Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
L'illuminismo trova la sua espressione simbolica nella metafora della luce dell'intelletto, trionfante sulle
tenebre dell'ignoranza, della superstizione, della cieca fede nel principio d’autorità. Il pensiero illuminista
costituisce un appello alla libertà di pensiero e d'azione, guidati dalla ragione, e si contrappone a ogni
privilegio e disuguaglianza fondati sulla nascita. Anche la cultura e l'arte tendono a perdere il loro carattere
elitario, diventando componenti attive del processo di rottura con il passato. Il prodotto più rappresentativo
della cultura illuminista è l'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts, et des métiers, il
cui primo volume viene pubblicato a Parigi nel 1751, sotto la direzione dei filosofi Denis Diderot e Jean-
Baptiste Le Rond D'Alembert. Ciò che la distingue da pubblicazioni simili è l’impostazione pluridisciplinare
fondata su scienze teoriche e sperimentali, arti, pensiero filosofico-scientifico e tecnologia.
Il pensiero illuminista agisce nel campo della produzione artistica, trovando riscontro nel dibattito sul ruolo
dell'arte, dei suoi protagonisti e delle sue istituzioni. L'arte era considerata come un mezzo per arrivare a
un fine piuttosto che un fine in sé, il che ne accresce il significato, sottolineandone il carattere didascalico,
formativo, di strumento di trasmissione di idee e sensibilità.
Il momento più alto della cultura illuminista è rappresentato dal Neoclassicismo, termine che indica il
riemergere con particolare forza di quella componente “classica”. Tale indirizzo è in sintonia con le tendenze
razionaliste del secolo dei lumi. Per capirlo, bisogna pensare al termine classicismo in contrapposizione a
naturalismo, seguendo un'interpretazione delle due maniere tipica della teoria artistica seicentesca, ma in
fondo ancora valida nel XVIII secolo. Il naturalismo si basa su una rappresentazione puramente imitativa,
mimetica, della natura in grado di cogliere il fenomeno occasionale, l'apparenza delle cose; il classicismo
tende a una rappresentazione capace di andare "oltre" i fenomeni per arrivare ai principi immutabili alla
base dei fenomeni stessi per rendere una “idealizzazione". Si affianca, nei neoclassicisti, l'idea di una
selezione dei soggetti da rappresentare e di una scelta dei modi più adatti per farlo per cercare una sorta di
"astrazione", nella convinzione che un bello assoluto non esista in natura, e si tratti dunque, per scultori e
pittori, di "inventarlo" prendendo eventualmente soltanto spunto dagli elementi naturali. La freddezza, il
distacco, l'astrazione di operazioni possono unirsi a un progetto di rappresentazione delle passioni: la
comunicazione di idee attraverso la “lettura” delle opere e l'emozione suscitata dall'esercizio dei sensi. I
soggetti non devono essere né frivoli né d'occasione ma capaci di costituire degli exempla di moralità e di
virtù, poiché all'arte si riconosce un fondamentale ruolo educativo. La componente etico-didascalica del
Neoclassicismo trova espressione in uno stile razionale, austero, fondato essenzialmente sul disegno e sulla
chiarezza delle forme. In architettura Neoclassicismo significa negazione di un gusto decorativo fine a se
stesso a vantaggio di uno schema razionale teso a funzionalità e de coro, a loro volta specchio di moralità.
Raphaël Mengs è la figura iniziale della svolta verso il gusto neoclassico. Egli si impegna sia in un'opera
critica di definizione di nuovi canoni sulla base di modelli antichi sia nella traduzione pittorica di tali ideali,
concretizzatasi in primo luogo nel Parnaso.
Il francese Jacques-Louis David, giunto a Roma da Parigi una prima volta nel 1775, esegue Il Giuramento
degli Orazi, comunemente ritenuto il primo grande esempio di compiuto Neoclassicismo pittorico: il rigore
geometrico e razionale nella costruzione della scena si coniuga a un nitore cromatico derivato dalla
tradizione classicista italiana, tra Raffaello e i bolognesi del Seicento. Attraverso David il Neoclassicismo
diventa il linguaggio di un'accademia francese rinnovata, limpida forma espressiva degli ideali rivoluzionari
e di quelli imperiali napoleonici: loro veicolo principale è una pittura di storia che parla del presente anche
ricorren do a soggetti antichi, storici e letterari.
Antonio Canova, che aveva studiato a Venezia, giunge a Roma nel 1779 e vi realizza i primi lavori che
propongono un'interpretazione semplificata nel senso degli ideali di bellezza e di grazia propugnati da
Winckelmann, principale divulgatore della nuova estetica neoclassica e massima autorità europea del
tempo in materia di scultura greca e romana. Il procedimento di idealizzazione in Canova viene temperato
1
da un senso di naturalità che lascia trasparire passioni e sentimenti. La grande fortuna internazionale di
Canova coincide comunque con l'età napoleonica. Bertel Thorvaldsen, formatosi a Copenaghen ma attivo
a Roma dal 1797, raccoglie e sviluppa l'eredità di Canova accentuando la tendenza a un'astratta
idealizzazione delle forme, costituendo una figura di congiunzione tra il Neoclassicismo “storico" e le sue
interpretazioni puriste della prima metà del XIX secolo. Anche Giovan Battista Piranesi, incisore e
architetto veneziano, guarda all'antico e lo reinterpreta con accenti di visionarietà, presentando rovine e
monumenti romani come proiezioni dell'immaginario.
In Inghilterra, paese interessato dal consolidamento della borghesia come classe dominante e dagli effetti
della rivoluzione industriale, la componente idealizzante del Neoclassicismo appare bilanciata sia da forme
di rappresentazione di impronta schiettamente realistica, sia dal primo sviluppo di quella dimensione
dell’“immaginario” che può essere interpretata come fuga dal mondo e apertura sugli spazi dell’inconscio.
William Hogarth restituisce il clima dell’egemone civiltà borghese con uno stile diretto, spregiudicato,
attingendo a soggetti tipici del proprio tempo con intenzioni moralizzanti, proprio come in certa coeva
produzione letteraria. Il panorama inglese si completa con l'opera di Joseph Wright of Derby che guarda ai
fenomeni naturali con occhio scientifico, rappresentando con dettaglio i progressi della scienza e di Johann
Heinrich Füssli, svizzero di nascita ma operante a Londra dal 1763, che viceversa interpreta le idee di
Winckelmann e i modi principalmente michelangioleschi portando alla luce la dimensione dell'inconscio.
Nella corte spagnola, apparentemente separata dalle correnti artistiche più vitali, domina un contesto
politicamente ed economicamente in declino. Per molti versi ancora vincolata dal ricordo dei fasti passati, la
Spagna vede le differenti componenti della cultura artistica dell'età dell'illuminismo esemplarmente raccolte
da Francisco Goya. Egli gioca la sua opera sulla dialettica di ragione e oscurità, ponendosi come fonte di
diversi e opposti sviluppi dell'arte del XIX e del XX secolo. Da un lato il pittore esprime una linea realista che
interpreta rappresentando fatti della storia spagnola contemporanea con una libertà non accademica;
dall'altro lascia emergere la componente dell'immaginario e del visionario.
IL MESTIERE DELL’ARTISTA
L'attribuzione di un ruolo sociale alle arti trova riscontro concreto nella promozione delle accademie,
che si diffondono in tutta Europa. Nel 1790 si contano in Europa ormai più di cento accademie d'arte,
rispetto alle diciannove esistenti nel 1720 e alle venticinque del 1740. Il programma dei corsi è pressoché
comune in tutte le accademie europee: l'insegnamento è impostato soprattutto sull'esercizio del disegno. Si
aggiungono lezioni di anatomia, geometria e prospettiva; essenziale resta lo studio della figura umana,
mentre non è previsto alcun insegnamento sistematico della pittura a olio. Per questo, l’appartenenza di un
giovane a un'accademia non risulta incompatibile con il tirocinio nello studio di un maestro, al quale lo
studente si rivolge proprio per apprendere la tecnica della pittura. Nei programmi di molte accademie
europee si comincia a insistere sulle potenzialità economiche di tali istituti, sulla loro capacità di creare
ricchezza attraverso l'impulso a un miglioramento della produzione e all'esportazione di oggetti d'arte di
alta qualità. Solo alcune vecchie scuole con tradizioni radicate mantengono finalità puramente artistiche,
sottraendosi a inclinazioni di carattere commerciale. Le accademie organizzano anche le prime esposizioni
d'arte, nate come dimostrazione pubblica della loro attività. Attraverso lo sviluppo delle mostre si diffonde la
presentazione al pubblico di opere d'arte contemporanea allo scopo di offrire un godimento estetico a un
più vasto numero di persone.
La prima mostra regolamentata di Belle arti, finanziata dallo stato e inizialmente riservata ai soli membri
dell'Académie royale, è il Salon di Parigi. La prima edizione ha luogo nel 1667, ma il termine Salon viene
introdotto a partire dal 1725, quando sede dell'esposizione diviene il Salon Carré del Louvre. Dal 1748 viene
istituita una forma di giuria d'ammissione, composta da una commissione di professori dell'accademia.
Essa ha il compito di salvaguardare ed esaltare la tradizione della grande pittura, caratterizzata soprattutto
da soggetti storici, con particolare preferenza per eventi della storia greca e romana, e da uno stile
classicista ma con contaminazioni delle maniere in voga. Con la Rivoluzione del 1789 si effettuano delle
modifiche al regolamento del Salon; nel 1791, l'accademia viene momentaneamente chiusa e l'esposizione
diventa libera e accessibile a tutti gli artisti, mentre nel 1798 la giuria torna a operare regolarmente, con una
maggiore apertura nei confronti degli espositori. Protagonista assoluta è sempre la pittura di storia; sono
però mutati gli obiettivi ideologici e i messaggi civili e morali.
Nel corso della seconda metà del Settecento il Salon assume una dimensione culturale di grande rilevanza,
come dimostrano anche le numerose "recensioni" e i commenti pubblicati su alcuni giornali, che a questo
scopo istituiscono rubriche specializzate. I più famosi scrittori d'arte sono i salonniers: si tratta di amatori,
moralisti e filosofi che redigono resoconti dei Salon, esprimendo il loro giudizio sulle opere e cercando
pronostici sulle tendenze del gusto. I resoconti di Diderot, scritti a partire dal Salon del 1759, avviano la
critica d'arte in senso moderno. Nell'Ottocento e nel Novecento diventerà una forma letteraria di grande
importanza sulla riflessione estetica, ma anche per la promozione delle opere d'arte e per il loro mercato.
2
La figura dell’architetto è affiancata da quella dell’ingegnere civile, nuovo protagonista del rinnovamento
dei centri urbani. La cultura architettonica riceve nuovi stimoli dagli scavi archeologici e dalla scoperta degli
antichi complessi architettonici greci e romani nell’Italia centro-meridionale, che architetti e studiosi visitano
personalmente traendone idee e modelli. Si instaura un rapporto più dinamico fra archeologia e progetto
che comincia a incrinare la tradizione dell’accademia.
Il principio sociale di togliere ai privati per destinare a uso pubblico ciò che viene inteso come diritto di tutti
investe direttamente l'arte con la Rivoluzione francese, consentendo ad artisti e intellettuali di mettere in
atto idee ed esperienze maturate in precedenza. La creazione di un museo pubblico è uno dei risultati più
duraturi ottenuti negli anni a ridosso del 1789. Il bisogno di arginare il drammatico polverizzarsi di un
patrimonio artistico sotto i colpi dell'iconoclastia popolare e l'improvvisa disponibilità di oggetti di valore
accelera la necessità di trovare un luogo dove conservare tale patrimonio, conferendo al museo precise
motivazioni morali e ideologiche. Nel 1793 nei locali del Louvre viene inaugurato il Museo nazionale,
proclamato “Museo della Repubblica”. Enormemente arricchito, il Louvre arriverà a porre a raffronto diverse
civiltà artistiche, costituendo il primo museo moderno, modello indiscusso di tutti i successivi musei.
Il concetto di grande museo come espressione del prestigio culturale e politico di una nazione si diffonde
in Europa. Hirt, studioso di architettura antica, invia a Federico Guglielmo III di Prussia un memorandum in
cui definisce la concezione fondamentale del museo come educazione nel senso vasto del termine. Nel
1797 Federico Guglielmo III dichiara di proprietà pubblica le sue collezioni, costituendo il Kaiser Friedrich
Museum di Berlino.
In Italia le soppressioni napoleoniche di chiese, conventi e confraternite, con il passaggio dei loro beni alla
proprietà statale risulta decisivo nel caratterizzare diversamente le differenti istituzioni museali. Esemplare è
il caso della Pinacoteca annessa all'Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, nella quale confluiscono
opere provenienti dagli istituti soppressi dai decreti napoleonici. La Pinacoteca di Brera svolge un ruolo
rappresentativo di ogni scuola pittorica del Regno e vede affluire nelle sue sale capolavori provenienti da
diverse regioni. I decreti napoleonici sanciscono il principio della fruizione pubblica delle raccolte d'arte.
Gli impegni sottoscritti al Congresso di Vienna sono che i beni restituiti dalla Francia debbano essere resi
accessibili al pubblico. Data la vastità delle requisizioni di opere d'arte, non era sfuggito il valore politico e
simbolico che. avrebbe avuto la loro restituzione ai paesi d'origine. L'Italia è rappresentata dallo scultore
Antonio Canova, in missione a Parigi per conto dello Stato pontificio.
L’ANTICO
Il mutamento stilistico che si verifica a partire dal secondo Settecento è stato collegato alla riscoperta di
Pompei ed Ercolano, dove oltre a monumenti architettonici erano venuti alla luce documenti della vita
quotidiana e dipinti murali, a svelare quella pittura antica per secoli rimasta un mistero. I primi resoconti
degli scavi non sono tutti entusiastici: c'è chi trova dipinti “poveri come disegno, scorretti nell'anatomia,
deboli nell'espressione, malsicuri nella composizione”.
Inizialmente, i dipinti di figura ritrovati vengono utilizzati come fonti per definire con correttezza particolari
degli abiti e degli ambienti in com posizioni di genere storico, ma servono ben poco come modelli di stile.
Riprese del genere rivelano una visione dell'antichità superficiale, che si limita a mascherare un gusto in
fondo di matrice Rococò. Tale atteggiamento, che mira a modernizzare formule stilistiche, si modifica
quando una approfondita conoscenza dell'arte greca e romana porta artisti e teorici a considerare l'antico
come il punto di partenza di un vero e proprio rinnovamento estetico ed etico.
Le scoperte archeologiche stimolano la voga del "viaggio in Italia", favorendo anche il mercato antiquario;
e chi non può permettersi reperti d'arte originali si accontenta di portare a casa souvenir più dozzinali. Si
diffonde l'usanza del cosiddetto ritratto-souvenir, nel quale il viaggiatore viene rappresentato su uno sfondo
di paesaggio italiano popolato da statue e monumenti antichi. Nel 1755 giunge a Roma Winckelmann.
3
Prima della sua partenza aveva pubblicato i Pensieri sull'imitazione dell'arte greca nella pittura e nella
scultura, che possono essere considerati il precoce manifesto dei principi estetici neoclassici. Winckelmann
si fa portavoce della tendenza artistica, che agli eccessi decorativi del Barocco e del Rococò contrappone
«la nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue greche». I greci erano stati i soli ad aver raggiunto la
purezza e armonia che la semplice imitazione della natura non era in grado di offrire. Egli non raccomanda
di limitarsi a copiare fedelmente le opere antiche: il passato non deve essere recuperato solo in chiave
archeologica e di repertorio formale, ma per i valori spirituali e i contenuti estetico-etici. Il modello dell’“anti
co" costituisce un punto di riferimento per il Neoclassicismo nel suo complesso, in pittura e in scultura
come in architettura. L'“idea" ne è una sorta di filo conduttore, che significa, in pittura, priorità del disegno,
della linea, come mezzo di rappresentazione; in scultura, ripresa dei canoni della plastica greca attraverso la
mediazione delle copie romane; in architettura, affermazione di esigenze di razionalità e funzionalità con
particolare attenzione alle necessità abitative e di pubblica rappresentanza della collettività e dello stato.
Per lui, l’arte antica è concepita come un processo organico, articolato in quattro periodi, ognuno con un
proprio stile: lo stile primitivo o arcaico (prima di Fidia), quello sublime o grandioso (Fidia e i suoi
contemporanei), quello bello (da Prassitele a Lisippo), quello d'imitazione (fino alla caduta dell'impero).
Anche gli oggetti d'uso riaffiorati dagli scavi archeologici hanno una grande risonanza, influenzando la
produzione artigianale. Winckelmann è tra i primi ad apprezzare il valore artistico ed estetico delle arti minori
antiche. Artigiani di ogni genere si sforzano di produrre mobili e oggetti decorativi ispirati a manufatti greci e
romani, mentre architetti allestiscono intere stanze con arredi e decorazioni murali ispirati a quelli antichi.
Hogarth non crede che l'arte antica debba essere la suprema fonte d'ispirazione per pittori e scultori. Lungo
la sua carriera, infatti, egli sostiene che l'osservazione della realtà, con il suo andamento sorprendente e
non lineare, sia il modo migliore di avvicinarsi all'arte, l'unico in grado di produrre qualcosa di originale.
Hogarth guarda al mondo contemporaneo che rappresenta lo specchio reale della società del tempo
(complessità dell'esistenza umana, dagli eccessi della moda e della raffinatezza fino al degrado e ai vizi).
Nasce La carriera del libertino, che narra la storia di Tom Rakewell, lascivo figlio di un avaro, reso folle
da dissolutezza e prodigalità. Il giovane Tom è presentato come un personaggio senza cuore: ereditate
le sostanze del padre morto da poco, si fa tagliare un vestito alla moda, rifiutandosi di sposare la
giovane sedotta quand'era studente a Oxford. Egli vuole vivere come un vero aristocratico, spendendo
come chi può contare su una cospicua rendita fondiaria. Di giorno si dedica a passatempi mondani, dai
più raffinati ai più grossolani, di notte si lascia andare a schiamazzi e bagordi accompagnandosi a
ubriaconi e prostitute. Rischia un primo arresto per debiti, ma viene salvato dall'amica, che offre il suo
denaro per riscattare il debito dell’innamorato. Tom tradisce nuovamente la salvatrice, sposando una
vecchia guercia ma assai ricca. Comincia però a precipitare verso la rovina: prima perde al gioco l'intera
fortuna della moglie, poi finisce nella prigione per debitori, infine viene
ricoverato, pazzo, nel grande manicomio londinese.
La Carriera del libertino sboccia dalla tipica mentalità del ceto medio
inglese in pieno sviluppo, che sta elaborando un nuovo codice di condotta
morale e costituisce il parallelo figurativo della letteratura borghese nel
Settecento. La sequenza della Carriera del libertino può essere letta come
un sermone figurato, un insegnamento morale laico e borghese.
4
Nel 1768 egli presenta al pubblico l'Esperimento con una pompa ad aria, a illustrare un
esperimento scientifico che all'epoca aveva suscita to molto scalpore: l'aspirazione dell'aria
da una campana di vetro mediante una pompa, con i conseguenti effetti mortali sugli esseri
viventi all'interno della campana stessa. Si tratta di una scena drammatica, pervasa da un
senso di morte, cui fa riferimento il teschio nell'ampolla di vetro. I personaggi, allusivi alle età
dell'uomo, reagiscono in modi diversi: due bambine si spaventano mentre l'uomo accanto a
loro cerca di rassicurarle; un vecchio medita sulla fragilità della vita, una coppia d'innamorati si
disinteressa dell'evento e lo scienziato-filosofo richiama l'attenzione sull'esperimento. La luce
della candela simboleggia il sapere scientifico e conferisce alla scena carattere religioso.
Le varie e complesse tendenze che cominciano a delinearsi intorno alla metà del
XVIII secolo si coagulano nel 1784 nel Giuramento degli Orazi, considerato il
“manifesto" del Neoclassicismo, non soltanto francese. Il motivo del giuramento
come espressione di lealtà politica non è nuovo. Il quadro di David segna l'apice
di una serie di precedenti raffigurazioni di giuramenti che intonavano, in una
chiave più bassa, gli stessi accenti di energico idealismo. Il Giuramento degli
Orazi riassume e amplifica questa sequenza, conferendo al tema la sua
espressione più forte e rivelatrice della temperie estetica dell’epoca.
Commissionata per la corona, l'opera viene dipinta nel corso del secondo
soggiorno di David a Roma ed esposta al Salon parigino del 1785, dove riscuote
un notevole successo. Per il soggetto David s'ispira all'Horace di Corneille e alle
vicende degli Orazi narrate dallo storico romano Tito Livio: la loro decisione di
risolvere la guerra tra Roma e Alba con un duello con i tre fratelli Curiazi, la loro
vittoria e l'uccisione per mano dell'unico Orazio superstite della sorella Camilla,
che piange per la morte di uno dei Curiazi, cui era fidanzata. Ma David abbandona la versione di Livio dopo aver eseguito un disegno
preliminare ispirato e sceglie come soggetto un momento che non trova riscontro nelle fonti: quello del solenne giuramento, quando i
tre giovani Orazi decidono, di fronte al padre, di sacrificare la loro vita per la patria. Il punto centrale del quadro è la mano sinistra del
padre degli Orazi che alza le tre spade; il suo sguardo s'incontra con quello dei figli sulle impugnature unite e distinte delle armi; verso
lo stesso punto convergono le braccia tese dei giovani, due dei quali prestano giuramento con la mano sinistra. Al coraggio e alla
determinazione virili si contrappongono i gesti teneramente compassionevoli delle donne: la madre degli Orazi stringe a sé i nipotini
mentre le due figlie, Sabina e Camilla, sono sopraffatte da un impotente e rassegnato dolore. A rompere decisamente l'unità familiare
e a distinguere tra fermezza maschile e abbandono femminile a sentimenti meno eroici, non è soltanto la disposizione se parata di
uomini e donne, ma anche lo stile del disegno. La tesa anatomia muscolare, precisamente definita, degli Orazi impone contorni netti
e pose rigide, i cui ritmi fermi e lineari sembrano evocare la metallica rigidità delle armi. Nel gruppo delle donne questo cede il passo
a uno stile morbido di fluente sviluppo semicircolare, salendo dal piede sinistro di Sabina fino a morire nel braccio abbandonato di
Camilla, amante di uno dei Curiazi. La coincidenza in David di stile e severità morale, è rafforzata dall'impostazione della scena,
5
razionalmente organizzata su una scansione geometrica. La semplicità dell'ordine spaziale si trasmette alla luce che, fredda e limpida,
definisce con massima plasticità le figure, i cui precisi contorni sono riecheggiati nelle ombre nettamente delineate.
Nella Morte di Marat, una sorta di "santificazione" laica di un martire della Rivoluzione, David si avvale
del recupero di schemi iconografici cristiani e di una riduzione dei particolari, tutti densi di informazioni
per lo spettatore. Seduto nella tinozza a lenire le sofferenze provocate da una malattia della pelle,
Marat ha ancora in mano la lettera di Charlotte Corday, che lo ha appena pugnalato: vi si leggono la
data del 13 luglio 1793, il nome dell'assassina, l'indirizzo «Al cittadino Marat e la falsa supplica: “la mia
grande infelicità mi dà diritto alla vostra benevolenza”. Sulla cassa da imballaggio spicca il biglietto di
Marat che accompagna un assegno: «darete questo assegno a vostra madre [...]», testimonianza della
bontà cui si contrappone il coltello del crimine, a terra in sanguinato. David aveva esplicitamente
paragonato l'esemplare nobiltà della vita di Marat a quella di eroi classici come Catone e Socrate.
Questo quadro può essere quindi considerato come la traduzione in un moderno contesto del suo
giovanile Dolore di Andromaca, dove l'eroe antico morto per la patria, Ettore, è sostituito dall'eroe
moderno, assassinato per la fede politica. Allo stesso tempo, il quadro può essere letto come una
"pietà giacobina", come una reincarnazione laica di motivi e schemi fissati dalla tradizione iconografica
cristiana. La posa di Marat, con la testa reclinata e il braccio abbandonato lungo il fianco della vasca,
rimanda alle Pietà di Michelangelo e al Cristo deposto di Caravaggio: è una posizione che esprime il senso della morte, accentuando
la pesantezza di un corpo privo di vita. L'oscura parete di fondo suggerisce un silenzio soprannaturale; così, la luce caravaggesca
che cade da un'alta e invisibile fonte sul corpo di Marat, trasforma la vittima di un omicidio nell'icona di una nuova religione. Il colore
si manifesta con intensità solo negli accessori, mentre nella raffigurazione della figura prevalgono i valori plastici e il disegno. Gli
oggetti che circondano Marat assumono il significato di sante reliquie, e infatti alcuni elementi materiali vennero esposti al suo
funerale come oggetti di venerazione.
Verso la metà degli anni novanta, con la caduta dei giacobini rivoluzionari, il potere passa, sotto il
Direttorio, nelle mani della componente più facoltosa della classe media, che volge le spalle ai
severi ideali repubblicani. Questo mutamento politico e sociale influenza profondamente la pittura
di David. Nelle Sabine David manifesta un sentimento di riconciliazione nazionale, in linea con la
politica conservatrice del Direttorio. Significativa è anzitutto la scelta di non rappresentare il
consueto episodio del ratto delle donne ma l'epilogo teso alla pacificazione, il momento in cui le
Sabine, tre anni dopo il rapimento, intervengono tra i combattenti delle opposte fazioni
implorando che venga posta fine alla lotta fratricida.
Il messaggio politico e i contenuti formali della scena sono concentrati nell'episodio in primo
piano: Ersilia, al centro, spalanca le braccia per dividere i due principali contendenti, Romolo, a destra, e Tazio, a sinistra,
rispettivamente capo dei romani e capo dei sabini. Per eseguire fedelmente i costumi antichi, inoltre, nella versione definitiva del
quadro David elimina le tuniche, che nei bozzetti preparatori coprivano i corpi. Le Sabine si pongono in antitesi con le opere
precedenti: qui vediamo linee eleganti, morbide, che attenuano l'eccessivo realismo anatomico delle figure.
Con Napoleone l'idea di arte come strumento educativo si trasforma progressivamente in quella di arte come propaganda, incentrata
sul culto della personalità dell'imperatore. David è nuovamente l'interprete primo
di tale progetto, con i suoi grandi quadri celebrativi dei fasti napoleonici a partire
dall'Incoronazione dell'imperatore e dell'imperatrice. La monumentale tela
raffigura la cerimonia svoltasi nella cattedrale parigina di Notre-Dame nel 1804
alla presenza di Pio VII, giunto eccezionalmente da Roma. Vi è raffigurato il
momento immediatamente successivo al rito d'incoronazione, quando
Napoleone, cinto d'alloro, alza la corona sul capo di Giuseppina. David si
preoccupa dell'esatta resa naturalistica dei numerosissimi personaggi
rappresentati: circa ottanta, a grandezza naturale, tra esponenti dello stato
francese, cortigiani, cardinali romani e amba sciatori, tutti disposti secondo un
ordine prefissato. Nella nuova situazione politica, alla sobrietà repubblicana si
sostituiscono la magnificenza e la magniloquenza dell'impero.
Commissionato da don Onorato Gaetani dei principi di Aragona nel 1795, Ercole e Lica viene tradotto in
marmo solo nel 1815, benché il modello in gesso a grandezza naturale sia già pronto nel 1796. La violenta
tensione del gruppo di Canova sembra smentire l'idea della «nobiltà greca nel la sofferenza» professata da
Winckelmann, e avvicinarsi a un filone iconografico, riconducibile all'idea di un «neoclassicismo orrifico»,
che tende a raffigurare impulsi violenti, a mettere in risalto il riflesso fisiologico del dolore e lo scoppio
sanguigno della passione. Ercole, impazzito di dolore dopo aver indossato la camicia avvelenata con il
sangue del centauro Nesso, uccide il giovane messaggero che gli aveva recato il fatale indumento. Canova
raffigura Lica che, afferrato per un piede e per i capelli, sta per essere scagliato lontano da Ercole. La
tensione e la violenza del gruppo, contenuti in un contorno semplice nella sua circolarità, sono espresse
attraverso lo sforzo contrapposto dei gesti dei protagonisti, ambedue tesi ad arco. La visione frontale non
rivela interamente l'azione: la scultura di Canova dev'essere 6vista anche da dietro, soprattutto per
comprendere la disperata resistenza di Lica.
Il Monumento funebre di Maria Cristina d'Austria nella chiesa degli agostiniani a
Vienna viene commissionato a Canova dall'arciduca Albert di Sachsen Teschen
nell'agosto del 1798 per onorare la moglie Maria Cristina, da poco scomparsa.
Canova giunge nella capitale austriaca dopo un soggiorno romano, durante il quale
ha già realizzato impor tanti monumenti funebri. Lo storico dell'arte e suo amico
perso nale Quatremère de Quincy ritiene che, ideando quest'opera di carattere più
"funerario" che "monumentale", Canova abbia creato un nuovo modello di tomba
nel quale diventa centrale il motivo della meditazione sul mistero della morte, un
tema che nella cultura neoclassica è associato al pensiero di una classicità perduta
e irrecuperabile. Canova ha modificato gli schemi del monumento sepolcrale
barocco, collocando tutti gli elementi della composizione all'interno di uno schema
geometrico piramidale. Nel monumento viennese tale impostazione perde la sua
funzione di semplice impianto compositivo e diventa una piramide, che costituisce
una pura forma geometrica corrispondente a un simbolo della morte e
dell'oltretomba dagli evidenti rimandi alle tombe dei faraoni egiziani.
Una soluzione del genere si collega alla volontà dello scultore di organizzare l'opera in maniera semplice e comprensibile nei suoi
significati. Concepisce il monumento come un'azione in divenire, disponendo le figure dei dolenti, che compongono il corteo funebre,
a intervalli regolari sui gradini della piramide. Sul più alto vi sono la Pietà, che regge l'urna con le ceneri della defunta, e una coppia di
bambine; segue, sul gradino intermedio, la figura della Carità, alla quale si appoggia un vecchio cieco piegato su un bastone che
chiude il corteo. Questo è diretto verso l'oscura porta centrale, che segna il passaggio fra il mondo dei vivi e l'ignoto regno dei morti.
Stendhal ha definito la tomba di Maria Cristina «il più bel monumento funerario esistente». Realizzandolo, Canova porta a esiti radicali
la definizione moderna della tipologia: massima depurazione da elementi decorativi e abbandono di quelle «espressioni forzate» che
Winckelmann riteneva estranee alla nuova idea di bellezza.
Canova impiega circa tre anni per completare l'opera, che diventa immediatamente oggetto di culto per l'insolito abbinamento
ritratto-nudo di una donna altolocata, celebre per splendore fisico e spregiudicatezza mondana. La figura di Paolina è concepita
attraverso modulazioni di linee curve e linee ondulate: nella visione frontale, il busto nudo appoggiato ai cuscini s'inarca
morbidamente connettendosi al resto del corpo all'altezza del ventre, dove s'incrocia il panneggio. Tutti i dettagli appaiono studiati
per raggiungere la massi ma sublimazione. La stessa agrippina di legno stuccato e dipinto in colori grigio azzurrino, bianco e oro,
partecipa a questo processo idealizzante. Per consentire agli spettatori di ammirare il gruppo da ogni punto di vista, Canova
concepisce un meccanismo che permetteva un movimento di rotazione completo della scultura. Le cortine di legno, progettate come
pannelli mobili, mascherano un sistema a cilindro con ruote, collocato all'interno, in corrispondenza del busto di Paolina.
Il pubblico accorre numeroso ad ammirare la statua anche di notte, quando è illuminata da torce. Ma al momento della disfatta
napoleonica Paolina chiede al marito di non permettere più a nessuno di vedere il suo ritratto, «perché la nudità della scultura sfiora
l'indecenza». La scultura celebra il fulgore, fisico e mitico, di una dea dell'Olimpo napoleonico: ma al momento della decadenza fisica
e della fine dell'utopia imperiale non c'è più ragione di esporre un'opera che contrasta con il presente, mettendone in evidenza il
brusco declino rispetto agli splendori del passato.
7
La pittura di Goya comincia presto a staccarsi dalle edulcorate visioni che offre l'arte spagnola del tempo,
avviandosi più verso una registrazione lucida e accurata della crisi politica e sociale che caratterizza la sua
epoca. Egli imprime una svolta alla propria produzione con la serie dei Capricci, iniziati nel 1797. In questi
fogli - il più famoso dei quali è Il sonno della ragione genera mostri – il pittore ricorre a violenti contrasti
di luce e ombra per alludere alla vittoria delle forze della morte dell'irrazionale su quelle della vita e della
ragione, anticipando per certi aspetti i drammatici avvenimenti che si verifiche ranno a partire dal 1808,
quando le truppe di Napoleone invaderanno la Spagna, sconvolgendo la vita della nazione.
Ne 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio il fuoco dell’immagine è costituito dall’uomo inginocchiato con le
braccia aperte, violentemente illuminato dalla luce della lanterna: la sua camicia bianca, in contrasto col tono scuro degli altri colori,
costituisce la nota più chiara e luminosa della composizione. Di fronte a lui è schierato il plotone di soldati, di cui l'artista evita di
raffigurare i volti: il ritmo dei loro corpi, diagonalmente allineati con le gambe divaricate e le braccia tese, si fonde in un movimento
reiterato in avanti, gli sguardi fissi sulle canne dei fucili. L'occhio dell'osservatore è subito attirato dalla figura centrale investita dalla
luce. L'impressione iniziale è di trovarsi di fronte a un flash fotografico, che ha fissato l'istante fuggevole che separa l'atto di premere
il grilletto dei fucili e la morte dell'uomo. Il significato della scena si di spiega in questa progressione temporale che va dal "prima"
della fucilazione all’adesso e al "dopo", tre momenti che corrispondono ad altrettante fasi dell'agonia delle vittime. Goya dispone i
gruppi quasi come una sequenza cinematografica. Goya capovolge la tradizione iconografica più recente e raffigura un antieroe, un
civile senza nome ucciso con i suoi compatrioti da anonimi soldati.
8
— Romanticismi —
1815-1848
L'idea di nazione è recente e il suo sviluppo “è collegato per molteplici fili alla sensibilità romantica", al di là
di differenze geografiche, contenutistiche, stilistiche e formali. Il processo si avvia dopo il Congresso di
Vienna (1815). Mentre i vincitori ridefiniscono i confini, restituendo ai sovrani spodestati i loro troni, molti
intellettuali e artisti europei cominciano a riflettere sul crescente distacco tra una realtà ormai radicalmente
trasformata dalla fase storica avviata dalla Rivoluzione francese e gli sforzi anacronistici tesi a far rivivere un
mondo tramontato. Il ritorno all’ancien régime produce uno scarto tra pubblico e privato, tra individuale e
politico: buona parte della generazione romantica riconoscerà nell'ambito interiore e soggettivo uno spazio
privilegiato della ricerca artistica.
I romantici rivendicano il diritto di seguire la propria strada senza aiuti né ostacoli, al fine di sviluppare la
propria sensibilità. Per l'estetica romantica, l'arte ha il compito di infrangere le regole, di trovare nuovi modi
d'espressione. Tali idee portano alla contestazione del sistema dell'istruzione artistica: la campagna
antiaccademica acquista nuovo slancio nella prima metà dell'Ottocento.
Secondo questi artisti, la nuova accademia deve essere diretta da un autentico "genio", il cui compito sia
"di fondare una vera scuola" e stabilire un rapporto intimo e amichevole fra maestro e allievi, come avveniva
nella tanto ammirata e idealizzata tradizione della bottega medievale. Alla tesi illuminista dell'utilità anche
economica delle scuole d'arte si contrappone il principio dell'art pour l'art, cioè della ricerca di una
bellezza fine a se stessa. La novità più importante è l'istituzione della Meisterklasse ("classe del maestro")
che, inaugurata nell'accademia di Düsseldorf, costituisce l'innovazione più significativa nella storia delle
accademie ottocentesche. L'ordinamento scolastico viene diviso in tre livelli: quello di base, che avvia al
disegno attraverso la copia da disegni e poi da calchi in gesso; quello preparatorio, dove si lavora su
modelli veri e s'inizia anche il corso di pittura; quello finale, dove gli allievi eseguono propri lavori e
collaborano all'opera del maestro. Al termine del corso gli allievi già licenziati e più ricchi di talento potranno
accedere alla Meisterklasse, il che significa usufruire di un atelier.
Nella prima metà dell'Ottocento i più famosi studi privati, dopo quello di David e Gros, sono quelli diretti da
Delacroix, Delaroche e Ingres. Lo scopo di un atelier, per un maestro della prima metà dell'Ottocento, è la
trasmissione dell'eredità classica e dei principi del “bello ideale” che hanno forgiato la sua personalità; per
gli allievi, la frequentazione di un grande studio è l'occasione di acquisire un mestiere capace di offrire
buone possibilità di affermazione.
IL PITTORESCO E IL SUBLIME
Il termine “pittoresco" era già stato utilizzato da Giorgio Vasari, per caratterizzare la particolare libertà
nell'uso del pennello, la macchia, il tocco, tipici della tradizione pittorica veneta. In Inghilterra il concetto di
pittoresco è al centro di un'ampia discussione. L'inglese Gilpin tenta per primo di definire teoricamente il
pittoresco: egli arriva a identificare nell'irregolare ruvidezza, implicitamente contrapposta alla levigatezza del
bello classico. Tali principi producono un cambiamento generale di sensibilità, modificando le attese
estetiche e i criteri di valutazione del bello. Si arriva ad apprezzare l’irregolarità, la grandezza disordinata e
9
magari angosciosa, in un processo che identifica sempre più il piacere estetico con la fusione di elementi
formali e componenti emotive.
Alla poetica del pittoresco si affianca la poetica del sublime, che nell’antichità indicava "grandiosità e
magnificenza di stile”: il termine era stato consacrato nel celebre trattato Del sublime, attribuito al Pseudo
Longino, un retore del I secolo d.C. Nell'opera si esemplifica l’espressione del sublime differenziandola dalla
vuota qualità formale, per quanto elevata questa possa essere. In Inghilterra si avvia un’'interpretazione che
trasforma il concetto di sublime in una categoria estetica contrapposta al bello classico, nuovo perno di
molta sensibilità romantica. Per Burke la poetica del sublime è per certi aspetti complementare nel suo
chiamare in causa il temperamento antisociale e solitario dell'artista, l'esaltazione del genio, dell'energia
sfrenata dell’immaginazione e del tormento interiore appartenente in parte al pittoresco.
Alcuni artisti cercano di sviluppare una pittura in grado di trasmettere la forza divina delle sensazioni
provate di fronte alla natura, abbandonando tutto per seguire la vocazione artistica, considerata un dono di
Dio. Nell'arco di vent'anni questo senso di predestinazione degli artisti si accentua. Un comportamento del
genere è un fenomeno relativamente nuovo, che accomuna molti giovani aspiranti musicisti, poeti, pittori e
scultori, che affrontano tutti i genitori (autorità) in modo simile. Tra questi “spiriti ribelli”, che concepiscono
l'arte come vocazione e solo in parte come professione, si diffonde progressivamente il mito dell'artista
solitario, distaccato dalla prosaicità quotidiana, e il cui unico scopo è la creazione. Tra i romantici si
diffonde il culto della solitudine, della meditazione individuale: il raccoglimento creativo acquista sacralità.
La nuova coscienza di sé e dell’unicità dell'artista si manifesta negli autoritratti. L'orgoglio per il successo
mondano viene considerato degradante dal vero artista, per il quale gli onori più alti sono soltanto una
misera ricompensa rispetto all'immortalità. Lo spirito di fiera indipendenza si caratterizza nella posa
disinvolta, quasi indolente, a indicare libertà dal formalismo ufficiale. Preferiscono mostrarsi con capelli
scompigliati, camicie a collo aperto o cravatte mollemente annodate su abiti di buon taglio, indossati con
noncuranza, come comuni, sensibili, cittadini della repubblica delle arti e delle lettere.
CLASSICISMO E “VERITÀ”
Friedrich, Constable e Turner interpretano, pur con modalità diverse l'uno dall'altro, uno dei soggetti più
significativi della pittura romantica: la natura. Friedrich la percepisce come manifestazione del divino,
Constable è maestro nell'osservazione dal vero (influenzerà i pittori della Scuola di Barbizon), mentre Turner
fonde la tradizione paesaggistica del Settecento inglese con la scuola pittorica di Poussin e Lorrain.
In Francia, la maniera di Corot può essere considerata l'anello di congiunzione tra il naturalismo di matrice
inglese e gli impressionisti. Ingres invece incarna un modello più vicino al classicismo, con un disegno
controllato e soggetti che celebrano il passato, contrapponendosi a Delacroix, appassionato interprete del
presente. Géricault infine coniuga la pittura d’accademia con le istanze del realismo.
Hayez in Italia interpreta il presente ispirandosi a soggetti storici che appartengono al passato.
In architettura, un tema di grande rilevanza è rappresentato dal rapporto tra ambiente costruito e ambiente
naturale. Karl Friedrich Schinkel e Leo von Klenze sono gli esponenti più interessanti.
NEOMEDIEVALISMO IN ARCHITETTURA
Dall'epoca rinascimentale fino al primo Ottocento l'interesse verso gli edifici medievali era stato scarso,
ma il clima romantico riporta alla ribalta le opere di quella stagione culturale, suscitando curiosità per le
suggestive rovine delle cattedrali gotiche, soprattutto nordeuropee. Le loro forme rispondono a una rigorosa
logica costruttiva e ogni cattedrale è l'esito di un'ardita sperimentazione delle possibilità di resistenza dei
materiali e di un'eccezionale accumulazione di conoscenze tecnologiche. Si scopre che nell'impresa dei
costruttori di cattedrali le motivazioni religiose e civili si saldavano con uno straordinario sviluppo della
razionalità propria della produzione edilizia. Questo nuovo apprezzamento stimola l'immaginazione dei
letterati e degli architetti e l'indagine scientifica degli archeologi su singoli edifici.
10
Nel XIX secolo le discipline storiche assurgono al rango di scienze dotate di specifiche metodologie. Fra
queste anche la storia dell'architettura acquista gradualmente una strutturazione, stabile nelle sue linee
fondamentali. L'ampia letteratura prodotta nel giro di pochi decenni dà luogo a nuove interpretazioni
storiografiche e alla volontà di conservazione e di restauro dei monumenti medievali e al gusto della loro
imitazione stilistica in nuove architetture. La comprensione dei caratteri costruttivi del Gotico invita architetti
e ingeneri a progettare nuovi spazi e forme architettoniche sulla base delle possibilità offerte dai nuovi
materiali edilizi (ferro, vetro, cemento armato).
In continuità con la tradizione gotica, il Gothic revival inglese raccoglie la migliore produzione
architettonica inglese del XIX secolo in quattro fasi successive. L'esplosione del Gothic revival è merito del
successivo movimento degli Ecclesiologists, intreccio di misticismo e razionalità progettuale di cui sarà
interprete di primo piano l'architetto Pugin.
Dominano la scena europea le contrastanti ragioni di tre personalità che hanno fatto dell'architettura gotica
il loro primo, benché non esclusivo, referente storico: gli inglesi Ruskin, scrittore d'arte e d'architettura, e
Morris, promotore nella seconda metà del secolo del movimento Arts and Crafts; il francese Viollet-le-Duc,
architetto, storico dell'architettura e restauratore.
In Francia, esponenti di primo piano dell'intreccio tra Romanticismo e Medioevo cristiano sono il saggista
de Chateaubriand, e lo scrittore Hugo. L'arditezza costruttiva gotica funziona da referente per una
modernità espressiva e una libertà di ricerca impedite dal conservatorismo e dall'autoritarismo acritico della
tradizione classicista accademica.
La riscoperta tedesca del gotico (Revival gotico tedesco) si fa coincidere con lo scritto di Goethe
Sull'architettura tedesca (1772), nel quale il poeta ventitreenne manifesta la sua ammirazione per la
Cattedrale di Strasburgo. Sono gli inizi e le basi di un revival neogotico di ampia diffusione e di un vivo
interesse per l’architettura da parte di filosofi di primo piano dell'idealismo tedesco, come Schlegel e Hegel.
La fortuna del neomedievalismo in Italia è legata a quattro concorsi per le facciate di importanti chiese di
origine due-trecentesca: il Duomo di Milano, San Petronio a Bologna, San Lorenzo e Santa Maria del Fiore a
Firenze. In Italia Pietro Selvatico Estense diffonde il neomedievalismo di matrice nordeuropea e Camillo
Boito fonda la disciplina autonoma del restauro di edifici antichi.
Ne Il Monaco in riva al mare, quattro quinti del dipinto sono puro cielo, mentre la
parte restante è occupata dalle strisce sottili del mare e della riva. Lievemente
decentrata sta la piccola figura di un monaco, ritto a guardare in lontananza. La
scena è drasticamente ridotta a tre elementi - terra, acqua, cielo- come si trattasse
di uno scheletro della natura spoglio nella sua tripartizione. Ma la trasformazione di
un paesaggio naturale in un nuovo tipo di immagine, quella di cui parla Friedrich, è
raggiunta con la solitaria e minuscola figura del monaco che sembra essere sulla
soglia del nulla.
11
La grandiosità della natura e i personaggi di spalle che ne contemplano l'immensità sono elementi
tipici della pittura di Friedrich. Ne sono un esempio Le bianche scogliere di Rügen, caratterizzate
dall'aspro ma spettacolare scenario naturale che si poteva godere dal promontorio più settentrionale
dell’isola. In primo piano, su una stretta striscia di terreno, sono collocati una donna seduta, la
giovane moglie del pittore, e due uomini, che sono sono stati identificati con lo stesso Friedrich e suo
fratello. Davanti alle bianche rocce che una luce chiara rende fiammeggianti, il mare si distende in
profondità fino a confondersi con il cielo all'orizzonte. Un albero sottile a sinistra e uno più robusto a
destra incorniciano la veduta.
Il diffuso sentimento di religiosità della natura si precisa nel dipinto in alcuni dettagli simbolici: il tralcio
d'edera ai piedi della donna potrebbe infatti accennare all'immortalità dell'anima o all'amore che vince
la morte, mentre le barche rimandano al viaggio dell'anima verso la vita eterna.
Ciò che appare all'occhio dell'osservatore è un'onda, un'astratta configurazione di energia nella quale sono fusi turbini di neve e
nuvole in tempesta. Sotto questa massa di densi vapori si svolgono episodi di saccheggio e violenza, perpetrati da una truppa
formicolante di soldati, più evocata che raffigurata. Anche la minuscola silhouette di Annibale, incurante della tempesta che si è
abbattuta sul suo esercito, è appena distinguibile di stesa su un elefante. I neri, i grigi e i bianchi formano una pesante cortina
atmosferica, che il pallido sole non riesce a penetrare: solo in lontananza una luce tremolante rivela una valle che si perde
all’orizzonte. Il turbine si rivela come una forza onnipotente, schiacciante, ridimensionando con la sua terribile e immane violenza le
imprese degli uomini e le loro figure. Turner anticipa la maniera degli impressionisti, ulteriormente radicalizzata dalle tendenze astratte
della seconda metà del XX secolo, in generale riconducibili alla nozione di "informale".
Lo spazio, ellittico come il campo visivo, è un'estensione infinita, animata dall'agitarsi di forze cosmiche che coinvolgono gli oggetti in
vortici d'aria e turbinii di luce. La struttura a vortice esemplifica l'idea, di derivazione illuminista, di dinamismo cosmico, secondo la
quale il movimento universale si sottrarrebbe al controllo della ragione, riuscendo a rapire l'animo umano in estasi paradisiache o a
precipitarlo nello sgomento. Sull'intera superficie del quadro tutto si confonde: le fiamme dorate e il fumo s'innalzano e si espandono
mescolando, indissolubilmente, il cielo con l'acqua del fiume, la realtà col riflesso, ciò che è costruito dall'uomo con ciò che è
naturale. La pittura di Turner si avvia a divenire una visionaria anticipazione dell'astrattismo novecentesco.
12
JOHN CONSTABLE (1776-1837)
Constable si forma alla Royal Academy. Studia inoltre le opere dei grandi pittori del passato, da Annibale
Carracci a Lorrain, e di maestri inglesi come Thomas Gainsborough. Soggiornando nella pittoresca zona del
Lake District si esercita a lungo nella pittura ad acquarello dal vero.
Tra i migliori risultati della sua prima pittura di paesaggio, caratterizzata da una
rappresentazione diretta della vita quotidiana in campagna, è Il mulino di Flatford. Il fiume,
lungo il quale navigano i barconi, occupa la parte sinistra della scena: scorre attraverso la
chiusa, poi scende lungo un canale sotto il mulino di proprietà della famiglia del pittore. Due
barconi stanno facendo manovra: un ragazzo libera il cavo con cui il primo è attaccato al
cavallo da traino, mentre un altro fa girare l'imbarcazione con un lungo palo, per permettere il
passaggio sotto la passerella di Flatford, le cui travi s'intravedono nell'angolo in basso a
sinistra. A destra si apre un ampio prato assolato che un contadino sta falciando; lo attraversa
un filare di alberi oltre il quale si può scorgere una mandria al pascolo. Ambientata in una calda
giornata estiva, la scena è studiata meticolosamente in ogni particolare, osservato
direttamente dal vero e schizzato in numerosi disegni preparatori.
La visione centrale è impostata sulla linea curva del letto del fiume, cui fanno eco la linea del sentiero, che porta verso il villaggio, e
quella del canale d'irrigazione, che scorre lungo il bordo del prato a destra. Il passaggio tra primo piano e sfondo è guidato da una
linea a zig zag, che rivela all'occhio dell'osservatore una quantità di dettagli: dalla varietà dei fiori restituiti con cura ai covoni di fieno
al centro, fino ai più minuti particolari delle case all'orizzonte. Dal punto di vista tecnico-formale il dipinto si può considerare come la
summa di quanto l'artista era riuscito a produrre fino allora. L'uso del colore locale – cioè il colore proprio di un oggetto alla luce
naturale - viene qui per la prima volta applicato in una tela di grandi dimensioni e non solo in quadri piccoli e in schizzi.
Un ulteriore passaggio della sua pittura coincide, nel 1821, con l'esposizione alla Royal
Academy di Londra del quadro Il carro del fieno. Le sue opere cominciano a suscitare
molto interesse in Francia: nel 1824 viene invitato a presentare il quadro al Salon, dove
riceve una medaglia d'oro. Tra i suoi più entusiasti ammiratori c'è Delacroix che ne
ripropone la luce scintillante e le pennellate spezzate nel fondo e nei colori brillanti delle sue
Scene dei massacri di Scio.
Thomas Cole, tende a fondere minuzioso realismo e gusto dell'allegoria. Tali elementi si
ritrovano associati in Oxbow: il fiume Connecticut vicino a Northampton, un'ampia
veduta della valle del fiume Connecticut dal pendio di una montagna, nella quale è
raffigurata una condizione di calma dopo la tempesta estiva. Sulla sinistra, dalla folta
vegetazione che ricopre il promontorio, resa brillante dalla pioggia che ancora ne in veste
una parte, affiorano la testa, il cappello e l'estremità superiore del cavalletto del pittore. La
sua presenza, non più evidente di uno dei numerosi ramoscelli che cospargono il terreno
accidentato, rivela una totale immedesimazione tra artista e paesaggio e ci evoca il divino
spettacolo del creato.
In Sunset raffigura uno dei luoghi più amati dai paesaggisti americani, la vallata del l'Hudson
con all'orizzonte il profilo piramidale del monte Ktaadn. Il crepuscolo estivo è colto in uno dei
momenti di massima suggestione: la luce, proveniente dal sole invisibile oltre la montagna,
accende di rossi e di riflessi dorati l'ampia distesa del cielo, mentre le nubi, alte sul lago in
primo piano, riflettono l’imminente penombra che avanza sull’acqua da sinistra evocando il
rapido scorrere dei fenomeni naturali nel loro ciclo quotidiano ed eterno.
13
THÉODORE GÉRICAULT (1791-1824)
Nasce a Rouen nel 1791; nel 1795 si trasferisce con la famiglia a Parigi, dove frequenta il Liceo Imperiale.
Nel 1808 interrompe gli studi umanistici per dedicarsi completamente alla pittura: entra prima nell'atelier di
Charles Vernet, raffinato pittore di tendenza neoclassica e, nel 1810, nello studio di Guérin, pittore di scene
storiche e maestro di tutta la generazione romantica, Delacroix compreso. Contemporaneamente, studia
fiamminghi, le affascinato soprattutto dai opere dei ricchi impasti cromatici delle tele di Rubens.
Nell’autunno del 1816 parte a sue spese per l'Italia: visita Firenze e Roma, dove rimane impressionato dalla
grande pittura del Cinquecento e dagli spettacoli contemporanei. L'interesse per i fatti di cronaca, sociali e
politici, matura con l'impegnativa realizzazione del suo dipinto più noto: La Zattera della Medusa. Tornato a
Parigi negli ultimi mesi del 1821, esegue la serie di Ritratti di alienati, commissionatagli dall'amico psichiatra
Etienne-Jean Georget. In seguito a ripetute cadute da cavallo, si procura una lesione del midollo spinale
che lo costringe a letto. Muore a Parigi nel 1824, a soli trentadue anni.
Géricault raggiunge l'apice della fama con La Zattera della Medusa, presentata prima
ancora di essere terminata al Salon del 1819. A causa della violenta opposizione degli
organi ufficiali, che intendevano insabbiare lo scandalo suscitato dal naufragio della nave
Medusa, il quadro non viene acquistato dallo stato e al pittore viene concessa
semplicemente una medaglia d'oro invece del primo premio. Nel 1820 la tela viene esposta
a Londra ricevendo una migliore accoglienza, con un più ampio apprezzamento del modo in
cui la mano dell'artista ha svelato i particolari di eventi sconvolgenti.
Per la scena l'artista si ispira a un tragico fatto di cronaca che aveva scosso l'opinione
pubblica: il naufragio della Medusa - nave ammiraglia di un convoglio che trasportava
soldati e civili verso la colonia del Senegal - avvenuto nel 1816 al largo dell'Africa
occidentale. In seguito al naufragio, 150 persone erano salite su una zattera che per diversi giorni era andata alla deriva, in un
crescendo di orrori (un ammutina mento, episodi di cannibalismo): la nave della salvezza, l'Argus, aveva recuperato solo una
quindicina di superstiti, cinque dei quali erano morti subito dopo. Il governo aveva cercato di mettere a tacere le critiche
sull'inadeguatezza dei soccorsi, ma due sopravvissuti avevano scritto un resoconto dell’evento.
Géricault sceglie di rappresentare un momento dell'episodio carico di tensione drammatica e psicologica: il primo avvistamento della
nave Argus. Nel groviglio di venti figure, Géricault rappresenta un graduale crescendo di emozioni che vanno dallo scoramento alla
speranza, alla delusione. In primo piano un vecchio siede meditando tristemente tra i morti; dietro di lui, alcuni sopravvissuti in piedi
rivolgono gli sguardi verso il punto all'orizzonte che un compagno sta indicando; altri si volgono, uno dopo l'altro, tentando di alzarsi,
rianimati da un'ultima tenue aspettativa; altri aiutano un marinaio di colore a salire su un barile, perché possa sventolare la camicia
più in alto, per farsi vedere dall'equipaggio dell'Argus. La scena, su cui si proietta l'ombra di un'enorme nuvola, è impostata su una
serie di diagonali che dalla base della zattera convergono verso gli apici costituiti dall'albero e dalla camicia agitata dal marinaio sul
barile. Essa è dominata da due spinte contrarie: da una parte l'onda montante dei naufraghi protesi verso l'incerta salvezza; dall'altra,
la forza del mare e del vento che, soffiando da destra a sinistra, gonfia la vela in direzione opposta. Il piano instabile, oscillante della
composizione è scosso da due impulsi contrastanti, speranza e disperazione, vita e morte.
Géricault corregge la realtà, escludendo certi particolari macabri direttamente studiati su cadaveri e parti anatomiche che era riuscito
a ottenere dall'obitorio. Nell'immagine finale prevale la forma "bella" delle vittime, la loro perfetta muscolatura: infatti, nonostante
abbia no trascorso ben quindici giorni sulla zattera alla deriva dissetandosi con la propria urina e nutrendosi con la carne dei
compagni, i naufraghi non appaiono emaciati, ma imponenti e vigorosi. Géricault attribuisce un significato universale e trasforma un
episodio di cronaca in un dramma senza tempo. La Zattera ribalta la concezione della storia: non più eroismo e gloria ma
disperazione e morte, non più trionfo ma disastro.
Dalla fine del 1821 Géricault esegue una serie di ritratti di malati
mentali (Ritratti di alienati) per Étienne-Jean Georget, primario
dell'ospedale psichiatrico della Salpêtrière di Parigi. Il giovane
medico considera la follia una malattia che può essere alleviata con
una terapia basata su tolleranza e comprensione; d'altra parte cerca
di classificare la follia ricorrendo all'osservazione dei lineamenti del
viso. I ritratti di Géricault gli servono come materiale didattico-
dimostrativo nel suo corso di patologia medica.
14
EUGÈNE DELACROIX (1798-1863)
Nato a Charenton-Saint-Maurice nel 1798, dopo la morte del padre si trasferisce a Parigi, dove frequenta il
Liceo Imperiale, seguendo le lezioni in maniera discontinua e manifestando una forte inclinazione per il
disegno. Nel 1815 entra nell'atelier del pittore neoclassico Pierre Narcisse Guérin e vi stringe amicizia con
Géricault, che lo spingerà verso la nascente pittura romantica. Nel 1822 debutta al Salon con Dante e
Virgilio all'Inferno, tela d'impostazione ancora accademica ma originale nella stesura cromatica, vicina alla
maniera di Géricault per il prevalere del senso e del piacere del colore sulla puntuale definizione delle forme
attraverso il disegno. Al Salon del 1824 espone le Scene dei massacri di Scio, guadagnandosi la medaglia
d'oro ma anche molte critiche. Nel 1825 parte per l'Inghilterra, dove visita musei e conosce Constable.
Tornato a Parigi, vive gli anni più mondani della sua esistenza; frequenta i salotti e stringe amicizia con
letterati romantici come Hugo, Stendhal e Balzac. Dopo i moti rivoluzionari del 1830 dipinge La Libertà che
guida il popolo, una delle sue tele più note, esposta al Salon del 1831. Muore a Parigi nel 1863.
La rivolta del popolo greco contro l'impero ottomano, scoppiata nel marzo del 1821, attira
immediatamente l'attenzione dei liberali europei. Nel 1822, per reprimerla, il Sultano in via un esercito di
diecimila uomini nell'isola di Scio, dove circa ventimila abitanti vengono massacrati e numerose donne e
bambini deportati come schiavi. Eugène Delacroix, progetta Scene dei massacri di Scio, relativamente
lontani geograficamente ma molto vicini alla coscienza europea occidentale. Dopo essersi attentamente
documentato sui fatti, esegue un grande quadro, esposto al Salon del 1824. Il quadro suscita scalpore
per l'uso disinvolto del colore, giudicato «repellente» per la sua stesura apparentemente rozza, e per la
mancanza di disegno delle figure, da molti considerate mal eseguite.
Quest'opera è un dipinto senza un eroe, ma anche senza un vero asse centrale, intorno a cui
tradizionalmente si organizzava l'immagine. Dove generalmente viene rappresentato il culmine
dell'azione c'è infatti uno spazio vuoto - determinato dalla disposizione a "M" della scena - che si apre
in lontananza verso una pianura riarsa e un cielo tenebroso, verso un combattimento distante. In primo
piano, con un rapido scarto di proporzioni rispetto al fondo, sono raggruppati per nuclei familiari i prigionieri, tra cui vecchie, donne e
bambini, sorvegliati da un soldato turco con un fucile in mano. Tutti i personaggi appaiono in uno stato di sconfortata prostrazione e
sfinimento. L'unica figura che mostra una certa vitalità è quella del turco a cavallo, che riecheggia i tanti cavalieri dipinti da Géricault.
Il quadro raffigura un gruppo di insorti che avanza su una barricata guidato dalla figura
simbolica della Patria-Libertà. Si tratta di una popolana malamente vestita e idealizzata nel
suo scoprire il seno, che avanza decisa alla testa dei rivoltosi brandendo un fucile e la
bandiera francese. Berretto frigio in testa, è inquadrata tra un bambino con pistole in
entrambe le mani e un insorto, forse un autoritratto di Delacroix, con una carabina.
Leggermente arretrato, un operaio è riconoscibile dalla blusa azzurra, mentre altre figure in
armi sono altrettanto identificabili per i loro cappelli: un soldato della Guardia nazionale, uno studente del Politecnico, un borghese,
dunque diverse classi sociali unite nella lotta. In ultimo piano la folla si dissolve in for me appena suggerite, confuse tra polvere e
cielo, cui corrisponde, dalla parte opposta, uno scorcio di città, con in lontananza Notre-Dame. Il gruppo centrale è organizzato in
uno schema a triangolo, del quale i cadaveri stesi al suolo costituiscono la base. I lati ascendenti sono definiti a sinistra dal fucile
tenuto dall'insorto, prolungato nel braccio che brandisce una spada, poi dall'asta stessa della bandiera a formare una linea quasi
continua; a destra, dalla gamba e dalla striscia bianca di cuoio del bambino, quindi dal suo braccio sinistro che impugna la pistola,
poi da quello destro della Libertà, che sottolinea con l'angolo acuto della bandiera, il vertice della costruzione piramidale.
Quando è esposta al Salon, la tela sconcerta parte del pubblico, che accusa l'artista di aver rappresentato solo gli strati sociali più
umili omettendo la gente "per bene", cioè la potente borghesia finanziaria che si vantava di essere stata artefice del rovesciamento di
Carlo X. A Delacroix viene soprattutto rimproverato di avere scelto come figura-simbolo della Libertà un modello femminile plebeo, il
cui braccio alzato lascia vedere i peli dell'ascella. Per la figura della Libertà Delacroix si ispira a di verse fonti: essa appare la
trascrizione pittorica di La Curée, un'ode di Auguste Barbier, nella quale si parla di “una donna forte, dal seno poderoso, dalla voce
rauca, dal fascino duro, dai fianchi sodi”.
Il nuovo governo di Luigi Filippo acquista il dipinto per tremila franchi ma lo mette opportunamente a riposo nei depositi del Museo
del Luxembourg. Qui viene esposto, ma per poche settimane, in occasione della Rivoluzione del 1848 e all'Esposizione universale di
Parigi del 1855, per tornare dopo nell'oblio: solo nel 1874, dopo l'affermazione della Terza Repubblica, viene trasferito al Louvre in
esposizione permanente. L'immagine della Libertà si è gradatamente fissata nella modernità come simbolo dei diritti umani.
Per molti europei l'Oriente, come il Medioevo, rappresenta nell'Ottocento un mondo altro,
immaginato più libero, più bello, più autentico, una realtà estranea alla civiltà classica, un
territorio aperto agli spazi della fantasia, non limitato né costretto dalle convenzioni della cultura
occidentale. A influenzare maggiormente i temi dei pittori che saranno chiamati orientalisti sono
le opere del poeta inglese George Byron.
Delacroix dipinge almeno sei soggetti ispirati al poemetto Il Giaurro e dal suo dramma
Sardanapalo deriva la Morte di Sardanapalo (1827), che suscita enorme scalpore al Salon del
1828: in un'orgia di colore sanguigno, il re assiro semidisteso sul letto assiste impassibile, prima
di suicidarsi, alla distruzione, da lui stesso ordinata, di tutto quanto era servito ai suoi piaceri.
15
Nel 1832 Delacroix si reca personalmente in Marocco e nei mesi di permanenza riempie
sette album di schizzi. Il viaggio diventa l'occasione per confrontarsi direttamente con la
realtà islamica, che ai suoi occhi appare come una sopravvivenza dell'antico mondo
mediterraneo. Queste osservazioni vengono rielaborate da Delacroix nel corso di tutta la
sua attività, a cominciare dalle Donne di Algeri nelle loro stanze, uno dei suoi quadri di
soggetto orientale più importanti. Esposta al Salon del 1834, la tela raffigura l'interno di
un harem, la cui atmosfera indolente è sottolineata dagli atteggiamenti delle donne che
oziano fumando il narghilè. Queste creature claustrali emanano un senso di languido
erotismo, amplificato dall'intreccio sensuale di tocchi di colore intenso, da velature
cromatiche calde e morbidamente avvolgenti. Si tratta della visione di un mondo abitato
solo da donne, dell'incarnazione vivente di un sogno ottocentesco di molti spettatori
maschili occidentali, di un ambiente sensuale e voluttuoso.
La sua sovrumana grandezza del personaggio di Napoleone è sottolineata nel Napoleone I sul trono
imperiale di Ingres (1806), allievo di David. L'imperatore è separato dal regno terrestre da uno spazio
ricoperto da un tappeto su cui spicca l'aquila imperiale e da un cuscino di velluto su cui poggiano i suoi
piedi. Gli fanno corona gli emblemi del potere della storia d'Occidente, dalle aquile degli antichi romani e dei
carolingi alle api franche sul vestito, e ai contrassegni del potere monarchico francese, come la mano di
Giustizia di Carlo Magno e lo scettro di Carlo V. La sua prepotente frontalità contribuisce a trasformarne la
figura viva e reale nell'immagine senza età di un potere indiscusso e inavvicinabile. La rigida simmetria della
posa gli conferisce un senso ieratico, da icona medievale, che ricorda lo schema della divinità cristiana.
Il motivo della sensualità femminile, che si offre senza inibizioni nell'intimità dei bagni e degli harem
orientali, è molto diffuso nella pittura dell'Ottocento. Iniziato verso il 1848 per il principe
Napoleone, questo Bagno turco rappresenta l'ultima e più libera versione del tema, dipinta da
Ingres negli anni della maturità. La tela viene firmata una prima vol ta nel 1859, anno cui risale una
fotografia che la mostra rettangolare e senza donne ingioiellate. L'anno successivo, Ingres
aggiunge collane e anelli alle figure, dipinge una peonia e uno specchio in primo piano e modifica
anche la firma per attualizzare la data. A questo stadio, l'opera viene consegnata al committente:
ma l'abbondanza dei nudi scandalizza la principessa Clotilde, moglie di Napoleone, che rispedisce
la tela al pittore, che la modifica ulteriormente. Anzitutto il formato diventa circolare, viene aggiunta
una nuova natura morta in primo piano e si interviene sull'impianto prospettico. La fonte più
probabile del soggetto è il carteggio della colta Lady Mary Wortley Montagu. Nel Bagno turco
Ingres riformula le figure di nudi, odalische, bagnanti e schiave già elaborate in altre sue opere.
L'affollamento di figure studiato alla luce del nuovo formato circolare della tela determina una complessa successione di piani,
scanditi e controllati dal gioco geometrico delle pareti, dell'angolo della piscina e del bordo del tavolino in primo piano. D'altra parte,
la compressione dei volumi si spinge a un tale estremo che le figure sullo sfondo e quelle vicine appaiono contratte e riportate su un
unico piano che sfida ogni comune prospettiva. La gamma cromatica è di una freddezza cangiante. Con la sua prospettiva alterata,
smalto delle superfici e trascrizione di luci e ombre, il Bagno turco appare come un mondo reale e immaginario insieme, una fantasia
erotica scrutata nella deformazione ottica di uno specchio convesso.
La ninfa Teti implora Giove di intercedere per suo figlio Achille che combatte sulla terra. Giove e Teti
fonde due grandi temi della pittura del giovane Ingres, stilisticamente caratterizzata da una mescolanza
di classicismo, purismo e neobizantinismo: la grandiosità di una suprema divinità maschile e il
seducente potere di un nudo femminile. Giove si mostra come divinità onnipotente improntata sulla
frontalità, mentre la ninfa Teti è raffigurata di profilo. Il suo braccio sinistro, morbido tanto da sembrare
privo d'ossa, si innalza fino a toccare con le dita la barba della testa leonina della figura; il seno e il
braccio destro si appoggiano in maniera altrettanto provocante sul grembo divino, mentre il piede
destro, che spunta dalla cascata di pieghe della veste, tocca quasi furtivamente quello di Giove.
Questa supplica sensuale è osservata con severità da Giunone, moglie del dio, appena visibile in alto a
sinistra. Secondo l'Accademia al quadro mancano rilievo e profondità, il tono del colore è debole, la
testa di Giove non dà l'idea della nobiltà e della potenza del Signore degli Dei e il suo torso è ampio
nella parte superiore e stretto all'attacco delle anche. Tali difetti possono essere attribuiti alle fonti
iconografiche cui s'ispirava Ingres, cioè all'influenza congiunta delle raffigurazioni schematiche della
ceramica greca. La tendenza alla deformazione di Ingres poteva apparire discutibile e bizzarra al
l'idealismo neoclassicista, ma si rivela un modello importante per quella pittura del XX secolo interessata a forme di astrazione
ricercate a spese di apparenze naturali e fedeltà anatomica.
16
Il mondo esotico chiuso, dove la sensualità delle donne poteva essere esibita senza
inibizioni, attrae anche Ingres, che sarà sempre affascinato dalla restituzione lineare delle
forme femminili, facendole curvare o avvitare secondo le esigenze, mescolando quasi
sempre l'esotico e l'erotico. Egli non si recò mai in Oriente; così ricorreva a documenti di
viaggiatori europei, soprattutto alla descrizione di bagni femminili contenute nelle lettere di
Lady Mary Wortley Montagu. Inoltre, per la ricostruzione degli ambienti, si servì di miniature
persiane. Per il diletto di un committente privato, nel 1839-40 dipinge l'Interno di barem
con odalisca, fondendo sensibilità classica e fascinazioni del mondo orientale da un lato un
nudo idealizzato, reclinato, che si richiama esplicitamente alle Veneri della pittura
occidentale, dall'altro, uno scenario esotico definito da una proliferazione di superfici
ornamentali orientali, di squisita fattura artigianale, dalle mattonelle del pavimento al
ventaglio di piume, dalla fontana alle balaustre. Ingres offre uno spazio limpido definito da colori freddi, dove la donna
edonisticamente offerta agli occhi dello spettatore occidentale rimane algido e intoccabile modello di perfezione.
Nel Ponte di Narni, eseguito direttamente "sul motivo", cioè all'aperto, colpisce lo svolgimento
pittorico del primo piano: Corot lo lascia volutamente abbozzato, per concentrare la propria
attenzione sui giochi di luce che si riflettono sul ponte, sul fiume e sulla vegetazione. Tale
procedimento costituisce un importante contributo al rinnovamento della pittura di paesaggio: lo
spazio viene suggerito unicamente dai passaggi, dalle variazioni e dalle modulazioni della luce.
Questa prima versione del Ponte di Narni segna una tappa fondamentale del preimpressionismo.
La maniera di Corot è sviluppata nella Cattedrale di Chartres, costruita con colore e una varietà di sottili
passaggi di tono. L'ammasso di terra opaca fa risaltare il taglio nitido e la concatenazione dei piani
dell'edificio; la luce concentrata sui blocchi squadrati mette in rapporto con il cielo la volumetria luminosa
della cattedrale; infine, i tre alberelli che dominano la collinetta, scuri sul cielo chiaro, si contrappongono
allo slancio delle guglie più luminose dello sfondo. A Corot interessa definire uno spazio compositivo
unitario, dove nessun elemento prevalga o si subordini agli altri. La pittura pura e i suoi valori cominciano
ad assumere un'importanza prevalente rispetto alla descrizione e al racconto.
Dopo una serie di rifiuti da parte della giuria del Salon, che trova la maggior parte dei
quadri di Rousseau brutti per le loro pennellate a grumi e macchie, il pittore si trasferisce
nella provincia del Berry. Qui dipinge Sotto le betulle, nel quale è raffigurato un momento
di un delicato tardo pomeriggio, caratterizzato dai colori freddi e rosso bruni dell’autunno
e da una luce scintillante. Gli alberi, che fanno da schermo a un cielo blu che si va
scurendo, hanno una forma disuguale: rami dritti e curvi, tronchi alti e bassi, chiome
irregolari composte di foglie autunnali color ruggine. La confusione e la densità del
sottobosco in primo piano sono riprodotte attraverso piccoli puntini di colore, che
imprigionano l'effetto della luce che muta. La struttura pittorica è semplice e solida,
giocata sull'opposizione delle orizzontali della terra e delle verticali degli alberi. A
completare questo senso di un ritmo semplice ed elementare, è raffigurato al centro, seminascosto dalla terra e da un albero, un
prete di campagna sul suo cavallo, il cui passaggio attraverso le be tulle suggerisce un evento quotidiano di valore quasi liturgico.
17
La tecnica di Rousseau è condivisa da Dupré, che ha assorbito anche la lezione di Constable, del
quale ha visto alcuni quadri sia a Parigi sia durante un viaggio in Inghilterra nel 1834. In La chiusa,
un soggetto tipico dell'iconografia e dello spirito di Barbizon, Dupré seleziona i luoghi abituali dove
uomini, animali e natura sono quasi fusi in un tutto simbolico. Nella fitta macchia di alberi e cespugli
cresciuti spontaneamente si intravede con fatica un agricoltore lontano, un instabile argine di legno
e un gruppo di anatre che sono quasi una cosa sola con i loro riflessi in crespati nello stagno scuro.
Nulla è forzato: il denso fogliame si muove in ogni direzione e sembra estendersi oltre i confini
dell’immaginazione.
Dopo la formazione veneziana nei primi anni dell'Ottocento, seguita da studi di perfezionamento
a Roma, Hayez attira l'attenzione del pubblico con Pietro Rossi chiuso dagli Scaligeri nel
castello di Pontremoli, eseguito a Venezia ed esposto nel 1820 alla mostra annuale
dell'Accademia di Brera di Milano. La tela viene acclamata come il manifesto della nuova pittura
romantica. Il Pietro Rossi di Hayez propone un exemplum virtutis, che assume chiari connotati
etici di incitamento a ideali civili e patriottici. Rispetto alle grandi composizioni neoclassiche, il
dipinto di Hayez presenta dimensioni più modeste, con l'episodio espresso in maniera efficace
nella gestualità dei personaggi, la cui mimica conferisce una forte suspense drammatica e
sentimentale. L’eroe romantico è colto nel momento in cui si dibatte tra il senso del dovere,
l'amore per la patria, e gli affetti familiari. Pietro Rossi è al centro, in atteggiamento irresoluto,
intenerito dal dolore della famiglia chiamata a raccolta intorno a lui: la moglie genuflessa, a
destra, e le due figlie, una in ginocchio e l'altra piangente in piedi, lo implorano di non andare, mentre il messaggero che gli è al fianco
lo sollecita alla partenza, che avverrà di nascosto, portandolo alla morte in uno scontro con gli Scaglieri.
È significativa la scelta dell'artista di sostituire al tradizionale repertorio mitologico classicista, un tema medievale tratto dalla Storia
delle Repubbliche Italiane dello storico Sismondi. Una scelta che gli offre la metafora più adatta a esprimere per via in diretta, ma ben
comprensibile, speranze e ideali contemporanei. Il messaggio politico è reso nella figura della figlia che piange. Il tema del rapporto
famiglia-patria avrà larga diffusione e diverrà un soggetto ricorrente nella pittura della prima fase del Romanticismo italiano.
Anche un soggetto filoellenico come I profughi di Parga, la città greca ceduta nel 1818 dagli
inglesi ai turchi, rivela la capacità di Hayez di farsi interprete di ideali patriottici. Esposto a Brera
nel 1831, il quadro può essere letto come appello contro la violenza e l'oppressione straniera,
con riferimento alla repressione dei moti milanesi del 1830-31. In tali opere l'artista accentua le
potenzialità drammatiche del soggetto ricorrendo a una messa in scena teatrale del quadro,
riconducibile alle maniere di quel melodramma tanto amato dal pubblico ottocentesco.
18
Presentato all'Esposizione di Brera del 1859, a tre mesi dall'ingresso di Vittorio Emanuele II e
Napoleone III a Milano, Il bacio riscuote notevole successo, anzitutto per l'immediata adesione a un
tema facile e allo stesso tempo suggestivo. Una delle reazioni più significative, di fronte al soggetto
romantico dipinto con assoluta freschezza dall'ormai settantenne Hayez. Il bacio avvia un nuovo
soggetto iconografico ripreso con significati diversi da numerosi artisti a cavallo tra Otto e Novecento.
La seduzione figurativa di questo bacio, la sua icastica naturalezza, è affidata a un'alta qualità pittorica,
cui si affianca un ben controllato equilibrio formale. L'arabesco lineare che compone l'abbraccio dei
due amanti lega, senza contraddizione, le dissonanze cromatiche: l'audace e freddo celeste, ricco di
riflessi metallici, dell'abito di velluto della donna e il rosso della calzamaglia dell'uomo, le cui gambe
inarcate tendono a raccogliere la sensuale inclinazione della donna. Indeterminata appare la
ricostruzione ambientale, sospesa tra il presente e il passato vagamente medievaleggiante cui alludono
abiti e architetture. Il titolo con il quale venne presentata per la prima volta l'opera citava Giulietta e
Romeo, alla cui vicenda è riconducibile l'ombra inquietante che s'intravede disegnata nella penombra
del fondo, lungo il margine sinistro della tela. La struttura formale e l'iconografia del quadro sono funzionali all'universalità del
messaggio, che oscilla tra l'esaltazione del valore dell'amore individuale e di quello per la patria.
Ne La fiducia in Dio del 1835, egli si mostra meno radicale rispetto alle sue idee sul bello, oscillando tra
schemi neoclassici e volontà di aderenza al vero. Eseguita direttamente da un modello reale, l'opera,
ammirevole per perfezione lineare e levigatezza, raffigura una fanciulla nuda inginocchiata, la cui purezza
simboleggia l'anima cristiana che si affida a Dio.
Il ritorno alla religiosità è parte integrante della cultura romantica, così come la riscoperta del Medioevo.
Per Bartolini ciò coincide con il recupero del Quattrocento toscano, di cui il Monumento funebre della
contessa Sofia Zamojska costituisce un libero adattamento, riprendendo schema ed elementi dell'arte
cristiana già adottati da maestri del XV secolo. Tale discendenza appare evidente nell'arcosolio - la
nicchia ad arco in cui, nelle catacombe, era collocato il sarcofago - che ha la funzione d'individuare uno
spazio preciso e più percepibile di quello della cappella. La nobildonna giace su un letto di foggia greco-
romana, appoggiato su uno zoccolo a sua volta sostenuto da un sarcofago. I marmi policromi dei
panneggi offro no suggestivi effetti di colore, in particola re sulla coperta stellata, gettata
scompostamente sul letto. Bartolini si concentra sul fenomeno della morte dando forma agli aspetti crudi
dell'agonia, evocati impietosamente fin nei particolari e presentati allo spettatore senza idealizzazioni. Il
volto della defunta si caratterizza per il naturalismo dei caratteri espressivi, basato sull'idea che l'artista
debba saper dominare la peculiarità di ogni aspetto naturale, anche la vecchiaia e il dolore.
Il Piccio, nel 1845 soggiorna a Parigi guardando con attenzione alle opere dei pittori della Scuola di Barbizon, di
Corot e Delacroix. Questa varietà di riferimenti culturali si traduce in un'immersione totale nei valori della pittura:
all'artista importano poco i contenuti, ma le possibilità espressive del colore in quanto mezzo specifico del
linguaggio pittorico. Ciò è evidente anche in un soggetto biblico come Agar nel deserto, un'opera
commissionata nel 1833 dalla parrocchia di Alzano ma terminata solo nel 1863. Il tema è tratto dalla Genesi:
smarritasi nel deserto, la schiava Agar adagia il figlioletto sotto un cespuglio e si siede in disparte, per non
vederlo morire. Ma un angelo, inviato da Dio, le indica una fontana, annunciandole che suo figlio fonderà un
gran de popolo. La pala viene rifiutata dai committenti, che la giudicano uno «sgorbio né disegnato né dipinto»,
eseguito in maniera del tutto inadatta al tema e alla destinazione. La pennellata libera e sfilacciata esclude ogni
netta campitura cromatica e la convenzionale precisione del contorno. La novità e l'originalità formale
dell'opera risulteranno fondamentali per gli sviluppi della pittura lombarda.
Piccio adotta la stessa maniera pittorica anche nel paesaggio. Negli scenari fluviali
del Po o dell'Adda i dati naturali appaiono più suggeriti che descritti: alberi, foglie e
lento scorrere dell'acqua tendono a fondersi nelle vibrazioni atmosferiche attraverso
una pennellata leggera e fluida. Come in questo Paesaggio, dove l'artista non
raffigura un luogo reale ma una veduta immaginaria con rovine antiche. Un cielo
nuvoloso, appena rischiarato da un raggio di sole che scivola sul mare all'orizzonte,
conferisce al tutto un'atmosfera malinconica. Grandi alberi e rovine chiudono la
scena e la linea a zig zag del sentiero, che conduce l'occhio dal primo piano al
fondo, echeggia i paesaggi classicheggianti italiani e francesi, mentre il salto tra il
vicino e il lontano, accennato attraverso delicati passaggi di toni, ricorda gli effetti
sfumati di Leonardo. L'atmosfera cupa, la presenza incombente della natura,
l'assenza di un soggetto identificabile, conducono alla tradizione del paesaggio olandese e della veduta romantica.
20
— Realismo e Impressionismo —
Dal 1848 agli anni Ottanta del XIX secolo
Pittura e scultura risentono di un clima culturale dominante articolato tra le polarità di un classicismo di
maniera e di un Romanticismo più che maturo, sulle quali s’innestano le recenti inclinazioni positivistiche,
attente a nuovi temi e soggetti come la vita e il lavoro nelle città in espansione. A tale quadro corrispondono
due diverse tendenze stilistiche e tematiche: il Realismo e l’Impressionismo. Il Realismo, ancora fortemente
impregnato di cultura romantica, si configura come un drastico spostamento di attenzione dalla storia
antica alla presente: l'intento è di rappresentare il proprio tempo e, talvolta, di intervenire su di esso con
un'arte dai chiari contenuti ideologici e politici.
In quegli anni comincia a diffondersi la fotografia, la cui invenzione si fa risalire al 1839, quando il nuovo
procedimento viene presentato al parlamento francese. La fotografia investe anche il mondo artistico,
poiché è subito chiaro che il nuovo mezzo, strumento di sempre più precisa rappresentazione offre una
molteplicità di applicazioni possibili. Molti artisti la adottano come supporto al proprio lavoro; altri se ne
servono per prendere più velocemente appunti visivi; altri ancora (v. Nadar) si riciclano come fotografi.
Alcuni pittori se ne lasciano influenzare secondo due principali modalità: alcuni di essi riprendono dalla
fotografia l'idea dell'oggettività della visione e propongono nei propri dipinti tagli e inquadrature tipici del
nuovo mezzo, altri ricercano una nuova libertà di pittura e d'invenzione.
Un importante fenomeno che emerge dopo il 1848 è l'affermazione di un mercato privato dell'arte, con
conseguenze non irrilevanti su modi e linguaggi di pittura e scultura. Negli anni centrali del XIX secolo si
assiste a una più accentuata tendenza a considerare le opere d'arte come merci, alla pari dei prodotti di
ogni tipo circolanti in un libero mercato sempre più internazionale. Vetrine privilegiate di tali prodotti sono le
Grandi esposizioni universali, fantasmagoriche fiere del progresso e dell'industriosità degli uomini.
L'importanza di tale esposizione, in ambito artistico, comincia dalla progettazione architettonica: si tratta
della prima realizzazione su grande scala di una struttura costruita montando pezzi prefabbricati di materiali
che avrebbero avuto enorme fortuna nell'architettura a venire: ferro e vetro. Con la modernità contrastavano
i caratteri formali di molti degli oggetti in esposizione: tessuti decorati, stoviglie, mobili e soprammobili,
vasellame in metallo, ceramica e così via, tutti prodotti di serie, industriali o di alto artigianato, realizzati
secondo stili del passato ecletticamente mescolati e in forme pesanti ed esageratamente decorate. L'idea
che la forma degli oggetti debba rispondere nel modo più conveniente alla loro specifica funzione e l'i dea
dell'onestà dei materiali – scelti per la loro congruenza con oggetti, architetture e luoghi di destinazione –
sono gli altri criteri decisivi per le prime formulazioni del design.
La mostra londinese (Great Exhibition) del 1851 è importante anche perché inaugura un nuovo circuito
espositivo per dipinti e sculture. In essa erano presenti sezioni di belle arti nelle quali i diversi paesi avevano
inviato pezzi selezionati come esemplari della produzione artistica nazionale. Tali sezioni avrebbero da allora
in poi caratterizzato tutte le esposizioni universali che fecero seguito a quella di Londra nelle grandi città
europee. Le opere d'arte corrispondono al gusto dominante della seconda metà dell'Ottocento: in scultura
piacciono molto i soggetti mitologici o vagamente storici, che permettono di esibire il nudo femminile.
Anche nell'ambito della pittura si tende a stimolare gusto non particolarmente raffinato di un pubblico in il
rapida crescita, che gradisce banali scene di genere nelle quali potersi riconoscere, figure suscitatrici di forti
emozioni, di derivazione letteraria ma facili da capire. Questo tipo di arte è definita pompier in riferimento a
uno dei modelli dai quali deriva: il quadro delle Sabine di David, in cui gli elmi dei contendenti ricordano i
caschi dei moderni pompieri. I pompiers guardano più al grande successo di pubblico che all'originalità e
21
all'innovativazione di ricerca e linguaggio. Salon e grandi esposizioni conoscono un notevole sviluppo nella
seconda metà del secolo. Nel 1881 si svolge l'ultimo Salon parigino patrocinato dallo stato francese e
direttamente legato all'Accademia. Dopo di allora il Salon viene soppiantato da esposizioni organizzate da
associazioni di artisti che ne sviluppano il gusto.
Si sviluppa l’idea di arte da vedere: sorge un mercato privato dell’arte, con le gallerie private; gli artisti
tendono a riunirsi in gruppi, per poter affermare il proprio punto di vista estetico e rendersi competitivi;
letterati e poeti divengono critici d’arte contribuendo alla fortuna di gruppi e artisti.
I GRUPPI ARTISTICI
Un aspetto saliente della storia artistica della seconda metà dell'Ottocento è il suo sviluppo secondo una
intensa sequenza di secessioni. Questo termine entrerà nell'uso corrente solo negli anni novanta, ma anche
prima si erano verificate dichiarate secessioni di artisti da un'ufficialità che era da ostacolo all'affermazione
delle idee e dei programmi che si volevano seguire e alla circolazione delle proprie opere. Tale ufficialità era
essenzialmente rappresentata dall'Accademia e dai Salon.
Nel 1848 a Londra, la Confraternita preraffaellita rifiuta il classicismo della cultura accademica inglese del
tempo condividendo la passione dei nazareni per i primitivi italiani. Al modello raffaellesco e al classicismo
accademico, contrappongono una maniera ispirata alla supposta ingenuità e alla spontanea vitalità della
pittura italiana tre e quattrocentesca e a modelli di arte medievale, dai quali traggono semplificazioni di
oggetti e figure. Nello stile dei preraffaelliti tale naturalità tende generalmente a risolversi in una descrittività
analitica e minuziosa collegata a una sorta di arcaica schematicità delle immagini. L’arte preraffaellita si
afferma gradatamente in Inghilterra nel corso della seconda metà del secolo, finendo per coincidere con il
gusto della società vittoriana. Contribuisce a tale fortuna anche l'impegno di molti artisti del gruppo nel
campo delle arti applicati, come nel caso della ditta Morris, Marshall, Faulkner & Co.
L'attenzione alla realtà del proprio tempo è condivisa dal francese Gustave Courbet, anche se con una
maniera pittorica diversa. Nello stesso 1848 egli avvia l'elaborazione di un'arte realista che trova il culmine
nel 1855, in una manifestazione provocatoriamente secessionista: l'allestimento di un Padiglione del
Realismo. La sezione artistica presentava opere di intrattenimento dalle quali Courbet voleva distinguersi
polemicamente nel nome, appunto, del realismo; vale a dire di una pittura intrecciata alla politica. Nel 1863
la commissione del Salon fu così severa che, con le numerosissime opere rifiutate, si potè allestire un Salon
alternativo a quello ufficiale: si tratta del Salon des refusés che attirò un abbondantissimo pubblico.
Per lo stesso rinnovamento dei soggetti si battono altri gruppi artistici accomunati da una netta presa di
distanze dalle convenzioni dell'arte di derivazione accademica, della quale rifiutano lo stile e le tematiche
storiche, letterarie e religiose. In Italia sono riconducibili a tale ambito Macchiaioli, provenienti da diverse
regioni italiane, che nel decennio a cavallo del 1860 erano soliti riunirsi nel Caffe Michelangiolo di Firenze.
La definizione di macchiaioli, inizialmente con valore spregiativo, riconduce alla loro maniera di dipingere: a
tacche o macchie di colore e senza attenzione al contorno, al disegno, inteso come tipica espressione di
accademismo e artificiosità. L'associazione di maggior rilievo, sia per la qualità e novità del lavoro artistico
dei suoi membri, sia per riflessi e le influenze che avrebbe esercitato a livello internazionale, è la francese
Société Anonyme Cooperative, fondata nel 1874, della quale fanno parte pittori poi diventati famosi con il
nome di impressionisti: Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Sisley e tanti altri. In quello stesso anno la Société
organizza una mostra nello studio del fotografo Nadar, la prima di otto esposizioni impressioniste tenutesi a
Parigi tra il 1874 e il 1886: la novità della mostra consiste nel fatto che è autogestita, senza cioè quella
giuria di accettazione che rendeva così difficile entrare al Salon.
22
Questo particolare realismo si distingue dal genere di pittura per la quale è scontato il ricorso all'aggettivo
realista, quella praticata da Jean-François Millet. Questi dipinge scene di vita contadina, cariche di
significati simbolici e di una sorta di religiosità del lavoro manuale, e paesaggi di intenso sentimentalismo. Il
trasferimento in campagna è anche una scelta ideologica, che implica l'idea del recupero di una dimensione
di naturalità agreste in opposizione a condizioni di vita urbana avvertite come alienanti. Con la sua scelta,
Millet anticipa tante successive fughe verso civiltà e culture preindustriali. Il realismo della fase centrale
della sua pittura, tra il 1848 e il 1855, riguarda i soggetti, più che la maniera. Influenzato da una cultura
romantica innamorata del popolare e mosso dall'ansia di una partecipazione diretta alla vita, Courbet
rivendica all'artista il ruolo di intellettuale in grado non solo di esprimersi sul tempo e sulla società nei quali
vive, ma anche di cambiarli attraverso il proprio lavoro. A questo scopo usa un linguaggio che libera mente
attinge a fonti figurative alte e basse, nel nome dell'efficacia della comunicazione. Courbet voleva fare
dell'arte viva, cioè utilizzare soggetti contemporanei. Parlare di queste cose in pittura implica l'idea che
l'arte possa intervenire nel mondo reale per trasformarlo. Dopo quegli anni eroici di Realismo, Courbet si
volge a una pittura paesaggistica con la quale si guadagna la fama di pittore tutto occhio, disinteressato
alle vecchie gerarchie dei generi e concentrato sulle cose, anche le più banali. In Courbet sul soggetto
comincia a prevalere la pittura: che nei suoi paesaggi, nelle scene di caccia, nelle marine è scura, materica,
grumosa, tanto da poter essere guardata a posteriori, anche per la sostanziale mancanza di disegno.
È soprattutto Édouard Manet a dar forma pittorica all'idea realista di «essere del proprio tempo», secondo
la formula coniata da Baudelaire. Manet ha alle spalle la grande tradizione del colorismo veneto e la pittura
spagnola, da Velázquez a Goya, che nel suo modo di dipingere integra con modelli olandesi seicenteschi.
Ma la scioltezza e la libertà della sua pennellata appariva imperizia a molti contemporanei. Con i suoi
soggetti di vita contemporanea Manet aspira al riconoscimento pubblico nei Salon; è però frequentemente
rifiutato, trovando ascolto tra i futuri impressionisti, che lo ammirano profondamente. Egli ha con loro
rapporti amicizia, ma non partecipa alle esposizioni del gruppo; solo nel corso degli anni settanta si lascia
influenzare dal più libero modo di dipingere di Monet e di Pierre-Auguste Renoir.
L'altra polarità del gruppo impressionista è rappresentata da Edgar Degas, la cui solida formazione
classicista, alla Ingres, gli impedisce di attribuire all'esperienza diretta del reale l'importanza che le danno
Courbet, Monet e lo stesso Renoir. Sull’occhio devono prevalere la memoria e il procedimento mentale. Il
pittore deve essere capace di selezionare le esperienze visive e di costruire l'immagine attraverso un loro
collegamento inventato, sostenuto dalla libertà di pensare, progettare e comporre, senza lasciarsi governare
soltanto dai sensi, da una visione puramente oculare, retinica della realtà.
Alla prima mostra del gruppo impressionista è presente il pittore di Aix-en-Provence Paul Cézanne, a sua
volta difficilmente definibile come impressionista tout court, nonostante sia stato suo maestro un veterano
del plein air e dell'Impressionismo come Camille Pissarro. La sensibilità dell'occhio di Cézanne, infatti, è
sostanzialmente corretta dalla trasposizione dell’immagine vista in una dimensione di solida, geometrica
razionalità, indipendente dalle accidentalità naturali.
Figura straordinaria di collegamento tra esperienza del plein air e Postimpressionismo, passando attraverso
l'Impressionismo, è Camille Pissarro, che nella sua opera riassume la vicenda del XIX secolo pittorico
francese più innovativo, anticipando entrambe le grandi linee che ne sarebbero derivate: quella basata sulla
diretta esperienza visiva e quella tendente a far prevalere una razionalizzazione del lavoro artistico, una sua
concettualizzazione. Anche Pissarro partecipa alla prima mostra impressionista e, nel gruppo, gioca
precocemente il ruolo del patriarca. È soprattutto lui a insistere sull'eliminazione dei neri e delle terre dalla
tavolozza, per cogliere appieno la luce naturale, e sulla necessità di praticare una pittura a diretto contatto
del motivo, perché il naturalismo impressionista sia completo.
IL CONTESTO ITALIANO
In Italia, le istanze di realismo e di verità ottica trovano i loro interpreti nell'ambito dei macchiaioli e degli
scapigliati. I primi cercano di riprodurre l'impressione del vero basandosi sul rifiuto del disegno e sulla
costruzione dell'immagine attraverso l'accostamento di campi di colore privi di chiaroscuro, corrispondenti
a zone di luce e di ombra. Giovanni Fattori alterna soluzioni di questo genere alle composizioni disegnate
in modo più tradizionale dei quadri di grande formato, che implicano un'esecuzione più lenta e ponderata.
Al rinnovamento della pittura italiana di questo periodo contribuiscono anche le personalità di Federico
Faruffini e Giuseppe De Nittis. In ambito lombardo operano Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni,
definiti scapigliati per i loro atteggiamenti di anticonformismo artistico, più di maniera che reali, improntati
alla bohème parigina. Quest’ultima era stata eversiva e alternativa negli anni intorno al 1848, quando molti
intellettuali avevano partecipato a un movimento allusivo al rifiuto dei modelli di comportamento dominanti.
23
DALL’ECLETTISMO AL RAZIONALISMO COSTRUTTIVO IN ARCHITETTURA
L'Eclettismo è il gusto dominante in architettura a cavallo dei secoli XIX e XX. Esso corrisponde alle attese
della borghesia del tempo, cosmopolita e sicura di saper dominare culture diverse e lontane. L'architettura
eclettica mira alla combinazione di elementi artistici differenti tratti dagli stili del passato. Ne risultano edifici
monumentali, con decorazione sovrabbondante. In questo periodo Parigi fa scuola: negli anni di Napoleone
III si afferma lo stile Secondo impero, che imita l'architettura rinascimentale italiana. Grazie al prestigio del
l'architettura francese e dell'Accademia parigina, si sviluppa in Occidente uno stile eclettico detto Beaux-
Arts che a esse si conforma.
Una nuova tipologia di edificio della modernità è la stazione ferroviaria: nei suoi monumentali volumi gli
architetti sperimentano diverse soluzioni strutturali, utilizzando ferro e vetro. La decorazione si evolve verso
una progressiva sobrietà.
A partire dalla fine del XIX secolo l'atteggiamento eclettico viene considerato irrazionale non adeguato alla
nuova civiltà industriale. L'attenzione degli ingegneri prima, e poi degli architetti, si sposta sui materiali e
sulla funzionalità, tralasciando l'aspetto estetico e le decorazioni. Si cominciano a progettare edifici con le
strutture portanti in ferro o in ghisa e composti di parti prefabbricate debitamente assemblate tra loro.
L'opera dei costruttori di serre ne costituisce la premessa e l'anticipazione.
Ecce ancilla Domini di Dante Gabriel Rossetti s'ispira a modelli del Quattrocento italiano, in particolare a Beato
Angelico. Si tratta di una composizione audace impostata sul bianco, un colore adeguato al significato della
scena: l'arcangelo Gabriele, fluttuante su un sole celeste, annuncia alla Vergine che concepirà il figlio di Dio
porgendole uno stelo di giglio fiorito, simbolo di purezza. La Vergine indietreggia spaventata, con gli occhi
abbassati, in un atteggiamento di ossequente innocenza e purezza di fronte alla volontà divina.
La prospettiva obliqua, con il piano del pavimento che s'innalza rapidamente formando un angolo che si unisce
al piano della parete, sembra quasi catapultare il corpo di Maria dal suo giaciglio. Tale interpretazione
dell'Annunciazione introduce una carica emotiva complessa, per metà sensuale e per metà mistica: il rosso dei
capelli della Vergine, per la quale posò la moglie dell'artista, e le labbra porporine tendono a proiettare la scena
nella realtà, mentre la luce diffusa evoca una dimensione pia e ultraterrena.
24
Nel Risveglio della coscienza, scena ispirata a un brano del David Copperfield di Dickens, Hunt
affronta un tema diffuso nell'arte e nella vita della metà dell'Ottocento: la sorte di giovani donne che,
invece di seguire la netta via del matrimonio, si abbandonavano alla passione. La fanciulla, un attimo
prima fra le braccia del suo amante, è improvvisamente colta da una crisi morale, provocata dalle
parole della canzone che I'uomo le sta cantando, suscitatrici in lei di pensieri edificanti
Ogni cosa è descritta dettagliatamente, dalle decorazioni dello scialle che avvolge la vita della fanciulla
all'intricato ricamo dorato nelI'angolo a destra; dalla superficie lucente dello specchio ai particolari del
giardino pieno di luce solare che lo stesso specchio riflette; dall'uccellino sotto il tavolo tormentato da
un gatto alle venature del legno del mobilio e alla figura incorniciata sopra il pianoforte, che
allusivamente illustra I'episodio biblico dell'adultera.
Burne-Jones è attirato dal mondo fantastico del mito e del sogno e dalla raffinata linearità della pittura italiana
del Ouattrocento. Egli si avvicinerà in seguito al classicismo e addirittura alla Maniera del pieno Cinquecento,
originariamente rifiutati. L’eclettismo della pittura preraffaellita degli ultimi decenni del XIX secolo è avvertibile
nella Scala d'oro, in cui troviamo coniugati influssi botticelliani, evidenti nelle tipologie femminili, e suggestioni
manieriste, soprattutto nello sviluppo elicoidale della scala. Quest'ultima costituisce I'elemento strutturante della
composizione e ne scandisce il ritmo: il corteo di figure femminili, derivate tutte da uno stesso modello, è infatti
cadenzato lungo la curva dei gradini; le donne, che recano strumenti musicali, sono connotate come figure
angeliche che abitano un luogo immaginario e celestiale. Ciò conferisce alla scena un effetto di lontananza dal
mondo reale e di proiezione in una dimensione ideale e simbolica.
La scena si estende in profondità, lasciando intravedere un microcosmo di vita cittadina moderna: un poliziotto è alle prese con una
ragazza con un canestro di arance; un gruppo di manifestanti si accanisce contro un politico corrotto che ha fatto fortuna
commerciando salsicce; un manifesto informa i passanti dell'apertura di un orfanotrofio e di una ricompensa per un furto. Questa
miriade di episodi ruota intorno al tema principale della scena, costituito dall'attività degli sterratori, i quali, nell'Inghilterra di metà
Ottocento, incarnavano una categoria di lavoratori al servizio della modernità.
Il quadro di Brown esemplifica l'affermazione di un nuovo repertorio di immagini d'attualità tendente a esprimere il carattere quasi
eroico di quel lavoro manuale che fino alla metà del XIX secolo era ritenuto degradante. La congestione dei molti particolari è
attenuata da una brillante messa a fuoco, che rende leggibile con estrema chiarezza l'intero dipinto, sia in lontananza, sia in primo
piano. Ne Il lavoro vediamo esaltazione del lavoro manuale e intellettuale, critica dell'ozio e della corruzione, solidarietà sociale.
25
Al Salon del 1850 realizza Il seminatore, sostituendo alle precedenti visioni tradizionali ed
edulcorate delle attività agricole quelle di rudi e monumentali contadini al lavoro. Il legame tra il
contadino e la terra è tradotto da Millet in un'immagine positiva, anche se non proprio idilliaca.
La composizione è dominata da una figura ben stagliata che discende il pendio del campo di
grano. La luce del sole al tramonto rischiara solo una piccola porzione delI'immagine, a destra,
dove in lontananza s'intravede un altro contadino alla guida di un carro trainato da buoi; dalla
parte opposta, uno stormo di corvi, inquietante simbolo di morte, scende minaccioso verso la
tema per beccare i chicchi di grano appena seminati. Nella scena non c'è accenno alla fatica
del lavoro dei campi: il movimento largo e vigoroso del braccio destro, in perfetto parallelismo
con quello della gamba sinistra tesa indietro, trasmette una carica vitale contrastante con
l'umiltà del seminatore. Nonostante lo scabro realismo dell'insieme, il pittore arriva a dare
all'immagine una grandezza eroica, un pathos e una nobiltà che trascendono la pura e semplice
descrizione della realtà, trasformando i tratti fisici e il gesto virile della semina in nuclei di energia
carichi di valori simbolici. L'iconografia rurale costituisce un punto d'incontro tra un problema di
attualità (la povertà dei contadini) e I'emergente realismo.
La combinazione di attualità e realismo caratterizza anche Le spigolatrici, uno dei suoi quadri
più famosi, su un tema ripreso in ambito postimpressionista da Camille Pissaro. L'ampio
campo della scena è diviso a metà da un'ombra che separa i toni cupi del primo piano da
quelli dorati e luminosi del fondo. La posizione china, ad angolo retto, delle contadine è
bilanciata dallo sviluppo verticale dei covoni di grano e della coppia di donne in lontananza,
che portano sulle spalle fasci di spighe. Le figure delle spigolatrici, restituite attraverso i colori
primari (giallo, rosso, blu, evidenti soprattutto nei copricapi) sono di scultorea pesantezza,
mentre accenni d'intenso realismo ne definiscono le fisionomie scorciate e le mani tozze
deformate dal lavoro.
Tra il 1848 e il 1855, quando allestisce il Padiglione del Realismo, Courbet realizza le
sue grandi composizioni legate a un'idea di arte democratica, che destano scandalo
per i temi e per l'audacia dell'impostazione. Forte del successo dovuto ai precedenti
scandali, Courbet imposta Un seppellimento a Ornans che, presentato al Salon del
1850-51, diviene, un manifesto di un nuovo programma estetico-pittorico. Nel
dipinto, Courbet interpreta un rito religioso calandolo nella realtà sociale della
profonda provincia francese contemporanea. Il dipinto registra la prima inumazione
nel nuovo cimitero di Ornans che riguardò un certo Claude-Etienne Teste, un fattore
della zona parente dell'artista. Il corteo funebre, composto da più di cinquanta figure a grandezza naturale, propone un campionario
completo di caratteri ben definiti appartenenti alla comunità religiosa, cittadina (con uomini) e cittadina (con donne addolorate). La
buca appena scavata rompe il centro inferiore del quadro invadendo lo spazio dello spettatore che, idealmente, si unisce ai parenti in
lutto. In primo piano un cane da caccia, noncurante, gira la testa dalla parte opposta alla fossa, come a osservare qualcosa fuori.
La programmatica semplicità e ingenuità della tela, che si appoggia a modelli figurativi popolari, è solo apparente. La sua tendenza a
polarizzare estremi tonali di nero con sapienti passaggi bianco crema crea un effetto coerentemente appiattito, come in un fregio, di
figure compresse contro l'orizzonte alto e roccioso del paesaggio locale. Anche la disposizione delle figure, a prima vista casuale, è in
realtà ordinata sulla base della struttura tripartita. L'insieme assume un andamento visivo sciolto, con un ritmo ondeggiante ma
solenne. A suscitare perplessità nel pubblico parigino contribuiva la struttura antitradizionale della composizione, dove i margini della
tela tagliano l'allineamento delle figure in lutto. Nella struttura della scena non si avverte nessun ordine gerarchico per personaggi
maggiori e minori: ogni figura ha lo stesso peso pittorico la stessa rilevanza. Il nuovo programma pittorico viene quindi letto dal
pubblico non solo come intenzionale messa in discussione delle consolidate tradizioni accademiche, ma anche come contributo a un
progetto politico tendente a sovvertire le gerarchie sociali.
26
L’atelier del pittore è un dipinto enigmatico, anche se in apparenza rappresenta
chiaramente I'interno dello studio di Courbet: egli si è autoritratto a figura intera,
seduto al cavalletto tra due gruppi di personaggi a destra e a sinistra. Il titolo
completo del quadro “L’atelier del pittore: una vera allegoria che riassume sette anni
della mia vita come artista” suggerisce componenti autobiografiche e significati
simbolici, espressi attraverso un linguaggio realista, che dà forma a intenzioni di
disvelamento della storia e della politica reali di quegli anni. Rifiutato dalla giuria del
Salon e criticato per la contraddizione fra programma allegorico e soggetto
realistico, il quadro si impose all’attenzione del pubblico contemporaneo non solo
per le dimensioni ma anche per il soggetto. I sette anni del titolo, andando indietro
nel tempo a partire dal 1855, rimandano al 1848, I'anno rivoluzionario che portò
all'abdicazione di Luigi Filippo e alla Seconda Repubblica. A partire da quella data I'artista elabora un programma pittorico nel quale
fonde sfera pubblica e sfera privata, avvalendosi di un linguaggio al tempo stesso reale e allegorico.
Al centro della scena è I'artista intento a dipingere un paesaggio, osservato attentamente da un bambino e da una modella nuda, che
sappiamo derivata da un'immagine fotografica. Ai lati è schierata una folla costituita da esponenti del mondo artistico, culturale e
politico e da lavoratori di diverse categorie. A sinistra, seduto in primo piano, un bracconiere - somigliante a Napoleone III - con il suo
cane osserva un cappello piumato, una mandola e un pugnale gettati a terra, armamentario tipico della vecchia pittura in costume e
simboli di un Romanticismo superato. Di fronte a lui, appoggiata al cavalletto, un'irlandese che allatta il suo bambino rappresenta la
Miseria, con allusione probabilmente alla crisi economica che aveva colpito I'Irlanda negli anni precedenti. Un rabbino chiude la parte
sinistra della tela mentre si incontrano le figure di un mercante che offre una stoffa a un personaggio seduto, identificabile con il
nonno viticoltore dell'artista; poi un saltimbanco con un cappello a due punte, un prete cattolico, uno sterratore, un falciatore, un
operaio con le braccia incrociate, un becchino e una prostituta. A destra sono rappresentati artisti e letterati, amici e sostenitori di
Courbet: appoggiato a un tavolo, il poeta Baudelaire legge in disparte; davanti a lui una coppia di collezionisti e lo scrittore
Champfleury (sostenitore del Realismo), seduto su uno sgabello; tra loro sbuca un bambino che disegna, sdraiato sul pavimento,
evidente allusione a un approccio all'arte ingenuo e non condizionato da norme scolastiche. Nel gruppo in fondo si riconoscono
anche Pierre-Joseph Proudhon, filosofo anarchico che influenzò il pensiero di Courbet, e Alfred Bruyas, suo mecenate e mercante.
La scena contiene tutti i generi pittorici praticati da Courbet e il grande formato consente all'artista di rappresentare a grandezza
naturale figure e oggetti. I colori cupi associati a una luce polverosa e I'incerta definizione dello spazio conferiscono all'ambiente
un'atmosfera indefinita, quasi misteriosa. Al di là di ogni possibile interpretazione, ciò che soprattutto emerge è I'iconografia della
scena: sul grande palcoscenico dell’Atelier, Courbet dispone un universo sociale del quale egli è centro e creatore.
27
Quando dipinge La colazione sull'erba Manet è una promessa sulla scena artistica parigina: lo
distingue I'interesse per scene di vita quotidiana contemporanea. Attraverso il ricorso a schemi
derivati da opere di Raffaello e Tiziano, di Velázquez e Goya che ammira, Manet dà continui
saggi della sua capacità di muoversi tra norma e distacco dalla stessa, tra passato e presente,
tra un principio pittorico e le sue nuove applicazioni a soggetti e temi contemporanei.
La scena dipinta da Manet appare agli occhi dei contemporanei “indecente”, “assurda”, tutt'altro che edificante. Al centro, in un
boschetto, sono raffigurati due giovani uomini vestiti di tutto punto - uno disteso, con il bastone in mano e in testa un berretto nero
con nappa, I'altro con la cravatta nera - che conversano amabilmente in compagnia di una ragazza nuda. Più indietro, un'altra donna
in sottoveste si bagna in uno stagno, mentre in primo piano è dipinta una natura morta composta dal cestino con la colazione e dagli
abiti delle ragazze. Oltre alla mancata idealizzazione del nudo femminile - che senza nessuna vergogna guarda direttamente negli
occhi lo spettatore - è rimproverata al pittore la "volgarità" dell'esecuzione pittorica, priva di sfumato e impostata su forti e troppo
netti contrasti di tono. Manet rinuncia alla tradizionale pennellata per successive velature e al disegno, indicando i particolari,
modellando le forme senza l'aiuto della linea e abbozzando i contorni con colpi di colore. Le figure si presentano come insiemi di
zone cromatiche piatte. Anche il paesaggio appare composto come da velari trasparenti, che si sovrappongono formando zone più
dense o più sfumate di penombra. Non c'è così una distinzione netta fra luce e ombra, ma solo macchie di colore più o meno
luminose che si influenzano cromaticamente a vicenda. Nel suo insieme, l'immagine appare strutturata come un grande collage di
soggetti diversi applicati su uno sfondo naturale e solo apparentemente legati dal riferimento a fonti iconografiche rinascimentali.
Manet suscita scalpore anche con Olympia, sorprendentemente accettata al Salon del
1865. Il nudo appare ancora più audace di quello della Colazione sull'erba, soprattutto per
I'esplicita ripresa della Venere di Urbino di Tiziano. Al posto della dea Manet pone una
prostituta che guarda negli occhi lo spettatore, come se fosse lui a offrirle il gran mazzo di
fiori portato dalla cameriera di colore; e al posto del cagnolino addormentato di Tiziano,
simbolo di fedeltà familiare, qui troviamo la chiara allusione erotica del gatto col pelo ritto.
Dipingendo Olympia, Manet stravolge le regole del nudo disteso: il quadro colpisce però i
pittori della nuova generazione.
La realistica attualità di questa figura femminile deriva dalla schietta rappresentazione del
fisico assolutamente comune di una donna con gambe un po' corte, seni piccoli, viso
quadrato, mento aguzzo. Le ciabatte, il nastro nero di velluto al collo, I'orchidea puntata nei capelli (lussuria) e il gatto nero rendono
questo nudo diverso da quelli idealizzati del passato o da quelli perfetti accademicamente del presente. La novità del quadro di
Manet sta nella struttura compositiva e pittorica, impostata su una visione ravvicinata e frontale che riduce I'illusione di rotondità delle
forme, esaltando piuttosto i passaggi audaci di luce e ombra, i toni crudi, piatti e senza modellato. I netti contrasti tra parti chiare (le
lenzuola, il cuscino, I'incarnato di Olympia, lo scialle, il vestito della cameriera, la carta del mazzo di fiori) e scure (il nero del gatto, il
marrone del volto della cameriera e della tappezzeria sulla parete di fondo, il verde della tenda), rivelano grande sensibilità e una
straordinaria finezza nei passaggi di tono su tono.
Esposto al Salon del 1882, Il bar delle Folies-Bergère può essere considerato un punto
d'arrivo di molte ricerche sui problemi visivi condotte da realisti e impressionisti. Il luogo
era tra i più famosi ritrovi parigini, alcune descrizioni hanno suggerito una possibile
lettura sociologica del quadro, facendolo associare all'idea della prostituzione, mentre lo
sguardo triste e assente della barista sarebbe un'espressione dell'alienazione moderna.
Ciò che però colpisce, al di là del significato, è l'originale traduzione pittorica da parte di
Manet della complessa realtà del suo tempo, attraverso un linguaggio capace di
coniugare la tradizione con un nuovo modo di vedere. Essa rivela una costruzione
pittorica complessa, dove realtà e illusione s'intrecciano indistricabilmente come i piani
vicini e i lontani, le zone a fuoco e quelle fuori fuoco, le parti in campo e fuori campo, le
spinte centrifughe e centripete. La donna bionda del bar sembra una Madonna
rinascimentale, frontalmente inscritta entro un perfetto triangolo acuto, con l'asse
centrale, segnato dall'abbottonatura del corsetto. In primo piano, accuratamente disposte su un bancone di marmo, che Manet si era
fatto portare in studio per meglio rappresentarlo, vi sono bottiglie di champagne, di birra, di liquore, una fruttiera di cristallo con
mandarini e due rose infilate in un bicchiere che si richiamano al bouquet appuntato sul petto della barista. La simmetria del primo
piano è contraddetta dalla confusione di bagliori luminosi riflessa nel grande specchio.
L'apice della ricerca di integrazione dello spettatore è raggiunto nelle Folies Bergère attraverso l'uso dello specchio, dalla cui cornice
dorata s'intravede parte del bordo inferiore, che obbliga l'osservatore a esplorare una realtà visiva complessa. La natura morta, il
piano di marmo del bancone e la barista sono dati reali, ma questa realtà è sdoppiata nell'immagine virtuale della stessa natura morta
e di parte del piano di marmo parzialmente riflessi sulla superficie specchiante. Osservando la folla assiepata sulla balconata del
locale si colgono ulteriori personaggi riflessi, tra cui due signore: una osserva con un binocolo qualcosa d'invisibile all'osservatore,
l'altra, vestita di bianco, conversa con un vicino. A sinistra in alto dondolano le gambe di una trapezista che esegue il suo numero
sopra la cornice del dipinto e sopra le teste degli spettatori. Un ruolo significativo tocca al gentiluomo con cappello e bastone da
passeggio che parla con la barista: la sua posizione invita chi guarda il dipinto a vedersi specchiato, identificandosi con l'interlocutore
della ragazza. Manet utilizza lo specchio diversamente dai contemporanei, concependolo come un supporto pittorico autonomo
inserito nella tela, di cui occupa gran parte della superficie. Questo gli permette anche una visione 360 gradi, che mette a confronto il
più aggiornato linguaggio dell'arte e il mondo della Parigi moderna, la realtà e la sua traduzione secondo una nuova sensibilità.
28
CLAUDE MONET (1840-1926)
Dopo una iniziale esperienza a Le Havre come caricaturista, Monet viene avviato alla pittura di paesaggio en
plein air da Eugène Boudin, incontrato nel 1858 in Bretagna. In quel periodo frequenta l'Académie Suisse e
l'ambiente artistico parigino; stringe legami di amicizia con Camille Pissarro, Frédéric Bazille, Alfred Sisley.
Nel 1865 espone per la prima volta al Salon, dove presenta due marine eseguite in Bretagna. Alla fine degli
anni sessanta, insieme a Renoir, mette a punto la nuova tecnica impressionista, frutto di un attento studio
dal vero degli effetti di rifrazione della luce e dei suoi riflessi sull'acqua. Fondamentale è l'influenza della
fotografia, soprattutto nel proposito di fissare con immediatezza il particolare attimo atmosferico. Dagli anni
ottanta Monet tende a dedicarsi a serie di dipinti sullo stesso soggetto. Concentrandosi su pochi motivi usa
lavorare contemporaneamente a più tele, che sostituisce con il mutare della luce nelle ore del giorno. Nel
1883 Monet si trasferisce a Giverny, dove lavora fino alla morte sul tema delle Ninfee del suo giardino.
Nel 1866-67 esegue “sul posto e dal vero”, nel giardino di una casa presa in affitto a Ville d'Avray,
Donne in giardino, con I'intenzione di esporre il dipinto al Salon, dove viene rifiutato: I'applicazione
della pittura en plein air a un quadro di grande formato appare alla giuria esaminatrice come un
tentativo di scardinare i tradizionali canoni normativi della rappresentazione.
Il risultato più audace del nuovo linguaggio pittorico è costituito da Impressione: levar del sole, tela
esposta alla prima mostra della Société Anonyme des Artistes Peintres, Sculpteurs, Graveurs, allestita
nel 1874 nello studio parigino del fotografo Nadar e diventata famosa come prima mostra impressionista.
La veduta, dipinta all’aria aperta nel corso di un'unica seduta, fissa il passaggio dalla notte al giorno nel
bacino del porto di Le Havre, offrendo allo spettatore la visione di un fenomeno naturale nei suoi aspetti
più impalpabili e fuggevoli. La tecnica abbreviata, la mancanza di rifiniture e l'assenza di volume tendono
a smaterializzare il mondo reale, che appare più evocato che descritto. Anche le scure silhouette delle
piccole barche disposte in diagonale sembrano ombre senza peso. Nel gioco di liquide trasparenze, di
sottili velature di blu e rosa, di luminosità evanescenti, spicca il disco rosso-arancio del sole che costituisce l'unico dato di solida
consistenza cromatica.
Agli occhi del pubblico contemporaneo l'Impressione di Monet sembra appena un bozzetto e solleva immediatamente lo sdegno dei
critici. Louis Leroy, cronista d'arte della rivista "Le Charivari", ironizza sul titolo del quadro, che trova particolarmente esilarante.
L'articolo di Leroy intitolato con intenzioni sarcastiche Mostra degli impressionisti contribuisce involontariamente alla rapida diffusione
del termine "Impressionismo”, peraltro accettato per sfida dall'intero gruppo di artisti che, fino al 1886, espone insieme a Monet.
Monet rimane fedele all’impostazione pittorica tendente a registrare con immediatezza la peculiarità dei dati
visivi, con le loro variazioni di luce e atmosfera. Per raggiungere tale obiettivo Monet comincia a svolgere cicli di
opere ritornando di continuo sullo stesso soggetto in diverse ore del giorno o in differenti stagioni dell'anno,
dunque in condizioni atmosferiche e di luce diverse. Monet riuscì a fissare i successivi mutamenti di luminosità,
ottenendo quella che chiamava “istantaneità”; cioè quel "velo" di luce colorata che costituisce I'elemento
unificante dell'intera scena percepita dall'occhio. Monet realizza, tra 1892 e 1894, la serie della facciata
tardogotica della Cattedrale di Rouen, costituita da oltre cinquanta tele. La cattedrale è raffigurata nelle più
diverse situazioni di luce solare determinate dalle condizioni atmosferiche, dall'ora del giorno e dalla stagione.
Alla variabile atmosferica si somma quella delle diverse angolazioni da cui è vista la facciata. Gli infiniti
cambiamenti di luce, registrati attraverso un'ampia gamma cromatica, fanno apparire la facciata dell'edificio
come una superficie a volte luminosa, a volte cupa, talvolta spettrale.
Monet ricorre a una tecnica rapida, fatta di pennellate dense, evitando di sfumare i colori e di mescolarvi il bianco e il nero per
schiarirli o scurirli. Le ombre non sono restituite attraverso toni neutri, ma giustapponendo e sovrapponendo spessi tocchi di colore
puro, che si influenzano reciprocamente producendo un grado di luminosità diverso, più abbassato, rispetto alle parti in pieno sole.
Lo spesso strato di colore che conferisce concretezza materica alla superficie della tela restituisce anche il gioco di riflessi e
vibrazioni luminose determinato dalla scabrosità della pietra scolpita dell'edificio.
Per inquadrare I'immagine il pittore sfrutta il rettangolo della finestra del locale da cui dipinge, situato al secondo piano di un edificio
antistante la cattedrale. Il punto di vista interno, piuttosto alto offre allo spettatore una visione parziale della cattedrale, ben più ampia
della sua raffigurazione, che è limitata dalla cornice.
29
EDGAR DEGAS (1834-1917)
Cresciuto nel culto di Ingres, Degas è il più vicino a Manet: ne condivide le perplessità nei confronti della
pittura en plein air, alla quale non è interessato. Pochissimi sono i paesaggi che dipinge, concentrando
invece la propria attenzione sulla figura. Le sue scene, apparentemente fissate come attraverso un obiettivo
fotografico, sono in realtà impostate su un disegno rigoroso e su un ordine compositivo derivati dalla
profonda conoscenza degli antichi maestri, che aveva studiato assiduamente.
Nei primi anni sessanta Degas comincia a interessarsi ai cavalli e ai campi di corse, attratto dal
movimento degli animali. Egli si basa sull’osservazione diretta e sullo studio di fotografie, in
particolare di Eadweard Muybridge. In certi casi, però, sui campi di corse osserva più gli spettatori
che i cavalli, come in Alle corse in provincia, esposto nel 1874 alla prima mostra impressionista.
Il paesaggio si chiude sulla bassa linea d'orizzonte, dove si apre la metà superiore del quadro,
totalmente occupata dall'ampia distesa del cielo. La conduzione pittorica è caratterizzata da una
gamma cromatica limitata a pochi toni cinerei. Rispetto alle pennellate frammentate e agli effetti
violenti di luce della pittura di altri impressionisti, il quadro di Degas appare più tradizionale.
L'immagine può anche essere letta come spaccato di vita e di gusto del tempo. Soggetti equestri e gare ippiche erano largamente
diffusi ed erano stati affrontati anche da Géricault. Oltre a riecheggiare tale iconografia, in quest'opera Degas insiste su altri caratteri
di costume tipicamente inglesi (cilindro, bulldog) che in quegli anni erano entrati nel gusto e nella moda dell'alta società parigina.
Dagli inizi degli anni settanta I'interesse di Degas si volge al mondo del teatro e iI tema delle ballerine
costituisce un ulteriore capitolo del suo studio sistematico del movimento e della gestualità. Assiduo
frequentatore di camerini e scuole di danza, egli è attratto dalle pose faticose e forzate dei corpi, dai
loro equilibri instabili, dalla varietà di gesti e movenze delle ballerine. Per accrescere la complicazione
e la spettacolarità delle prospettive di interni chiusi ricorre a inquadrature decentrate dilatando lo
spazio scenico con I'uso di specchi, porte e finestre.
Questa Classe di danza è di speciale interesse sia per il numero di figure dipinte in atteggiamenti
diversi e sia per il taglio prospettico, con lo sfondamento della parete di sinistra operato dallo
specchio, che riflette una parte della finestra da cui si intravede un frammento di città. L’azione si
svolge, probabilmente, nella scuola di ballo di rue Le Pelletier, con il maestro di danza Jules Perrot
che istruisce le allieve. Degas ricostruisce la scena collocandosi a destra e scorciandola leggermente
dal basso: in questo modo imprime maggiore profondità spaziale alla stanza, rendendo più dinamica
la struttura d'insieme della scatola prospettica. L'artista crea una trama figurativa complessa,
distribuendo le numerose figure in tre gruppi ben organizzati, legati fra loro da una successione di effetti solo in apparenza casuali. Il
dinamico gruppo centrale, con le ballerine che provano un passo di danza, funge da trait d'union fra gli altri due gruppi, più statici:
quello in primo piano, intorno al pianoforte, e quello arretrato, con ballerine in riposo e spettatrici che osservano gli esercizi. Articolato
e sapientemente calcolato si rivela anche il telaio compositivo, dinamizzato da una rete di linee diagonali che si sviluppano sia in
profondità, sia verso i lati. Si avverte poi un sapiente gioco di campo e fuoricampo, che mette in comunicazione l'interno della stanza
con I’esterno e le figure e gli oggetti disposti sui lati, tagliati dalla cornice, della tela, con lo spazio dello spettatore.
Intorno al 1880, il repertorio di Degas si arricchisce di nuovi soggetti (lavandaie, stiratrici, modiste e
donne al bagno) che gli servono come occasioni per fermare I'istantaneità di un'azione o di un gesto. I
colori diventano più vivaci: blu sordi, rosa e sontuosi arancioni. Esemplare di questa fase matura è Le
stiratrici: due figure colte, con un filo d'ironia, in atteggiamenti diversi e contrapposti, una nell'atto di
stirarsi sbadigliando, I'altra intenta a stirare davvero, facendo forza sul ferro. Ma I'immediatezza della
situazione è un puro effetto di superficie: Degas rappresenta un episodio banale di vita quotidiana
impostando la scena in maniera quasi classica. La spontaneità è completamente calcolata e la veduta
scorciata dall'alto e tagliata diagonalmente, con le donne colte come per caso, è rigidamente
determinata. Le figure sono inquadrate in un saldo ed essenziale scheletro di assi verticali
perpendicolari alla diagonale del tavolo, mentre i movimenti delle donne apparentemente scoordinati e
casuali sono anatomicamente bilanciati da sforzi contrari, verso I'alto e verso il basso, di muscoli tesi contrapposti a muscoli rilassati.
Le condizioni di lavoro delle stiratrici del tempo erano difficili: miseri salari e lunghe ore di lavoro in ambienti freddi e umidi, con
I'occasionale conforto di un po' di alcol (non a caso, una stringe in mano una bottiglia). Degas dipinge le lavoratrici con occhio da
documentarista, ma impone alla scena un raffinato gusto estetico, componendo un insieme di colori vibranti, così che il dipinto si
lascia ammirare anche solo per gli equilibri cromatici e compositivi.
30
Negli anni settanta, al culmine della fase impressionista, abbandona la compattezza plastica
delle forme, collocando i suoi modelli sotto gli alberi, dove il sole, filtrando tra le foglie, li
punteggiava di macchie luminose. Tale espediente è restituito nel Ballo al Moulin de la
Galette, l'opera più grande e ambiziosa realizzata da Renoir negli anni settanta ed esposta
nel 1877 alla terza mostra degli impressionisti. La scena è ambientata in un popolare locale
da ballo all'aperto situato in cima alla collina di Montmartre, molto frequentato da giovani
artisti. Per sei mesi Renoir frequenta il locale, studiando la varietà di comportamenti dei
personaggi e le luci e i colori del luogo. Mescolati alla folla si riconoscono numerosi amici e
conoscenti dell'artista. La composizione, priva di centro e impostata liberamente dal punto
di vista prospettico, è percorsa da linee curve, a spirale, mentre i bordi tagliati di netto fanno
pensare al prolungarsi della scena oltre i limiti della tela. Renoir dissolve I'immagine in una
pittura chiazzata, ricca di corrispondenze cromatiche, che crea un insieme offuscato. I bizzarri effetti e riflessi creati dai colpi di luce
che investono le figure trasformano i personaggi in mezzi per rappresentare singolari e istantanei effetti di luce e ombra. Da tali effetti
luminosi traspare un intenso senso di giovinezza e di gioia di vivere.
Na Intorno al 1880 la pittura di Renoir comincia ad attraversare una fase critica, determinata
dall’interesse per composizioni maggiormente strutturate e risolte dal punto di vista formale,
tendenti a superare quello stadio di apparente abbozzo. Decisivo a tale proposito è, nel 1881, il
viaggio in Italia, dove attraverso lo studio diretto delle pitture murali di Pompei e degli affreschi di
Raffaello. Questa nuova considerazione della tradizione antica e rinascimentale contribuisce a
definire una netta cesura nel suo stile, che si allontana dalla maniera più tipicamente
impressionista per attribuire valore alla linea, con una progressiva tendenza alla semplificazione
delle forme. Le grandi bagnanti, frutto di quattro anni di lavoro, costituisce I'opera più rilevante e
significativa del netto cambiamento di registro formale operato da Renoir a partire dal 1881-84. Il
dipinto, preceduto da una serie di disegni, a dimostrazione del lungo processo di studio sulla sua struttura, è caratterizzato da un
doppio trattamento stilistico, che distingue i corpi femminili dal paesaggio in cui sono inseriti. Mentre i primi appaiono modellati entro
contorni ben definiti e attraverso colori asciutti e freddi stesi uniformemente, il secondo rivela una conduzione cromatica più ricca e
calda, che tende a dare maggiore consistenza alla tessitura di pennellate frante, tipica del linguaggio impressionista. Lo scarto tra
corpi e paesaggio è accentuato dai contraddittori effetti spaziali, caratterizzati da una certa incongruenza di rapporti tra le grandi
figure in primo piano e la cornice naturale, quasi miniaturizzata, che le contiene.
Nel suo quadro Renoir sembra far convivere tali diversi modelli - il seicentesco e tradizionale e quello moderno - aspirando a
conciliare lo studio della luce, materia inafferrabile, con una struttura compositiva più solida, componendo dunque l'attimo con
I'eterno, la storia con la contemporaneità.
Tetti al sole è tra le opere più significative della produzione macchiaiola del fiorentino Raffaello
Sernesi. Si tratta di una piccola veduta, per certi aspetti legata alle prime esperienze puriste del
pittore. La capacità di sintesi di Sernesi è grande, perché, nello spazio ridotto, riesce a rendere
solenne e monumentale un semplice gruppo di case. Ciò è ottenuto attraverso un calibrato
controllo formale, che tende a eliminare dalla visione ogni richiamo narrativo per concentrarsi sul
rigore della struttura, sulle masse plastiche degli edifici inondati di luce. Questa voluta semplicità
e stilizzazione è animata da colori chiari e limpidi, che impregnano di luce le superfici dei muri e
la distesa del cielo.
Particolarmente sensibile al problema dei valori cromatici e tonali è il forlivese Silvestro Lega, autore di
soggetti legati alla sfera degli affetti familiari e alla vita domestica. Tale inclinazione è evidente in Il
pergolato, eseguito negli anni in cui Lega risiede nei pressi di Firenze. Vi sono raffigurate le ragazze
della famiglia Batelli, presso la quale l'artista è ospite stabile, sedute sotto il pergolato del giardino in
attesa del caffè che una domestica sta servendo loro. L’uso sapiente delle luci e delle ombre, oltre allo
studio della natura, suggerisce analogie con le soluzioni pittoriche degli impressionisti, che però Lega
non conosce direttamente.
31
Un momento chiave della produzione macchiaiola del fiorentino Telemaco Signorini è rappresentato
da Novembre, opera che coincide con un ammorbidimento dei principi della tecnica a macchia. Il
dipinto, premiato come miglior paesaggio alla mostra della Società promotrice di Firenze del 1870, è
impostato sulla visione di un grande spazio aperto, scandito in tre piani - la strada fangosa segnala
dalle tracce dei carri, le colline e il cielo rannuvolato - costruiti come una successione di bande
cromatiche diverse.
L’attenzione alla realtà urbana, vista come un luogo di vita frenetica da contrapporre alla quiete della
campagna, caratterizza una parte della ricerca di Signorini, che dipinge vedute di città italiane e delle
principali capitali europee. La veduta di Leith, cittadina scozzese ora quartiere di Edimburgo, è
imperniata sulle due diagonali che, incontrandosi, definiscono l'angolo di una casa, con due strade che
vanno in direzione opposta, suggerendo I'impressione di un'istantanea grandangolare. Numerosi passanti
animano la via ma vera attrazione della scena è il grande cantellone pubblicitario, nel quale il principio di
fedeltà al "vero" raggiunge una precisione quasi fotografica: il manifesto, che deve colpire I'occhio del
passante, è infatti riprodotto utilizzando colori forti e netti.
Punto di arrivo della prima fase è Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, opera con la quale
nel 1861 vince il concorso Ricasoli, bandito dal Governo provvisorio della Toscana. L’artista presenta
alla commissione esaminatrice due bozzetti, uno raffigurante I'assalto dei granatieri della guardia di
Napoleone III contro le postazioni austriache al ponte di Magenta, I'altro con un episodio delle retrovie.
Fra i due bozzetti viene scelto il secondo, la cui versione definitiva è esposta nel 1862 a Firenze
all'Esposizione straordinaria di alcune opere commissionate dal governo Ricasoli. Fattori decide di
raffigurare eventi contemporanei, ancora vivi nella memoria collettiva della giovane nazione, tanto che
il quadro venne considerato il primo dipinto italiano di storia moderna. Il campo italiano dopo la
battaglia di Magenta non raffigura un momento saliente dello scontro tra le truppe italiane e francesi e
quelle austriache, ma il clima confuso delle retrovie da cui risalta una realtà più umana che eroica.
Rispetto al bozzetto la scena definitiva mostra una complessità costruttiva maggiore, soprattutto nella
scansione dei piani. Il centro è dominato dal carro-ambulanza che trasporta i feriti sotto lo sguardo dei
soldati italiani, che rientrano al campo, e degli alleati francesi. La composizione, divisa in due larghe
fasce orizzontali, è tagliata dalla diagonale del sentiero lungo il quale procede il carro. L’uniformità
della zona superiore, determinata dall'azzurro del cielo, velato da nuvole bianche, contrasta con la
molteplicità di toni di quella inferiore, caratterizzata da più ricchi passaggi di luce e dalla varietà
cromatica delle uniformi dei militari, dei cavalli e del terreno.
Nel corso degli anni sessanta Fattori definisce i caratteri più innovativi della sua
maniera di guardare e rappresentare la realtà, dedicandosi al ritratto e a soggetti
agresti. A quel periodo risalgono le prove più significative della sua produzione
macchiaiola vera e propria, costituita da tavolette con rapide impressioni dal vero.
Una delle più note è La rotonda dei bagni Palmieri, un sito balneare che
primeggiava sul litorale di Livorno. Nelle dimensioni ridotte Fattori fissa un rituale di
moda presso la borghesia del tempo: un gruppo di donne in ozio, al riparo dal sole sotto la tenda della rotonda, guarda verso il mare.
Si tratta di un'impressione dal vero, facile e diretta, resa attraverso una forma concisa e precisa e severa. Il colore nitido e fermo è
steso a bande e tasselli. Applicando i principi della macchia in modo rigoroso, Fattori struttura l'immagine per piani e bande di colore
paralleli: il basso e I'alto sono delimitati dall'ampia ombra della rotonda, segnata dalla luce che ne lambisce il bordo, e dalla fascia
ocra della tenda, mentre il centro è costituito dalla striscia di mare turchino, dalla lingua di terra bruna e dalla distesa di cielo
imbiancato. In questo spazio aperto sono disposte le sagome delle donne, raffigurate con tasselli di colore ben modulato; tutti i
dettagli sono eliminati in favore di una sorta di mosaico astratto di macchie dipinte, che determinano un vivace ritmo visivo. La
semplicità e l'immediatezza della visione si rivelano in realtà come il risultato di una preparazione. Molti particolari sono stati più volte
modificati: un’elaborazione ben lontana dalla rapida restituzione di un'impressione dal vero.
32
Il risultato di maggior rilievo lo raggiunge con La lettrice, tra le composizioni più rappresentative del
Verismo italiano. Esposta solo dopo la morte del pittore, raffigura, con puntuale adesione alla verità
ottica, una giovane seduta in poltrona, concentrata nella lettura: di fronte a lei, alcuni libri, una
candela, una bottiglia, un calamaio e un bicchiere con un fiore danno luogo a una natura morta
disposta sul tavolo. I particolari della sigaretta e del fiore nel bicchiere fanno pensare che Faruffini si
sia ispirato a personaggi femminili descritti dallo scrittore scapigliato Igino Ugo Tarchetti.
La neutra definizione dello spazio e l'originalità del taglio compositivo conferiscono alla scena un
carattere privato, con un immagine della donna colta, raffigurata a “sua insaputa”. La messa a fuoco
di questo frammento di realtà quasi segreta è ottenuta attraverso una sorta di flash fatto scattare con abilità pittorica nel gioco di luci
e ombre della camicetta della fanciulla e del bordo di velluto della poltrona.
L’impeto pittorico degli scapigliati tende a moderarsi nelle opere di Eugenio Gignous, il quale,
formatosi all'Accademia di Brera, è attratto dalla pittura en plein air. La sua attenzione a restituire in
modo concreto i dati reali, senza eccessive dissolvenze cromatiche e sfaldamenti dei volumi,
caratterizza I'immagine dell'amico Tranquillo Cremona in atto di dipingere all'aperto il ritratto di
Benedetto Junk. Il quadro con Cremona raffigurato mentre lavora appare come un documento
iconograficamente curioso, per I'assenza del modello e per l'estemporaneità dello scenario di lavoro
artistico. L’ambientazione è impersonale e dimessa: il pittore siede su una cassetta di legno, la tela è
appoggiata a un sedia, gli strumenti di lavoro sono gettati a terra. Questo spazio anonimo e spoglio è
animato dall'azione di Cremona il quale sembra graffiare il ritratto, già concluso e incorniciato.
Nel 1863, con il successo del Falconiere, Tranquillo Cremona inaugura il movimento scapigliato, avviandosi
verso una pittura carica di contrasti e di sottili passaggi di luce ed effetti atmosferici. Esemplare in questo
senso è L'Edera, una delle ultime opere del pittore. Elaborata nell'ambito della cerchia intellettuale che
frequenta la casa del committente, Benedetto Junk, è uno dei dipinti più noti dell’artista. Omaggio al topos
tardo-romantico della fine dell'amore, o della disperazione per sentimenti amorosi non corrisposti, I'opera è
caratterizzata dal contrasto tra I'abbraccio implorante della figura del giovane amante e la resistenza
passiva della donna. Ad accrescere il conflitto di stati d'animo contribuisce I'edera: la pianta sempre verde,
simbolo di resistenza, durata e immortalità, fa da contrappunto all'indifferenza della figura femminile e
all'idea della caducità di sentimenti e passioni.
Formatosi artisticamente nell'ambiente intellettuale della Scapigliatura, Luigi Conconi rimane sino alla fine del
secolo influenzato dai modi di Cremona, di cui frequenta lo studio. Tale influenza appare evidente in Ragazzi in
giardino per I'intimismo del soggetto e la vibrante trattazione della materia pittorica, scossa dall'impeto di
sottili accostamenti tonali sostenuti da una pennellata franta. Lo sfondo e le figure smarriscono I'autonoma
connotazione fisica per sciogliersi in macchie di colore.
33
LA SCULTURA ITALIANA DURANTE L’UNITÀ: ADRIANO CECIONI (1836-1886),
ACHILLE D’ORSI (1845-1929), VINCENZO GEMITO (1852-1929), VINCENZO VELA (1820-1891)
Dopo il 1861 molti giovani scultori italiani orientano la propria ricerca in direzione verista e realista. Il culto
del vero genera un linguaggio formale inedito, che pone superfici più scabre e sfaccettate che sotto l'effetto
della luce diventano cangianti e mobili. Al carattere idealizzato di tradizione classicista, si oppone un
linguaggio considerato più aderente al vero, con le mutevolezze e accidentalità. Nel campo della scultura, i
tradizionali modi del formare e del comporre continuano a sussistere e a condizionare le idee degli scultori
più aperti al nuovo, implicando sopravvivenze d'impronta classicista anche nella produzione realista.
Il lavoro di Adriano Cecioni è strettamente connesso a una concezione teorica. Il suo principio di sorpresa
della natura, ispiratogli, pare, dalle posizioni naturali dei calchi dei cadaveri degli antichi abitanti di Pompei, è
perseguito sul piano plastico nel Bambino col gallo. Si tratta di un soggetto di genere raffigurante un fanciullo
che maldestramente stringe a sé un gallo il quale, per svincolarsi dalla presa, gli sbatte le ali in faccia. Ciò
provoca una reazione di spavento, simile e contrapposta: il bambino chiude gli occhi, piange e piega la testa
all'indietro, mentre il gallo si inarca dalla parte opposta aprendo completamente le ali. Il corpo del fanciullo è
modellato in forme lisce e arrotondate, mentre la figura del gallo è trattata con una materia rugosa e striata
che ne riproduce le screziature del piumaggio. L'opera venne tradotta in marmo dallo stesso artista e
presentata con successo al Salon di Parigi del 1870, dove fu acquistata da un collezionista americano, mentre
un mercante parigino ottenne il diritto della fusione in bronzo.
Lo scultore Achille D'Orsi si forma nell'ambiente artistico napoletano, avvicinandosi alla cerchia
dei veristi negli anni settanta. Nel 1877 presenta all'Esposizione promotrice di Napoli I parassiti,
una scultura di tema romano che si inquadra nel gusto per le ricostruzioni storiche a carattere
moraleggiante. Il gruppo mostra due antichi romani sbracati e inebetiti dal troppo cibo e dal vino:
la testa dell'uno è abbandonata sul petto mentre I'altro rivolge al compagno parole sconnesse.
Nonostante il richiamo all'antichità, il soggetto fa riferimento alla realtà contemporanea: i due
personaggi dichiarano un'assoluta volgarità e la frequentazione di una bettola del tempo
dell'artista più che di un'elegante casa romana antica.
Il napoletano Vincenzo Gemito si guadagna una solida fama come autore sopratutto di teste di fanciulli, particolarmente
gradite dal pubblico per la loro realistica espressività, pur dagli accenti talvolta patetici. Il Pescatore, esposto al Salon
parigino del 1877, suscita un misto di scandalo e ammirazione per il suo naturalismo senza compromessi. La figura
nuda del giovane pescatore offre il ritratto di uno scugnizzo napoletano, accovacciato su uno scoglio: i piedi
trattengono il berretto in cui sono raccolte le esche, mentre le mani cercano di liberare dall'amo il pesce appena
pescato. Tale postura, che impone alla schiena una leggera flessione all'indietro, bilanciata dall'inclinazione del mento
sul petto, è fissata con estrema naturalezza. L'opera tende a conciliare la tradizione del nudo classico, e quella verista,
esaltata nella superficie scabra della trama della rete da pesca arrotolata intorno alla pancia del giovane.
Il ticinese Vincenzo Vela, formatosi all'Accademia di Brera a Milano, si afferma con un monumento
pubblico dedicato all'esercito sardo, realizzato nel 1857 a Torino. All'apice della carniera artistica,
esegue Le vittime del lavoro, un grande altorilievo concepito per onorare gli operai morti durante
gli scavi del traforo del Gottardo. L’opera esclude ogni principio di bellezza ideale, evitando anche
scadimenti retorici. Vì è rappresentato a grandezza naturale un gruppo di operai che, su una
barella, porta fuori dal tunnel un compagno caduto sul lavoro: il passo dei minatori, stanchi e con
le teste incassate nelle spalle ingobbite, ha I'andamento lento di una mancia funebre. Avanzando,
il gruppo s'incrocia con un altro operaio che alza la sua lanterna per riconoscere la vittima. Dai
volti non traspare nessun sentimento di ribellione, ma neppure di rassegnazione, mentre le pieghe
degli abiti sono trattate in modo da riflettere la luce a larghe chiazze.
Il quadro più notevole della fase giovanile di De Nittis è La traversata degli Appennini.
La scena è semplice ed essenziale: una diligenza procede lungo una strada fangosa
sotto un cielo cupo, squarciato al l'orizzonte da una luce che lascia intravedere il sereno.
Pochi altri elementi – un muretto fradicio, un gruppo di case, un albero spoglio – dipinti
con finezza di particolari ed eleganza, sono sufficienti dar conto della realtà in maniera
diretta e coinvolgente. Il taglio aperto dell'immagine è accentuato dall'imbuto prospettico
della strada, segnata dalle scie delle ruote dei carri. Soggetti del genere sono cari
all'artista pugliese perché riflettono la realtà dei suoi vagabondaggi nella campagna
meridionale e il suo desiderio di vivere e dipingere a contatto diretto con la natura.
34
Dal 1861 De Nittis si trasferisce a Parigi dove, nel 1874, partecipa alla prima mostra degli
impressionisti. Durante i periodici ritorni in Italia ama incontrarsi con gli amici pittori, poeti,
musicisti. La maniera pittorica de La Colazione a Posillipo, basata sull'estrema scioltezza della
pennellata, mostra un assorbimento delle suggestioni impressioniste. Questo dipinto raffigura
un'allegra serata all’osteria: alle spalle degli amici di De Nittis, di sua moglie e della moglie del
pittore Edoardo Dalbono, oltre a un'orchestrina si intravede il golfo di Posillipo al tramonto, con la
luce rossastra del sole che si riflette nel cielo, nello specchio di mare e sulla tovaglia. La serena
convivialità della scena è resa con una stesura pittorica sciolta, con pennellate veloci e velature di
colore diluito; la realtà della situazione viene colta con immediatezza. Un senso di estemporaneità e improvvisazione è rafforzato dalla
zona in primo piano, dove i piatti sono delineati con un'unica pennellata, mentre I'uomo a destra è appena abbozzato. Questa
impressione di “non finito" è una soluzione calcolata, intenzionale: De Nittis ama far muovere i suoi modelli durante le pose così da
coglierne con maggiore naturalezza i gesti più tipici, quasi a competere con l'effetto di immediatezza di una fotografia mossa. La
sensazione di presa in diretta dell'azione e l'attenzione agli effetti atmosferici risentono dei rapporti di De Nittis con gli impressionisti.
ITALIANI A PARIGI:
FEDERICO ZANDOMENEGHI (1841-1917) E GIOVANNI BOLDINI (1842-1931)
Intorno agli anni settanta dell'Ottocento Parigi diventa un polo d’attrazione per molti artisti europei. Anche
alcuni giovani pittori italiani vi si stabiliscono definitivamente, o si trattengono a lungo, dopo esservi giunti
per visitare I'Esposizione universale del 1867.
Giunto a Parigi nel 1874, Federico Zandomeneghi entra subito in contatto con gli impressionisti,
esponendo con loro alla sesta mostra del 1881, dove presenta Place d'Anvers a Parigi. La scena
raffigura il giardino della piccola piazza, situata sulla collina di Montmartre, molto frequentato da
balie che accompagnavano i bambini a giocare. Il pittore proietta la scena nello spazio dilatato
della piazza, chiusa sul fondo da un edificio taglialo dalla cornice del quadro. Il carattere
impressionista del dipinto si coglie nell'alternarsi di luci e ombre raffinatamente modulato, che si
fonde con la vena narrativa delle diverse scene della composizione, dove alcuni audaci scorci delle
figure sottolineano e fissano atteggiamenti tipici, gesti fuggevoli. La ricerca di una composizione
aperta e spaziosa tende a spingere le figure ai limiti della tela, troncandone alcune.
Formatosi presso il padre Antonio, Giovanni Boldini svolge la sua prima attività a Firenze.
Trasferitosi a Parigi nel 1871, non fatica a trovane acquirenti per i suoi lavori, che riscuotono
il favore di mercanti e pubblico per le loro qualità esecutive. Le sue vedute della capitale
francese piacciono mollissimo, soprattutto per I'effetto d’immediatezza di visione e per la
tecnica raffinata. Omnibus in Place Pigalle a Parigi raffigura una scena di ordinaria
quotidianità, che l'artista aveva modo di osservane dalle finestre dello studio, affacciato
proprio su quella piazza. Ciò che rende significativa l'immagine è il senso di visione in presa
diretta, come se il pittore avesse dipinto la scena sul posto, sistemato col cavalletto dietro i
cavalli. In realtà Boldini non ama affatto lavorare en plein air, ma la sua abilità sta proprio nel
saper rendere con sorprendente freschezza quanto ha osservato.
La grande scultura del XIX secolo è un fatto pubblico: la scultura monumentale ottocentesca ha un ruolo di
grande importanza sia nella ridefinizione della città, sia nella rappresentazione simbolica delle idee e dei
valori di un’epoca. Se il suo complessivo interesse artistico-estetico può apparire limitato, costituisce nel
suo insieme un fenomeno della rilevanza da un punto di vista storico, sociologico e di storia delle idee.
In Italia dopo il 1861 sono banditi numerosi concorsi pubblici per I'esecuzione di monumenti che celebrino
episodi esemplari delle recenti lotte risorgimentali e i loro protagonisti. Il fatto che i monumenti si diffondano
nelle piazze di molte città risistemate secondo nuovi criteri urbanistici costituisce una svolta significativa: la
grande scultura pubblica cessa di essere manifestazione del potere aristocratico e religioso diventando un
segno della nuova nazione che è andata costituendosi. Esempi della cultura monumentale in Italia sono: il
Monumento ai fratelli Cairoli di Ercole Rosa (Roma), il Monumento a Vittorio Emanuele II di Ercole Rosa
(Milano) o il Monumento alle Cinque giornate di Giuseppe Grandi (Milano)
35
— Post-impressionismi e Avanguardie storiche —
Dagli anni ottanta del XIX secolo alla prima guerra mondiale
• Uno dei primi problemi affrontati dall'urbanistica è il rapporto fra tracciato viario e città. Il primo a
occuparsene è Soria y Mata a Madrid (1882), che propone un ampio e autonomo quartiere residenziale a
carattere estensivo e lineare.
• Un secondo tema emergente è quello della città giardino, soluzione elaborata da Ebenezer Howard in
Inghilterra, per la conciliazione di natura e spazio urbano. Più città giardino possono raggrupparsi attorno
a una più grande metropoli che non deve però superare i 32 000 abitanti, su un territorio di 2 400 ettari,
pena la rottura di un delicato equilibrio.
• La terza idea portante dell'urbanistica del periodo è quella della qualità estetica della città, propugnata
dal viennese Camillo Sitte. Lo studio di molte città medievali e rinascimentali, soprattutto italiane, con
particolare attenzione al rapporto tra vuoti urbani ed edifici, nelle strade e nelle piazze, vi è svolto col fine
di trarne norme da applicare in una nuova progettazione urbana.
• Volto a una radicale ipotesi di modernizzazione è lo studio di città industriale di Garnier, ispirato al
socialismo riformista. Il modello trova parziale attenzione a Lione. La sua città può accogliere 35 000
abitanti e si sviluppa su un territorio pianeggiante. Il tessuto residenziale, disseminato di giardini, presenta
un'ampia varietà di soluzioni tipologiche abitative. Le architetture esprimono forme semplici.
• In America è minore l'esigenza di elaborazione urbanistica, anche se non mancano progetti interessanti,
come a Chicago con una sequenza di grandi parchi urani tra loro collegati.
Piccoli circoli informali e numerose scuole private d'arte cominciano a sostituire l'Accademia. L'ambiente
parigino si dimostra all'avanguardia. La celebre Académie Suisse, aperta intorno alla metà del secolo da
un ex modello, non propone alcun tipo di corsi: offre unicamente ai giovani la possibilità di copiare modelli
viventi a un prezzo abbordabile. Un'altra accademia privata, aperta alla fine degli anni sessanta dal pittore
Rodolphe Julian, costituisce un punto d'attazione per molti artisti stranieri presenti a Parigi. Luoghi
d'incontro che daranno origine a raggruppamenti d'avanguardia sono anche l'Accademia Colarossi,
frequentata da Paul Gauguin e l' atelier-scuola di Eugène Carrière, dove intorno al 1896 fanno amicizia i
futuri pittori fauve Henri Matisse e André Derain.
36
Al principio degli anni ottanta, in Francia, la promozione dell'arte attraverso periodiche esposizioni di
impronta accademica comincia a essere affiancato da mostre che propongono forme artistiche alternative.
Nel 1884 si apre un nuovo Salon, organizzato da una Società degli artisti indipendenti e diventato famoso
come Salon des Indépendants, che accoglie opere di artisti di ogni indirizzo e scuola senza limiti
d'ammissione, senza giurie né premi. Alla definizione di un sistema espositivo concorre anche il Salon
d'Automne è palcoscenico privilegiato degli artisti e dei gruppi d'avanguardia.
Tra il 1881 (morte di Manet) e il 1886 (ultima mostra impressionista), la pittura dei protagonisti del gruppo
aveva subito una trasformazione talmente profonda da prospettare una crisi dell'Impressionismo.
• Il puntinismo. L’autonomia della visione e la totale libertà della resa pittorica praticate dagli impressionisti
si vengono radicalizzando e modificando. I principali esponenti del Neoimpressionismo sono Georges
Seurat, Paul Signac e Camille Pissarro, che propongono una pittura realizzata con tacche, virgole o piccoli
punti di colori puri, non mescolati sulla tavolozza ma accostati sulla tela (pointillisme). Si parte dalla teoria
del contrasto simultaneo del fisico francese Michel-Eugène Chevreul, che chiarisce le possibilità
d'influenza reciproca dei differenti colori: i complementari si esaltano a vicenda, mentre i toni chiari e
quelli scuri evidenziano il proprio contrasto se direttamente contfapposti.
• Gauguin e Van Gogh. Gli altri grandi indipendenti di questa stagione, che completano il quadro dei
maestri postimpressionisti, sono Paul Gauguin e Vincent van Gogh, accomunati dall'approssimazione
della formazione artistica, che ne costituisce la loro forza innovativa. Gauguin si dà definitivamente alla
pittura nel 1883, dopo essere stato impiegato di banca, e riesce in breve tempo a formulare uno stile
originale attingendo ai più diversi modelli della pittura del XIX secolo mescolati a suggestioni delle stampe
giapponesi e dell'arte popolare. La sua maniera, carica di un simbolismo primordiale, si basa su forme
semplificate (sintetismo), colori arbitrariamente scelti e campi cromatici piatti e nettamente delimitati.
Gauguin è oggetto di venerazione anche da parte di Van Gogh che aveva cominciato a studiare pittura a
Bruxelles. Egli a Parigi scopre una nuova luminosità del colore che applica con estrema libertà in una
pittura poi influenzata da Gauguin, con il quale divide una casa ad Arles per un tempestoso periodo.
- Secessione di Monaco (1892). Nella Germania meridionale si sviluppa un importante filone nel quale
una maniera d'ispirazione classicista sostiene tematiche caratterizzate da riprese e riletture del mito
antico. Ne sono principali ispiratori Anselm Feuerbach e lo svizzero Arnold Böcklin. Quest'ultimo
influenza fortemente le due più notevoli figure del Simbolismo tedesco, Max Klinger e Franz von Stuck,
che nel 1892 è il capofila della Secessione di Monaco.
- Secessione di Berlino (1898). Questa propone una pittura che incrocia un certo gusto simbolista con
il rinnovamento della tradizione realista e naturalista della capitale prussiana alla luce di influenze
francesi e nordiche. Alle sue origini c'è il Gruppo dei XII, costituitosi sotto l'effetto di una mostra
berlinese di Edvard Munch, che fa scandalo. Max Liebermann e Lovis Corinth possono considerarsi le
figure di maggior rilievo di questa corrente.
- Secessione viennese (1897). È nata sotto la guida di Gustav Klimt, che promuove, anche attraverso
la rivista "Ver sacrum", l'integrazione di pittura, arti decorative e architettura.
37
Le nuove tendenze sono sostenute dal mercato privato. L’attività pionieristica del gallerista parigino Paul
Durand-Ruel aveva accompagnato la storia dell'Impressionismo. Josse e Gaston Bernheim-Jeune sono i
primi a trattare le opere di Cézanne, dei neoimpressionisti e più tardi dei fauve e dei futuristi italiani. Ma
svolgono un ruolo notevole per l'iniziale fortuna di opere di artisti indipendenti anche Julien Tanguy e Theo
van Gogh. Per il sostegno e la diffusione di tendenze innovative si possono ricordare, in l’Italia, la galleria
fiorentina di Luigi Pisani, vicina ai macchiaioli, e l'attività di promozione del Divisionismo da parte della
galleria milanese di Alberto e Vittore Grubicy.
• Dal Belgio prende avvio un linguaggio che non utilizza forme che derivano la propria "autorità" dal fatto di
essere state ampiamente utilizzate in passato. Viene chiamato Art noveau dal nome di un negozio aperto
a Parigi nel 1895, che propone moderni oggetti d'arredo. Un carattere tipico è costituito dalla ripresa di
elementi naturali -vegetali- non più imitati ma reinterpretati come motivi ornamentali.
• In Germania questa tendenza si chiama Jugendstil (stile giovane, della giovinezza) dalla rivista "Jugend",
fondata a Monaco nel 1896.
• In Spagna, più precisamente in Catalogna, I'Art nouveau viene chiamata Modernismo, e rinnega ogni
tradizione accademica nelle fantasiose costruzioni dell'architetto Antoni Gaudi, anche inventore di una
suggestiva trasfigurazione costruttiva e di immagine della cattedrale gotica.
• In Italia la nuova tendenza è chiamata Liberty (dal nome del proprietario dei grandi magazzini aperti a
Londra nel 1895) o stile floreale, applicato a un'architettura diffusa che gradatamente investe anche
l’edilizia popolare.
Si riconosce oggi che l'Art nouveau ha svolto un'importante funzione di snodo tra l'Eclettismo ottocentesco
e il Movimento moderno, tendenza prevalente dalla fine della grande guerra in avanti e caratterizzata da
razionalità costruttiva e semplicità formale. II nuovo stile è estremamente duttile. Essa ben presto investe
una quantità di ambiti e settori: dall'abbigliamento all'arredamento, dalla grafica alla pubblicità. Vengono in
tal modo poste le premesse fondamentali per l'emergere dell'industrial design, ovvero della progettazione
qualitativamente alta di oggetti di impiego quotidiano e di utensili da lavoro, pensati per essere prodotti
industrialmente e destinati a un uso o consumo di massa.
La necessità di una più decisa apertura nei confronti del contesto artistico europeo è ribadita dal progetto di
una nuova grande mostra a cadenza biennale: l'Esposizione internazionale d'arte di Venezia. Il desiderio
di rilanciare propagandisticamente una linea di tradizione italiana trova un centro ideale nella città lagunare.
L ambientazione mondana e il gusto scenografico e d'arredo degli spazi espositivi si dimostrano in linea
con il gusto internazionale e la manifestazione è premiata ai suoi esordi da un grande afflusso di pubblico.
• Espressionismo. La tendenza a liberare il colore puro e il disegno dalle convenzioni compositive inizia ad
affermarsi come tratto distintivo di una nuova corrente pittorica trasversale, che mette al centro dell'opera
l'espressione. Dal 1901 essa trova nel Salon d'Automne un fondamentale veicolo di diffusione; intorno al
38
1910, manifestandosi nella maggior parte dei paesi europei, comincia a chiamarsi Espressionismo. Si
tratta di una tendenza difficile da circoscrivere, ricca di differenti apporti culturali e di stile. In molti casi
nello stesso ambito delle secessioni non è possibile distinguere una vera e propria cesura nel passaggio
tra un momento propriamente simbolista e un momento ormai dichiaratamente espressionista.
- La prima fase, nel caso viennese, è rappresentata dall'opera di Gustav Klimt, che domina la scena
dagli anni novanta al 1918 con una pittura costruita sull'eleganza della linea, di gran gusto decorativo
e ornamentale, largamente basata sull'uso di materiali cromatici "astratti" o e attraversata da significati
simbolici complessi. Il senso decorativo di Klimt lascia il passo in Egon Schiele a un linguaggio
pittorico più convulso e corposo, e meno preoccupato della bellezza formale, che si può definire
propriamente espressionista.
- A Monaco nei primissimi anni del Novecento, il russo Vasilij Kandinskij, arrivato da Mosca nel 1896 e
formatosi nella capitale bavarese sul modello del simbolista Von Stuck, è tra i fondatori di quella Nuova
associazione degli artisti che è l'anticamera del Cavaliere azzurro (Der Blaue Reiter), gruppo in cui
maturano le prime prove artistiche definibili come astrattiste.
- In Francia Henri Matisse, André Derain, Kees van Dongen, Maurice de Vlaminck e Georges Rouault
avevano seguito in parte itinerari diversi quando il critico Louis Vauxcelles li accomuna sotto l'etichetta
di fauve, ossia "belve", sottolineando l'apparente rozzezza delle loro opere, che si manifesta nella
brutalità dei contasti cromatici e della stesura pittorica e nella semplificazione delle forme. Del
movimento fauve, il breve arco di tempo tra i 1905 e il 1906 segna non tanto la nascita, quanto il
momento di consacrazione e conclusione, caratterizzato da un picco di pubblicità e fortuna.
- Il gruppo della Brücke, fondato a Dresda nel 1905, si presenta come uno schieramento più strutturato
e omogeneo. È inizialmente una consorteria chiusa composta da quattro studenti di architettura,
guidati da Ernst Ludwig Kirchner, che si allarga poi a comprendere altri artisti. Attraverso una drastica
semplificazione formale e cromatica essi aspirano a recuperare la forte espressività dell'arte arcaica e
primitiva, ricercando l'efficacia comunicativa ed emotiva di una pittura selvaggia e immediata. Si
distinguono per le rielaborazioni di elementi formali derivati dalla scultura "negra"- conosciuta al
museo etnografico di Dresda - in un'originale sintesi con le suggestioni della realistica e sintetica
espressività di figurazioni popolaresche e dell'arte gotica. I contrasti al suo interno ne determinano lo
scioglimento nel 1911.
• Cubismo. Tra il 1907 e la fine del decennio, lo spagnolo Pablo Picasso e il francese Georges Braque,
operanti in stretto contatto in Francia, portano alle estreme conseguenze la ricerca avviata da Cézanne su
una rappresentazione delle cose che coniuga osservazione e astrazione mentale, giungendo a una
completa scomposizione geometrizzata delle forme e al sovvertimento dello spazio prospettico di
tradizione rinascimentale. Si sostituisce una visione policentrica, sulla base della quale l'immagine dipinta
risulta costruita per accostamento di frammenti significativi delle cose e delle figure osservate. Nei quadri
cubisti non si vede ciò che può vedere l'occhio da un unico punto d'osservazione, ma quanto la mente
rielabora sulla base dell’esperienza visiva e della memoria. Il termine Cubismo ha originariamente un
senso spregiativo: lo usa infatti per primo il critico Vauxcelles nel novembre del 1908, in occasione di una
mostra di Braque, per criticare il disprezzo evidente del pittore verso la tradizionale costruzione della
forma e il suo tentativo di ridurre i quadri a schemi geometrici, a cubi. Le fasi del cubismo sono:
1) Cubismo analitico dove la vivacità del colore espressionista è sacrificata a una puntigliosa e
minuta scomposizione delle forme, che si presentano come strutture semplificate, quasi astratte.
2) Cubismo sintetico in cui cominciano ad aggiungersi, dal 1912, materiali atipici come carte colorate
e frammenti di giornale, che irrompono come brandelli di realtà nell'artificio dell'opera d'arte: è la
nascita del collage. Dall'inizio degli anni dieci il nuovo linguaggio comincia a essere adottato da altri
artisti e si assiste all'affermarsi del Cubismo come tendenza, nonché alla sua diffusione europea
come lingua comune primaria delle Avanguardie internazionali.
• Futurismo. In Italia si può parlare di un’Avanguardia artistica soltanto dal 1910, con il Futurismo. Già nel
febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti ne traccia i fondamentali lineamenti di poetica in Fondazione e
Manifesto del Futurismo, pubblicato a Parigi e a Milano. Nel febbraio 1910, vede la luce il Manifesto dei
pittori futuristi (firmato da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini) che sancisce l'estensione del
Futurismo al campo delle arti figurative. La pittura futurista cerca di ricondurre i due grandi filoni usciti
dall'esperienza di Manet: quello del colore (sensazione) e quello della forma (intelletto), restituendo il
senso della vita moderna, basata sulla dinamicità delle esperienze e sulla molteplicità e ricchezza degli
stimoli in una civiltà urbano-industriale. I quadri futuristi toccano temi emblematici della modernità: i tram
elettrici, le stazioni ferroviarie, la metropoli che si sviluppa, l’idea di velocità. La scomposizione delle figure
crea una sorta di loro montaggio, rendendone la dinamicità e il movimento.
39
• Astrattismo. A Monaco tra il 1911 e il 1912, Kandinskij progetta con l'amico pittore Franz Marc la
pubblicazione dell'almanacco Il Cavaliere azzurro, che raccolga illustrazioni di una nuova estetica e scritti
teorici. Vi si trovano riprodotte una molteplicità di opere tra cui anche quelle di Rousseau di matrice naif.
Tutti questi modelli sono accomunati, secondo Kandinskij, dal disinteresse per l'imitazione della natura e
dall'espressione di quanto si può definire “necessità interiore”. Il Cavaliere azzurro si caratterizza come
un'esperienza che va intesa come superamento del naturalismo di tradizione impressionista. Questo
superamento può essere realizzato secondo le diverse direttrici tracciate dai fauve e dalla Brücke, dal
Cubismo, dal Futurismo e da quelle declinazioni di arte astratta. È a Kandinskij che tradizionalmente si
attribuiscono i primi dipinti propriamente astratti: composizioni del 1911 nelle quali l'opera risulta da una
combinazione di segni e colori, analogicamente corrispondenti a note, accordi e timbri musicali, che
mirano a risvegliare “risonanze interiori” nello spettatore.
• Orfismo. Tra i principali esiti del Cubismo si segnala la variante dell'Orfismo (denominata nel 1913 dal
critico e poeta Guillaume Apollinaire, che si richiama al mitico Orfeo), nella quale si afferma un uso del
colore più libero, meno vincolato dalla struttura della composizione, e la riduzione del volume a puri
contrasti ed effetti di luce: essa trova espressione nella pittura di Delaunay, Legér e Picabia, dai punti di
contatto tanto con il Futurismo italiano, quanto con i pittori del Cavaliere azzurro.
• Section d’Or. La grande rassegna parigina della Section d’Or, organizzata dal pittore Jacques Villon,
evidenzia l’idea di ritrovare alla radice della scomposizione cubista il principio della sezione aurea, cioè
una sorta di razionalità, geometrica e armonica generatrice di bellezza.
• Astrazione assoluta di Mondrian. Il pittore olandese Mondrian sviluppa dal Cubismo, un'astrazione
assoluta, caratterizzata da una riduzione delle forme nelle quali l'elementarità della geometria si fa
specchio di un lucido e rigoroso misticismo. Nei risultati maturi della sua ricerca, raggiunti intorno al 1920,
lo spazio assolutamente non illusionistico della tela finisce per essere scandito da linee ortogonali e
superfici uniformi di colori primari secondo un'infinità di variazioni possibili.
Durante gli anni dieci una serie di eventi espositivi in Europa e negli Stati Uniti dà conto degli sviluppi
artistici in corso e insieme stimola la produzione, il collezionismo e il mercato, soprattutto americano.
Al passaggio tra gli anni settanta e ottanta, l'artista spinge più a fondo, nelle opere di soggetto libero come
le Fanciulle in riva al mare, la sua sperimentazione formale. La sospensione di volta in volta malinconica o
serenamente rassegnata delle figure prende le distanze dai manierati effetti realistici caratteristici della
scuola accademica e della cosiddetta art pompier, che pretendeva di restituire un'idea di espressività
teatrale o di vitalità pittoresca alla storia e alla mitologia de1 mondo classico.
Grandi porzioni del paesaggio sono appena suggerite attraverso larghe stesure di colori piatti, in cui è
evidente il gusto per l'opacità dell'affresco. I maestosi nudi femminili, pur anatomicamente corretti, sono
ridotti all'essenziale attraverso un disegno di contorno, alla Ingres, spesso condotto con una linea scura
continua lasciata in vista che racchiude le campiture chiarissime dei panneggi o delle carni. Ciascuno dei
personaggi resta come isolato, suggerendo una schematica scansione di architettura dell’insieme, i cui
elementi portanti sono disgiunti.
40
L'apparizione costituisce una libera elaborazione della storia biblica del re Erode e di Giovanni Battista. Il
vero protagonista del racconto diventa il personaggio femminile della principessa Salomé che seduce il re
con la sua danza, costringendolo poi a giustiziare Giovanni. Moreau torna più volte sul tema della
rappresentazione di Salomé, identificando tutta una linea della sua ricerca con questa ambigua figura
femminile. La versione che analizziamo è particolarmente efficace perché qui iI pittore sembra rinunciare,
sin dal titolo, a una precisa restituzione narrativa. Il gesto coreografico di Salomé è come pietrificato e il
suo braccio sinistro non indica imperiosamente, come in altre versioni, il monarca o il carnefice sullo
sfondo, bensì si indirizza senza mediazioni alla macabra apparizione del capo mozzato di Giovanni,
oggetto del suo odio ma anche di attrazione.La testa levita magicamente al centro dello spazio,
elevandosi sopra la principessa e irradiando di una luce mistica e irreale tutta la scena. Moreau sembra
voler dare forma a un nuovo archetipo femminile: la sua Salomé esercita il proprio fascino come
strumento di potenza occulta. I gioielli e la corona della principessa, il fiore di loto che regge nella destra,
la monumentalità e l’apparato ornamentale dell'ambiente rinviano ad un’evocazione di civiltà lontane.
La Porta dell'Inferno, commissionata nel 1880 dallo Stato, era destinata al progettato Musée des Arts
Décoratifs di Parigi, che avrebbe dovuto sorgere nel luogo dove fu invece eretta la stazione (oggi museo)
d'Orsay. Rodin però non abbandona il sogno di vedere collocato il suo capolavoro, pur essendo nel
impegnato in altre opere di grande scala: ancora nel 1908 si ipotizza di riprendere l'opera come una sorta di
iconostasi per il seminario di Saint-Sulpice.
Una tappa fondamentale nello sviluppo del linguaggio di Rodin è segnata dal viaggio del 1876 in Italia, dove
l'artista ha modo di approfondire la diretta conoscenza della scultura e della pittura di Michelangelo
riformando il proprio stile a partire dalla potenza tormentata e contorta dei nudi delle tombe medicee di San
Lorenzo a Firenze e della Sistina. L'ambiziosa idea centrale della Porta dell'Inferno è quella di esprimere la
forza e l’intensità del dettato della prima cantica della Commedia dantesca attraverso le forme di
Michelangelo, congiungendo in tal modo i due massimi fari della cultura artistica e letteraria europea. Se i
primi dei numerosi studi di Rodin sono strutturati in una serie regolare di formelle separate, ben presto lo
scultore immagina per i due battenti uno spazio unitario, all’interno del quale i corpi ignudi delle anime
dannate vorticano liberamente. Ma Rodin rinuncia volontariamente a ogni particolare storico o descrittivo. Più in alto, in un timpano
quadrangolare, si affollano altre figure, al cento delle quali spicca il Pensatore. inizialmente immaginato come ritratto di Dante e poi
trasformatosi nel simbolo più universale dell'artista o del genio che riflette titanicamente sul destino dell'uomo.
Il fascino della Porta dell'Inferno risiede nella volontà dello scultore di continuare per molti anni a considerarla un'opera in fieri,
trasformando la sua mancata realizzazione in un inesauribile laboratorio di spunti e di soluzioni formali: così numerosissime figure
derivate dalla Porta negli ultimi vent'anni della vita di Rodin vengono variamente elaborate, replicate, ingrandite ed esposte come
opere a sé. L’uso della replica, del calco e della rielaborazione nasce di necessità dal metodi di lavorazione di una complessa scultura
monumentale: il rilievo doveva essere diviso in sezioni e i gruppi di figure scolpite erano smembranti e appoggianti su un piano,
invece che sospesi sullo sfondo verticale per il quale erano concepiti. Ogni personaggio subiva come una decontestualizzazione e
uno spaesamento prospettico e si prestava a ricongiunto agli altri in nuove e configurazioni.
Il giovane Seurat concepisce Une baignade come un'opera di debutto esemplare e di grande
impegno: si tratta di una composizione di considerevoli dimensioni, profondamente innovativa
per la ricerca sulla luce e per la definizione delle forme, ma al tempo stesso radicata nella
tradizione. È proprio il rifiuto di questa tela da parte del Salon ufficiale a segnare decisamente il
distacco dell'artista dall’ambiente accademico, facendone il caposcuola e il principale teorico di
uno schieramento neoimpressionista con precisi caratteri di rottura rispetto sia alI'accademismo,
sia all'Impressionismo degli anni settanta. La costruzione geometrica della composizione e
l'atmosfera sospesa ed evocativa rinviano alla tradizione del classicismo e del Rinascimento
italiano, fltrata da Ingres e Puvis de Chevannes. L’ambientazione contemporanea e quotidiana, i
colori luminosi e la resa pittorica a tratti frammentati fanno riferimento all'Impressionismo. Seurat è ancora lontano dalla metodica
scomposizione cromatica puntinista; soprattutto l'anatomia dei personaggi è resa con ampie stesure di colore contrapposte.
La scena è fortemente caratterizzata: il ponte ferroviario e le officine di Clichy sullo sfondo indicano un ambiente di classe popolare (il
termine “baignade” tradizionalmente segnalava il luoghi in cui venivano condotti al fiume i cani e i cavalli).
41
Il Circo è la più significativa delle opere estreme della carriera artistica di Seurat e costituisce un
contraltare alla fase preparatoria rappresentata dai bagnanti di Asnières. L’autore vi manifesta lo sviluppo
e il superamento della sua precedente indagine sulla resa quasi “assoluta" degli effetti della luce naturale
e sulla costruzione delle forme attraverso elementi geometrici.
Nonostante I'interesse di Seurat per la teoria scientifica della percezione dei colori, tutto in quest'opera
rinnega Ia riproduzione immediata del reale. Seurat sembra voler esprimere l'artificiosità della vita
moderna attraverso una serie di elementi che saranno ripresi dalle Avanguardie espressioniste, cubiste e
futuriste. La composizione si basa sul dinamismo delle linee spezzate con predilezione per l'arabesco, in
stretta consonanza con le coeve soluzioni decorative della grafica e della decorazione Art nouveau. La
prospettiva è appiattita e rovesciata verso chi guarda: il cavallo sembra balzare fuori dalla tela, senza
alcuna coerenza spaziale rispetto al pagliaccio in primo piano. L’artificio della rappresentazione pittorica
è ribadito da questa figura centrale che svela con la mano destra lo spettacolo circense. Anche la luce è
artificiale: sotto i riflettori i colori della silhouette del clown in primo piano e della cavallerizza sono caldi e squillanti, mente le figure
statiche degli spettatori hanno colori freddi e sordi che evidenziano un inquietante distacco tra i saltimbanchi (figure simboliche del
ruolo sociale dell'artista) e il pubblico.
Lo scalpore suscitato dall'esposizione di Una domenica alla Grande Jatte all'ultima mostra
impressionista e al Salon des Indépendants nel 1886 contribuisce a farne il manifesto
dell’orientamento neoimpressionista in pittura. Seurat stesso sottolinea il particolare metodo di
lavoro con il quale, in quasi due anni, ha portato a termine l’opera. Seurat torna a più riprese
sull'opera con rielaborazioni della stesura pittorica, resa via via più metodica e rigorosamente
"scientifica". Di questo sforzo preparatorio ci restano ventisette tavole, tre tele e ventisette
disegni.
Seurat mette a punto il fondale naturale, studiando dal vero l’ambiente. I personaggi sono poi
calati a popolare questo palcoscenico: i gesti casuali di una domenica pomeriggio della
borghesia parigina sono raggelati nelle pose bloccate di manichini anatomici o di statue primitiviste. La predilezione per le figure
orientate ortogonalmente, le sagome rigidamente scontornate dal netto controluce del primo piano, tutto contribuire a creare
l'impressione di una serie di piani bidimensionali sovrapposti, senza un reale legame di massa o di profondità, unificati dal vibrare
della luce e dalla meticolosa stesura cromatica a punti separati, fondata sul principio del “contrasto simultaneo” dei colori
fondamentali. Seurat si è ispirato alla trattatistica ottica di Chevreul e di Rood, ma la sua stesura pittorica resta legata alla ricerca
empirica sulla divisione del colore già prospettata da Delacroix nelle pitture murali in Saint-Sulpice. Seurat lascia intravedere, sotto i
piccoli punti equidistanti di colore, stesure più ampie e rapide in differenti tonalità di verde, di bruno rossiccio, di azzurro.
Nel Ritratto di Félix Fénéon, Signac dà illustrazione alle proprie differenti predilezioni, spaziando da
aspetti decorativi all'inclinazione per la grafica giapponese e anticipando una tendenza all'astrazione.
Legato da una duratura amicizia con l'artista, il critico Félix Fénéon era stato tra i primi a riconoscere e
appoggiare i neoimpressionisti, contribuendo a diffondere la loro attività e le teorie sistematiche
sull'applicazione in pittura dei contasti cromatici dei complementari, sviluppate dal teorico Charles
Henry e illustrate graficamente da Signac.
42
L’artista in Bretagna trova un primo esempio della possibilità di riscoprire, attraverso forme dure e
semplificate, nuovi valori autentici e primordiali. La visione dopo il sermone (o La lotta di Giacobbe
con I'angelo) dimostra una piena padronanza dei suoi strumenti stilistici e conferma il suo orientamento
simbolista. Il disegno si appiattisce e il colore, racchiuso entro netti contorni lineari, evoca un'atmosfera
e uno stato d'animo. Il nuovo modo di dipingere verrà chiamato sintetismo anche per la sua capacità di
fondere in un’unità espressiva elementi contenutistici e formali della più diversa provenienza,
combinando spunti della tradizione locale bretone ad derivati dalle incisioni giapponesi.
Pensando di farne un “quadro da chiesa”, Gauguin affronta esplicitamente per la prima volta un tema di
derivazione religiosa: un ambito che resterà centrale anche nella sua produzione successiva: si vedano per esempio Il Cristo giallo.
Il soggetto biblico illustrato nella parte superiore della scena è ispirato all'episodio della Genesi in cui Giacobbe incontra “un uomo",
che si rivelerà figura intermediaria del Signore, e lotta lungamente con lui senza uscirne sconfitto, in un confronto paritetico tra
l'essere umano e Dio e quindi tra religione naturale e Rivelazione. Gauguin non sembra interessarsi semplicemente alla narrazione o
al valore allegorico della storia sacra; al contrario, indirizza la sua indagine sul significato culturale e antropologico del sacro come
viene vissuto nell'ambiente bretone. Vere protagoniste del quadro sono infatti le figure in primo piano delle donne di Pont-Aven.
Gauguin sostiene di essere arrivato a “una grande semplicità rustica e superstiziosa [...] estremamente severa”, sottolineando la
natura visionaria del quadro.
Il costume bretone e il sincretismo culturale e stilistico tornano in uno sconcertante ritratto La belle Angéle
di una bellezza locale, Marie-Angélique Satre. La donna effigiata, ignara delle nuove sperimentazioni
pittoriche, ricorderà trent'anni più tardi lo sconcerto provato di fronte a questa bizzarra e complessa
composizione. Su uno sfondo decorativo è come applicato un ritratto a medaglione, scontornato da una
incorniciatura chiara e decentrato, con un evidente richiamo all'asimmetria della grafica giapponese, cui fa
da contraltare l'enigma dell’idolo precolombiano a sinistra. Irrigidita sotto la pittoresca cuffia, con le braccia e
il busto fuori proporzione rispetto alla grande, inespressiva testa, vagamente bovina, questa figura è un
omaggio alla tradizione dell'arte e dell’illustrazione popolare, come ribadisce in basso l’iscrizione del titolo a
lettere capitali, una soluzione che Gauguin riprende tardi anche in alcune opere tahitiane.
Forse la più ambiziosa delle prime opere d'oltreoceano di Paul Gauguin, Ia orana Maria (o Ave Maria).
Questo viaggio del 1891 nell'isola era formalmente una "missione" patrocinata dal Ministero per l'Istruzione
pubblica e le Belle Arti, al fine di studiare il paese, ma l’esotismo di Gauguin ha soprattutto un valore
simbolico e interiore. L'artista non riproduce nulla delle condizioni di vita cui si trova di fronte; preferisce
evocare un'isola meravigliosa, primitiva e immaginaria, creare un mito letterario di quel paese.
Per comprendere pienamente il valore dell'arte di Gauguin è necessario riuscire a superare gli elementi più
superficiali di gradevolezza, di illustrazione esotica e di sottile sensualità che ne hanno determinato la
diffusione e il successo popolare. L'attenzione dello spettatore è attratta immediatamente dall'ambiguità e
dalla grazia delle splendide fanciulle tahitiane, colte nell'atteggiamento quotidiano. L'intervento dell'artista
non si esaurisce nel riprodurre le forme e gli sguardi penetranti di queste figure femminili idealizzate:
Gauguin si confronta da intellettuale con la definitiva impossibilità di far rivivere la purezza originaria delle
sue modelle e del loro ambiente edenico attraverso il linguaggio "civilizzato" dell'arte. Le stesure pesanti e la deformazione del reale
rivelano a un esame più approfondito tutto il suo disagio: egli è incapace di riconoscersi nella tradizione della cultura occidentale.
Il paesaggio lussureggiante in cui è ambientata la scena di Ia orana Maria è reso libere contrapposizioni cromatiche verde smeraldo
del prato, il violetto del sentiero, il giallo violento della radura retrostante); l'angelo e, in parte, anche la figura di Maria, con il Bambino
issato sulla spalla, fanno riferimento all'iconografia cristiana medievale.
Questo atteggiamento è ben esemplificato da Donne di Tahiti, in cui l'intero spazio del quadro è
come occluso dalla contrapposizione di due figure massicce che ritraggono un'unica modella
ripresa in due atteggiamenti differenti. A sinistra, malinconicamente pensierosa, la fanciulla
indossa lo stesso pareo visibile anche in la orana Maria; a destra porta un abito occidentale
(introdotto sull'isola dai missionari) e, intrecciando delle fibre vegetali, solleva di poco lo sguardo.
Nella rappresentazione dell'ambiente naturale Gauguin non indugia nella descrizione o
nell'evocazione: il terriccio color ocra e il fondo verdastro (identificato con il mare) non
suggeriscono alcuna profondità spaziale e servono all'artista unicamente per mettere in risalto le
tonalità ambrate dei volti e quelle rosa e rosso vivo delle vesti.
43
Émile Bernard rivendica la propria indipendenza da Gauguin e la priorità nell'elaborazione della
pittura sintetista. Queste Donne bretoni sul prato anticipano alcune delle soluzioni adottate,
da Gauguin. Piuttosto che nelle immagini di paesaggio, l'idea della Bretagna come luogo
selvaggio e primitivo è resa descrivendo il suo carattere nordico e rurale attraverso i
tradizionali costumi da festa delle sue donne. Nonostante l'energia e l'originalità compositiva,
manca lo scatto della trasfigurazione sacra e mitica operata da Gauguin: la fanciulla in bianco
a sinistra e le due signore borghesi con il parasole contraddicono con la loro presenza gli
stessi presupposti del quadro. La tecnica pittorica esemplifica invece al meglio il sorgere del
sintetismo. Le figure femminili sembrano co me ritagliate su una superficie bidimensionale e
giustapposte senza alcuna resa prospettica sul tappeto verde del prato. Il colore a olio è steso
in campiture piatte e brillanti, chiuse da scuri contorni netti e continui: per questo tipo di
stesura pittorica viene adottato il termine cloisonnisme, in riferimento alle placche lucenti e ai contorni piombati degli smalti e delle
vetrate medievali.
Paul Sérusier riporta a Parigi dalla Bretagna questo Paesaggio al Bois d’Amour (o Il Talismano). La
piccola tavola fa scoprire il sintetismo di Gauguin e Bernard a Félix Vallotton. Dalla rielaborazione di quegli
stilemi in direzione di un simbolismo più pacato e illustrativo, prenderà il via nel 1891 il gruppo dei nabis,
una sorta di confraternita artistica che deriva il nome da un termine ebraico che significa "profeti".
Paesaggio al Bois d'Amour nasce in poche ore, dipinto dal vero, quasi sotto la dettatura di Gauguin: i colori
autunnali della foresta sono ricondotti all'assolutezza delle stesure in giallo e vermiglione, mentre le ombre
colorate si trasformano in chiazze ritmate di blu oltremare, di verde e di violetto. La rappresentazione
naturalistica è soppiantata da un'armonizzazione astratta di forme e colori, decorativa e accattivante, ma
ben di stante dal peso e dalla potenza espressiva del simbolismo di Gauguin.
Il lavoro di avvicinamento alla pittura da parte Vincent van Gogh nasce dalla necessità di
testimoniare una difficoltà e tragicità interiore. L’artista si rivolge a una pittura realistica-sociale
capace di delineare gli esiti dello sfruttamento economico e dell’emarginazione delle classi meno
abbienti. I Mangiatori di patate, cupa e drammatica immagine del pasto di una misera famiglia
contadina, alla luce di una lucerna a olio, deve, “dimostrarsi un vero quadro contadino”. Van Gogh
si ispira chiaramente alle scene notturne e di interno tipiche della tradizione olandese del Seicento
(si pensi a Rembrandt), caratterizzate a suo dire da «una oscurità che ha però una sua luce». Il
pittore si distacca stilisticamente dalla tradizione. Scrivendo al fratello Theo di aver compiuto I
mangiatori di patate, egli lascia trasparire l’idealizzazione di una padronanza della tecnica
pittorica, difficile da raggiungere per un autodidatta. Il suo intento è coniugare la libertà e la passionalità di Delacroix con la poetica
naturalista dello scrittore e critico Émile Zola. Ma la gravità dell’insieme, la generale oscurità della scena, la brutalità caricaturale dei
volti sembrano contraddire l’ispirazione a Millet. L’originalità della visione di Van Gogh porta a un superamento del realismo, in chiave
di ideologia sociale, di simbolismo e di espressione.
44
Van Gogh dipinge in poco meno di un anno tre versioni
della Camera da letto. Il prototipo è realizzato alla metà
di ottobre del 1888, quando Vincent, oppresso dalla
solitudine, attende con l'arrivo di Gauguin ad Arles per
lavorare al suo fianco. Vincent ha l'impressione di aver
trovato un luogo dove sia possibile lavorare e vivere in
raccoglimento e tranquillità. Impressione purtroppo
smentita dalla crisi del dicembre successivo, con la
conseguente mutilazione di un orecchio.
L’immediata quotidianità del soggetto è trasfigurata da un uso simbolico del segno e del colore, teso a rivelare lo spirito dell'autore
piuttosto che a fissare la mutevolezza delle apparenze visive. I bruschi contrasti sono resi se possibile ancora più decisi ed estremi
nelle due repliche (a Parigi e Chicago), realizzate a Saint-Rémy nel settembre 1889. I riflessi blu e violacei dell'ambiente sono
contrapposti al loro colore complementare, un giallo-arancione. Alla macchia rossa centrale della coperta fanno da bilanciamento i
tocchi di verde brillante sparsi sulle opere appese alle pareti. Il nero è riservato alle linee di contorno e si ritrova nelle incorniciature
della finestra e del piccolo specchio sul fondo. Benché la preoccupazione di un'adeguata resa cromatica della luce sia al centro degli
interessi espressivi dell'artista, non troviamo in Van Gogh l'aspirazione scientifica e la regolarità meccanica dei pointillistes. Egli
stesso affermerà di aver voluto superare la meticolosità del metodo di Seurat e Signac per giungere a una resa tecnica più semplice
ed energica. Inizialmente la stesura del colore è ancora generalmente piana e riconducibile alle campiture di Gauguin. La presenza, la
realtà fisica delle cose è il punto di partenza per la presentazione di un ambiente interiore, alla ricerca di un riposo e di una quiete
contraddetti dall’instabilità della visione prospettica che sembra rovesciarsi in avanti a inglobare lo spettatore. Ogni oggetto
rappresentato si carica di un significato simbolico. L’ambiente deserto ospita due sedie, due cuscini sul letto e i personaggi
rappresentati nei ritratti in alto a destra a indicare la necessità di trasformare uno spazio di isolamento in uno spazio nuovo destinato
all'incontro. Ma le due porte sono drasticamente chiuse e l'unica apertura della stanza sembra essere costituita dalla metaforica
finestra prospettica della rappresentazione pittorica.
Già dagli anni sessanta mostra di seguire una via del personale, tentando di coniugare la
rappresentazione del vero basata sulla visione diretta c la ripresa della tradizione pittorica. La casa
dell'impiccato a Auvers-sur-Oise rivela il ruolo dell'amico Pissarro nell'indirizzarlo verso le
tonalità chiare e naturali del plein air. A partire da una prima rapida stesura indirizzata al vero,
Cézanne interviene per stratificazioni successive di pesanti masse di colore, quasi a voler
“scolpire” i volumi del declivio erboso, degli alberi spogli e dei tetti. Il paesaggio di Cézanne è
muto, spogliato dei suoi abitatori e svuotato di ogni riferimento al presente; le sue case e le
capanne sembrano elementi tellurici. I piani contrapposti sono rivelati dai contrasti di luce e di
colore, accuratamente studiati sul reale. Questo tipo di costruzione non si esaurisce in un effetto
fuggevole; finisce per manifestare, l'aspirazione cezanniana a non dissolvere le forme nella luce,
pur rinunciando al disegno di contorno: è il colore stesso a farsi forma.
45
Lo spazio rappresentato in Natura morta con tenda e brocca a fiori - che fa parte di una serie
di sei composizioni in cui ritornano gli elementi fissi della tenda a fogliami, della brocca e dei
frutti (mele e arance) disposti in una compostiera o su piatti - è ancora, a prima vista, uno spazio
nitidamente fissato nei suoi principali elementi di resa prospettica. Lo sfondo è scandito
regolarmente, dal grande drappo bluastro, in due parti tra loro equilibrate, mentre la natura
morta, che poggia sul piano evidenziato di un tavolo in legno, si struttura simmetricamente
secondo uno schema piramidale intorno al cardine costituito dalla brocca.
Cézanne si dedica con insistenza all'analisi della realtà, ma nella stesura pittorica non si attarda
sugli aspetti descrittivi e sui particolari: il tovagliolo bianco aggiunto nell'angolo inferiore destro
della composizione è volutamente lasciato incompiuto. La riduzione di ogni oggetto a una forma geometrica si sostituisce al disegno
lineare, trasformando le arance e le mele in sfere identiche. Ciò che interessa all'artista è solo I'equilibrio spaziale e compositivo della
tela nel suo insieme. Cézanne deforma la tradizionale prospettiva matematica, inclinando la tavola e il piatto centrale verso lo
spettatore, che così ha l’impressione di essere circondato dallo spazio illusorio del quadro.
Il più quotidiano e umile degli elementi di una natura morta, è per Cézanne un soggetto ricorrente a partire dalla seconda metà degli
anni settanta: le mele di Cézanne sono manifestazioni elementari della realtà naturale e meritevoli della sua attenzione. Soltanto a
partire da queste forme prime (le sfere) è possibile riordinare lo sconcertante caos delle apparenze visive. Per la loro riflessione sul
rapporto tra la mutevolezza delle sensazioni visive e I'idea di forme astratte (il cilindro, la sfera, il cono), queste nature morte sono
state spesso oggetto di analisi da parte di filosofi del Novecento.
La grandiosa massa della montagna Saints-Victoire costituisce uno dei temi ricorrenti attraverso
i quali Cézanne persegue ossessivamente la resa della forma plastica attraverso il colore. Nei
primissimi anni del secolo Cézanne realizza almeno undici tele e acquarelli di questa stessa
veduta, ognuno dei quali presenta precisi caratteri di autonomia nella resa pittorica, che
evidenzia caso per caso elementi, concrezioni ed effetti di luce diversi. Benché l'artista rifiuti
ogni astratta posizione teorica, è fuori di dubbio che questi suoi esempi di differenti vedute
realizzate in sequenza costituiscano un punto di partenza della visione articolata e dinamica che
caratterizzerà le Avanguardie del Novecento. Ne La montagna Sainte-Victoire vista dai
Lauves la plasticità del monte rettamente suggerita dall'accostamento di singole pennellate
biancastre, ocra, verdi e azzurre, che mirano a costruire una forma tridimensionale. Per questo
motivo si parla, per Cézanne, di una vera e propria “pennellata costruttiva”.
La composizione si divide in tre fasce parallele alla linea di orizzonte: in quella inferiore poche pennellate, volutamente attutite,
rappresentano la bassa vegetazione in primo piano; la seconda è occupata dalla visione aperta della campagna, saturata di tocchi
compatti e inestricabili; nella terza la sagoma della Sainte-Victoire, delineata da un contorno disegnativo bluastro, si incunea in un
cielo fatto della sua stessa materia pittorica. Nonostante I'assieparsi delle pennellate e la forte presenza materica del colore, proprio
queste chiazze di azzurro e di verde creano nello spettatore I'impressione di trovarsi al centro di uno spazio tridimensionale
vorticante, aprendo la superficie del quadro al volume e alla profondità.
La fusione tra cielo e terra operata attraverso il colore ha una precisa necessità di resa della
profondità: cerca di ottenere I'illusione del digradare della pianura verso I'orizzonte ricorrendo alla
presenza atmosferica dell'aria teorizzata da Leonardo.
Anche nel più ridotto gruppo di grandi tele con nudi femminili dipinte tra 1895 e il 1906 delle
Grandi bagnanti, Cézanne dimostra la sua propensione a ritornare più volte, con omogeneità,
ma con varianti tecnico-stilistiche e strutturali, sulla medesima immagine. In questo caso
I'artista realizza tre tele maggiori, attraverso un lavoro di composizione dei nudi femminili
articolati in un grande campionario di pose. Con questi soggetti I'artista decide
programmaticamente di tornare a confrontarsi con il tema classico del nudo nella natura,
recuperato studiando al Louvre il Cinquecento italiano, Rubens e Poussin, oppure attraverso il
filtro di opere di maestri contemporanei, Puvis de Chavannes, Manet e Renoir.
Si tratta per Cézanne di un progetto ambizioso, probabilmente avviato già a metà degli anni
novanta, che, attraverso numerosi studi su carta. I personaggi femminili sono numerosi e la
composizione si allarga verticalmente verso I'alto a comprendere una parte maggiore del cielo.
Il peso tangibile delle monumentali figure non ne è sminuito, è soltanto distanziato prospetticamente a indicare un superamento
psicologico dell'aggressiva e brutale partecipazione sensuale che aveva caratterizzato i primi anni dell’artista. Quattordici figure
femminili nude sono riunite sulla riva sabbiosa che costituisce la fascia inferiore del quadro. Alcune di esse restano solo abbozzate,
ma ciascuna è studiata tanto per la singolarità e vivacità dell'atteggiamento quanto per la sua funzione architettonica nel complesso
dell'opera. I tre personaggi centrali sono reclinati su un elemento appena suggerito. Alte figure sembrano indicare il dilatarsi dello
spazio pittorico oltre i confini del quadro, come la donna distesa in primo piano, la figura nascosta a sinistra tra i cespugli oppure la
compagna che si allontana in secondo piano sull'estrema destra. Al di là di uno specchio d'acqua, al centro del quale si intravede
una nuotatrice, altre due bagnanti sembrano osservare il gruppo, suggerendo con le loro minime dimensioni lo sfondato spaziale
della radura retrostante. I volumi e le linee marcate delle membra definiscono anche il nudo come un elemento strutturale che
contribuisce a definire il volume e lo spazio