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Lara Scanu
Il presente lavoro si propone, a partire da alcuni fondamenti metodologici istituiti dalle opere di
Aby Warburg e Fritz Saxl, di condurre un’analisi iconologico – gestuale nelle opere di Caravaggio,
mediante una ricostruzione filologico – storica della personalità dell’artista e delle scelte
iconografiche.
L’esistenza di vari metodi di analisi applicabili alla storia dell’arte è importante ai fini di una
conoscenza il più possibile completa ed eterogenea dell’artista e delle opere oggetto di studio.
È comunque utile ricordare che ciascuna analisi che si compie è figlia non solo della temporalità
interna all’oggetto di studio, ma anche, e soprattutto, della dimensione temporale e, prima di tutto,
storica a cui appartiene lo studioso che vi sta lavorando.
«Quel che chiamate spirito dei tempi / è in sostanza lo spirito degli uomini / nei quali i tempi si
rispecchiano»: questa citazione dal Faust di Goethe è l’indispensabile punto di partenza per
chiunque si appresti allo studio di una disciplina storica e deve, in particolar modo, essere
fondamentale per chi, sulla base del proprio studio storico, ha bisogno di attuare una scelta critica,
di calpestare ed aprire una propria e nuova strada nell’ambito di una disciplina e di studi già ben
consolidati.
Con questi stessi versi si apre la dissertazione tenuta da Aby Warburg nel maggio del 1926 presso la
Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg che ha come tematica L’antico italiano nell’epoca di
Rembrandt. Tale esposizione sull’opera dell’artista olandese ha come intento quello di rovesciare il
punto di vista dell’analisi metodologica storico – artistica prevalente fino a quel momento, cercando
di condurre a termine una lettura eseguita agli occhi dello spettatore – studioso novecentesco, ma
non carico di tutte le esperienze e conoscenze a lui contemporanee, bensì filtrando il sapere solo
relativamente alle forme di antichità riconoscibili nell’opera di Rembrandt, un’antichità che è intesa
soprattutto come connessione di due elementi polari: la figuratività e il testo.
Queste due tipologie di temporalità che lavorano intrinsecamente nella mente dello storico dell’arte
e che producono la lettura dell’opera, sono legate da un terzo fattore, l’empatia, quel livello di
connessione inconscia che si instaura in primo luogo tra l’artista e l’opera che produce e poi tra
quest’ultima e lo spettatore che la fruisce, indipendentemente dalla vicinanza o lontananza
temporale esistente tra di loro. Altro fattore che interviene nel godimento estetico ed empatico di
un’opera d’arte è lo stato d’animo di chi la percepisce: questo elemento transitorio della personalità
umana diventa proprio, nel momento della percezione, dell’oggetto, così da essere avvertito non
come proveniente dall’io, ma come originato dall’oggetto stesso, che lo trasferisce al fruitore.
L’Einfülung, teoria che Warburg fa discendere dagli scritti dei due Vischer, altro non è che
«potenza creatrice di stile», è quell’elemento agente che ci consente di percepire il movimento
laddove non è presente, che rende dinamico lo statico: in definitiva che mette in moto l’immobile.
La dimensione storica, come è evidente, entra prepotentemente in questo meccanismo di lettura,
non solo per l’ingresso della duplice temporalità, presente e passata, nella comprensione
dell’immagine, ma anche nella definizione di una «psicologia storica dell’espressione umana»,
laddove si rintracciano degli elementi di permanenza gestuale presenti, in prima istanza, nelle opere
antiche e nel rapporto tra immagine e testo, intendendo con quest’ultimo anche il linguaggio
parlato, elementi, entrambi, che rappresentano i fondamenti dell’iconologia.
In tal senso, si può ricordare come Warburg, a partire da inizio secolo, cominciò a dedicarsi alla
spiegazione di questa sua fondamentale linea di ricerca; al termine della dissertazione tenuta in
occasione del X Congresso Internazionale di Storia dell’Arte di Roma (1912), dedicato all’Arte
italiana e astrologia internazionale a Palazzo Schifanoia a Ferrara conclude enunciando una
sintesi di tutti i percorsi che seguirà nei suoi studi:
« Finora l’inadeguatezza e l’universalità delle categorie evoluzionistiche hanno impedito alla storia
dell’arte di rendere disponibile il suo materiale ad una “psicologia storica dell’espressione umana”,
che resta tuttora da scrivere. […]Certo, un metodo simile non si deve far intimorire dal controllo
poliziesco dei confini, ma deve considerare l’Antico, il Medioevo e l’evo moderno come un’epoca
indissolubile e interrogare altresì le opere d’arte più pure o più utili, come documenti equivalenti
dell’espressione umana.»
A proposito del triangolo azione – parola – immagine, Warburg, nella sua lezione su Rembrandt,
sostiene:
«Finché le sporadiche concordanze tra parola e immagine non si annodano in un ordine sistematico
di corpi lucenti e finché, ad esempio, le connessioni di tipo naturale e formale tra arte figurativa e
dramma non sono riconosciute affatto nel loro reciproco legame, anzi non sono considerate
assieme, occorre concedere all’incriminato storicismo il diritto di tentare di esibire nell’immagine lo
spirito dei tempi a partire dalla voce e dalla forma dello spirito dell’epoca. Ma così facendo ci
escludiamo dall’ambito della connessione tra parola, azione e immagine, dato che finiamo per
essere noi la fonte dell’errore più grande.
Inoltre, lo spirito dei tempi si svela anche attraverso quella strada indiretta e poco frequentata che
consiste nel cercare di osservarlo come un principio selettivo consapevole presente nell’artista
quando tratta il patrimonio ereditario antico conservato grazie alla memoria.»
Chiariti questi aspetti fondanti, che costituiranno le linee guida, a livello storico – critico, si passerà
ad analizzare, in primo luogo, una delle due temporalità, quella di appartenenza di Aby Warburg e
Fritz Saxl, in particolare ci si concentrerà dapprima sui loro studi inerenti il Seicento e il gesto e,
successivamente, sul percorso seguito dalla critica italiana in quegli anni relativamente alla
valutazione e ricostruzione della personalità artistica di Caravaggio, facendo particolare riferimento
alla letteratura specializzata e alle occasioni di studio specifico a cui gli studiosi europei potevano
far riferimento per la conoscenza dell’artista lombardo, tentando di comprendere quali potessero
essere le motivazioni che spinsero i due studiosi tedeschi a non occuparsi in modo approfondito del
Merisi. Successivamente, partendo dagli assunti teorici rilevati nelle due macro aree poc’anzi
ricordate, si tenterà un’analisi iconologica di alcune delle opere caravaggesche più significative a
livello espressivo, concentrandosi sul tema del sacrificio e della decapitazione, tanto attinenti al
topos warburghiano, poi utilizzato da Saxl, Griff nach dem Kopf, inserendola in un contesto
filologico – storico utile a comprendere quali eventi in quel momento storico portarono l’artista a
coniare o riprendere determinate iconografie, rapportandole alla tradizione figurativa, testuale,
culturale e agli eventi della società a lui contemporanea.