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Il problema dello stile nel mondo dell’arte

Lo stile è il segno personale che caratterizza l’intervento artistico, una modalità espressiva
che si apre a privilegiate tecniche che rappresentano l’artista. Lo stile si attua per mezzo di
una rielaborazione soggettiva della materia e della tecnica attraverso l’elaborazione del
proprio pensiero visivo e della propria cultura artistica. I caratteri fondamentali dello stile
sono: i colori, l’utilizzo della luce e delle ombre, la pennellata e le linee, i materiali e le
tecniche usate. Lo stile nell’antichità era quello che le botteghe o le accademie insegnavano
per dipingere secondo delle regole, ad oggi invece è un modo soggettivo per distinguersi
dagli altri artisti. Quando si analizza lo stile non si guarda alle figure e ai soggetti
rappresentati ma si studiano i materiali e le tecniche (in particolare i primi a parlare di
tecniche sono Plinio il Vecchio, Teofilo, Cennino Cennini e Giorgio Vasari). Per esempio
Vincent Van Gogh nella Notte stellata utilizza l’olio perché garantisce maggiore brillantezza
ai colori e non si secca in poco tempo come la tempera e segue la tecnica dei post
impressionisti separando i colori e distribuendoli con la spatola e con le stesse dita sulla
superficie con pennellate materiche: il colore quindi ha una sua corporeità ed è a grumi. I
primi storici dell’arte a dare valenza allo stile nella critica dell’arte sono gli esponenti della
Scuola di Vienna, un'istituzione accademica di fine Ottocento che ha dato origine a un nuovo
approccio teorico nello studio della storia dell'arte. Quattro furono i personaggi più
significativi: Franz Wickhoff (1853-1909), Alois Riegl (1858-1905), Max Dvořák e Julius von
Schlosser. Con essi lo stile diventa un parametro importante per la classificazione delle
opere. Gli esponenti della scuola viennese lavoravano infatti in musei minori, con oggetti
antichi e anonimi. Il parametro fondamentale per giudicare la validità espressiva di un'opera
diviene perciò la vista perché con essa possiamo capire lo stile, datare l’opera e addirittura
conoscere l’artista che l’ha prodotta. Riegl sostiene che l’arte non sia una duplicazione ma
una stilizzazione della realtà ed è per questo che lui concepisce lo stile come il centro fisso
attorno al quale ruotano le varie rappresentazioni della realtà. Perciò, quando si studiano le
opere d’arte, non bisogna valutarle in merito alla loro somiglianza o meno con la natura ma
in base al gusto e alle volontà espressive dell’epoca in cui l’artista agisce (dunque allo stile).
Ne L’industria artistica tardo romana (1901), Riegl divide l’arte dell’antichità in tre
categorie di stile su base ottica: Lo stile tattile-miope è da esemplificare nell’arte egizia
poiché per analizzarla al meglio bisogna guardarla da vicino e focalizzarsi su un dettaglio
alla volta (visione ad occhio di bue) dato che le forme sono chiare e oggettive (i pittori egizi
dipingono ciò che sanno non ciò che vedono); lo stile tattile a vista normale si configura
nell’arte greca poiché, non essendoci più l’eternità egizia, si scolpisce l’istante e per questo
si analizza l’opera nel suo complesso ad una distanza normale (Ernst Gombrich afferma che
con l’arte greca ci sia un grande risveglio e che nasca lo scorcio); infine l’ottico-illusionista
viene esplicitato nell’arte tardo-antica poiché la mente compie un processo di integrazione
delle figure rispetto a quello che l’occhio vede. Lo stile è importante per osservare come la
realtà e la società cambiano in base a tempo e spazio, e dunque alla storia. Gli
impressionisti danno a Riegl una forte ispirazione perché per loro l’occhio diventa il
parametro con cui guardare la realtà e Riegl trasporta questa idea nello studio dell’arte.
Dunque il parametro per giudicare le opere d’arte è l’occhio (dunque lo stile).
Heinrich Wölfflin, nato nel 1864 a Winterthur e morto a Zurigo nel 1945, tenta poi di
correggere alcuni aspetti del pensiero di Riegl. Fu allievo di Jacob Burckhardt (autore di La
civiltà del Rinascimento in Italia, in cui formula una netta antiteticità tra il periodo
medioevale, definito oscurantista, e il rinnovamento rinascimentale). Ed è proprio
sviluppando il pensiero del maestro che Wölfflin elabora il proprio tentativo di una storia
dell'arte sistematica, fondata sul riconoscimento di categorie formali e concettuali valide
per un intero periodo storico. Questo programma trova una prima, organica realizzazione nel
testo del 1915 Concetti fondamentali di storia dell'arte. L'opera, che rimarrà la più celebre
tra quelle scritte da Wölfflin, vuole fornire dei parametri che orientino nell'osservazione
dell'opera d'arte, garantendo una certa sicurezza di giudizio. Si tratta di un approccio
essenzialmente formalista. Secondo Wolfflin non esiste un modo di vedere oggettivo, e che
forma e colore saranno sempre intesi in modo diverso a seconda del temperamento
dell’artista. Ogni distinzione tra i singoli maestri e tra la “mano” dell’uno e dell’altro è fondata
sul presupposto che si riconoscono questi diversi modi individuali di rappresentare la forma.
Pur con lo stesso orientamento del gusto la linea, il colore e la luce verrà percepita da ogni
artista in maniera diversa: ognuno ha un proprio stile individuale. Un chiaro esempio è quello
tra Lorenzo di Credi e Sandro Botticelli, due artisti che appartengono alla stesso periodo
storico (tardo Quattrocento) ed entrambi fiorentini. Eppure la Nascita di Venere di Botticelli
mostra un impeto lineare grazie al quale ogni forma acquista dinamismo e naturalezza come
l’angolo acuto formato dal gomito, la linea slanciata del corpo, le dita aperte a raggiera sul
seno e i piedi nell’atto di compiere un passo: in tutto c’è energia.
Al suo confronto, nel modellato compassato della Venere di Lorenzo di Credi, la figura della
fanciulla è statuaria e sembra impacciata, data dalla mascolinità del braccio piegato, dalla
veste che sembra fare d’appoggio alla figura e dalla posizione ferma dei piedi: la sua forma,
pur modellata in maniera convincente, non ha l’impeto del temperamento Botticelliano dato
da una concezione diversa della bellezza corporea e di movimento aggraziato.
Accanto allo stile individuale esiste lo stile di un paese che vive determinati eventi e li
affronta con un particolare spirito. In più gli artisti sono influenzati dalle materie prime di
riferimento come lo è il marmo a Carrara o il legno nelle Fiandre. Dunque si incontrano
continuamente elementi di una sensibilità nazionale che legano il gusto della forma allo
spirito e al costume di un popolo. Si può fare un confronto tra le Nozze contadine di Pieter
Bruegel il Vecchio e il Convito a casa di Levi di Paolo Veronese (1573, Gallerie
dell’Accademia a Venezia). L’arte olandese rappresenta temi popolari, una cura estrema dei
dettagli e scene contadine, Paolo Veronese invece pone come sfondo la città di Firenze
incorniciata da una struttura monumentale molto articolata (capitelli, architettura, rilievi,
ecc...). Il dipinto del Veronese fu sottoposto a censura dall’Inquisizione (Nel 1563 avviene il
Concilio di Trento, data dal quale si fa partire la Controriforma) e si hanno ad oggi per iscritto
le deposizioni dell’artista che tenta di difendersi. Già Michelangelo era stato messo a
giudizio da parte del mondo religioso perché nel Giudizio Finale, e in altre opere, dipinge dei
nudi e interpreta i racconti biblici. Gli artisti dovevano dipingere le immagini religiose
letteralmente e senza interpretazioni, a Veronese si contestava la rappresentazione di un
nano, di una cena troppo sfarzosa, di troppi dettagli che tolgono sacralità alla scena e
aggiungono sfarzo e ricchezza ("per ornamento" ➔ non spiega le sue scelte artistiche in
modo razionale ma secondo la sua creatività e sensibilità). Il quadro è un telerio, un grande
quadro olio su tela, non ha utilizzato il legno perché Venezia risente dell’umidità). Ma periodi
diversi producono arte diversa poiché il carattere del tempo interferisce sul carattere del
popolo: esso viene chiamato stile dell’epoca.
Con lo stile dell’epoca, Wolfflin riabilita il Barocco valutandolo secondo gli stessi parametri di
Riegl e mette a confronto l’architettura di San Pietro in Montorio (a Roma, realizzata da
Donato Bramante nel 1510) del Rinascimento e l’architettura del Barocco di Sant’Ivo alla
Sapienza. Bramante agli inizi del ‘400 lavora per Giulio II. Le caratteristiche di questa
architettura sono la simmetria, la pianta centrale e in cui l’armonia è misurabile, accurata e
statica (struttura regolare), qui vige il concetto della proporzione perfetta come il corpo
umano. Sant’Ivo alla Sapienza (1642-62) è stata fatta da Francesco Borromini, rivale del
Bernini, ha una duplice struttura poiché il registro inferiore della facciata è concavo e quello
superiore è convesso. Questo edificio rappresenta l’ideale del Barocco di movimento,
dell’illimitato e del teatrale. Perciò nel mentre il Barocco lavora sulle curve e sul movimento,
il Rinascimento lo fa sull’armonia e sulla simmetria. Lui è in polemica con gli storici che
davano importanza al contenuto, lui è un formalista: non è importante chi o cosa ma come.
Con questi tre esempi lui illustra in quest’opera gli scopi di una storia dell’arte che
concepisce lo stile come espressione: come espressione dello spirito di un tempo e di un
popolo insieme a quello della singola personalità. Si può analizzare il temperamento di un
artista, ma con questo non si riesce ancora a spiegare come nasca un’opera d’arte. Il
problema non si esaurisce soltanto con l’analisi dei valori qualitativi e dell’espressione, si
deve tener conto di un terzo elemento: la rappresentazione in quanto tale. Ogni artista si
trova di fronte a determinate possibilità ottiche a cui è vincolato, non tutto è possibile in ogni
tempo. Il modo di vedere ha di per sé una sua storia e la scoperta di questi "stati ottici" deve
essere considerata il compito della storia dell’arte. Wolfflin studia quindi altre concezioni di
stile e in Concetti fondamentali della storia dell’arte cerca di ricostruire degli schemi dello
sviluppo stilistico, dividendolo in cinque coppie polari.

1.Stile lineare-pittorico:

In fatto di tecnica, lo stile lineare comporta la volontà di rappresentare le cose come sono e
di dar conto della loro forma concreta e oggettiva. È caratterizzato dalla valorizzazione dei
contorni e tende a dare importanza ai singoli dettagli. Esso presuppone una percezione degli
oggetti che si può definire “tattile”, poiché ravvicinata e analitica. Ad esempio, il ritratto di
Eleonora di Toledo e il figlio Giovanni di Bronzino esplicano chiaramente questo stile.
Eleonora fu moglie del Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici, lei e il figlio morirono
precocemente di malaria perché seguirono Cosimo nei lavori di bonifica delle paludi.
Inventato da Tiziano a Venezia, il dipinto di Stato (che rappresenta dunque lo status sociale
di una famiglia o di una casata) ritrae nobili che indossano vestiti di ottima fattura, gioielli
conformi alla moda e oggetti preziosi accanto. Nel quadro di Bronzino ciò che spicca non è
tanto il volto della nobildonna quanto la trama del tessuto ricco di dettagli (come il motivo
stilizzato di una melagrana o le decorazioni nere in velluto di fattura spagnola) che cattura
l’attenzione. Questa rappresentazione della realtà non corrisponde al nostro modo di
osservare, c’è un sovraccarico di linee ferme. Lo stile pittorico, invece, da più importanza
alla luce e ai colori come “macchia”, le opere dunque sono più nitide. Questo comporta
l’intenzione di rappresentare le cose come “appaiono” e di restituire l’impressione soggettiva.
Esso presuppone una percezione “ottica” della scena, cioè distante e sintetica. Lo stile
pittorico si svincola dall’oggetto in sé per sé, non ci sono contorni e le superfici tattili
scompaiono. Un esempio può essere l’Impressionismo o l’Infanta di Spagna di Velasquez.
Rispetto al ritratto di Bronzino, l’utilizzo della luce è diverso soprattutto sul vestito (se si
guarda il quadro da vicino non si vedono i dettagli ma le pennellate). Con l’occhio integriamo
la luce a delle immagini.
2.Superficie-profondità:

In questo caso si analizza la composizione del quadro ovvero il modo di organizzare la


scena dal punto di vista spaziale: da un lato si ha la concatenazione degli elementi su un
piano o lungo piani ordinatamente disposti, dall’altro una libera dislocazione nello spazio.
Come confronto Wölfflin sceglie la stessa iconografia, Adamo ed Eva, e due artisti all'incirca
contemporanei ovvero Palma il Vecchio (che dipinge il quadro nel 1520-22) e Tintoretto
(invece nel 1550-1553). Palma il Vecchio pone le due figure in primo piano e frontali per
mettere in luce la sensualità e la bellezza dei corpi. I colori scuri dietro mettono in risalto i
due corpi statuari, messi in posa e in primo piano. Si rappresenta la bellezza dei corpi in
modo superficiale. Tintoretto preferisce invece la composizione libera e racconta l’episodio
utilizzando la tecnica della narrazione continua (il punto di fuga è dato da un movimento
diagonale che vede la loro cacciata dal Paradiso terrestre). Adamo è di schiena rovesciando
la prospettiva, in questo modo ci fa partecipare alla scena. Tintoretto utilizza una tavolozza
dei colori diversa rispetto a Palma, è più cupa, risaltando la drammaticità della storia. Usa il
suo linguaggio figurativo-formale per trasmettere emozioni e pathos.

3.Forma chiusa-forma aperta:

Questa polarità riguarda la distribuzione degli elementi sul piano e la forma globale che, di
conseguenza, assume l’immagine. Si ha una forma chiusa quando gli elementi si
distribuiscono sul piano secondo un preciso ordine. Le forme chiuse hanno strutture
semplici, compatte, simmetriche, coerenti, complete, isolate dall’ambiente (riconducibile
all’arte rinascimentale). La forma aperta si ha quando la disposizione degli elementi esula da
un qualsiasi ordine geometrico negando intenzionalmente la struttura del piano e il suo
perimetro. Le forme aperte hanno strutture irregolari, frastagliate, complesse, incomplete,
interagenti con l’ambiente (attribuibile alla scioltezza dello stile barocco). La Venere (1486
ca.), che prima si attribuiva ad Andrea del Sarto e poi a Franciabigio, è oggi stata
riconosciuta ad Andrea il Brescianino. Essa, insieme agli amorini, è posta in una nicchia e il
contesto intorno favorisce l’attenzione alla figura statuaria. Ha un carattere "tettonico" perché
ha una figura statica e monumentale. Rubens invece mette in scena un Andromeda che
interagisce con lo spazio, guardando l’angelo. La composizione partecipa alla vicenda inoltre
è rappresentata dinamicamente (capelli e veste svolazzante). È immersa in un paesaggio
che contribuisce alla storia, il pittore rende il corpo di Andromeda fluido e in relazione con le
altre parti del quadro.

4.Molteplicità-unità:

Questa polarità riguarda l’atmosfera e l’effetto pittorico. Nel primo caso, quello della
molteplicità, vige un principio di “coordinazione”, secondo il quale la composizione consiste
nel mettere in relazione elementi che godono, ciascuno, di una propria autonomia (cioè di
una forma, un colore locale, un chiaroscuro suoi propri); nel secondo caso, invece, vige il
principio della “subordinazione” di tutti gli elementi ad un motivo unitario (per esempio, nel
repertorio dei colori prevale una tonalità dominante; le forme esprimono un movimento
unidirezionale, il chiaroscuro è subordinato ad un solo effetto di luce, etc.). In un sistema di
composizione classica, come nel quadro della Venere d’Urbino di Tiziano (1534), le singole
parti conservano sempre una loro autonomia. Vasari attribuisce una mancanza di "banale"
adesione alla realtà. Ogni elemento è perfetto in sé e ogni dettaglio è nitido. Nella Venere
Rokeby di Velasquez, invece, ogni elemento concorre a formare un complesso unitario e
spiccano forme predominanti come le linee sinuose della donna che con i drappi di colori
diversi e posti in modo particolare contribuisce a mettere in luce la sua fisionomia. C’è
drammaticità e teatralità nel quadro, uno stile dinamico.

5.Chiarezza assoluta-chiarezza relativa:

Essa è un’antitesi che sembra coincidere con quella di lineare e pittorico: da un lato si ha
una composizione ben delineata e fissa, con una forma chiara e pienamente visibile;
dall’altro le figure danno un senso di inafferrabilità, cercando nell’apparizione fuggevole una
potenza espressiva. L'Ultima cena di Leonardo Da Vinci (1494-1498, Milano) ha uno stile
lineare, con rappresentazione in piano a forma chiusa, presenta molteplicità di dettagli e una
chiarezza assoluta. Da Vinci mette in scena il momento in cui Cristo dice "qualcuno di voi mi
ha tradito" e dipinge tutte le reazioni e sensazioni diverse di tutti i discepoli. Ha un senso di
architettura esemplare, con uno stile essenziale e dettagli curati nella loro piccolezza
(Francesco I di Francia voleva staccare la tovaglia dall’affresco perché era rimasto colpito
dalla rappresentazione dettagliata). Il tempo sembra eterno e ogni dettaglio è significativo.
L'Ultima cena di Giambattista Tiepolo (1745-1747, Louvre) ha uno stile pittorico, con
rappresentazione in profondità a forma aperta, presenta unità e chiarezza relativa. Tiepolo è
un teatrante e lavora sull’impressione, ha una composizione retorica perché lavora sul
rapporto luce/ombra con Cristo che emerge dal drappo e dallo guizzo di luce. Non importa
che l’osservatore non comprenda ogni singolo dettaglio, la scena in sé è fondamentale.

Anche i conoscitori si occupano di stile come Wolfflin ma in modo diverso. La figura del
conoscitore si cristallizza nell’Ottocento ma in realtà c’è sempre stato. Sono coloro che
fanno i riconoscimenti dei quadri dando delle attribuzioni, servendosi dell’occhio.
L’attribuzione di un’opera ad un artista viene fatta da un conoscitore che opera sulla base di
un’analisi visiva e formale, e analizza perciò lo stile e l’autenticità. Non è una pratica
scientifica ma sciamanica e Roberto Longhi è il capostipite di questa disciplina. Lo stile non
si può davvero spiegare. I principali conoscitori sono Giovan Battista Cavalcaselle (1819,
Verona-1897, Roma) e Giovanni Morelli. Cavalcaselle era un conoscitore autodidatta,
perfezionò i suoi studi dopo aver studiato all’Accademia delle belle arti di Venezia.
Successivamente partecipò al Risorgimento, fugge poi in Inghilterra dopo la caduta della
repubblica romana, e nel 1847 va a Monaco dove conosce Archer Crowe con il quale
pubblicò ‘Early flemish painters’ e ‘New history of painting in Italy’. Nel 1861, assieme al
patriota Giovanni Morelli, ricevette dal Ministero della Pubblica istruzione l'incarico di
redigere un catalogo delle opere d'arte di proprietà ecclesiastica nell'Umbria e nelle Marche,
allo scopo di conoscere il repertorio di beni all’interno delle neonate regioni. La
catalogazione permette di identificare quell'opera: attualmente si ha online il sito della
catalogazione dei beni culturali; il primo a fare questo procedimento è proprio Cavalcaselle.
In Umbria e nelle Marche c’era il bisogno di compiere un censimento di tutte le opere nelle
chiese perché molte erano state rubate. Questo è il primo grande catalogo dei beni culturali
italiano. Lui ha esperienza immonda e riconosce gli autori guardando lo stile quindi
riconosce velocemente le opere. Nel 1867 Cavalcaselle diventa direttore generale del
Museo nazionale del Bargello, successivamente diventa ispettore centrale presso la nuova
Direzione Centrale degli Scavi e dei Musei del Regno (1875- 93). Il metodo di Cavalcaselle,
al contrario di quello di Morelli, non si concentra solo sui dettagli più minuti di un’opera
d’arte, ma tiene in altissima considerazione tutti gli elementi di un dipinto, in particolare quelli
che contribuiscono a creare un preciso schema compositivo. In altre parole, Cavalcaselle
cercava di individuare gli aspetti salienti dello stile di un pittore: i tipi di forme utilizzati, la più
o meno spiccata propensione al dinamismo, il modo di abbigliare i personaggi e di rendere
le acconciature, la morbidezza del tratto. E questo per arrivare a un’analisi complessiva
dell’opera, in modo che ne uscisse uno schema che poteva essere paragonato a quello che
lo studioso si costruiva per un pittore la cui produzione era ben nota. Ciò significa che lo
storico dell’arte, studiando un artista, deve arrivare a una conoscenza del suo stile tale da
permettergli di comporre, come detto, uno schema mentale con il quale mettere a paragone
un’opera il cui nome non è noto: se lo schema di un’opera da attribuire potrà soddisfare in
modo ragionevole lo schema compositivo di un artista che lo storico ha delineato, ci saranno
buone probabilità che il dipinto sia proprio di quell’artista. Per riuscire a condurre al meglio il
proprio lavoro, Cavalcaselle aveva bisogno di una gran quantità di appunti e
disegni.Cavalcaselle si tratteneva di fronte alle opere d’arte, le studiava e le fissava sui suoi
fogli con brevi schizzi fatti a penna o a matita, che gli servivano per tenere memoria delle
peculiarità degli stili degli artisti che studiava. In un’epoca in cui la fotografia era ancora
molto macchinosa e dispendiosa, il disegno era un supporto imprescindibile per lo studioso:
e proprio per questa ragione, Cavalcaselle non tralasciava di fissare anche certi dettagli che
gli tornavano utili per tracciare il profilo di un artista. Anche Leonardo da Vinci sosteneva che
il disegno fosse il metodo migliore per analizzare un quadro perché mentre si disegna si
presta attenzione ai dettagli e si guarda l’opera. Sulla base dell’osservazione attribuiva i
quadri. La flagellazione di Urbino è un opera di Piero della Francesca. Lui era fedele
all’originale con la giusta prospettiva e scrive annotazioni sul colore e sulle pennellate. Nel
1973 a una mostra di Vienna viene esposto il San Sebastiano che è sempre stato attribuito
a Giovanni Bellini. Cavalcaselle però disegnando e analizzando il quadro nel suo taccuino
rimane convinto che sia da inserire nel corpus di Antonello da Messina. Pochi giorni dopo la
Gemäldegalerie di Dresda acquista il quadro come Antonello da Messina.
Giovanni Morelli (1816, Verona-1891, Milano) prima di dedicarsi all’arte studia medicina a
Monaco di Baviera infatti il suo approccio è scientifico e, come Wölfflin, crede di trovare la
razionalità nel modo di guardare le opere; egli, infatti, aderisce al pensiero positivista.
Lui studia l’anatomia comparata ovvero seziona parti anatomiche di animali diversi e li
confronta (compara l’anatomia tra gatto, cane, lupo eccetera). Mettere a confronto gli oggetti
e studiare comparandoli è proprio l’approccio che lo farà diventare un conoscitore. È famoso
per il metodo morelliano, metodo che intende fornire una base scientifica nell’attribuzione
di paternità dell’opera attraverso lo studio analitico dei vari particolari anatomici in apparenza
secondari (es. orecchie, mani, unghie, bocca,capelli, modi dei paesaggi, forme delle vesti e
dei panneggi) definiti cifre morelliane. Le maniere abituali dell’artista rappresentano il suo
stile sono il modo in cui di solito l’artista dipinge soggetti/oggetti. I motivi di sigla o le cifre
morelliane sono dunque i dettagli che l’artista mette nei suoi quadri: bisogna ricercare nel
quadro i “marchi di fabbrica” del pittore, fatti da lui in modo automatico e del tutto spontaneo.
Tra le tecniche espressive più significative alle quale applicare questo metodo sperimentale,
Morelli indica il disegno antico perché lo stato di conservazione del disegno è
tendenzialmente migliore del dipinto: permette una lettura più sicura dei caratteri
dell’originale; in più, attraverso il segno grafico, l’artista lascia trapelare con più
immediatezza il suo stile peculiare a una determinata scuola. Egli si differenzia da
Cavalcaselle per l’utilizzo della fotografia anziché del disegno. Morelli crea un metodo
universale, Cavalcaselle ne crea uno confacente a lui. In sintesi, Morelli usa come
parametro l’osservazione delle fotografie fatte ai quadri e fa delle comparazioni con i dettagli
delle opere invece Cavalcaselle, prendendo appunti sui suoi schizzi delle opere prese in
riferimento, cerca di attribuire un autore riconoscendo i punti salienti dello stile.

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