gruppi quasi come una sequenza cinematografica. Goya capovolge la tradizione iconografica più recente e raffigura un antieroe, un
civile senza nome ucciso con i suoi compatrioti da anonimi soldati.

A un simile rovesciamento di prospettiva contribuisce la tecnica pittorica dell'artista, condotta attraverso


larghe e dense pennellate di colore tendenti a definire forme e figure in maniera sommaria, ma fortemente
espressiva. Tale direzione - che prefigura il superamento della visione imitativa e idealizzante del
linguaggio neoclassico – troverà ulteriore sviluppo nel ciclo delle pitture nere realizzato da Goya nella
Quinta del Sordo, la sua casa vicino a Madrid. Le immagini terrificanti come il Sabba delle streghe o
Saturno che divora i suoi figli mostrano un'immediatezza pittorica, una capacità di sintesi e di tensione
psicologica nuove, che rivelano con anticipo il rifiuto di modelli normativi di bellezza, di lì a poco messi in
discussione dagli artisti romantici.

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— Romanticismi —
1815-1848

Processi, contesti, prospettive delle civiltà artistiche


IL MESTIERE DELL’ARTISTA
Il primo Ottocento è l'epoca in cui si consolida e si diffonde il Romanticismo. Il termine "romantico" deriva
dal neologismo seicentesco romantic, coniato in Inghilterra con una con notazione spregiativa per indicare
la materia degli antichi romanzi cavallereschi e pastorali; verrà esteso a definire scenari naturali attraenti e
pittoreschi. Con il termine “Romanticismo" si tende generalmente a indicare quell'esperienza culturale e
artistica che si contrappone al classicismo, puntando sulla riscoperta della fantasia e dell'irrazionalità, del
sentimento e dell'ingenuità, in una compenetrazione di uomo e natura. Le caratteristiche formali e stilistiche
si sono differenziate secondo due grandi linee di tendenza: per alcuni è fondamentale la disciplina del
disegno, con risultati che appaiono di più compiuta finitezza; per altri il colore, che tende a prevalere sui
limiti costituiti dal contorno.

L'idea di nazione è recente e il suo sviluppo “è collegato per molteplici fili alla sensibilità romantica", al di là
di differenze geografiche, contenutistiche, stilistiche e formali. Il processo si avvia dopo il Congresso di
Vienna (1815). Mentre i vincitori ridefiniscono i confini, restituendo ai sovrani spodestati i loro troni, molti
intellettuali e artisti europei cominciano a riflettere sul crescente distacco tra una realtà ormai radicalmente
trasformata dalla fase storica avviata dalla Rivoluzione francese e gli sforzi anacronistici tesi a far rivivere un
mondo tramontato. Il ritorno all’ancien régime produce uno scarto tra pubblico e privato, tra individuale e
politico: buona parte della generazione romantica riconoscerà nell'ambito interiore e soggettivo uno spazio
privilegiato della ricerca artistica.

Il filosofo tedesco Hegel mette in evidenza la doppia declinazione dell'individualismo romantico: da un


lato la concezione dell'individuo come soggetto, con l'esaltazione della singolarità, dell'interiorità, della
solitudine; dall'altro la forza dello spirito collettivo, che si esprime nei valori di "popolo" e di nazione. La
coincidenza di ideali romantici e patriottici vede emergere il tema della patria, in grado di sollecitare un
forte coinvolgimento emotivo del singolo suscitando l'idea di collettività nazionale e tradizione storica. Il
contrasto tra l'aspirazione alla libertà e la sua negazione e repressione può trovare forme consolatorie in
una religiosità intimamente vissuta o nell'esaltazione degli affetti familiari; il vagheggiamento dell’amore
infelice cerca compenso nei legami d’amicizia. L'arte romantica si presenta secondo un'estrema varietà e
molteplicità di contenuti ed espressioni.

I romantici rivendicano il diritto di seguire la propria strada senza aiuti né ostacoli, al fine di sviluppare la
propria sensibilità. Per l'estetica romantica, l'arte ha il compito di infrangere le regole, di trovare nuovi modi
d'espressione. Tali idee portano alla contestazione del sistema dell'istruzione artistica: la campagna
antiaccademica acquista nuovo slancio nella prima metà dell'Ottocento.

Secondo questi artisti, la nuova accademia deve essere diretta da un autentico "genio", il cui compito sia
"di fondare una vera scuola" e stabilire un rapporto intimo e amichevole fra maestro e allievi, come avveniva
nella tanto ammirata e idealizzata tradizione della bottega medievale. Alla tesi illuminista dell'utilità anche
economica delle scuole d'arte si contrappone il principio dell'art pour l'art, cioè della ricerca di una
bellezza fine a se stessa. La novità più importante è l'istituzione della Meisterklasse ("classe del maestro")
che, inaugurata nell'accademia di Düsseldorf, costituisce l'innovazione più significativa nella storia delle
accademie ottocentesche. L'ordinamento scolastico viene diviso in tre livelli: quello di base, che avvia al
disegno attraverso la copia da disegni e poi da calchi in gesso; quello preparatorio, dove si lavora su
modelli veri e s'inizia anche il corso di pittura; quello finale, dove gli allievi eseguono propri lavori e
collaborano all'opera del maestro. Al termine del corso gli allievi già licenziati e più ricchi di talento potranno
accedere alla Meisterklasse, il che significa usufruire di un atelier.

Nella prima metà dell'Ottocento i più famosi studi privati, dopo quello di David e Gros, sono quelli diretti da
Delacroix, Delaroche e Ingres. Lo scopo di un atelier, per un maestro della prima metà dell'Ottocento, è la
trasmissione dell'eredità classica e dei principi del “bello ideale” che hanno forgiato la sua personalità; per
gli allievi, la frequentazione di un grande studio è l'occasione di acquisire un mestiere capace di offrire
buone possibilità di affermazione.

IL PITTORESCO E IL SUBLIME
Il termine “pittoresco" era già stato utilizzato da Giorgio Vasari, per caratterizzare la particolare libertà
nell'uso del pennello, la macchia, il tocco, tipici della tradizione pittorica veneta. In Inghilterra il concetto di
pittoresco è al centro di un'ampia discussione. L'inglese Gilpin tenta per primo di definire teoricamente il
pittoresco: egli arriva a identificare nell'irregolare ruvidezza, implicitamente contrapposta alla levigatezza del
bello classico. Tali principi producono un cambiamento generale di sensibilità, modificando le attese
estetiche e i criteri di valutazione del bello. Si arriva ad apprezzare l’irregolarità, la grandezza disordinata e
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magari angosciosa, in un processo che identifica sempre più il piacere estetico con la fusione di elementi
formali e componenti emotive.

Alla poetica del pittoresco si affianca la poetica del sublime, che nell’antichità indicava "grandiosità e
magnificenza di stile”: il termine era stato consacrato nel celebre trattato Del sublime, attribuito al Pseudo
Longino, un retore del I secolo d.C. Nell'opera si esemplifica l’espressione del sublime differenziandola dalla
vuota qualità formale, per quanto elevata questa possa essere. In Inghilterra si avvia un’'interpretazione che
trasforma il concetto di sublime in una categoria estetica contrapposta al bello classico, nuovo perno di
molta sensibilità romantica. Per Burke la poetica del sublime è per certi aspetti complementare nel suo
chiamare in causa il temperamento antisociale e solitario dell'artista, l'esaltazione del genio, dell'energia
sfrenata dell’immaginazione e del tormento interiore appartenente in parte al pittoresco.

L’ESALTAZIONE ROMANTICA DEL “GENIO”


Tormentati da una costante insoddisfazione di se stessi e da un'ansia continua di migliorarsi, gli artisti sono
stati tradizionalmente collegati all'attitudine malinconica. Il filosofo Aristotele è stato il primo a postulare la
connessione fra umore malinconico e spiccato talento artistico e scientifico. Il binomio genio-malinconia
diviene in seguito un luogo comune nelle biografie degli artisti, ampiamente utilizzato da Vasari nelle Vite.
Nel XIX secolo il concetto di genio viene associato a espressioni come creatività, vocazione, sensibilità
individuale, carattere solitario. La sua opera segna l'inizio in Germania dello Sturm und Drang, il
movimento letterario dominato dalle figure di Goethe e Herder che introduce molti temi della poetica
romantica, a partire da quello della valorizzazione delle forze naturali come specchio del divino.

Alcuni artisti cercano di sviluppare una pittura in grado di trasmettere la forza divina delle sensazioni
provate di fronte alla natura, abbandonando tutto per seguire la vocazione artistica, considerata un dono di
Dio. Nell'arco di vent'anni questo senso di predestinazione degli artisti si accentua. Un comportamento del
genere è un fenomeno relativamente nuovo, che accomuna molti giovani aspiranti musicisti, poeti, pittori e
scultori, che affrontano tutti i genitori (autorità) in modo simile. Tra questi “spiriti ribelli”, che concepiscono
l'arte come vocazione e solo in parte come professione, si diffonde progressivamente il mito dell'artista
solitario, distaccato dalla prosaicità quotidiana, e il cui unico scopo è la creazione. Tra i romantici si
diffonde il culto della solitudine, della meditazione individuale: il raccoglimento creativo acquista sacralità.

La nuova coscienza di sé e dell’unicità dell'artista si manifesta negli autoritratti. L'orgoglio per il successo
mondano viene considerato degradante dal vero artista, per il quale gli onori più alti sono soltanto una
misera ricompensa rispetto all'immortalità. Lo spirito di fiera indipendenza si caratterizza nella posa
disinvolta, quasi indolente, a indicare libertà dal formalismo ufficiale. Preferiscono mostrarsi con capelli
scompigliati, camicie a collo aperto o cravatte mollemente annodate su abiti di buon taglio, indossati con
noncuranza, come comuni, sensibili, cittadini della repubblica delle arti e delle lettere.

CLASSICISMO E “VERITÀ”
Friedrich, Constable e Turner interpretano, pur con modalità diverse l'uno dall'altro, uno dei soggetti più
significativi della pittura romantica: la natura. Friedrich la percepisce come manifestazione del divino,
Constable è maestro nell'osservazione dal vero (influenzerà i pittori della Scuola di Barbizon), mentre Turner
fonde la tradizione paesaggistica del Settecento inglese con la scuola pittorica di Poussin e Lorrain.

In Francia, la maniera di Corot può essere considerata l'anello di congiunzione tra il naturalismo di matrice
inglese e gli impressionisti. Ingres invece incarna un modello più vicino al classicismo, con un disegno
controllato e soggetti che celebrano il passato, contrapponendosi a Delacroix, appassionato interprete del
presente. Géricault infine coniuga la pittura d’accademia con le istanze del realismo.

Hayez in Italia interpreta il presente ispirandosi a soggetti storici che appartengono al passato.

In architettura, un tema di grande rilevanza è rappresentato dal rapporto tra ambiente costruito e ambiente
naturale. Karl Friedrich Schinkel e Leo von Klenze sono gli esponenti più interessanti.

NEOMEDIEVALISMO IN ARCHITETTURA
Dall'epoca rinascimentale fino al primo Ottocento l'interesse verso gli edifici medievali era stato scarso,
ma il clima romantico riporta alla ribalta le opere di quella stagione culturale, suscitando curiosità per le
suggestive rovine delle cattedrali gotiche, soprattutto nordeuropee. Le loro forme rispondono a una rigorosa
logica costruttiva e ogni cattedrale è l'esito di un'ardita sperimentazione delle possibilità di resistenza dei
materiali e di un'eccezionale accumulazione di conoscenze tecnologiche. Si scopre che nell'impresa dei
costruttori di cattedrali le motivazioni religiose e civili si saldavano con uno straordinario sviluppo della
razionalità propria della produzione edilizia. Questo nuovo apprezzamento stimola l'immaginazione dei
letterati e degli architetti e l'indagine scientifica degli archeologi su singoli edifici.

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Nel XIX secolo le discipline storiche assurgono al rango di scienze dotate di specifiche metodologie. Fra
queste anche la storia dell'architettura acquista gradualmente una strutturazione, stabile nelle sue linee
fondamentali. L'ampia letteratura prodotta nel giro di pochi decenni dà luogo a nuove interpretazioni
storiografiche e alla volontà di conservazione e di restauro dei monumenti medievali e al gusto della loro
imitazione stilistica in nuove architetture. La comprensione dei caratteri costruttivi del Gotico invita architetti
e ingeneri a progettare nuovi spazi e forme architettoniche sulla base delle possibilità offerte dai nuovi
materiali edilizi (ferro, vetro, cemento armato).

In continuità con la tradizione gotica, il Gothic revival inglese raccoglie la migliore produzione
architettonica inglese del XIX secolo in quattro fasi successive. L'esplosione del Gothic revival è merito del
successivo movimento degli Ecclesiologists, intreccio di misticismo e razionalità progettuale di cui sarà
interprete di primo piano l'architetto Pugin.

Dominano la scena europea le contrastanti ragioni di tre personalità che hanno fatto dell'architettura gotica
il loro primo, benché non esclusivo, referente storico: gli inglesi Ruskin, scrittore d'arte e d'architettura, e
Morris, promotore nella seconda metà del secolo del movimento Arts and Crafts; il francese Viollet-le-Duc,
architetto, storico dell'architettura e restauratore.

• Viollet-le-Duc pratica restauri di ripristino, caratterizzati da rifacimenti e integrazioni di edifici antichi


secondo quello che egli ritiene esserne lo stile originario.

• Ruskin si oppone all’intervento di ripristino poiché lo considera un falsificante tentativo di "ringiovanire"


gli edifici attraverso la reintegrazione di una completezza in realtà storicamente inesistente; è a favore di
una loro cura assidua, che li conservi il più a lungo possibile in quanto documenti viventi dell'operare
artistico degli uomini. La valorizzazione della componente ornamentale dell'architettura gotica viene
svolta nei termini di un'ideologica contrapposizione tra libertà creativa di architetti e schiavitù imposta
agli operai del XIX secolo dal lavoro seriale e meccanico della macchina.

In Francia, esponenti di primo piano dell'intreccio tra Romanticismo e Medioevo cristiano sono il saggista
de Chateaubriand, e lo scrittore Hugo. L'arditezza costruttiva gotica funziona da referente per una
modernità espressiva e una libertà di ricerca impedite dal conservatorismo e dall'autoritarismo acritico della
tradizione classicista accademica.

La riscoperta tedesca del gotico (Revival gotico tedesco) si fa coincidere con lo scritto di Goethe
Sull'architettura tedesca (1772), nel quale il poeta ventitreenne manifesta la sua ammirazione per la
Cattedrale di Strasburgo. Sono gli inizi e le basi di un revival neogotico di ampia diffusione e di un vivo
interesse per l’architettura da parte di filosofi di primo piano dell'idealismo tedesco, come Schlegel e Hegel.

La fortuna del neomedievalismo in Italia è legata a quattro concorsi per le facciate di importanti chiese di
origine due-trecentesca: il Duomo di Milano, San Petronio a Bologna, San Lorenzo e Santa Maria del Fiore a
Firenze. In Italia Pietro Selvatico Estense diffonde il neomedievalismo di matrice nordeuropea e Camillo
Boito fonda la disciplina autonoma del restauro di edifici antichi.

Analisi delle opere


CASPAR DAVID FRIEDRICH (1774-1840)
Caspar David Friedrich nasce in una cittadina svedese sul Baltico, studia con il maestro neoclassico danese
Abildgaard e si stabilisce a Dresda, dove matura la sua concezione mistica e simbolica della natura, intesa
come manifestazione della presenza di Dio. “Un pittore dovrebbe dipingere non so lo ciò che vede innanzi a
sé, ma anche ciò che vede dentro di sé”. Con queste parole Friedrich invita a fondere il mondo materiale e
quello spirituale.

Ne Il Monaco in riva al mare, quattro quinti del dipinto sono puro cielo, mentre la
parte restante è occupata dalle strisce sottili del mare e della riva. Lievemente
decentrata sta la piccola figura di un monaco, ritto a guardare in lontananza. La
scena è drasticamente ridotta a tre elementi - terra, acqua, cielo- come si trattasse
di uno scheletro della natura spoglio nella sua tripartizione. Ma la trasformazione di
un paesaggio naturale in un nuovo tipo di immagine, quella di cui parla Friedrich, è
raggiunta con la solitaria e minuscola figura del monaco che sembra essere sulla
soglia del nulla.

Anche lo spazio del dipinto contribuisce a questa trasformazione-fusione. Il


monaco in meditazione si colloca ai confini del mondo materiale, confrontandosi
prima con la distesa di mare visivamente sottile ma incommensurabile che diventa
poi cielo, un vuoto di nebbia e nuvole che si estende all'infinito, accessibile alle sensazioni interiori. Il contrasto acuto tra il vicino e il
lontano, il terreno e l'immateriale, passa attraverso questa anticonvenzionale spazialità spirituale. Friedrich eleva il paesaggio a un
livello di assoluta potenza emozionale e simbolica e propone un'arte pervasa di religiosità.

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La grandiosità della natura e i personaggi di spalle che ne contemplano l'immensità sono elementi
tipici della pittura di Friedrich. Ne sono un esempio Le bianche scogliere di Rügen, caratterizzate
dall'aspro ma spettacolare scenario naturale che si poteva godere dal promontorio più settentrionale
dell’isola. In primo piano, su una stretta striscia di terreno, sono collocati una donna seduta, la
giovane moglie del pittore, e due uomini, che sono sono stati identificati con lo stesso Friedrich e suo
fratello. Davanti alle bianche rocce che una luce chiara rende fiammeggianti, il mare si distende in
profondità fino a confondersi con il cielo all'orizzonte. Un albero sottile a sinistra e uno più robusto a
destra incorniciano la veduta.

Il diffuso sentimento di religiosità della natura si precisa nel dipinto in alcuni dettagli simbolici: il tralcio
d'edera ai piedi della donna potrebbe infatti accennare all'immortalità dell'anima o all'amore che vince
la morte, mentre le barche rimandano al viaggio dell'anima verso la vita eterna.

JOSEPH MALLORD WILLIAM TURNER (1775-1851)


Dotato nel disegno, compie il tirocinio artistico sotto la guida del pittore Thomas Malton tra il 1787 e il 1789.
esercitandosi in schizzi e studi dal vero. Nel 1789 si iscrive alla Royal Academy School per perfezionare la
tecnica del disegno, confrontandosi con i grandi modelli del passato. Negli anni di formazione si dedica
soprattutto al paesaggio, ispirandosi ai pittori della Scuola di Norwich ed esercitandosi pittura dal vero
durante i soggiorni nelle regioni suggestive della Gran Bretagna. Nel 1807 è nominato professore alla Royal
Academy, dove insegnerà per trent'anni, diventandone presidente nel 1845. Continua a viaggiare in Olanda
e in Italia, disegnando incessantemente su taccuini che porta sempre con sé.

Il quadro Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi


- caratterizzato dall'irregolarità "pittoresca" della struttura, impostata
senza assi geometrici – si rivela decisamente nuovo, rompendo con le
regole compositive tradizionali. Esso viene valutato positivamente dalla
critica, che ne sottolinea il carattere sublime e misterioso, la natura
violenta e la magnificenza terribile. Turner trae spunto da un episodio cui
aveva assistito: nel 1810 era stato testimone "in estasi” di una violenta
tormenta di neve in campagna, in occasione della quale aveva tracciato
uno schizzo veloce delle grosse nubi che si addensavano e delle
caratteristiche del fenomeno atmosferico, dichiarando che ne avrebbe
ricavato un dipinto raffigurante Annibale durante il passaggio delle Alpi.
Per realizzare l'opera Turner consulta le più antiche descrizioni della
marcia dell'esercito cartaginese (218 a.C.); inoltre riprende acquarelli e oli
che aveva eseguito ispirandosi a paesaggi alpini e, guarda il Bonaparte che valica il Gran San Bernardo di David. Il pittore fonde
dunque esperienze reali e immaginarie, traducendo l'episodio storico in un paesaggio sublime.

Ciò che appare all'occhio dell'osservatore è un'onda, un'astratta configurazione di energia nella quale sono fusi turbini di neve e
nuvole in tempesta. Sotto questa massa di densi vapori si svolgono episodi di saccheggio e violenza, perpetrati da una truppa
formicolante di soldati, più evocata che raffigurata. Anche la minuscola silhouette di Annibale, incurante della tempesta che si è
abbattuta sul suo esercito, è appena distinguibile di stesa su un elefante. I neri, i grigi e i bianchi formano una pesante cortina
atmosferica, che il pallido sole non riesce a penetrare: solo in lontananza una luce tremolante rivela una valle che si perde
all’orizzonte. Il turbine si rivela come una forza onnipotente, schiacciante, ridimensionando con la sua terribile e immane violenza le
imprese degli uomini e le loro figure. Turner anticipa la maniera degli impressionisti, ulteriormente radicalizzata dalle tendenze astratte
della seconda metà del XX secolo, in generale riconducibili alla nozione di "informale".

Il concetto romantico di "sublime" può essere esemplificato, in pittura, da un altro


quadro di Turner, l'Incendio della Camera dei Lords e dei Comuni il 16 ottobre 1834,
realizzato nella fase di compiuta maturità artistica, caratterizzata da un modo più libero
di rappresentare il paesaggio, fondato sulla contrapposizione di grandi masse di colore.
L'incendio aveva offerto uno spettacolo emozionante e terribile alla folla accorsa a
vederlo, anche Turner aveva osservato direttamente la scena da un'imbarcazione,
fissando l'episodio da diversi punti di vista con schizzi a matita e ad acquarello. Il senso
di un insieme indistinto si combina alla restituzione di numerosi particolari narrativi.
L'edificio incendiato, al centro, è colto nel momento in cui un repentino colpo di vento
fa piegare le fiamme verso l'acqua, allontanandole dall'abbazia di Westminster, le cui
torri traspaiono bianche nella cortina di fumo. Nonostante il carattere sublime del
soggetto, Turner non trascura dettagli realistici, come le pompe ad acqua dei pompieri
che il battello a vapore, in primo piano a destra, sta rimorchiando sul luogo del disastro.

Lo spazio, ellittico come il campo visivo, è un'estensione infinita, animata dall'agitarsi di forze cosmiche che coinvolgono gli oggetti in
vortici d'aria e turbinii di luce. La struttura a vortice esemplifica l'idea, di derivazione illuminista, di dinamismo cosmico, secondo la
quale il movimento universale si sottrarrebbe al controllo della ragione, riuscendo a rapire l'animo umano in estasi paradisiache o a
precipitarlo nello sgomento. Sull'intera superficie del quadro tutto si confonde: le fiamme dorate e il fumo s'innalzano e si espandono
mescolando, indissolubilmente, il cielo con l'acqua del fiume, la realtà col riflesso, ciò che è costruito dall'uomo con ciò che è
naturale. La pittura di Turner si avvia a divenire una visionaria anticipazione dell'astrattismo novecentesco.

12
JOHN CONSTABLE (1776-1837)
Constable si forma alla Royal Academy. Studia inoltre le opere dei grandi pittori del passato, da Annibale
Carracci a Lorrain, e di maestri inglesi come Thomas Gainsborough. Soggiornando nella pittoresca zona del
Lake District si esercita a lungo nella pittura ad acquarello dal vero.

Tra i migliori risultati della sua prima pittura di paesaggio, caratterizzata da una
rappresentazione diretta della vita quotidiana in campagna, è Il mulino di Flatford. Il fiume,
lungo il quale navigano i barconi, occupa la parte sinistra della scena: scorre attraverso la
chiusa, poi scende lungo un canale sotto il mulino di proprietà della famiglia del pittore. Due
barconi stanno facendo manovra: un ragazzo libera il cavo con cui il primo è attaccato al
cavallo da traino, mentre un altro fa girare l'imbarcazione con un lungo palo, per permettere il
passaggio sotto la passerella di Flatford, le cui travi s'intravedono nell'angolo in basso a
sinistra. A destra si apre un ampio prato assolato che un contadino sta falciando; lo attraversa
un filare di alberi oltre il quale si può scorgere una mandria al pascolo. Ambientata in una calda
giornata estiva, la scena è studiata meticolosamente in ogni particolare, osservato
direttamente dal vero e schizzato in numerosi disegni preparatori.

La visione centrale è impostata sulla linea curva del letto del fiume, cui fanno eco la linea del sentiero, che porta verso il villaggio, e
quella del canale d'irrigazione, che scorre lungo il bordo del prato a destra. Il passaggio tra primo piano e sfondo è guidato da una
linea a zig zag, che rivela all'occhio dell'osservatore una quantità di dettagli: dalla varietà dei fiori restituiti con cura ai covoni di fieno
al centro, fino ai più minuti particolari delle case all'orizzonte. Dal punto di vista tecnico-formale il dipinto si può considerare come la
summa di quanto l'artista era riuscito a produrre fino allora. L'uso del colore locale – cioè il colore proprio di un oggetto alla luce
naturale - viene qui per la prima volta applicato in una tela di grandi dimensioni e non solo in quadri piccoli e in schizzi.

Un ulteriore passaggio della sua pittura coincide, nel 1821, con l'esposizione alla Royal
Academy di Londra del quadro Il carro del fieno. Le sue opere cominciano a suscitare
molto interesse in Francia: nel 1824 viene invitato a presentare il quadro al Salon, dove
riceve una medaglia d'oro. Tra i suoi più entusiasti ammiratori c'è Delacroix che ne
ripropone la luce scintillante e le pennellate spezzate nel fondo e nei colori brillanti delle sue
Scene dei massacri di Scio.

Il quadro presenta un universo naturale completo, fondato sull'osservazione scrupolosa


della vita quotidiana in una fattoria della valle dello Stour. Nella parte superiore della tela, un
tipico cielo inglese rannuvolato passa rapidamente dalla tempesta al sole splendente; in
basso, un cane bianco e nero osserva immobile il guado tranquillo di un carro di fieno. Sulla
riva, una figura nascosta fra i cespugli sembra stia ormeggiando una barca, mentre uccelli acquatici volano o galleggiano sul fiume.
Sul prato in lontananza, alcuni contadini lavorano sotto il sole di mezzogiorno; a sinistra una vecchia casa colonica, con il camino
fumante, è semi nascosta nella vegetazione. Quella di Constable è un'evocazione, apparentemente senza pretese, di un paesaggio
semplice e felice, dove uomini, animali e ambiente sono riuniti nell'armonia degli elementi. I colori sono dati a tocchi distinti e la
luminosità che ne deriva, con un effetto quasi di umidità, tende a fondere tutto in un'atmosfera che dissolve il mondo della materia.

THOMAS COLE (1801-1848)


La poetica del pittoresco, benché elaborata nell'ambito della cultura europea, trova punti di contatto con la
visione degli artisti americani della cosiddetta Hudson River School, la prima scuola di pittura dell'Ottocento
americano. Come per i paesaggisti romantici inglesi e tedeschi, anche per gli artisti d’oltreoceano la natura
ha un significato trascendentale.

Thomas Cole, tende a fondere minuzioso realismo e gusto dell'allegoria. Tali elementi si
ritrovano associati in Oxbow: il fiume Connecticut vicino a Northampton, un'ampia
veduta della valle del fiume Connecticut dal pendio di una montagna, nella quale è
raffigurata una condizione di calma dopo la tempesta estiva. Sulla sinistra, dalla folta
vegetazione che ricopre il promontorio, resa brillante dalla pioggia che ancora ne in veste
una parte, affiorano la testa, il cappello e l'estremità superiore del cavalletto del pittore. La
sua presenza, non più evidente di uno dei numerosi ramoscelli che cospargono il terreno
accidentato, rivela una totale immedesimazione tra artista e paesaggio e ci evoca il divino
spettacolo del creato.

FREDERICK EDWIN CHURCH (1826-1900)


Discepolo di Cole e pittore della seconda generazione della Hudson River School, Church è attratto dalla
molteplice fisicità della natura indagandola con meticoloso realismo e attenzione scientifica.

In Sunset raffigura uno dei luoghi più amati dai paesaggisti americani, la vallata del l'Hudson
con all'orizzonte il profilo piramidale del monte Ktaadn. Il crepuscolo estivo è colto in uno dei
momenti di massima suggestione: la luce, proveniente dal sole invisibile oltre la montagna,
accende di rossi e di riflessi dorati l'ampia distesa del cielo, mentre le nubi, alte sul lago in
primo piano, riflettono l’imminente penombra che avanza sull’acqua da sinistra evocando il
rapido scorrere dei fenomeni naturali nel loro ciclo quotidiano ed eterno.

13
THÉODORE GÉRICAULT (1791-1824)
Nasce a Rouen nel 1791; nel 1795 si trasferisce con la famiglia a Parigi, dove frequenta il Liceo Imperiale.
Nel 1808 interrompe gli studi umanistici per dedicarsi completamente alla pittura: entra prima nell'atelier di
Charles Vernet, raffinato pittore di tendenza neoclassica e, nel 1810, nello studio di Guérin, pittore di scene
storiche e maestro di tutta la generazione romantica, Delacroix compreso. Contemporaneamente, studia
fiamminghi, le affascinato soprattutto dai opere dei ricchi impasti cromatici delle tele di Rubens.
Nell’autunno del 1816 parte a sue spese per l'Italia: visita Firenze e Roma, dove rimane impressionato dalla
grande pittura del Cinquecento e dagli spettacoli contemporanei. L'interesse per i fatti di cronaca, sociali e
politici, matura con l'impegnativa realizzazione del suo dipinto più noto: La Zattera della Medusa. Tornato a
Parigi negli ultimi mesi del 1821, esegue la serie di Ritratti di alienati, commissionatagli dall'amico psichiatra
Etienne-Jean Georget. In seguito a ripetute cadute da cavallo, si procura una lesione del midollo spinale
che lo costringe a letto. Muore a Parigi nel 1824, a soli trentadue anni.

Géricault raggiunge l'apice della fama con La Zattera della Medusa, presentata prima
ancora di essere terminata al Salon del 1819. A causa della violenta opposizione degli
organi ufficiali, che intendevano insabbiare lo scandalo suscitato dal naufragio della nave
Medusa, il quadro non viene acquistato dallo stato e al pittore viene concessa
semplicemente una medaglia d'oro invece del primo premio. Nel 1820 la tela viene esposta
a Londra ricevendo una migliore accoglienza, con un più ampio apprezzamento del modo in
cui la mano dell'artista ha svelato i particolari di eventi sconvolgenti.

Per la scena l'artista si ispira a un tragico fatto di cronaca che aveva scosso l'opinione
pubblica: il naufragio della Medusa - nave ammiraglia di un convoglio che trasportava
soldati e civili verso la colonia del Senegal - avvenuto nel 1816 al largo dell'Africa
occidentale. In seguito al naufragio, 150 persone erano salite su una zattera che per diversi giorni era andata alla deriva, in un
crescendo di orrori (un ammutina mento, episodi di cannibalismo): la nave della salvezza, l'Argus, aveva recuperato solo una
quindicina di superstiti, cinque dei quali erano morti subito dopo. Il governo aveva cercato di mettere a tacere le critiche
sull'inadeguatezza dei soccorsi, ma due sopravvissuti avevano scritto un resoconto dell’evento.

Géricault sceglie di rappresentare un momento dell'episodio carico di tensione drammatica e psicologica: il primo avvistamento della
nave Argus. Nel groviglio di venti figure, Géricault rappresenta un graduale crescendo di emozioni che vanno dallo scoramento alla
speranza, alla delusione. In primo piano un vecchio siede meditando tristemente tra i morti; dietro di lui, alcuni sopravvissuti in piedi
rivolgono gli sguardi verso il punto all'orizzonte che un compagno sta indicando; altri si volgono, uno dopo l'altro, tentando di alzarsi,
rianimati da un'ultima tenue aspettativa; altri aiutano un marinaio di colore a salire su un barile, perché possa sventolare la camicia
più in alto, per farsi vedere dall'equipaggio dell'Argus. La scena, su cui si proietta l'ombra di un'enorme nuvola, è impostata su una
serie di diagonali che dalla base della zattera convergono verso gli apici costituiti dall'albero e dalla camicia agitata dal marinaio sul
barile. Essa è dominata da due spinte contrarie: da una parte l'onda montante dei naufraghi protesi verso l'incerta salvezza; dall'altra,
la forza del mare e del vento che, soffiando da destra a sinistra, gonfia la vela in direzione opposta. Il piano instabile, oscillante della
composizione è scosso da due impulsi contrastanti, speranza e disperazione, vita e morte.

Géricault corregge la realtà, escludendo certi particolari macabri direttamente studiati su cadaveri e parti anatomiche che era riuscito
a ottenere dall'obitorio. Nell'immagine finale prevale la forma "bella" delle vittime, la loro perfetta muscolatura: infatti, nonostante
abbia no trascorso ben quindici giorni sulla zattera alla deriva dissetandosi con la propria urina e nutrendosi con la carne dei
compagni, i naufraghi non appaiono emaciati, ma imponenti e vigorosi. Géricault attribuisce un significato universale e trasforma un
episodio di cronaca in un dramma senza tempo. La Zattera ribalta la concezione della storia: non più eroismo e gloria ma
disperazione e morte, non più trionfo ma disastro.

Dalla fine del 1821 Géricault esegue una serie di ritratti di malati
mentali (Ritratti di alienati) per Étienne-Jean Georget, primario
dell'ospedale psichiatrico della Salpêtrière di Parigi. Il giovane
medico considera la follia una malattia che può essere alleviata con
una terapia basata su tolleranza e comprensione; d'altra parte cerca
di classificare la follia ricorrendo all'osservazione dei lineamenti del
viso. I ritratti di Géricault gli servono come materiale didattico-
dimostrativo nel suo corso di patologia medica.

Tali ritratti mirano a restituire i segni del disordine mentale di


persone classificate secondo le diverse monomanie da cui sono affette: invidia, furto, comando militare, gioco e rapimento di
bambini. I volti, però, non mostrano tratti esasperati; né presentano una mimica grottesca o attributi insoliti e neppure una minacciosa
aggressività. Il turbamento psichico di questi alienati si rivela piuttosto nell'espressione vigile dei volti, quasi diffidenti, e traspare dalla
fissità allucinata degli occhi, rivolti a un interlocutore immaginario o spenti nel vuoto. Géricault non attenua il loro aspetto febbrile,
puntando a osservare e restituire questi maniaci e le loro espressioni con sguardo oggettivo attento alle possibili forme della realtà.

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EUGÈNE DELACROIX (1798-1863)
Nato a Charenton-Saint-Maurice nel 1798, dopo la morte del padre si trasferisce a Parigi, dove frequenta il
Liceo Imperiale, seguendo le lezioni in maniera discontinua e manifestando una forte inclinazione per il
disegno. Nel 1815 entra nell'atelier del pittore neoclassico Pierre Narcisse Guérin e vi stringe amicizia con
Géricault, che lo spingerà verso la nascente pittura romantica. Nel 1822 debutta al Salon con Dante e
Virgilio all'Inferno, tela d'impostazione ancora accademica ma originale nella stesura cromatica, vicina alla
maniera di Géricault per il prevalere del senso e del piacere del colore sulla puntuale definizione delle forme
attraverso il disegno. Al Salon del 1824 espone le Scene dei massacri di Scio, guadagnandosi la medaglia
d'oro ma anche molte critiche. Nel 1825 parte per l'Inghilterra, dove visita musei e conosce Constable.
Tornato a Parigi, vive gli anni più mondani della sua esistenza; frequenta i salotti e stringe amicizia con
letterati romantici come Hugo, Stendhal e Balzac. Dopo i moti rivoluzionari del 1830 dipinge La Libertà che
guida il popolo, una delle sue tele più note, esposta al Salon del 1831. Muore a Parigi nel 1863.

La rivolta del popolo greco contro l'impero ottomano, scoppiata nel marzo del 1821, attira
immediatamente l'attenzione dei liberali europei. Nel 1822, per reprimerla, il Sultano in via un esercito di
diecimila uomini nell'isola di Scio, dove circa ventimila abitanti vengono massacrati e numerose donne e
bambini deportati come schiavi. Eugène Delacroix, progetta Scene dei massacri di Scio, relativamente
lontani geograficamente ma molto vicini alla coscienza europea occidentale. Dopo essersi attentamente
documentato sui fatti, esegue un grande quadro, esposto al Salon del 1824. Il quadro suscita scalpore
per l'uso disinvolto del colore, giudicato «repellente» per la sua stesura apparentemente rozza, e per la
mancanza di disegno delle figure, da molti considerate mal eseguite.

Quest'opera è un dipinto senza un eroe, ma anche senza un vero asse centrale, intorno a cui
tradizionalmente si organizzava l'immagine. Dove generalmente viene rappresentato il culmine
dell'azione c'è infatti uno spazio vuoto - determinato dalla disposizione a "M" della scena - che si apre
in lontananza verso una pianura riarsa e un cielo tenebroso, verso un combattimento distante. In primo
piano, con un rapido scarto di proporzioni rispetto al fondo, sono raggruppati per nuclei familiari i prigionieri, tra cui vecchie, donne e
bambini, sorvegliati da un soldato turco con un fucile in mano. Tutti i personaggi appaiono in uno stato di sconfortata prostrazione e
sfinimento. L'unica figura che mostra una certa vitalità è quella del turco a cavallo, che riecheggia i tanti cavalieri dipinti da Géricault.

Il 25 luglio 1830 Carlo X sospende la libertà di stampa e scioglie le Camere: si scatena a


Parigi l'insurrezione popolare. Durante i combattimenti, Delacroix gira per la città da cronista
a raccogliere appunti in vista di una tela di «soggetto moderno», capace di celebrare le «tre
gloriose giornate» di Parigi. La Libertà che guida il popolo, benché più idealizzata di altre
raffigurazioni delle giornate di luglio, diventa l'icona politica della pittura moderna.

Il quadro raffigura un gruppo di insorti che avanza su una barricata guidato dalla figura
simbolica della Patria-Libertà. Si tratta di una popolana malamente vestita e idealizzata nel
suo scoprire il seno, che avanza decisa alla testa dei rivoltosi brandendo un fucile e la
bandiera francese. Berretto frigio in testa, è inquadrata tra un bambino con pistole in
entrambe le mani e un insorto, forse un autoritratto di Delacroix, con una carabina.
Leggermente arretrato, un operaio è riconoscibile dalla blusa azzurra, mentre altre figure in
armi sono altrettanto identificabili per i loro cappelli: un soldato della Guardia nazionale, uno studente del Politecnico, un borghese,
dunque diverse classi sociali unite nella lotta. In ultimo piano la folla si dissolve in for me appena suggerite, confuse tra polvere e
cielo, cui corrisponde, dalla parte opposta, uno scorcio di città, con in lontananza Notre-Dame. Il gruppo centrale è organizzato in
uno schema a triangolo, del quale i cadaveri stesi al suolo costituiscono la base. I lati ascendenti sono definiti a sinistra dal fucile
tenuto dall'insorto, prolungato nel braccio che brandisce una spada, poi dall'asta stessa della bandiera a formare una linea quasi
continua; a destra, dalla gamba e dalla striscia bianca di cuoio del bambino, quindi dal suo braccio sinistro che impugna la pistola,
poi da quello destro della Libertà, che sottolinea con l'angolo acuto della bandiera, il vertice della costruzione piramidale.

Quando è esposta al Salon, la tela sconcerta parte del pubblico, che accusa l'artista di aver rappresentato solo gli strati sociali più
umili omettendo la gente "per bene", cioè la potente borghesia finanziaria che si vantava di essere stata artefice del rovesciamento di
Carlo X. A Delacroix viene soprattutto rimproverato di avere scelto come figura-simbolo della Libertà un modello femminile plebeo, il
cui braccio alzato lascia vedere i peli dell'ascella. Per la figura della Libertà Delacroix si ispira a di verse fonti: essa appare la
trascrizione pittorica di La Curée, un'ode di Auguste Barbier, nella quale si parla di “una donna forte, dal seno poderoso, dalla voce
rauca, dal fascino duro, dai fianchi sodi”.

Il nuovo governo di Luigi Filippo acquista il dipinto per tremila franchi ma lo mette opportunamente a riposo nei depositi del Museo
del Luxembourg. Qui viene esposto, ma per poche settimane, in occasione della Rivoluzione del 1848 e all'Esposizione universale di
Parigi del 1855, per tornare dopo nell'oblio: solo nel 1874, dopo l'affermazione della Terza Repubblica, viene trasferito al Louvre in
esposizione permanente. L'immagine della Libertà si è gradatamente fissata nella modernità come simbolo dei diritti umani.

Per molti europei l'Oriente, come il Medioevo, rappresenta nell'Ottocento un mondo altro,
immaginato più libero, più bello, più autentico, una realtà estranea alla civiltà classica, un
territorio aperto agli spazi della fantasia, non limitato né costretto dalle convenzioni della cultura
occidentale. A influenzare maggiormente i temi dei pittori che saranno chiamati orientalisti sono
le opere del poeta inglese George Byron.

Delacroix dipinge almeno sei soggetti ispirati al poemetto Il Giaurro e dal suo dramma
Sardanapalo deriva la Morte di Sardanapalo (1827), che suscita enorme scalpore al Salon del
1828: in un'orgia di colore sanguigno, il re assiro semidisteso sul letto assiste impassibile, prima
di suicidarsi, alla distruzione, da lui stesso ordinata, di tutto quanto era servito ai suoi piaceri.

15
Nel 1832 Delacroix si reca personalmente in Marocco e nei mesi di permanenza riempie
sette album di schizzi. Il viaggio diventa l'occasione per confrontarsi direttamente con la
realtà islamica, che ai suoi occhi appare come una sopravvivenza dell'antico mondo
mediterraneo. Queste osservazioni vengono rielaborate da Delacroix nel corso di tutta la
sua attività, a cominciare dalle Donne di Algeri nelle loro stanze, uno dei suoi quadri di
soggetto orientale più importanti. Esposta al Salon del 1834, la tela raffigura l'interno di
un harem, la cui atmosfera indolente è sottolineata dagli atteggiamenti delle donne che
oziano fumando il narghilè. Queste creature claustrali emanano un senso di languido
erotismo, amplificato dall'intreccio sensuale di tocchi di colore intenso, da velature
cromatiche calde e morbidamente avvolgenti. Si tratta della visione di un mondo abitato
solo da donne, dell'incarnazione vivente di un sogno ottocentesco di molti spettatori
maschili occidentali, di un ambiente sensuale e voluttuoso.

JEAN-AUGUSTE-DOMINIQUE INGRES (1780-1867)


Ingres nasce a Montauban nel 1780. Il padre, artista di buon livello, gli impartisce le prime lezioni di pittura
spingendolo a esercitarsi nella copia delle opere di grandi maestri del passato. Frequenta l'Accademia di
Tolosa, poi, trasferitosi a Parigi, entra nell'atelier di Jacques-Louis David e nel 1801 vince l'importante Prix
de Rome. Nel 1806 parte per Roma, stabilendosi nel pensionato di Villa Medici: ma il soggiorno romano si
protrae per altri quattordici anni. Durante questo lungo periodo studia le opere classiche, il Rinascimento e
la pittura del Tre e Quattrocento. Nel 1825 gli viene conferita la Legion d'Onore, viene eletto membro
dell'Académie des Beaux Arts e apre un suo frequentatissimo atelier. Muore a Parigi nel 1867.

La sua sovrumana grandezza del personaggio di Napoleone è sottolineata nel Napoleone I sul trono
imperiale di Ingres (1806), allievo di David. L'imperatore è separato dal regno terrestre da uno spazio
ricoperto da un tappeto su cui spicca l'aquila imperiale e da un cuscino di velluto su cui poggiano i suoi
piedi. Gli fanno corona gli emblemi del potere della storia d'Occidente, dalle aquile degli antichi romani e dei
carolingi alle api franche sul vestito, e ai contrassegni del potere monarchico francese, come la mano di
Giustizia di Carlo Magno e lo scettro di Carlo V. La sua prepotente frontalità contribuisce a trasformarne la
figura viva e reale nell'immagine senza età di un potere indiscusso e inavvicinabile. La rigida simmetria della
posa gli conferisce un senso ieratico, da icona medievale, che ricorda lo schema della divinità cristiana.

Il motivo della sensualità femminile, che si offre senza inibizioni nell'intimità dei bagni e degli harem
orientali, è molto diffuso nella pittura dell'Ottocento. Iniziato verso il 1848 per il principe
Napoleone, questo Bagno turco rappresenta l'ultima e più libera versione del tema, dipinta da
Ingres negli anni della maturità. La tela viene firmata una prima vol ta nel 1859, anno cui risale una
fotografia che la mostra rettangolare e senza donne ingioiellate. L'anno successivo, Ingres
aggiunge collane e anelli alle figure, dipinge una peonia e uno specchio in primo piano e modifica
anche la firma per attualizzare la data. A questo stadio, l'opera viene consegnata al committente:
ma l'abbondanza dei nudi scandalizza la principessa Clotilde, moglie di Napoleone, che rispedisce
la tela al pittore, che la modifica ulteriormente. Anzitutto il formato diventa circolare, viene aggiunta
una nuova natura morta in primo piano e si interviene sull'impianto prospettico. La fonte più
probabile del soggetto è il carteggio della colta Lady Mary Wortley Montagu. Nel Bagno turco
Ingres riformula le figure di nudi, odalische, bagnanti e schiave già elaborate in altre sue opere.

L'affollamento di figure studiato alla luce del nuovo formato circolare della tela determina una complessa successione di piani,
scanditi e controllati dal gioco geometrico delle pareti, dell'angolo della piscina e del bordo del tavolino in primo piano. D'altra parte,
la compressione dei volumi si spinge a un tale estremo che le figure sullo sfondo e quelle vicine appaiono contratte e riportate su un
unico piano che sfida ogni comune prospettiva. La gamma cromatica è di una freddezza cangiante. Con la sua prospettiva alterata,
smalto delle superfici e trascrizione di luci e ombre, il Bagno turco appare come un mondo reale e immaginario insieme, una fantasia
erotica scrutata nella deformazione ottica di uno specchio convesso.

La ninfa Teti implora Giove di intercedere per suo figlio Achille che combatte sulla terra. Giove e Teti
fonde due grandi temi della pittura del giovane Ingres, stilisticamente caratterizzata da una mescolanza
di classicismo, purismo e neobizantinismo: la grandiosità di una suprema divinità maschile e il
seducente potere di un nudo femminile. Giove si mostra come divinità onnipotente improntata sulla
frontalità, mentre la ninfa Teti è raffigurata di profilo. Il suo braccio sinistro, morbido tanto da sembrare
privo d'ossa, si innalza fino a toccare con le dita la barba della testa leonina della figura; il seno e il
braccio destro si appoggiano in maniera altrettanto provocante sul grembo divino, mentre il piede
destro, che spunta dalla cascata di pieghe della veste, tocca quasi furtivamente quello di Giove.
Questa supplica sensuale è osservata con severità da Giunone, moglie del dio, appena visibile in alto a
sinistra. Secondo l'Accademia al quadro mancano rilievo e profondità, il tono del colore è debole, la
testa di Giove non dà l'idea della nobiltà e della potenza del Signore degli Dei e il suo torso è ampio
nella parte superiore e stretto all'attacco delle anche. Tali difetti possono essere attribuiti alle fonti
iconografiche cui s'ispirava Ingres, cioè all'influenza congiunta delle raffigurazioni schematiche della
ceramica greca. La tendenza alla deformazione di Ingres poteva apparire discutibile e bizzarra al
l'idealismo neoclassicista, ma si rivela un modello importante per quella pittura del XX secolo interessata a forme di astrazione
ricercate a spese di apparenze naturali e fedeltà anatomica.

16
Il mondo esotico chiuso, dove la sensualità delle donne poteva essere esibita senza
inibizioni, attrae anche Ingres, che sarà sempre affascinato dalla restituzione lineare delle
forme femminili, facendole curvare o avvitare secondo le esigenze, mescolando quasi
sempre l'esotico e l'erotico. Egli non si recò mai in Oriente; così ricorreva a documenti di
viaggiatori europei, soprattutto alla descrizione di bagni femminili contenute nelle lettere di
Lady Mary Wortley Montagu. Inoltre, per la ricostruzione degli ambienti, si servì di miniature
persiane. Per il diletto di un committente privato, nel 1839-40 dipinge l'Interno di barem
con odalisca, fondendo sensibilità classica e fascinazioni del mondo orientale da un lato un
nudo idealizzato, reclinato, che si richiama esplicitamente alle Veneri della pittura
occidentale, dall'altro, uno scenario esotico definito da una proliferazione di superfici
ornamentali orientali, di squisita fattura artigianale, dalle mattonelle del pavimento al
ventaglio di piume, dalla fontana alle balaustre. Ingres offre uno spazio limpido definito da colori freddi, dove la donna
edonisticamente offerta agli occhi dello spettatore occidentale rimane algido e intoccabile modello di perfezione.

JEAN-BAPTISTE-CAMILLE COROT (1796-1875)


La pittura di Corot rappresenta la fase di passaggio tra classicismo a naturalismo, preparando il terreno e a
un pieno sviluppo delle tendenze realiste e impressioniste della seconda metà dell'Ottocento. Come altri
pittori attivi negli anni Venti, egli comincia a praticare la pittura a diretto contatto con la natura nella foresta
di Fontainebleau, dove stava nascendo la Scuola di Barbizon. Tra il 1825 e il 1828 è spesso in Italia.

Nel Ponte di Narni, eseguito direttamente "sul motivo", cioè all'aperto, colpisce lo svolgimento
pittorico del primo piano: Corot lo lascia volutamente abbozzato, per concentrare la propria
attenzione sui giochi di luce che si riflettono sul ponte, sul fiume e sulla vegetazione. Tale
procedimento costituisce un importante contributo al rinnovamento della pittura di paesaggio: lo
spazio viene suggerito unicamente dai passaggi, dalle variazioni e dalle modulazioni della luce.
Questa prima versione del Ponte di Narni segna una tappa fondamentale del preimpressionismo.

La maniera di Corot è sviluppata nella Cattedrale di Chartres, costruita con colore e una varietà di sottili
passaggi di tono. L'ammasso di terra opaca fa risaltare il taglio nitido e la concatenazione dei piani
dell'edificio; la luce concentrata sui blocchi squadrati mette in rapporto con il cielo la volumetria luminosa
della cattedrale; infine, i tre alberelli che dominano la collinetta, scuri sul cielo chiaro, si contrappongono
allo slancio delle guglie più luminose dello sfondo. A Corot interessa definire uno spazio compositivo
unitario, dove nessun elemento prevalga o si subordini agli altri. La pittura pura e i suoi valori cominciano
ad assumere un'importanza prevalente rispetto alla descrizione e al racconto.

LA SCUOLA DI BARBIZON: PIERRE-ÉTIENNE-THEODORE ROSSEAU (1812-1867),


JULES DUPRÉ (1811-1889), CHARLES-FRANÇOIS DAUBIGNY (1817-1878)
I pittori di Barbizon, un villaggio ai margini della foresta di Fontainebleau, non lontana da Parigi, sviluppano
a partire dagli anni trenta dell'Ottocento suggestioni del pittore inglese Constable. Il primo a stabilirsi a
Barbizon, nel 1836, è Rousseau, cui si aggiungono in seguito altri pittori, tra i quali, in anni diversi,
Daubigny, Dupré, Diaz de la Peña, Millet e Corot. Attorno al piccolo villaggio, circondato su tre lati da una
pianura che si estende a perdita d'occhio, essi trovano un paesaggio rustico che risponde al loro bisogno di
solitudine e di intima comunione con la campagna. Ogni pittore segue il proprio metodo, mentre ciò che li
accomuna è un'assoluta dedizione alla natura e il proposito di osservarla con fedeltà. Dal punto di vista
geografico, Barbizon rappresenta soltanto un simbolo, poiché molti dei "barbizonniers" si sposteranno a
lavorare in altre regioni della Francia dove troveranno forme di vita pastorale e campestre rispondenti al loro
sentimento contemplativo, nutrito di un rispetto quasi religioso per la natura incontaminata.

Dopo una serie di rifiuti da parte della giuria del Salon, che trova la maggior parte dei
quadri di Rousseau brutti per le loro pennellate a grumi e macchie, il pittore si trasferisce
nella provincia del Berry. Qui dipinge Sotto le betulle, nel quale è raffigurato un momento
di un delicato tardo pomeriggio, caratterizzato dai colori freddi e rosso bruni dell’autunno
e da una luce scintillante. Gli alberi, che fanno da schermo a un cielo blu che si va
scurendo, hanno una forma disuguale: rami dritti e curvi, tronchi alti e bassi, chiome
irregolari composte di foglie autunnali color ruggine. La confusione e la densità del
sottobosco in primo piano sono riprodotte attraverso piccoli puntini di colore, che
imprigionano l'effetto della luce che muta. La struttura pittorica è semplice e solida,
giocata sull'opposizione delle orizzontali della terra e delle verticali degli alberi. A
completare questo senso di un ritmo semplice ed elementare, è raffigurato al centro, seminascosto dalla terra e da un albero, un
prete di campagna sul suo cavallo, il cui passaggio attraverso le be tulle suggerisce un evento quotidiano di valore quasi liturgico.

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La tecnica di Rousseau è condivisa da Dupré, che ha assorbito anche la lezione di Constable, del
quale ha visto alcuni quadri sia a Parigi sia durante un viaggio in Inghilterra nel 1834. In La chiusa,
un soggetto tipico dell'iconografia e dello spirito di Barbizon, Dupré seleziona i luoghi abituali dove
uomini, animali e natura sono quasi fusi in un tutto simbolico. Nella fitta macchia di alberi e cespugli
cresciuti spontaneamente si intravede con fatica un agricoltore lontano, un instabile argine di legno
e un gruppo di anatre che sono quasi una cosa sola con i loro riflessi in crespati nello stagno scuro.
Nulla è forzato: il denso fogliame si muove in ogni direzione e sembra estendersi oltre i confini
dell’immaginazione.

Di tutti i paesaggisti di Barbizon, Daubigny sembra essere l'unico a lavorare sul


motivo, sul soggetto naturale, svolgendo un'importante funzione di transizione dalla
sensibilità romantica all'Impressionismo. Per dipingere direttamente il paesaggio della
vallata dell'Oise, egli mette a punto una sorta di studio-battello, che gli permette di
esplorare il paesaggio sul filo dell'acqua. Tramonto sull'Oise è una di queste vedute
fluviali, colta con un'immediatezza che annulla la separazione tra abbozzo e quadro,
in equilibrio sottile tra struttura materiale degli oggetti e cambiamento continuo della
luce. Gli alberi, le piccole case in lontananza, le figure di donne sulla riva del fiume, la
barca ormeggiata: tutto è permeato dai riflessi rossastri del sole che tramonta dietro
la linea d'orizzonte. Le pennellate dense e veloci conferiscono all'opera quell'aspetto
d'improvvisazione esecutiva continuamente rimproverato a Daubigny.

FRANCESCO HAYEZ (1791-1882)


Nasce a Venezia nel 1791 da una famiglia di modeste condizioni che lo affida a una ricca zia, moglie di un
mercante d'arte genovese. Nel 1798 comincia a seguire i corsi di Francesco Maggiotto e trascorre intere
giornate alla Galleria Farsetti, dove studia le riproduzioni delle più importanti statue classiche dei musei
romani e le copie delle pitture delle Logge vaticane. Nel 1806 viene ammesso all'Accademia di Belle Arti e,
nel 1809, vince un posto per l'alunnato triennale a Roma, dove conosce Antonio Canova, suo futuro
protettore. Nel 1822 si trasferisce a Milano per insegnare come supplente all'Accademia di Brera: qui
comincia a praticare una pittura di storia d'impronta classicista, quanto allo stile e caratterizzata dalla
possibilità di essere interpretata in chiave d'impegno civile e di sostegno agli ideali risorgimentali. Nel 1836
è in Austria, dove viene ricevuto dall'imperatore e da Metternich ed eletto membro dell'Accademia di
Vienna, come riconoscimento del prestigio internazionale. Muore a Milano nel 1882 all'età di novantun anni.

Dopo la formazione veneziana nei primi anni dell'Ottocento, seguita da studi di perfezionamento
a Roma, Hayez attira l'attenzione del pubblico con Pietro Rossi chiuso dagli Scaligeri nel
castello di Pontremoli, eseguito a Venezia ed esposto nel 1820 alla mostra annuale
dell'Accademia di Brera di Milano. La tela viene acclamata come il manifesto della nuova pittura
romantica. Il Pietro Rossi di Hayez propone un exemplum virtutis, che assume chiari connotati
etici di incitamento a ideali civili e patriottici. Rispetto alle grandi composizioni neoclassiche, il
dipinto di Hayez presenta dimensioni più modeste, con l'episodio espresso in maniera efficace
nella gestualità dei personaggi, la cui mimica conferisce una forte suspense drammatica e
sentimentale. L’eroe romantico è colto nel momento in cui si dibatte tra il senso del dovere,
l'amore per la patria, e gli affetti familiari. Pietro Rossi è al centro, in atteggiamento irresoluto,
intenerito dal dolore della famiglia chiamata a raccolta intorno a lui: la moglie genuflessa, a
destra, e le due figlie, una in ginocchio e l'altra piangente in piedi, lo implorano di non andare, mentre il messaggero che gli è al fianco
lo sollecita alla partenza, che avverrà di nascosto, portandolo alla morte in uno scontro con gli Scaglieri.

È significativa la scelta dell'artista di sostituire al tradizionale repertorio mitologico classicista, un tema medievale tratto dalla Storia
delle Repubbliche Italiane dello storico Sismondi. Una scelta che gli offre la metafora più adatta a esprimere per via in diretta, ma ben
comprensibile, speranze e ideali contemporanei. Il messaggio politico è reso nella figura della figlia che piange. Il tema del rapporto
famiglia-patria avrà larga diffusione e diverrà un soggetto ricorrente nella pittura della prima fase del Romanticismo italiano.

In Italia il passaggio a un repertorio di temi moderni e nazionali, corrispondente agli ideali


risorgimentali, viene salutato con entusiasmo. Non si potevano trattare apertamente temi anti-
austriaci e gli artisti erano naturalmente costretti a cercare paralleli in altre epoche o paesi. Nella
prima versione dei Vespri siciliani Hayez svolge un tema patriottico attingendo a un celebre
episodio della Storia delle Repubbliche italiane nel medioevo di Sismondi: la rivolta contro i
francesi scoppiata a Palermo nel 1282, quando un giovane palermitano, per difendere l'onore
della sorella, aveva ucciso un soldato francese.

Anche un soggetto filoellenico come I profughi di Parga, la città greca ceduta nel 1818 dagli
inglesi ai turchi, rivela la capacità di Hayez di farsi interprete di ideali patriottici. Esposto a Brera
nel 1831, il quadro può essere letto come appello contro la violenza e l'oppressione straniera,
con riferimento alla repressione dei moti milanesi del 1830-31. In tali opere l'artista accentua le
potenzialità drammatiche del soggetto ricorrendo a una messa in scena teatrale del quadro,
riconducibile alle maniere di quel melodramma tanto amato dal pubblico ottocentesco.

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Presentato all'Esposizione di Brera del 1859, a tre mesi dall'ingresso di Vittorio Emanuele II e
Napoleone III a Milano, Il bacio riscuote notevole successo, anzitutto per l'immediata adesione a un
tema facile e allo stesso tempo suggestivo. Una delle reazioni più significative, di fronte al soggetto
romantico dipinto con assoluta freschezza dall'ormai settantenne Hayez. Il bacio avvia un nuovo
soggetto iconografico ripreso con significati diversi da numerosi artisti a cavallo tra Otto e Novecento.

La seduzione figurativa di questo bacio, la sua icastica naturalezza, è affidata a un'alta qualità pittorica,
cui si affianca un ben controllato equilibrio formale. L'arabesco lineare che compone l'abbraccio dei
due amanti lega, senza contraddizione, le dissonanze cromatiche: l'audace e freddo celeste, ricco di
riflessi metallici, dell'abito di velluto della donna e il rosso della calzamaglia dell'uomo, le cui gambe
inarcate tendono a raccogliere la sensuale inclinazione della donna. Indeterminata appare la
ricostruzione ambientale, sospesa tra il presente e il passato vagamente medievaleggiante cui alludono
abiti e architetture. Il titolo con il quale venne presentata per la prima volta l'opera citava Giulietta e
Romeo, alla cui vicenda è riconducibile l'ombra inquietante che s'intravede disegnata nella penombra
del fondo, lungo il margine sinistro della tela. La struttura formale e l'iconografia del quadro sono funzionali all'universalità del
messaggio, che oscilla tra l'esaltazione del valore dell'amore individuale e di quello per la patria.

LORENZO BARTOLINI (1777-1850)


Lorenzo Bartolini si forma a Parigi, dove frequenta l'atelier di David e stringe amicizia con Ingres. Quando
nel 1839 ottiene la cattedra di scultura all'Accademia di Firenze, si trova al centro di una polemica per aver
proposto agli allievi di copiare un gobbo. La questione del “brutto" nella rappresentazione artistica rientra
nel dibattito sull'imitazione: mentre gli accademici continuano a proporre come modello le statue antiche,
Egli sostiene la necessità dello studio della natura nella molteplicità dei suoi aspetti, inclusi quelli sgradevoli.

Ne La fiducia in Dio del 1835, egli si mostra meno radicale rispetto alle sue idee sul bello, oscillando tra
schemi neoclassici e volontà di aderenza al vero. Eseguita direttamente da un modello reale, l'opera,
ammirevole per perfezione lineare e levigatezza, raffigura una fanciulla nuda inginocchiata, la cui purezza
simboleggia l'anima cristiana che si affida a Dio.

Il ritorno alla religiosità è parte integrante della cultura romantica, così come la riscoperta del Medioevo.
Per Bartolini ciò coincide con il recupero del Quattrocento toscano, di cui il Monumento funebre della
contessa Sofia Zamojska costituisce un libero adattamento, riprendendo schema ed elementi dell'arte
cristiana già adottati da maestri del XV secolo. Tale discendenza appare evidente nell'arcosolio - la
nicchia ad arco in cui, nelle catacombe, era collocato il sarcofago - che ha la funzione d'individuare uno
spazio preciso e più percepibile di quello della cappella. La nobildonna giace su un letto di foggia greco-
romana, appoggiato su uno zoccolo a sua volta sostenuto da un sarcofago. I marmi policromi dei
panneggi offro no suggestivi effetti di colore, in particola re sulla coperta stellata, gettata
scompostamente sul letto. Bartolini si concentra sul fenomeno della morte dando forma agli aspetti crudi
dell'agonia, evocati impietosamente fin nei particolari e presentati allo spettatore senza idealizzazioni. Il
volto della defunta si caratterizza per il naturalismo dei caratteri espressivi, basato sull'idea che l'artista
debba saper dominare la peculiarità di ogni aspetto naturale, anche la vecchiaia e il dolore.

ALESSANDRO PUTTINATI (1801-1872)


II Masaniello del veronese Puttinati non rappresenta un eroe classico ma un eroe del popolo, il cui gesto costituisce
un esplicito messaggio di rivolta. Nessuno dei visitatori dell'Esposizione di Brera del 1842, dove l'opera viene
accolta trionfalmente, può infatti ignorare i segnali che il soggetto lancia con la sua eloquente foga: il braccio alzato
a chiamare il popolo alla riscossa, il bastone nodoso nella ma no destra, le vesti discinte, i grandi piedi nudi. Questi
segni di ribellione vengono interpretati in chiave attuale non tanto dai napoletani contro gli spagnoli, bensì dai
milanesi contro il dominio austriaco. Appena due anni dopo si sarebbero infatti alzate nelle strade e nelle piazze le
barricate delle Cinque giornate.

GIOVANNI DUPRÉ (1817-1882)


Ad animare il dibattito sui fini dell'imitazione artistica della natura e sui limiti della
rappresentazione del naturale con le sue imperfezioni contribuisce l'opera del senese
Dupré. La presentazione, nel 1842, del suo Abele morente suscita numerose
critiche. Prima ancora di essere esposta, la statua diviene oggetto di una significativa
controversia, perché il pittore Pietro Benvenuti, direttore dell'Accademia di Firenze e
d'impostazione classicista, suggerisce che sia ribattezzata "Adone", così
collegandola a un mitico ideale di bellezza e non al primo omicidio della storia
dell’umanità. È soprattutto il crudo e minuto naturalismo del corpo maschile a
spingere molti critici ad accusare il giovane scultore esordiente di aver presentato un
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soggetto tratto direttamente dal modello reale.
VINCENZO VELA (1820-1891)
Lo scultore svizzero-italiano Vela, educato all'Accademia di Brera, lancia la sfida ai modelli antichi con il suo
Spartaco, il leggendario schiavo trace che, nella Roma repubblicana del 70 a.C., aveva condotto la celebre rivolta
dei gladiatori. La modellazione dell'opera si distacca nettamente dal gusto e dagli ideali neoclassici e accademici,
sia per il teso realismo, sia per il soggetto d'impegno sociale. Il gladiatore, che ha appena spezzato le catene,
discende alcuni gradini, colmo di furore, con i pugni chiusi, avanzando minaccioso verso immaginari tiranni. La
sua energia esplosiva, fisica ed emozionale, ben evidenziata dal movimento proteso in avanti, riecheggia, in
chiave romantica, la scultura del pugile Damosseno di Canova. Quando l'opera viene esposta a Milano, nel 1847,
il pubblico la interpreta quale figura-simbolo delle aspirazioni risorgimentali alla libertà e all'indipendenza,
collegandola a un senti mento antiaustriaco.

GIOVANNI CARNOVALI, “IL PICCIO” (1804-1873)


In quasi tutta l'Italia la pittura del Romanticismo si propone come lezione per il presente e incitamento a un
consapevole vivere civile e morale, ricorrendo spesso all’analogia storica. Nelle regioni si moltiplicano i
soggetti tratti dalla storia medievale e dal romanzo storico contemporaneo, ritenuti idonei a trasmettere
contenuti elevati. Questo si traduce in dipinti che puntano a un'attenta ricostruzione degli ambienti, alla
comunicazione dei sentimenti, quasi sempre in grandi composizioni corali, con una folta partecipazione di
personaggi che devono esemplificare la varietà delle reazioni, in chiave talvolta morale o sentimentale.

Il Piccio, nel 1845 soggiorna a Parigi guardando con attenzione alle opere dei pittori della Scuola di Barbizon, di
Corot e Delacroix. Questa varietà di riferimenti culturali si traduce in un'immersione totale nei valori della pittura:
all'artista importano poco i contenuti, ma le possibilità espressive del colore in quanto mezzo specifico del
linguaggio pittorico. Ciò è evidente anche in un soggetto biblico come Agar nel deserto, un'opera
commissionata nel 1833 dalla parrocchia di Alzano ma terminata solo nel 1863. Il tema è tratto dalla Genesi:
smarritasi nel deserto, la schiava Agar adagia il figlioletto sotto un cespuglio e si siede in disparte, per non
vederlo morire. Ma un angelo, inviato da Dio, le indica una fontana, annunciandole che suo figlio fonderà un
gran de popolo. La pala viene rifiutata dai committenti, che la giudicano uno «sgorbio né disegnato né dipinto»,
eseguito in maniera del tutto inadatta al tema e alla destinazione. La pennellata libera e sfilacciata esclude ogni
netta campitura cromatica e la convenzionale precisione del contorno. La novità e l'originalità formale
dell'opera risulteranno fondamentali per gli sviluppi della pittura lombarda.

Piccio adotta la stessa maniera pittorica anche nel paesaggio. Negli scenari fluviali
del Po o dell'Adda i dati naturali appaiono più suggeriti che descritti: alberi, foglie e
lento scorrere dell'acqua tendono a fondersi nelle vibrazioni atmosferiche attraverso
una pennellata leggera e fluida. Come in questo Paesaggio, dove l'artista non
raffigura un luogo reale ma una veduta immaginaria con rovine antiche. Un cielo
nuvoloso, appena rischiarato da un raggio di sole che scivola sul mare all'orizzonte,
conferisce al tutto un'atmosfera malinconica. Grandi alberi e rovine chiudono la
scena e la linea a zig zag del sentiero, che conduce l'occhio dal primo piano al
fondo, echeggia i paesaggi classicheggianti italiani e francesi, mentre il salto tra il
vicino e il lontano, accennato attraverso delicati passaggi di toni, ricorda gli effetti
sfumati di Leonardo. L'atmosfera cupa, la presenza incombente della natura,
l'assenza di un soggetto identificabile, conducono alla tradizione del paesaggio olandese e della veduta romantica.

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— Realismo e Impressionismo —
Dal 1848 agli anni Ottanta del XIX secolo

Processi, contesti, prospettive delle civiltà artistiche


VERSO UN MODERNO SISTEMA DELL’ARTE
Il 1848 è un anno cruciale: in tutta Europa l'ordine costituito è messo in discussione da moti rivoluzionari
caratterizzati da spinte nazionalistiche, che cominciano a intrecciarsi a rivendicazioni sociali. Le borghesie
nazionali vi hanno un ruolo di primo piano, ma anche le classi lavoratrici iniziano a intervenire sempre più
consapevolmente in un processo di trasformazione economico-sociale. In Italia il 1848 segna l'avvio di
quelle guerre d'indipendenza che porteranno, nel 1861, alla formazione di uno stato unitario. A questa fase
corrisponde la tendenza alla diffusione di idee liberali, che si scontrano con le componenti più conservatrici
e il pensiero socialista. Tale condizione storica fa emergere, nel campo della progettazione architettonico-
urbanistica, il problema di una riorganizzazione delle città, che si sono trasformate in centri di produzione
industriale, calamitando grandi masse di lavoratori spesso costretti a vivere in uno stato di grave degrado.
Si pongono le basi dell'urbanistica moderna: nella seconda metà dell'Ottocento il raggio d'intervento
dell'architetto si amplia dal singolo edificio alla città intera. Questa viene ripensata come un organismo
complessivamente rispondente alle nuove esigenze della civiltà industriale, in termini anche moralmente
accettabili, e si cerca di combinare buone condizioni generali di abitabilità con una funzionale distribuzione
delle attività e un'altrettanto funzionale organizzazione dei flussi di traffico.

Pittura e scultura risentono di un clima culturale dominante articolato tra le polarità di un classicismo di
maniera e di un Romanticismo più che maturo, sulle quali s’innestano le recenti inclinazioni positivistiche,
attente a nuovi temi e soggetti come la vita e il lavoro nelle città in espansione. A tale quadro corrispondono
due diverse tendenze stilistiche e tematiche: il Realismo e l’Impressionismo. Il Realismo, ancora fortemente
impregnato di cultura romantica, si configura come un drastico spostamento di attenzione dalla storia
antica alla presente: l'intento è di rappresentare il proprio tempo e, talvolta, di intervenire su di esso con
un'arte dai chiari contenuti ideologici e politici.

In quegli anni comincia a diffondersi la fotografia, la cui invenzione si fa risalire al 1839, quando il nuovo
procedimento viene presentato al parlamento francese. La fotografia investe anche il mondo artistico,
poiché è subito chiaro che il nuovo mezzo, strumento di sempre più precisa rappresentazione offre una
molteplicità di applicazioni possibili. Molti artisti la adottano come supporto al proprio lavoro; altri se ne
servono per prendere più velocemente appunti visivi; altri ancora (v. Nadar) si riciclano come fotografi.
Alcuni pittori se ne lasciano influenzare secondo due principali modalità: alcuni di essi riprendono dalla
fotografia l'idea dell'oggettività della visione e propongono nei propri dipinti tagli e inquadrature tipici del
nuovo mezzo, altri ricercano una nuova libertà di pittura e d'invenzione.

Un importante fenomeno che emerge dopo il 1848 è l'affermazione di un mercato privato dell'arte, con
conseguenze non irrilevanti su modi e linguaggi di pittura e scultura. Negli anni centrali del XIX secolo si
assiste a una più accentuata tendenza a considerare le opere d'arte come merci, alla pari dei prodotti di
ogni tipo circolanti in un libero mercato sempre più internazionale. Vetrine privilegiate di tali prodotti sono le
Grandi esposizioni universali, fantasmagoriche fiere del progresso e dell'industriosità degli uomini.
L'importanza di tale esposizione, in ambito artistico, comincia dalla progettazione architettonica: si tratta
della prima realizzazione su grande scala di una struttura costruita montando pezzi prefabbricati di materiali
che avrebbero avuto enorme fortuna nell'architettura a venire: ferro e vetro. Con la modernità contrastavano
i caratteri formali di molti degli oggetti in esposizione: tessuti decorati, stoviglie, mobili e soprammobili,
vasellame in metallo, ceramica e così via, tutti prodotti di serie, industriali o di alto artigianato, realizzati
secondo stili del passato ecletticamente mescolati e in forme pesanti ed esageratamente decorate. L'idea
che la forma degli oggetti debba rispondere nel modo più conveniente alla loro specifica funzione e l'i dea
dell'onestà dei materiali – scelti per la loro congruenza con oggetti, architetture e luoghi di destinazione –
sono gli altri criteri decisivi per le prime formulazioni del design.

La mostra londinese (Great Exhibition) del 1851 è importante anche perché inaugura un nuovo circuito
espositivo per dipinti e sculture. In essa erano presenti sezioni di belle arti nelle quali i diversi paesi avevano
inviato pezzi selezionati come esemplari della produzione artistica nazionale. Tali sezioni avrebbero da allora
in poi caratterizzato tutte le esposizioni universali che fecero seguito a quella di Londra nelle grandi città
europee. Le opere d'arte corrispondono al gusto dominante della seconda metà dell'Ottocento: in scultura
piacciono molto i soggetti mitologici o vagamente storici, che permettono di esibire il nudo femminile.
Anche nell'ambito della pittura si tende a stimolare gusto non particolarmente raffinato di un pubblico in il
rapida crescita, che gradisce banali scene di genere nelle quali potersi riconoscere, figure suscitatrici di forti
emozioni, di derivazione letteraria ma facili da capire. Questo tipo di arte è definita pompier in riferimento a
uno dei modelli dai quali deriva: il quadro delle Sabine di David, in cui gli elmi dei contendenti ricordano i
caschi dei moderni pompieri. I pompiers guardano più al grande successo di pubblico che all'originalità e
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all'innovativazione di ricerca e linguaggio. Salon e grandi esposizioni conoscono un notevole sviluppo nella
seconda metà del secolo. Nel 1881 si svolge l'ultimo Salon parigino patrocinato dallo stato francese e
direttamente legato all'Accademia. Dopo di allora il Salon viene soppiantato da esposizioni organizzate da
associazioni di artisti che ne sviluppano il gusto.

Si sviluppa l’idea di arte da vedere: sorge un mercato privato dell’arte, con le gallerie private; gli artisti
tendono a riunirsi in gruppi, per poter affermare il proprio punto di vista estetico e rendersi competitivi;
letterati e poeti divengono critici d’arte contribuendo alla fortuna di gruppi e artisti.

I GRUPPI ARTISTICI
Un aspetto saliente della storia artistica della seconda metà dell'Ottocento è il suo sviluppo secondo una
intensa sequenza di secessioni. Questo termine entrerà nell'uso corrente solo negli anni novanta, ma anche
prima si erano verificate dichiarate secessioni di artisti da un'ufficialità che era da ostacolo all'affermazione
delle idee e dei programmi che si volevano seguire e alla circolazione delle proprie opere. Tale ufficialità era
essenzialmente rappresentata dall'Accademia e dai Salon.

Nel 1848 a Londra, la Confraternita preraffaellita rifiuta il classicismo della cultura accademica inglese del
tempo condividendo la passione dei nazareni per i primitivi italiani. Al modello raffaellesco e al classicismo
accademico, contrappongono una maniera ispirata alla supposta ingenuità e alla spontanea vitalità della
pittura italiana tre e quattrocentesca e a modelli di arte medievale, dai quali traggono semplificazioni di
oggetti e figure. Nello stile dei preraffaelliti tale naturalità tende generalmente a risolversi in una descrittività
analitica e minuziosa collegata a una sorta di arcaica schematicità delle immagini. L’arte preraffaellita si
afferma gradatamente in Inghilterra nel corso della seconda metà del secolo, finendo per coincidere con il
gusto della società vittoriana. Contribuisce a tale fortuna anche l'impegno di molti artisti del gruppo nel
campo delle arti applicati, come nel caso della ditta Morris, Marshall, Faulkner & Co.

L'attenzione alla realtà del proprio tempo è condivisa dal francese Gustave Courbet, anche se con una
maniera pittorica diversa. Nello stesso 1848 egli avvia l'elaborazione di un'arte realista che trova il culmine
nel 1855, in una manifestazione provocatoriamente secessionista: l'allestimento di un Padiglione del
Realismo. La sezione artistica presentava opere di intrattenimento dalle quali Courbet voleva distinguersi
polemicamente nel nome, appunto, del realismo; vale a dire di una pittura intrecciata alla politica. Nel 1863
la commissione del Salon fu così severa che, con le numerosissime opere rifiutate, si potè allestire un Salon
alternativo a quello ufficiale: si tratta del Salon des refusés che attirò un abbondantissimo pubblico.

Per lo stesso rinnovamento dei soggetti si battono altri gruppi artistici accomunati da una netta presa di
distanze dalle convenzioni dell'arte di derivazione accademica, della quale rifiutano lo stile e le tematiche
storiche, letterarie e religiose. In Italia sono riconducibili a tale ambito Macchiaioli, provenienti da diverse
regioni italiane, che nel decennio a cavallo del 1860 erano soliti riunirsi nel Caffe Michelangiolo di Firenze.
La definizione di macchiaioli, inizialmente con valore spregiativo, riconduce alla loro maniera di dipingere: a
tacche o macchie di colore e senza attenzione al contorno, al disegno, inteso come tipica espressione di
accademismo e artificiosità. L'associazione di maggior rilievo, sia per la qualità e novità del lavoro artistico
dei suoi membri, sia per riflessi e le influenze che avrebbe esercitato a livello internazionale, è la francese
Société Anonyme Cooperative, fondata nel 1874, della quale fanno parte pittori poi diventati famosi con il
nome di impressionisti: Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Sisley e tanti altri. In quello stesso anno la Société
organizza una mostra nello studio del fotografo Nadar, la prima di otto esposizioni impressioniste tenutesi a
Parigi tra il 1874 e il 1886: la novità della mostra consiste nel fatto che è autogestita, senza cioè quella
giuria di accettazione che rendeva così difficile entrare al Salon.

LA RAPPRESENTAZIONE DEL VERO, TRA REALISMO E IMPRESSIONISMO


I modi della pittura proposta nelle esposizioni impressioniste di Parigi non erano omogenei, anche se oggi è
diffusa l'opinione che gli impressionisti praticassero una pittura dai caratteri molto simili. Essi avevano alle
spalle modelli comuni e riprendevano idee che artisti della generazione precedente. Per alcuni degli
impressionisti più importanti, come Claude Monet, è determinante dipingere en plein air, all'aria aperta,
perché, soltanto osservando le cose sotto una diretta luce naturale, si può arrivare a una resa adeguata e
non convenzionale del mondo reale così come effettivamente si vede. L'occhio del pittore funziona mira a
un motivo, cioè a un soggetto naturale, e si sforza di coglierne con la massima precisione i valori cromatici,
per restituirli nel modo più puntuale sulla tela. L'esperienza del plein air dimostra a Monet e agli artisti che lo
seguono due cose: in natura i con torni non esistono, sono solo una convenzione rappresentativa; inoltre i
colori delle cose si influenzano reciprocamente nelle parti in cui si trovano più vicini. Nella definizione di una
prima tradizione della modernità Monet è fondamentale per lo spostamento d'attenzione messo in atto dal
che cosa (il soggetto) al come (il mondo della pittura). Al centro dell'interesse del pittore è il linguaggio, la
maniera pittorica, volti a una composizione che corrisponda nel modo più oggettivo a quanto l'occhio, in
date condizioni di luce e atmosfera, ha visto, infatti è da intendersi come pittura di realtà.

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Questo particolare realismo si distingue dal genere di pittura per la quale è scontato il ricorso all'aggettivo
realista, quella praticata da Jean-François Millet. Questi dipinge scene di vita contadina, cariche di
significati simbolici e di una sorta di religiosità del lavoro manuale, e paesaggi di intenso sentimentalismo. Il
trasferimento in campagna è anche una scelta ideologica, che implica l'idea del recupero di una dimensione
di naturalità agreste in opposizione a condizioni di vita urbana avvertite come alienanti. Con la sua scelta,
Millet anticipa tante successive fughe verso civiltà e culture preindustriali. Il realismo della fase centrale
della sua pittura, tra il 1848 e il 1855, riguarda i soggetti, più che la maniera. Influenzato da una cultura
romantica innamorata del popolare e mosso dall'ansia di una partecipazione diretta alla vita, Courbet
rivendica all'artista il ruolo di intellettuale in grado non solo di esprimersi sul tempo e sulla società nei quali
vive, ma anche di cambiarli attraverso il proprio lavoro. A questo scopo usa un linguaggio che libera mente
attinge a fonti figurative alte e basse, nel nome dell'efficacia della comunicazione. Courbet voleva fare
dell'arte viva, cioè utilizzare soggetti contemporanei. Parlare di queste cose in pittura implica l'idea che
l'arte possa intervenire nel mondo reale per trasformarlo. Dopo quegli anni eroici di Realismo, Courbet si
volge a una pittura paesaggistica con la quale si guadagna la fama di pittore tutto occhio, disinteressato
alle vecchie gerarchie dei generi e concentrato sulle cose, anche le più banali. In Courbet sul soggetto
comincia a prevalere la pittura: che nei suoi paesaggi, nelle scene di caccia, nelle marine è scura, materica,
grumosa, tanto da poter essere guardata a posteriori, anche per la sostanziale mancanza di disegno.

È soprattutto Édouard Manet a dar forma pittorica all'idea realista di «essere del proprio tempo», secondo
la formula coniata da Baudelaire. Manet ha alle spalle la grande tradizione del colorismo veneto e la pittura
spagnola, da Velázquez a Goya, che nel suo modo di dipingere integra con modelli olandesi seicenteschi.
Ma la scioltezza e la libertà della sua pennellata appariva imperizia a molti contemporanei. Con i suoi
soggetti di vita contemporanea Manet aspira al riconoscimento pubblico nei Salon; è però frequentemente
rifiutato, trovando ascolto tra i futuri impressionisti, che lo ammirano profondamente. Egli ha con loro
rapporti amicizia, ma non partecipa alle esposizioni del gruppo; solo nel corso degli anni settanta si lascia
influenzare dal più libero modo di dipingere di Monet e di Pierre-Auguste Renoir.

L'altra polarità del gruppo impressionista è rappresentata da Edgar Degas, la cui solida formazione
classicista, alla Ingres, gli impedisce di attribuire all'esperienza diretta del reale l'importanza che le danno
Courbet, Monet e lo stesso Renoir. Sull’occhio devono prevalere la memoria e il procedimento mentale. Il
pittore deve essere capace di selezionare le esperienze visive e di costruire l'immagine attraverso un loro
collegamento inventato, sostenuto dalla libertà di pensare, progettare e comporre, senza lasciarsi governare
soltanto dai sensi, da una visione puramente oculare, retinica della realtà.

Alla prima mostra del gruppo impressionista è presente il pittore di Aix-en-Provence Paul Cézanne, a sua
volta difficilmente definibile come impressionista tout court, nonostante sia stato suo maestro un veterano
del plein air e dell'Impressionismo come Camille Pissarro. La sensibilità dell'occhio di Cézanne, infatti, è
sostanzialmente corretta dalla trasposizione dell’immagine vista in una dimensione di solida, geometrica
razionalità, indipendente dalle accidentalità naturali.

Figura straordinaria di collegamento tra esperienza del plein air e Postimpressionismo, passando attraverso
l'Impressionismo, è Camille Pissarro, che nella sua opera riassume la vicenda del XIX secolo pittorico
francese più innovativo, anticipando entrambe le grandi linee che ne sarebbero derivate: quella basata sulla
diretta esperienza visiva e quella tendente a far prevalere una razionalizzazione del lavoro artistico, una sua
concettualizzazione. Anche Pissarro partecipa alla prima mostra impressionista e, nel gruppo, gioca
precocemente il ruolo del patriarca. È soprattutto lui a insistere sull'eliminazione dei neri e delle terre dalla
tavolozza, per cogliere appieno la luce naturale, e sulla necessità di praticare una pittura a diretto contatto
del motivo, perché il naturalismo impressionista sia completo.

IL CONTESTO ITALIANO
In Italia, le istanze di realismo e di verità ottica trovano i loro interpreti nell'ambito dei macchiaioli e degli
scapigliati. I primi cercano di riprodurre l'impressione del vero basandosi sul rifiuto del disegno e sulla
costruzione dell'immagine attraverso l'accostamento di campi di colore privi di chiaroscuro, corrispondenti
a zone di luce e di ombra. Giovanni Fattori alterna soluzioni di questo genere alle composizioni disegnate
in modo più tradizionale dei quadri di grande formato, che implicano un'esecuzione più lenta e ponderata.
Al rinnovamento della pittura italiana di questo periodo contribuiscono anche le personalità di Federico
Faruffini e Giuseppe De Nittis. In ambito lombardo operano Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni,
definiti scapigliati per i loro atteggiamenti di anticonformismo artistico, più di maniera che reali, improntati
alla bohème parigina. Quest’ultima era stata eversiva e alternativa negli anni intorno al 1848, quando molti
intellettuali avevano partecipato a un movimento allusivo al rifiuto dei modelli di comportamento dominanti.

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DALL’ECLETTISMO AL RAZIONALISMO COSTRUTTIVO IN ARCHITETTURA
L'Eclettismo è il gusto dominante in architettura a cavallo dei secoli XIX e XX. Esso corrisponde alle attese
della borghesia del tempo, cosmopolita e sicura di saper dominare culture diverse e lontane. L'architettura
eclettica mira alla combinazione di elementi artistici differenti tratti dagli stili del passato. Ne risultano edifici
monumentali, con decorazione sovrabbondante. In questo periodo Parigi fa scuola: negli anni di Napoleone
III si afferma lo stile Secondo impero, che imita l'architettura rinascimentale italiana. Grazie al prestigio del
l'architettura francese e dell'Accademia parigina, si sviluppa in Occidente uno stile eclettico detto Beaux-
Arts che a esse si conforma.

Una nuova tipologia di edificio della modernità è la stazione ferroviaria: nei suoi monumentali volumi gli
architetti sperimentano diverse soluzioni strutturali, utilizzando ferro e vetro. La decorazione si evolve verso
una progressiva sobrietà.

A partire dalla fine del XIX secolo l'atteggiamento eclettico viene considerato irrazionale non adeguato alla
nuova civiltà industriale. L'attenzione degli ingegneri prima, e poi degli architetti, si sposta sui materiali e
sulla funzionalità, tralasciando l'aspetto estetico e le decorazioni. Si cominciano a progettare edifici con le
strutture portanti in ferro o in ghisa e composti di parti prefabbricate debitamente assemblate tra loro.
L'opera dei costruttori di serre ne costituisce la premessa e l'anticipazione.

Analisi delle opere


JOHN EVERETT MILLAIS (1829-1896)
Millais presenta Ofelia nel 1852 alla Royal Academy, suscitando ammirazione per la sua
maniera di osservare e riprodurre la natura. Il soggetto è tratto dall'Amleto di
Shakespeare. La tragica morte di Ofelia vi è descritta da Gertrude, regina di Danimarca e
madre di Amleto. Riprendendo puntualmente il testo, Millais sfrutta l'opportunità di
dipingere una figura in una situazione inconsueta e in equilibrio precario, ma anche di
studiare direttamente la natura. Per realizzare la cornice naturale intorno al ruscello e alla
protagonista I'artista si trasferì per alcuni mesi in campagna. L’attenzione di chi oggi
guarda il quadro è attratta proprio dalla varietà di piante e fiori che peraltro caricano di
contenuto simbolico la scena: il salice, l'ortica e le margherite, associati all'amore
abbandonato, al dolore e all'innocenza, discendono da Shakespeare, mentre il papavero
(=morte) o le olmaríe appassite (=vanità della vita) sono aggiunti dall'artista. Si può notare
come la cornice floreale sia restituita con un naturalismo quasi scientifico, con un occhio forse più da botanico che da pittore. L’altro
fuoco della scena è costituito dalIa figura della protagonista, per la quale posò Elizabeth Siddal, una delle modelle predilette dei
preraffaelliti e futura moglie di un altro pittore del gruppo, Dante Gabriel Rossetti. Pare che, per rendere realisticamente I'effetto delle
vesti che galleggiano aperte, Millais abbia indotto la modella a posare in una vasca piena d'acqua riscaldata da lampade sottostanti.
La tragica sorte di Ofelia, che con espressione spettrale intona il suo estremo canto, sembra quasi preconizzare la morte prematura
della Siddal, avvelenatasi nel 1862 con una dose di laudano.

I PITTORI PRERAFAELITI: WILLIAM HOLMAN HUNT (1827-1910),


DANTE GABRIEL ROSSETTI (1828-1882), EDWARD BURNE-JONES (1833-1898),
WILLIAM MORRIS (1834-1896)
Nel 1848 tre giovani artisti, William Holman Hunt, Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais, fondano una
società artistica che denominano Confraternita dei preraffaelliti, cui si accostano Edward Bume-Jones e
William Morris. La scelta del termine dichiara la vocazione estetica del gruppo, orientata verso la ripresa di
modelli medievali e quattrocenteschi. Tali inclinazioni si opponevano alle regole insegnate alla Royal
Academy, dove loro stessi si erano formati, e agli stilemi più alla moda che generalmente distinguevano la
pittura inglese dell’epoca. L’entusiasmo della Confraternita per I'arte medievale si fonda sulla convinzione
che sia possibile riacquistare un senso etico dell'operare artistico ed esprimere contenuti moderni evitando
gli artifici e i manierismi dell'arte rinascimentale,. L’interesse per la realtà naturale, la nostalgia di un
Medioevo puro e cristiano e I'adesione a tematiche sociali contemporanee li porta così a una strana
contaminazione poetico-stilistica, oscillante fra estetismo romantico e razionalismo modernista.

Ecce ancilla Domini di Dante Gabriel Rossetti s'ispira a modelli del Quattrocento italiano, in particolare a Beato
Angelico. Si tratta di una composizione audace impostata sul bianco, un colore adeguato al significato della
scena: l'arcangelo Gabriele, fluttuante su un sole celeste, annuncia alla Vergine che concepirà il figlio di Dio
porgendole uno stelo di giglio fiorito, simbolo di purezza. La Vergine indietreggia spaventata, con gli occhi
abbassati, in un atteggiamento di ossequente innocenza e purezza di fronte alla volontà divina.

La prospettiva obliqua, con il piano del pavimento che s'innalza rapidamente formando un angolo che si unisce
al piano della parete, sembra quasi catapultare il corpo di Maria dal suo giaciglio. Tale interpretazione
dell'Annunciazione introduce una carica emotiva complessa, per metà sensuale e per metà mistica: il rosso dei
capelli della Vergine, per la quale posò la moglie dell'artista, e le labbra porporine tendono a proiettare la scena
nella realtà, mentre la luce diffusa evoca una dimensione pia e ultraterrena.

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Nel Risveglio della coscienza, scena ispirata a un brano del David Copperfield di Dickens, Hunt
affronta un tema diffuso nell'arte e nella vita della metà dell'Ottocento: la sorte di giovani donne che,
invece di seguire la netta via del matrimonio, si abbandonavano alla passione. La fanciulla, un attimo
prima fra le braccia del suo amante, è improvvisamente colta da una crisi morale, provocata dalle
parole della canzone che I'uomo le sta cantando, suscitatrici in lei di pensieri edificanti

Ogni cosa è descritta dettagliatamente, dalle decorazioni dello scialle che avvolge la vita della fanciulla
all'intricato ricamo dorato nelI'angolo a destra; dalla superficie lucente dello specchio ai particolari del
giardino pieno di luce solare che lo stesso specchio riflette; dall'uccellino sotto il tavolo tormentato da
un gatto alle venature del legno del mobilio e alla figura incorniciata sopra il pianoforte, che
allusivamente illustra I'episodio biblico dell'adultera.

Burne-Jones è attirato dal mondo fantastico del mito e del sogno e dalla raffinata linearità della pittura italiana
del Ouattrocento. Egli si avvicinerà in seguito al classicismo e addirittura alla Maniera del pieno Cinquecento,
originariamente rifiutati. L’eclettismo della pittura preraffaellita degli ultimi decenni del XIX secolo è avvertibile
nella Scala d'oro, in cui troviamo coniugati influssi botticelliani, evidenti nelle tipologie femminili, e suggestioni
manieriste, soprattutto nello sviluppo elicoidale della scala. Quest'ultima costituisce I'elemento strutturante della
composizione e ne scandisce il ritmo: il corteo di figure femminili, derivate tutte da uno stesso modello, è infatti
cadenzato lungo la curva dei gradini; le donne, che recano strumenti musicali, sono connotate come figure
angeliche che abitano un luogo immaginario e celestiale. Ciò conferisce alla scena un effetto di lontananza dal
mondo reale e di proiezione in una dimensione ideale e simbolica.

FORD MADOX BROWN (1821-1893)


Nell’Inghilterra di metà Ottocento il valore morale del lavoro costituisce un principio fondamentale. Sul
piano artistico, tale concetto è espresso dal pittore Ford Madox Brown. Egli è vicino al gruppo preraffaellita,
condividendone gli ideali artistici e I'attenzione ai soggetti contemporanei. Influenzato dai modi
tardomedievali dei pittori nazareni mette a punto uno stile neoquattrocentesco fondato su un disegno
chiaramente e nettamente delineato, un'esecuzione minuziosa, I'uso di colori luminosi.

Il contributo principale di Brown alle tematiche sociali dei preraffaelliti è costituito


da Il lavoro, un dipinto elaborato nelI'arco di tredici anni. La scena è ambientata
nella strada principale del sobborgo londinese di Hampstead, dove abitava
l'artista. Occupa iI centro della composizione una squadra di sterratori dai gesti
quasi eroici. A destra, come osservatori, si trovano il filantropo John Frederick
Denison, fondatore tra del Queen's College per l'istruzione delle donne, e
I'intellettuale di idee socialiste Thomas Carlyle. Questi colti vittoriani rappresentano
il ceto intellettuale illuminato, attento alle difficoltà delle classi meno abbienti che si
propongono di migliorare attraverso I'educazione, la religione e I'azione politica. I
personaggi sulla sinistra corrispondono a una precisa gerarchia economica: la
classe ricca e agiata è rappresentata dalla signora e dal gentiluomo a cavallo;
quella media dalle donne eleganti, una delle quali distribuisce trattati sulla
temperanza; quella povera dalla fioraia vestita di stracci e a piedi nudi.

La scena si estende in profondità, lasciando intravedere un microcosmo di vita cittadina moderna: un poliziotto è alle prese con una
ragazza con un canestro di arance; un gruppo di manifestanti si accanisce contro un politico corrotto che ha fatto fortuna
commerciando salsicce; un manifesto informa i passanti dell'apertura di un orfanotrofio e di una ricompensa per un furto. Questa
miriade di episodi ruota intorno al tema principale della scena, costituito dall'attività degli sterratori, i quali, nell'Inghilterra di metà
Ottocento, incarnavano una categoria di lavoratori al servizio della modernità.

Il quadro di Brown esemplifica l'affermazione di un nuovo repertorio di immagini d'attualità tendente a esprimere il carattere quasi
eroico di quel lavoro manuale che fino alla metà del XIX secolo era ritenuto degradante. La congestione dei molti particolari è
attenuata da una brillante messa a fuoco, che rende leggibile con estrema chiarezza l'intero dipinto, sia in lontananza, sia in primo
piano. Ne Il lavoro vediamo esaltazione del lavoro manuale e intellettuale, critica dell'ozio e della corruzione, solidarietà sociale.

JEAN-FRANÇOIS MILLET (1814-1875)


Jean-François Millet vive fino ai ventun'anni nella fattoria di famiglia in Normandia, partecipando alla vita e
al lavoro della campagna. Nel 1817 si trasferisce aParigi per entrare nell'atelier di Paul Delaroche, maestro
accademico di impostazione classico-romantica; nel 1848 si unisce alla cerchia dei paesaggisti di Barbizon.
La prima produzione artistica, oscillante fra ritratti e scene galanti, temi mitologici e religiosi, registra una
decisa svolta dopo gli eventi rivoluzionari del 1848.

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Al Salon del 1850 realizza Il seminatore, sostituendo alle precedenti visioni tradizionali ed
edulcorate delle attività agricole quelle di rudi e monumentali contadini al lavoro. Il legame tra il
contadino e la terra è tradotto da Millet in un'immagine positiva, anche se non proprio idilliaca.
La composizione è dominata da una figura ben stagliata che discende il pendio del campo di
grano. La luce del sole al tramonto rischiara solo una piccola porzione delI'immagine, a destra,
dove in lontananza s'intravede un altro contadino alla guida di un carro trainato da buoi; dalla
parte opposta, uno stormo di corvi, inquietante simbolo di morte, scende minaccioso verso la
tema per beccare i chicchi di grano appena seminati. Nella scena non c'è accenno alla fatica
del lavoro dei campi: il movimento largo e vigoroso del braccio destro, in perfetto parallelismo
con quello della gamba sinistra tesa indietro, trasmette una carica vitale contrastante con
l'umiltà del seminatore. Nonostante lo scabro realismo dell'insieme, il pittore arriva a dare
all'immagine una grandezza eroica, un pathos e una nobiltà che trascendono la pura e semplice
descrizione della realtà, trasformando i tratti fisici e il gesto virile della semina in nuclei di energia
carichi di valori simbolici. L'iconografia rurale costituisce un punto d'incontro tra un problema di
attualità (la povertà dei contadini) e I'emergente realismo.

La combinazione di attualità e realismo caratterizza anche Le spigolatrici, uno dei suoi quadri
più famosi, su un tema ripreso in ambito postimpressionista da Camille Pissaro. L'ampio
campo della scena è diviso a metà da un'ombra che separa i toni cupi del primo piano da
quelli dorati e luminosi del fondo. La posizione china, ad angolo retto, delle contadine è
bilanciata dallo sviluppo verticale dei covoni di grano e della coppia di donne in lontananza,
che portano sulle spalle fasci di spighe. Le figure delle spigolatrici, restituite attraverso i colori
primari (giallo, rosso, blu, evidenti soprattutto nei copricapi) sono di scultorea pesantezza,
mentre accenni d'intenso realismo ne definiscono le fisionomie scorciate e le mani tozze
deformate dal lavoro.

GUSTAVE COURBET (1819-1877)


Nato nel 1819 a Ornans, arriva nel 1839 a Parigi. La sua formazione artistica si avvia in autonomia, con la
copia delle opere di grandi maestri del passato al Museo del Louvre. Un'altra importante palestra sono
Barbizon e la foresta di Fontaine-bleau. Gli anni quaranta lo vedono ammesso per la prima volta al Salon
(1844) e appassionato partecipe dei moti rivoluzionari del 1848. Si delinea progressivamente la sua idea di
una pittura nuova, svincolata dalle norme accademiche e basata sulla libertà dell'artista di ricorrere a
modelli da museo e a modelli bassi delle stampe. Obiettivo di questa nuova pittura è quello di incidere sul
mondo reale, contribuendo al suo cambiamento. L’impegno politico lo porta a lasciare Parigi nel 1851, in
seguito al colpo di stato di Napoleone lll; e in chiave sia politico-ideologica, sia estetica è da intendere il suo
Padiglione del Realismo allestito nel 1855 a Parigi. La sua vicenda artistica successiva lo vede impegnato
nella pittura di paesaggio. Durante la guerra franco-prussiana (1869) è eletto presidente della Federazione
degli artisti e organizza la protezione delle opere d'arte di Parigi. Nel 1870 aderisce alla Comune di Parigi e
alla conclusione di essa è arrestato. Nel 1873 si rifugia in Svizzera, dove muore quattro anni dopo.

Tra il 1848 e il 1855, quando allestisce il Padiglione del Realismo, Courbet realizza le
sue grandi composizioni legate a un'idea di arte democratica, che destano scandalo
per i temi e per l'audacia dell'impostazione. Forte del successo dovuto ai precedenti
scandali, Courbet imposta Un seppellimento a Ornans che, presentato al Salon del
1850-51, diviene, un manifesto di un nuovo programma estetico-pittorico. Nel
dipinto, Courbet interpreta un rito religioso calandolo nella realtà sociale della
profonda provincia francese contemporanea. Il dipinto registra la prima inumazione
nel nuovo cimitero di Ornans che riguardò un certo Claude-Etienne Teste, un fattore
della zona parente dell'artista. Il corteo funebre, composto da più di cinquanta figure a grandezza naturale, propone un campionario
completo di caratteri ben definiti appartenenti alla comunità religiosa, cittadina (con uomini) e cittadina (con donne addolorate). La
buca appena scavata rompe il centro inferiore del quadro invadendo lo spazio dello spettatore che, idealmente, si unisce ai parenti in
lutto. In primo piano un cane da caccia, noncurante, gira la testa dalla parte opposta alla fossa, come a osservare qualcosa fuori.

La programmatica semplicità e ingenuità della tela, che si appoggia a modelli figurativi popolari, è solo apparente. La sua tendenza a
polarizzare estremi tonali di nero con sapienti passaggi bianco crema crea un effetto coerentemente appiattito, come in un fregio, di
figure compresse contro l'orizzonte alto e roccioso del paesaggio locale. Anche la disposizione delle figure, a prima vista casuale, è in
realtà ordinata sulla base della struttura tripartita. L'insieme assume un andamento visivo sciolto, con un ritmo ondeggiante ma
solenne. A suscitare perplessità nel pubblico parigino contribuiva la struttura antitradizionale della composizione, dove i margini della
tela tagliano l'allineamento delle figure in lutto. Nella struttura della scena non si avverte nessun ordine gerarchico per personaggi
maggiori e minori: ogni figura ha lo stesso peso pittorico la stessa rilevanza. Il nuovo programma pittorico viene quindi letto dal
pubblico non solo come intenzionale messa in discussione delle consolidate tradizioni accademiche, ma anche come contributo a un
progetto politico tendente a sovvertire le gerarchie sociali.

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L’atelier del pittore è un dipinto enigmatico, anche se in apparenza rappresenta
chiaramente I'interno dello studio di Courbet: egli si è autoritratto a figura intera,
seduto al cavalletto tra due gruppi di personaggi a destra e a sinistra. Il titolo
completo del quadro “L’atelier del pittore: una vera allegoria che riassume sette anni
della mia vita come artista” suggerisce componenti autobiografiche e significati
simbolici, espressi attraverso un linguaggio realista, che dà forma a intenzioni di
disvelamento della storia e della politica reali di quegli anni. Rifiutato dalla giuria del
Salon e criticato per la contraddizione fra programma allegorico e soggetto
realistico, il quadro si impose all’attenzione del pubblico contemporaneo non solo
per le dimensioni ma anche per il soggetto. I sette anni del titolo, andando indietro
nel tempo a partire dal 1855, rimandano al 1848, I'anno rivoluzionario che portò
all'abdicazione di Luigi Filippo e alla Seconda Repubblica. A partire da quella data I'artista elabora un programma pittorico nel quale
fonde sfera pubblica e sfera privata, avvalendosi di un linguaggio al tempo stesso reale e allegorico.

Al centro della scena è I'artista intento a dipingere un paesaggio, osservato attentamente da un bambino e da una modella nuda, che
sappiamo derivata da un'immagine fotografica. Ai lati è schierata una folla costituita da esponenti del mondo artistico, culturale e
politico e da lavoratori di diverse categorie. A sinistra, seduto in primo piano, un bracconiere - somigliante a Napoleone III - con il suo
cane osserva un cappello piumato, una mandola e un pugnale gettati a terra, armamentario tipico della vecchia pittura in costume e
simboli di un Romanticismo superato. Di fronte a lui, appoggiata al cavalletto, un'irlandese che allatta il suo bambino rappresenta la
Miseria, con allusione probabilmente alla crisi economica che aveva colpito I'Irlanda negli anni precedenti. Un rabbino chiude la parte
sinistra della tela mentre si incontrano le figure di un mercante che offre una stoffa a un personaggio seduto, identificabile con il
nonno viticoltore dell'artista; poi un saltimbanco con un cappello a due punte, un prete cattolico, uno sterratore, un falciatore, un
operaio con le braccia incrociate, un becchino e una prostituta. A destra sono rappresentati artisti e letterati, amici e sostenitori di
Courbet: appoggiato a un tavolo, il poeta Baudelaire legge in disparte; davanti a lui una coppia di collezionisti e lo scrittore
Champfleury (sostenitore del Realismo), seduto su uno sgabello; tra loro sbuca un bambino che disegna, sdraiato sul pavimento,
evidente allusione a un approccio all'arte ingenuo e non condizionato da norme scolastiche. Nel gruppo in fondo si riconoscono
anche Pierre-Joseph Proudhon, filosofo anarchico che influenzò il pensiero di Courbet, e Alfred Bruyas, suo mecenate e mercante.

La scena contiene tutti i generi pittorici praticati da Courbet e il grande formato consente all'artista di rappresentare a grandezza
naturale figure e oggetti. I colori cupi associati a una luce polverosa e I'incerta definizione dello spazio conferiscono all'ambiente
un'atmosfera indefinita, quasi misteriosa. Al di là di ogni possibile interpretazione, ciò che soprattutto emerge è I'iconografia della
scena: sul grande palcoscenico dell’Atelier, Courbet dispone un universo sociale del quale egli è centro e creatore.

Dopo il Padiglione del Realismo la pittura di Courbet si arriva verso un cambiamento.


Sull'iconografia popolare e la narratività delle tele realiste cominciano a prevalere soggetti più
tradizionali: paesaggi, ritratti, nature morte, nudi femminili, scene di caccia e marine. Courbet
prende a concentrarsi sul quadro come oggetto pittorico autosufficiente, il cui significato
dipende dal come, cioè dai modi specificamente pittorici secondo i quali I'immagine viene
risolta. Significativo di questo nuovo indirizzo è Il mare in tempesta, che fa parte della serie di
soggetti omonimi avviata dall'artista durante l'estate del 1869 in Normandia. Courbet
conferisce ai dati di natura una pesante e terrena solidità, sia attraverso una semplificazione
dell'immagine, sia trasformando aria, acqua e tera in materia bruta, in incrostazioni di pigmento
colorato. Le nuvole basse e il movimento dei cavalloni sono resi infatti con una sostanza
cromatica densa e ferma, applicata a larghe spatolate. Il soggetto diventa pretesto di una composizione pittorica giocata su puri
rapporti di colori, di materia cromatica.

ÉDOUARD MANET (1832-1883)


Édouard Manet impara a dipingere nei primi anni cinquanta nello studio di Thomas Couture, pittore di scene
storiche di grande successo. Nel 1859 presenta per la prima volta un quadro al Salon, respinto dalla giuria
perché ritenuto poco rispondente ai canoni accademici. Comincia il conflittuale rapporto Manet con le
istituzioni artistiche, scandito da un'alternanza di accettazioni e rifiuti di suoi dipinti al Salon, al quale egli
teneva moltissimo a partecipare. La colazione sull'erba, giudicato scandaloso per soggetto e maniera
pittorica, è respinto, diventando per tale rifiuto la principale attrazione del Salon des refusés del 1863.
Manet comincia a essere guardato come protagonista del rinnovamento della pittura sia da artisti delle
nuove generazioni, sia da scrittori e letterati. Nel 1866 Manet conosce Monet, con il quale avvia un rapporto
di amicizia e reciproca influenza, che si estende al gruppo dei futuri impressionisti. La regolare presenza al
Salon, a partire dal 1868, segna l’affermazione di Manet come maestro, accettato da istituzioni e ammirato
dagli artisti indipendenti come gli impressionisti. L’esposizione al Salon del 1873 è una tappa ulteriore del
suo successo, culminato nel conferimento della Legion d'Onore nel 1881, due anni prima della morte.

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Quando dipinge La colazione sull'erba Manet è una promessa sulla scena artistica parigina: lo
distingue I'interesse per scene di vita quotidiana contemporanea. Attraverso il ricorso a schemi
derivati da opere di Raffaello e Tiziano, di Velázquez e Goya che ammira, Manet dà continui
saggi della sua capacità di muoversi tra norma e distacco dalla stessa, tra passato e presente,
tra un principio pittorico e le sue nuove applicazioni a soggetti e temi contemporanei.

Il soggetto prende spunto da un episodio di vita contemporanea: Antonin Proust, amico e


biografo del pittore, ricorda nei Souuenir che mentre osservava in sua compagnia alcune
persone fare il bagno ad Argenteuil, Manet dichiarò che avrebbe dipinto un nudo immerso nella
trasparenza dell'atmosfera. Esposta nel 1861 al Salon des refusés, la tela desta molte
perplessità tra critici e pubblico, non solo per il soggetto ma soprattutto per il modo in cui è
dipinto: alla sua tecnica esecutiva appare estranea ad ogni procedimento scolastico. Una delle novità importanti dell’opera consiste
nell'accordo dei personaggi con il paesaggio, tema abbandonato nella pittura francese già da molto tempo. Manet studia a lungo la
composizione, elaborando un materiale appartenente alla grande tradizione storica della pittura. Il tema della conversazione tra figure
nude e vestite in un paesaggio, infatti, era già stato svolto, per esempio, nel Concerto campestre di Tiziano. Per Manet, dunque, non
conta tanto il soggetto quanto il modo di trattarlo, trovando nelle grandi opere del passato fondamentali modelli compositivi.

La scena dipinta da Manet appare agli occhi dei contemporanei “indecente”, “assurda”, tutt'altro che edificante. Al centro, in un
boschetto, sono raffigurati due giovani uomini vestiti di tutto punto - uno disteso, con il bastone in mano e in testa un berretto nero
con nappa, I'altro con la cravatta nera - che conversano amabilmente in compagnia di una ragazza nuda. Più indietro, un'altra donna
in sottoveste si bagna in uno stagno, mentre in primo piano è dipinta una natura morta composta dal cestino con la colazione e dagli
abiti delle ragazze. Oltre alla mancata idealizzazione del nudo femminile - che senza nessuna vergogna guarda direttamente negli
occhi lo spettatore - è rimproverata al pittore la "volgarità" dell'esecuzione pittorica, priva di sfumato e impostata su forti e troppo
netti contrasti di tono. Manet rinuncia alla tradizionale pennellata per successive velature e al disegno, indicando i particolari,
modellando le forme senza l'aiuto della linea e abbozzando i contorni con colpi di colore. Le figure si presentano come insiemi di
zone cromatiche piatte. Anche il paesaggio appare composto come da velari trasparenti, che si sovrappongono formando zone più
dense o più sfumate di penombra. Non c'è così una distinzione netta fra luce e ombra, ma solo macchie di colore più o meno
luminose che si influenzano cromaticamente a vicenda. Nel suo insieme, l'immagine appare strutturata come un grande collage di
soggetti diversi applicati su uno sfondo naturale e solo apparentemente legati dal riferimento a fonti iconografiche rinascimentali.

Manet suscita scalpore anche con Olympia, sorprendentemente accettata al Salon del
1865. Il nudo appare ancora più audace di quello della Colazione sull'erba, soprattutto per
I'esplicita ripresa della Venere di Urbino di Tiziano. Al posto della dea Manet pone una
prostituta che guarda negli occhi lo spettatore, come se fosse lui a offrirle il gran mazzo di
fiori portato dalla cameriera di colore; e al posto del cagnolino addormentato di Tiziano,
simbolo di fedeltà familiare, qui troviamo la chiara allusione erotica del gatto col pelo ritto.
Dipingendo Olympia, Manet stravolge le regole del nudo disteso: il quadro colpisce però i
pittori della nuova generazione.

La realistica attualità di questa figura femminile deriva dalla schietta rappresentazione del
fisico assolutamente comune di una donna con gambe un po' corte, seni piccoli, viso
quadrato, mento aguzzo. Le ciabatte, il nastro nero di velluto al collo, I'orchidea puntata nei capelli (lussuria) e il gatto nero rendono
questo nudo diverso da quelli idealizzati del passato o da quelli perfetti accademicamente del presente. La novità del quadro di
Manet sta nella struttura compositiva e pittorica, impostata su una visione ravvicinata e frontale che riduce I'illusione di rotondità delle
forme, esaltando piuttosto i passaggi audaci di luce e ombra, i toni crudi, piatti e senza modellato. I netti contrasti tra parti chiare (le
lenzuola, il cuscino, I'incarnato di Olympia, lo scialle, il vestito della cameriera, la carta del mazzo di fiori) e scure (il nero del gatto, il
marrone del volto della cameriera e della tappezzeria sulla parete di fondo, il verde della tenda), rivelano grande sensibilità e una
straordinaria finezza nei passaggi di tono su tono.

Esposto al Salon del 1882, Il bar delle Folies-Bergère può essere considerato un punto
d'arrivo di molte ricerche sui problemi visivi condotte da realisti e impressionisti. Il luogo
era tra i più famosi ritrovi parigini, alcune descrizioni hanno suggerito una possibile
lettura sociologica del quadro, facendolo associare all'idea della prostituzione, mentre lo
sguardo triste e assente della barista sarebbe un'espressione dell'alienazione moderna.
Ciò che però colpisce, al di là del significato, è l'originale traduzione pittorica da parte di
Manet della complessa realtà del suo tempo, attraverso un linguaggio capace di
coniugare la tradizione con un nuovo modo di vedere. Essa rivela una costruzione
pittorica complessa, dove realtà e illusione s'intrecciano indistricabilmente come i piani
vicini e i lontani, le zone a fuoco e quelle fuori fuoco, le parti in campo e fuori campo, le
spinte centrifughe e centripete. La donna bionda del bar sembra una Madonna
rinascimentale, frontalmente inscritta entro un perfetto triangolo acuto, con l'asse
centrale, segnato dall'abbottonatura del corsetto. In primo piano, accuratamente disposte su un bancone di marmo, che Manet si era
fatto portare in studio per meglio rappresentarlo, vi sono bottiglie di champagne, di birra, di liquore, una fruttiera di cristallo con
mandarini e due rose infilate in un bicchiere che si richiamano al bouquet appuntato sul petto della barista. La simmetria del primo
piano è contraddetta dalla confusione di bagliori luminosi riflessa nel grande specchio.

L'apice della ricerca di integrazione dello spettatore è raggiunto nelle Folies Bergère attraverso l'uso dello specchio, dalla cui cornice
dorata s'intravede parte del bordo inferiore, che obbliga l'osservatore a esplorare una realtà visiva complessa. La natura morta, il
piano di marmo del bancone e la barista sono dati reali, ma questa realtà è sdoppiata nell'immagine virtuale della stessa natura morta
e di parte del piano di marmo parzialmente riflessi sulla superficie specchiante. Osservando la folla assiepata sulla balconata del
locale si colgono ulteriori personaggi riflessi, tra cui due signore: una osserva con un binocolo qualcosa d'invisibile all'osservatore,
l'altra, vestita di bianco, conversa con un vicino. A sinistra in alto dondolano le gambe di una trapezista che esegue il suo numero
sopra la cornice del dipinto e sopra le teste degli spettatori. Un ruolo significativo tocca al gentiluomo con cappello e bastone da
passeggio che parla con la barista: la sua posizione invita chi guarda il dipinto a vedersi specchiato, identificandosi con l'interlocutore
della ragazza. Manet utilizza lo specchio diversamente dai contemporanei, concependolo come un supporto pittorico autonomo
inserito nella tela, di cui occupa gran parte della superficie. Questo gli permette anche una visione 360 gradi, che mette a confronto il
più aggiornato linguaggio dell'arte e il mondo della Parigi moderna, la realtà e la sua traduzione secondo una nuova sensibilità.

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CLAUDE MONET (1840-1926)
Dopo una iniziale esperienza a Le Havre come caricaturista, Monet viene avviato alla pittura di paesaggio en
plein air da Eugène Boudin, incontrato nel 1858 in Bretagna. In quel periodo frequenta l'Académie Suisse e
l'ambiente artistico parigino; stringe legami di amicizia con Camille Pissarro, Frédéric Bazille, Alfred Sisley.
Nel 1865 espone per la prima volta al Salon, dove presenta due marine eseguite in Bretagna. Alla fine degli
anni sessanta, insieme a Renoir, mette a punto la nuova tecnica impressionista, frutto di un attento studio
dal vero degli effetti di rifrazione della luce e dei suoi riflessi sull'acqua. Fondamentale è l'influenza della
fotografia, soprattutto nel proposito di fissare con immediatezza il particolare attimo atmosferico. Dagli anni
ottanta Monet tende a dedicarsi a serie di dipinti sullo stesso soggetto. Concentrandosi su pochi motivi usa
lavorare contemporaneamente a più tele, che sostituisce con il mutare della luce nelle ore del giorno. Nel
1883 Monet si trasferisce a Giverny, dove lavora fino alla morte sul tema delle Ninfee del suo giardino.

Nel 1866-67 esegue “sul posto e dal vero”, nel giardino di una casa presa in affitto a Ville d'Avray,
Donne in giardino, con I'intenzione di esporre il dipinto al Salon, dove viene rifiutato: I'applicazione
della pittura en plein air a un quadro di grande formato appare alla giuria esaminatrice come un
tentativo di scardinare i tradizionali canoni normativi della rappresentazione.

La scena raffigura quattro donne che si intrattengono piacevolmente in un giardino fiorito.


Abbandonando i metodi tradizionali di modellazione chiaroscurale dei corpi e dei panneggi, Monet
sembra voler cogliere al volo un momento fugace di una giornata estiva, fissando fedelmente effetti
di luce diretta sugli abiti delle persone. Il sentiero del giardino, attraversato diagonalmente dalla
macchia scura di un'ombra, e la donna di profilo, sul fondo, definiscono in profondità un movimento
curvilineo contrapposto. Per non modificare il suo punto di vista rispetto al soggetto, Monet aveva
scavato nel terreno una buca in cui calava la tela. Rispetto a Courbet, che esegue i suoi quadri in
studio, Monet è meno interessato ai problemi della società moderna: il suo è un realismo tendente a
fissare sulla tela la percezione istantanea del mondo, colto esattamente come si mostra. In Donne in
giardino rivela una struttura compositiva scrupolosamente organizzata e studiata. Le quattro donne
ruotano intorno all'asse centrale del tronco dell'albero, che con i due rami diagonali definisce una forma a Y, a spartire
geometricamente la superficie della tela. La posizione calcolata delle figure sembra scandire una sorta di ritratto a tutto tondo di
un'unica donna (per le figure posò Camille Doncieux, compagna di Monet). Monet mette a punto la tipica tecnica di rappresentazione
impressionista, fondata su rapidi tocchi di colore puro, in grado di fissare con immediatezza la percezione ottica della realtà.

Il risultato più audace del nuovo linguaggio pittorico è costituito da Impressione: levar del sole, tela
esposta alla prima mostra della Société Anonyme des Artistes Peintres, Sculpteurs, Graveurs, allestita
nel 1874 nello studio parigino del fotografo Nadar e diventata famosa come prima mostra impressionista.
La veduta, dipinta all’aria aperta nel corso di un'unica seduta, fissa il passaggio dalla notte al giorno nel
bacino del porto di Le Havre, offrendo allo spettatore la visione di un fenomeno naturale nei suoi aspetti
più impalpabili e fuggevoli. La tecnica abbreviata, la mancanza di rifiniture e l'assenza di volume tendono
a smaterializzare il mondo reale, che appare più evocato che descritto. Anche le scure silhouette delle
piccole barche disposte in diagonale sembrano ombre senza peso. Nel gioco di liquide trasparenze, di
sottili velature di blu e rosa, di luminosità evanescenti, spicca il disco rosso-arancio del sole che costituisce l'unico dato di solida
consistenza cromatica.

Agli occhi del pubblico contemporaneo l'Impressione di Monet sembra appena un bozzetto e solleva immediatamente lo sdegno dei
critici. Louis Leroy, cronista d'arte della rivista "Le Charivari", ironizza sul titolo del quadro, che trova particolarmente esilarante.
L'articolo di Leroy intitolato con intenzioni sarcastiche Mostra degli impressionisti contribuisce involontariamente alla rapida diffusione
del termine "Impressionismo”, peraltro accettato per sfida dall'intero gruppo di artisti che, fino al 1886, espone insieme a Monet.

Monet rimane fedele all’impostazione pittorica tendente a registrare con immediatezza la peculiarità dei dati
visivi, con le loro variazioni di luce e atmosfera. Per raggiungere tale obiettivo Monet comincia a svolgere cicli di
opere ritornando di continuo sullo stesso soggetto in diverse ore del giorno o in differenti stagioni dell'anno,
dunque in condizioni atmosferiche e di luce diverse. Monet riuscì a fissare i successivi mutamenti di luminosità,
ottenendo quella che chiamava “istantaneità”; cioè quel "velo" di luce colorata che costituisce I'elemento
unificante dell'intera scena percepita dall'occhio. Monet realizza, tra 1892 e 1894, la serie della facciata
tardogotica della Cattedrale di Rouen, costituita da oltre cinquanta tele. La cattedrale è raffigurata nelle più
diverse situazioni di luce solare determinate dalle condizioni atmosferiche, dall'ora del giorno e dalla stagione.
Alla variabile atmosferica si somma quella delle diverse angolazioni da cui è vista la facciata. Gli infiniti
cambiamenti di luce, registrati attraverso un'ampia gamma cromatica, fanno apparire la facciata dell'edificio
come una superficie a volte luminosa, a volte cupa, talvolta spettrale.

Monet ricorre a una tecnica rapida, fatta di pennellate dense, evitando di sfumare i colori e di mescolarvi il bianco e il nero per
schiarirli o scurirli. Le ombre non sono restituite attraverso toni neutri, ma giustapponendo e sovrapponendo spessi tocchi di colore
puro, che si influenzano reciprocamente producendo un grado di luminosità diverso, più abbassato, rispetto alle parti in pieno sole.
Lo spesso strato di colore che conferisce concretezza materica alla superficie della tela restituisce anche il gioco di riflessi e
vibrazioni luminose determinato dalla scabrosità della pietra scolpita dell'edificio.

Per inquadrare I'immagine il pittore sfrutta il rettangolo della finestra del locale da cui dipinge, situato al secondo piano di un edificio
antistante la cattedrale. Il punto di vista interno, piuttosto alto offre allo spettatore una visione parziale della cattedrale, ben più ampia
della sua raffigurazione, che è limitata dalla cornice.

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EDGAR DEGAS (1834-1917)
Cresciuto nel culto di Ingres, Degas è il più vicino a Manet: ne condivide le perplessità nei confronti della
pittura en plein air, alla quale non è interessato. Pochissimi sono i paesaggi che dipinge, concentrando
invece la propria attenzione sulla figura. Le sue scene, apparentemente fissate come attraverso un obiettivo
fotografico, sono in realtà impostate su un disegno rigoroso e su un ordine compositivo derivati dalla
profonda conoscenza degli antichi maestri, che aveva studiato assiduamente.

Nei primi anni sessanta Degas comincia a interessarsi ai cavalli e ai campi di corse, attratto dal
movimento degli animali. Egli si basa sull’osservazione diretta e sullo studio di fotografie, in
particolare di Eadweard Muybridge. In certi casi, però, sui campi di corse osserva più gli spettatori
che i cavalli, come in Alle corse in provincia, esposto nel 1874 alla prima mostra impressionista.
Il paesaggio si chiude sulla bassa linea d'orizzonte, dove si apre la metà superiore del quadro,
totalmente occupata dall'ampia distesa del cielo. La conduzione pittorica è caratterizzata da una
gamma cromatica limitata a pochi toni cinerei. Rispetto alle pennellate frammentate e agli effetti
violenti di luce della pittura di altri impressionisti, il quadro di Degas appare più tradizionale.
L'immagine può anche essere letta come spaccato di vita e di gusto del tempo. Soggetti equestri e gare ippiche erano largamente
diffusi ed erano stati affrontati anche da Géricault. Oltre a riecheggiare tale iconografia, in quest'opera Degas insiste su altri caratteri
di costume tipicamente inglesi (cilindro, bulldog) che in quegli anni erano entrati nel gusto e nella moda dell'alta società parigina.

Dagli inizi degli anni settanta I'interesse di Degas si volge al mondo del teatro e iI tema delle ballerine
costituisce un ulteriore capitolo del suo studio sistematico del movimento e della gestualità. Assiduo
frequentatore di camerini e scuole di danza, egli è attratto dalle pose faticose e forzate dei corpi, dai
loro equilibri instabili, dalla varietà di gesti e movenze delle ballerine. Per accrescere la complicazione
e la spettacolarità delle prospettive di interni chiusi ricorre a inquadrature decentrate dilatando lo
spazio scenico con I'uso di specchi, porte e finestre.

Questa Classe di danza è di speciale interesse sia per il numero di figure dipinte in atteggiamenti
diversi e sia per il taglio prospettico, con lo sfondamento della parete di sinistra operato dallo
specchio, che riflette una parte della finestra da cui si intravede un frammento di città. L’azione si
svolge, probabilmente, nella scuola di ballo di rue Le Pelletier, con il maestro di danza Jules Perrot
che istruisce le allieve. Degas ricostruisce la scena collocandosi a destra e scorciandola leggermente
dal basso: in questo modo imprime maggiore profondità spaziale alla stanza, rendendo più dinamica
la struttura d'insieme della scatola prospettica. L'artista crea una trama figurativa complessa,
distribuendo le numerose figure in tre gruppi ben organizzati, legati fra loro da una successione di effetti solo in apparenza casuali. Il
dinamico gruppo centrale, con le ballerine che provano un passo di danza, funge da trait d'union fra gli altri due gruppi, più statici:
quello in primo piano, intorno al pianoforte, e quello arretrato, con ballerine in riposo e spettatrici che osservano gli esercizi. Articolato
e sapientemente calcolato si rivela anche il telaio compositivo, dinamizzato da una rete di linee diagonali che si sviluppano sia in
profondità, sia verso i lati. Si avverte poi un sapiente gioco di campo e fuoricampo, che mette in comunicazione l'interno della stanza
con I’esterno e le figure e gli oggetti disposti sui lati, tagliati dalla cornice, della tela, con lo spazio dello spettatore.

Intorno al 1880, il repertorio di Degas si arricchisce di nuovi soggetti (lavandaie, stiratrici, modiste e
donne al bagno) che gli servono come occasioni per fermare I'istantaneità di un'azione o di un gesto. I
colori diventano più vivaci: blu sordi, rosa e sontuosi arancioni. Esemplare di questa fase matura è Le
stiratrici: due figure colte, con un filo d'ironia, in atteggiamenti diversi e contrapposti, una nell'atto di
stirarsi sbadigliando, I'altra intenta a stirare davvero, facendo forza sul ferro. Ma I'immediatezza della
situazione è un puro effetto di superficie: Degas rappresenta un episodio banale di vita quotidiana
impostando la scena in maniera quasi classica. La spontaneità è completamente calcolata e la veduta
scorciata dall'alto e tagliata diagonalmente, con le donne colte come per caso, è rigidamente
determinata. Le figure sono inquadrate in un saldo ed essenziale scheletro di assi verticali
perpendicolari alla diagonale del tavolo, mentre i movimenti delle donne apparentemente scoordinati e
casuali sono anatomicamente bilanciati da sforzi contrari, verso I'alto e verso il basso, di muscoli tesi contrapposti a muscoli rilassati.

Le condizioni di lavoro delle stiratrici del tempo erano difficili: miseri salari e lunghe ore di lavoro in ambienti freddi e umidi, con
I'occasionale conforto di un po' di alcol (non a caso, una stringe in mano una bottiglia). Degas dipinge le lavoratrici con occhio da
documentarista, ma impone alla scena un raffinato gusto estetico, componendo un insieme di colori vibranti, così che il dipinto si
lascia ammirare anche solo per gli equilibri cromatici e compositivi.

PIERRE-AUGUSTE RENOIR (1841-1919)


All'inizio della sua carriera artistica Renoir non condivide il principio della pittura condotta sul motivo. La sua
prima formazione si svolge nello studio del maestro accademico Charles Gleyre, che gli insegna a
disegnare e comporre secondo le regole tradizionali. Un’amicizia con Monet e le comuni esperienze di
pittura en plein air avviate nella foresta di Fontainebleau contribuiscono a trasformare la sua pittura, sul
piano formale e iconografico.

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Negli anni settanta, al culmine della fase impressionista, abbandona la compattezza plastica
delle forme, collocando i suoi modelli sotto gli alberi, dove il sole, filtrando tra le foglie, li
punteggiava di macchie luminose. Tale espediente è restituito nel Ballo al Moulin de la
Galette, l'opera più grande e ambiziosa realizzata da Renoir negli anni settanta ed esposta
nel 1877 alla terza mostra degli impressionisti. La scena è ambientata in un popolare locale
da ballo all'aperto situato in cima alla collina di Montmartre, molto frequentato da giovani
artisti. Per sei mesi Renoir frequenta il locale, studiando la varietà di comportamenti dei
personaggi e le luci e i colori del luogo. Mescolati alla folla si riconoscono numerosi amici e
conoscenti dell'artista. La composizione, priva di centro e impostata liberamente dal punto
di vista prospettico, è percorsa da linee curve, a spirale, mentre i bordi tagliati di netto fanno
pensare al prolungarsi della scena oltre i limiti della tela. Renoir dissolve I'immagine in una
pittura chiazzata, ricca di corrispondenze cromatiche, che crea un insieme offuscato. I bizzarri effetti e riflessi creati dai colpi di luce
che investono le figure trasformano i personaggi in mezzi per rappresentare singolari e istantanei effetti di luce e ombra. Da tali effetti
luminosi traspare un intenso senso di giovinezza e di gioia di vivere.

Na Intorno al 1880 la pittura di Renoir comincia ad attraversare una fase critica, determinata
dall’interesse per composizioni maggiormente strutturate e risolte dal punto di vista formale,
tendenti a superare quello stadio di apparente abbozzo. Decisivo a tale proposito è, nel 1881, il
viaggio in Italia, dove attraverso lo studio diretto delle pitture murali di Pompei e degli affreschi di
Raffaello. Questa nuova considerazione della tradizione antica e rinascimentale contribuisce a
definire una netta cesura nel suo stile, che si allontana dalla maniera più tipicamente
impressionista per attribuire valore alla linea, con una progressiva tendenza alla semplificazione
delle forme. Le grandi bagnanti, frutto di quattro anni di lavoro, costituisce I'opera più rilevante e
significativa del netto cambiamento di registro formale operato da Renoir a partire dal 1881-84. Il
dipinto, preceduto da una serie di disegni, a dimostrazione del lungo processo di studio sulla sua struttura, è caratterizzato da un
doppio trattamento stilistico, che distingue i corpi femminili dal paesaggio in cui sono inseriti. Mentre i primi appaiono modellati entro
contorni ben definiti e attraverso colori asciutti e freddi stesi uniformemente, il secondo rivela una conduzione cromatica più ricca e
calda, che tende a dare maggiore consistenza alla tessitura di pennellate frante, tipica del linguaggio impressionista. Lo scarto tra
corpi e paesaggio è accentuato dai contraddittori effetti spaziali, caratterizzati da una certa incongruenza di rapporti tra le grandi
figure in primo piano e la cornice naturale, quasi miniaturizzata, che le contiene.

Nel suo quadro Renoir sembra far convivere tali diversi modelli - il seicentesco e tradizionale e quello moderno - aspirando a
conciliare lo studio della luce, materia inafferrabile, con una struttura compositiva più solida, componendo dunque l'attimo con
I'eterno, la storia con la contemporaneità.

I MACCHIAIOLI: RAFFAELLO SERNESI (1838-1866), GIUSEPPE ABBATI (1836-1868)


SILVESTRO LEGA (1826-1895), TELEMACO SIGNORINI (1835-1901)
Il termine macchiaioli appare per la prima volta nella Gazzetta del popolo per indicare un gruppo di pittori
che alla Prima esposizione nazionale, organizzata a Firenze nel 1861, espongono una serie di opere, per lo
più paesaggi, pittoricamente svolte per contrapposizione netta di colori, cioè con una pittura, appunto, a
macchia. La novità della tecnica è rappresentata dall'uso di colori brillanti, stesi con pennellate brevi e
semplificate. Ciò corrisponde al desiderio di recuperare il senso dell'immediato e del vero. Benché il
fenomeno macchiaiolo venga comunemente collegato alla Toscana, esso ha una portata nazionale, tanto da
poter essere definito il primo movimento artistico dell'Italia postunitaria.

Tetti al sole è tra le opere più significative della produzione macchiaiola del fiorentino Raffaello
Sernesi. Si tratta di una piccola veduta, per certi aspetti legata alle prime esperienze puriste del
pittore. La capacità di sintesi di Sernesi è grande, perché, nello spazio ridotto, riesce a rendere
solenne e monumentale un semplice gruppo di case. Ciò è ottenuto attraverso un calibrato
controllo formale, che tende a eliminare dalla visione ogni richiamo narrativo per concentrarsi sul
rigore della struttura, sulle masse plastiche degli edifici inondati di luce. Questa voluta semplicità
e stilizzazione è animata da colori chiari e limpidi, che impregnano di luce le superfici dei muri e
la distesa del cielo.

Sulla lunghezza d'onda della sperimentazione cromatica macchiaiola si colloca il napoletano


Giuseppe Abbati, giunto a Firenze verso la fine del 1860 con un'esperienza di pittore d'interni. La
sua ricerca tende a rendere con immediatezza e freschezza di visione piccoli frammenti di realtà.
Ciò è ben evidente in Chiostro, un'opera nata dall'osservazione diretta dei chiostri di Santa Croce,
allora in restauro. La scena, impostata su una radicale semplificazione delle strutture e
sull'assenza totale di disegno, è caratterizzata da rapporti cromatici e tonali e dal gioco luminoso
delle ombre, che esalta la geometrica scansione dei volumi. Il punto centrale dell'incontro tra le
cose e la luce solare è qui costituito dalla sequenza di blocchi di marmo di vario tipo e colore
appoggiati sul terreno: tale motivo offre al pittore la possibilità di osservare e studiare masse ben
definite sulle quali la luce produce contrasti netti ed elementari di colore e chiaroscuro.

Particolarmente sensibile al problema dei valori cromatici e tonali è il forlivese Silvestro Lega, autore di
soggetti legati alla sfera degli affetti familiari e alla vita domestica. Tale inclinazione è evidente in Il
pergolato, eseguito negli anni in cui Lega risiede nei pressi di Firenze. Vi sono raffigurate le ragazze
della famiglia Batelli, presso la quale l'artista è ospite stabile, sedute sotto il pergolato del giardino in
attesa del caffè che una domestica sta servendo loro. L’uso sapiente delle luci e delle ombre, oltre allo
studio della natura, suggerisce analogie con le soluzioni pittoriche degli impressionisti, che però Lega
non conosce direttamente.

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Un momento chiave della produzione macchiaiola del fiorentino Telemaco Signorini è rappresentato
da Novembre, opera che coincide con un ammorbidimento dei principi della tecnica a macchia. Il
dipinto, premiato come miglior paesaggio alla mostra della Società promotrice di Firenze del 1870, è
impostato sulla visione di un grande spazio aperto, scandito in tre piani - la strada fangosa segnala
dalle tracce dei carri, le colline e il cielo rannuvolato - costruiti come una successione di bande
cromatiche diverse.

L’attenzione alla realtà urbana, vista come un luogo di vita frenetica da contrapporre alla quiete della
campagna, caratterizza una parte della ricerca di Signorini, che dipinge vedute di città italiane e delle
principali capitali europee. La veduta di Leith, cittadina scozzese ora quartiere di Edimburgo, è
imperniata sulle due diagonali che, incontrandosi, definiscono l'angolo di una casa, con due strade che
vanno in direzione opposta, suggerendo I'impressione di un'istantanea grandangolare. Numerosi passanti
animano la via ma vera attrazione della scena è il grande cantellone pubblicitario, nel quale il principio di
fedeltà al "vero" raggiunge una precisione quasi fotografica: il manifesto, che deve colpire I'occhio del
passante, è infatti riprodotto utilizzando colori forti e netti.

GIOVANNI FATTORINI (1825-1908)


Il livornese Giovanni Fattori, tra i più importanti pittori del gruppo dei macchiaioli, si forma a Firenze, dove si
trasferisce nel 1846 per iscriversi all'Accademia di belle arti. Due anni dopo interrompe gli studi per
partecipare attivamente agli avvenimenti politici: nel 1849 è testimone della resistenza di Livorno alle forze
dell'esercito austriaco. Assiduo frequentatore del Caffè Michelangiolo aderisce ai principi della tecnica a
macchia. La sua prima produzione oscilla tra verismo, con temi di carattere patetico e illustrativo, e quadri
storici, descrittivi e letterari.

Punto di arrivo della prima fase è Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, opera con la quale
nel 1861 vince il concorso Ricasoli, bandito dal Governo provvisorio della Toscana. L’artista presenta
alla commissione esaminatrice due bozzetti, uno raffigurante I'assalto dei granatieri della guardia di
Napoleone III contro le postazioni austriache al ponte di Magenta, I'altro con un episodio delle retrovie.
Fra i due bozzetti viene scelto il secondo, la cui versione definitiva è esposta nel 1862 a Firenze
all'Esposizione straordinaria di alcune opere commissionate dal governo Ricasoli. Fattori decide di
raffigurare eventi contemporanei, ancora vivi nella memoria collettiva della giovane nazione, tanto che
il quadro venne considerato il primo dipinto italiano di storia moderna. Il campo italiano dopo la
battaglia di Magenta non raffigura un momento saliente dello scontro tra le truppe italiane e francesi e
quelle austriache, ma il clima confuso delle retrovie da cui risalta una realtà più umana che eroica.

Rispetto al bozzetto la scena definitiva mostra una complessità costruttiva maggiore, soprattutto nella
scansione dei piani. Il centro è dominato dal carro-ambulanza che trasporta i feriti sotto lo sguardo dei
soldati italiani, che rientrano al campo, e degli alleati francesi. La composizione, divisa in due larghe
fasce orizzontali, è tagliata dalla diagonale del sentiero lungo il quale procede il carro. L’uniformità
della zona superiore, determinata dall'azzurro del cielo, velato da nuvole bianche, contrasta con la
molteplicità di toni di quella inferiore, caratterizzata da più ricchi passaggi di luce e dalla varietà
cromatica delle uniformi dei militari, dei cavalli e del terreno.

Nel corso degli anni sessanta Fattori definisce i caratteri più innovativi della sua
maniera di guardare e rappresentare la realtà, dedicandosi al ritratto e a soggetti
agresti. A quel periodo risalgono le prove più significative della sua produzione
macchiaiola vera e propria, costituita da tavolette con rapide impressioni dal vero.
Una delle più note è La rotonda dei bagni Palmieri, un sito balneare che
primeggiava sul litorale di Livorno. Nelle dimensioni ridotte Fattori fissa un rituale di
moda presso la borghesia del tempo: un gruppo di donne in ozio, al riparo dal sole sotto la tenda della rotonda, guarda verso il mare.

Si tratta di un'impressione dal vero, facile e diretta, resa attraverso una forma concisa e precisa e severa. Il colore nitido e fermo è
steso a bande e tasselli. Applicando i principi della macchia in modo rigoroso, Fattori struttura l'immagine per piani e bande di colore
paralleli: il basso e I'alto sono delimitati dall'ampia ombra della rotonda, segnata dalla luce che ne lambisce il bordo, e dalla fascia
ocra della tenda, mentre il centro è costituito dalla striscia di mare turchino, dalla lingua di terra bruna e dalla distesa di cielo
imbiancato. In questo spazio aperto sono disposte le sagome delle donne, raffigurate con tasselli di colore ben modulato; tutti i
dettagli sono eliminati in favore di una sorta di mosaico astratto di macchie dipinte, che determinano un vivace ritmo visivo. La
semplicità e l'immediatezza della visione si rivelano in realtà come il risultato di una preparazione. Molti particolari sono stati più volte
modificati: un’elaborazione ben lontana dalla rapida restituzione di un'impressione dal vero.

FEDERICO FARUFFINI (1831-1869)


L’esperienza artistica di Federico Faruffini, conclusasi prematuramente con il suicidio, rispecchia l'emergere
di nuove istanze veriste nel quadro di un progressivo esaurimento del Romanticismo storico. Fin dagli
esordi egli manifesta la tendenza a sganciarsi dalle convenzioni del quadro di storia, cui peraltro si dedica
attraverso l’osservazione del vero, elaborando una pittura ricca di valori cromatici in grado di trasmettere
emozioni e sentimenti dei personaggi con una gestualità naturale, libera da convenzioni scenografiche.

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Il risultato di maggior rilievo lo raggiunge con La lettrice, tra le composizioni più rappresentative del
Verismo italiano. Esposta solo dopo la morte del pittore, raffigura, con puntuale adesione alla verità
ottica, una giovane seduta in poltrona, concentrata nella lettura: di fronte a lei, alcuni libri, una
candela, una bottiglia, un calamaio e un bicchiere con un fiore danno luogo a una natura morta
disposta sul tavolo. I particolari della sigaretta e del fiore nel bicchiere fanno pensare che Faruffini si
sia ispirato a personaggi femminili descritti dallo scrittore scapigliato Igino Ugo Tarchetti.

La neutra definizione dello spazio e l'originalità del taglio compositivo conferiscono alla scena un
carattere privato, con un immagine della donna colta, raffigurata a “sua insaputa”. La messa a fuoco
di questo frammento di realtà quasi segreta è ottenuta attraverso una sorta di flash fatto scattare con abilità pittorica nel gioco di luci
e ombre della camicetta della fanciulla e del bordo di velluto della poltrona.

LA SCAPIGLIATURA: DANIELE RANZONI (1843-1889), EUGENIO GIGNOUS (1850-1906),


TRANQUILLO CREMONA (1837-1878), LUIGI CONCONI (1852-1917)
La Scapigliatura ha rappresentato una delle prime forme di avanguardia culturale italiana moderna, sia sul
piano delle proposte pittoriche, sia per certi atteggiamenti ribelli e anti-tradizionalisti degli artisti che vi
aderiscono. I generi praticati dai pittori scapigliati sono ancora quelli tradizionali del ritratto e del paesaggio,
interpretati in chiave romantica e realistica. La loro sensibilità per le modulazioni e le vibrazioni dei colori
colpiti dalla luce si ricollega ai modi delle contemporanee ricerche impressioniste e macchiaiole, delle quali
condividono l'osservazione diretta del reale e la ricerca di una sua immediata restituzione pittorica. Le loro
opere sono generalmente caratterizzare da indefinitezza formale, di non precisa delineazione delle figure e
delle cose, netti contrasti di parti chiare e scure e dai contorni sfumati.

Lo stile di Daniele Ranzoni è caratterizzato da una pittura morbida e da atmosfere


sottili e impalpabili, ma tende a una maggiore solidità nella costruzione dei volumi.
Tali elementi si ritrovano ben armonizzati nella Veduta del lago Maggiore dalla Villa
Ada, in cui il sentimentalismo che pervade tutta la scena appare come equilibrato da
una calcolata costruzione delI'immagine. La veduta paesaggistica, inquadrata dal
terrazzo della villa del principe Troubetzkoy, è giocata sul contrasto tonale, che si
determina lungo la diagonale, tra la quinta arborea delle pendici delle colline e la
luminosità del lago, del cielo e dei monti. La presenza della principessa Ada
appoggiata alla balaustra in serena attitudine contemplativa conferisce alla rappresentazione una dimensione di quotidiana intimità.

L’impeto pittorico degli scapigliati tende a moderarsi nelle opere di Eugenio Gignous, il quale,
formatosi all'Accademia di Brera, è attratto dalla pittura en plein air. La sua attenzione a restituire in
modo concreto i dati reali, senza eccessive dissolvenze cromatiche e sfaldamenti dei volumi,
caratterizza I'immagine dell'amico Tranquillo Cremona in atto di dipingere all'aperto il ritratto di
Benedetto Junk. Il quadro con Cremona raffigurato mentre lavora appare come un documento
iconograficamente curioso, per I'assenza del modello e per l'estemporaneità dello scenario di lavoro
artistico. L’ambientazione è impersonale e dimessa: il pittore siede su una cassetta di legno, la tela è
appoggiata a un sedia, gli strumenti di lavoro sono gettati a terra. Questo spazio anonimo e spoglio è
animato dall'azione di Cremona il quale sembra graffiare il ritratto, già concluso e incorniciato.

Nel 1863, con il successo del Falconiere, Tranquillo Cremona inaugura il movimento scapigliato, avviandosi
verso una pittura carica di contrasti e di sottili passaggi di luce ed effetti atmosferici. Esemplare in questo
senso è L'Edera, una delle ultime opere del pittore. Elaborata nell'ambito della cerchia intellettuale che
frequenta la casa del committente, Benedetto Junk, è uno dei dipinti più noti dell’artista. Omaggio al topos
tardo-romantico della fine dell'amore, o della disperazione per sentimenti amorosi non corrisposti, I'opera è
caratterizzata dal contrasto tra I'abbraccio implorante della figura del giovane amante e la resistenza
passiva della donna. Ad accrescere il conflitto di stati d'animo contribuisce I'edera: la pianta sempre verde,
simbolo di resistenza, durata e immortalità, fa da contrappunto all'indifferenza della figura femminile e
all'idea della caducità di sentimenti e passioni.

Formatosi artisticamente nell'ambiente intellettuale della Scapigliatura, Luigi Conconi rimane sino alla fine del
secolo influenzato dai modi di Cremona, di cui frequenta lo studio. Tale influenza appare evidente in Ragazzi in
giardino per I'intimismo del soggetto e la vibrante trattazione della materia pittorica, scossa dall'impeto di
sottili accostamenti tonali sostenuti da una pennellata franta. Lo sfondo e le figure smarriscono I'autonoma
connotazione fisica per sciogliersi in macchie di colore.

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LA SCULTURA ITALIANA DURANTE L’UNITÀ: ADRIANO CECIONI (1836-1886),
ACHILLE D’ORSI (1845-1929), VINCENZO GEMITO (1852-1929), VINCENZO VELA (1820-1891)
Dopo il 1861 molti giovani scultori italiani orientano la propria ricerca in direzione verista e realista. Il culto
del vero genera un linguaggio formale inedito, che pone superfici più scabre e sfaccettate che sotto l'effetto
della luce diventano cangianti e mobili. Al carattere idealizzato di tradizione classicista, si oppone un
linguaggio considerato più aderente al vero, con le mutevolezze e accidentalità. Nel campo della scultura, i
tradizionali modi del formare e del comporre continuano a sussistere e a condizionare le idee degli scultori
più aperti al nuovo, implicando sopravvivenze d'impronta classicista anche nella produzione realista.

Il lavoro di Adriano Cecioni è strettamente connesso a una concezione teorica. Il suo principio di sorpresa
della natura, ispiratogli, pare, dalle posizioni naturali dei calchi dei cadaveri degli antichi abitanti di Pompei, è
perseguito sul piano plastico nel Bambino col gallo. Si tratta di un soggetto di genere raffigurante un fanciullo
che maldestramente stringe a sé un gallo il quale, per svincolarsi dalla presa, gli sbatte le ali in faccia. Ciò
provoca una reazione di spavento, simile e contrapposta: il bambino chiude gli occhi, piange e piega la testa
all'indietro, mentre il gallo si inarca dalla parte opposta aprendo completamente le ali. Il corpo del fanciullo è
modellato in forme lisce e arrotondate, mentre la figura del gallo è trattata con una materia rugosa e striata
che ne riproduce le screziature del piumaggio. L'opera venne tradotta in marmo dallo stesso artista e
presentata con successo al Salon di Parigi del 1870, dove fu acquistata da un collezionista americano, mentre
un mercante parigino ottenne il diritto della fusione in bronzo.

Lo scultore Achille D'Orsi si forma nell'ambiente artistico napoletano, avvicinandosi alla cerchia
dei veristi negli anni settanta. Nel 1877 presenta all'Esposizione promotrice di Napoli I parassiti,
una scultura di tema romano che si inquadra nel gusto per le ricostruzioni storiche a carattere
moraleggiante. Il gruppo mostra due antichi romani sbracati e inebetiti dal troppo cibo e dal vino:
la testa dell'uno è abbandonata sul petto mentre I'altro rivolge al compagno parole sconnesse.
Nonostante il richiamo all'antichità, il soggetto fa riferimento alla realtà contemporanea: i due
personaggi dichiarano un'assoluta volgarità e la frequentazione di una bettola del tempo
dell'artista più che di un'elegante casa romana antica.

Il napoletano Vincenzo Gemito si guadagna una solida fama come autore sopratutto di teste di fanciulli, particolarmente
gradite dal pubblico per la loro realistica espressività, pur dagli accenti talvolta patetici. Il Pescatore, esposto al Salon
parigino del 1877, suscita un misto di scandalo e ammirazione per il suo naturalismo senza compromessi. La figura
nuda del giovane pescatore offre il ritratto di uno scugnizzo napoletano, accovacciato su uno scoglio: i piedi
trattengono il berretto in cui sono raccolte le esche, mentre le mani cercano di liberare dall'amo il pesce appena
pescato. Tale postura, che impone alla schiena una leggera flessione all'indietro, bilanciata dall'inclinazione del mento
sul petto, è fissata con estrema naturalezza. L'opera tende a conciliare la tradizione del nudo classico, e quella verista,
esaltata nella superficie scabra della trama della rete da pesca arrotolata intorno alla pancia del giovane.

Il ticinese Vincenzo Vela, formatosi all'Accademia di Brera a Milano, si afferma con un monumento
pubblico dedicato all'esercito sardo, realizzato nel 1857 a Torino. All'apice della carniera artistica,
esegue Le vittime del lavoro, un grande altorilievo concepito per onorare gli operai morti durante
gli scavi del traforo del Gottardo. L’opera esclude ogni principio di bellezza ideale, evitando anche
scadimenti retorici. Vì è rappresentato a grandezza naturale un gruppo di operai che, su una
barella, porta fuori dal tunnel un compagno caduto sul lavoro: il passo dei minatori, stanchi e con
le teste incassate nelle spalle ingobbite, ha I'andamento lento di una mancia funebre. Avanzando,
il gruppo s'incrocia con un altro operaio che alza la sua lanterna per riconoscere la vittima. Dai
volti non traspare nessun sentimento di ribellione, ma neppure di rassegnazione, mentre le pieghe
degli abiti sono trattate in modo da riflettere la luce a larghe chiazze.

GIUSEPPE DE NITTIS (1846-1884)


Il pugliese Giuseppe De Nittis è tra le personalità più significative e innovative nel panorama artistico
napoletano, dominato da una pittura di carattere storico e religioso di impostazione ancora accademica.
Nel 1864, espulso dall'Istituto di belle arti di Napoli per indisciplina, espone alla terza Promotrice napoletana
un piccolo dipinto di paesaggio. La tendenza di De Nittis a oltrepassare I'impostazione accademica del
paesaggio attraverso lo studio diretto della natura è condivisa anche da altri giovani pittori napoletani con i
quali egli dà vita all’esperienza della Scuola di Resina. I programmi della scuola - studio dal vero, rinuncia al
disegno, adozione di uno stile basato sui rapporti tonali dei colori, totale concessione alle impressioni
dettate direttamente dalla natura - coincidono con gli indirizzi dei macchiaioli toscani e degli impressionisti.

Il quadro più notevole della fase giovanile di De Nittis è La traversata degli Appennini.
La scena è semplice ed essenziale: una diligenza procede lungo una strada fangosa
sotto un cielo cupo, squarciato al l'orizzonte da una luce che lascia intravedere il sereno.
Pochi altri elementi – un muretto fradicio, un gruppo di case, un albero spoglio – dipinti
con finezza di particolari ed eleganza, sono sufficienti dar conto della realtà in maniera
diretta e coinvolgente. Il taglio aperto dell'immagine è accentuato dall'imbuto prospettico
della strada, segnata dalle scie delle ruote dei carri. Soggetti del genere sono cari
all'artista pugliese perché riflettono la realtà dei suoi vagabondaggi nella campagna
meridionale e il suo desiderio di vivere e dipingere a contatto diretto con la natura.
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Dal 1861 De Nittis si trasferisce a Parigi dove, nel 1874, partecipa alla prima mostra degli
impressionisti. Durante i periodici ritorni in Italia ama incontrarsi con gli amici pittori, poeti,
musicisti. La maniera pittorica de La Colazione a Posillipo, basata sull'estrema scioltezza della
pennellata, mostra un assorbimento delle suggestioni impressioniste. Questo dipinto raffigura
un'allegra serata all’osteria: alle spalle degli amici di De Nittis, di sua moglie e della moglie del
pittore Edoardo Dalbono, oltre a un'orchestrina si intravede il golfo di Posillipo al tramonto, con la
luce rossastra del sole che si riflette nel cielo, nello specchio di mare e sulla tovaglia. La serena
convivialità della scena è resa con una stesura pittorica sciolta, con pennellate veloci e velature di
colore diluito; la realtà della situazione viene colta con immediatezza. Un senso di estemporaneità e improvvisazione è rafforzato dalla
zona in primo piano, dove i piatti sono delineati con un'unica pennellata, mentre I'uomo a destra è appena abbozzato. Questa
impressione di “non finito" è una soluzione calcolata, intenzionale: De Nittis ama far muovere i suoi modelli durante le pose così da
coglierne con maggiore naturalezza i gesti più tipici, quasi a competere con l'effetto di immediatezza di una fotografia mossa. La
sensazione di presa in diretta dell'azione e l'attenzione agli effetti atmosferici risentono dei rapporti di De Nittis con gli impressionisti.

ITALIANI A PARIGI:
FEDERICO ZANDOMENEGHI (1841-1917) E GIOVANNI BOLDINI (1842-1931)
Intorno agli anni settanta dell'Ottocento Parigi diventa un polo d’attrazione per molti artisti europei. Anche
alcuni giovani pittori italiani vi si stabiliscono definitivamente, o si trattengono a lungo, dopo esservi giunti
per visitare I'Esposizione universale del 1867.

Giunto a Parigi nel 1874, Federico Zandomeneghi entra subito in contatto con gli impressionisti,
esponendo con loro alla sesta mostra del 1881, dove presenta Place d'Anvers a Parigi. La scena
raffigura il giardino della piccola piazza, situata sulla collina di Montmartre, molto frequentato da
balie che accompagnavano i bambini a giocare. Il pittore proietta la scena nello spazio dilatato
della piazza, chiusa sul fondo da un edificio taglialo dalla cornice del quadro. Il carattere
impressionista del dipinto si coglie nell'alternarsi di luci e ombre raffinatamente modulato, che si
fonde con la vena narrativa delle diverse scene della composizione, dove alcuni audaci scorci delle
figure sottolineano e fissano atteggiamenti tipici, gesti fuggevoli. La ricerca di una composizione
aperta e spaziosa tende a spingere le figure ai limiti della tela, troncandone alcune.

Formatosi presso il padre Antonio, Giovanni Boldini svolge la sua prima attività a Firenze.
Trasferitosi a Parigi nel 1871, non fatica a trovane acquirenti per i suoi lavori, che riscuotono
il favore di mercanti e pubblico per le loro qualità esecutive. Le sue vedute della capitale
francese piacciono mollissimo, soprattutto per I'effetto d’immediatezza di visione e per la
tecnica raffinata. Omnibus in Place Pigalle a Parigi raffigura una scena di ordinaria
quotidianità, che l'artista aveva modo di osservane dalle finestre dello studio, affacciato
proprio su quella piazza. Ciò che rende significativa l'immagine è il senso di visione in presa
diretta, come se il pittore avesse dipinto la scena sul posto, sistemato col cavalletto dietro i
cavalli. In realtà Boldini non ama affatto lavorare en plein air, ma la sua abilità sta proprio nel
saper rendere con sorprendente freschezza quanto ha osservato.

LA SCULTURA MONUMENTALE IN EUROPA


La maggior parte degli scultori non elabora un linguaggio plastico nuovo, ma continua a ispirarsi a forme e
schemi tradizionali. Gli scultori sono poco propensi a sperimentare per lo specificò carattere della loro arte:
tendono a basare la propria opera su forme espressive e compositive consolidate anche per il costo di
materiali come marmo e bronzo, sia dei processi di lavorazione. La fusione in bronzo di un modello in gesso
o la lavorazione diretta del marmo richiedono grandi investimenti.

La grande scultura del XIX secolo è un fatto pubblico: la scultura monumentale ottocentesca ha un ruolo di
grande importanza sia nella ridefinizione della città, sia nella rappresentazione simbolica delle idee e dei
valori di un’epoca. Se il suo complessivo interesse artistico-estetico può apparire limitato, costituisce nel
suo insieme un fenomeno della rilevanza da un punto di vista storico, sociologico e di storia delle idee.

In Italia dopo il 1861 sono banditi numerosi concorsi pubblici per I'esecuzione di monumenti che celebrino
episodi esemplari delle recenti lotte risorgimentali e i loro protagonisti. Il fatto che i monumenti si diffondano
nelle piazze di molte città risistemate secondo nuovi criteri urbanistici costituisce una svolta significativa: la
grande scultura pubblica cessa di essere manifestazione del potere aristocratico e religioso diventando un
segno della nuova nazione che è andata costituendosi. Esempi della cultura monumentale in Italia sono: il
Monumento ai fratelli Cairoli di Ercole Rosa (Roma), il Monumento a Vittorio Emanuele II di Ercole Rosa
(Milano) o il Monumento alle Cinque giornate di Giuseppe Grandi (Milano)


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— Post-impressionismi e Avanguardie storiche —
Dagli anni ottanta del XIX secolo alla prima guerra mondiale

Processi, contesti, prospettive delle civiltà artistiche


LENTA FIN DE SIÈCLE E LABORATORIO PER IL NOVECENTO
Le teorie positiviste e la fiducia nel progresso che caratterizzano la società del secondo Ottocento si
riflettono nel Naturalismo e nel Verismo, finalizzate a un'analisi scientifica della realtà. La rappresentazione
pittorica e letteraria, destinata a un pubblico in costante crescita diventa uno dei molteplici ingredienti
culturali del periodo. L’emergere di un pubblico di massa, con un ruolo più centrale di consumatore e di
anonimo committente di cultura, comporta in una parte degli artisti la ricerca di forme espressive raffinate,
destinate a élite intellettuali. In tale contesto si affermano sia un interesse analitico per le componenti
elementari e strutturali del linguaggio artistico, sia l'aspirazione a distinguersi con un operare orientato in
senso soggettivo. Attraverso la ripresa di questi elementi, si fa strada la concezione estetica del Simbolismo
e del Decadentismo, che pone al cuore della propria indagine gli stati abnormi e irrazionali della coscienza.

Si consolida l’idea dell’impossibilità di situare la ragione a fondamento dell'attività artistica. La concezione


di opera d'arte totale del compositore tedesco Wagner incarna il tentativo di cogliere per analogia,
attraverso l'atto creativo, la pluralità e l’inafferrabilità degli elementi di realtà.

LA RIDEFINIZIONE DELLA CITTÀ


Tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del Novecento la crescita disordinata delle città determina l'esigenza di
regolarne lo sviluppo mediante i piani regolatori. Alcuni architetti continuano a intendere l'architettura come
forma d'arte e a elaborare nuovi stili e tipologie di edifici. In molte città europee si applicano i nuovi piani
regolatori, che spostano le industrie in periferia e risanano aree; si sviluppa una legislazione urbanistica.
Salubrità e innovazione tecnologica sono quasi ovunque le parole d'ordine e diventano fondamentali due
temi urbanistici: Ia realizzazione del decentramento di vaste zone residenziali in appositi quartieri e la
zonizzazione, cioè la razionale specializzazione funzionale delle aree.

• Uno dei primi problemi affrontati dall'urbanistica è il rapporto fra tracciato viario e città. Il primo a
occuparsene è Soria y Mata a Madrid (1882), che propone un ampio e autonomo quartiere residenziale a
carattere estensivo e lineare.

• Un secondo tema emergente è quello della città giardino, soluzione elaborata da Ebenezer Howard in
Inghilterra, per la conciliazione di natura e spazio urbano. Più città giardino possono raggrupparsi attorno
a una più grande metropoli che non deve però superare i 32 000 abitanti, su un territorio di 2 400 ettari,
pena la rottura di un delicato equilibrio.

• La terza idea portante dell'urbanistica del periodo è quella della qualità estetica della città, propugnata
dal viennese Camillo Sitte. Lo studio di molte città medievali e rinascimentali, soprattutto italiane, con
particolare attenzione al rapporto tra vuoti urbani ed edifici, nelle strade e nelle piazze, vi è svolto col fine
di trarne norme da applicare in una nuova progettazione urbana.

• Volto a una radicale ipotesi di modernizzazione è lo studio di città industriale di Garnier, ispirato al
socialismo riformista. Il modello trova parziale attenzione a Lione. La sua città può accogliere 35 000
abitanti e si sviluppa su un territorio pianeggiante. Il tessuto residenziale, disseminato di giardini, presenta
un'ampia varietà di soluzioni tipologiche abitative. Le architetture esprimono forme semplici.

• In America è minore l'esigenza di elaborazione urbanistica, anche se non mancano progetti interessanti,
come a Chicago con una sequenza di grandi parchi urani tra loro collegati.

ARTISTI E MERCATO NEGLI ANNI DEL POSTIMPRESSIONISMO


Negli ultimi due decenni dell'Ottocento un intero sistema entra definitivamente in crisi. Alla scuola si
affianca una varietà di liberi raggruppamenti spesso appoggiati da critici, letterati e teorici. È il contesto che
prepara le Avanguardie artistiche del primo Novecento. La frammentazione rispecchia una situazione
culturale ricca di stimoli diversi, ma è da mettere in relazione con la sempre più marcata liberalizzazione del
mercato dell’arte. Si delinea una nuova figura di artista, che attraverso canali di diffusione della propria
opera diventa imprenditore di se stesso.

Piccoli circoli informali e numerose scuole private d'arte cominciano a sostituire l'Accademia. L'ambiente
parigino si dimostra all'avanguardia. La celebre Académie Suisse, aperta intorno alla metà del secolo da
un ex modello, non propone alcun tipo di corsi: offre unicamente ai giovani la possibilità di copiare modelli
viventi a un prezzo abbordabile. Un'altra accademia privata, aperta alla fine degli anni sessanta dal pittore
Rodolphe Julian, costituisce un punto d'attazione per molti artisti stranieri presenti a Parigi. Luoghi
d'incontro che daranno origine a raggruppamenti d'avanguardia sono anche l'Accademia Colarossi,
frequentata da Paul Gauguin e l' atelier-scuola di Eugène Carrière, dove intorno al 1896 fanno amicizia i
futuri pittori fauve Henri Matisse e André Derain.

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Al principio degli anni ottanta, in Francia, la promozione dell'arte attraverso periodiche esposizioni di
impronta accademica comincia a essere affiancato da mostre che propongono forme artistiche alternative.
Nel 1884 si apre un nuovo Salon, organizzato da una Società degli artisti indipendenti e diventato famoso
come Salon des Indépendants, che accoglie opere di artisti di ogni indirizzo e scuola senza limiti
d'ammissione, senza giurie né premi. Alla definizione di un sistema espositivo concorre anche il Salon
d'Automne è palcoscenico privilegiato degli artisti e dei gruppi d'avanguardia.

Tra il 1881 (morte di Manet) e il 1886 (ultima mostra impressionista), la pittura dei protagonisti del gruppo
aveva subito una trasformazione talmente profonda da prospettare una crisi dell'Impressionismo.

• Il puntinismo. L’autonomia della visione e la totale libertà della resa pittorica praticate dagli impressionisti
si vengono radicalizzando e modificando. I principali esponenti del Neoimpressionismo sono Georges
Seurat, Paul Signac e Camille Pissarro, che propongono una pittura realizzata con tacche, virgole o piccoli
punti di colori puri, non mescolati sulla tavolozza ma accostati sulla tela (pointillisme). Si parte dalla teoria
del contrasto simultaneo del fisico francese Michel-Eugène Chevreul, che chiarisce le possibilità
d'influenza reciproca dei differenti colori: i complementari si esaltano a vicenda, mentre i toni chiari e
quelli scuri evidenziano il proprio contrasto se direttamente contfapposti.

• Gauguin e Van Gogh. Gli altri grandi indipendenti di questa stagione, che completano il quadro dei
maestri postimpressionisti, sono Paul Gauguin e Vincent van Gogh, accomunati dall'approssimazione
della formazione artistica, che ne costituisce la loro forza innovativa. Gauguin si dà definitivamente alla
pittura nel 1883, dopo essere stato impiegato di banca, e riesce in breve tempo a formulare uno stile
originale attingendo ai più diversi modelli della pittura del XIX secolo mescolati a suggestioni delle stampe
giapponesi e dell'arte popolare. La sua maniera, carica di un simbolismo primordiale, si basa su forme
semplificate (sintetismo), colori arbitrariamente scelti e campi cromatici piatti e nettamente delimitati.
Gauguin è oggetto di venerazione anche da parte di Van Gogh che aveva cominciato a studiare pittura a
Bruxelles. Egli a Parigi scopre una nuova luminosità del colore che applica con estrema libertà in una
pittura poi influenzata da Gauguin, con il quale divide una casa ad Arles per un tempestoso periodo.

• Simbolismi. Già parallelamente al Realismo e in alternativa all’Impressionismo, si era sviluppata una


corrente più attenta al significato simbolico e alla capacità evocativa dell'immagine. Gli artisti che sono
chiamati in Francia simbolisti si ricollegano agli aspetti più visionari della pittura romantica, riproponendoli
attraverso soluzioni stilistiche personali. Artisti già affermati come i classicisti Pierre Puvis de Chavannes e
Gustave Moreau, o personaggi isolati come Odilon Redon, vengono riconosciuti alla metà degli anni
ottanta quali determinanti precursori del Simbolismo. Il loro lavoro ha in comune un’attenzione per le
componenti narrative, evocative, introspettive e idealizzanti dell'opera d'arte; la definizione di pittura
d'idea (o ideismo) ne sottolinea adeguatamente la lontananza e il divario dalle correnti realiste e
impressioniste. Le tendenze artistiche di orientamento simbolista che fioriscono in tutta Europa si
esprimono di volta in volta in figure isolate, come il norvegese Edvard Munch e lo svizzero Ferdinand
Hodler, o in raggruppamenti. Dal gennaio 1884 in Belgio, l’indipendente Gruppo dei XX promuove,
attraverso mostre aperte a partecipazioni internazionali, il rinnovamento di molti pittori che avevano
cominciato sotto il segno del Naturalismo.. Tra iI 1894 e il 1914, il Salon de la Libre esthétique, dove pure
espongono artisti di tutta Europa, testimonierà il passaggio, in quell'arco cronologico, dal clima simbolista
ai modi di una produzione artistica più definibile d'avanguardia.

• Le secessioni. Nell’ultimo decennio del secolo l'affermazione dell’ideismo simbolista in alternativa al


Naturalismo coincide, nei paesi di lingua tedesca, con il fenomeno delle secessioni, cioè del distacco di
gruppi di giovani artisti dalle associazioni artistiche esistenti e consolidate. Non esiste un preciso stile
secessionista, anche perché i tre grandi centri di secessioni - Monaco, Vienna e Berlino - si caratterizzano
per tradizioni artistiche diverse.

- Secessione di Monaco (1892). Nella Germania meridionale si sviluppa un importante filone nel quale
una maniera d'ispirazione classicista sostiene tematiche caratterizzate da riprese e riletture del mito
antico. Ne sono principali ispiratori Anselm Feuerbach e lo svizzero Arnold Böcklin. Quest'ultimo
influenza fortemente le due più notevoli figure del Simbolismo tedesco, Max Klinger e Franz von Stuck,
che nel 1892 è il capofila della Secessione di Monaco.

- Secessione di Berlino (1898). Questa propone una pittura che incrocia un certo gusto simbolista con
il rinnovamento della tradizione realista e naturalista della capitale prussiana alla luce di influenze
francesi e nordiche. Alle sue origini c'è il Gruppo dei XII, costituitosi sotto l'effetto di una mostra
berlinese di Edvard Munch, che fa scandalo. Max Liebermann e Lovis Corinth possono considerarsi le
figure di maggior rilievo di questa corrente.

- Secessione viennese (1897). È nata sotto la guida di Gustav Klimt, che promuove, anche attraverso
la rivista "Ver sacrum", l'integrazione di pittura, arti decorative e architettura.

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Le nuove tendenze sono sostenute dal mercato privato. L’attività pionieristica del gallerista parigino Paul
Durand-Ruel aveva accompagnato la storia dell'Impressionismo. Josse e Gaston Bernheim-Jeune sono i
primi a trattare le opere di Cézanne, dei neoimpressionisti e più tardi dei fauve e dei futuristi italiani. Ma
svolgono un ruolo notevole per l'iniziale fortuna di opere di artisti indipendenti anche Julien Tanguy e Theo
van Gogh. Per il sostegno e la diffusione di tendenze innovative si possono ricordare, in l’Italia, la galleria
fiorentina di Luigi Pisani, vicina ai macchiaioli, e l'attività di promozione del Divisionismo da parte della
galleria milanese di Alberto e Vittore Grubicy.

ART NOUVEAU, JUGENDSTIL, LIBERTY


Intorno al 1890 si fa strada un rinnovamento del gusto, legato all'ambito architettonico, di opposizione ai
revival stilistici tipici di tutto il secolo: per definirlo in termini generali non sembra improprio ricorrere al
termine Modernismo, per sottolinearne la distanza dall’Eclettismo. Alla sua base si riconosce il progetto di
un'alta qualità estetica da estendere a tutti gli oggetti d'uso, già elaborato dal movimento delle Arts and
Crafts e ora collegato all'idea di una loro produzione in serie.

• Dal Belgio prende avvio un linguaggio che non utilizza forme che derivano la propria "autorità" dal fatto di
essere state ampiamente utilizzate in passato. Viene chiamato Art noveau dal nome di un negozio aperto
a Parigi nel 1895, che propone moderni oggetti d'arredo. Un carattere tipico è costituito dalla ripresa di
elementi naturali -vegetali- non più imitati ma reinterpretati come motivi ornamentali.

• In Germania questa tendenza si chiama Jugendstil (stile giovane, della giovinezza) dalla rivista "Jugend",
fondata a Monaco nel 1896.

• In Spagna, più precisamente in Catalogna, I'Art nouveau viene chiamata Modernismo, e rinnega ogni
tradizione accademica nelle fantasiose costruzioni dell'architetto Antoni Gaudi, anche inventore di una
suggestiva trasfigurazione costruttiva e di immagine della cattedrale gotica.

• In Italia la nuova tendenza è chiamata Liberty (dal nome del proprietario dei grandi magazzini aperti a
Londra nel 1895) o stile floreale, applicato a un'architettura diffusa che gradatamente investe anche
l’edilizia popolare.

Si riconosce oggi che l'Art nouveau ha svolto un'importante funzione di snodo tra l'Eclettismo ottocentesco
e il Movimento moderno, tendenza prevalente dalla fine della grande guerra in avanti e caratterizzata da
razionalità costruttiva e semplicità formale. II nuovo stile è estremamente duttile. Essa ben presto investe
una quantità di ambiti e settori: dall'abbigliamento all'arredamento, dalla grafica alla pubblicità. Vengono in
tal modo poste le premesse fondamentali per l'emergere dell'industrial design, ovvero della progettazione
qualitativamente alta di oggetti di impiego quotidiano e di utensili da lavoro, pensati per essere prodotti
industrialmente e destinati a un uso o consumo di massa.

SPUNTI DI NOVITÀ IN ITALIA


In Italia, dopo le esperienze dei macchiaioli toscani e degli scapigliati lombardi, i tentativi di aggiornare la
scena artistica nazionale sono condotti dagli scultori Vincenzo Vela e Achille D'Orsi, con il loro aggressivo
verismo umanitario. Alla Triennale milanese del 1891, che sostituisce le mostre annuali dell'Accademia di
Brera, suscita scalpore l'esposizione delle prime opere dipinte da Gaetano Previati, Giovanni Segantini e
Angelo Morbelli. Lo stimolo a operare in questa direzione viene da Vittore Grubicy, critico, mercante e artista
impegnato sul fronte di un rinnovamento della pittura che parta da un ripensamento dei suoi mezzi tecnici.

La necessità di una più decisa apertura nei confronti del contesto artistico europeo è ribadita dal progetto di
una nuova grande mostra a cadenza biennale: l'Esposizione internazionale d'arte di Venezia. Il desiderio
di rilanciare propagandisticamente una linea di tradizione italiana trova un centro ideale nella città lagunare.
L ambientazione mondana e il gusto scenografico e d'arredo degli spazi espositivi si dimostrano in linea
con il gusto internazionale e la manifestazione è premiata ai suoi esordi da un grande afflusso di pubblico.

IL NOVECENTO DELLE AVANGUARDIE


Il termine Avanguardia, dal linguaggio militare, indica movimenti e gruppi artistici che nei primi decenni del
Novecento, operando in una posizione più avanzata e spericolata rispetto alla maniera e al gusto dominanti,
hanno contribuito a un programmatico e radicale rinnovamento del linguaggio e delle intenzioni dell’arte. Tra
i caratteri comuni delle Avanguardie storiche del primo Novecento possiamo identificare il ricorrente
costituirsi in schieramenti più o meno rigidamente definiti (Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Dada,
Surrealismo), la pubblicazione di dichiarazioni teoriche o di veri e propri manifesti di poetica collettivi, il
tentativo di ampliare il campo d'azione della pratica artistica.

• Espressionismo. La tendenza a liberare il colore puro e il disegno dalle convenzioni compositive inizia ad
affermarsi come tratto distintivo di una nuova corrente pittorica trasversale, che mette al centro dell'opera
l'espressione. Dal 1901 essa trova nel Salon d'Automne un fondamentale veicolo di diffusione; intorno al

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1910, manifestandosi nella maggior parte dei paesi europei, comincia a chiamarsi Espressionismo. Si
tratta di una tendenza difficile da circoscrivere, ricca di differenti apporti culturali e di stile. In molti casi
nello stesso ambito delle secessioni non è possibile distinguere una vera e propria cesura nel passaggio
tra un momento propriamente simbolista e un momento ormai dichiaratamente espressionista.

- La prima fase, nel caso viennese, è rappresentata dall'opera di Gustav Klimt, che domina la scena
dagli anni novanta al 1918 con una pittura costruita sull'eleganza della linea, di gran gusto decorativo
e ornamentale, largamente basata sull'uso di materiali cromatici "astratti" o e attraversata da significati
simbolici complessi. Il senso decorativo di Klimt lascia il passo in Egon Schiele a un linguaggio
pittorico più convulso e corposo, e meno preoccupato della bellezza formale, che si può definire
propriamente espressionista.

- A Monaco nei primissimi anni del Novecento, il russo Vasilij Kandinskij, arrivato da Mosca nel 1896 e
formatosi nella capitale bavarese sul modello del simbolista Von Stuck, è tra i fondatori di quella Nuova
associazione degli artisti che è l'anticamera del Cavaliere azzurro (Der Blaue Reiter), gruppo in cui
maturano le prime prove artistiche definibili come astrattiste.

- In Francia Henri Matisse, André Derain, Kees van Dongen, Maurice de Vlaminck e Georges Rouault
avevano seguito in parte itinerari diversi quando il critico Louis Vauxcelles li accomuna sotto l'etichetta
di fauve, ossia "belve", sottolineando l'apparente rozzezza delle loro opere, che si manifesta nella
brutalità dei contasti cromatici e della stesura pittorica e nella semplificazione delle forme. Del
movimento fauve, il breve arco di tempo tra i 1905 e il 1906 segna non tanto la nascita, quanto il
momento di consacrazione e conclusione, caratterizzato da un picco di pubblicità e fortuna.

- Il gruppo della Brücke, fondato a Dresda nel 1905, si presenta come uno schieramento più strutturato
e omogeneo. È inizialmente una consorteria chiusa composta da quattro studenti di architettura,
guidati da Ernst Ludwig Kirchner, che si allarga poi a comprendere altri artisti. Attraverso una drastica
semplificazione formale e cromatica essi aspirano a recuperare la forte espressività dell'arte arcaica e
primitiva, ricercando l'efficacia comunicativa ed emotiva di una pittura selvaggia e immediata. Si
distinguono per le rielaborazioni di elementi formali derivati dalla scultura "negra"- conosciuta al
museo etnografico di Dresda - in un'originale sintesi con le suggestioni della realistica e sintetica
espressività di figurazioni popolaresche e dell'arte gotica. I contrasti al suo interno ne determinano lo
scioglimento nel 1911.

• Cubismo. Tra il 1907 e la fine del decennio, lo spagnolo Pablo Picasso e il francese Georges Braque,
operanti in stretto contatto in Francia, portano alle estreme conseguenze la ricerca avviata da Cézanne su
una rappresentazione delle cose che coniuga osservazione e astrazione mentale, giungendo a una
completa scomposizione geometrizzata delle forme e al sovvertimento dello spazio prospettico di
tradizione rinascimentale. Si sostituisce una visione policentrica, sulla base della quale l'immagine dipinta
risulta costruita per accostamento di frammenti significativi delle cose e delle figure osservate. Nei quadri
cubisti non si vede ciò che può vedere l'occhio da un unico punto d'osservazione, ma quanto la mente
rielabora sulla base dell’esperienza visiva e della memoria. Il termine Cubismo ha originariamente un
senso spregiativo: lo usa infatti per primo il critico Vauxcelles nel novembre del 1908, in occasione di una
mostra di Braque, per criticare il disprezzo evidente del pittore verso la tradizionale costruzione della
forma e il suo tentativo di ridurre i quadri a schemi geometrici, a cubi. Le fasi del cubismo sono:

1) Cubismo analitico dove la vivacità del colore espressionista è sacrificata a una puntigliosa e
minuta scomposizione delle forme, che si presentano come strutture semplificate, quasi astratte.

2) Cubismo sintetico in cui cominciano ad aggiungersi, dal 1912, materiali atipici come carte colorate
e frammenti di giornale, che irrompono come brandelli di realtà nell'artificio dell'opera d'arte: è la
nascita del collage. Dall'inizio degli anni dieci il nuovo linguaggio comincia a essere adottato da altri
artisti e si assiste all'affermarsi del Cubismo come tendenza, nonché alla sua diffusione europea
come lingua comune primaria delle Avanguardie internazionali.

• Futurismo. In Italia si può parlare di un’Avanguardia artistica soltanto dal 1910, con il Futurismo. Già nel
febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti ne traccia i fondamentali lineamenti di poetica in Fondazione e
Manifesto del Futurismo, pubblicato a Parigi e a Milano. Nel febbraio 1910, vede la luce il Manifesto dei
pittori futuristi (firmato da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini) che sancisce l'estensione del
Futurismo al campo delle arti figurative. La pittura futurista cerca di ricondurre i due grandi filoni usciti
dall'esperienza di Manet: quello del colore (sensazione) e quello della forma (intelletto), restituendo il
senso della vita moderna, basata sulla dinamicità delle esperienze e sulla molteplicità e ricchezza degli
stimoli in una civiltà urbano-industriale. I quadri futuristi toccano temi emblematici della modernità: i tram
elettrici, le stazioni ferroviarie, la metropoli che si sviluppa, l’idea di velocità. La scomposizione delle figure
crea una sorta di loro montaggio, rendendone la dinamicità e il movimento.

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• Astrattismo. A Monaco tra il 1911 e il 1912, Kandinskij progetta con l'amico pittore Franz Marc la
pubblicazione dell'almanacco Il Cavaliere azzurro, che raccolga illustrazioni di una nuova estetica e scritti
teorici. Vi si trovano riprodotte una molteplicità di opere tra cui anche quelle di Rousseau di matrice naif.
Tutti questi modelli sono accomunati, secondo Kandinskij, dal disinteresse per l'imitazione della natura e
dall'espressione di quanto si può definire “necessità interiore”. Il Cavaliere azzurro si caratterizza come
un'esperienza che va intesa come superamento del naturalismo di tradizione impressionista. Questo
superamento può essere realizzato secondo le diverse direttrici tracciate dai fauve e dalla Brücke, dal
Cubismo, dal Futurismo e da quelle declinazioni di arte astratta. È a Kandinskij che tradizionalmente si
attribuiscono i primi dipinti propriamente astratti: composizioni del 1911 nelle quali l'opera risulta da una
combinazione di segni e colori, analogicamente corrispondenti a note, accordi e timbri musicali, che
mirano a risvegliare “risonanze interiori” nello spettatore.

• Orfismo. Tra i principali esiti del Cubismo si segnala la variante dell'Orfismo (denominata nel 1913 dal
critico e poeta Guillaume Apollinaire, che si richiama al mitico Orfeo), nella quale si afferma un uso del
colore più libero, meno vincolato dalla struttura della composizione, e la riduzione del volume a puri
contrasti ed effetti di luce: essa trova espressione nella pittura di Delaunay, Legér e Picabia, dai punti di
contatto tanto con il Futurismo italiano, quanto con i pittori del Cavaliere azzurro.

• Section d’Or. La grande rassegna parigina della Section d’Or, organizzata dal pittore Jacques Villon,
evidenzia l’idea di ritrovare alla radice della scomposizione cubista il principio della sezione aurea, cioè
una sorta di razionalità, geometrica e armonica generatrice di bellezza.

• Astrazione assoluta di Mondrian. Il pittore olandese Mondrian sviluppa dal Cubismo, un'astrazione
assoluta, caratterizzata da una riduzione delle forme nelle quali l'elementarità della geometria si fa
specchio di un lucido e rigoroso misticismo. Nei risultati maturi della sua ricerca, raggiunti intorno al 1920,
lo spazio assolutamente non illusionistico della tela finisce per essere scandito da linee ortogonali e
superfici uniformi di colori primari secondo un'infinità di variazioni possibili.

Durante gli anni dieci una serie di eventi espositivi in Europa e negli Stati Uniti dà conto degli sviluppi
artistici in corso e insieme stimola la produzione, il collezionismo e il mercato, soprattutto americano.

Analisi delle opere


PIERRE PUVIS DE CHEVANNES (1824-1898)
Nel 1870-71 l'ideale classico perseguito da Pierre Puvis de Chavannes in grandi composizioni di scala
architettonica viene ad assumere un nuovo e più profondo significato. Si tratta di un classicismo fuori dal
tempo e dalla storia, in cui rivive il mito virgiliano dell'età dell'oro, che testimonia un profondo desiderio di
pacificazione sociale e di rinascita. All’ideale progressista e tecnocratico Puvis contrappone il ritorno a una
dimensione primordiale, fondata sulla glorificazione della natura e sulla riproposizione.

Al passaggio tra gli anni settanta e ottanta, l'artista spinge più a fondo, nelle opere di soggetto libero come
le Fanciulle in riva al mare, la sua sperimentazione formale. La sospensione di volta in volta malinconica o
serenamente rassegnata delle figure prende le distanze dai manierati effetti realistici caratteristici della
scuola accademica e della cosiddetta art pompier, che pretendeva di restituire un'idea di espressività
teatrale o di vitalità pittoresca alla storia e alla mitologia de1 mondo classico.

Grandi porzioni del paesaggio sono appena suggerite attraverso larghe stesure di colori piatti, in cui è
evidente il gusto per l'opacità dell'affresco. I maestosi nudi femminili, pur anatomicamente corretti, sono
ridotti all'essenziale attraverso un disegno di contorno, alla Ingres, spesso condotto con una linea scura
continua lasciata in vista che racchiude le campiture chiarissime dei panneggi o delle carni. Ciascuno dei
personaggi resta come isolato, suggerendo una schematica scansione di architettura dell’insieme, i cui
elementi portanti sono disgiunti.

GUSTAVE MOREAU (1826-1898)


Gustave Moreau si forma in ambiente romantico e studia l'arte rinascimentale durante un soggiorno in Italia
nel 1857. Per il suo gusto marcatamente intellettualistico, la sua pittura di grande formato e di soggetto
storico o mitologico viene accolta ai Salon. Ma, negli ultimi venticinque anni del secolo, Moreau rinnova
profondamente il proprio stile, sviluppando all'estremo i risvolti fantastici e inquietanti rintracciabili anche in
soggetti classici o biblici. Come Puvis. Moreau è un precorritore: in lui i temi colti e letterari, caratteristici
della pittura accademica coeva, sembrano caricarsi di una sensibilità nuova, fondata su una visione
interiore, invece che sulla percezione ottica. opposta rispetto a quella contemporaneamente sviluppata
dagli impressionisti. Questi spunti esotici, mistici, arcaici, decadenti, non mancheranno di influire sulle
formulazioni delle Avanguardie del primo Novecento.

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L'apparizione costituisce una libera elaborazione della storia biblica del re Erode e di Giovanni Battista. Il
vero protagonista del racconto diventa il personaggio femminile della principessa Salomé che seduce il re
con la sua danza, costringendolo poi a giustiziare Giovanni. Moreau torna più volte sul tema della
rappresentazione di Salomé, identificando tutta una linea della sua ricerca con questa ambigua figura
femminile. La versione che analizziamo è particolarmente efficace perché qui iI pittore sembra rinunciare,
sin dal titolo, a una precisa restituzione narrativa. Il gesto coreografico di Salomé è come pietrificato e il
suo braccio sinistro non indica imperiosamente, come in altre versioni, il monarca o il carnefice sullo
sfondo, bensì si indirizza senza mediazioni alla macabra apparizione del capo mozzato di Giovanni,
oggetto del suo odio ma anche di attrazione.La testa levita magicamente al centro dello spazio,
elevandosi sopra la principessa e irradiando di una luce mistica e irreale tutta la scena. Moreau sembra
voler dare forma a un nuovo archetipo femminile: la sua Salomé esercita il proprio fascino come
strumento di potenza occulta. I gioielli e la corona della principessa, il fiore di loto che regge nella destra,
la monumentalità e l’apparato ornamentale dell'ambiente rinviano ad un’evocazione di civiltà lontane.

AUGUSTE RODIN (1840-1917)


La produzione scultorea di Auguste Rodin si sviluppa parallelamente al dibattito che accompagna il
Postimpressionismo e il Simbolismo in pittura. Formatosi direttamente al mestiere, l’artista si afferma grazie
alle sue grandi capacità realizzative, proponendo una scultura monumentale carica di riferimenti all'arte del
passato e alla cultura letteraria.

La Porta dell'Inferno, commissionata nel 1880 dallo Stato, era destinata al progettato Musée des Arts
Décoratifs di Parigi, che avrebbe dovuto sorgere nel luogo dove fu invece eretta la stazione (oggi museo)
d'Orsay. Rodin però non abbandona il sogno di vedere collocato il suo capolavoro, pur essendo nel
impegnato in altre opere di grande scala: ancora nel 1908 si ipotizza di riprendere l'opera come una sorta di
iconostasi per il seminario di Saint-Sulpice.

Una tappa fondamentale nello sviluppo del linguaggio di Rodin è segnata dal viaggio del 1876 in Italia, dove
l'artista ha modo di approfondire la diretta conoscenza della scultura e della pittura di Michelangelo
riformando il proprio stile a partire dalla potenza tormentata e contorta dei nudi delle tombe medicee di San
Lorenzo a Firenze e della Sistina. L'ambiziosa idea centrale della Porta dell'Inferno è quella di esprimere la
forza e l’intensità del dettato della prima cantica della Commedia dantesca attraverso le forme di
Michelangelo, congiungendo in tal modo i due massimi fari della cultura artistica e letteraria europea. Se i
primi dei numerosi studi di Rodin sono strutturati in una serie regolare di formelle separate, ben presto lo
scultore immagina per i due battenti uno spazio unitario, all’interno del quale i corpi ignudi delle anime
dannate vorticano liberamente. Ma Rodin rinuncia volontariamente a ogni particolare storico o descrittivo. Più in alto, in un timpano
quadrangolare, si affollano altre figure, al cento delle quali spicca il Pensatore. inizialmente immaginato come ritratto di Dante e poi
trasformatosi nel simbolo più universale dell'artista o del genio che riflette titanicamente sul destino dell'uomo.

Il fascino della Porta dell'Inferno risiede nella volontà dello scultore di continuare per molti anni a considerarla un'opera in fieri,
trasformando la sua mancata realizzazione in un inesauribile laboratorio di spunti e di soluzioni formali: così numerosissime figure
derivate dalla Porta negli ultimi vent'anni della vita di Rodin vengono variamente elaborate, replicate, ingrandite ed esposte come
opere a sé. L’uso della replica, del calco e della rielaborazione nasce di necessità dal metodi di lavorazione di una complessa scultura
monumentale: il rilievo doveva essere diviso in sezioni e i gruppi di figure scolpite erano smembranti e appoggianti su un piano,
invece che sospesi sullo sfondo verticale per il quale erano concepiti. Ogni personaggio subiva come una decontestualizzazione e
uno spaesamento prospettico e si prestava a ricongiunto agli altri in nuove e configurazioni.

GEORGES SEURAT (1859-1891)


Georges Seurat nasce a Parigi. Nel 1978-79 studia all'Ecole des Beaux-Arts. I suoi interessi si orientano
verso gli esempi di Delacroix, di Corot e di Millet. La conoscenza dell'opera di Puvis de Chavannes e di
Renoir e la visita alla quarta mostra degli impressionisti, nel 1879, costituiscono per lui un primo confronto.
Interessato alle possibilità di una resa più fedele degli effetti di luce e colore, ne ricerca i fondamenti nei
trattati scientifici. Nel 1883 espone un disegno al Salon des artistes français, mentre nel 1884 la prima delle
sue tele di grandi dimensioni, Une baignade, respinta dalla giuria del Salon, figura alla mostra degli
lndipéndants di maggio. Egli continua a esporre regolarmente con gli lndépendants e approfondisce la sua
ricerca realizzando numenosi studi dal vero e un nucleo ridotto di tele maggiori. Sviluppa in opere più tarde
una predilezione per i contorni arabescati, con un tratto lineare e decorativo, non lontano, per molti versi, da
alcuni esiti di Gauguin e dei nabis.

Il giovane Seurat concepisce Une baignade come un'opera di debutto esemplare e di grande
impegno: si tratta di una composizione di considerevoli dimensioni, profondamente innovativa
per la ricerca sulla luce e per la definizione delle forme, ma al tempo stesso radicata nella
tradizione. È proprio il rifiuto di questa tela da parte del Salon ufficiale a segnare decisamente il
distacco dell'artista dall’ambiente accademico, facendone il caposcuola e il principale teorico di
uno schieramento neoimpressionista con precisi caratteri di rottura rispetto sia alI'accademismo,
sia all'Impressionismo degli anni settanta. La costruzione geometrica della composizione e
l'atmosfera sospesa ed evocativa rinviano alla tradizione del classicismo e del Rinascimento
italiano, fltrata da Ingres e Puvis de Chevannes. L’ambientazione contemporanea e quotidiana, i
colori luminosi e la resa pittorica a tratti frammentati fanno riferimento all'Impressionismo. Seurat è ancora lontano dalla metodica
scomposizione cromatica puntinista; soprattutto l'anatomia dei personaggi è resa con ampie stesure di colore contrapposte.

La scena è fortemente caratterizzata: il ponte ferroviario e le officine di Clichy sullo sfondo indicano un ambiente di classe popolare (il
termine “baignade” tradizionalmente segnalava il luoghi in cui venivano condotti al fiume i cani e i cavalli).

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Il Circo è la più significativa delle opere estreme della carriera artistica di Seurat e costituisce un
contraltare alla fase preparatoria rappresentata dai bagnanti di Asnières. L’autore vi manifesta lo sviluppo
e il superamento della sua precedente indagine sulla resa quasi “assoluta" degli effetti della luce naturale
e sulla costruzione delle forme attraverso elementi geometrici.

Nonostante I'interesse di Seurat per la teoria scientifica della percezione dei colori, tutto in quest'opera
rinnega Ia riproduzione immediata del reale. Seurat sembra voler esprimere l'artificiosità della vita
moderna attraverso una serie di elementi che saranno ripresi dalle Avanguardie espressioniste, cubiste e
futuriste. La composizione si basa sul dinamismo delle linee spezzate con predilezione per l'arabesco, in
stretta consonanza con le coeve soluzioni decorative della grafica e della decorazione Art nouveau. La
prospettiva è appiattita e rovesciata verso chi guarda: il cavallo sembra balzare fuori dalla tela, senza
alcuna coerenza spaziale rispetto al pagliaccio in primo piano. L’artificio della rappresentazione pittorica
è ribadito da questa figura centrale che svela con la mano destra lo spettacolo circense. Anche la luce è
artificiale: sotto i riflettori i colori della silhouette del clown in primo piano e della cavallerizza sono caldi e squillanti, mente le figure
statiche degli spettatori hanno colori freddi e sordi che evidenziano un inquietante distacco tra i saltimbanchi (figure simboliche del
ruolo sociale dell'artista) e il pubblico.

Lo scalpore suscitato dall'esposizione di Una domenica alla Grande Jatte all'ultima mostra
impressionista e al Salon des Indépendants nel 1886 contribuisce a farne il manifesto
dell’orientamento neoimpressionista in pittura. Seurat stesso sottolinea il particolare metodo di
lavoro con il quale, in quasi due anni, ha portato a termine l’opera. Seurat torna a più riprese
sull'opera con rielaborazioni della stesura pittorica, resa via via più metodica e rigorosamente
"scientifica". Di questo sforzo preparatorio ci restano ventisette tavole, tre tele e ventisette
disegni.

Seurat mette a punto il fondale naturale, studiando dal vero l’ambiente. I personaggi sono poi
calati a popolare questo palcoscenico: i gesti casuali di una domenica pomeriggio della
borghesia parigina sono raggelati nelle pose bloccate di manichini anatomici o di statue primitiviste. La predilezione per le figure
orientate ortogonalmente, le sagome rigidamente scontornate dal netto controluce del primo piano, tutto contribuire a creare
l'impressione di una serie di piani bidimensionali sovrapposti, senza un reale legame di massa o di profondità, unificati dal vibrare
della luce e dalla meticolosa stesura cromatica a punti separati, fondata sul principio del “contrasto simultaneo” dei colori
fondamentali. Seurat si è ispirato alla trattatistica ottica di Chevreul e di Rood, ma la sua stesura pittorica resta legata alla ricerca
empirica sulla divisione del colore già prospettata da Delacroix nelle pitture murali in Saint-Sulpice. Seurat lascia intravedere, sotto i
piccoli punti equidistanti di colore, stesure più ampie e rapide in differenti tonalità di verde, di bruno rossiccio, di azzurro.

PAUL SIGNAC (1863-1935)


Dopo la morte dell'amico Seurat, Paul Signac diventa il principale rappresentante e il portavoce del
pointillisme. La sua attività media alcuni aspetti della teoria scientifica della scomposizione del colore per
farli approdare fino alla pratica degli espressionisti francesi del gruppo dei fauve.

Nel Ritratto di Félix Fénéon, Signac dà illustrazione alle proprie differenti predilezioni, spaziando da
aspetti decorativi all'inclinazione per la grafica giapponese e anticipando una tendenza all'astrazione.
Legato da una duratura amicizia con l'artista, il critico Félix Fénéon era stato tra i primi a riconoscere e
appoggiare i neoimpressionisti, contribuendo a diffondere la loro attività e le teorie sistematiche
sull'applicazione in pittura dei contasti cromatici dei complementari, sviluppate dal teorico Charles
Henry e illustrate graficamente da Signac.

PAUL GAUGUIN (1848-1903)


Nato a Parigi nel 1848, Gauguin tra scorre i primi anni in Perù, presso i familiari della madre. Entrato nella
marina mercantile, si imbarca per viaggi in Europa e nell'America. Nel 1872, stabilitosi a Parigi avvia una
carriera agente di cambio e, da amatore, inizia a dedicarsi alla pittura e alla scultura. Nella seconda metà
del decennio entra in contatto con il circolo impressioni e investirà più di 15 000 franchi in un'importante
collezione, raccogliendo opere di Manet, Renoir, Monet, Pissarro e Sisley. La sua vocazione artistica
conosce una prima maturazione sotto la guida dall'amico Pissarro, orientandosi verso le soluzioni plastiche
di Cézanne e il rigore disegnativo di Degas. In Gauguin prende una consapevolezza dei propri mezzi: cerca
di mettere a punto uno stile più autonomo e personale. Nel 1888 è ad Arles con Vincent van Gogh, ma,
nonostante l’astio, Gauguin resta in contatto con Vincent e con suo fratello Theo, che continua a sforzarsi
per trovare un maggior spazio di mercato. Il fascino dell’esotismo, dell’inquietudine e il rifiuto per l'ambiente
parigino spingono Gauguin a soggiorni più lunghi a Tahiti e nelle Isole Marchesi. Vivrà in queste trasferte
una stagione di eccezionale impegno e fecondità.

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L’artista in Bretagna trova un primo esempio della possibilità di riscoprire, attraverso forme dure e
semplificate, nuovi valori autentici e primordiali. La visione dopo il sermone (o La lotta di Giacobbe
con I'angelo) dimostra una piena padronanza dei suoi strumenti stilistici e conferma il suo orientamento
simbolista. Il disegno si appiattisce e il colore, racchiuso entro netti contorni lineari, evoca un'atmosfera
e uno stato d'animo. Il nuovo modo di dipingere verrà chiamato sintetismo anche per la sua capacità di
fondere in un’unità espressiva elementi contenutistici e formali della più diversa provenienza,
combinando spunti della tradizione locale bretone ad derivati dalle incisioni giapponesi.

Pensando di farne un “quadro da chiesa”, Gauguin affronta esplicitamente per la prima volta un tema di
derivazione religiosa: un ambito che resterà centrale anche nella sua produzione successiva: si vedano per esempio Il Cristo giallo.

Il soggetto biblico illustrato nella parte superiore della scena è ispirato all'episodio della Genesi in cui Giacobbe incontra “un uomo",
che si rivelerà figura intermediaria del Signore, e lotta lungamente con lui senza uscirne sconfitto, in un confronto paritetico tra
l'essere umano e Dio e quindi tra religione naturale e Rivelazione. Gauguin non sembra interessarsi semplicemente alla narrazione o
al valore allegorico della storia sacra; al contrario, indirizza la sua indagine sul significato culturale e antropologico del sacro come
viene vissuto nell'ambiente bretone. Vere protagoniste del quadro sono infatti le figure in primo piano delle donne di Pont-Aven.
Gauguin sostiene di essere arrivato a “una grande semplicità rustica e superstiziosa [...] estremamente severa”, sottolineando la
natura visionaria del quadro.

Il costume bretone e il sincretismo culturale e stilistico tornano in uno sconcertante ritratto La belle Angéle
di una bellezza locale, Marie-Angélique Satre. La donna effigiata, ignara delle nuove sperimentazioni
pittoriche, ricorderà trent'anni più tardi lo sconcerto provato di fronte a questa bizzarra e complessa
composizione. Su uno sfondo decorativo è come applicato un ritratto a medaglione, scontornato da una
incorniciatura chiara e decentrato, con un evidente richiamo all'asimmetria della grafica giapponese, cui fa
da contraltare l'enigma dell’idolo precolombiano a sinistra. Irrigidita sotto la pittoresca cuffia, con le braccia e
il busto fuori proporzione rispetto alla grande, inespressiva testa, vagamente bovina, questa figura è un
omaggio alla tradizione dell'arte e dell’illustrazione popolare, come ribadisce in basso l’iscrizione del titolo a
lettere capitali, una soluzione che Gauguin riprende tardi anche in alcune opere tahitiane.

Forse la più ambiziosa delle prime opere d'oltreoceano di Paul Gauguin, Ia orana Maria (o Ave Maria).
Questo viaggio del 1891 nell'isola era formalmente una "missione" patrocinata dal Ministero per l'Istruzione
pubblica e le Belle Arti, al fine di studiare il paese, ma l’esotismo di Gauguin ha soprattutto un valore
simbolico e interiore. L'artista non riproduce nulla delle condizioni di vita cui si trova di fronte; preferisce
evocare un'isola meravigliosa, primitiva e immaginaria, creare un mito letterario di quel paese.

Per comprendere pienamente il valore dell'arte di Gauguin è necessario riuscire a superare gli elementi più
superficiali di gradevolezza, di illustrazione esotica e di sottile sensualità che ne hanno determinato la
diffusione e il successo popolare. L'attenzione dello spettatore è attratta immediatamente dall'ambiguità e
dalla grazia delle splendide fanciulle tahitiane, colte nell'atteggiamento quotidiano. L'intervento dell'artista
non si esaurisce nel riprodurre le forme e gli sguardi penetranti di queste figure femminili idealizzate:
Gauguin si confronta da intellettuale con la definitiva impossibilità di far rivivere la purezza originaria delle
sue modelle e del loro ambiente edenico attraverso il linguaggio "civilizzato" dell'arte. Le stesure pesanti e la deformazione del reale
rivelano a un esame più approfondito tutto il suo disagio: egli è incapace di riconoscersi nella tradizione della cultura occidentale.

Il paesaggio lussureggiante in cui è ambientata la scena di Ia orana Maria è reso libere contrapposizioni cromatiche verde smeraldo
del prato, il violetto del sentiero, il giallo violento della radura retrostante); l'angelo e, in parte, anche la figura di Maria, con il Bambino
issato sulla spalla, fanno riferimento all'iconografia cristiana medievale.

Questo atteggiamento è ben esemplificato da Donne di Tahiti, in cui l'intero spazio del quadro è
come occluso dalla contrapposizione di due figure massicce che ritraggono un'unica modella
ripresa in due atteggiamenti differenti. A sinistra, malinconicamente pensierosa, la fanciulla
indossa lo stesso pareo visibile anche in la orana Maria; a destra porta un abito occidentale
(introdotto sull'isola dai missionari) e, intrecciando delle fibre vegetali, solleva di poco lo sguardo.
Nella rappresentazione dell'ambiente naturale Gauguin non indugia nella descrizione o
nell'evocazione: il terriccio color ocra e il fondo verdastro (identificato con il mare) non
suggeriscono alcuna profondità spaziale e servono all'artista unicamente per mettere in risalto le
tonalità ambrate dei volti e quelle rosa e rosso vivo delle vesti.

La dimensione di una religione realistica e naturale è intesa da Gaugin


come connaturata all'uomo e quindi caratteristica imprescindibile di
nuovo Eden coloniale. Una simile immagine della forza religiosa
primaria ormai completamente paganizzata, nella grande tela intitolata
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?.

DA PONT-AVEN AI NABIS: ÉMILE BERNARD (1868-1941), PAUL SÉRUSIER (1864-1927)


Dal 1860 il villaggio bretone di Pont-Aven era meta di artisti indipendenti alla ricerca di un diretto confronto
con la natura. Pont-Aven diviene culla di una tendenza pittorica che, pur non articolandosi in una vera
scuola, si caratterizza per precise scelte stilistiche. Rifiutando la verosimiglianza, i pittori di Pont-Aven
attribuiscono al colore un valore emozionale e simbolico. Questa breve stagione bretone si conclude con la
presentazione del sintetismo nella mostra parigina al Caffè Volpini, nel 1889.

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Émile Bernard rivendica la propria indipendenza da Gauguin e la priorità nell'elaborazione della
pittura sintetista. Queste Donne bretoni sul prato anticipano alcune delle soluzioni adottate,
da Gauguin. Piuttosto che nelle immagini di paesaggio, l'idea della Bretagna come luogo
selvaggio e primitivo è resa descrivendo il suo carattere nordico e rurale attraverso i
tradizionali costumi da festa delle sue donne. Nonostante l'energia e l'originalità compositiva,
manca lo scatto della trasfigurazione sacra e mitica operata da Gauguin: la fanciulla in bianco
a sinistra e le due signore borghesi con il parasole contraddicono con la loro presenza gli
stessi presupposti del quadro. La tecnica pittorica esemplifica invece al meglio il sorgere del
sintetismo. Le figure femminili sembrano co me ritagliate su una superficie bidimensionale e
giustapposte senza alcuna resa prospettica sul tappeto verde del prato. Il colore a olio è steso
in campiture piatte e brillanti, chiuse da scuri contorni netti e continui: per questo tipo di
stesura pittorica viene adottato il termine cloisonnisme, in riferimento alle placche lucenti e ai contorni piombati degli smalti e delle
vetrate medievali.

Paul Sérusier riporta a Parigi dalla Bretagna questo Paesaggio al Bois d’Amour (o Il Talismano). La
piccola tavola fa scoprire il sintetismo di Gauguin e Bernard a Félix Vallotton. Dalla rielaborazione di quegli
stilemi in direzione di un simbolismo più pacato e illustrativo, prenderà il via nel 1891 il gruppo dei nabis,
una sorta di confraternita artistica che deriva il nome da un termine ebraico che significa "profeti".
Paesaggio al Bois d'Amour nasce in poche ore, dipinto dal vero, quasi sotto la dettatura di Gauguin: i colori
autunnali della foresta sono ricondotti all'assolutezza delle stesure in giallo e vermiglione, mentre le ombre
colorate si trasformano in chiazze ritmate di blu oltremare, di verde e di violetto. La rappresentazione
naturalistica è soppiantata da un'armonizzazione astratta di forme e colori, decorativa e accattivante, ma
ben di stante dal peso e dalla potenza espressiva del simbolismo di Gauguin.

VINCENT VAN GOGH (1853-1890)


Lavora come impiegato della casa d'arte Goupil all'Aia, a Londra e per alcuni mesi a Parigi dove vive in una
sorta di autoisolamento. Tornato in Olanda intraprende studi teologici, abbandonati per recarsi come
pastore evangelico in Belgio. La passione per il disegno lo induce a dedicarsi esclusivamente alla pittura. Lo
studio degli esasperati contrasti della tradizione rembrandtiana lo porta a sviluppare un realismo che
deforma in senso espressivo. Tra la fine del 1885 e l'inizio del 1886 è ad Anversa, dove subisce il fascino
della pittura di Rubens e frequenta per un breve periodo l'Accademia. Torna quindi a Parigi, dove il fratello
Theo risiedeva come mercante d’arte. Il biennio parigino è denso di incontri e scoperte fondamentali:
approfondisce la conoscenza dell'opera di Delacroix e Puvis de Chavannes, si lega a Emile Bernard;
schiarisce la sua tavolozza alla luce degli impressionisti; raccoglie un nucleo di stampe giapponesi. A un
primo interesse per la scomposizione del colore di Seurat, Pissarro e Signac subentra l'insofferenza,
mediata da Bernard e Gauguin, conosciuto in quell'anno, per la rigorosa disciplina scientifica e per la fredda
meccanicità di stesura del pointillisme. Van Gogh si trasferisce in Provenza, ad Arles, alla ricerca di una vita
meno frenetica e di una nuova luce mediterranea. La difficoltà a farsi accettare nel nuovo ambiente
provinciale e la necessità di poter confrontane il suo lavoro, lo portano a caricare l’arrivo di Gauguin, ospite
presso di lui per alcune settimane grazie all'intermediazione di Theo. L’incompatibilità tra i due è sostanziale
e Gauguin manifesta ben presto il desiderio di tornare a Parigi. Nel maggio del 1889, non riuscendo più a
vivere da solo, si fa internare volontariamente nell'ospedale psichiatrico presso Saint-Rémy-de-Provence.
Desideroso di tornare al Nord, nella speranza che il suo male fosse dovuto all’eccitazione della luce del
Sud, è a Parigi e poi a Auvers-sur-Oise. Dipinge in poco più di due mesi circa ottanta tele, ma le sue crisi
riprendono. Il 27 luglio si spara un colpo di rivoltella al petto; morirà due giorni dopo. Nel marzo del 1891 il
Salon des lndépendants presenta per la prima volta una sua piccola retrospettiva.

Il lavoro di avvicinamento alla pittura da parte Vincent van Gogh nasce dalla necessità di
testimoniare una difficoltà e tragicità interiore. L’artista si rivolge a una pittura realistica-sociale
capace di delineare gli esiti dello sfruttamento economico e dell’emarginazione delle classi meno
abbienti. I Mangiatori di patate, cupa e drammatica immagine del pasto di una misera famiglia
contadina, alla luce di una lucerna a olio, deve, “dimostrarsi un vero quadro contadino”. Van Gogh
si ispira chiaramente alle scene notturne e di interno tipiche della tradizione olandese del Seicento
(si pensi a Rembrandt), caratterizzate a suo dire da «una oscurità che ha però una sua luce». Il
pittore si distacca stilisticamente dalla tradizione. Scrivendo al fratello Theo di aver compiuto I
mangiatori di patate, egli lascia trasparire l’idealizzazione di una padronanza della tecnica
pittorica, difficile da raggiungere per un autodidatta. Il suo intento è coniugare la libertà e la passionalità di Delacroix con la poetica
naturalista dello scrittore e critico Émile Zola. Ma la gravità dell’insieme, la generale oscurità della scena, la brutalità caricaturale dei
volti sembrano contraddire l’ispirazione a Millet. L’originalità della visione di Van Gogh porta a un superamento del realismo, in chiave
di ideologia sociale, di simbolismo e di espressione.

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Van Gogh dipinge in poco meno di un anno tre versioni
della Camera da letto. Il prototipo è realizzato alla metà
di ottobre del 1888, quando Vincent, oppresso dalla
solitudine, attende con l'arrivo di Gauguin ad Arles per
lavorare al suo fianco. Vincent ha l'impressione di aver
trovato un luogo dove sia possibile lavorare e vivere in
raccoglimento e tranquillità. Impressione purtroppo
smentita dalla crisi del dicembre successivo, con la
conseguente mutilazione di un orecchio.

L’immediata quotidianità del soggetto è trasfigurata da un uso simbolico del segno e del colore, teso a rivelare lo spirito dell'autore
piuttosto che a fissare la mutevolezza delle apparenze visive. I bruschi contrasti sono resi se possibile ancora più decisi ed estremi
nelle due repliche (a Parigi e Chicago), realizzate a Saint-Rémy nel settembre 1889. I riflessi blu e violacei dell'ambiente sono
contrapposti al loro colore complementare, un giallo-arancione. Alla macchia rossa centrale della coperta fanno da bilanciamento i
tocchi di verde brillante sparsi sulle opere appese alle pareti. Il nero è riservato alle linee di contorno e si ritrova nelle incorniciature
della finestra e del piccolo specchio sul fondo. Benché la preoccupazione di un'adeguata resa cromatica della luce sia al centro degli
interessi espressivi dell'artista, non troviamo in Van Gogh l'aspirazione scientifica e la regolarità meccanica dei pointillistes. Egli
stesso affermerà di aver voluto superare la meticolosità del metodo di Seurat e Signac per giungere a una resa tecnica più semplice
ed energica. Inizialmente la stesura del colore è ancora generalmente piana e riconducibile alle campiture di Gauguin. La presenza, la
realtà fisica delle cose è il punto di partenza per la presentazione di un ambiente interiore, alla ricerca di un riposo e di una quiete
contraddetti dall’instabilità della visione prospettica che sembra rovesciarsi in avanti a inglobare lo spettatore. Ogni oggetto
rappresentato si carica di un significato simbolico. L’ambiente deserto ospita due sedie, due cuscini sul letto e i personaggi
rappresentati nei ritratti in alto a destra a indicare la necessità di trasformare uno spazio di isolamento in uno spazio nuovo destinato
all'incontro. Ma le due porte sono drasticamente chiuse e l'unica apertura della stanza sembra essere costituita dalla metaforica
finestra prospettica della rappresentazione pittorica.

La rappresentazione di grandi distese di grano, oltre a evocare la sua iniziale vocazione


di pittore della vita contadina, era stata una palestra ideale per la messa a punto della
caratteristica pennellata a tocchi divisi di Van Gogh. Durante i mesi internamento
nell'ospedale psichiatrico di Saint-Rémy, Vincent svilupperà nuove rappresentazioni di
questo tema l'ideale pendant della sua Camera da letto. La camera di Arles e i campi
sconvolti dal vento sono i poli opposti di una contrastata situazione interiore,
nell'incapacità di raggiungere l'approdo di pace e di stabilità. Tale tempesta batte
anche l'ultimo Campo di grano, dipinto pochi giorni prima della morte. La suggestione
di questo presagio (corvi neri) è forte, così com’è la violenza drammatica del paesaggio, con il cielo di una solidità vitrea scandita dal
simbolico volo degli uccelli e la strada scorciata, come inghiottita dall’orizzonte. La pennellata è scomposta, carica di una forte
tensione gestuale, sganciata da ogni controllo razionale. Sempre in contatto epistolare con Theo, Vincent si sforza ancora di
ostentare «una serenità quasi eccessiva».

PAUL CÉZANNE (1839-1906)


Paul Cézanne viene avviato dalla famiglia agli studi giuridici, ma la sua passione per le arti visive lo porta a
frequentare la scuola gratuita di disegno della sua città natale. Nel 1861 raggiunge a Parigi l'amico Emile
Zola, suo compagno di studi al liceo, che lo incoraggia a intraprendere studi artistici. Frequenta l'Académie
Suisse dove conosce Camille Pissarro, entrando in contatto con I'ambiente artistico dal quale prenderà le
mosse I'lmpressionismo. La sua pittura degli anni sessanta sembra muoversi in più direzioni differenti:
l'interesse per i grandi maestri del Louvre contrasta con la semplificazione dei toni e con la materia
pittorica, stesa a spatola, a tratti svirgolati o a larghe pennellate compatte. Nei primi anni settanta Cézanne
si indirizza a una pittura di natura morta e di paesaggio più pacata e vicina al reale. Ciononostante Pissarro
riesce a inserirlo nella prima mostra impressionista da Nadar, perché gli altri partecipanti temono lo
scandalo che i suoi dipinti potrebbero suscitare. A partire dal 1878 si ritira nel Mezzogiorno tra Aix e
Marsiglia. La sua pittura si evolve regolarmente, in una concentrazione favorita dall'isolamento, verso una
nuova resa plastica delle forme naturali. La sua situazione familiare ed economica sembra, dopo la morte
dei padre, stabilizzarsi; ma soltanto all'inizio degli anni novanta Cézanne comincia a essere salutato dalla
nuova generazione artistica come un maestro. Le due sale retrospettive a lui dedicate nel Salon d'Automne
del 1907 consacrano la sua pittura alla storia, affermandone il ruolo di fondamentale iniziatore della
riflessione artistica contemporanea su rappresentazione e realtà.

Già dagli anni sessanta mostra di seguire una via del personale, tentando di coniugare la
rappresentazione del vero basata sulla visione diretta c la ripresa della tradizione pittorica. La casa
dell'impiccato a Auvers-sur-Oise rivela il ruolo dell'amico Pissarro nell'indirizzarlo verso le
tonalità chiare e naturali del plein air. A partire da una prima rapida stesura indirizzata al vero,
Cézanne interviene per stratificazioni successive di pesanti masse di colore, quasi a voler
“scolpire” i volumi del declivio erboso, degli alberi spogli e dei tetti. Il paesaggio di Cézanne è
muto, spogliato dei suoi abitatori e svuotato di ogni riferimento al presente; le sue case e le
capanne sembrano elementi tellurici. I piani contrapposti sono rivelati dai contrasti di luce e di
colore, accuratamente studiati sul reale. Questo tipo di costruzione non si esaurisce in un effetto
fuggevole; finisce per manifestare, l'aspirazione cezanniana a non dissolvere le forme nella luce,
pur rinunciando al disegno di contorno: è il colore stesso a farsi forma.

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Lo spazio rappresentato in Natura morta con tenda e brocca a fiori - che fa parte di una serie
di sei composizioni in cui ritornano gli elementi fissi della tenda a fogliami, della brocca e dei
frutti (mele e arance) disposti in una compostiera o su piatti - è ancora, a prima vista, uno spazio
nitidamente fissato nei suoi principali elementi di resa prospettica. Lo sfondo è scandito
regolarmente, dal grande drappo bluastro, in due parti tra loro equilibrate, mentre la natura
morta, che poggia sul piano evidenziato di un tavolo in legno, si struttura simmetricamente
secondo uno schema piramidale intorno al cardine costituito dalla brocca.

Cézanne si dedica con insistenza all'analisi della realtà, ma nella stesura pittorica non si attarda
sugli aspetti descrittivi e sui particolari: il tovagliolo bianco aggiunto nell'angolo inferiore destro
della composizione è volutamente lasciato incompiuto. La riduzione di ogni oggetto a una forma geometrica si sostituisce al disegno
lineare, trasformando le arance e le mele in sfere identiche. Ciò che interessa all'artista è solo I'equilibrio spaziale e compositivo della
tela nel suo insieme. Cézanne deforma la tradizionale prospettiva matematica, inclinando la tavola e il piatto centrale verso lo
spettatore, che così ha l’impressione di essere circondato dallo spazio illusorio del quadro.

Il più quotidiano e umile degli elementi di una natura morta, è per Cézanne un soggetto ricorrente a partire dalla seconda metà degli
anni settanta: le mele di Cézanne sono manifestazioni elementari della realtà naturale e meritevoli della sua attenzione. Soltanto a
partire da queste forme prime (le sfere) è possibile riordinare lo sconcertante caos delle apparenze visive. Per la loro riflessione sul
rapporto tra la mutevolezza delle sensazioni visive e I'idea di forme astratte (il cilindro, la sfera, il cono), queste nature morte sono
state spesso oggetto di analisi da parte di filosofi del Novecento.

La grandiosa massa della montagna Saints-Victoire costituisce uno dei temi ricorrenti attraverso
i quali Cézanne persegue ossessivamente la resa della forma plastica attraverso il colore. Nei
primissimi anni del secolo Cézanne realizza almeno undici tele e acquarelli di questa stessa
veduta, ognuno dei quali presenta precisi caratteri di autonomia nella resa pittorica, che
evidenzia caso per caso elementi, concrezioni ed effetti di luce diversi. Benché l'artista rifiuti
ogni astratta posizione teorica, è fuori di dubbio che questi suoi esempi di differenti vedute
realizzate in sequenza costituiscano un punto di partenza della visione articolata e dinamica che
caratterizzerà le Avanguardie del Novecento. Ne La montagna Sainte-Victoire vista dai
Lauves la plasticità del monte rettamente suggerita dall'accostamento di singole pennellate
biancastre, ocra, verdi e azzurre, che mirano a costruire una forma tridimensionale. Per questo
motivo si parla, per Cézanne, di una vera e propria “pennellata costruttiva”.

La composizione si divide in tre fasce parallele alla linea di orizzonte: in quella inferiore poche pennellate, volutamente attutite,
rappresentano la bassa vegetazione in primo piano; la seconda è occupata dalla visione aperta della campagna, saturata di tocchi
compatti e inestricabili; nella terza la sagoma della Sainte-Victoire, delineata da un contorno disegnativo bluastro, si incunea in un
cielo fatto della sua stessa materia pittorica. Nonostante I'assieparsi delle pennellate e la forte presenza materica del colore, proprio
queste chiazze di azzurro e di verde creano nello spettatore I'impressione di trovarsi al centro di uno spazio tridimensionale
vorticante, aprendo la superficie del quadro al volume e alla profondità.

In La montagna Sainte-Victoire e lo Château noir, la suggestione del punto di vista è associata


da Cézanne all'uso di una tavolozza più livida, che restituisce in una luce cupa e temporalesca lo
schematico profilo della montagna e le strutture geometriche dell'edificio al centro. Qui il tocco
pittorico utilizza iI colore a olio massimamente diluito, con un effetto quasi d'acquarello, ricco di
profondità e di trasparenza.

La fusione tra cielo e terra operata attraverso il colore ha una precisa necessità di resa della
profondità: cerca di ottenere I'illusione del digradare della pianura verso I'orizzonte ricorrendo alla
presenza atmosferica dell'aria teorizzata da Leonardo.

Anche nel più ridotto gruppo di grandi tele con nudi femminili dipinte tra 1895 e il 1906 delle
Grandi bagnanti, Cézanne dimostra la sua propensione a ritornare più volte, con omogeneità,
ma con varianti tecnico-stilistiche e strutturali, sulla medesima immagine. In questo caso
I'artista realizza tre tele maggiori, attraverso un lavoro di composizione dei nudi femminili
articolati in un grande campionario di pose. Con questi soggetti I'artista decide
programmaticamente di tornare a confrontarsi con il tema classico del nudo nella natura,
recuperato studiando al Louvre il Cinquecento italiano, Rubens e Poussin, oppure attraverso il
filtro di opere di maestri contemporanei, Puvis de Chavannes, Manet e Renoir.

Si tratta per Cézanne di un progetto ambizioso, probabilmente avviato già a metà degli anni
novanta, che, attraverso numerosi studi su carta. I personaggi femminili sono numerosi e la
composizione si allarga verticalmente verso I'alto a comprendere una parte maggiore del cielo.
Il peso tangibile delle monumentali figure non ne è sminuito, è soltanto distanziato prospetticamente a indicare un superamento
psicologico dell'aggressiva e brutale partecipazione sensuale che aveva caratterizzato i primi anni dell’artista. Quattordici figure
femminili nude sono riunite sulla riva sabbiosa che costituisce la fascia inferiore del quadro. Alcune di esse restano solo abbozzate,
ma ciascuna è studiata tanto per la singolarità e vivacità dell'atteggiamento quanto per la sua funzione architettonica nel complesso
dell'opera. I tre personaggi centrali sono reclinati su un elemento appena suggerito. Alte figure sembrano indicare il dilatarsi dello
spazio pittorico oltre i confini del quadro, come la donna distesa in primo piano, la figura nascosta a sinistra tra i cespugli oppure la
compagna che si allontana in secondo piano sull'estrema destra. Al di là di uno specchio d'acqua, al centro del quale si intravede
una nuotatrice, altre due bagnanti sembrano osservare il gruppo, suggerendo con le loro minime dimensioni lo sfondato spaziale
della radura retrostante. I volumi e le linee marcate delle membra definiscono anche il nudo come un elemento strutturale che
contribuisce a definire il volume e lo spazio interno della veduta.

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JAMES ENSOR (1860-1949)
James Ensor era stato tra i promotori del Salon dei XX, organizzato a Bruxelles, a partire dal 1884, dagli
artisti non accettati alle esposizioni ufficiali della locale Accademia. Grazie ai contatti con la Francia, le
mostre dei XX contribuiranno a diffondere internazionalmente la carica innovativa del Postimpressionismo,
presentando opere di Cézanne, Seurat, Van Gogh e molti altri.

Negli anni tra il 1886 e il primo decennio del nuovo secolo Ensor è uno dei protagonisti
della stagione simbolista e pre-espressionista in Europa. Vive appartato nella nativa
Ostenda, rifiutato per la sua ricerca pittorica dall'ambiente accademico e talvolta dagli
stessi artisti indipendenti, me nel caso del Cristo. Anche gli organizzatori del Salon dei XX,
infatti, impediscono all'artista di esporre L'entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889,
evidentemente colpiti dalla brutalità dello stile e dal contenuto apparentemente blasfemo.

Il quadro conserva, pur nella sua disordinata visione da incubo, una precisa dimensione
allegorica. La parata da martedì grasso che accompagna l'ingresso di Gesù nella città
belga nel 1889 (idea di attualità) e il pretesto per una satira tagliente dell'ipocrisia e
dell'immoralità della società borghese di fine secolo tra la folla sono rappresentati alcuni dei principali uomini di potere e di cultura
dell’epoca. Anche la repubblica sociale, cui inneggia lo striscione rosso in alto ("Vive la sociale"), si è unita a questa volgare danza. La
piccola figura di Cristo al centro, praticamente ignorata da coloro che lo acclamano "re di Bruxelles", rappresenta sia
I'allontanamento dell'uomo dai valori del Vangelo, sia l'emarginazione dell'artista e il rifiuto della sua funzione moralizzatrice da parte
della società. Nel volto del Messia, infatti, possiamo rintracciare un autoritratto di Ensor. Il pittore si concentra sull'idea del movimento
vorticante e disordinato della folla.

L’enfatizzazione del colore che non rappresenta più la realtà è il corrispettivo pittorico del frastuono insensato che sembra provenire
dai passi di marcia dalle fanfare e dalle innumerevoli bocche aperte. Ogni individuo è caratterizzato e appare isolato.

In questa rappresentazione di Ensor della condizione umana Simbolismo ed Espressionismo appaiono


profondamente intrecciati. Non a caso la sua opera sarà riscoperta e rivalutata nel Novecento, in seguito
all'affermazione delle correnti espressioniste e del Surrealismo. Nell’Autoritratto con maschere l'artista
enfatizza il significato simbolico delle sue composizioni presentando elementi incongrui, grotteschi o evocativi
attraverso una descrizione apparentemente realistica. Alla fiera intensità del suo autoritratto contrappone la
presenza grottesca di volti che hanno perduto ogni umanità, per deformarsi in maschere esotiche, in smorfie
caricaturali o in sembianze animalesche. L’artista e I'individuo restano isolati, nell’impossibilità di specchiarsi o
entrare in dialogo con gli altri.

EDVARD MUNCH (1863-1944)


Il norvegese Edvard Munch matura la maniera pittorica grazie al confronto con il Postimpressionismo
francese, dovuto anche ai numerosi viaggi nella nazione. In sintonia con il Simbolismo internazionale, nella
sua pittura i paesaggi nordici, gli ambienti domestici, le figure della borghesia norvegese e i soggetti lugubri
e fantastici sono trasformati in descrizioni dell'impossibilità di comprendere la realtà attraverso la ragione.

Il grido è ambientato in un paesaggio allucinato e ondeggiante, in cui è possibile riconoscere due colline e
un fiordo attraversato da barche. L’instabilità dello spazio circostante è accentuata da un unico elemento
rettilineo: un sentiero delimitato da una staccionata. Non è di per sé un paesaggio ostile o minaccioso, ma
la centralità del volto disperato della figura principale carica di violenza la composizione. Questo
personaggio è privo di qualsiasi caratterizzazione, incarnando così l'artista e, simbolicamente, la condizione
umana. Il suo viso è simile a quello di un essere agonizzante, di un cadavere o di un teschio e proietta la
propria mortale angoscia su tutto il reale. Il pittore riesce a rendere con grande efficacia una drammatica
condizione individuale che si trasforma in pertinente simbolo di un malessere epocale e universale. L’uso
soggettivo del colore e la linea ondulata che fonde in un'unità turbinante I'uomo e la natura sono elementi
utilizzati per rendere una visione letteralmente "allucinata". Nel Grido la natura è pervasa da un suono muto,
come una vibrazione che si sente visceralmente: il personaggio principale si tappa le orecchie per non
restarne assordato, ma gli amici che si allontanano sul sentiero non lo percepiscono.

All'estrema unitarietà del Grido si contrappone la più ampia articolazione allegorica della
Danza della vita. In questa danza “della vita, dell’amore e della morte”, I'esistenza della
donna è pessimisticamente sintetizzata in tre fasi: la purezza virginale (rappresentata
dall'abito bianco), una bruciante passione sensuale (l'abito rosso sangue, che avvolge
come in un vortice la cadaverica figura maschile) e l’abbandono e il lutto (l’abito nero e il
pianto della figura di destra).


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GAETANO PREVIATI (1852-1920)
Attivo a Milano, il ferrarese Gaetano Previati è sensibile alle riprese romantiche e agli interessi letterari che
caratterizzano la Scapigliatura milanese come una delle prime significative manifestazioni in Italia del
Decadentismo internazionale.

In Maternità, opera matura, possiamo riconoscere la coniugazione della


tecnica pittorica divisionista con un soggetto propriamente simbolista.
Presentata nel 1891 alla prima Triennale di Milano, dove viene attaccata
dalla critica, l'opera si distingue per la volontà dell'artista di utilizzare le
lunghe pennellate di colori separati in funzione antinaturalistica. Previati
vuole mostrare il valore universale della maternità in una vera e propria
adorazione mistica. Le fronde dell'albero da frutto e i candidi gigli sul prato,
che simboleggiano la fecondità e la purezza della Madre, si articolano in
arabeschi lineari, affini alle Secessioni. La madre è chinata sul figlio lattante,
priva di attributi descrittivi, e il coro angelico sembra avvolgerla con un movimento a vortice che coinvolge la natura circostante.

GIOVANNI SEGANTINI (1858-1899)


Formatosi all'Accademia di Brera, Giovanni Segantini si afferma sulla scena milanese e internazionale grazie
all'interessamento di Grubicy, pittore e mercante d'arte. La sua ricerca, orientata a soggetti contadini e
pastorali e al paesaggio alpino, lo porta ad allontanarsi dalla vita cittadina.Nella seconda metà degli anni
ottanta Segantini inizia a utilizzare la tecnica divisionista per conferire particolare risalto al chiaroscuro delle
sue scene di patetico verismo agreste. Il principale fascino e motivo di interesse di questi suoi soggetti
risiedono nel ricorso a effetti di luce pittoreschi ed estremi. L’artista dimostra di saper cogliere gli aspetti più
minuti del reale utilizzando tratti di colori divisi per seguire e rendere attraverso la spessa materia pittorica
l'irradiarsi della luce e il suo sottile vibrare sulle differenti superfici.

Le due madri figura accanto alla Maternità di Previati, che ne costituisce per il formato
e per il tema una sorta di polemico parallelo, alla prima Triennale di Milano, nel 1891,
sancendo l'affermazione della tecnica divisionista. In questo quadro troviamo un primo
traguardo del graduale a una pittura d'idea, che sviluppa i suoi contenuti simbolici a
partire da un'adesione al valore dell'umile scena nella stalla. È l’effetto di luce artificiale
della lanterna centrale a dare unità di toni e sentimento all'insieme. Nella
rappresentazione di una scena di genere apparentemente tradizionale viene colta e
restituita simbolicamente un'idea universale. Il titolo accomuna infatti la condizione
umana e quella animale sul piano immediato, ma ricco di evocazioni, di un elementare
"essere al mondo": la mucca col vitello e la donna con il bimbo sono immerse in una stessa atmosfera di sereno riposo e di affetto.

Anche le composizioni di Segantini più direttamente legate a una fonte letteraria o


più simboliste si caratterizzano per un attento studio degli effetti di luce, per la
capacità di delineare anche le forme dal disegno più elaborato con una pennellata
divisa, che intensifica la vibrazione del colore. Nelle Cattive madri, ispirato al
poema Nirvana (1889) dello scrittore Luigi Illica, lo sterminato paesaggio
ghiacciato, I'albero contorto e I'arabescata figura femminile sono perfettamente
coerenti tra loro nei toni di un grigio vivificato da sprazzi giallastri e azzurri.
Segantini rappresenta la pena del Purgatorio inflitta alle donne che si sono
sottratte al loro ruolo tradizionale di madre: appese a un albero, in una pianura
desolata, attendono il perdono dai loro stessi figli, che in vita non vollero amare.

GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO (1868-1907)


Giuseppe Pellizza da Volpedo, partendo da una pittura realista, giunge coerenza alla tecnica divisionista,
influenzato dalle opere di Segantini e Previati. Sviluppa una poetica in cui, attraverso I'effetto illusionistico
della stesura pittorica a tocchi separati, le forme stesse della natura esprimono contenuti ideali. "Realtà" e
"idea" non sono elementi contrapposti, ma si integrano dialetticamente.

Il Quarto Stato rappresenta un episodio di cronaca (una manifestazione di contadini


ridomi alla fame) in cui vi è raffigurato in una celebrazione allegorica dell'ideale
socialista. Il quadro è frutto di una genesi decennale, che dai primi schizzi di
scioperanti presi dal vero porta alla realizzazione di una serie di opere intermedie. La
scena è ambientata nella piazza del borgo di Volpedo (presso Alessandria) e le singole
figure degli scioperanti sono studiate facendo posare i braccianti del luogo. Il
personaggio maschile al centro capeggia il corteo, affiancato da un uomo più anziano
e da una donna che reca un bimbo, figura allegorica di rinascita. I lavoratori
procedono dall'oscurità della zona di fondo verso la luce meridiana "del sole
dell'avvenire" che sembra guidarli a sé. L’immagine della loro marcia, pacifica ma determinata, per reclamare dai proprietari terrieri
almeno il diritto alla sussistenza, evoca l'idea di una nuova rivoluzione, in cui il "Quarto stato" delle masse popolari si contrappone
alla borghesia che aveva animato la Rivoluzione francese. Qui non si tratta però di una rivoluzione violenta, bensì di un "cammino dei
lavoratori” e di tutta l'umanità verso una nuova società egualitaria.

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MEDARDO ROSSO (1858-1928)
Lo scultore Medardo Rosso viene influenzato, negli anni della sua formazione a Milano, dai modi espressivi
allusivi e dalle teorie umanitarie caratteristiche dell'ambiente scapigliato, e approfondisce I'indagine di
soggetti popolari che ritrae con spirito di adesione umana. La sua visione di umili personaggi urbani lo
condurrà a sviluppare un linguaggio scultoreo innovativo, in cui le figure sono colte in modo frammentario e
"come di sfuggita". Trasferitosi a Parigi nel 1889, le sue opere sono lette dalla critica come un’alternativa
alle soluzioni di Rodin sulla strada verso la formulazione di un linguaggio impressionista in scultura.

Impressione d'omnibus allude all'ipotesi provocatoria che anche la scultura a dimensione


naturale possa prestarsi a fissare l'apparizione istantanea di un volto, dell'effetto di luce che lo
caratterizza e della subitanea impressione emotiva suscitata dalla visione nello spettatore.
Rosso rappresenta diversi tipi umani: un ubriaco addormentato, una fanciulla, due vecchie
popolane e un uomo intabarrato in un pesante soprabito, seduti sulla panca di un tram. Non si
tratta di un altorilievo, eppure il gruppo può essere guardato soltanto da un punto di vista
frontale. La forma plastica non riproduce i volumi di un volto reale, ma è articolata in bruschi
contrasti di pieni e di profondi vuoti che corrispondono alle zone d'ombra di un chiaroscuro
pittorico, come se lo scultore mirasse a restituire la fisionomia all'interno dell'atmosfera che la
circonda. Proponendo una scultura a tutto tondo che richiede un "punto di vista unico" e che
non può essere letta se non riproducendo le precise condizioni di illuminazione previste in origine dall'autore, Rosso sovverte
radicalmente le regole di quest'arte e pone le basi per la progressiva fusione tra pittura e scultura.

L’uso delle patine sul gesso e sul bronzo o l'impiego della cera, dotata di consistenza "organica" e calda, mirano ad arricchire di
riflessi, di effetti pittorici o di qualità tattili queste realizzazioni.

GUSTAVE KLIMT (1862-1918)


Nell'opera di Gustav Klimt la volontà di esprimere simbolicamente realtà ideali si concilia con lo sviluppo di
un decorativismo estremo. Nel 1897 è tra gli artisti viennesi che fondano un'associazione separata
dall’accademia, la Secessione viennese. Essa propone l'aggiornamento sui modelli artistici europei,
promuovendo l’integrazione tra pittura, arti decorative e architettura. Particolarmente evidente in Klimt è
l'adesione alla sensibilità del Simbolismo internazionale.

Nella primavera del 1902 il Palazzo della Secessione ospita una mostra ispirata a
Ludwig van Beethoven, il compositore romantico celebrato come il paradigma
dell'uomo capace di riscattarsi titanicamente, attraverso l'arte, dalla tragicità del
reale. Al centro campeggia il monumento policromo di Beethoven, in cui lo
scultore, pittore e incisore tedesco Max Klinger aveva voluto riecheggiare il colosso
crisoelefantino di Zeus eretto da Fidia nel tempio di Olimpia.

Il Fregio di Klimt orna la parte superiore di tre delle pareti della sala laterale di
sinistra, articolando la rappresentazione allegorica di temi ispirati alla Nona
sinfonia. L’artista ricorre a ricercate elaborazioni disegnative (caratteristiche della
diffusione internazionale dell'Art Nouveau) e al recupero di materiali e tecniche
estranei alle consuetudini della pittura maggiore ottocentesca, come le superfici
dorate o smaltate, il graffito, il mosaico, tradizionalmente riservati alle "arti minori".
Le figure sono appiattite o ridotte a motivi lineari ai quali si mescolano i particolari
più espressivi e realistici di alcuni volti e dei nudi. Nel “regno” ultraterreno
rappresentato, assistiamo alla travagliata ascesa dell'anima umana verso una felicità superiore e una gioia raggiungibili solo
attraverso la redenzione garantita dall'arte. Lungo il margine superiore un sottile ricamo di figure femminili distese conduce a un
gruppo isolato che rappresenta il sofferto anelito umano verso la felicità. La parete centrale, più corta, è gremita di figure che
rappresentano la via irta di ostacoli che l'uomo dovrà attraversare. Il bestiale gigante Tifeo è circondato, a sinistra, dalle tre Gorgoni
(malattia, follia e morte) e, a destra, da tre personaggi femminili che incarnano l'incontinenza, la voluttà e la lussuria. Isolata, si rode
I'angoscia, mentre in alto i desideri e le aspirazioni degli uomini volano via. SulIa terza parete, scandita in due episodi principali
separati, assistiamo alla redenzione. Klimt offre poi una rappresentazione figurativa del coro che conclude la sinfonia di Beethoven
celebrando la gioia come manifestazione divina: le sensuali figure delle arti introducono a un paradiso di pace, felicità e amore.

ARNOLD BÖCKLIN (1827-1901)


Lo svizzero Arnold Böcklin risiede a lungo a Düsseldorf, dove riceve la formazione accademica e sviluppa
I'interesse per la cultura e la civiltà classiche. Le sue rappresentazioni mitologiche sono sorrette da uno
studio accurato del reale e dalla ripresa delle fonti artistiche del passato. La sua pittura raggiunge risultati di
essenzialità compositiva e di equilibrio, sviluppando un simbolismo colmo di riferimenti letterari.

Nei suoi paesaggi immaginari è evidente I'influenza della rappresentazione della natura in
funzione emotiva e psicologica che era stata caratteristica del Romanticismo tedesco:
anche qui la figura umana è spesso posta a confronto con un ambiente inquietante. Ne
L'Isola dei morti Böcklin trae spunto da elementi del Cimitero degli inglesi di Firenze e dagli
scogli rocciosi del Mediterraneo per rappresentare il transito di un defunto verso I'isola in
cui riposano gli spiriti degli eletti. La scena è immersa in un'atmosfera lunare, I'orizzonte
basso suggerisce una distesa di mare immobile e sconfinata, sulla quale la barca, condotta
da un traghettatore (=Caronte), scivola silenziosamente. Una figura bianca, avvolta in un
manto che pare un sudario, veglia un feretro, suggerendo una possibile identificazione con I'anima diretta alla tomba. L’isola, appare
inaccessibile, dominata dalle tetre ombre dei cipressi. Böcklin ci guida verso un aldilà privo di vera redenzione che sembra
rappresentare una discesa agli inferi psicologica e interiore. 49
I FAUVE: MAURICE DE VLAMINCK (1876-1958),
ANDRÉ DERAIN (1880-1954), RAOUL DUFY (1877-1953)
L’insistenza sul dato visivo degli impressionisti e la rappresentazione ideale del Simbolismo si coniugano in
una tendenza pittorica che mira a rendere il valore emotivo dell'esperienza: I'Espressionismo. L’artista
riconosce nella natura lo specchio del proprio animo, in una visione soggettiva. Il linguaggio espressionista
è già sviluppato quando, nel 1905, le opere esposte al Salon d'Automne da Matisse, Derain, De Vlaminck,
Van Dongen, Marquet e Rouault sollevano un "caso" nel mondo artistico parigino. I fauve non sono un
gruppo costituito, ma una tendenza che raccoglie, intorno a Matisse, personalità differenti.

Come dimostra questo interno popolare La cucina (interno) di Maurice de Vlaminck, soggetti della realtà
quotidiana vengono ripresi anche dai fauve. Ma nell'Espressionismo essi si trasformano in scene irreali, tese a
esprimere un'adesione sensuale e gioiosa all’esistenza o una drammatica atmosfera di angoscia. Le plastiche
pennellate blu scure, nere e verdi che definiscono le pareti dello spazio domestico, il parallelepipedo della
tavola con natura morta scorciata e la figura femminile fanno pensare a una composizione cézanniana. Eppure,
la rappresentazione è resa come instabile dai rapporti prospettici volutamente sommari e dall'abbagliante rosso
che irrompe dalla finestra sul fondo e invade tutta la scena.

André Derain, in questa complessa Composizione (L’eta dell’oro), raccoglie i principali


elementi culturali e stilistici che hanno indirizzato questo passaggio. Nell'uso di una pittura a
"tessere" e nella scelta degli accostamenti cromatici appare assai più vicino del Matisse al
puntinismo e alla sensibilità simbolista dell'ultimo Seurat. I nudi femminili rappresentati come
ninfe al centro di un ambiente naturale idilliaco fanno riferimento alla grande pittura del Cinque e
Seicento al Louvre. La loro impostazione arcaizzante e sinuosa, unitamente all'uso di un colone
barbaro e potente che trasfigura visionariamente I'anatomia e il paesaggio, rinvia alla lezione di
Gauguin. La superficie quasi quadrata della tela è nettamente divisa tra un primo piano in
ombra, definito da tinte scure e livide, e un secondo piano, quasi una scena di teatro di figure
danzanti tra i veli al centro sono, infatti, ispirate a soluzioni coreografiche del teatro del tempo.
Qui dominano tre personaggi femminili in primo piano, che sembrano risvegliarsi dal sonno o
meditare in un torpore melanconico, separate dalla visione alle loro spalle.

In questa veduta di strada, Manifesti a Trouville, di Raoul Dufy, la ricerca fauve manifesta tutta la
sua capacità di vivificare gli elementi più diversi e banali della realtà, attraverso una
semplificazione del disegno e un'enfatizzazione del colore chiaramente derivate dal sintetismo di
Gauguin e dai nabis. Protagonisti della scena non sono né i personaggi, rappresentati
schematicamente come passanti distratti in continuo movimento, né gli edifici circostanti, appena
tratteggiati, bensì i manifesti, che con le loro bande cromatiche attraggono I'interesse dell'artista.
Le scritte cubitali sembrano anticipare i buschi accostamenti e i ritagli di scrittura inseriti dai
cubisti nei loro collage. I manifesti documentano inoltre un fenomeno destinato ad avere
importanti ripercussioni sulle arti visive, cioè l'ingresso della pubblicità e dei mezzi di
comunicazione di massa nel paesaggio urbano del Novecento.

HERNI MATISSE (1869-1954)


Avviatosi alla carriera giuridica, Henri Matisse si forma a Parigi, frequentando I'Accademia Julian, l'Ecole
des Arts décoratifs e I'atelier di Moreau all'Ecole des Beaux Arts. Conosce molti dei protagonisti fauve,
iniziando a sviluppare una pittura libera dai rigidi dettami accademici e orientata a un diretto confronto con
la tradizione, con la pittura impressionista e con la realtà. Dal 1904 matura il radicale rinnovamento
espressionista: attraverso un'incessante rielaborazione stilistica giungerà a rivalutare le stesure piatte di
Gauguin e le dinamiche sintesi di Van Gogh, coniugandole con I'amore per l’Oriente, conosciuti nei musei
europei e in numerosi viaggi. Matisse sviluppa una pittura equilibrata dal punto di vista dell'espressione
emotiva, in cui entrano, i più differenti elementi: il gusto per una decorazione orientaleggiante o
popolareggiante, l'interesse per un raffinato linearismo che deriva dall'arte bizantina e la resa delle luci
mediterranee attraverso una stesura cromatica basata su contrasti armonici.

Alcuni schizzi e vedute prese dal vero durante i mesi a Saint-Trropez rappresentano in
ogni dettaglio lo scenario naturale in cui sarà ambientato Lusso, calma e voluttà,
registrando con la componente di realtà del soggetto, il pino marittimo sulla destra, la
luce pomeridiana, il particolare della figura femminile (moglie del pittore) seduta a
sinistra e persino la sintetica nuvola allungata al centro. Soltanto dopo una lunga
elaborazione, Matisse la esporrà al Salon des Indépendants nel 1905. Insoddisfatto dei
limiti di adesione al dato ottico naturale, I'autore torna a impostare un'opera di
composizione: la veduta reale si popola di figure di bagnanti, con precisi riferimenti a
Giorgione, Tiziano, Poussin, Manet e Cézanne. Il costume borghese di Madame
Matisse e la tovaglia apparecchiata sottolineano per contrasto I'irreale sospensione
mitologica della scena. Il lavoro di scomposizione cromatica si dimostra poco
ortodosso, con l’impiego a mosaico di tessere di colore più larghe, staccate e vibranti,
che non favoriscono la ricomposizione visiva delle forme davanti agli occhi dello
spettatore: il colore si apre all’espressione dell'emozione.
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Sul tema dell'attualizzazione mitica del viaggio e della fuga verso un mondo e una dimensione
ideale Matisse tornerà nel 1906, realizzando una sorta di manifesto della sua nuova pittura: La
gioia di vivere. In questa grande tela tornano i temi già affrontati in Lusso, calma e voluttà:
l'ordine e la bellezza del paese sognato da Baudelaire, il mito classico dell’Età dell'Oro e le sue
diverse versioni proposte dalla rielaborazione di altri artisti. Matisse dimostra di saper superare
i problemi tecnici legati all'uso del divisionismo: nelle grandi campiture piatte di colori
decorativi e brillanti si manifesta I'aspirazione ad un’autonomia espressiva del colore.

Il colore che rappresenta uno stato d'animo trionfa in Lo studio rosso, sviluppando i presupposti
della precedente attività di Matisse. Egli ha superato il contrasto tra Impressionismo ed
Espressionismo e dichiara di volersi concentrare su gli elementi fondamentali dell'opera stessa.
L'unica presenza visiva ed esistenziale con la quale l'artista è disposto a confrontarsi è quella
autoreferenziale del quadro. Lo studio rosso è il simbolo di una pittura che rappresenta solo se
stessa, portando alle estreme conseguenze la riduzione disegnativa, spaziale e cromatica.

Lo studio nei dintorni di Parigi non ha qualifica spaziale che non si identifichi con la pittura stessa.
Alla parete sono appese le opere dell'artista, tra le quali possiamo riconoscere Il lusso e Il giovane
marinaio. Gli spigoli della stanza e i contorni dei pochi arredi sono appena tratteggiati da linee
biancastre che li trasformano in fantasmi di uno spazio e di cose. L'edificio che vediamo
rappresentato non ha nessuna connotazione abitativa, ma è progettato come contenitore per il proprio lavoro pittorico. Perciò si
presenta spoglio di tutti gli attributi celebrativi e simbolici che avevano caratterizzato la retorica degli studi d'artista del secondo
Ottocento. La sua funzione è quella di annullare lo spazio reale per dare risalto alla logica interna dello spazio pittorico. Un risultato
che Matisse consegue tanto sul piano illustrativo quanto su quello stilistico. A eccezione dei pastelli sul tavolo in primo piano e di una
bottiglia con un ramo fiorito (che evocano la bellezza della natura e la tecnica), gli unici punti di apertura della sconfinata superficie
monocroma di un rosso ossessivamente acceso sono i quadri già dipinti dall'artista. Essi sembrano alludere al concetto di "finestra"
prospettica rinascimentale: mentre l'intera composizione è risolta nell'annullamento di valore volumetrico. L'impianto prospettico di
dipinti come Lo studio rosso ricalca la resa spaziale intuitiva e non fondata su un’astrazione matematica di quell'arte, detta anche
"prospettiva rovesciata" poiché sembra attrarre a sé e inglobare lo spazio esterno.

L'incontestabile valore di innovazione formale dell'opera di Matisse non deve far credere che essa si
esaurisca su un piano tutto esteriore. L'artista si era già interessato alle soluzioni compositive della
pittura bizantina e della tradizione russa. Ma in questa Conversazione, Matisse si spinge oltre i suoi
precedenti esiti stilistici. Non c'è più compiacimento decorativo o sensuale: i personaggi di questo
intimo dialogo familiare (pittore-moglie) sono distribuiti ai lati di una finestra spalancata sulla luce e
sulla natura del giardino. La semplificazione geometrica e I'autonomia antinaturalistica evocano il
valore sacrale di un'immagine arcaica egizia o mesopotamica.

Alla metà degli anni venti Matisse si conferma pittore in costante evoluzione, attento al susseguirsi delle vicende
artistiche del suo tempo e impegnato in una ricerca originale e indipendente. L'artista sviluppa una visione
dell'oggetto considerato nelle relazioni con I'ambiente che lo contiene attraverso un personale utilizzo del colore.
Nel Nudo su fondo ornamentale una giovane donna dal corpo monumentale e scultoreo siede su un tappeto
orientale al centro di una stanza. Le pareti sono impreziosite da tappezzeria con motivi a cartouches che
racchiudono mazzi di fiori colorati. Accanto alla donna, che ha la sacralità di un idolo primitivo, vi sono una
pianta in vaso, una fruttiera contenente quattro pesche e un cuscino; alle sue spalle, appeso a un muro, uno
specchio in stile rocaille. Brillanti e aggressivi sono i colori di memoria fauve stesi con pennellate morbide e
sensuali, in ampie campiture uniformi. La profondità è annullata dalla mancanza di prospettiva e chiaroscuro e
dalla riduzione di ogni cosa alla bidimensionalità della tela. Obiettivo del pittore è dare vita a un grande stile
decorativo e ornamentale, in cui il ritmo delle linee e dei colori, indifferente alla rappresentazione mimetica del reale, agisce in totale
autonomia, relazionando con la forma considerata di per se stessa, come in una composizione musicale.

Analoghe osservazioni valgono per i numerosi dipinti di questi anni dedicati al tema delle Odalische, che in
un tripudio di forme e colori rutilanti celebrano il mito dell'eterno femminino, esaltandone il carnale
erotismo e la misteriosa sensualità. In Odalisca con pantaloni grigi la composizione è costituita da uno
schema di linee verticali e orizzontali (la tenda a bande colorate, le decorazioni del lenzuolo, la linea del
letto) che si incrociano a griglia per accogliere e delimitare, come in una partitura musical. Altre linee si
incurvano e assumono tracciati più morbidi e sinuosi, richiamando il corpo sensuale della donna sdraiata a
seno scoperto in abbandono.

L’esito estremo di tale linea di ricerca si riscontra in opere come La danza,


il monumentale ciclo pittorico eseguito per decorare i muri della Barnes
Foundation di Merion (Pennsylvania), che a distanza di oltre venticinque
anni riprende il tema di La gioia di vivere. Qui la figura umana, costruita a
tinte piatte e con un disegno essenziale fatto di linee purissime, leggere e
scattanti, è ormai ridotta a un simbolo astratto, a decorazione che traduce
ogni sensazione nel ritmo cantabile e giocoso di forme danzanti nella luce.

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DIE BRÜCKE: ERICH HECKEL (1883-1970), EMIL NOLDE (1867-1956),
KARL SCHMIDT-ROTTLUFF (1884-1976), MAX PECHSTEIN (1881-1955)
L’unione artistica Die Brücke è il primo raggruppamento espressionista a dotarsi di una denominazione
(ispirata al filosofo Friedrich Nietzsche e aspirazione a "traghettare" il linguaggio delle arti) e di elementi
programmatici. Kirchner, Bleyl, Heckel e Schmidt-Rottluff, quattro studenti di architettura, fondano la
Brücke nel 1905 a Dresda. I pittori della Brücke prediligono atmosfere cupe e drammatici caratteri
esistenziali (derivati dalla pittura realista tedesca mescolata all’influenza di Munch) che entrano in uno
sbalorditivo corto circuito con i colori puri e con i ritmi sensuali del Postimpressionismo e dell’arte negra.

Erich Heckel sembra avere un interesse per le relazioni personali, siano esse espressione d'un affetto
taciturno, quasi animale, come in questo quadro, oppure di tensione e conflitto. Particolare importanza è
conferita allo spazio compositivo dell'opera. Le sue scene non sono risolte tutte in superficie, ma collocate in
una dimensione reale, almeno evocata, come in Fratello e sorella, da poche linee strutturali o da campiture
di colore che definiscono i piani principali delI'ambiente. Lo spazio domestico o del paesaggio si trasformano
anche in precisi elementi simbolici e rappresentano il luogo della relazione o dell'isolamento.

Il quadro documenta l'interesse di questi artisti per I'arte gotica e in particolare per la tecnica degli smalti e
delle vetrate policrome. Anche la xilografia viene ripresa dai Brücke nei materiali propagandistici e nei volumi
da essi curati, dove le durezze disegnative di tale tecnica grafico-incisoria e il suo carattere arcaico o
popolare diventano tipici elementi di stile.

Il percorso di Emil Nolde rappresenta uno degli esiti più interessanti confluiti nell'Espressionismo
tedesco. La sua idea di una pittura antiaccademica carica di una componente mistico-popolare
esercita un’influenza sugli artisti più giovani. Nolde mantiene vive alcune componenti narrative e
antintellettualistiche, utilizzando liberamente il colore nei suoi paesaggi esotici, ma aspirando a più
ampie rappresentazioni esemplari e simboliche spesso legate alla trasfigurazione di soggetti sacri.

Nell'Ultima cena il pittore tenta di portare a una sconvolgente dimensione espressionista il


luminismo e I'introspezione psicologica. Cristo, già sofferente durante il sacrificio eucaristico, è
attorniato dalle solide figure degli apostoli, partecipi con una sottolineatura dell'aspetto di "visione
interiore" della scena.

Partito da un uso diretto del colore che prescinde dal disegno di contorno, Schmidt-Rottluff ha interesse
per il paesaggio, spesso trasfigurato in senso fantastico o simbolico, e I'aspirazione a una pittura
"monumentale" caratterizzata da pennellate dense e pastose. Il cromatismo della Brücke è calato in
questa rappresentazione, Estate, di bagnanti all'interno di contorni scuri che risentono della
geometrizzazione del Cubismo e della sintesi bidimensionale di Matisse. Il nudo femminile della figura di
destra è progressivamente assorbito dalla vegetazione estiva, sino a fondersi con essa in un’adesione
pànica all'ambiente naturale selvaggio.

Pechstein svolge un ruolo di primo piano nella crisi della prima Secessione berlinese che porterà, nel 1910,
alla fondazione di una Nuova Secessione, orientata alla promozione della pittura d'avanguardia. Nella ricerca
di un'espressione sintetica, Pechstein si muove agevolmente attraverso gli elementi fondamentali del
linguaggio postimpressionista ed espressionista, ricavandone Natura morta con idolo dei Mari del Sud e
fiori. Affascinato dalla mitologia degli esotici paesaggi dei Mari del Sud, ne ripropone la suggestione in questa
natura morta in cui sembra voler fondere Picasso e Matisse: la ricerca plastica cubista si avverte nella
costruzione volumetrica, per semplici piani contrapposti, della scultura africana; il decorativismo
orientaleggiante di Matisse è trascritto nell'andamento sinuoso degli steli fioriti.

ERNST LUDWIG KIRCHNER (1880-1938)


Kirchner, fondatore e personalità dominante della Brücke, vuole realizzare una pittura libera da schemi
precostituiti, che corrisponda alla vita anticonformista dell'artista, avversa a comportamenti borghesi.
Questa libertà si traduce in un'assoluta brutalità espressiva che, rivalutando I'arte "ineducata" e primitiva,
deforma in base alI'istinto individuale la realtà sensibile.

La frenetica atmosfera di una grande città come Berlino, negli anni che precedono la prima guerra mondiale,
contribuisce a orientare Kirchner verso soggetti urbani. Tra il, 1912 e il 1914 realizza un gran numero di "scene di
strada" ambientate nel centro della vita notturna berlinese. In questa Scena di strada berlinese tra i personaggi
rappresentati spiccano, ammaliatrici e al tempo stesso inquietanti, le cocottes, prostitute che animano i caffè e le
vie del quartiere. Qui le due figure femminili, ritratte come giovani ed eleganti senza alcun moralismo, affrontano
due uomini che procedono lungo la strada in senso opposto. Alle loro spalle si scorge un tram a cavalli. Tutta la
composizione si caratterizza per I'apparente rapidità di esecuzione che sottolinea il caotico movimento in diverse
direzioni dei gruppi di figure.

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PABLO PICASSO (1881-1973)
Riceve la propria formazione artistica tra Barcellona e Madrid. Nell’ambiente culturale del Café Els Ouatre
Gats di Barcellona si lega al pittore Carles Casagemas e nell'autunno del 1901 si traferisce con lui a Parigi.
Nella pittura di Picasso dei primi anni convivono I'aspirazione classica, l’intellettualismo simbolista e un
realismo in funzione patetica ed espressionista. Tra l’autunno del 1901 e la primavera del 1904 le sue tele
sono dominate dai toni scuri di un blu freddo e lugubre del periodo blu, ritraendo spesso figure di

emarginati. Dopo il trasferimento a Montmartre, nel 1905 I'espressività dei suoi personaggi si fa distaccata,
mentre i colori divengono più caldi e luminosi. Nel 1907 l'influenza congiunta dell'arte primitiva e di Cézanne
indirizzano la sua ricerca alla scomposizione della figura. Con Braque elabora, tra il 1909 e il 1913, la fase
"analitica" del Cubismo e, a seguire, la fase “sintetica". Picasso continuerà a sperimentare l'inserimento di
oggetti tridimensionali nei quadri o a costruire opere plastiche assemblando tra loro materiali diversi
(assemblages). Dal dopoguerra in poi il suo talento multiforme si caratterizza di numerosi slittamenti tra
soluzioni pittoriche apparentemente inconciliabili tra loro.

Tra il 1904 e il 1905 Pablo Picasso passa alla più pacata visione nostalgica dei Saltimbanchi. Al
compiacimento tragico delle figure allucinate di prostitute e di bevitori d'assenzio, si sostituisce un
patetismo meno narrativo e collocato fuori dal tempo. Gli arlecchini e i saltimbanchi che dominano il
periodo rosa costituiscono la più fortunata rielaborazione novecentesca dei personaggi della
commedia delI'arte o degli acrobati di strada divenuti, figure simboliche della miseria e
dell'isolamento dell'artista nella società borghese. Sono figure emblematiche della condizione
umana. La partecipazione diretta dello spettatore e delI'autore al loro stesso sentimento patetico è
sottolineata dall'autoidentificazione di Picasso con il personaggio dell'arlecchino e dall'articolazione
del gruppo delle cinque figure principali, in cui I'artista ricalca la disposizione delle dita della propria
mano. Il dolore e il disagio dei personaggi non sono in conflitto con la loro solida immobilità o con la
loro grazia narcisistica e decorativa. Arlecchini, vecchi guitti e giocolieri sembrano chiusi in una
dimensione quasi animale e per questo universalmente condivisibile. Anche il rosa diviene, attraverso il rigore disegnativo e la
sospensione psicologica sfoggiati da Picasso in questa grande composizione un elemento simbolico della silenziosa esposizione
dell'interiorità sofferente dei suoi personaggi.

La vita, opera tra le più note del precedente periodo blu, celebra allegoricamente il rapporto con la tradizione
artistica del passato, sublimando al tempo stesso la tragica scomparsa dell'amico pittore Carles Casagemas,
suicidatosi a Parigi nel 1901. Picasso vi rappresenta il rapporto ciclico tra la nascita e la morte. La coppia di figure
nude a sinistra è forse un'allegoria dell'impotenza creativa. Nel personaggio maschile, infatti, Picasso ha cancellato
un proprio autoritratto per sovrapporvi la fisionomia del suicida: egli indica con la mano sinistra la figura
emblematica di una madre col bambino, nettamente contrapposta, per la durezza dei ratti e per il castigato
costume, al lascivo abbandono della giovane donna a sinistra.

Elaborata nel 1907 a Parigi, l'opera Les Demoiselles d’Avignon identifica il soggetto come una scena di
postribolo nella malfamata via d'Avignone a Barcellona. Nel dipinto vengono poste le principali questioni
pittoriche che Picasso e Braque si sforzeranno di risolvere nei sette anni successivi. La profondità dello
spazio prospettico e il volume delle figure sono definiti attraverso un'identica costruzione disegnativa,
rovesciando i canoni della prospettiva geometrica rinascimentale. Ogni figura sembra essere resa
attraverso la combinazione di molteplici vedute prese da differenti punti d'osservazione: nei volti delle tre
figure più naturalistiche, a sinistra, gli occhi sono rappresentati frontalmente, mentre i nasi appaiono di
profilo. Le due figure di destra, le ultime a essere dipinte, presentano una scomposizione assai maggiore:
la riduzione dei loro volumi a una spigolosa intersezione di piani elementari deriva dalla scultura africana.
L'opera attira l'interesse di tutto il mondo artistico parigino, suscitando reazioni negative e di scandalo, ma
innescando al tempo stesso, attraverso l’attenzione di Braque e di Derain, la nascita del Cubismo.

È significativo che l'opera, oggi indicata come il testo inaugurale dell'Avanguardia novecentesca, non possa considerarsi conclusa e
risolta rispetto ai canoni di compiutezza e di coerenza formale fino a quel momento vigenti. Picasso elabora direttamente sulla tela
tutti i suoi ripensamenti e le sue evoluzioni: dal gusto per il primitivo e l'arcaico tipico dell'Espressionismo passa a una pittura
geometricamente strutturata, per appropriarsi dei piani antillusionistici e spezzati dell'arte "negra". Il momento fondativo di una nuova
tradizione artistica è già orientato alla creazione di un'opera aperta e senza la necessità di conclusione, poiché si tratta di portare
un'estetica di aspirazioni teoriche e analitiche, votata alla sperimentazione di soluzioni linguistiche sempre nuove.

In Bicchiere, chitarra e bottiglia è evidente la volontà di sottrarre gli oggetti all'infinita frammentazione delle
nature morte analitiche. Qui troviamo superfici bidimensionali, me chiuse (derivate dalla nettezza dei agli cartacei
del collage) e stesure opache e uniformi. I rapporti di chiaroscuro sono rappresentati schematicamente dalle
piatte campiture contrapposte di bianco, nero e grigio. Della chitarra una sorta di manico quadrangolare, foro
centrale e tre sole corde; mentre la cassa è dislocata a sinistra e in basso in tre profili consecutivi. Il bicchiere a
sinistra, che dovrebbe essere trasparente, ha un'ombra distinta sul piano appoggio e quest'ombra appare
inclinata. La bottiglia bianca ha l'aspetto di un disegno infantile. È come se Picasso volesse rappresentare in
pittura una delle sue strutture in cartoncino ripiegato e incollato.

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Picasso si propone di conferire un nuovo rigore alla propria pittura, approfondendo la ricerca personale
sul primitivismo e su Cézanne. Nel Paesaggio con ponte le masse compatte delI'albero, del campanile
e delle piccole case cubiche rinviano alla poetica cézanniana: in una lettera dichiarava di voler trattare
la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono, il tutto posto in prospettiva. Ma, nella primavera del 1909,
Picasso rompe la centralità e l'unità della prospettiva: il ponte taglia trasversalmente la scena,
sormontato dalle montagne all'orizzonte; la geometria e il trattamento chiaroscurale della veduta
rendono il peso e la plasticità dei singoli elementi, ma ognuno di essi resta come isolato.

La presenza di una squadra da disegno, inclinata da sinistra a destra, è probabilmente all'origine di questo titolo
descrittivo, Il tavolo dell’architetto. Il quadro però rappresenta il tavolo da lavoro dello stesso artista, sul quale
sono individuabili, una partitura e una pipa, una bottiglia con l'etichetta "marc" (un'acquavite) e un biglietto da
visita. L'analiticità del Cubismo si contrappone al razionalismo e alla riproduzione oggettiva della realtà naturale
intrecciati al mito del progresso tecnologico e dello scientismo positivista. Sulla scia della fuga dal reale che aveva
caratterizzato il Simbolismo, e parallelamente all'esplosione dell'emotività soggettiva dell'Espressionismo, Picasso
tenta di dare forma all'ordine fondamentale della realtà, dipingendo cioè “i fatti così come si conoscono”.

La genesi di Guernica è strettamente intrecciata alle vicende della guerra


civile (1936-39), che insanguina la Spagna provocando la morte di un milione
di persone e il rovesciamento del governo repubblicano. L'opposizione
armata al Fronte delle sinistre è condotta dal generale Francisco Franco, che
con l'appoggio di Mussolini e di Hitler porta al potere la destra monarchico-
fascista, (regime dittatoriale).

Il soggetto del dipinto è suggerito all'artista dalla notizia del bombardamento


terroristico della cittadina basca di Guernica (26 aprile 1937) da parte
delI'aviazione nazista. La distruzione della città provoca centinaia di morti tra
la popolazione civile, suscitando enorme sdegno nell'opinione pubblica mondiale. Picasso, che all'epoca risiede a Parigi, si mette al
lavoro già il primo maggio, dopo aver osservato sul quotidiano "Ce soir" del giorno prima le fotografie del massacro. Con
quest’opera, la cui lavorazione è documentata da un reportage fotografico di Dora Maar, sviluppa su scala più ampia il tema delle
atrocità dei bombardamenti di Madrid e destinata a finanziare la lotta antifranchista. La tela assume i caratteri simbolici e universali di
una protesta contro tutte le guerre del mondo, illustrando i dolori e i lutti generati dalla violenza: Picasso affronta il soggetto
celebrando le vittime inermi, offese e straziate dalla violenza dell’oppressore (v. Goya). Al suo debutto all'Esposizione parigina il
dipinto riscuote controversia. Lo stile antirealistico e la complessità della tela suscitano polemiche e contestazioni nonché rifiuto da
parte di chi avrebbe voluto che il messaggio politico fosse esplicitato più comprensibilmente. Nel 1981, ripristinate le libertà
democratiche, Guernica e i disegni preparatori sono stati esposti al Prado e poi al Cento de arte Reina Sofia.

Il complesso iter creativo di Guernica è testimoniato dal gran numero di studi preparatori e dalle sei versioni successive che
precedono la redazione finale. Con una scelta inusuale Picasso, forse suggestionato dalle fotografie del massacro osservate sui
giornali, abolisce i colori utilizzando una scala ridotta di bianchi, neri e grigi, che meglio si adattano a esprimere i concetti del dolore,
del lutto e della morte. Da sinistra a destra si riconoscono: una donna disperata e piangente che tiene in grembo il corpicino del
proprio figlio morto, uno statuario toro dagli occhi spalancati, un soldato riverso in primo piano con in pugno una spada spezzata e
un fiore, un cavallo che nitrisce di dolore digrignando i denti e mostrando una lingua appuntita come una lama e una sorta di luna-
lampada elettrica, simile a un grande occhio conficcato nel cielo della notte. Più a destra un'altra figura femminile dal braccio
innaturalmente allungato si sporge da una finestra sorreggendo una lampada a petrolio mentre una donna a seno scoperto fugge in
preda al panico verso sinistra. Alle sue spalle si scorgono le macerie di una casa in fiamme.

La scena è ambientata in un luogo indefinito, tumultuoso e caotico dalla logica spaziale di tipo "esplosivo", che rende incerta la
distinzione tra interno ed esterno. Le figure diventano spettrali apparizioni che disarticolano lo spazio, evocando un'atmosfera di
dolore. La composizione è regolata da un preciso schema formale che si incardina nella figura del grande triangolo isoscele al centro.

GEORGES BRAQUE (1882-1963)


Braque cresce a Le Havre, dove intraprende i primi studi artistici, dedicandosi alla decorazione murale. Nel
1900 è a Parigi, dove si perfeziona. Tra i suoi interessi si intrecciano gli stimoli di tradizione impressionista e
dell'arte egizia e greca arcaica. Dal 1904 approfondisce la propria ricerca pittorica. Nell’autunno del 1907 ha
la rivelazione della pittura di Cézanne, in occasione della retrospettiva al Salon. Dal 1909 fino allo scoppio
della prima guerra mondiale il lavoro di Braque prosegue in un serrato dialogo con l'amico Picasso nelle fasi
del cubismo analitico e di quello sintetico. Chiamato alle armi nel 1914, viene ferito e riprende a dipingere
solo nel 1916. Nel dopoguerra si allontana dal Cubismo per proseguire la propria ricerca sulla definizione
della forma nello spazio pittorico, recuperando la pittura "neoclassica" degli anni venti e trenta.

La messa a punto del linguaggio pittorico cubista, pur partendo dall’influenza di Cézanne, non assume la
stessa forma di tendenza espressiva che aveva caratterizzato I'Espressionismo in Francia e all'estero, ma si
presenta come una scelta di campo stilistica con il linguaggio più geometrico. Viadotto a L’Estaque del
1908 è uno degli esempi della fase iniziale del cubismo cézanniano. L’opera
rappresenta una veduta pittoresca e complessa già dipinta dal vero dall'artista
e qui ripresa a memoria nello studio parigino. La versione del 1907 segna una
fase di passaggio in cui le forme nette e consolidate sono come dissolte da
una luce quasi candida, che attutisce ed equilibra le intemperanze cromatiche
dei fauve. Mentre nell'opera del 1908, sorretta da un impianto disegnativo che
agglomera al centro le masse degli edifici, la stesura stessa del colore ad ampi
tratteggi diagonali contribuisce a modellare plasticamente le forme.

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Nella fase del Cubismo analitico I'unità della forma visiva di un esteso campionario di soggetti appena
distinguibili è sottoposta da Picasso e Braque a un processo di scomposizione, quasi a voler elaborare
immediatamente i possibili risultati derivati dalla nuova concezione volumetrica della pittura. La qualità tattile
della visione cubista è legata, secondo Braque, all'immobilità e alla presenza fisica della natura morta. I semplici
arredi e gli oggetti rappresentati nel Tavolo rotondo si prestano a un accostamento ravvicinato, a essere
manipolati dall'artista e ripresi da più punti di vista. Il soggetto riprodotto è utilizzato come segno. Gli elementi
reali (figure o nature morte) sono spesso identificabili soltanto grazie ai titoli, oppure attraverso un lavoro
d'osservazione e di ricostruzione visiva. In Tavolo rotondo, l'unica chiave di lettura per comprendere I'operazione
di Braque è quell'elemento grafico-disegnativo che permette di individuare, il ricciolo e le corde di un violino, il
profilo di un tavolo, una pagina di musica e il collo di una bottiglia.

Nel rappresentare la realtà concepita, I'artista può rendere I'apparenza delle tre dimensioni. Questo non si potrebbe fare rendendo
semplicemente la realtà vista, a meno di non praticare l'illusionismo del trompe-l’œil, attraverso lo scorcio o la prospettiva, che
deformerebbero la qualità della forma concepita. Paradossalmente la resa dei personaggi e degli oggetti nella pittura cubista mira ad
aderire strettamente alla realtà come noi la conosciamo, rifiutandosi di sacrificare alle convenzioni della prospettiva geometrica
rinascimentale la reale volumetria di ciò che rappresenta.

L’ORFISMO E LA SECTION D’OR:


ROBERT DELAUNAY (1865-1941), FERNAND LÉGER (1881-1955)
La pubblica rivelazione del Cubismo avviene in occasione della partecipazione di Delaunay, Léger, Gleizes,
Le Fauconnier, Metzinger, Duchamp-Villon e Duchamp al Salon des Indépendants e al Salon d'Automne nel
1910. Apollinaire accompagna l'intera parabola del Cubismo, contribuendo in maniera determinante a
crearne l'immagine di un movimento d'avanguardia compatto. Egli descrive un Cubismo scientifico di
Picasso, Braque e Gris, un Cubismo fisico (scomposizione formale) un Cubismo istintivo (semplificazioni
formali dai postimpressionisti/espressionisti) e un Cubismo orfico (o Orfismo).

Il tentativo di classificazione di Apollinaine corrisponde alla realtà disomogenea che la tendenza cubista
assume tra il 1911 e il 1913, anche a causa di protagonismi. Delaunay l non partecipa alla Maison cubiste
allestita per il Salon d'Automne del 1912 né alla grande rassegna intitolata la Section d’or. L’orfismo deriva il
nome dalla figura mitica di Orfeo, indicando le capacità di trasfigurazione lirica e la libera armonia di forme e
colori.La simultaneità della visione orfica ne Forme circolari. Sole, Luna gli consente di rappresentare in
due sorgenti luminose, portando a un nuovo esito le ricerche scientifiche di Seurat e Signac. La luna, a
sinistra, è rappresentata da una geometria circolare stabile e accompagnata da equilibrati contrasti di colori
complementari, il sole, a destra, è reso attraverso un contrasto di tinte squillanti e di instabili forme a spirale.

Il Cubismo di Léger viene percepito come una corrente in qualche modo "eretica" rispetto
all'ortodossia delle iniziali proposte di Picasso e Braque. La sua pittura si sviluppa come una ricerca
personale che giunge a proporre strutture intricate, in cui ogni forma è resa attraverso la
giustapposizione di semplici elementi cilindrici o conici. Come possiamo vedere in Soldati che
giocano a carte, la realtà, i cui singoli elementi sono tratteggiati con rigorosi contorn neri e arricchiti
di riflessi metallici nei toni del bianco o dei colori puri, assume l'aspetto di un infinito meccanismo
d'acciaio in perpetuo movimento, specchio di un emergente mondo governato dalla macchina.

UMBERTO BOCCIONI (1882-1916)


Alla fine del 1899 si trasferisce a Roma dove avvia, autonomo, la propria educazione artistica: frequenta lo
studio di un cartellonista e la Scuola libera di nudo dell'Accademia di belle arti, dove conosce Severini.
Determinante è l'incontro, nel 1901, con Giacomo Balla che lo introduce alle atmosfere e alla tecnica del
Divisionismo italiano e alla purezza di colore e luce dell'impressionismo e del Postimpressionismo francesi.
Nel 1906 trascorre alcuni mesi a Parigi, dove rimane colpito dalla vitalità della metropoli e si aggiorna sugli
esiti della pittura di Van Gogh, Cézanne e Matisse. La vita particolarmente attiva della città lo stimola a una
ricerca più personale. Dipinge diversi ritratti poi incontra Previati, del quale ammira la tecnica pittorica e la
capacità di trasfigurazione ideale del soggetto, in una pittura divisionista. All'inizio del 1910 incontra Filippo
Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista. Il ruolo trainante di Boccioni è evidente, tanto sul
piano formale quanto su quello teorico.

La scomposizione cromatica del Divisionismo si intreccia alle suggestioni contenutistiche e formali


delle Secessioni mitteleuropee e del Simbolismo. Vi si aggiunge l'interesse per il simbolismo pre-
espressionista di Munch e soprattutto per l'uso di un tratto lineare in funzione emotiva,. A partire
da questo esempio Boccioni opera una trasfigurazione espressiva dei propri soggetti realistici, in
nome di quella che definisce come una “poetica soggettiva degli stati d’animo".

La periferia urbana è per l'artista una nuova frontiera del cambiamento. Il confronto tra la nuova
civiltà meccanica e un'energia naturale e primitiva è il soggetto di una delle prime sintesi futuriste
dipinte da Boccioni: La città sale, inizialmente intitolata più sommessamente Il lavoro. Ancora una
volta l'autore si affaccia alla visione del suo tempo, rappresentando dalla finestra della propria abitazione i lavori di scavo per la
realizzazione di una vasca di raffreddamento per la centrale elettrica di piazza Trento. La città "sale" nel materiale innalzarsi dei suoi
palazzi e nel simbolico sprigionarsi dell'energia animale e di quella elettrica. Sullo sfondo di un orizzonte urbano caratterizzato da una
linea tranviaria, da pali elettrici e da ciminiere, un grande cavallo da tiro color fuoco si trasforma simbolicamente in una sorta di
Pegaso. La sua immagine è frammentariamente replicata quattro volt, per esprimere la vertiginosa rapidità del movimento. Lo stesso
autore vede inizialmente La città sale come un'ultima opera di transizione, in vista del pieno sviluppo di un autonomo linguaggio
pittorico futurista. È ancora presente l'enfasi simbolica del divisionismo di Previati: Boccioni pensa di utilizzare questa scena come
parte centrale di un trittico, dedicato al lavoro. La geometria sottostante al disegno complessivo perde ogni funzione di equilibrio,
fondandosi invece su "linee di forza" che esprimono il movimento.
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L'artista si era trasferito a Milano nel 1907 e aveva percepito nell’espansione industriale del
capoluogo lombardo un soggetto affascinante. In un Autoritratto del 1908 Boccioni si
rappresenta modernamente abbigliato in soprabito e colbacco, mentre alle sue spalle appare
una delle prime vedute di periferia milanese: è il nuovo
ambiente, lontano dall’idillio ottocentesco. Officine a
Porta Romana è uno dei momenti culminanti della ricerca
immediatamente prefuturista di Boccioni.

Boccioni si propone di comporre il dissidio tra la fisicità della materia bruta e il movimento, inteso come
manifestazione dell'energia e della vita. La sua Materia – un ritratto della madre, simbolo della facoltà
generatrice – è a sua volta energia. In questo modo di rapportarsi con la realtà entrano elementi nuovi:
l'emotività e lo stato d'animo dell'artista, la ricostruzione della memoria che trasforma la percezione visiva. La
madre dell'artista è ritratta sul balcone della stessa casa, mentre le forme accennate di un cavallo rosso, a
sinistra, e di un uomo che cammina, a destra. In Materia il movimento è inteso come un dinamismo continuo e
universale, che finisce per interessare tanto i soggetti statici quanto quelli in movimento. L'artista proietta
l'immagine della madre in un movimento vorticoso, dislocandone alcuni volumi e frammentandone l'unità
plastica attraverso la metodica irruzione al suo interno di elementi del contesto ambientale. L'unità tra oggetto
e spazio circostante è resa attraverso la compenetrazione dei piani.

A lungo trascurata dalla critica, Dinamismo di un cavallo in corsa + case dichiara fin dal titolo il valore
polemico e paradossale. Boccioni non ci offre la rappresentazione di un cavallo, soggetto tipico dei
monumenti ottocenteschi, bensì quella del dinamismo del suo galoppo, in una compenetrazione completa
con il paesaggio urbano. Le "case" erano in origine rappresentate da un perduto pannello di fondo dipinto
a olio e gouache, oggi sostituito da un fondale neutro. L’impiego di materiali eterogenei esprime la volontà
sperimentale e avanguardistica di Boccioni. I futuristi, attaccando qualunque idea di tradizione e museo,
erano giunti a proporre, non sempre coerentemente, un'arte assolutamente attuale, destinata a concludere
il proprio ciclo di esistenza entro una generazione e a essere poi dimenticata dai posteri, per lasciare
spazio a sua volta a nuove forme di creatività. Il soggetto e il procedimento di scomposizione visiva sono
collegabili a quelli adottati da Boccioni in numerosi dipinti. Le caratteristiche centrali del Futurismo pittorico
di Boccioni e Balla, cioè la rappresentazione del movimento e dello stato d'animo (risolta nella simultaneità della visione percettiva e
di quella interiore), trovano difficile applicabilità nelI'arte plastica, vincolata assai più della pittura da problemi statici e realizzativi.

Nell'opera di Boccioni, la scultura polimaterica dialoga con realizzazioni in gesso (fuse in bronzo dopo la
morte prematura dell'autore) dalle evidenti aspirazioni monumentali e di permanenza, come le Forme uniche
della continuità nello spazio. In opere come questa si esplicita la contrapposta volontà boccioniana di
giungere a una nuova sintesi plastica della figura umana in continuità con la tradizione dell'antichità e del
Rinascimento. Benché Marinetti avesse anteposto la bellezza di “un automobiles da corsa a quella della Nike
di Samotracia”, il riferimento alla nota scultura ellenistica è evidente in quest'opera di Boccioni, in cui la
macchina del corpo umano in movimento è rappresentata nel suo energico groviglio di muscoli e tendini e si
fonde aerodinamicamente con l’ambiente.

GIACOMO BALLA (1871-1958)


Giacomo Balla aderisce al movimento futurista firmando nel 1910 il Manifesto dei pittori futuristi e del
Manifesto tecnico della pittura futurista. Nella prima fase del suo percorso aveva approfondito gli aspetti
sociali e quelli ottico-percettivi del Divisionismo: la sua influenza era stata quindi determinante per la ricerca
divisionista di Boccioni e Severini.

Nella resa del movimento l'atteggiamento è più pragmatico e analitico rispetto alla sintesi e alla
simultaneità di Boccioni. Si rivolge all’indagine tecnico-scientifica della locomozione proposta dalla
cronofotografia di Muybridge e Marey. Questa Bambina che corre sul balcone si collega in parte alle
figure femminili riprese in controluce sulla linea di confine tra spazio interno e spazio esterno. Qui il
movimento è trascritto in distinguibili immagini successive. Balla rappresenta cinematograficamente una
sequenza di posture, senza esprimere la continuità e la simultaneità del dinamismo. L’applicazione della
materia pittorica a grosse tessere quadrate distaccate tra loro non ha nulla della libertà e
dell'aggressività di analoghe stesure di Matisse. Al contrario, questa resa a mosaico sembra voler dare
un preciso ordine alla realtà in divenire.

Per Balla il movimento non è solo un carattere particolare del soggetto rappresentato, ma coinvolge ogni
corpo e lo spazio circostante. Un andamento ancora schematico e meccanicistico entra in una relazione
sempre più complessa, negli studi sul movimento umano o animale, con il tempo della percezione, con il
punto di vista e con 1o stato d'animo soggettivo. Balla tende a cancellare i contorni, a far sovrapporre e
confondere le forme attraverso il libero uso del colore e della luce. I corpi dei suoi personaggi diventano
sagome luminose e trasparenti, accese da vividi contrasti cromatici. Nella serie delle Compenetrazioni
iridescenti la luce stessa diventa il soggetto dell'opera, creando composizioni completamente astratte
con grande tempismo rispetto a parallele soluzioni italiane.
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FUTURISMO: CARLO CARRÀ (1881-1966), GINO SEVERINI (1883-1966), ANTON GIULIO
BRAGAGLIA (1890-1960), ARDENGO SOFFICI (1879-1964), FORTUNATO DEPARO (1892-1960)
I proclami del primo Manifesto dei pittori futuristi sono ribaditi nel Manifesto tecnico della pittura futurista
(1910). Per loro è necessaria l’espressione della mutevolezza del reale come una sintetica «sensazione
dinamica», che supera le distinzioni tra passato e presente. A questo scopo i futuristi utilizzano la
frammentazione delle figure, l'uso radicale degli accostamenti di colori complementari, la disgregazione dei
corpi. Il Futurismo giunge a ipotizzare un'azione rivoluzionaria e totalizzante su ogni aspetto della vita reale
all'insegna di una ricostruzione futurista dell'universo.

Il passaggio di Carlo Carrà al Futurismo ha il carattere di una scelta formale, scevra del
misticismo decadentistico o dell'idolatria della macchina che caratterizzavano le posizioni
tardosimboliste del fondatori del movimento. Egli propone una personale declinazione del
dinamismo futurista, attento all'architettura delle composizioni e agli interessi volumetrici del
Cubismo, fondati sulla tensione dinamica dell'angolo acuto, del cono e della spirale. Nei Funerali
dell'anarchico Galli rappresenta uno scontro di piazza nel quale si era trovato coinvolto anni
prima. L’artista giunge a riformulare completamente la scena, in cui lo spettatone è scaraventato
al centro del quadro, quasi attorniato dalla folla in tumulto. Lance e bastoni fendono l'aria lungo
traiettorie circolari; al centro la bara (rossa perché coperta di garofani) oscilla e sta per essere
rovesciata, mentre il sole proietta le ombre lunghe dei personaggi raffigurati in controluce.

Gino Severini si trasferisce a Parigi nel 1906 facendosi portavoce del Futurismo nel dialogo a distanza coi
cubisti. A Parigi verifica e riformula il proprio Divisionismo a partire dal puntinismo francese per rivolgersi a
una scomposizione delle forme basata sulla geometria di Picasso e Braque, ma vivacizzata dal dinamismo
futurista. In La chahuteuse o Dinamismo di una danzatrice, vediamo la rappresentazione della
movimentata vita notturna dei teatri e dei caffè parigini a interessare Severini, che fa della figura femminile il
tema ricorrente di molte sue composizioni. Si tratta di ballerine, rappresentate nel momento culminante della
loro esibizione. L’immagine di per sé non è sensuale o seduttiva, ma rappresenta una forte carica vitale
espressa dalla frenesia della danza.

Nata come tecnica di indagine fisiologica, la cronofotografia, cioè la combinazione in un'unica immagine di una
sequenza di riprese fotografiche di un soggetto in movimento, era stata, alla fine dell'Ottocento, al centro di
polemiche artistiche sulla rappresentazione del movimento in pittura. Bragaglia, spaziando dalla scenografia alla
regia teatrale e cinematografica, si dedica a indagarne le possibilità espressive attraverso la tecnica del
"fotodinamismo". In Un gesto del capo si può percepire la frenetica realtà contemporanea.

Scrittore, critico e pittore, Soffici è in contatto con l'ambiente artistico di Parigi sin dall'inizio del secolo. Egli
mantiene una posizione distaccata rispetto al Futurismo marinettiano. Nelle tavole pubblicate nella sua raccolta
BÏF§ZF+18, tra cui troviamo l’opera Tipografia, offre un'originale versione delle «parole in libertà».

La ricostruzione futurista dell'universo, manifesto pubblicato da Balla e Depero nel 1915, introduce il
tema della diretta azione dell'arte su tutti gli aspetti dell'esistenza umana. Balla e Depero si propongono
di realizzare una fusione totale tra tutti gli aspetti delI'arte e dell'esistenza. L’artista trentino realizza
un'infinita serie di ambienti e personaggi giocosi e fantastici, assemblati in coreografici complessi
plastici, in movimento, evocatori di una modernità meccanizzata, come vediamo in I miei “Balli
plastici”.

VASILIJ KANDINSKIJ (1866-1944)


Kandinskij, nato a Mosca, si avvia a studi economicogiuridici nella capitale, sviluppando interessi sociali.
Matura la decisione di dedicarsi alla pittura, stabilendosi a Monaco, dove la cultura secessionista dello
Jugendstil influenza la sua tardiva formazione: nel 1900, è ammesso alla scuola di von Stuck all'Accademia
di belle arti, dove incontra Paul Klee. Nel 1908, alternando i soggiorni a Monaco con quelli nel villaggio di
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Murnau, Kandinskij fonda la Nuova associazione degli artisti di Monaco e comincia a lavorare per il teatro.
Nell'estate del 19O8 termina la stesura del suo primo, fondamentale, scritto teorico Lo spirituale nell'arte,
pubblicato alla fine del 1911, un cui arriva, con la semplice armonizzazione di colori e forme, all'astrazione.
Tra il 1911 e il 1912 è animatore del progetto de Il Cavaliere azzurro (1912) e delle mostre promosse dalla
sua redazione. Essendo cittadino russo, nel 1914 è costretto ad abbandonare Murnau, allo scoppio della
prima guerra mondiale. Rientra in Germania, dove, dal 1922 al 1933, insegna nella scuola del Bauhaus,
fondata nel 1919 da Waher Gropius. Egli approfondisce gli aspetti psico-percettivi legati all'articolazione
sulla superficie di forme astratte che tendono a una sempre maggiore geometrizzazione.

Vicino alla Secessione di Monaco Kandinskij continua a coltivare l'interesse etnografico per la
tradizione popolare della Russia contadina. Anche in vista di una rinnovata identità culturale
nazionale, il retaggio della cultura popolare aveva raggiunto un particolare significato pedagogico
nella Russia. I costumi multicolori dei contadini russi, la magnificenza dei loro tessuti e la vitalità
senza tempo della musica tradizionale e della cultura orale ritornano nelle opere dipinte da
Kandinskij. La vita colorata mette letteralmente in scena, sotto I'apparenza metaforica di
un'affollata sagra di paese, un complesso meccanismo di luoghi comuni, topoi, di simbologie
legate al ciclo della natura e della vita umana, di trasfigurazioni mitico-fiabesche della cronaca e
della storia. La madre, il monaco, il vecchio pellegrino, il guerriero, gli amanti (archetipi delle
diverse condizioni dell'esistenza) sono inseriti in un paesaggio che richiama le illustrazioni dei libri
per l’infanzia, dominato dalle cupole di un Cremlino che diviene immagine della Gerusalemme celeste e quindi di una dimensione
spirituale superiore rispetto alla realtà quotidiana. Nonostante sia realizzata su tela, si avvicina per tecnica e per gusto alla tecnica a
tempera, in cui l'autore evoca la memoria e la narrazione un passato leggendario. A questa riscoperta dell'arte germanica medievale
si associa la ripresa della cultura russa, nella quale alcuni aspetti di simbolismo spirituale e di sintesi formale erano rimasti vivi.

All'interesse per l’immaginario favolistico vanno ricondotte anche le numerose rappresentazioni del solo
personaggio del principe o del guerriero a cavallo, come in Il cavaliere azzurro, spesso ammantato d'azzurro,
colore della purezza e della spiritualità. Da tali spunti paralleli deriverà, nel 1911, il titolo assegnato
all'almanacco e al gruppo artistico promossi dai due pittori.

In questo clima Kandinskij giunge all'ipotesi di una pittura non figurativa, ovvero non più fondata sulla
riproduzione delle forme reali, benché conservi un legame con la realtà. Il punto di partenza naturalistico
dell'Impressione V è infatti uno Studio dal vero dipinto a Murnau, in cui un “paesaggio interiore” è reso
attraverso la distorsione e intensificazione espressionista del dato naturale. L'allontanamento dalla
figurazione ha motivazioni culturali che spaziano dalla crisi della scienza positivista all'idea wagneriana di
opera d'arte totale e alla sperimentazione musicale del Novecento, con l'ipotesi di una corrispondenza tra
suono e colore in termini di armonia. Il triangolo rosso può ricordare, in una semplificazione assoluta e
indifferente a qualsiasi valore volumetrico, la struttura piramidale di opere di Cézanne. Ma la linea
dell'orizzonte, i tronchi degli alberi, la strada in prospettiva e i due personaggi, sono trasformati nelI'opera
in puri tratti grafici o in zone di colore. La riflessione sulla pittura avviata per la stesura del saggio Lo
spirituale nell’arte lo porta ad articolare in tre serie principali (Impressioni, Improvvisazioni, Composizioni) la
propria produzione pittorica di quegli anni, lungo un percorso che conduce ad un completo abbandono di
ogni vincolo con la rappresentazione del reale e quindi al conseguimento di una pittura astratta.

I rapporti con il Costruttivismo lo inducono alla ricerca di una nuova organizzazione spaziale ed
espressiva, che si traduce nell'adozione di forme geometrizzate e nella subordinazione dei colori a
principi e regole razionali. L'intento dell'artista è quello di pervenire a una vera e propria “grammatica
della pittura” e di dare una base scientifica e razionalità ai rapporti tra forma, spazio e colore. Sulla
base dei presupposti iscritti nei suoi trattati, abbandona le libere e impetuose stesure di colore,
l’irregolarità e I'organicismo delle forme a favore di un maggiore rigore di forme geometriche. In
Composizione VIII figure geometriche dense di colore e interattive creano una composizione
pulsante, che appare alternativamente calma e dinamica, quieta e aggressiva. Sul fondo di una
tonalità chiara e leggermente azzurrata cerchi, triangoli, quadrati, rettangoli, linee e strutture reticolari danno vita a una danza che ha
I'aspetto e il ritmo di uno sciame cosmico. La tela è dominata dalla fuga di forme sovrapposte e incrociate, che versano con
andamento diagonale. Tale movimento è parzialmente frenato dalle due linee convergenti a "V" rovesciata, il cui vertice è tangente al
bordo superiore della tela. Alla gestualità pittorica carica di energia dei quadri subentra una stesura del colore più controllata e lenta,
che non lascia trasparire sussulti emotivi.

L’importanza assunta in questo dipinto dai cerchi prefigura il ruolo dominante che essi giocheranno in molte
opere successive, da Accento in rosa al cosmico e armonioso Alcuni cerchi,
entrambi del 1926. In quest'ultima opera forse influenzata dal Surrealismo di Miró
e Arp, Kandinskij riassorbe e trasfigura gli elementi grafici e geometrici in una
dimensione magico-poetica, come per una trasposizione in chiave astratta e
ritmica di contenuti onirici e inconsci. Il cerchio è la sintesi delle più grandi
opposizioni poiché combina il concentrico e I'eccentrico in un'unica forma in
equilibrio e indica più acutamente e chiaramente la quarta dimensione.

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PAUL KLEE (1879-1940)
Figlio di un professore di musica, Paul Klee è un eccellente violinista e suona a lungo nell'orchestra di
Berna. La familiarità con la musica e la conoscenza dei processi compositivi lo avviano ad una concezione
estetica capace di contemperare i diversi ambiti dell'arte e della cultura del suo tempo. Nel 1900 frequenta
l’Accademia di von Stuck. L’anno della svolta è il 1911, quando incontra Macke, Marc e Kandinskij, con i
quali dà vita al gruppo del Cavaliere azzurro (arte≠natura; arte=astrazione dalla realtà). Tra il 1912 e il 1913
incontra Delaunay e conosce l'arte dei futuristi. Per undici anni svolge un'intensissima attività didattica che
lo stimola a sistematizzare le idee sulla natura del linguaggio artistico e sulla grammatica della pittura.

In Klee riconosciamo il passaggio da un'immagine che resta ancora decifrabile, come in Cupole rosse e
bianche: ma anche in questa pittura di orientamento astratto, la stessa composizione "orientaleggiante" con
cupole e minareti si trasforma in una pura sinfonia di toni cromatici. L’adesione panica ai valori della luce e del
colore, scoperti in occasione di un viaggio in Tunisia, nel 1914, si accompagna in Klee a un costante
approfondimento degli elementi strutturali e linguistici della pittura.

Klee compie un viaggio nel 1914 in Tunisia. Per il pittore svizzero la luce abbagliante del Mediterraneo, il
colore delle città e dei paesaggi nordafricani e la magica atmosfera delle notti arabe hanno l'effetto di una
rivelazione, rafforzandolo nella convinzione di essere un pittore autentico. L’interesse per I'arte primitiva,
le culture arcaiche e l'espressività infantile indirizzano la ricerca di Klee verso un linguaggio in cui il
figurativo e I'astratto, il descrittivo e il simbolico, si intrecciano in un'iconografia e in un linguaggio inediti.

In Ad Parnassum, omaggio a una classicità filtrata attraverso un sogno infantile, le superfici cromatiche
dei mosaici bizantini rivivono nello splendore di una tela "edificata" con minuscoli mattoncini di colore
puro che immergono l'immagine in una luce iridescente. Il lontano triangolo della montagna che sorge
all'orizzonte è messo a contrasto con la sagoma dell'edificio con arco in primissimo piano. La pennellata puntiforme è un mezzo per
conferire una particolare trasparenza e ampiezza alla struttura cromatica. Klee mantiene con la realtà un rapporto quasi sotterraneo e
affettivo: traspone il disegno delle cose osservate dal vero o fissate nel ricordo in una tessitura di intarsi cromatici che ne
costituiscono il corrispettivo in termini di ritmo, spazio e armonia.

In Villa R. il centro della tela è occupato dalla sagoma fantastica di una villa costruita con rettangoli, quadrati e
triangoli colorati, che sembrano provenire dalle scatole di costruzioni usate dai bambini. Sullo sfondo si distende
un paesaggio formato da colline dal disegno semplificato. In primo piano, tra rari alberi schematizzati, una
strada rossa attraversa la tela come un fiume, lambendo la villa e perdendosi sulla destra. Inline una grande "R"
verde campeggia in primo piano sovrapponendosi al tracciato scarlatto della strada. L’iconografia del dipinto
coniuga la magia incantata della tavolozza, orchestrata sul contrasto complementare dei rossi e dei verdi, con la
semplicità del disegno. Essa attinge all'immaginario del pittore. all'incombente ricordo di una misteriosa villa
"R", incontrata durante l'infanzia.

Il carattere del segno si fa aggressivo e pesante, spesso e cupo, come se a un'espressione


sussurrata a bassa voce subentrasse adesso l'esclamazione di poche e violente parole. In Porto
fiorente la poetica di un'immagine concepita come riflesso dell'energia vitale che, crescendo,
trasforma e modifica l'ordine del cosmo, si traduce in un gioco di incastri e di ramificazioni grafico-
cromatiche. Il porto si distende con l'andamento di un arazzo, con figure essenziali come
ideogrammi all'interno di uno spazio bidimensionale.

PIET MONDRIAN (1872-1944)


Pieter Cornelis Mondriaan si dedica a una pittura di paesaggio sensibile al gusto simbolista, sviluppando un
profondo interesse per la teosofia. Dipinge vedute notturne o crepuscolari, passando poi a uno stile più
marcatamente espressionista e a un sintetismo spiritualista e geometrizzante. Il confronto col cubismo di
Picasso e Braque caratterizza la sua produzione successiva. Allo scoppio della guerra mondiale si trova in
patria e vi si trattiene fino al 1919. Il dibattito teorico di "De Stijl" e la progressiva riduzione di forma e colore
segnano la nascita della corrente del Neoplasticismo. Mondrian è riconosciuto come uno dei protagonisti
dell'Astrattismo internazionale. La sua pittura mira a distillare dall'apparenza mutevole del reale una nuova
plastica fatta di equilibri e di relazioni, che si limiti alla composizione di piani rettangolari governati dalla
proporzione matematica della sezione aurea.

Col suo ossessivo ritornare sulle stesse vedute e sugli stessi luoghi, Mondrian rinnova la rigorosa
indagine di Cézanne sulla struttura geometrica sottostante a tutti gli elementi del creato: un'indagine
condotta sul piano della tela, rinunciando alle distinzioni chiaroscurali, attraverso I'uso del colore puro
o del "non-colore". Mondrian si fonda sulla profonda interiorizzazione del plasticismo cézanniano.

Nell'Albero grigio il tronco inarcato e i rami privi di foglie sembrano fendere come i contorni piombati
di una vetrata la superficie argentata del cielo che si amalgama quasi completamente con il terreno
innevato. La descrizione dell'oggetto e l’unità disegnativa della forma non sono abbandonate. In
quest'opera l'immagine espressionista dell'albero si è via via ridotta a un intricato reticolo di eleganti linee rette e curve, che
suggeriscono un’armonia pitagorica sottostante alle cose, piuttosto 59che una concreta profondità spaziale.
L’effetto di luce azzurro-violetta di Crepuscolo suggerisce un'atmosfera fuori dal tempo, in cui I'albero
diviene simbolo dell'isolamento dell'individuo, in un momento di trapasso e di profondo mutamento
spirituale. L'insistenza sui toni azzurri che smorzano ogni contrasto, il disegno arabescato delle fronde
contorte e i tocchi staccati di colori complementari rinviano ai paesaggi montani di Segantini, esposti ad
Amsterdam nel 1909; mentre la pennellata eccitata e formicolante rende vibranti le forme, in una visione
soggettiva chiaramente debitrice alle soluzioni di Van Gogh.

Grazie alla progressiva essenzializzazione delle forme, procede dall'analisi diretta della natura verso
una concezione puramente mentale della pittura, in cui non esiste più contrapposizione tra forma e
contenuto, materia e spirito. Giunge ad armonizzare tutti gli elementi in un'unità fondata sulle regole
auree della geometria e della matematica. Nei Quadri e nelle Composizioni degli anni seguenti ogni
riferimento a un riconoscibile soggetto reale è abbandonato: la tela è occupata unicamente da
agglomerati di semplici campiture geometriche colorate. In questa Composizione 10 in bianco e
nero. Molo e oceano del 1915, che evoca nel sottotitolo l'immagine ricca di aperture simboliche della
linea scura di un molo gettato verso l'immensità dell'oceano, anche la connotazione espressiva del
colore è rimossa. Sulla tela rettangolare imbiancata, semplici segmenti ortogonali tracciati in nero
suggeriscono una forma ovale inafferrabile. Dell'impressione visiva è rimasto l'elemento ritmico espresso da una struttura lineare.

Gli esiti più maturi della serie su aggregazioni reticolari di linee nere verticali e orizzontali e su piani rettangolari
dipinti seguono la redazione del saggio Neoplasticisme.

In Composizione con rosso, giallo e blu, I'impalcatura del quadro si articola sull'incrocio delle due ortogonali
principali che dividono la tela in quatto rettangoli leggermente diversi. Ciascuno di essi è a sua volta scomposto
e suddiviso al proprio interno da alte linee nere verticali e orizzontali e da stesure piatte di bianchi e grigi e dei
tre colori primari, che ne diversificano I'aspetto. Malgrado la fondamentale asimmetria la composizione, appare
in equilibrio, configurandosi come metafora di una superiore e universale armonia. Il carattere controllato e
regolare delle linee e I'uniformità delle campiture cromatiche hanno lo scopo di eliminare ogni residuo
"romantico" e contingente, proiettando l'opera in un universo formale regolato dai principi di oggettività e
razionalità. L'opera celebra la musicalità di un ritmo vitale ed espressivo. La somma dei diversi fattori che ogni volta concorrono alla
costruzione di un quadro di Mondrian (colori, linee, spazio) non soltanto è sempre uguale, ma è sempre uguale a zero.

Lo slancio utopico, tipico dell'età delle Avanguardie, subisce un sensibile ridimensionamento con I'avvento
della Seconda guerra mondiale e con il trasferimento a New York nel 1940. Victory Boogie-Woogie,
eseguito nella speranza della vittoria degli Alleati e rimasto incompiuto per la morte dell’artista, è lontano
dalla purezza un po' austera e dal radicalismo etico della fase precedente. L'opera riprende il tema della
losanga ed è costituita da una fitta griglia di quadrati e rettangoli di diversa grandezza dipinti di bianco e
grigio e nei tre colori primari (giallo, rosso e blu), creando un ritmo sincopato e un intenso effetto di
vibrazione ottica che anticipano I'Optical art degli anni sessanta. Il risultato complessivo, di vitalità e
dinamismo, è un esplicito omaggio alla città di New York, alla sua vita frenetica, alle sue strade brulicanti di
gente, alla sua musica, simbolo appunto della speranza di quegli anni che il pittore ama per la carica di
energia e di ottimismo nel futuro.

KAZIMIR MALEVIČ (1879-1935)


Gli sviluppi di un Simbolismo ricco di suggestioni letterarie e di aperture spirituali si coniugano nella cultura
pittorica russa al rinnovato interesse per la tradizione popolare, fonte di spunti propriamente barbarici e
primitivisti, manifestando un'inaspettata sintonia con I'avanguardia espressionista, cubista e futurista.
Malevič si avvicina a queste influenze intemazionali, grazie alla significativa mediazione di pittori primitivisti
e cubofuturisti. Le sue figure tozze e compatte di contadini e lavoratori sembrano derivare dall'intaglio
popolare in legno o dall'ingenua pittura d’insegne e da qui ne deriva, a partire dal 1911, una riduzione di
tutte le forme, siano esse quelle del paesaggio o quelle anatomiche, a un elementare montaggio di cilindri e
di coni, secondo una trascrizione letterale del dettato cézanniano. 


Il parallelismo con le strutture tubolari e le tinte metalliche di Léger è evidente, ma Malevič sembra bruciare
le tappe raggiungendo gli esiti più alti. In L’arrotino, il massimo dinamismo è espresso con la visione di
un'energia meccanica che non si limita a dare vita a un simulacro d'uomo, ma anima e fa vibrare anche lo
spazio circostante.

Il passaggio verso una radicale astrazione che esprima simbolicamente il senso di un cosmo in perenne
divenire è inizialmente proposto in occasione della sua collaborazione all'opera teatrale di Kručënych
Vittoria sul sole. Uno dei fondali dipinti dall'artista per la rappresentazione mostra la semplice forma
astratta di un quadrato bianco e nero. Solo più tardi l'autore utilizzerà. queste drastiche semplificazioni
come opere pittoriche autonome, esponendo Il Quadrato nero nel 1915. Agli accostamenti
"transrazionali" di elementi figurativi e forme diverse, Malevič sostituisce la rappresentazione simbolica di
una realtà superiore, realizzata attraverso il ricorso a una sintassi di forme e colori assoluti (il quadrato, il
cerchio, la croce; il bianco, il rosso, il riero) che rinviano alla dimensione rituale dell'icona ortodossa.

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— L’Arte tra le due guerre —
Dagli anni venti agli anni quaranta

Processi, contesti, prospettive delle civiltà artistiche


SVILUPPI DELLE AVANGUARDIE E “RITORNO ALL’ORDINE”
La tragedia della prima guerra mondiale interrompe il dibattito culturale del primo Novecento e costringe gli
artisti a un ripensamento del proprio ruolo, delle proprie responsabilità e strategie. Per molti di loro la guerra
ha significato un brusco ritorno alla realtà che non è più possibile ignorare e induce alla riconsiderazione del
senso e dell'eredità della rivoluzione attuata dalle Avanguardie di inizio secolo. Gli artisti maggiormente
consapevoli e sensibili alla situazione seguono due direzioni principali: da un lato la via della forma;
dall'altro la via "della realtà" , della rappresentazione dell'uomo e della sua esistenza. Nella generale crisi di
certezze si fa anche strada la volontà di ricostituire i legami con la storia e i valori della tradizione.

Il ritorno all’ordine è il tentativo di riavviare il dibattito culturale interrotto dal conflitto mondiale. Su un altro
versante, la continuità con la linea eversiva delle prime Avanguardie è rappresentata da movimenti e Scuole
come il Dadaismo, il Neoplasticismo, il Bauhaus e il Surrealismo, che rilanciano il progetto utopico di una
rivoluzione estetica globale. I totalitarismi riducono gli spazi di espressione artistica, a meno che l’arte non
si rappresenti affine ad essi. Nel dopoguerra, in un contesto ricco di tensioni sociali e di conflitti ideologici,
I'impegno politico degli artisti, spesso raccolti in gruppi, influisce notevolmente su modi e contenuti della
loro produzione. L’arte "impegnata" riflette la consapevolezza di una nuova responsabilità sociale e della
necessità di un lavoro artistico capace sia di immaginare e di progettare un mondo più giusto, sia di
denunciare le contraddizioni della società, affrontando le tematiche più urgenti della contemporaneità.

All'interno del fenomeno modernista la parola Espressionismo connota un territorio variegato, dove gli
elementi del rinnovamento Jugendstil si incontrano e si fondono con I'emergente razionalismo.
L'architettura espressionista si distingue per una forte tendenza alla semplificazione, congiunta a un rifiuto
di principi di proporzionalità astrattamente razionale. Essa guarda al modello offerto dall’asimmetrica
crescita organica delle forme naturali ed è segnata da disarmonie, accentuazioni ed esagerazioni dettate
dalla sensibilità dei singoli architetti.

Particolarmente vivace nella ricerca di una nuova architettura che investa I'intera società è il contesto
tedesco, segnato dalla nascita della Repubblica di Weimar (1919-1933). L’ambiguità del momento carica di
incertezze ogni iniziativa; la stagione di Weimar è una delle più ricche e fruttuose della cultura tedesca e non
solo: essa diventa un laboratorio di idee, in cui si trasformano i rapporti tra le arti e cadono le barriere tra
discipline artistiche e scienza. Il Bauhaus rappresenta I'esperienza più innovativa nell'ambito degli ideali dei
maestri del Movimento moderno. Nel nome Bauhaus si coniugano I'idea del costruire e quella di dare
all'attività costruttiva una casa. Il programma è imbevuto di accenti espressionistici, motivati dal timore che
la cultura artistica possa venir cancellata dal materielismo del capitalismo industriale e dalla convinzione
che l'unica via di salvezza sia da individuare in una rivoluzione dello spirito. Il suo modello didattico prevede
l'abbinamento di una rigorosa preparazione teorica con tirocini in laboratori, finalizzati all'acquisizione delle
tecniche e dei mestieri.

Per lo sviluppo di forme nuove di educazione artistica è importante I'esperienza sovietica. Nati nel 1918
nel nome di un'arte antindividualistica, gli atelier sovietici affermano a loro volta il principio del superamento
didattico e produttivo della divisione tra arte e arti applicate e di quella tra arte, tecnica e scienze. Le
innovative esperienze didattiche tedesche e sovietiche sono interrotte negli anni trenta dall'avvento del
nazismo, dello stalinismo, che promuovono il ritorno a un'arte realista e accademica, dai forti contenuti
ideologici e propagandistici e direttamente controllata dallo stato.

MUSEI, MOSTRE E COLLEZIONISMO D’ARTE CONTEMPORANEA


Nei decenni tra le due guerre si verificano le prime importanti aperture dei musei europei e americani
all'arte contemporanea. Esse sono la conseguenza di un’evoluzione dell'idea di museo, tradizionalmente
deputato alla conservazione del patrimonio artistico del passato e apparentemente inadeguato a recepire le
proposte della contemporaneità. L'affermazione di un nuovo modello di museo, capace di dialogare con i
movimenti artistici, è inizialmente contrastata dalla diffidenza delle stesse Avanguardie, che considerano i
musei templi del conservatorismo culturale. Gradualmente alcuni musei tradizionali iniziano ad affiancare
un'attività di promozione e di valorizzazione dell'arte contemporanea.

L’istituzione dei primi grandi musei d'arte contemporanea è spesso anticipata dall'attività e dalle iniziative di
gallerie e collezionisti privati, che hanno un ruolo decisivo nella promozione di artisti giovani ed emergenti.
La diffusione di nuove tendenze è favorita anche dalle mostre che sempre più spesso sono organizzate sia
da enti pubblici e privati sia dagli stessi artisti.

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L’idea dell'arte d'avanguardia come specchio più adeguato del secolo e della cultura della modernità,
diffusa fra le élite intellettuali americane ed europee, non è però condivisa da tutti. Il suo rifiuto, in quanto
presunto prodotto di una cultura ebraico-comunista e di una concezione pessimistica e antieroica della vita
e dell'individuo, spinge il regime nazista a svuotare i musei tedeschi di tutte le opere a essa riconducibili per
distruggerle o venderle all'estero. Tale opera di demonizzazione culmina con la grande mostra Entartete
Kunst ("arte degenerata"), inaugurata a Monaco nel 1937 e successivamente trasferita nelle principali città
del III Reich con l'intento di mostrare al pubblico tedesco le presunte perversioni e il disfacimento morale
presenti nelle opere di espressionisti, cubisti e astrattisti. La mostra, inaugurata il giorno dopo I'apertura
nella stessa Monaco della Grande rassegna d'arte germanica è visitata da più di un milione di persone e
finisce con il pubblicizzare a livello internazionale I'arte d'Avanguardia.

CONTINUITÀ DELL’AVANGUARDIA
Nel 1916, a Zurigo, un gruppo di artisti, poeti e letterati di varia provenienza dà origine a Dada, il più
eversivo movimento dell'Avanguardia europea. In questi anni la Svizzera, paese neutrale, diventa rifugio e
punto di incontro di esuli, disertori, obiettori di coscienza, emigrati politici, uniti dal rifiuto della guerra e del
sistema sociale dominante. Culla del movimento è il Cabaret Voltaire, luogo di ritrovo e discussione, che
diviene la sede di manifestazioni, serate di poesia, musica, teatro, risse e iniziative trasgressive. Il principio
cardine dell'azione dada (non significa nulla) è la negazione di tutti i valori e canoni estetici dell’arte,
accusate di essere funzionali ai valori del sistema borghese. Dada si propone come un modo di essere che
si esplica in azioni, performance, manifesti, riviste e oggetti con cui intervenire sulla realtà, saldando ogni
frattura tra arte e vita. La volontà di mettere in crisi modi di pensare borghesi stimola una strategia di
spiazzamento sull'accostamento di forme e materiali inconsueti, sulla degerarchizzazione delle tecniche e
dei generi artistici tradizionali, utilizzando collage, fotomontaggio e ready-made. Dada non è un fenomeno
confinato in Svizzera: a New York esso ha i suoi massimi esponenti in Duchamp, Man Ray e Picabìa; in
Germania trova un terreno adatto al suo spirito corrosivo durante Ia Repubblica di Weimar, assumendo, nei
fotomontaggi, una spiccata connotazione politica; à Parigi vive la sua ultima stagione, prima che un
esaurimento interno e dissidi tra gli artisti ne determinino la fine.

Nel 1921, alla prima rappresentazione parigina dell'opera Le cœur à gaz di Tzara, una rissa tra artisti e
intellettuali sancisce la definitiva rottura di Tzara e Breton, la fine di Dada e la nascita del nuovo
raggruppamento surrealista. L’anno successivo Breton, leader del gruppo, pubblica Il Manifesto del
Surrealismo, nel quale dichiara il proposito del nuovo movimento d'avanguardia di rivoluzionare il
linguaggio poetico e artistico e il mondo stesso, liberandolo dal conformismo borghese, dalle ingiustizie
sociali, dai tabù e dalle ipocrisie della morale cattolica. Il Surrealismo si presenta come un movimento
carico di progettualità e di intenti propositivi: suo obiettivo è l'emancipazione dell’individuo, cui restituire la
capacità di immaginare un mondo diverso, dando spazio al desiderio e scoperchiando l'oscura realtà
dell'inconscio psichico. L’integrazione di psicanalisi e marxismo, secondo i surrealisti, può essere la chiave
della liberazione totale degli uomini, sul piano individuale come su quello sociale. La soluzioni dadaiste
sono riprese e rielaborate, anche sotto le suggestioni dei meccanismi del sogno descritti da Freud, per
produrre quell'effetto di spaesamento e di shock percettivo considerato indispensabile per accedere
appunto alla surrealtà e favorire I'emergere dell’inconscio attraverso un carattere visionario.

Il movimento del Neoplasticismo o De Stijl, dal nome della rivista fondata nel 1917 in Olanda da Theo van
Doesburg, rappresenta uno dei momenti più significativi dell'astrattismo internazionale. Lo caratterizza la
ricerca di una qualità estetica basata su un armonioso ordine geometrico e razionale delle forme. Con il
nuovo termine di Concretismo i protagonisti del movimento intendono risolvere le ambiguità del concetto
di "astrazione" , che da un punto di vista etimologico (abstrahere, "tirare fuori da, derivare”) implica la
presenza di un oggetto reale come punto di partenza, appunto, dell'astrazione. Essi sostengono che le
opere di arte "concreta" non sono in alcun modo il prodotto di un'astrazione dalla realtà naturale, ma
mirano invece a costituire una realtà "altra" e autoreferenziale. Nel 1931, a Parigi, tale dibattito porta alla
costituzione del grande raggruppamento internazionale Abstraction-création.

La Parigi cosmopolita del dopoguerra infine, continua ad accogliere artisti di ogni provenienza, attratti dalle
possibilità di studio e di lavoro da quella che è ancora la capitale dell'arte. La definizione Ércole de Paris
non indica una scuola dotata di caratteri omogenei e riconoscibili, ma un insieme di artisti, dagli stili molto
diversi, che operano contemporaneamente nella Parigi di quegli anni.

ARTE IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE


Nel secondo decennio del secolo una delle proposte artistiche più innovative e cariche di conseguenze per
il futuro dell'arte europea è la pittura metafisica di Giorgio De Chirico. Già nel 1910-11 il pittore mette a
punto il proprio repertorio di immagini inquietanti ed enigmatiche con scorci di piazze deserte dove oggetti
comuni, statue, antichi palazzi e uomini-manichino, accostati con logica inafferrabile, suscitano effetti di
“spiazzamento". La produzione di De Chirico degli anni venti, pur mantenendo vivo il senso di mistero e
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sospensione del tempo, evidenzia I'inclinazione verso un "classicismo moderno” con dell’ironia. Diversi
sono gli orientamenti di Carrà, che rivela un minor interesse per le implicazioni filosofiche e un sentimento
del colore e delle geometrie costruttive.

Dalla fine degli anni dieci, il ritorno a una figuratività tradizionale e la presa di distanza dallo sperimentalismo
linguistico delle Avanguardie accomunano molti artisti italiani: punto d'appoggio teorico è la rivista Valori
Plastici", diretta dal pittore e critico Mario Broglio. La rivista costituisce un punto di riferimento per tutti
coloro che hanno intrapreso la strada di una figurazione ancorata alla tradizione e ricca d'implicazioni
arcaistiche e classicheggianti, connesse alla riscoperta della pittura italiana del Trecento e del Quattrocento,
e necessitano di discussione e di confronto. Obiettivo di "Valori Plastici" è coniugare modernità e tradizione.

Alla fine del 1922 il gallerista e mercante d'arte milanese Lino Pesaro organizza una mostra di sette artisti
che vengono presentati al pubblico con I'etichetta di artisti del Novecento. Accomuna gli artisti di
Novecento il bisogno di ordine compositivo e chiarezza dopo gli sperimentalismi delle Avanguardie. Ciò che
ricercano è un'arte nuova e moderna ma consapevole dei valori storici di un civile umanesimo figurativo, in
grado di restituire alla figura umana una piena dignità. Nonostante l'appoggio di Mussolini, sarebbe errato
considerare Novecento come un fenomeno artistico e culturale organico al regime fascista, che su tali temi
non prende posizioni univoche. Con lo sgretolamento del gruppo agli inizi degli anni trenta, gli artisti
intraprendono nuovi percorsi, individuali o di gruppo che, spesso orientati su tematiche di tipo intimistico e
sentimentale, si sforzano di mantenere vivi i legami con la cultura artistica europea.

Nel periodo tra Ie due guerre numerosi concorsi pubblici offrono prestigiose occasioni agli architetti italiani.
Quanto allo stile, emergono due tendenze, che peraltro tendono e influenzarsi reciprocamente una più
decisamente moderna e nazionale, I'altra legata a modelli architettonici della tradizione classicista.

Analisi delle opere


OTTO DIX (1891-1969)
La rivoluzione della socialdemocrazia tedesca che nel 1919 decreta l'avvento della Repubblica di
\íeimar genera un clima di effervescenza politica e di fiducia. Otto Dix, che ha conosciuto in prima
persona la tragica esperienza della guerra, dipinge Pragerstrasse, nome di una famosa via di Dresda
con l'intento di evidenziare le contraddizioni della realtà politica e sociale della Germania,
testimoniando le dure condizioni di vita del proletariato, dei disoccupati e dei reduci. L’opera
rappresenta uno scorcio della strada affollata di persone che portano addosso i segni e le ferite della
guerra appena terminata. Lungo il marciapiede si incrociano un uomo con bombetta e senza gambe,
che procede trascinandosi sopra un carrello mosso da corte stampelle, e un mendicante con paglietta,
a sua volta mutilato, che agita delle grottesche braccia di legno. A sinistra, a destra e in basso, tagliate
dal bordo della tela, figure di passanti elegantemente vestiti procedono in direzione opposta nella più
totale indifferenza. Alle spalle del mendicante una bambina si trova nei pressi di un negozio, la cui
ampia vetrina espone articoli insoliti, destinati ai mutilati e agli invalidi di guerra, che generano
inquietudine e smarrimento. Influenzato dalla cultura espressionista e dal Dada berlinese, tra i primi
movimenti dell'Avanguardia tedesca a realizzare opere di feroce critica e di satira nei confronti della borghesia.

GEORGE GROSZ (1893-1959)


Esponente di punta del Dada berlinese, George Grosz si distingue per la vena polemica nei confronti del
militarismo e dei vizi della borghesia che illustra in opere aggressive, influenzate dall’espressionismo e dal
cubofuturismo. Alla metà degli anni venti espone con Otto Dix alla mostra della Neue Sachlichkeit (Nuova
oggettività), applicando uno stile più realista ma non meno irriverente e corrosivo.

Le colonne della società raffigura in tono satirico i rappresentanti emblematici delle classi dominanti nella
Germania del tempo: capitani d'industria, sudici, militari, irreprensibili borghesi, uomini d'ordine, difensori
della patria, politici e falsi difensori del socialismo. Affollatissima e compressa in uno spazio convulso, la
scena ne mette a nudo vizi e ipocrisie con toni grotteschi e in uno stile spregiudicato. Applicando lo
stereotipo secondo cui ciò che è moralmente indegno è anche esteriormente ributtante, Grosz enfatizza la
bruttezza interiore dei suoi personaggi, esasperandone i difetti fisici e mostrando la sconcia obesità, gli istinti
famelici, la brama di potere. La scena presenta in primo piano la figura di un nazista (spilla a forma di croce
uncinata), dalla cui testa scoperchiata emerge la silhouette scura di un cavaliere in armi. Al suo fianco, con la
testa coperta con un pitale rovesciato, un giornalista corrotto impugna una matita e dei giornali. Più arretrato
è un obeso uomo politico, dal cui cranio emerge dello sterco fumante: sul suo petto è appuntato lo slogan
“Socialismo è lavoro”. In secondo piano, un giudice dalI'espressione ghignante protende le mani verso la
finestra, oltre la quale si intravede un incendio. Sullo sfondo alcuni brutti ceffi in divisa si muovono
sguainando spade insanguinate. L'opera, eseguita pochi anni prima dell'avvento del nazismo, è un'impietosa
denuncia della classe dirigente tedesca.

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GIORGIO DE CHIRICO (1888-1978)
Nato in Grecia nel 1888, nel 1906 De Chirico si stabilisce in Italia con la madre e il fratello. Dal 1907 al 1909
frequenta I'Accademia di Belle Arti a Monaco, dove entra in contatto con il Simbolismo tedesco e conosce
I'opera di Böcklin. Dal 1910 è a Firenze dove dipinge il suo primo quadro “metafisico”, da qui i temi della
sua poetica saranno la solitudine, i misteri dell'infinito e del tempo, l'ignoto, l’enigmatico, ambientati nello
scenario trasognato e come sospeso. Nel 1918 inizia la collaborazione con la rivista Valori Plastici; e nel
1919 pubblica De metafisica e scienze occulte e Il ritorno al mestiere, che aprono la seconda fase della sua
opera, segnata dal superamento delle Avanguardie: i nuovi soggetti, più familiari e rassicuranti, divengono
pretesto per virtuosismi pittorici, arguti travestimenti, ironici "teatrini" in cui trionfa la pittura esuberante.

In Canto d'amore lo scorcio di una piazza italiana delimitata da un portico ad archi funge da palcoscenico
per un'enigmatica e paradossale messa in scena, nella quale una testa del dio Apollo appesa a una parete (v.
Apollo del Belvedere) si trova collocata al fianco di un gigantesco guanto di gomma arancione. In primo piano
troneggia solitaria una palla verde, simbolo di perfetta armonia e attributo del dio greco. Sullo sfondo,
dominato da un cielo senza nuvole, si intravede una sbuffante locomotiva. La scena, rappresentata con
linguaggio lucidamente realistico, è pervasa da una luce ferma e abbagliante che genera ombre pesanti e
profonde. L’incongruità degli accostamenti, l'assenza di persone e I'arbitrarietà degli scorci prospettici
sprofondano I'immagine fuori dal tempo e dal senso comune, creando un clima di immobile e allucinata
sospensione, in cui il sentimento dell'assurdo e una sottile ironia convivono con il mistero e l'enigma.

L’applicazione alla pittura del termine metafisica è invenzione di Carrà a Ferrara, nel 1917, dove i due artisti
prestano il servizio militare. Il riferimento alla filosofia greca sottolinea la volontà di attingere tramite la pittura
una verità "trascendente", situata al di là della realtà fenomenica conoscibile attraverso i sensi.

L’importanza della città di Ferrara nell'elaborazione della pittura metafisica è resa esplicita dal dipinto Le muse
inquietanti, in cui è raffigurata un'ampia e profonda piazza, simile a un palcoscenico o alla tolda di una nave,
oltre la quale svetta la celebre fortezza che fu residenza degli Estensi. L’inconfondibile sagoma rossastra della
costruzione è affiancata da una fabbrica con due ciminiere, allusione alla mescolanza di antico e moderno che
in quegli anni caratterizzava Ferrara. Il primo piano della scena è dominato da misteriose e inquietanti figure
(muse), costituite dall'assemblaggio di elementi appartenenti tradizioni e ambiti diversi. Quella a sinistra ha
I'aspetto di una statua greca femminile abbigliata con un pesante peplo, ma la sua parte superiore presenta
un'enorme testa di manichino, innestata su un torso virile marmoreo. La figura di destra mostra caratteristiche
analoghe alla prima, ma il suo corpo è attraversato da linee tratteggiate, tipiche dei modelli di sartoria. Sempre in primo piano sono
collocati un bastone cilindrico decorato con un motivo a spirale e una scatola policroma a motivi triangolari, che potrebbero
appartenere all’attrezzatura di un prestigiatore. Più lontano, nella zona d'ombra proiettata sul pavimento dall'antico edificio ad arcate
sulla destra, vi è una terza statua paludata, dal capo privo di volto. Il carattere malinconico e cerebrale della scena è acuito, dai colori
e dalle ombre portate, dall'assenza di figure umane e dall'arbitrarietà degli scorci prospettici. Il dipinto, una sorta di speculazione sulla
“nullità dell'essere", funziona come un meccanismo basato sull'accostamento tra oggetti e contesti che generano nell'osservatore un
effetto di sorpresa per il fatto di non avere nulla in comune sul piano logico.

Nel 1919 il pittore aveva pubblicato il saggio Il ritorno al mestiere in cui teorizzava la necessità di
un ritorno al museo e alla grande tradizione artistica, sottolineando il valore "spirituale" nella
tecnica e nella perizia del disegno come base primaria della pittura. Tale orientamento, indicativo
di un mutamento di rotta rispetto alla fase metafisica, è confermato sia dalle copie realizzate da
grandi capolavori del passato sia dalle citazioni dall'antico. Nell'Autoritratto del 1920 la
composizione presenta un impianto di gusto neorinascimentale, caratterizzato dal taglio a mezzo
busto dei due autoritratti e dalla presenza sul davanzale in primissimo pian di una simbolica
natura morta composta di un ramo di un agrume con frutto. AlI'interno di una costruzione ad
andamento circolare I'immagine dell'artista, in posa "malinconica" e con lo sguardo rivolto verso
I'esterno, è raddoppiata dalla presenza dell'erma marmorea, la cui impostazione di profilo
riconduce lo sguardo dello spettatore sul ritratto vero e proprio del pittore.

CARLO CARRÀ (1881-1966)


All'indomani della Prima guerra mondiale anche la pittura di Carrà subisce una radicale trasformazione,
dopo gli esordi futuristi e l'intermezzo metafisico. L’artista giudica esauriti la carica innovativa e lo
sperimentalismo delle Avanguardie e recupera una figuratività nuova e "tranquilla", ancorata alla tradizione
tramite lo studio delle civiltà artistiche del passato.

Presentato a Berlino nel 1921 a una mostra di giovani artisti italiani Il pino sul mare è espressione
emblematica del nuovo orientamento stilistico maturato negli ambienti di "Valori Plastici". L'opera è di
composizione semplice e raffigura uno spoglio paesaggio, in cui I'esile sagoma di un pino marittimo si
incurva lievemente in direzione del mare. Ai suoi piedi è una sorta di cavalletto, su cui è steso ad asciugare
un telo bianco, tanto banale quanto enigmatico. Sulla sinistra la composizione è chiusa dal blocco
geometrico di un anonimo edificio posto a mo' di quinta, bilanciato dalla parte opposta da un tondeggiante
promontorio ricoperto da vari cespugli. L’orizzonte alquanto basso valorizza l' ampia porzione di cielo senza
nubi che sovrasta il piccolo specchio di mare blu profondo. Il significato dell'opera è nell'incanto
malinconico sprigionato dalla realtà quotidiana, nella magica e silenziosa vita delle umili cose di ogni giorno.

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GIORGIO MORANDI (1890-1964)
Morandi è una figura chiave del panorama artistico del Novecento, nonché uno dei pochi italiani ad aver
raggiunto fama europea. Egli arricchisce la propria formazione culturale attraverso la conoscenza delle
riviste contemporanee e visitando le Biennali veneziane. Dall'incontro con Cézanne e con il Cubismo ricava
l'interesse per i problemi dello spazio e per I'uso di una tavolozza dai toni smorzati, che applica al genere
artistico più antiretorico e perciò prediletto: la natura morta.

Assecondando la propria naturale inclinazione alla contemplazione e al colloquio con I'umile realtà
delle cose, Morandi dipinge nature morte misteriose, intimiste e incantate, servendosi di un limitato
repertorio formale di oggetti (brocche, bottiglie, fruttiere, bicchieri) disposti su un semplice piano in
innumerevoli variazioni. In questa Natura morta del 1919, dal sentore ancora metafisico e pervasa da
un'atmosfera di rarefatta sospensione ispirata alla pittura di Piero, gli oggetti sono disposti sul piano
circolare di un tavolino situato al centro della composizione. Il punto di vista rialzato esalta le qualità
plastiche e costruttive delle forme e la loro bilanciata collocazione nello spazio. L’unità del dipinto è
garantita dalle tonalità basse dei colori, stesi con una materia liscia e compatta, e dalla luce chiara e
carezzevole che spiove da sinistra, generando morbide ombre portate. Il silenzioso dialogo tra gli
oggetti funge da metafora della condizione umana e dei rapporti tra l'Io e il mondo.

AMEDEO MODIGLIANI (1884-1920)


All'inizio del 1906 Modigliani lascia Livorno e si trasferisce a Parigi a Montmartre. Le sue prime opere
risentono dell'influenza di Cézanne, Gauguin e Toulouse-Lautrec, ma anche dell'erotismo "malato" e della
cultura simbolista di Klimt e Munch. Nel quartiere di Montparnasse conosce Brancusi, che lo incita a
dedicarsi alla scultura e lo introduce allo studio dell'arte primitiva e "negra", che in quegli anni è al centro
degli interessi anche di Picasso, Matisse, Vlaminck e Derain.

Il Nudo sdraiato a braccia aperte è parte di una serie di nudi femminili che il pittore dipinge a
partire dal 1917, dopo I'incontro con Jeanne Hébuterne, che diverrà sua compagna e modella. Il
geometrismo di Cézanne, evidente nella solidità costruttiva del rapporto tra figura e spazio e
nella qualità dei valori plastico-coloristici, si combina con il sintetismo e la semplificazione
formale dell'arte primitiva. L’inquadratura dall'alto e l'audacia della composizione concentrano
lo sguardo sullo splendido e monumentale corpo femminile, sdraiato sul fondo policromo da
una linea fluente e sensuale. Le qualità costruttive e plastiche del contorno sono il risultato di
una precisa volontà progettuale. Esso è ottenuto ricalcando sulla tela i contorni più
approssimativi di bozzetti e disegni preparati in precedenza. La modellazione anatomica,
sintetica e luminosa, è realizzata tramite il colore, colato all'interno della forma fino alla sua saturazione. L'artista realizza una fitta
tessitura di pennellate dense e ritmicamente interrotte per evidenziarne il valore plastico e costruttivo. Il volto della bellissima modella,
incorniciato dai corti capelli corvini, presenta occhi privi di pupille (v. Scultura arcaica): il pittore disdegnava infatti l'introspezione
psicologica e l'esibizione dei sentimenti, demandando l'analisi del carattere all'espressività “parlante" dei corpi e delle fisionomie.

CONSTANTIN BRÂNCUSI (1876-1957)


Dopo i primi anni di apprendistato in Romania, nel 1907 si trasferisce a Parigi per seguire i corsi di scultura
all'Accademia di Belle Arti. L'interesse di Brancusi si orienta su versanti, che includono le tradizioni popolari
della propria terra, cui rimarrà sempre profondamente legato. A Parigi vive e lavora in solitudine,
frequentando pochi amici: Modigliani, Duchamp e il Erik Satie.

La scultura “negra” e l’arte popolare della Romania indicano a Brancusi che l’esteriore naturalismo della tradizione
ottocentesca può essere oltrepassato, eliminando l’approccio mimetico basato sull'osservazione diretta e ricercando
una forma che sia insieme sintesi ed essenza della realtà. Nelle fiabe popolari romene la Maiastra è un magico
uccello parlante, una figura mitica e apotropaica (che scongiura, cioè, gli effetti maligni), capace di trasformarsi e di
proteggere gli eroi nelle loro impossibili imprese. L’artista immagina il mitico uccello in posizione eretta e in riposo,
con le ali ripiegate e la testa protesa verso l'alto. L'obiettivo di ridurre i molteplici aspetti dell'animale in un'immagine
unica è raggiunto tramite la radicale stilizzazione geometrica e il simbolismo delle forme. Le meditazioni sulla plastica
"negra" e sulle fonti più remote della cultura artistica occidentale spiegano I'elementarità e la perentorietà
stereometrica della figura, il cui slancio maestoso è armonicamente addolcito dall'ovoide purissimo della gabbia
toracica. La sacralità dell'opera, simile ad un idolo antico, è sottolineata dal gioco della luce che scivola sulle superfici
levigate, sublimando la materia in pura sostanza luminosa.

FERNAND LÉGER (1881-1955)


Nato in Normandia, Legér si trasferisce nel 1900 a Parigi, dove inizia a dipingere in maniera impressionista e
poi secondo quella di Cézanne. Dal 1910 si accosta al nuovo linguaggio cubista, di cui fornisce
un'interpretazione "eretica" e originale, forzando i volumi anziché trattarli per giustapposizioni di piani. Negli
anni successivi I'articolazione delle forme si arricchisce di un segno di contorno scuro e nettamente
marcato, cui si affianca un nuovo sentimento del colore, applicato in ampie e brillanti stesure di blu, gialli e
rossí. Dopo la guerra, da cui ritorna profondamente trasformato, il pittore inaugura una ricerca in cui mette a
frutto le suggestioni vissute in trincea. L’entusiasmo per I'universo della macchina, che mostra eco futuriste.

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Nell'opera Il disco le componenti interne di un macchinario industriale sono estrapolate e disposte sulla
superficie della tela come in un caleidoscopio, trasformando I'aggressività del lucido metallo in un incastro
luminoso di figure geometriche (cerchi, quadrati, triangoli) stratificate su più piani. Su uno sfondo scandito da
un'elementare combinazione di strutture verticali e orizzontali, i multicolori cerchi in primo piano visualizzano i
movimenti dell'ingranaggio e il battito ritmico della macchina. La scomposizione cubista traduce il proteiforme
paesaggio industriale in pura emozione plastica, in energia cromatica e luminosa che si irradia nel dipinto con
le cadenze di un “balletto meccanico”.

MARCEL DUCHAMP (1887-1968)


Il principio di una creazione artisti basata sulla concezione mentale del reale piuttosto che sulla percezione
visiva o sulla mimesi viene portato alle estreme sequenze da Marcel Duchamp sue opere pre-dadaiste. In
questa fase della sua ricerca l'artista realizza ancora le tonalità brune e la scomposizione geometrizzante
della figura per rendere la progressione del movimento attraverso una serie di immagini in sequenza.

Il Nudo che scende le scale nella seconda versione indica il momento culminante e il definitivo distacco di
Duchamp l'esperienza pittorica del Cubismo. L'eccessivo meccanicismo e il distacco, apparentemente ironico,
suggerito dal titolo apposto come un'insegna sul dipinto stesso, ne causano il ritiro dalla rappresentanza cubista al
Salon des Indépendants del 1912. Questi caratteri susciteranno poi oltreoceano un vero scandalo e un dibattito
larga portata in occasione dell'esposizione del dipinto all'Armory Show: l'opera viene vista dal pubblico
statunitense come emblema della profonda rivoluzione espressiva operata nel decennio precedente dalle
avanguardie europee.

La Mariée mise à nu par ses célibataires, même (Il grande vetro) è emblematica della concezione estetica
dell'artista e costituisce una summa della sua produzione. La sua enigmaticità e già nel titolo, che si presta a
molteplici letture intrecciando riferimenti all'iconografia sacra, alle tematiche erotico-amorose e alla scienza
alchemica, di cui Duchamp è appassionato. In tutti i casi traspare l'interesse dell'autore per la letteratura
ermetica, I'esoterismo, le omofonie delle formule cabalistiche, i calembours e i giochi di parole. L’opera colpisce
anche per l'insolito carattere del materiale: una doppia lastra di vetro incernierata in un telaio metallico con cui
oltrepassare la tradizionale bidimensionalità della tela e "ingabbiare" la vita che vi passa attraverso. Nella parte
superiore figurano nove fori, mentre una più vasta frattura interessa l'intera superficie delle due lastre. L’opera
sfugge a ogni catalogazione, intrecciando la concettualità del progetto con la precisione ingegneristica del
disegno e con l’imprevedibilità della combinazione casuale.

L’ÉRCOLE DE PARIS: MARC CHAGALL (1887-1985),


CHAÏM SOUTINE (1894-1943), GEORGES ROUAULT (1871-1958)
Con l’espressione Ércole de Paris ci si riferisce ad alcuni artisti, di orientamento anche assai diverso, che
nella capitale francese vivono e operano tra gli anni dieci e trenta (Modigliani, Brancusi, Chagall, Rouauk,
Utrifo, Soutine, Foujita, Kisling, Pascin, Laurencin). Parigi si conferma capitale mondiale dell’arte e della
cultura. Artisti di ogni nazionalità vi convengono numerosi, stabilendosi nel quartiere di Montparnasse, dove
conducono una vita spesso difficile e bohémienne.

Nato in Russia Chagall giunge a Parigi nel 1910, restando affascinato dalla città e dalla pittura di fauve
e cubisti. Chagall coltiva un amore viscerale per la sua terra d'origine, le sue tradizioni popolari, i suoi
valori religiosi, le sue leggende, il suo paesaggio, che fa rivivere nella pittura mescolando il reale con il
fantastico. Il tono fiabesco e lirico, visionario e irrazionale, della sua arte è esemplificato da Il
compleanno, eseguito I'anno del matrimonio con I'amatissima Bella Rosenfeld, in cui i due
innamorati sono raffigurali in un momento di tenerezza all'interno di una stanza. La rappresentazione
dell’ambiente risente della logica spaziale cubista, che il pittore applica in modo sempre originale e in
una versione alquanto stemperata e lirica. Se la brillante e gioiosa accensione dei colori è di
deduzione fauve, I'eccezionale invenzione dei due amanti levitanti nell'aria e come scossi da una
scarica di corrente erotica è puro e originale frutto dell'immaginazione del pittore, il cui estro fantastico si era forgiato nella lettura
delle fiabe popolari russe, dove il mondo è spesso capovolto, gli animali parlano e gli uomini possono volare.

Nato in Lituania nel 1913 Soutine giunge a Parigi, dove conduce una vita di stenti, frequentando pochissime
persone, tra le quali Modigliani. Negli anni venti il sostegno del miliardario collezionista Albert Barnes muta la
sua condizione, consentendogli di applicarsi con tranquillità ai temi prediletti: il paesaggio, il ritratto, la natura
morta. La scalinata rossa è caratterizzata dalla grande scalinala rosso sangue che precipita verso
l'osservatore come un fiume in piena, è scossa da un'energia violenta e straripante che si propaga fino alle
case, i cui volumi si flettono e si deformano come blocchi di cera surriscaldata. La materia pittorica turgida e
carnosa e i colori infuocati testimoniano una primordiale visione della natura simile al concetto di sublime.

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Na Allievo di Gustave Moreau e amico di Matisse, Rouault è in rapporti con l'ambiente artistico dei fauve, pur
manifestando un’ammirazione per pittori del passalo come Goya, Rembrandt, Daumier e Courbet. Rouault
ritrae con sincerità espressiva i diseredali e gli emarginati (prostitute, mendicanti, clown e saltimbanchi),
animato dalla solidarietà umana e dalla fede cristiana. Cristo deriso è costruito con pennellate pastose,
intrise di luce, e con una marcata linea di contorno. La ricercata tozzezza del disegno e la sintetica definizione
dei volumi, influenzate dall'interesse per la scultura e I'arte vetraria medievali, si coniugano con la qualità
fauve dei colori accesi e fosforescenti. Il risultato è un'immagine di Cristo non convenzionale ma
profondamente vera, che ha i tratti di un tragico fantoccio nella cui sofferenza è rispecchiata l’umanità.

SALVADOR DALÍ (1904-1989)


Dalí si avvicina precocemente alle più importanti esperienze della pittura moderna, ripercorrendo la lezione
di Pissarro, Monet, Cézanne e dei cubisti spagnoli (Picasso, Gris). Entusiasta ammiratore della grande arte
del passato, nel 1921 si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Madrid per perfezionare la propria tecnica
pittorica, ma viene presto espulso dalla scuola. A Madrid conosce il grande poeta Federico García Lorca e il
regista Buñuel, che svolgeranno un ruolo fondamentale nella sua maturazione intellettuale e artistica.

L'interesse per la letteratura, la poesia, il cinema e per le teorie di Freud sull'inconscio allontana la
sua ricerca dai problemi linguistico-formali, aprendola agli aspetti interiori e pulsionali della
soggettività, alla psicologia del profondo, al rapporto tra le opposte forze di Eros e Thanatos. La
persistenza della memoria raffigura I'assolato paesaggio di Port Lligat, la località spagnola dove
l'artista sceglie di vivere dal 1910 con la moglie Gala. In primo piano, adagiato a terra, vi è un
appiattito autoritratto dell'artista su cui è poggiato un orologio molle. Altri orologi molli pendono dal
ramo di un ulivo secco e da una sorta di piattaforma, su cui si trova anche un orologio a cipolla
ricoperto di formiche. L’idea degli orologi molli, elaborata dalI'artista dopo una cena a base del
"super-molle" formaggio Camembert, è in stretta connessione con la teoria sugli “oggetti a
funzionamento simbolico”, secondo cui gli oggetti più banali, manipolati nelle loro caratteristiche producono un'ironia capace di
stimolare le facoltà percettive e visionarie dell'osservatore. Al contempo, nel programmatico contrasto di molle e duro, morbido e
rigido, gli orologi si propongono quali veicoli del desiderio e delle pulsioni dell'artista, nonché come immagini chiave di una
rappresentazione sessuata ed erotizzata dell'universo. Dalí organizza le immagini provenienti dal proprio inconscio tramite il sistema
“paranoico-critico”, basato sulla decontestualizzazione e sull'associazione creativa delle immagini e sul presupposto che la creazione
artistica sia paragonabile al delirio. L’opera non deve illustrare i sogni o i desideri, ma stimolarli e provocarli.

Nel 1929, insieme a Buñuel, Dalí gira il film Un chien andalou, primo capolavoro del
cinema surrealista, che sancisce la sua entrata ufficiale nel gruppo dei surrealisti francesi.
Il film è il primo a valorizzare le potenzialità surrealiste e ipnotiche del linguaggio
cinematografico, che può contare sulle condizioni ideali di uno spettatore isolato nel buio
della sala e sprofondato in un mondo "altro", predisposto a lasciare spazio
all'immaginazione, al desiderio, alla fantasia, al sogno. Un chien andalou coniuga con
assoluta originalità il realismo delle scene e I'assurdità delle situazioni con l'antiformalismo
dello stile, deliberatamente sciatto e impreciso.

JOAN MIRÓ (1893-1983)


Miró si interessa alla pittura di Cézanne, dei fauve, degli espressionisti e dei cubofuturisti. Al centro delle
sue opere giovanili vi sono sempre il paesaggio, la vita e la gente semplice della Catalogna, terra contadina
e "primitiva", cui il pittore è intimamente legato e che contrappone, mitizzandola, alla condizione della realtà
urbana e borghese. Nel corso di ripetuti soggiorni a Parigi si avvicina al gruppo dei surrealisti.

Paesaggio catalano è un'opera che segna il definitivo abbandono dello stile "particolarista" e la
definizione di una lingua originalissima fatta di segni semplici ed elementari (lettere dell'alfabeto,
forme geometriche, pittogrammi, figure biomorfe, segni astratti) che sembrano attinti dal repertorio
del disegno e dell’immaginario infantili. Il paesaggio catalano, cui alludono I'alto e ondulato
orizzonte che divide la tela in due bande sovrapposte e il tono dei colori puri stesi in ampie
campiture uniformi, è collocato nella dimensione sovrastorica del simbolico, del primordiale,
dell’immaginifico. Il dipinto è un automatismo grafico, in cui il segno-immagine è la trascrizione
diretta di un impulso interiore. Priva di simmetria, di centro e di gerarchie interne come in una
pittura infantile, la composizione invita l'osservatore a una lettura "a tutto campo". I dipinti di Miró non esprimono le oscure trame
dell'inconscio e del mondo onirico, ma una sensazione di gioiosa e innocente vitalità.

RENÉ MAGRITTE (1898-1967)


Magritte nella sua arte possiede il dono della semplicità, comunicando in modo immediato e comprensibile
per chiunque i contenuti di una poetica orientata all'investigazione dei lati enigmatici e paradossali
dell'esistenza. I suoi esordi segnalano un precoce interessamento per le sperimentazioni cubiste e futuriste,
fondamentali per una presa di coscienza dei problemi del linguaggio e del rapporto tra la realtà e la sua
rappresentazione pittorica. L’incontro con la pittura metafisica di De Chirico lo avvicina alle problematiche
dei surrealisti francesi, che conosce nel corso di soggiorni a Parigi.

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In La condizione umana I (il pittore ha dipinto I'interno di una stanza di un comune appartamento. Davanti
alla finestra, aperta su un paesaggio verdeggiante sovrastato da un cielo azzurro solcato da nuvole
bianche, è piazzato un cavalletto da pittore. Sul cavalletto un quadro, su cui è dipinto lo stesso paesaggio
oltre la finestra; I'immagine dipinta appare sovrapposta e in continuità con quanto visibile all'esterno, al
punto da farci dubitare della sua presenza sul cavalletto. Ciò che rende certi della visione è il lato sinistro
del quadro e il suo bordo laterale destro. Al di là della sottile ironia e della sensazione di spaesamento
generata dall'ambiguità dell'immagine, I'opera si configura come una riflessione sulle problematiche
connesse all'operazione del "vedere". Sovrapponendo il dipinto al soggetto reale, cioè la realtà e il suo
doppio, Magritte tematizza i problemi della natura dell'immagine e dell'illusionismo pittorico, rendendo
esplicita la contraddizione tra lo spazio bidimensionale della tela e quello ridimensionale della realtà.

L’opera simbolo di tale atteggiamento è L’usage de la parole, in cui I'immagine illustrativamente


illusionistica di una pipa è accompagnata dalla scritta Ceci n'est pas une pipe ("questa non è una
pipa"). Il paradosso messo in scena dall'artista, e cioè lo scollamento e la contraddittorietà tra la
rappresentazione iconica dell'oggetto e la sua denominazione verbale, rinvia al problema del
linguaggio, delle ambiguità e dei limiti che lo costituiscono e che rendono impossibile una sua
effettiva "presa" sulla realtà. Non soltanto il linguaggio verbale non coincide con quello iconico
(come è espressamente e paradossalmente asserito dal quadro stesso), ma è altresì vero che
I'immagine della pipa (l'arte) non corrisponde alla pipa reale (la realtà).

ABSTRACTION-CRÉATION: THEO VAN DOESBURG (1883-1931),


OSVALDO LICINI (1894-1958), NAUM GABO (1890-1977)
L'afte astratta conosce negli anni venti e trenta una seconda stagione, che coinvolge artisti europei di varia
formazione e provenienza. Le ragioni utopiche, radicali e ideali che avevano alimentato quella prima fioritura
non possono però più sussistere: negli anni trenta alla vitalità corrisponde una difforme varietà di
interpretazioni. Altri artisti sviluppano uno stile meno purista, contaminando I'impersonale linguaggio della
geometria con istanze di carattere lirico-organico ed emotivo. Emblematica di tale composita situazione è la
vicenda del gruppo Abstraction-création. Art non figuratif, fondato a Parigi nel 1931.

Fondatore nel 1917 della rivista "De Stijl", Van Doesburg manifesta fin dagli esordi uno spiccato
interesse per i rapporti tra pittura e architettura. La principale novità del suo stile è costituita dal
ricorso agli elementi grafici e pittorici di linee e strutture diagonali che rompono la staticità e
l’equilibrio della composizione neoplastica. L'opera costituisce la negazione di Mondrian
attraverso Controcomposizione di dissonanze XVI, opponendo all'equilibrio assoluto e al rigore
una composizione dal ritmo dinamico e sincopato. Ruotando di 45° la griglia di linee nere che ne
costituisce l'intelaiatura, il pittore imprime alla composizione un andamento accentuatamente
obliquo, che infrange ogni illusione di uno spazio plastico immutabile, eterno, ordinato.

Nella pattuglia degli astrattisti italiani Licini si distingue per I'accentuata vena lirico-fantastica e per il
rifiuto di ogni rigorismo geometrico-costruttivo. Secondo Licini, la pittura è I'arte dei colori e delle forme
ed è anche un atto di volontà e di creazione. Lo sfondo della tela Scherzo (Schemi astratti su sfondo
rosso), dipinto con un rosso acceso con pennellate uniformi, accoglie una fragile composizione costituita
da linee e da figure geometriche, che sembrano fluttuare in miracoloso e magico equilibrio, sganciate da
ogni forza di gravità. La leggerezza della costruzione è intimamente connessa al carattere "aereo" del
colore.

Tra gli scultori dell'area astratta, Naum Gabo è tra i primi a sviluppare l'idea di una forma plastica totalmente
slegata dal naturalismo e realizzata con materiali di produzione industriale, che ne garantiscano una compiuta
integrazione nella realtà della vita moderna. La scelta del perspex, oltre ad arricchire la scultura dei nuovi valori
della trasparenza, della luce e dei colori propri del materiale industriale, consente di modulare la struttura
dell'opera sostituendo ai tradizionali concetti di massa e di pieno l'idea di uno spazio come sviluppo delle forme
geometriche elementari nel tempo della percezione visiva. Costruzione su una linea non è che il risultato delle
possibili configurazioni e varianti che una linea è in grado di generare, evolvendosi e proiettandosi
dinamicamente in uno spazio non più euclideo e tassativamente razionale, ma elastico, duttile e immaginario.

ALEXANDER CALDER (1898-1976)


L'americano Calder è stato uno dei maggiori innovatori della scultura moderna. Laureatosi in ingegneria
meccanica, nel 1926 Calder si trasferisce a Parigi dove si unisce al gruppo di Abstraction-création e stringe
amicizia con Miró, Léger, Duchamp e Mondrian. Calder toglie alla scultura il suo tradizionale carattere
monumentale, trasformandola in un lirico gioco di forme e volumi astratti, di ritmi e colori puri che si
articoIano con leggerezza nello spazio.

In Trappola per aragosta e coda di pesce- una composizione di fili di acciaio, figure e fogli metallici
verniciati sospesa a un soffitto - il movimento è determinato dalle correnti d'aria o dal tocco della mano,
che ne modificano la struttura e il disegno. Il movimento è innescato "per inerzia", grazie a un
elementare congegno di leve e bilancieri che rendono la scultura sensibile a ogni minimo urto o soffio di
vento. I materiali industriali sono piegati alla finalità di creare fantastiche e dinamiche composizioni. Il
carattere interattivo e la disposizione a creare figure e ritmi diversi trasformano la scultura in un'opera
"aperta", il cui pieno disvelamento è dato nella dimensione di una temporalità illimitata.

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MURALISMO MESSICANO: DIEGO RIVERA (1886-1957),
DAVID ALVARO SIQUEIROS (1898-1974)
Il muralismo messicano è un'originale esperienza di pittura civile e di ispirazione sociale cresciuta sull'onda
della rivoluzione zapatista. Consapevoli del momento epocale dal proprio paese, pittori di formazione
democratica e progressista come Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e José Clemente Orozco, si fanno
promotori di un'arte dai forti contenuti politici e sociali, che si rivolge al popolo, ai lavoratori, ai diseredati.

Alla fine degli anni dieci Rivera compie un viaggio di studio in Francia, Spagna e Italia, dove si
aggiorna sull'arte di Cézanne e dei cubisti e sulla pittura ad affresco di Giotto, Masaccio, Piero della
Francesca e Michelangelo. Nel 1931 Rivera è contattato da Edsel Ford, moglie del fondatore
dell'omonima industria automobilistica, per decorare il cortile dell'lnstitute of Arts di Detroit. Il
pittore accoglie I'invito con entusiasmo, stimolato dalla possibilità di misurarsi sul tema della civiltà
industriale e delle macchine. In ventisei affreschi, Rivera racconta l'epopea del lavoro e del
proletariato industriale, come si vede ne L’industria di Detroit. Rivera illustra le diverse attività
produttive con un linguaggio semplice e narrativo, monumentale e grandioso, intrecciando il
realismo dello stile con I'allegorismo di figure che alludono ai valori del progresso,
dell'emancipazione e della giustizia sociale.

Rientrato in patria dopo un esilio causato dal suo attivismo politico, nel 1935
Siqueiros apre una polemica con Rivera circa la necessità di applicare al muralismo
un linguaggio più incisivo e consapevole delle sperimentazioni artistiche: Siqueiros è
il primo a sostituire i pennelli con la pistola a spruzzo, a introdurre nella pittura
murale nuovi materiali a base di silicato, a sperimentare prospettive multiple capaci
di aggredire e di coinvolgere I'osservatore. In Ritratto della borghesia, la
raffigurazione della borghesia e del fascismo è resa in termini grotteschi e
apocalittici, immaginando una mostruosa creatura che arringa la folla e muove gli
eserciti alla repressione del popolo sullo sfondo di una città in fiamme.

EDWARD HOPPER (1882-1967)


Considerato il miglior pittore realista americano del XX secolo, Hopper ha rappresentato l'altra faccia
dell'American way of life, quella della Grande depressione seguita al crollo della Borsa di Wall Street del
1929. Anziché celebrare il successo dell'economia e delle imprese industriali statunitensi, Hopper elegge a
protagonisti dei propri quadri i perdenti, gli inetti, i solitari, coloro che mal si adattano al modello sociale
imposto dal sistema di sviluppo capitalistico. Le sue tele sono ambientate in scenari urbani deserti e
desolati, in cui l'architettura della metropoli assume tratti inquietanti che inibiscono le relazioni.

In Nottambuli il pittore ha raffigurato lo scorcio di una strada metropolitana di notte,


quando il traffico automobilistico è cessato e la gente è rientrata a casa. L'immagine è
occupata quasi per intero da un grande bar all'angolo tra due strade, all'interno del quale
vi sono un barman e tre avventori. Questi ultimi, una coppia e un uomo solo, hanno
espressioni assorte e come perse nel vuoto. Nessuno parla, nessuno sembra interessato
a imbastire una conversazione. I colori, che tradiscono la formazione di illustratore
dell'artista, sono vivaci e brillanti, ma sembrano non trasmettere alcun calore. La luce
intensa e fredda prodotta dalle lampade al neon, il deserto sulle strade, il silenzio,
I'inquadratura obliqua e la prospettiva accidentale di derivazione cinematografica
generano una sensazione di estraneità e di mistero, di solitudine e di lancinante malinconia.

MARIO SIRONI (1885-1961)


A partire dal secondo decennio del Novecento, Mario Sironi è tra i principali protagonisti delle vicende
artistiche milanesi, alle quali prende parte nella duplice veste di pittore e di esponente di punta del dibattito
culturale. Dopo una partenza di orientamento cubofuturista, dal 1917 Sironi approda a un linguaggio
originale, caratterizzato da figure sinteticamente architettoniche, immerse in un clima dalle tinte fosche e
cupe che ben esprimono la sua visione del mondo. Tale linguaggio trova la sua espressione nella
rappresentazione di deserte periferie urbane costellate di caseggiati popolari, fabbriche dalle ciminiere
fumanti, gasdotti, ferrovie e strade inanimate che sembrano alludere a una desolata condizione esistenziale.

In Paesaggio con camion la composizione è costruita con un orizzonte altissimo che valorizza il
ruolo del vasto stradone in primo piano, concepito come un ampio e deserto palcoscenico
solcato da un camion in solitaria marcia verso sinistra. Il senso di malinconia e di solitudine della
scena è accentuato dall'assenza di figure umane e dall’interminabile muraglione oltre il quale si
intravedono la cima di una gru e le porzioni superiori di anonimi caseggiati popolari. Obiettivo di
Sironi non sono lo straniamento e lo stupore metafisico, bensì l'aspra messa in scena della
condizione meccanica e disumana.

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L'interpretazione della città moderna e industriale ne offre un’immagine contraddittoria rispetto alle
sue prime tendenze futuriste e ne mette a luce la disperazione prodotte da uno sviluppo urbano
tanto rapido e caotico quanto indifferente ai destini degli uomini e alla qualità della loro vita.
Fabbriche e ferrovia è costruita con dense pennellate di colore bituminoso che avvolge ogni cosa:
il caseggiato in primo piano, la fabbrica da le alte ciminiere fumanti, le rotaie della ferrovia e perfino
il cielo. costruito come un muro opaco e fuligginoso. A sua volta priva di presenze umane, la veduta
è resa tetra e ostile dal ritmo spezzato della composizione, dalle prospettive sfuggenti verso
I'esterno della tela, dalle ombre nette e pesanti che si aggrumano minacciose intorno alle cose.

Emblematica dell’atteggiamento espressivo e ideologico di ritorno al passato è I'opera I costruttori, un


soggetto particolarmente caro all'artista e più volte affrontato, allusivo al tema del lavoro dell'uomo e alle
opere che esso ha saputo produrre nel corso della storia. Il lavoro è inteso come impegno sociale, come
fattore di progresso e di crescita civile, ma anche come condizione della dignità di ogni essere umano. Lavoro
è infine l'arte stessa, che si identifica con l'artista creatore, con la sua capacità espressiva e tecnica, con il suo
"saper fare". La composizione è dominata da un complesso architettonico composto da alte mura, colonne,
nicchie e bugnati che costituiscono una solenne quinta scenografica, quasi la rievocazione di una classicità
austera e fuori dal tempo. La pastosità delle pennellate e i toni cupi della tavolozza accentuano la
monumentalità dell'immagine fino a una grandezza epica, corrispondente all'epicità dello sforzo compiuto
dall'umanità per costruire la civiltà.

ARTURO MARTINI (1889-1947)


Il maggiore scultore italiano del primo Novecento è il trevigiano Martini, la cui opera giunge a maturazione
intorno agli anni venti negli ambienti culturali di "Valori Plastici" e degli artisti di Novecento. Nel 1911 Martini
si avvicina all'opera di Boccioni e di Modigliani, che lo traghettano verso un linguaggio antinaturalistico reso
asciutto ed essenziale dalla sintesi plastica e dalI'accentuato arcaismo formale. I rapporti con gli artisti di
"Valori Plastici” lo inducono a riflettere sui valori della tradizione artistica italiana. La porzione pubblica
dell'attività delI'artista si sviluppa soprattutto negli anni tra le due guerre, quando la politica culturale ed
edilizia del regime fascista, tesa a visualizzare I'ideologia del potere tramite I'arte e I'architettura, sollecita la
realizzazione di monumentali complessi edilizi che pittori e scultori sono chiamati a decorare. Martini
diviene in pochi anni lo scultore ufficiale dello stato, realizzando un gran numero di imprese decorative in cui
I'ispirazione deve tener conto delle necessità comunicative del soggetto e dai suoi intenti celebrativi.

Nel Bevitore, il cui legame con il passato è reso evidente anche dall'uso inusuale della terracotta, il nudo maschile
seduto nell'atto di bere da una ciotola ha un'impostazione grave e solenne e il ritmo lento di un cerimoniale antico.
L’anatomia del nudo, che ha la chiarezza formale e I'astratta essenzialità di una scultura primitiva, è resa con un
modellato morbido e vellutato, che trascura i dettagli e le notazioni descrittive. Il sintetismo plastico valorizza
I'enucleazione di volumi semplici e torniti, il cui sviluppo attiene alla geometria del cilindro, del cono e della sfera. A
fronte del carattere antiretorico del tema e del tono dimesso dell'azione, I'astratto valore ritmico dello schema formale
proietta la scultura in uno spazio rarefatto e in un clima di incantata sospensione che appare assai prossimo alle
contemporanee creazioni di Carlo Carrà.

Alla decorazione del Palazzo di Giustizia di Milano partecipano Sironi, Carrà, Manzù, Campigli,
Fontana, Funi e altri. Nel rilievo di Martini, il tema della Giustizia è sviluppato su due registri
orizzontali che si articolano attorno all'asse centrale del grande blocco quadrangolare. Su un alto
podio siede la ieratica personificazione della Giustizia, che impugna spada e bilancia ed è sormontata
dall'occhio di Dio. A destra e a sinistra figure e personaggi della tradizione mitologica e religiosa e
della storia di Roma antica si assiepano e si raggruppano nello spazio con una logica narrativa che
sembra dedotta dai rilievi storici romani e dai cicli scultorei di età medievale. Al ritmo spezzato e
irregolare della parte superiore, si contrappongono, nel registro inferiore, la logica paratattica del
gruppo di sinistra e la fluidità narrativa di quello di destra, dove è riconoscibile il tema del Figliol prodigo.

OLTRE NOVECENTO: SCIPIONE (1904-1933), CARLO LEVI (1902-1975),


MANLIO RHO (1901-1957), RENATO GUTTUSO (1912-1987)
Verso la fine degli anni venti il panorama italiano si presenta ricco di individualità e gruppi che mantengono
fecondi legami con I'arte europea. A Roma, la Scuola di via Cavour così battezzata dal critico Roberto
Longhi promuove una sorta di espressionismo romantico, carico di emotività e di fremente lirismo, che si
contrappone allo stentoreo classicismo novecentista. Il Gruppo dei Sei di Torino compie un'originale
rilettura della pittura francese, dagli impressionisti a Cézanne ai fauve. Le ricerche del Gruppo di Como
rielaborano con originalità le sperimentazioni dell'astrattismo europeo. Il gruppo milanese di Corrente
promuove un'arte aggressiva mirante a una nuova moralità a sua volta di matrice espressionista.

L’arte di Scipione si qualifica per la calda sensualità del colore, la visionarietà delle forme, I'amore per
la luce vibrante che immerge la realtà in un'atmosfera carica di magia. Nel Risveglio della bionda
sirena, il racconto, ambientato in un paesaggio notturno illuminato dalla luna, assume toni fantastici
per la presenza straniante degli oggetti e degli animali disseminati sulla scena. La strana creatura
femminile, sdraiata su una pelle di leopardo, è resa con toni accesi e incandescenti. Lo stile pittorico è
quanto di più lontano dal sintetismo purista di Novecento: morbidamente sfaldate da pennellate
fluenti e sensuose, le figure fluttuano come apparizioni in uno spazio incantato e privo di profondità.
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Laureato in medicina, scrittore e convinto antifascista, Levi conferma la sua predilezione per la moderna
pittura francese quale antidoto al clima di autarchia culturale e di ritorni all'ordine del panorama artistico
italiano. Nell'Eroe cinese, che ritrae I'amico torinese Garoscì, la figura è modellata direttamente con il colore,
che disegna dlnamiche e sinuose traiettorie e stringe in un unico piano la figura e lo sfondo. L’eccitazione
cromatica della pittura fauve, combinata con il gusto espressionista per la deformazione e I'alterazione delle
proporzioni in chiave psicologica, conferiscono alla figura un’intensissima carica emotiva.

A differenza di altri esponenti del Gruppo di Como, la pittura di Rho si configura come decisamente "laica",
fondata cioè su criteri razionali e su uno stretto legame tra arte e scienza. In Composizione, le riflessioni
sulla pittura di Mondrian sono rese evidenti dall'impianto ortogonale, dall'impiego di figure geometriche
esclusivamente quadrale o rettangolari e dai coloni stesi in campiture uniformi e piatte. Fedele al principio
dell’ "equilibrio dinamico" inaugurato dal Neoplasticismo e basato sull'equivalenza dei piani di colone pur
nella varietà dei rapporti e delle dimensioni, Rho rifiuta I'idea della pura superficie, articolando le geometrie
colorate secondo il criterio della trasparenza e suggerendo un'idea di spazialità aerea e dinamica attraverso
studiati avanzamenti, arretramenti e sovrapposizioni delle forme.

Premiata alla lV edizione del Premio Bergamo nel 1942, I'opera fu al centro di uno scandalo a causa
della sua interpretazione "laica" del tema. Guttuso rielabora I'iconografia della Crocifissione elevandola
a emblema dell'ingiustizia sociale e delle violenze inflitte dagli uomini. Il dipinto evidenzia stretti legami
con I'arte espressionista europea, da cui derivano sia le violente deformazioni sia il carattere acceso e
dissonante della tavolozza. La squadratura plastica delle figure, costruite con modellazione sintetica e
spigolosa, se da un lato accentua il carattere drammatico della scena, caricandola di un sentimento di
umana partecipazione, dall'altro rivela I'influenza del Cubismo di Picasso.

71
— Seconda metà del Novecento —
Dagli anni cinquanta in avanti

Processi, contesti, prospettive delle civiltà artistiche


DALL’EUROPA ALL’AMERICA: UN NUOVO SISTEMA DELL’ARTE
La Seconda guerra mondiale produce una nuova e profonda cesura nella storia della civiltà mondiale,
nonché laceranti ferite nelle coscienze degli uomini. La pace che ne segue non coincide con la fine di ogni
conflitto, ma dà luogo all’equilibrio del terrore, basato sull'intimidazione reciproca che le due superpotenze
uscite vittoriose dalla guerra affidano alla forza dissuasiva dei rispettivi arsenali nucleari. Molti artisti
maturano una consapevolezza di tipo nuovo d’arte, moltiplicando gli sforzi per analizzare le tematiche che
la guerra ha portato in primo piano, indagando le condizioni a una catastrofe inaudita, prospettando un
rapporto di maggiore fiducia tra I'individuo e la società.

Nei primi decenni del dopoguerra la superiorità economica e militare, il sistema politico democratico e il
multiculturalismo fanno degli Stati Uniti il paese guida del mondo occidentale. L’approdo e il soggiorno di
molti artisti europei nei decenni tra le due guerre (Duchamp, Man Ray, Breton, Masson, Miró, Ernst, Dalí,
Mondrian) hanno vivificato e modernizzato la cultura artistica americana, che è in grado di dare voce alla
propria identità culturale, storico-sociale e ideologica, elaborando strategie espressive. L'aggiornamento
della cultura statunitense era stato stimolato dal dinamismo del sistema artistico nel complesso, dall'opera
di divulgazione e valorizzazione dell'arte moderna compiuta dai grandi musei pubblici e privati e da eventi
culturali quali la mostra sul Bauhaus (1938) e quella antologica di Picasso al MoMa di New York (1939), la
mostra di Kandinskij al newyorkese Museum of Non-Objective Art (1939) e la Abstract and Surrealist
Painting al San Francisco Museum (1944). La penetrazione negli Stati Uniti della cultura artistica
contemporanea è favorita dagli stimoli di una critica agguerrita e preparata, dalla circolazione di riviste di
arte contemporanea, dagli investimenti di un collezionismo intraprendente, aggiornato e con grandi
disponibilità economiche e dall'aggressiva attività di promozione, distribuzione e commercializzazione
svolta da mercanti d'arte e gallerie d'avanguardia. Tale insieme di fattori, unitamente alla grande qualità e
creatività delle proposte avanzate dagli artisti e alla supremazia ideologica del modello americano a livello
mondiale determina il passaggio della leadership artistica dall'Europa agli Stati Uniti.

Fondamentale si rivela il dinamismo con cui riviste, critici, musei, galleristi e collezionisti facoltosi e
competenti valorizzano l'arte contemporanea. Centro mondiale di irradiazione diviene New York.

Il Movimento moderno riceve nuova linfa dal radicamento negli Stati Uniti dei suoi maestri in fuga
dall'Europa: accolti nelle principali università americane, la loro lezione sarà di grande importanza per le
nuove generazioni. In architettura, come nelle arti figurative, gli Stati Uniti cominciano a manifestare in
modo deciso la propria identità culturale, mentre in Europa si affermano varianti nazionali del vecchio
International Style. Un forte impulso viene dall'interpretazione della moderna storia dell'architettura
proposta dallo svizzero Giedion.

ACTION PAINTING, L’INFORMALE E LA RICOSTRUZIONE IN EUROPA


Nello stesso periodo, il fenomeno più importante nel panorama internazionale della pittura è I’affermarsi di
una nuova tendenza astratta che la critica coeva ha denominato Espressionismo astratto, Action
painting o Scuola di New York. Caratteri fondamentali del linguaggio sono la concezione bidimensionale
dello spazio pittorico, il rifiuto della figurazione mimetico-naturalistica, I'uso del colore in chiave espressivo-
psicologica, la considerazione dell'opera quale campo di energie psico-fisiche e luogo di trascrizione delle
emozioni, I'eccitazione vitalistica e I'esuberante dinamismo che accompagnano il gesto pittorico, i liberi
movimenti del pennello sulla tela. Protagonisti della nuova corrente sono pittori americani come Jackson
Pollock e artisti immigrati come I'armeno Arshile Gorky e I'olandese Willem De Kooning, che già negli anni
trenta operano nell'ambito dei lavori decorativi pubblici dei Federal Arts Projects, nonché il russo Mark
Rothko, oltre agli statunitensi Barnett Newman, Mark Tobey, Franz Kline, Robert Motherwell, Adolf Gottlieb.
Le definizioni di Espressionismo astratto o Action painting evidenziano la comunione rappresentata dall'uso
espressionistico di un linguaggio tendenzialmente non figurativo; esse non sottolineano l’esistenza di due
filoni distinti: quello di matrice gestuale e segnica e quello dell'astrazione pura di orientamento
misticheggiante, noto come Color field abstraction.

Un analogo rifiuto della forma naturalistica e di immagini razionalmente strutturate si sviluppa in Europa: è la
cultura informale, destinata a dominare il panorama artistico mondiale fino alla fine degli anni cinquanta.
Coniato dal critico d'arte francese Michel Tapié, il termine informale non intende indicare un'arte senza
forma o informe, quanto una maniera che ripudia i tradizionali principi formali della rappresentazione
astratta o non figurativa. L'Informale è un linguaggio tutt'altro che unitario, alla cui radice vi sono l'istinto
individuale, la valorizzazione delle pulsioni inconsce, l'automatismo del gesto e del segno pittorico, la
casualità e l'improvvisazione, il rifiuto di ogni costrizione formale, il fascino per le proprietà espressive e

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semantiche dei materiali, l’autoreferenzialità. Anche l'arte informale può essere ricondotta a due filoni
principali. Il primo è quello gestuale segnico e l’altro è quello materico. In termini generali tutta la cultura
informale coglie i frutti di un'epoca storica dominata dai più aggiornati sviluppi delle teorie psicanalitiche di
Freud e dalla filosofia dell'esistenzialismo.

Il problema della condizione di vita degli uomini diventa il tema centrale della riflessione e della pratica
architettonica. Devastata dalla guerra, I'Europa si affaccia agli anni cinquanta motivata a spendere le sue
energie in una ricostruzione di ciò che gli eventi bellici hanno fisicamente distrutto. In architettura come in
urbanistica I'americanizzazione è favorita dal Piano Marshall (1947-52). Tra le nazioni europee l’Italia è una
delle più investite dal Piano Marshall e in questo frangente gli architetti sono tra le categorie professionali in
prima linea nella ricostruzione, che stenta a decollare per una limitatezza dei capitali e perché il blocco delle
attività causato dal conflitto ha prodotto un regresso del settore edilizio.

Nel corso degli anni cinquanta la tradizione figurativa continua a essere coltivata da numerosi artisti che
raggiungono risultati spesso di alta qualità e originalità. In Italia il panorama politico appare condizionato
dallo scontro ideologico tra cattolici e marxisti e dall'egemonia culturale esercitata dal Partito comunista
italiano, favorevole a un realismo di ispirazione sociale sul modello di quello sovietico. Il dibattito artistico si
consuma da un lato nella sterile contrapposizione tra realisti e formalisti (cioè tra figurativi e astrattisti),
dall'altro nel dilemma di chi, pur dichiarandosi comunista, non accetta la disciplina del partito e la sua
condanna delI'arte non realista e non “impegnata".

In Inghilterra la vitalità della tradizione figurativa è testimoniata dall'opera dello scultore Henry Moore,
impegnato a rappresentare la misteriosa e vitale energia del mondo organico con figure potentemente
strutturate. Accanto a lui Francis Bacon ha rappresentato I'angoscia esistenziale e la disperata solitudine
dell'uomo moderno con un linguaggio espressionisticamente concitato e efficace, rinnovando alla radice la
sintassi e i contenuti della tradizione pittorica.

1945-1965: CONTINUITÀ E RINNOVAMENTO


Idee sottintese nell'architettura circolano anche in ambienti artistici orientati a ricerche sulle strutture della
visione e sulla percezione: l'arte cinetico-visuale e programmata pone al centro della propria attenzione
l'elaborazione di un linguaggio strutturato e raziocinante. Caratteristica delle opere cinetico-visuali è
I'introduzione di meccanismi (motori, congegni elettrici ecc.) volti a generare movimenti fisici reali che,
modificando la struttura del manufatto, lo qualificano come "opera aperta". La configurazione delle opere
mira a trasformare il tradizionale ruolo contemplativo e passivo dell'osservatore, il cui pieno coinvolgimento
è sollecitato ora dalla possibilità di interagire con il lavoro artistico. La ripresa di una poetica dell'oggetto,
comune al New dada americano (e alla sua variante europea del Nouveau réalisme) e alla Pop art, va
interpretata come espressione di uno specifico interesse per il nuovo paesaggio domestico e metropolitano
connesso al boom economico, alla società di massa, alI'ideologia del consumismo.

L’immaginario collettivo legato ai prodotti commerciali, agli oggetti e ai beni di consumo dell'economia del
benessere divulgati dalla pubblicità e dai massmedia diviene il serbatoio privilegiato per gli artisti interessati
a instaurare un rapporto più diretto con la società contemporanea. Appropriandosi di idee e di tecniche già
praticate dalle Avanguardie storiche gli artisti neodada e pop cercano la messa in discussione dell'opera
d'arte come espressione del virtuosismo e dell'interiorità dell'autore. Nella poetica della Pop art l'interesse
per la popular culture e per il mondo delle merci, le tecniche di serializzazione dell'immagine e la citazione
del linguaggio pubblicitario, fotografico e cartellonistico, portano dei caratteri soggettivi ed emotivi
dell'opera e a una spersonalizzazione dello stile, che si presenta "freddo", meccanico, ripetitivo, modellato
come rielaborazione delle più sofisticate tecniche industriali e della comunicazione di massa.

VECCHI CENTRI E NUOVE PERIFERIE


In dichiarata opposizione alla mercificazione dell'arte e ai circuiti che la promuovono, negli anni sessanta
prendono piede numerose tendenze che in forme tra loro anche lontane si ispirano ancora una volta alle
Avanguardie storiche del Novecento. Questo aspetto esprime una volontà artistica al coinvolgimento di
tutte le facoltà sensoriali e a una dilatazione dell'opera nel tempo e nello spazio reali.

In tale prospettiva si comprende I'emergere di pratiche artistiche live come l’happening, la performance e
la Body art, eredi delle "serate" futuriste e dei provocatori spettacoli dadaisti. Esse valorizzano il tema
dell'esperienza vissuta in diretta tra autore e pubblico e I'inclusione del corpo dell'artista quale materiale
espressivo e plastico, nonché quale "luogo" privilegiato di azioni ad alto contenuto emotivo.

In questo stesso orizzonte di significati trova ragione la duratura fortuna e la diffusione della tecnica
dell'installazione, inaugurata dagli artisti minimalisti e concettuali. Il termine indica quei lavori, composti da
materiali diversi, che si dispongono nello spazio espositivo in modo articolato e spesso complesso e che
per questo vengono anche definiti ambientali. Scopo dell'operazione è di superare il tradizionale rapporto

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frontale tra fruitore e opera, trasformando quest'ultima in un intervento di “trasfigurazione-estetica" dello
spazio che lo spettatore è chiamato ad attraversare ed esperire. Il ridimensionamento di tali aspettative
introdotto dal post-moderno si traduce in architettura nella svalutazione del razionalismo e dell'Intemational
Style a favore del recupero di tradizioni locali, dell'ornamento e della citazione; in pittura nel
rimescolamento di stili del passato e di culture diverse dall'occidentale. Gli anni novanta si aprono
all'insegna di un tema cruciale: la ricerca di un equilibrio tra tecnologie e risorse naturali.

Analisi delle opere


JACKSON POLLOCK (1912-1956)
Fin dall'adolescenza Pollock si segnala per il carattere turbolento e indisciplinato. Trasferitosi in California
viene espulso dalla Hiverside High School e nel 1928 dalla Manual Arts High School di Los Angeles. Dal
1935 al 1943 si appassiona all'arte dei messicani Rivera, Siqueiros e Orozco, dei quali ammira la potente
espressività e l'uso dei grandi formati. Intorno al 1939 esegue molti schizzi di impronta cubo-espressionista,
si avvicina all'arte surrealista e inizia a leggere le opere dello psicologo svizzero Jung. A partire dal 1946,
utilizzando grandi tele stese al suolo, sperimenta la tecnica del colore sgocciolato.

Nella Donna luna, una figura femminile dal carattere vagamente primitivo, tratteggiata da grosse linee scure,
sinuose e spezzale, si erge al centro della tela. La sua testa, in precario equilibrio sull'esile collo, ha le
sembianze di una maschera africana vista di profilo; vi sono riconoscibili, oltre al grande occhio attraversato
da una falce di luna, rudimentali graffiti policromi tribali. Affinità di struttura e di scrittura pittorica fanno
supporre che I'artista abbia a lungo guardato il dipinto di Picasso Ragazza allo specchio. Il corpo della donna
è ulteriormente precisato da sottili linee rosse che danzano nello spazio, disegnando curve ampie e generose.
Il mazzo di fiori che fluttua liberamente nell'angolo superiore destro è in relazione con una celebre poesia di
Charles Baudelaire, intitolata Tristezze della luna, cui la tela è in qualche modo ispirata. Lungo il bordo sinistro
e nella fascia inferiore segni totemici e simboli indecifrabili si mescolano a striature e grovigli di colore che il
pittore deposita sulla tela in modo rapido e automatico come tracce di una misteriosa scrittura stenografica,
che da un lato si riallaccia a Miró e dall'altro anticipa i futuri effetti del dripping. Il carattere visionario e
fantastico dell'immagine è accentuato dalla qualità della tavolozza. Nel dipinto è già chiara la vocazione a
privilegiare la superficie e a segnarla con continuità lineare che prelude alla pittura delle opere successive.

Nel 1946 Pollock ipotizza l'estinzione della pittura da cavalletto, giudicata inadeguata
alle esigenze della società moderna, e profetizza il sopravvento della pittura murale.
L'artista si cimenta su tele di dimensioni amplissime stese sul pavimento dell’atelier e
comincia a sperimentare il dripping. La tela posta a terra consente di operare a tutto
campo e da tutti e quattro i lati, eliminando ogni gerarchia interna al dipinto e
immergendosi "all'interno del quadro”. In Number 27 la composizione è il risultato di
ripetuti e quasi ossessivi passaggi compiuti dentro e intorno alla tela, lasciando
sgocciolare pittura industriale di diverso colore, secondo una logica di stratificazione e
di sovrapposizione delle tinte. Il suo esito si presenta come un fitto groviglio di scie, di
traiettorie e di filamenti colorati che sono la registrazione dei movimenti nello spazio
compiuti dal pittore durante la sua danza creativa. Ne deriva una composizione all over ("a tutto campo"), che copre la superficie
della tela e nella quale ogni più piccola parte condivide la stessa intensità dell’insieme. Pollock fa tabula rasa delle tradizionali
convenzioni del codice pittorico: l'opera è priva di centro e periferia, prospettiva, profondità, forma, disegno e chiaroscuro.

All'origine di questa concezione pittorica è la riflessione dell'artista surrealista Max Ernst che definisce come procedimento atto a fare
emergere le manifestazioni spontanee e le pulsioni più profonde e nascoste dell’inconscio. La tela diviene letteralmente "un'arena", il
teatro di una performance psico-fisica, emotiva e gestuale, che impegna integralmente sia la mente sia il corpo dell'artista.

L’ACTION PAINTING: WILLEM DE KOONING (1904-1997),


FRANZ KLINE (1910-1962), SAM FRANCIS (1923-1994)
La definizione di Action painting viene coniata dal critico americano Harold Rosenberg e definisce la pittura
degli artisti appartenenti alla Scuola di New York, che, ponendo al centro del proprio lavoro non I'oggetto
ma I'atto stesso del dipingere, vivono la pittura come un'esperienza liberatoria, capace di coinvolgere
simultaneamente il corpo e la mente. La “pittura d' azione" si concretizza in un linguaggio vigoroso e in una
scrittura di segni e gesti pittorici liberi e impetuosi, che si configurano come la diretta “registrazione" dei
movimenti dell'artista nello spazio.

Il dipinto Woman 1 è parte di una serie dedicata al tema della Donna, che De Kooning interpreta in grottesca
deformazione, riallacciandosi al Picasso cubista e all'automatismo surrealista. L’aggressività della figura è
sottolineata sia dall'opulenza delle sue forme e dal ghigno assunto dalla bocca, sia dalla violenta gestualità
delle pennellale, che la spingono fino ai limiti dell'astrazione. I colori sono mescolali direttamente sulla tela in
modo intenzionalmente rozzo e trascurato, lasciando libero spazio all'istinto dell'artista e ai giochi delle
sovrapposizioni, delle strisciate e delle colature. Il tema figurativo funge di fatto da spunto per un'azione
pittorica appassionata e travolgente, come se I'artista fosse in preda a un raptus creativo. Frutto di gesti
impetuosi e di un'estrema mobilità espressiva, l'opera si configura come un'immagine "aperta", c, in cui è
possibile leggere i segni vitali dell'invenzione spontanea e del coinvolgimento emotivo.

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Sulla tela White Forms, concepita come un'enorme pagina bianca, sei energiche pennellate di colore nero,
applicate con una pennellessa da imbianchino senza incertezze e con andamento lineare, disegnano una sorta
di gabbia o di traliccio simile a un gigantesco ideogramma giapponese. Le due bande orizzontali e le due
verticali nella metà inferiore dell'immagine risultano bruscamente interrotte e danno I'impressione di
proseguire oltre i confini della tela. Qui si segnala per la concisione e per la potenza drammatica e costruttiva
del segno, valorizzato dal ricercato contrasto tra il nero della pittura e il bianco luminoso dello sfondo.
Semplificando in modo drastico l'immagine e limitando la tavolozza al bianco e al nero Kline visualizza I'azione
stessa del dipingere, trasformando i movimenti rapidi e sicuri del proprio braccio in altrettante pennellate
cariche di energia espressiva e di potenza plastica. La scrittura pittorica di Kline risulta più meditata e
controllata, attentissima agli equilibri formali, alle relazioni ritmiche, alla possibilità di generare uno spazio
stereometrico contemperando pittura e segno, geometria e gesto.

Appartenente alla seconda generazione degli action painters, il californiano Sam Francis sviluppa la tecnica del
dripping di Pollock, costruendo immagini di gestualità e cromatismo. Dopo aver applicato sulla superficie ampie
stesure e grumi di pittura liquida e brillante, l'artista manovra la tela posizionandola in verticale in modo tale da
provocare una colatura controllata del colore. In Shining Black la composizione è costruita e sviluppata tramite
spruzzi di colore o con interventi del pennello che allargano o modificano le macchie di pittura applicate in
precedenza. L’attenzione è riservata ai rapporti tra pieno e vuoto, come dimostra la peculiare valorizzazione
delle aree bianche, prive di colone, in omaggio alla cultura e alla calligrafia giapponese, di cui il pittore è un
appassionato cultore. L'opera di Francis costituisce il versante lirico e più "intimista" della pittura d'azione
americana e il suo astrattismo si configura come aperto alle suggestioni e alle immagini del mondo naturale.

MARK ROTHKO (1903-1970)


Tra i protagonisti dell'arte astratta americana che si oppongono alla gestualità dell'Action painting, Rothko
rappresenta il versante più lirico ed emotivo. Nella sua pittura il colore "a tutto campo”, svincolato da ogni
costrizione figurativa o narrativa, diviene espressione di una sensibilità acuta da sfiorare il misticismo.

In Senza titolo, la temperatura incandescente del grande rettangolo giallo, delimitato da un alone biancastro, è posta in
contrasto con l’opaca fascia nera e con altre due campiture meno estese ma non meno vibranti, di colore giallo-arancio. I
rettangoli, bilanciati grazie al rapporto tra luminosità e ampiezza delle tinte, sono delimitati da contorni morbidi e incerti,
che sembrano sciogliersi l’uno nell'altro. La qualità palpitante delle tinte, realizzate con un complesso gioco di velature e
con un'incredibile ricchezza di passaggi tonali, rende instabile lo schema geometrico, trasformando il dipinto in un
insieme pulsante, che invita alla contemplazione e allo smarrimento di sé nella profondità del magma cromatico. La
pittura di Rothko è un'avventura tutta interiore e quasi religiosa e il colore, puro e luminoso, comunica per empatia una
condizione di purificata energia interiore.

BARNETT NEWMAN (1905-1970)


Figlio di ebrei emigrati in America dall'Europa dell'Est, Newman è appassionato lettore di testi di filosofia e
di antropologia, nonché studioso delle culture primitive, delle quali apprezza il linguaggio plastico votato
all'astrazione e ricco di implicazioni magico-religiose. Egli "purifica" I'atto del dipingere, eliminando la
componente che non sia il puro colore, steso in modo indifferenziato a saturare la superficie della tela.

In Vir heroicus sublimis la campitura rossa che si estende orizzontalmente fino a coincidere con
l’intera superficie della tela è interrotta da quattro sottili bande verticali di diverso colore e
spessore, che, oltre a formare una sequenza di rettangoli di differenti dimensioni, imprimono alla
composizione un solenne ritmo sincopato e una raffinata vibrazione luminosa. Fendendo la
superficie in modo disuguale, le quattro strisce producono un ambiguo gioco percettivo, che
impegna lo sguardo e la mente dello spettatore a riconoscere nella composizione un ordine
stabile e certo. Il colore si presenta uniforme, saturo e compatto, eliminando anche ciò che generalmente costituisce il carattere
singolare e irripetibile di ogni quadro, cioè la sua "scrittura" pittorica, il ritmo e la qualità delle pennellate. L’atteggiamento minimalista
è enfatizzato dall'impiego di tele enormi, davanti alle quali lo spettatore vive un'esperienza di pura contemplazione e di meditazione
sulla limitatezza dell'uomo davanti all'alI'infinito.

ROBERT RAUSCHENBERG (1925-2008)


Bed consiste in un autentico letto a una piazza. comprensivo di materasso, lenzuola, cuscino e coperta. che
Rauschenberg ha issato verticalmente sulla parete come una qualsiasi tela dipinta, creando un effetto di
spiazzamento. Il letto si presenta sfatto e con le lenzuola smosse, visualizzando da un lato il sentimento di
un'azione appena trascorsa, dall'altro una dimensione intima e privata, non priva di risvolti drammatici (il letto ha le
sembianze di un sudario). La parte superiore dell'opera, coincidente con le lenzuola e con parte della coperta
multicolore, è ricoperta da ampie pennellate e scolature di colori vivaci (giallo, bianco, rosso, blu), che sembrano
richiamarsi alla pittura dell'Espressionismo astratto e al dripping di Pollock. Al caos e all'agitazione del registro
superiore corrispondono l'ordine e la regolarità delle trame della coperta che ricordano i dipinti astratto-geometrici.
In questo gioco di sotterranei rimandi alle icone e agli stili della storia dell'arte rientra anche la memoria del celebre
e non meno drammatico letto immortalato da Van Gogh. Nel complesso l'esuberanza plastica e cromatica
dell’insieme esprime un sentimento di straripante energia che appare come lo specchio del caos, della violenza e
della passione che contraddistinguono la vita di tutti i giorni. Gli oggetti, le cose, le immagini della realtà, sono
assunti dall'artista come materiali utili e necessari alla propria ricerca compositiva e pittorica. La funzione della
pittura è più che decorativa, configurandosi come un magico legante capace di ancorare, trattenere ed esaltare i
frammenti sordidi e logori che affiorano dal mare agitato della quotidianità.
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JASPER JOHNS (1930)
La pittura di Jasper Johns, che si colloca ai confini tra astrazione e rappresentazione, indaga i caratteri e la
natura del linguaggio pittorico utilizzando soggetti e temi banali tratti dalla vita quotidiana, quali per
esempio le bandiere, i bersagli, i numeri, l'alfabeto.

In Three Flags l'artista utilizza uno dei simboli più rappresentativi della cultura americana, la
bandiera, attirato sia dal suo valore di emblema patriottico sia dalla sua caratteristica struttura
geometrica. L'opera è eseguita con I'antica tecnica dell'encausto, cioè con colori mescolati a cera
riscaldata che si solidificano subito dopo essere stati applicati sulla tela. Ciò permette di distinguere
ogni singola pennellata e di "leggere" e di seguire il processo che ha consentito la costruzione "per
accumulo" dell'immagine finale. Il vero soggetto dell'opera, infatti è “la pennellata o la fisicità della
pittura”. L’opera è un atto di sfida nei confronti dell'illusionismo poiché insinua nell'osservatore il
dubbio che essa sia bandiera vera. Le tre bandiere si impongono nello spazio con la solidità e
I'ingombro fisico di un oggetto, quasi a metà strada tra la pittura e la scultura. Il lavoro di Johns non
si limita alla semplice riproposizione della poetica dell'oggetto ready-made, ma approfondisce i legami tra arte e vita, tra illusione e
realtà, indagando con ironia le ambiguità del linguaggio e la complessa natura dell'esperienza percettiva.

L’INFORMALE IN EUROPA: WOLS (1913-1951), JEAN FAUTRIER (1898-1964),


JEAN DABUFFET (1901-1985), EMILIO VEDOVA (1919-2006),
GIUSEPPE CAPOGROSSI (1900-1972), ENNIO MORLOTTI (1910-1992)
Dal termine francese informe, coniato da Michel Tapié, il termine "informale" designa una tendenza artistica
assai variegata, volta al dissolvimento di ogni schema formale precostituito in nome della libera espressione
di pulsioni ed emozioni individuali. Le opere vogliono essere la registrazione del gioco più o meno libero e
spontaneo dei gesti e dei segni scaricati più o meno impulsivamente sulla tela.

Il titolo Le bateau ivre ('Il battello ebbro”) rimanda a una celebre poesia di Arthur Rimbaud, in cui sono esaltate
le qualità dell'artista-veggente in grado di sondare la realtà al di là delle apparenze fenomeniche. Wols mette a
punto un'originale scrittura-pittura costituita da macchie, segni e graffi di colore che hanno l'intensità e la
velocità di violente scariche elettriche. L’immagine, depositata su un fondo indefinito di colore verdastro,
sembra fluttuare nello spazio, presentandosi come un'apparizione aureolata di luce bianca e violacea.
L’intreccio di segni gesti dà luogo a una sorta di traliccio o scheletro strutturale che sembra alludere
liberamente al battello richiamato dal titolo.

Trascorsi gli anni di guerra nei sotterranei di una clinica per malati di mente alla periferia di Parigi, Jean Fautrier
è stato testimone involontario di torture e di esecuzioni perpetrate dai nazisti su vittime innocenti. Da questa
drammatica esperienza nasce la serie degli Ostaggi, dipinti realizzati deponendo su un supporto di carta e di
stracci su tela spesse paste di cemento, intonaco, cera, colla e pigmenti colorati, che nella loro stratificazione
alludono a volti umani carichi d'angoscia e semicancellati dall'oblio. Fautrier ricava un universo di forme
germinanti e fluttuanti nello spazio, prive di disegno e di struttura. Egli ha aperto la via all'esplorazione di un
mondo espressivo nuovo, che riconosce dignità artistica e spessore esistenziale a materiali più umili,
valorizzandone le proprietà metaforiche e le peculiari qualità formali.

Artista anticonformista, Dubuffet è interprete tra i più originali dell'informale materico nonché inventore
dell'Art brut. Interessato all'espressione creativa e grafica dei bambini, dei malati di mente e dei
primitivi - cioè di coloro che si esprimono in modo "grezzo" e spontaneo, al di qua della logica
razionale e fuori dalle regole della storia dell'arte occidentale. Le ricerche di Dubuffet esplorano le
proprietà formali ed espressive di materiali organici o inorganici come catrame, sabbia, asfalto,
intonaco, fango, carbone, detriti, ali di farfalla, carta di giornale, vegetali, che gli suggeriscono
immagini fantastiche, assurde o cariche di una comicità malinconica. La mucca col naso sottile, che
testimonia la sua capacità di passare con grande facilità da uno stile astratto a uno figurativo, i
riferimenti all'arte dei primitivi e degli alienati mentali, resi espliciti dalla sproporzione delle forme, dalla
piattezza dell'immagine e dalla mancanza di riferimenti spaziali, si coniugano con uno spirito ironico e giocoso.

Formatosi sulla pittura dell'Espressionismo europeo, negli anni quaranta il veneziano Vedova si avvicina al
clima milanese influenzato da Oltre Novecento e alla pittura di Picasso. Egli adotta una scrittura pittorico-
gestuale di romantica vitalità, costituita da una miriade di segni astratti e da sciabolate di colore libero e
impetuoso che si intrecciano sulla tela a testimonianza di un intenso corpo a corpo con la pittura. L'influenza
dell'Espressionismo astratto americano ed europeo libera la creatività dell'artista da ogni residuo legame con
la figurazione, spingendolo verso soluzioni in cui traspaiono una solida organizzazione dello spazio e una
controllatissima orchestrazione della luce, come in Plurimo. “Omaggio a Dada Berlin”. Le monumentali
forme plastico-spaziali delle superfici chiuse, aperte e mutevoli a seconda del punto di vista, si estendono
come tentacoli per afferrare e risucchiare lo spettatore.

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Dopo un avvio figurativo nell'ambito della Scuola romana, nel dopoguerra Capogrossi si impone come
uno dei protagonisti della pittura informale di tipo segnico. Il carattere inconfondibile dei suoi quadri è
dovuto al ricorrere di una sigla, una sorta di forchetta a quattro o più denti utilizzata a partire dal 1949 e
impiegata come motivo modulare in composizioni di grande fascino decorativo e altissimo senso
ritmico. La pittura di Capogrossi appare come un'interpretazione del rapporto tra pittura e spazialità, tra
segno e superficie. In quanto sagoma primordiale e segno privo di profondità, il "forchettone" in
Superficie 154 si presta alla costruzione di infinite variazioni sul tema che indagano ogni combinazione
in senso ritmico-spaziale e dinamico. La ripetizione dello stesso segno nello spazio visualizza i caratteri
costitutivi della dimensione temporale. La composizione è costruita sulla dialettica tra la costellazione di
"forchette" monocrome presenti sullo sfondo e la riproposizione del medesimo segno in scala ingigantita in primo piano.

Nei primi anni cinquanta la pittura di Morlotti si orienta verso nuove soluzioni, nelle quali itemi prediletti della
natura e del paesaggio sono valorizzati dalla sensualità e dalla fisicità degli impasti cromatici. Il pittore
lombardo sceglie una posizione di equilibrio, conciliando tradizione e modernità, adesione al dato ottico e
autonomia della forma. In Paesaggio con figure il motivo naturale è fatto coincidere con la superficie della
tela, che si presenta priva di profondità. Nonostante la presenza di una linea d'orizzonte tenuta altissima per
valorizzare la sottostante macchia della vegetazione, lo schema spaziale è drasticamente semplificato fino a
sfiorare il limite dell’astrazione. Il sentimento di empatia e di panica comunione con la natura, rappresentato
dall'umida vibrazione della luce che avvolge e incorpora, è espresso in modo originale dalle stratificazioni di
colore puro e stillante di umori.

NOUVEAU RÉALISME: YVES KLEIN (1928-1962), CÉSAR (1921-1998),


PIERO MANZONI (1933-1963), JEAN TINGUELY (1925-1991)
La risposta europea alle sperimentazioni condotte dal New dada americano è rappresentata dal movimento
francese del Novueau réalisme. Prerogative del gruppo sono il totale rifiuto delle poetiche espressioniste e
astratto-informali e il legame con la poetica dadaista e surrealista dell'oggetto prelevato dalla realtà
quotidiana (ready-made) e immesso con nuovi significati nel circuito dell’arte. L'azione di tali artisti mira a
stimolare il senso critico dello spettatore nei confronti del proprio modo di "consumare" la realtà quotidiana.

Influenzata dalla cultura giapponese e dalla spiritualità buddista, l'opera di Klein intreccia la provocazione
dadaista con la ricerca di nuove soluzioni espressive capaci di dare forma al sentimento dell'assoluto,
dell'armonia, dell'infinito. Per tali ragioni l'artista realizza opere monocrome, utilizzando colori puri e "astratti"
quali l'oro e il blu, che in virtù degli impliciti riferimenti simbolici risultano adatti a rappresentare la dimensione del
trascendente, dell'illimitato, dello spirituale. Con la serie delle Antropometrie, realizzate nel corso di
performance pubbliche, l'artista rovescia il tradizionale ruolo della modella, che da figura immobile e passiva
diviene strumento vivo e attivo nelle mani del pittore. Klein la utilizza come un "pennello vivente", facendola
sdraiare sulla tela e ottenendo un’impronta vibrante e vitale. Al tempo stesso l'opera costituisce una radicale
rivisitazione dell'iconografia del nudo femminile, sostituendo la rappresentazione del corpo della donna con il
suo calco, realizzato dal vero sotto lo sguardo del pubblico.

Il tema modernista della macchina come simbolo di progresso e di civiltà è affrontato dal francese César
con un approccio finalizzato a evidenziane la spietata logica del consumismo. Le sue sculture sono un
monumento tragicomico alla cultura dello spreco e all'illusoria felicità procurala agli uomini dai beni di
consumo. Ne Compression d’automobile, i pezzi di automobili sono ridotti a una massa squadrata e
geometrica che cancella la fisionomia originaria dell'oggetto, pur conservandone le tracce e la memoria
nei colori, nelle scritte, nei particolari superstiti della carrozzeria. Al tempo stesso la superficie corrugata e
densa sembra alludere a qualcosa di palpitante e di organico, quasi ci trovassimo davanti alla carcassa di
un animale agonizzante.

Manzoni ha svolto una ricerca di matrice neodadaista prossima a quella degli artisti del Nouveau réalisme. Opera
provocatoria, Merda d'artista consiste in un contenitore metallico del tipo impiegato per Ia conservazione e la
commercializzazione della carne nei supermercati. All'esterno un'etichetta reca la scritta in più lingue: Merda
d'artista. Contenuto netti gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961. Sul coperchio è
la firma autografa dell'artista e il numero di serie. Nelle intenzioni di Manzoni il prezzo di ciascuna confezione del
prodotto avrebbe dovuto corrispondere a quello di 30 grammi d'oro, avallando il principio secondo cui ogni
artista dovrebbe valere tanto quanto l’oro. L'opera racchiude una molteplicità di significati: è uno sberleffo verso
la civiltà dei consumi, una provocazione verso il mercato dell'ante e il mito dell'autenticità dell'opera, un gesto di
irriverenza verso il feticismo e la smania di possesso dei collezionisti d'arte.

L’opera di Tinguely Baluba n.3, costituita da un assemblaggio di rottami e materiali di recupero, è un'effimera e
tragicomica celebrazione del mito della macchina nella società moderna e industrializzata. Egli dà forma a una
sorta di macchinario antropomorfo, simile a un grosso giocattolo che ricorda i segni infantili della pittura di Miró.
Interessato a una scultura moderna e anliretorica capace di svilupparsi nel tempo oltre che nello spazio, I'artista
ha dotato I'opera di un motore elettrico che ne scuote e ne agita le singole parti, provocando movimenti
sincopati, fischi e rumori imprevedibili, ridicoli e carichi di humour.

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ARTE PROGRAMMATA, ARTE CINETICA, OPTICAL ART: GIANNI COLOMBO (1937-1993),
VICTOR VASARELY (1908-1997), NICOLAS SCHÖFFER (1912-1992)
L’interesse del mondo artistico verso la tecnologia e I'universo industriale risale almeno aI Futurismo, al
Costruttivismo russo, al De Stijl e al Bauhaus tedesco. Alla metà degli anni cinquanta, l'egemonia
dell’Informale è contrastata da filoni di ricerca che in nome di un’alleanza tra arte e progettazione, tra
creatività, tecnologia e scienza, puntano a superare il soggettivismo, l’improvvisazione e I'irrazionalismo
della cultura artistica dominante in Europa e negli Stati Uniti.

Premiata con il Leone d'oro alla Biennale veneziana del 1968, l'opera Spazio elastico di
Colombo consta di un ambiente realizzato con fili elastici bianchi tesi perpendicolarmente tra
soffitto, pavimento e pareti alI'interno di una stanza dipinta di nero. Esso determina uno
spazio abitabile, in apparenza rigoroso, certo e razionalmente misurabile. Pochi istanti dopo
che lo spettatore è nello spazio e ha preso confidenza con I'ambiente, un invisibile
meccanismo a motore provoca il ritmico movimento dei fili, che indeboliscono le coordinate
dello spazio, trasformandolo in un luogo ambiguo e precario. Lo spettatore è costretto a
rallentare I'andatura e a correggere in tempo reale i parametri di lettura e di decodificazione
dello spazio. Finalità delI'artista è la creazione di situazioni, tipologie architettoniche e
ambienti "manipolati", in grado di disorientare lo spettatore e di renderlo consapevole degli automatismi percettivi.

Ungherese a Parigi, dove aderisce al Abstraction-création, Vasarely è tra i più importanti esponenti del
parigino Groupe de recherche d'art visuel, formatosi nel 1960. Egli ritiene che I'arte debba rinunciane a
ogni forma di soggettivismo per fondarsi su procedimenti oggettivamente verificabili. In Homok l'artista
applica in modo virtuosistico Ie proprie conoscenze in materia di illusioni ottiche e ambiguità percettive,
intervenendo su una struttura a maglie ortogonali che ha precedenti nella tradizione dell'astrattismo
geometrico europeo. La novità consiste nell'agire sulle strutture della visione e sulle relazioni tra colori,
grazie alla complicità dello spettatore, una spazialità illusionistica e complessa e un dinamismo virtuale.

L’opera Microtempo è costituita da una scatola all'interno della quale sono fissati dei dischi, delle placche
e delle semisfere in acciaio specchiante, il tutto messo in movimento da motori programmati su ritmi e
velocità variabili. Fasci di luci pulsanti e colorale interagiscono con il meccanismo creando effetti dinamici,
ombre e riflessi diversi e di grande impatto visivo. Schöffer spettacolarizza il ruolo pittorico e spaziale della
luce. Considerando che solo 1/30 000 di secondo separa il momento dell'impressione dell'immagine sulla
retina da quello della sua effettiva percezione nella coscienza e che in questo "microtempo" il cervello
opera una rapidissima selezione tra tutte le informazioni a disposizione. Gli impulsi luminosi e l'incessante
movimento delle forme coinvolgono lo spettatore in un'esperienza di interazione psicofisica.

RENATO GUTTUSO (1912-1987)


Dopo l'inizio con la Scuola romana, negli anni trenta, Guttuso entra nel gruppo milanese di Corrente.
Combattente della Resistenza e deputato del Partito comunista italiano, nel dopoguerra diviene il portavoce
delle posizioni del partito, segnalandosi come teorico del Realismo socialista e come interprete di una
pittura di forte impegno sociale e civile. Contraria al formalismo dell"'arte per l'arte" e a ogni forma di
ermetismo linguistico, la pittura di Guttuso aspira a conciliare la verità e l'attualità dei contenuti con un
linguaggio realista, incisivo e moderno.

Un colorato canto alla gioventù Boogie-Woogie, opera dedicata alla realtà del proletariato
rurale siciliano, illustra il versante cittadino della vita italiana del dopoguerra, attraversata da
un'impetuosa corrente di energia, di voglia di fare e cli ricostruire su basi nuove e più giuste la
società futura. Quello del ballo è tema ricorrente nell'opera del pittore, che già nel 1945 aveva
realizzato una tempera murale raffigurante una gioiosa danza campestre. Ispirata al celebre
ballo di importazione americana che nel dopoguerra rappresentava i valori della modernità e
dell'ottimismo, nonché la voglia di rompere con gli schemi e i tabù della tradizione, la tela è un
coloratissimo e speranzoso omaggio "alla gioventù", individuata come la vera protagonista dei
cambiamenti in atto. Questi giovani sono gli eroi di un'avventura moderna con la quale Guttuso
ci invita a simpatizzare. La composizione è organizzata in chiave ritmica e dinamica mediante la calibrata disposizione dei danzatori
sulla diagonale che da sinistra a destra, dal basso in alto.

Sullo sfondo della sala, alle spalle della malinconica ragazza seduta al tavolino in basso a destra, si intravede un frammento del
dipinto Broadway Boogie-Woogie, eseguito da Piet Mondrian dieci anni prima durante il suo soggiorno americano. La citazione ha il
sapore di un polemico richiamo alle diatribe tra l'arte realista e quella astratta.

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ALBERTO BURRI (1915-1995)
Nel panorama italiano del dopoguerra dei gruppi e dei proclami di adesione alle diverse tendenze estetiche
e ideologiche, Burri costituisce un’anomalia, rivelandosi artista originale, che vive dall'esterno le dispute e i
dibattiti che caratterizzano quegli anni. Fin dagli esordi Burri dimostra un interesse per i materiali extra-
pittorici e di recupero (stracci, legni bruciati, frammenti di lamiere, plastica) che utilizza per costruire
immagini di intenso impatto drammatico e forza evocativa.

In Sacco e bianco la composizione è costruita utilizzando lacerti di sacchi di juta grezza, del
genere normalmente impiegato per contenere e trasportare le merci, combinati con un
frammento di tela bianca macchiata di rosso, uniti tra loro da rudimentali cuciture, fili di spago,
nodi, suture. La povertà e il carattere anonimo dei materiali sono messi in contrasto con due
ampie e uniformi campiture di colore nero e bianco che, in basso e a destra, ricoprono la tela di
supporto. Sebbene anonimi, i pezzi di juta presentano caratteristiche singolari e diverse: colore
al tipo più o meno grossolano delle texture, andamento delle superfici e strappi e buchi di
differente grandezza. L’opera ha un respiro solenne e un equilibrio quasi "classico", che l'artista
consegue giustapponendo i diversi elementi (forme, colori, segni, luci e ombre) con una regia raffinata e un'eccezionale sensibilità
compositiva. Con uno spirito geometrico e un senso del ritmo analoghi a quelli di Mondrian, Burri impagina i suoi lacerti sporchi e
usurati entro un rigoroso ordito di linee verticali e orizzontali, di figure quadrate e rettangolari, di pause e legature, di timbri e di toni
che ne valorizzano le proprietà plastiche e formali. La collocazione temporale di questi lavori, l'esperienza della prigionia e la cultura
medica dell'artista, parrebbe giustificare un'interpretazione in chiave metaforica ed esistenzialista secondo cui i lacerti, le ferite, le
tumefazioni e le macchie sangue alluderebbero al martoriato corpo della società sopravvissuta alla catastrofe della guerra.

Con le serie delle Combustioni, dei Ferri, dei Legni e delle Plastiche, realizzate a cavallo tra gli anni cinquanta
e sessanta, il linguaggio di Burri si arricchisce di valori espressivi e formali, grazie anche all'uso del fuoco
vivo, che ustiona, brucia, torce e modella i materiali modificandone la struttura, la forma e il colore originari.
In Rosso plastica, subentra il ritmo convulso e magmatico di un'immagine ottenuta aggredendo e quasi
"dipingendo" con la fiamma ossidrica un telo di plastica colorato con un rosso violentissimo. I contorcimenti
della plastica, le piaghe, le ferite e i bubboni che affiorano dalla superficie rotta, slabbrata e addensata dai
colpi di calore, accentuano la drammaticità e il simbolismo dell'immagine, mentre il color rosso sangue
legittima una volta di più I'accostamento tra la pelle ustionata della pittura e il corpo offeso e ferito
dell'umanità contemporanea.

LUCIO FONTANA (1889-1968)


Trasferitosi a Milano dall’Argentina nel 1905, Fontana frequenta I'Accademia di Brera dove apprende
I'importanza del valore concettuale e non mimetico dell'opera d'arte, il principio di una spazialità simbolico-
astratta e I'importanza dei materiali. Nel 1935 alla Galleria del Milione di Milano tiene la prima esposizione di
scultura astratta in Italia. Tra il 1940 e il 1946 è in Argentina, dove partecipa al clima di effervescenza dello
Spazialismo, corrente che concepisce spazi e dimensioni temporali al di là delle concezioni "tradizionali"
offerte dalla prospettiva rinascimentale o dalla scomposizione cubofuturista. Nel 1949 alla Galleria del
Naviglio di Milano realizza Ambiente spaziale, primo esempio in assoluto di environment un ambiente buio e
illuminato da luce di Wood, dal cui soffitto pendono oggetti di gusto informale, che ha come esito
I'inclusione e il coinvolgimento fisico dello spettatore nello spazio dell'opera. Inizia il ciclo dei Buchi, serie di
tele monocrome costellate di fori che "oltrepassano" la superficie.

Nei primi anni trenta Lucio Fontana inaugura la propria originale ricerca plastica evidenziando
un talento creativo e una curiosità verso ogni tipo di tecnica e ricerca espressiva, dal
figurativo all'astratto. Signorina seduta è opera emblematica di un metodo operativo che
caratterizza lo stile dell'artista lungo tutta la sua carriera. A livello linguistico si distingue per
la ricerca di valori dinamico-spaziali che appaiono innovativi. Il bronzo rappresenta una
giovane donna seduta a terra, vestita con un abito leggero, lungo sino alle ginocchia. La
gamba sinistra è flessa mentre la destra, piegata, è a contatto con il terreno. La giovane
donna è rappresentata nell'atto di controllarsi l'acconciatura: la mano destra le sfiora infatti i
capelli mentre I'altra, proiettata in avanti, sembra reggere uno specchietto. L’espressionismo
dello stile è come neutralizzato dalla scelta dei "non colori": il nero del vestito, l'oro
dell'incarnato e dell'acconciatura. In quanto colori "astratti", essi proiettano l'immagine in
una dimensione spaziale ed esistenziale "altra", non naturalistica, che aspira all’assoluto.

Nel medesimo giro d'anni l'artista realizza piccole sculture astratte bifacciali in gesso graffito e ferro colorato
che rivelano una consapevole sintonia con le contemporanee esperienze non figurative. In Scultura astratta,
l'esplorazione e l'appropriazione dello spazio è ottenuta disegnando nell'aria un ritmico tracciato di segni
spezzati e filiformi, di un geometrismo lirico e "irregolare" che supera di slancio la tradizionale nozione della
scultura intesa come forma piena, isolata e chiusa in sé.

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Su una tela uniformemente dipinta con una tinta industrial, in questo caso idropittura di colore rosso,
Concetto spaziale, Attese, Fontana realizza con un semplice rasoio tre lunghi tagli verticali, tra loro diversi e
non esattamente paralleli, che da un lato producono un movimento ritmicamente cadenzato, dall'altro
"aggrediscono" la superficie, interrompendone la continuità plastica, cromatica e luminosa. Realizzati con gesti
rapidi, sicuri e irripetibili, i tre tagli si presentano come profonde "ferite" o fenditure che determinano lo
slabbrarsi della superficie della tela. I tre solchi generano ombre sottili e profonde che risultano concrete e reali
e non ottenute con il colore e il chiaroscuro. L’invenzione dell'artista materializzano spazio "reale" e
tridimensionale, che annulla ogni idea di quadro-finestra. L’incisione della tela produce un "varco" che collega
in modo diretto l'al di qua e I'al di là del quadro, lo spazio reale delI'osservatore e quello concreto, vertiginoso
e "infinito" che si spalanca oltre la tela stessa.

Fontana buca lo schermo bidimensionale della tela per oltrepassarla, ma al tempo stesso ottiene anche l'effetto opposto: l'atto del
tagliare accentua infatti, nella dialettica tra pieno e vuoto, tra luce e ombra, il valore della superficie, di cui evidenzia la fisicità al punto
da rendere impercettibile ogni distinzione tra pittura e scultura. I Tagli testimoniano la vocazione ad avvicinare il più possibile il
momento dell'invenzione e quello delI'esecuzione, il pensiero (la vita) e la forma (l'arte) per realizzare una sensazione spaziale pura e
assoluta. Il titolo Attese ha un significato volutamente ambiguo, riconducibile a un'intenzione contemplativa quasi metafisica e a un
simbolismo erotico-sessuale depurato sino all'astrazione.

Non meno importanti, nella ricerca spaziale dell'artista, sono gli interventi di tipo ambientale, realizzati
già dalla metà degli anni quaranta, quindi in anticipo sulle sperimentazioni europee e americane. Nel
1951, in occasione della IX Triennale di Milano, Fontana realizza, nello spazio sovrastante lo scalone
del Palazzo dell'Arte, una spettacolare installazione costituita da un grande groviglio luminoso
sospeso nel vuoto , che chiama Luce spaziale. Utilizzando un tubo di luce al neon lungo 100 metri
I'artista disegna nell'aria gigantesche e libere traiettorie, fatte di luce e con la luce, che s'incurvano e
si intrecciano su se stesse in un'originale sintesi di pittura e scultura. L’uso come materiale artistico
del neon esalta le caratteristiche plastiche e spaziali dell'opera, accentuandone I'impatto ambientale
e la capacità di dialogare con I'architettura e con lo spettatore. L’installazione testimonia I'interesse
dell'artista per i nuovi materiali e per le tecnologie offerte dall'industria e dalla scienza e insieme la sua vocazione a realizzare opere
"globali" e di sintesi, capaci di superare le tradizionali distinzioni tra pittura, scultura, architettura e decorazione plastica.

LA SCULTURA ITALIANA DEL DOPOGUERRA: ALBERTO GIACOMETTI (1901-1966)


MARINO MARINI (1901-1980), GIACOMO MANZÙ (1908-1991),
ETTORE COLLA (1896-1968), FAUSTO MELOTTI (1901-1986)
Nei decenni del secondo dopoguerra le vicende della scultura italiana si susseguono con modalità e snodi
peculiari, diversi da quelli che caratterizzano la pittura. La maggior parte degli scultori italiani, benché
sensibilizzata dalle più innovative sperimentazioni dell'arte europea, resta vincolata a schemi rappresentativi
di tipo mimetico e figurativo.

Alberto Giacometti è tra i massimi scultori del XX secolo, originale interprete del clima di sfiducia, alienazione e
pessimismo esistenziale che caratterizza I'Europa del dopo guerra. Nei tardi anni quaranta inizia a eseguire filiformi e
scheletriche figure in bronzo che sembrano sul punto di dileguarsi e faticassero a esistere, come si vede in Donna
seduta. Probabilmente influenzate dalla plastica etrusca, presentano un'anatomia deformata e un modellato scabro.

Influenzato dalla lezione di Martini e dalla plastica antica (egizia, cinese, greca, etrusca e romanico-gotica), Marino
Marini stabilisce un ponte simbolico fra tradizione e modernità, cimentandosi su un soggetto di antica tradizione
quale il monumento equestre, chiamato Cavaliere. L'artista libera il tema da ogni implicazione retorica e
celebrativa, trasformandolo in una riflessione sul rapporto armonioso ed equilibrato tra umanità e natura, società e
potere, figura e movimento. In quest'opera la spasmodica tensione del cavallo costringe il cavaliere a una postura
spericolata, enfatizzando l’intreccio tra i due elementi della coppia. Il tormentato gioco delle membra in torsione è
accentuato dagli spessi segni di colore scuro che rendono dinamica l'architettura dei due corpi, individuando il
sottostante traliccio strutturale.

Formatosi a Milano a contatto con il gruppo di Corrente, Giacomo Manzù subisce I'influenza della scultura di
Medardo Rosso, che lo introduce l'esplorazione dei sentimenti più intimi e i problemi del luminismo nella
costruzione plastica della figura. Scultore di profonda umanità, Manzù si dedica al tema dei Cardinali sin dal
1934, dopo una visita nella basilica di San Pietro a Roma,. La ieratica statuarietà dell'ecclesiastico, emblema di
un'autorità eterna e universale, è tradotta da Manzù in una struttura elementare e compatta, quasi un guscio
protettivo di forma tronco-conica, su cui è innestato il volume non meno essenziale della testa, sormontata dalla
tiara. Nella visione laterale I'apparente invulnerabilità della figura è contraddetta e resa precaria dalla forte
inclinazione all'indietro e dalla modellazione del mantello, la cui superficie è resa fremente dalla vibrazione
impressionistica della luce e dagli effetti pittorici.

Ettore Colla a Roma fonda il Gruppo Origine insieme a Ballocco, Burri e Capogrossi. L'opera dell'artista, che utilizza
la tecnica dell'assemblage, rappresenta una linea antinaturalistica. In Officina solare, Colla raccoglie e combina i
detriti che rappresentano la società industriale per costruire figure complesse, che non trovano riscontro nel
paesaggio naturale e umano, cariche di significati inquietanti e misteriosi. La combinazione di oggetti disparati che
non hanno alcuna relazione logica tra loro determina un processo di risignificazione di ciascun elemento, oltre che
un poetico effetto di straniamento, che obbliga a considerare l'insieme con uno sguardo nuovo. L'assemblaggio di
elementi ferrosi e arrugginiti sembra alludere a significati totemici e primordiali della scultura contemporanea.
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Melotti è interprete di una scultura antinaturalistica pervasa da toni evocativi, lirici e
musicali. L'artista concilia il rigore ritmico e compositivo della forma con un'immaginazione
fantastica vicina alle atmosfere incantate e stupefatte di un pittore come Paul Klee. In Canal
Grande, dedicato al corso d'acqua che attraversa Venezia, materiali insoliti ed effimeri
come il mattone forato e il filo di ferro sono impiegati per delineare l'aerea sequenza delle
case e dei palazzi affacciati sulla laguna. Il ritmo dell'immagine è costituito da un’alternanza
di pieni e di vuoti, di suoni inter vallati a pause e silenzi, di forme cave e svuotate poste accanto ad altre dense di materia e di luce.
Melotti realizza una sorta di antiscultura che celebra il primato della leggerezza, dell'immaterialità e del vuoto.

HENRY MOORE (1898-1986)


Moore si forma nel corso degli anni venti studiando la scultura dei primitivi e la plastica "negra" , oceanica,
precolombiana e messicana, che lo colpiscono per la potenza espressiva, il sintetismo dei volumi e la
semplificazione delle forme in chiave antinaturalistica.

Figura distesa drappeggiata è un'opera emblematica della passione di Moore per il nudo femminile
giacente. In posa semisdraiata e rilassata la donna volge lo sguardo in lontananza, puntellandosi sulle
braccia, mentre le gambe disegnano nello spazio un grande e potente arco. Creata per la terrazza-giardino
di un palazzo di Bond Street, la scultura presenta caratteristiche formali e plastiche atte a dialogare con la
luce e i valori atmosferici propri della capitale londinese (pioggia, nubi, nebbia). Il vestito che riveste la donna
è realizzato come nelle statue di Fidia, per valorizzarne la struttura anatomica, l'opulenza delle forme, la
reattività alla luce ambientale. Con la sua pelle rugosa Ia figura emana il ritmo grave, primordiale e solenne di
una roccia modellata dal vento e dall’acqua. Ciò appare evidente nella visione di profilo, dove il contorno
della figura disegna curve enfatizzate dalle forzature proporzionali.

Indifferente ai tradizionali canoni della bellezza, la scultura di Moore incarna i valori di un'umanità non
idealizzata ma storica, le cui radici egli individua nel dialogo con la natura e con la potenza creatrice. I
richiami alle civiltà primitive esprimono I'idea dell'artista di fare ripartire la storia umana dopo la tragedia della
guerra, riannodando i fili con le proprie origini più antiche. Simili concetti sono ribaditi nel celebre gruppo Re
e regina, realizzato sulI'onda delI'entusiasmo per l'incoronazione della regina d'Inghilterra Elisabetta II.
L'opera non mostra alcun intento celebrativo, proiettandosi in una dimensione metastorica e universale che
recupera la dignità formale e la compostezza delle rappresentazioni egizie e sumeriche.

Nella Figura reclinata, studio in bronzo per I'opera omonima, in travertino, eseguita per il Palazzo
dell'Unesco a Parigi, il processo di "mineralizzazione" delle forme è reso più radicale dalle qualità ormai
quasi astratte della struttura, simile a un osso o a un tronco traforato e levigato dall'erosione dell'acqua.

FRANCIS BACON (1909-1992)


Irlandese, Bacon esordisce in piena guerra, nel 1944, con opere di violenza espressiva che sviluppano il
tema dell'angoscia esistenziale e della degradazione fisica e morale dell'uomo contemporaneo. Spesso
ispirata dalle fotografie, la pittura di Bacon ha come interesse esclusivo la figura umana, nuda o vestita,
rappresentata in ambienti chiusi e claustrofobici, mentre compie azioni in apparenza banali.

Nello Studio dal Ritratto di Innocenzo X di Velázquez, considerato da Bacon uno dei più bei quadri
mai dipinti, il papa ha le sembianze di un uomo terrorizzato, la cui immagine è sfuocata e resa
evanescente dalle fitte pennellate scure e parallele che scendono dall'alto. Stringendo le mani sui
braccioli del trono, quasi sedesse sulla sedia elettrica, il pontefice spalanca la bocca in un urlo senza
fine che sembra dilatarsi alI'ambiente circostante con un effetto di dolorosa agonia esistenziale. Ciò
che nel dipinto sconcerta è la condizione psicologica ed espressiva di Innocenzo X che, in quanto
rappresentante di Cristo in terra e uomo di eccezionale potere e autorità, mai avremmo associato a
sentimenti quali la paura, la disperazione, I'isteria. L’originalità dell'invenzione è nel "guardare" al personaggio come con una
telecamera nascosta: il pontefice è immortalato nel momento in cui si rivela autenticamente per un uomo disperatamente solo. Con
questo dipinto,Bacon reinventa I'immagine di Velázquez sia formalmente sia tematicamente, contemperando la maniera dello stile
barocco (l'inquadratura, la posa, il costume, la sontuosità della pittura) con l'instabilità e la sfocatura della fotografia da quotidiano.

Nei Tre studi per il ritratto di George Dyer, che fu amico e amante del pittore, lo
spunto è costituito da una serie di fotografie simili a foto segnaletiche della polizia
eseguite da Bacon stesso, in cui il soggetto è inquadrato in primissimo piano nelle tre
vedute principali: la frontale e le due laterali. Intrecciando memoria visiva e spunti
fotografici il pittore, costruisce il ritratto dell'amico per afferrarne l'anima e proiettarla
sul suo volto. Quest'ultimo è come sfuocato, distorto e tumefatto dalla violenza delle
pennellate e da una gamma cromatica giocata sul contrasto tra il beige dello sfondo e
del pullover, il rosso e il nero dell'incarnato e delle ombre, le strisciate di bianco
lasciate come tracce visibili di un movimento appena avvenuto. Alle qualità istintive
dello stile pittorico si uniscono gli effetti casuali creati dalle stesure rapidissime e gestuali del colore: una metodologia che ha le sue
radici nell'automatismo di artisti surrealisti come Masson ed Ernst.
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POP ART INGLESE: RICHARD HAMILTON (1922-2011),
DAVID HOCKNEY (1937), ALLEN JONES (1937)
Alla metà degli anni cinquanta alcuni artisti, critici e intellettuali inglesi avviano un acceso dibattito sulla
nuova cultura urbana popolare e di massa (popular culture) che sta cambiando le abitudini e il modo di
vivere dei cittadini europei e americani. L’atto di nascita della Pop art inglese è la mostra This is Tomorrow,
allestita nel 1956 alla Whitechapel Art Gallery di Londra.

Alla mostra This is Tomorrow l'opera più emblematica è il piccolo collage Just What is it that Makes
Today's Homes so Different, so Appealing? di Richard Hamilton. Divenuto un'autentica icona della
Pop art, l'opera presenta una sintesi dei motivi iconografici e linguistici che caratterizzeranno la cultura
figurativa degli anni sessanta. Vi è rappresentato l'interno di una casa borghese arredata con gusto
moderno e disse minata di oggetti, elettrodomestici e figure tipiche della nuova società consumista:
un'ammiccante pin up semisdraiata su un divano (mercificazione del sesso), un registratore a bobine,
un televisore acceso, un aspirapolvere, una confezione di prosciutto in scatola, una lampada con il
logo della fabbrica Ford, un quadro con la riproduzione ingigantita di un fumetto, un bodybuilder.
Quest'ultimo, sorridente e in plastica postura, tiene tra le mani un gigantesco lecca lecca su cui è la
scritta a caratteri cubitali il termine POP. In cima alla scala manifesti e insegne luminoso pubblicizzano
le nuove forme del divertimento collettIvo il cinema, il musical, il teatro, la musica jazz e il rock n’roll.

Dopo il trionfale debutto alla mostra Young Contemporaries, che segna I'avvio ufficiale della Pop art
londinese, Hockney si afferma come il più dotato ed estroso tra gli artisti pop britannici, segnalandosi per
le capacità tecniche e per rivendicazione della propria omosessualità. In A Bigger Splash, celebra da un
lato il mito delI'America come paese felice e libero da pregiudizi moralistici, dall'altro il potere mimetico e
seduttivo della pittura, qui sollecitata nell'impegnativa sfida di rendere in modo credibile I'impervio motivo
dell'acqua sollevata dal tuffo in piscina di un'invisibile persona. Il dipinto è caratterizzato da colori lucenti e
piatti e da una calibrata suddivisione dell'immagine in bande orizzontali. Ne risulta un'immagine piena di
serenità e di luce, sprofondata in un silenzio appena increspato dallo spruzzo d'acqua magnificamente
reso con rapide e sicure pennellate bianche.

Tra i nuovi miti della cultura popolare e di massa vi è anche il tema dell'erotismo, diffuso dalla pubblicità,
dal cinema e dalle riviste per soli uomini, diventato un bene di consumo e assimilato dal pubblico. Il mito
dell'erotismo è caricato dall'immaginario collettivo di simboli che ne arricchiscono le valenze
trasgressive e seduttive: scarpe con tacchi a spillo, reggicalze, parrucche, corpetti attillati, stivali. Con
capacità inventiva e descrittiva e ironia Jones attinge al repertorio dell'erotismo sadomasochista e
feticista, creando immagini conturbanti e di sfrontata immediatezza che enfatizzano il tema della
mercificazione del sesso e il ruolo della donna oggetto nella comunicazione commerciale. Nel 1969
I'artista trasferisce gli scandalosi, per I'epoca, temi della sua pittura nella tridimensionalità, realizzando
sculture in fibra di vetro dipinta che raffigurano donne di dimensioni reali, vestite con stivali e mutandine
di cuoio, parrucca e ciglia finte, che simulano elementi dell'arredo domestico: I'attaccapanni, il tavolo, la
sedia, come in Chair. L'opera scandalizza per la spregiudicatezza del tema e il realismo del linguaggio.
POP ART AMERICANA: ROY LICHTENSTEIN (1923-1997),
TOM WESSELMANN (1931-2004), GEORGE SEGAL (1924-2000)
Il successo della Pop art americana, ratificato dal riconoscimento internazionale tributatole alla Biennale
d'arte di Venezia del 1964, ha origine nella natura del suo linguaggio, capace di interessare un pubblico
vasto in virtù dei suoi espliciti richiami all’immaginario popolare, alla sfera del consumismo, al mondo della
pubblicità e dello sport e dello star system. Il risultato è un'arte apparentemente fredda, anonima, banale,
ma al tempo stesso accattivante e spesso ironica, dispiegata in opere in coloratissime e di grande formato
che rispecchia la società americana degli anni sessanta.

Hopeless, l’immagine della bionda fanciulla in lacrime riversa sul letto, è tratta da un fumetto americano
che Boy Lichtenstein ripropone in modo letterale. Un prodotto della cultura "bassa" e popolare viene issato
nella sfera "alta" e nobile della pittura, modificando i connotati di base di ambedue i linguaggi. L’immagine
non è più consumabile, rivelando la fragilità e consentendo a chi guarda di osservarla in modo distanziato e
critico. La manipolazione dell'illustrazione comprende il passaggio dalla bassa qualità della stampa alla
brillantezza dei coloni acrilici, che il pittore stende con il pennello in piatte e uniformi campiture contornate
da uno spesso segno nero. La mimesi con i procedimenti formali e linguistici delle strips, che nasconde
un'ironica sfida verso le tradizionali tecniche dell'arte, si spinge fino alla riproduzione dei puntini del retino
tipografico. La concisione e l'antillusionismo dell'immagine sono verificati dalla mancanza di profondità
spaziale e dalla restituzione integrale del testo incluso nel caratteristico baloon.

Wesselmann pone al centro del proprio lavoro i temi della cultura di massa americana, che trasferisce
in ambito pittorico, rivisitando e rinnovando gli antichi generi della storia dell'arte. Still Life Number 36
è una monumentale composizione su quattro pannelli che può essere intesa come una moderna natura
morta realizzata con ingredienti tratti dal mondo della pubblicità. Il formato dell'opera è esemplato sulla
scala gigantesca dei manifesti e delle immagini commerciali che già negli anni sessanta costellano il
paesaggio urbano americano. Combinando frammenti di veri manifesti, l'artista crea un collage, nel
quale le immagini, accostate con rapporti stridenti e contraddittori, enfatizzano i diversi livelli di
realismo dei materiali della vita di tutti i giorni. Affiancati I'uno all'altro il bicchiere di latte e il sandwich al prosciutto fanno sembrare il
pacchetto di sigarette gigantesco e irreale. Le parti a stampa fotografica sono legate tra loro dagli interventi pittorici presenti in primo
piano e sullo sfondo, che se da un lato alludono alla bandiera americana dall'altro mutuano dalla comunicazione commerciale i
caratteristici colori brillanti stesi in campiture uniformi. 82
La volontà di documentare la condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo nei suoi lati più
inquieti e disperati caratterizza la produzione di Segal, di cui sono celebri le sculture monocrome a
grandezza naturale realizzate tramite calchi in gesso di modelli viventi. Ispirate ai calchi dei corpi
imprigionati dalla lava nell'eruzione del Vesuvio che colpì Pompei ed Ercolano nel 78 d.C. tali
sculture, in bilico tra rappresentazione e verità, sono ambientate, come in The Moviehouse in
"frammenti" di interni o di esterni costruiti con mobili, oggetti d'uso comune e insegne luminose
prelevati dalla vita quotidiana. Il bianco del gesso, che apparentemente si ricollega al candore delle
antiche statue greche e romane, trasforma le figure in presenze anonime e prive di identità che
testimoniano il sentimento di acuta solitudine e di angoscia esistenziale della vita nelle metropoli moderne. L’opera di Segal sembra
suggerire come la contemporanea società dei consumi trasformi le persone in soggetti privi di individualità.

ANDY WARHOL (1928-1987)


Nato da una famiglia di immigrati cecoslovacchi, Warhol si iscrive al Carnegie Institute of Technology di
Pittsburgh per studiare disegno e arti decorative. A New York dal 1949, collabora come illustratore a riviste
di moda e con agenzie di pubblicità per calzature e accessori di abbigliamento femminile. Dal 1960 dipinge
le prime tele che hanno come soggetti elementi della società consumistica. Nel 1963 fonda a New York la
Factory, sede della sua diversificata attività artistica, in cui opera come in una bottega medievale circondata
da collaboratori e allievi. Nel 1968 subisce un attentato da parte di una femminista, che entra nel suo studio
e gli spara. Ricomincia a dipingere nel 1572, eseguendo su commissione ritratti di personaggi famosi.

L’interesse per i processi di serializzazione del mondo produttivo e I'idea che l'arte debba sopprimere
ogni carattere individuale e soggettivo lo inducono ad abbandonare la pittura a olio per dedicarsi alla
tecnica serigrafica impiegata in campo pubblicitario e nella comunicazione di massa. Nell'assumere le
modalità tecniche e linguistiche della cultura di massa, I’artista utilizza queste soluzioni per una
comunicazione più efficace, incisiva e moderna. Il nucleo di ritratti dedicati a Marilyn Monroe, la
celebre attrice americana simbolo sexy dello star system internazionale e del cinema hollywoodiano,
contribuisce a costruire il mito e il valore simbolico della vita dell’attrice, morta prematuramente. Egli
attinge all'immenso serbatoio di immagini già disponibili e reperibili sul mercato e dunque "fissate"
nello sguardo collettivo. In questo caso I'immagine di partenza è costituita da una celebre fotografia di
Gene Korman scattata in occasione della campagna pubblicitaria per il lancio di Niagara, il film che
aveva segnato la consacrazione internazionale dell'attrice, in cui il personaggio di Marylin-Rose muore
in drammatiche circostanze. Per commemorare la morte reale della Monroe, Warhol utilizza un'immagine della sua "nascita" come
star in un film nel quale il personaggio da lei interpretato perisce tragicamente. La fotografia di Korman viene manipolata da Warhol,
che isola, dilata e porta il volto dell'attrice in primissimo piano, come per effetto di una zoomata, al fine di valorizzarne lo sguardo
ammaliante, la bocca sensuale, l'acconciatura da star degli anni cinquanta. L'immagine è il prodotto artificiale e vacuamente
aggressivo di un montaggio meccanico di zone di colori accostate con l'approssimazione tipica dei prodotti a basso costo e a bassa
definizione: la massa biondo oro dei capelli, il fondotinta rosa del volto, l'azzurro del l'ombretto, il rosso scarlatto delle labbra.

In White Car Crash 19 Times il soggetto è disposto sulla tela in una sequenza ordinata in bande orizzontali e
colorate con poche e sbiadite tinte industriali. Riportando la fotografia di un incidente automobilistico tratta da
un quotidiano, I'arista documenta la realtà vista e interpretata da un mezzo d'informazione quale il giornale.
Essendo I'immagine del quotidiano prodotta, distribuita, vista e "consumata" in milioni di copie, finisce per
acquisire un grado di realtà persino maggiore di quello I'incidente che vorrebbe documentare. Alla tecnica dei
mass media, oppone il paradosso di un'immagine reiterata più volte nello stesso spazio (la tela), con il risultato di
annullarne il valore espressivo e il significato originario. L'immagine moltiplicata di un evento tragico perde il
proprio contenuto drammatico, diventando da un lato un mero motivo decorativo, dall'altro una sorta di monito
sull'insensatezza della morte violenta, procurata o subita.

JOSEPH BEUYS (1921-1986)


Beuys, disincantato interprete della società dei consumi, ha inteso I'arte come espressione globale di un
agire etico, teso a evidenziare Ie contraddizioni della realtà moderna, a stimolare la creatività soggettiva
come fonte di liberazione, a ricomporre la frattura tra la vita e il mondo, I'individuo e la società. La sua
stessa presenza fisica, il suo carismatico magnetismo di sciamano moderno e di accanito difensore dei
valori della natura, della libertà e della democrazia sono parte integrante della sua opera, costituita da
sculture, disegni, installazioni, performance ( "azioni"), conferenze, video, fotografie.

Con I'azione Coyote. I Like America and America Likes Me (https://www.youtube.com/watch?


v=xZH8yGVA7iY) tematizza i rapporti tra umanità e natura e tra individuo e istinti primordiali nella moderna
civiltà industriale e tecnologica. Avvolto in una coperta di feltro e armato di un bastone da pastore, si è fatto
trasportare con un aereo da Düsseldorf a New York, dove per un mese intero è rimasto chiuso in compagnia di
un coyote selvatico, simbolo dell'America primitiva e selvaggia precedente la colonizzazione dei bianchi. Dopo i
primi giorni di tensione, durante i quali l'artista si è difeso dall'aggressività dell'animale ritraendosi nel proprio
mantello e agitando il bastone, il rapporto tra i due si è via via “normalizzato", stabilendo una relazione di
progressiva e reciproca conoscenza. A contatto con la realtà fisica, materiale e istintuale dell'animale, l'artista si
fa "veggente", accrescendo la propria sensibilità verso qualità e valori del mondo naturale che la società
ipertecnologica ha emarginato o rimosso. Al tempo stesso si propone quale figura intermediaria e pacificatrice
tra due universi lontanissimi e tra loro apparentemente non comunicanti.

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Il tema della responsabilità individuale nei confronti dell'ambiente è al centro anche
dell'Azione 7000 querce, intrapresa dall'artista nel corso di Documenta VII a Kassel. Dopo
avere collocato in una piazza settemila stele di basalto alte circa un metro e venti, I'artista ha
esortato la popolazione locale ad adottare altrettante querce da piantarsi in un'area dismessa
nelle vicinanze della città. Per ogni quercia adottata e piantata, una stele veniva sottratta dal
cumulo e dislocata accanto al nuovo albero per formare un'inedita coppia simboleggiante la
nuova alleanza tra arte e natura, tra umanità e ambiente. Il carattere progressivo dell'azione è
emblematicamente testimoniato da un lato dal diminuire delle stele nella piazza, dall'altro
dall'aumentare del numero delle querce nel bosco creato ex novo per la volontà e I'impegno
morale di ogni singolo cittadino. Il significato simbolico dell'operazione allude alla necessità
di rimpiazzare ciò che I'economia del profitto tende sistematicamente a distruggere.

MINIMAL ART: FRANK STELLA (1936),


DAN FLAVIN (1933-1996), CARL ANDRE (1935)
La definizione di Minimal art, coniata dal filosofo Wollheim, indica gli artisti, i musicisti e i danzatori, il cui
linguaggio si fonda sull'impiego di strutture e forme primarie, razionali ed elementari, tratte dal repertorio
geometrico e proposte con minime varianti in fitte sequenze spaziali o temporali. Le origini del movimento,
nato negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni sessanta, sono individuabili nella tradizione dell'astrattismo
internazionale degli anni dieci e venti del Novecento e nel principio secondo cui I'opera d'arte è un oggetto
fisico e concreto. La consacrazione ufficiale coincide con la mostra Primary Structures a New York (1966).

Stella ha continuato a praticare una pittura geometrica, fredda e volutamente impersonale. L'artista
concepisce il quadro come un oggetto, un supporto bidimensionale organizzato secondo una logica
compositiva volta a valorizzarne la simmetria, I'ordine geometrico e razionale, i colori piatti stesi con
regolarità e senza alcun palpito gestuale o emotivo. In Gran Cairo le bande cromatiche sono eseguite
con smalti di produzione industriale. La loro successione segue I'ordine elementare di un catalogo di
vernici, pur con uno schema a quadrati concentrici che crea singolari effetti di avanzamento e di
arretramento delle forme in sintonia con le contemporanee ricerche. La pittura di Stella è basata sul
fatto che “solo ciò che può essere visto è presente in essa”.

Freddezza, impersonalità e ripetitività caratterizzano le installazioni fluorescenti di Dan Flavin, realizzate per aggregazioni
di tubi di luce al neon del tipo comunemente impiegato nei negozi e negli uffici. L’opera dell'artista è interna alle
problematiche del Minimalismo, di cui condivide i caratteri di modularità, simmetria e sobrietà compositiva. Nel
Monumento per V. Tatlin n. 61, i tubi al neon sono impiegati sia come elementi plastico-strutturali sia come generatori
di luce in grado di colorare e "dipingere" l'ambiente circostante. Particolarmente significativa è I'unità creata tra I'oggetto
scultoreo e il processo innescato dal meccanismo elettrico che proietta l'opera in una dimensione spaziale e temporale.

La tendenza minimalista a creare opere razionali e senza emotività rappresenta


una forma di opposizione all'enfasi teatrale dell'Espressionismo astratto e una
polemica reazione nei confronti del mondo delle merci nella società dei consumi.
La scultura minimalista di Andre rinuncia a ogni ostentazione e messa in scena
della personalità dell'autore per cercare di essere “quello che sembra”, cioè una
sobria ed essenziale composizione di elementi modulari disposti nello spazio: in
64 Copper Square, le lastre di rame sono adagiate sul pavimento a formare un
grande quadrato di otto pannelli per lato. La scultura si propone come un luogo abitabile e calpestabile dallo spettatore, rovesciando
la logica che ha sempre inteso la scultura come qualcosa di eretto, verticale e solenne. La messa a nudo del materiale costitutivo
dell'opera, la sua luce, il suo colore e il ritmo compositivo qualificano lo spazio in chiave formale ed espressiva, enfatizzando il
contrasto tra la staticità dell'opera d'arte e la vitalità del pubblico che la anima e la legittima.

ARTE CONCETTUALE: PIERO MANZONI (1933-1963),


JOSEPH KOSUTH (1945), ON KAWARA (1932-2014)
Verso la fine degli anni sessanta, negli Stati Uniti e in Europa si fa strada un approccio che indaga la natura
stessa del linguaggio artistico, i suoi strumenti e i suoi significati. Al concetto di arte come espressività
subentra quello di arte come indagine autoreferenziale. L’oggetto artistico è messo in crisi perché non
costituisce un modello di verità e sia perché alimenta un mercato che degrada I'opera a qualsiasi merce.

In un'accezione più allargata il termine "concettuale" può rivelarsi utile per comprendere opere che si
fondano su presupposti concettuali. A Duchamp e al Dadaismo si ricollega il milanese Piero Manzoni
con la scultura Socle du monde (“zoccolo del mondo”). L'opera non è che un grosso basamento di
legno e ferro, sul quale è applicata l'iscrizione, capovolta e in lingua francese. L'iniziale perplessità
dell'osservatore di fronte allo zoccolo vuoto è fugata dalla riflessione innescata dal la scritta rovesciata
che fa intuire che l'opera collocata sul basamento altro non è che il pianeta Terra. Con un'operazione
mentale tipica del concettualismo e non priva di ironia, Manzoni realizza non solo la più grande opera
d'arte del mondo, ma anche un'opera d'arte che coincide con il mondo stesso.

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La chiave concettuale di quest'opera di Kosuth è depositata nel suo stesso titolo One and three
chairs che dichiara che una sedia è sempre in realtà almeno "tre" sedie. Allineate sulla parete lo
spettatore osserva una accanto all'altra una sedia vera e propria (oggetto reale), una fotografia
della sedia (rappresentazione per immagine) e la fotografia della definizione di una sedia da
dizionario (rappresentazione verbale). La simultanea presentazione dei tre elementi rende palese
la differenza tra una cosa, la sua immagine e il suo nome e la distanza che separa la realtà dalla
sua rappresentazione. Nella sua nuova veste, l'artista-filosofo è interessato all'analisi dei modelli
di rappresentazione di cui facciamo normalmente uso per cercare di descrivere e interpretare la
realtà che ci circonda.

La componente autoriflessiva e la volontà di registrare lo svolgimento dei propri


pensieri spiegano la presenza di parole, numeri e frasi, chiamati a chiarire il
nucleo speculativo. On Kawara ha assunto come oggetto di ricerca artistica la
propria esistenza materiale, documentandone i diversi passaggi con piccole tele
monocrome sulle quali dipinge le date del suo vissuto individuale. Ciascuna tela
è imballata in un foglio di giornale acquistato nello stesso giorno e nello stesso
luogo in cui la tela è stata dipinta. L’artista tiene un elenco delle "date dipinte" in
un diario, redatto nella lingua del paese in cui ha trascorso il primo giorno
dell'anno considerato. Altri documenti sono conservati in apposite scatole, realizzate e organizzate in ordine cronologico, che
ricostruiscono il processo temporale e il fluire dell'esistenza tramite ritagli di giornale o fotografie relative ai luoghi in cui I'artista in
quel particolare momento si trovava.

ARTE POVERA: MICHELANGELO PISTOLETTO (1933),


JANNIS KOUNELLIS (1936-2017), GIUSEPPE PENONE (1947)
L’Arte povera nasce in Italia alla fine degli anni sessanta per iniziativa del critico Germano Celant, che ne
ricava il nome richiamandosi al "Teatro povero". Comprende artisti diversi che hanno in comune I'interesse
per le qualità fisiche, energetiche e metamorfiche di materiali primari quali la terra, l'acqua, il fuoco, ma
anche di vegetali e animali o di prodotti industriali come il neon, il gas, il vetro, gli specchi. La riscoperta del
potere magico della natura induce alcuni di essi ad azzerare la tradizione storico-artistica per tomare a uno
stadio primordiale e pre-iconografico.

Incollando la fotografia di un uomo di spalle sulla superficie riflettente di una lastra di acciaio lucidata a
specchio Pistoletto rivoluziona alla radice lo statuto dell'immagine pittorica, che dovrebbe costituire una sorta
di finestra spalancata su una realtà fittizia e immaginaria. In Uomo di schiena la superficie specchiante e la
collocazione della figura di spalle in posizione decentrata determinano l'inclusione dello spettatore e
dell'ambiente che lo ospita all'interno dell'opera, realizzando una sorta di "vertigine percettiva". Osservatore
osservato, lo spettatore si trova ad abitare l'opera nel contesto di una narrazione che include movimenti e
gestualità reali e una struttura mutevole, mai uguale a se stessa. L'immagine si configura come un'opera
"aperta", che si rinnova ogni volta che un nuovo spettatore sosta dinanzi a essa o quando muta lo spazio
espositivo che la contiene.

L’installazione Senza titolo dell'artista greco Kounellis consiste di dodici cavalli vivi legati al
muro a distanza regolare l'uno dall'altro. La volontà di esporre cavalli in carne e ossa rivela
legami con la poetica dadaista e con il concetto di ready-made, secondo cui è il contesto a
designare I'esteticità di un oggetto. Kounellis spinge I'idea della verità artistica alle estreme
conseguenze sostituendo I'oggetto con la vita stessa. La presenza degli animali introduce nella
galleria un surplus di autenticità, prodotto dal calore emanato dalle bestie, dai nitriti, dai
movimenti, dal rumore degli zoccoli, dall'odore acre del fieno e dello sterco.

Penone ha compiuto numerose operazioni che hanno chiamato in causa alberi, foglie, patate, rocce, fuoco,
fiumi. Prerogativa del suo lavoro è I'intreccio tra la logica creativa dell'arte e i processi che governano lo
sviluppo o la trasformazione delle forme vegetali o minerali. Con Albero I'artista compie un'operazione di
simbolico risarcimento della natura: egli ricava da una trave di legno alta sei metri I'albero originario da cui è
derivata. Dopo avere individuato sulla superficie della trave i segni dei nodi, l'artista interviene con lo
scalpello ricostituendo e riportando alla luce i rami e I'albero perduti. Penone recupera I'idea dell'albero
contenuto nella trave, toccando il problema di una natura minacciata e degradata da uno sfruttamento
economico incontrollato.

LAND ART: ROBERT SMITHSON (1938-1973), WALTER DE MARIA (1935-2013),


CHRISTO (1935-2020) & JEANNE-CLAUDE (1935-2009)
Con la definizione di Land art si identifica la tendenza, inaugurata negli Stati Uniti nella seconda metà degli
anni sessanta, a operare in grandi spazi naturali e incontaminati: deserti, laghi, canyon, praterie, montagne,
campi innevati. La poetica dei land-artisti si esplica in un ritorno al dialogo ravvicinato con la natura,
concepita come un'immensa tela o come deposito di materiali disponibili alla manipolazione per finalità
creative. I land-artisti operano nella natura con interventi anche brutali e invasivi, che poco hanno a che fare
con le problematiche di carattere ambientalistico.

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L’opera di Smithson Spiral Jetty è un'enorme spirale collocata a pelo d'acqua, realizzata sulla
riva del Grande Lago Salato nello Utah spostando tonnellate di massi e di terra. Obiettivo
dell'artista è trasformare la fisionomia del luogo mediante I'incisione artificiale, di una figura
primordiale e archetipica, quale è la spinale, simbolo della continuità della vita e presente
nell'acqua, nel cielo, nel mondo minerale e in quello animale. La natura è presente non solo in
quanto fornitrice della materia prima, ma anche come complice e soggetto attivo del processo
artistico in atto. Nel corso del tempo, infatti, gelo, vento, pioggia e sole hanno eroso e modificato
la struttura originaria dell’opera.

Il desiderio di misurarsi con le forze naturali è alla base del lavoro realizzato da De Maria
nel deserto del Nuovo Messico. In una vasta area pianeggiante I'artista ha conficcato nel
terreno 400 pali appuntiti di acciaio alti circa sei metri. All'orizzontalità del terreno si
contrappone dunque la verticalità di della "piantagione" (Lightning Field), una foresta di
aste metalliche puntate verso il cielo che di giorno scintilla sotto il rovente sole del deserto
e la notte è illuminala dai raggi della luna. De Maria "dipinge" e compone una varietà di
effetti cromatici, luministici e plastici che raggiungono l'apice espressivo durante i
temporali più violenti, allorché i pali d'acciaio, attirando su di sé centinaia di fulmini,
illuminano il campo.

Il bulgaro Christo raggiunge la notorietà internazionale con opere che nascondono alla vista del pubblico
porzioni di paesaggio o complessi monumentali, avvolgendoli con ettari di tessuto e stringendoli con
chilometri di cavi, come se fossero giganteschi pacchi dono in attesa di essere scartati. Nel 1985 l'artista
realizza lo spettacolare Wrapped Pont Neuf, il più antico ponte parigino sulla Senna. Utilizzando 41 000
metri quadrati di tessuto giallo oro trasforma il ponte in un'enorme, leggiadra e metafisica scultura
galleggiante, i cui eleganti drappeggi sono mossi dal vento e sfiorati dalla luce del sole. Operazione
trasgressiva di gusto neodadaista, I'impacchettamento è una polemica nei confronti del bombardamento
d'immagini che la società dei mass media quotidianamente ci infligge: Christo sceglie di obliterare lo
sguardo, cancellando alcune immagini esistenti ed elevando a metodo creativo i principi della sparizione.

BODY ART: ARNULF RAINER (1929),


MARINA ABRAMOVICH (1946), VANESSA BEECROFT (1969)
La Body art ha origine alla fine degli anni sessanta per impulso del vivace dibattito che caratteizza la
riflessione filosofica e politica del tempo, sui temi della liberazione del corpo e della sessualità dai tabù della
morale corrente. È I'utilizzo del corpo come strumento privilegiato dell'espressione creativa, al posto dei
tradizionali mezzi della pittura e della scultura, ad essere protagonista.

Rainer tematizza le contraddizioni dell'artista contemporaneo proiettando sul proprio corpo i


fantasmi della solitudine, dell'incomunicabilità, della ricerca di una felicità impossibile. L'artista
realizza un vero e proprio viaggio all'interno del proprio "io", documentando con fotografie di
drammaticità gli stravolgimenti del proprio viso e delle proprie membra sotto I'effetto di
stupefacenti o di violente emozioni. La fotografia è quindi elaborata e manipolata con interventi
grafico-pittorici e con una scrittura di tipo gestuale, che hanno lo scopo di enfatizzare le qualità
espressive dell'opera. In Schlaf-Zacken, l'immagine dell'artista coricato e addormentato è resa
inquietante dalla ragnatela di pesanti segni neri che circondano la sua bocca spalancata e dalle
striature di pittura gialla e rossa che alludono a ferite sanguinanti e conferiscono all'autoritratto
un significato drammatico.

Per tre giorni interi, in uno scantinato degli edifici della Biennale di Venezia, Abramovich si è cimentata in
una durissima prova di resistenza fisica e psicologica con lo scopo di celebrare e rendere omaggio alle
migliaia di morti della recente guerra in Bosnia, sua terra d’origine, portando Balcan Baroque. Seduta in
cima a un grande, sanguinolento e maleodorante cumulo di ossa bovine, al centro di una stanza semibuia,
I'artista ha ripetutamente e meticolosamente lavato e spazzolato le centinaia di ossa come se l’opera
compiuta fosse un antico rituale. Davanti alla catasta campeggiavano due grandi vasche di rame colme di
acqua purificatrice. Alle pareti, su tre grandi schermi, scorrevano video con immagini rallentate del padre e
della madre della Abnamovich, racconti, canti e danze della ex Jugoslavia interpretati dall'artista stessa. Il
significato espiatorio dell'operazione era evidenziato dall'atto purificatorio del lavare e dall'ammasso delle
ossa in decomposizione (caducità della vita e responsabilità collettive) e ribadito dall'odore insopportabile
che coinvolgeva lo stesso spettatore in una prova di resistenza estrema.

Nel 1977, in una performance, lmponderabilia, alla Galleria d'arte moderna di Bologna, Marina
Abramovich e il suo compagno Ulay si disposero completamente nudi, l’uno di fronte all'altro,
sugli stipiti dell'ingresso di una sala del museo, costringendo gli spettatori a entrare in contatto
con i loro corpi privi di vestiti e provocatoriamente offerti al pubblico sguardo.

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Dalla fine degli anni novanta, la Beecroft in Vb43.OS9.te utilizza il corpo di
giovani donne più o meno nude come materiale espressivo per comporne
autentici tableaux vivants, presentati nel corso di performance pubbliche
in gallerie e musei d'ante contemporanea. L'artista pone al centro della
propria riflessione i temi dello sguardo, del desiderio e della frustrazione
connessi all'inibizione del piacere nella comunicazione contemporanea e
nel volubile mondo della moda. Uniformate dalla parrucca del medesimo colore o dalle scarpe coi tacchi, le modelle nude abitano e
dipingono lo spazio con gesti e movimenti lentissimi, indifferenti e impermeabili allo sguardo del pubblico presente. Esse appaiono
come congelate in un'invisibile barriera, quasi fossero dei ready-made viventi, sollecitando tuttavia il voyeurismo dello spettatore.

DUANE HANSON (1925-1996)


L’Iperrealismo, di cui Duane Hanson è stato I'interprete probabilmente più originale, propugna non solo il
ritorno alla pittura e all'opera-oggetto, ma anche a un'arte che riproduca la realtà nel modo più oggettivo
possibile, fino quasi a confondersi con essa. L’arte iperrealista è interessata all'immagine che di essa viene
fornita da fotografia e televisione, con le quali entra in competizione.

Donna con cane è una scultura a grandezza naturale realizzata da un calco in gesso
successivamente colato in un materiale sintetico (il polivinile), colorato con acrilici e completato con
materiali reali (i vestiti, i capelli, gli occhiali, il tappeto, la sedia) fino a creare un effetto di
sconcertante illusionismo. L'opera raffigura una tipica casalinga impegnata nella lettura di alcune
carte. Seduta di sbieco, la donna ha un'espressione concentrata e una posa leggermente
scomposta, tipica di chi sta compiendo un'azione nell'intimità della sfera domestica, al riparo da
sguardi indiscreti; ciò trasforma ogni spettatore in un virtuale voyeur. Lo spazio dell'opera è
circoscritto da un tappetino, sul quale giace addormentato un barboncino. L'impressione di
verosimiglianza di tali lavori è enormemente accresciuta dalla loro collocazione nello spazio
espositivo in posizioni intenzionalmente defilate quali l'angolo di una stanza, un corridoio o una
rampa di scale, così da sorprende re lo spettatore costringendolo a verifica re se ciò che ha di
fronte sia la realtà o una sua fedelissima riproduzione.

NEOESPRESSIONISMO E TRANSAVANGUARDIA:
GEORG BASELITZ (1938), SANDRO CHIA (1946), ANSELM KIEFER (1945)
Alla fine degli anni settanta si verifica un deciso ritorno alla pittura e al linguaggio figurativo che coinvolge in
particolare I'Italia e la Germania. Il fenomeno coincide con l'emergere in tutto il mondo della cultura del
postmodemo e con la crisi delle ideologie (politiche, sociali, religiose) e corrisponde all’esigenza di molti
artisti di recuperare i valori dell'esperienza sensibile che I'Arte concettuale tendeva a escludere in nome di
un approccio intellettualistico. La scelta di attingere alle esperienze figurative del passato, intrecciandole
con disinvoltura con le istanze del presente, testimonia il crollo della fiducia, propria delle Avanguardie, nelle
capacità dell'arte di immaginare e progettare un nuovo modello di società.

Baselitz inaugura uno stile figurativo costituito da pennellate materiche, grossolane e primitive, che si respirano
all'arte delI'Espressionismo tedesco e austriaco del primo Novecento. Dalla fine degli anni sessanta il pittore
realizza i suoi primi quadri rovesciati. Al di là dell'aspetto provocatorio, I'operazione ha in realtà un fondamento
concettuale, ponendosi l'obiettivo di spostare l'interesse dell'osservatore dal soggetto raffigurato alle modalità
del dipingere, ai contenuti linguistici ed espressivi del gesto pittorico. Il capovolgimento dell'immagine ottiene
l'effetto di togliere all’immagine, in questo caso in Ritratto di Franz Dahlem, la funzione di ritratto maschile.

Sandro Chia si segnala per l'eclettismo e per la capacità di svariare tra gli stili pittorici più diversi. Poiché la
motivazione della pittura è nella pittura stessa tutte le maniere e gli stili possono essere praticati e persino
mescolati. In Senza titolo, la figura mostra una muscolatura esagerata e quasi caricaturale. Il tema dell'uomo
seduto che regge nel grembo oggetti di varia natura si ricollega a De Chirico. Lo sfondo, caratterizzato da un fitto
e formicolante intreccio di pennellate nere, bianche e verdi che proiettano la figura in una dimensione sospesa e
instabile, sembra attingere alla pittura gestuale dell'Informale segnico e dell'Action painting americana.

Nel panorama tedesco degli anni settanta-ottanta protagonista di grande rilievo del "ritorno
alla pittura" è Kiefer, autore di quadri monumentali che rinnovano e attualizzano, quali il
paesaggio e la pittura di storia. Il pittore realizza una sorta di "viaggio agli inferi" alle radici del
dolore, dipingendo una natura desolata, apocalittica, devastata dalla violenza e dalla follia
della guerra. I suoi cupi paesaggi sono "cognitivi", nel senso che visualizzano in termini
allegorici il tramonto della nostra era, segnata dall'odio e dalla solitudine. In La gerarchia
degli angeli, caratterizzato dall'altissimo orizzonte che consente la visione dell'ampia
spianata simile a un campo dopo la battaglia, I'uso di materiali extra-pittorici, come strisce di
piombo, gommalacca e sabbia, conferisce all'immagine una fisicità densa, oleosa e
inquietante. Nella parte superiore, compaiono parole, frasi e nomi di angeli biblici, che alludono all'eterna lotta tra Bene e Male,
amore e odio, sacro e profano, che sin dalle origini ha accompagnato la storia del genere umano.

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GRAFFITI ART: JEAN-MICHEL BASQUIAT (1960-1988),
KEITH HARING (1958-1990)
Il movimento grafitista nasce a New York alla fine degli anni sessanta sull'onda della contestazione giovanile
che ha prodotto nella società civile americana. Il termine "graffitismo" non è ben accetto dai writers (autori
di graffiti), che gli preferiscono le espressioni tecnicamente più corrette di Aerosol art, Subway art, Hip hop.

Newyorkese di origini haitiane, Jean-Michel Basquiat inizia a disegnare sui muri e nella metropolitana tags,
messaggi poetici e satirici accompagnati dal simbolo della corona e dallo pseudonimo SAMO. La sua
pittura aggressiva, piena di istinto e di spontaneità, che riecheggia itemi della strada e lo slang delle
periferie, mescola il mondo variopinto e popolare dei fumetti, dello sport, della musica jazz e della
pubblicità con quello "colto" della storia dell’arte. In Piano Lesson le diverse figure sono distribuite senza
alcun ondine gerarchico e proporzionale, dove le scritte si alternano in modo casuale ai brandelli di
manifesti, ai messaggi pubblicitari, ai disegni tracciati da anonimi passanti. Con uno stile deliberatamente
elementare che ricorda i disegni infantili, il pittore costruisce una pagina di diario, riempiendo la tela di
scritte, cancellature, segni misteriosi, ricordi autobiografici, immagini frammentarie e coloratissime che
fluttuano in uno spazio privo di centro e di profondità.

Nato in Pennsylvania, Keith Haring si unisce al mondo dei graffitisti sin dalla fine degli anni settanta,
guadagnandosi notorietà con disegni al tratto a sfondo sociale e politico, eseguiti negli spazi pubblicitari
lasciati vuoti nei sotterranei della metropolitana. Il suo stile inconfondibile e universalmente comprensibile
è caratterizzato da un segno lineare e flessuoso e da immagini formicolanti di figure sintetiche ed
elementari simili a pittogrammi, raffiguranti dischi volanti che emettono radiazioni su animali, mostri metà
uomini e metà computer, bambini tecnologici, personaggi dei fumetti, scene erotiche, uomini-lupo.
Creando questo fantastico e ironico bestiario originario l'artista sembra metterci in guardia contro i rischi
di una società dominata dalla tecnologia e dal denaro, in grado di schiavizzare gli uomini e di avviare una
pericolosa mutazione antropologica. Nell'opera Senza titolo le prospettiva è resa esplicita dalla
mostruosa creatura, simile a una moderna sfinge costituita per metà da un corpo di leone e per metà da
un personal computer sul cui monitor si vede un uomo crocifisso a testa in giù. L'aggressività della figura, accentuata dal contrasto
cromatico tra il nero e il verde del disegno e la tinta arancio dello sfondo, è bilanciata dalla semplicità quasi infantile e fumettistica del
l'immagine, capace tuttavia di comunicare su scala universale.

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