Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
LEZIONE 1
DOMANDE PRELIMINARI
L’insegnamento qui impartito si chiama “storia della critica d’arte”; ma cosa significa? E
come si deve considerare la sua storia?
Inoltre, qual è il rapporto della storia della critica d’arte, dalla quale in Italia per lo meno viene
distinta come disciplina?
Appartiene infatti al settore scientifico disciplinare L-Art/04 (Museologia e critica artistica e
del restauro). Mentre Storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea sono oggetti di
altri settori (L.Art/01,02,03). Non ci è però di molto aiuto la definizione ufficiale della
disciplina del SSD L-Art/04:
Comprende gli studi di carattere teorico e metodologico sulla letteratura artistica, sulla critica
d’arte e sulla storia sociale e quelli sulla storia e l’organizzazione dei musei sulla didattica
museale, nonché sulle tecniche artistiche e sulla conservazione ed il restauro dei beni
artistici.
Anzi, la definizione fa sorgere ulteriori domande.
La critica d’arte e la “letteratura artistica” come anno distinte? E che differenza c’è tra “storia
della critica d’arte” e la “storia della letteratura artistica”?
La storia della letteratura artistica essendo il nome di un altro insegnamento impartito nelle
università italiane, in corsi di laurea magistrale in Storia dell’arte (compresa quella di questo
ateneo e in corsi di laurea triennale come il nostro).
Come appena accennato, sia storia della critica d’arte (SCA) che storia della letteratura
artistica (SLA) sono discipline specifiche alle università italiane. In quelle estere esse non
sono offerte quali insegnamenti specifici e non ci sono inquadramenti accademici analoghi a
quello di L-Art/04. Sono piuttosto quali indirizzi di ricerca, che portano nomi vari, ad es: Art of
Historiography, History of art writing, Historiographie de l’art, ecc.
In Italia tuttavia la prima cattedra di SCA risale al 1968, quando la professoressa Paola
Barocchi (1927-2016) la ottenne presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.
La denominazione SLA deriva dal libro (quasi) omonimo dello storico dell’arte austriaco
Julius Schlosser (1866-1938), “La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia
dell’arte moderna ([1935] 2008).
Ma chi era Schlosser? Allievo di Franz Wickhoff e insieme Alois Riegl e Max Dvoràk
massimo esponente della scuola di Vienna (espressione coniata dallo stesso Schlosser).
Dopo la laurea entra a fare parte dell’institut für Osterreichische Geschichtsforschung diretto
da Theodor Von Sickel (1826-1908), padre della moderna scienza diplomatica (lo studio dei
documenti quali testimonianze storiche).
1901: diventa direttore delle raccolte imperiali di scultura e di arti minori (confluite nel
Kunsthistorisches Museum) e inizia ad insegnare all’Università di Vienna.
1922: è chiamato alla cattedra di Storia dell’Arte presso l’Università di Vienna, già di Max
Dvorák.
La denominazione SCA, invece, risale al volume dello storico dell’arte e critico italiano,
Lionello Venturi (1885-1961). Storia della critica d’arte; pubblicata prima in inglese, poi
francese ed infine in italiano.
Ma chi era Venturi? Figlio dello storico dell’’arte Adolfo, dopo un periodo come Ispettore
presso l’amministrazione delle Belle Arti, ottiene la cattedra in Storia dell’Arte a Torino nel
1915. Nel 1931 rifiuta di prestare giuramento di fedeltà al regime fascista ed emigra prima in
Francia poi negli Stati Uniti. Nel 1945 torna in Italia, dove copre la cattedra di Storia dell’Arte
a Roma La Sapienza fino al 1955.
Dal momento che avrebbero dato luogo ad insegnamenti dai nomi distinti, vi sarebbe da
supporre una più o meno sostanziale diversità- in contenuti, nel metodo- tra le due
insegnamenti, come in effetti darebbe ad intendere il “Dizionario di arte” di Luigi Grassi e
Mario Pepe ([1995] 2003), che dedica loro (o alle discipline/istituzioni corrispondenti) due
voci distinte.
Letteratura artistica: conoscenza letteraria delle fonti, materiali, trattati, teorie, biografie e
criteri storiografici riguardanti gli artisti e le arti figurative in generale. La L. Artistica
comprende pertanto un vasto patrimonio letterario in cui gli scrittori d’arte non sono
necessariamente critici d’arte, ma anche anonimi od oscuri autori di guide (cioè l topografia
artistica), di poesie, o epigrammi sulla pittura, di bibliografia sulle fonti, ecc. questo ampio
concetto e significato della L. Artistica si distingue e si oppone a quello più circoscritto di
Storia della critica d’arte, quale è stato proposto nell’omonimo volume di L. Venturi (1948). Il
modello venturiano infatti intende impostare la trattazione nella dialettica tra il fatto
propriamente critico, e quello teoretico; per distinguere l’atto critico di uno scrittore d’arte, nei
confronti delle teorie, “poetiche”, estetiche o fonti di ordine letterario.
Storia della critica d’arte: esame critico della storiografia, e delle testimonianze dovute ad
artisti, dilettanti, teorici, conoscitori, poeti, letterati, ecc., concernenti le attribuzioni, i giudizi,
le vicende del gusto, intorno alle Arti figurative, e alle opere d’arte.
La S. Della critica d’arte sul piano della ricerca e della consultazione dei documenti, lettere
d’arte, biografie di artisti, concetti, termini, teorie estetiche, poetiche, ecc., si interessa al
campo stesso, più ampio, della Letteratura artistica, quale ravvisiamo nel fondamentale
modello offerto dal volume omonimo di J. Schlosser (1924/1964). Tuttavia, se ne distingue:
perché si propone di delimitare e definire storicamente, non soltanto il rapporto, o il
contrasto, tra le idee e le interpretazioni sulle opere e gli artisti dei singoli periodi, nella
situazione culturale e sociale cui essi appartengono, ma intende soprattutto individuare e
fissare l’originalità dell’atto critico, e della intuizione e comprensione, sovente in anticipo sui
tempi, da parte dei singoli scrittori d’arte, nei confronti degli artisti medesimi protagonisti dei
mutamenti del gusto.
Le voci sono distinte ma manifestamente correlate: sono infatti espliciti in entrambe i rimandi
alla disciplina sorella. Tuttavia, delle due discipline sembra predominare la SCA, forse in
quanto più connotata o specifica rispetto alla SLA. Benché concettualmente opposte,
entrambe le discipline si interesserebbero allo stesso “campo” di studio, agli stessi materiali;
ma una, la SCA, se ne occuperebbe in modo più “circoscritto” dell’altra.
Tale circoscrizione si rispecchia fosse in una serie di vocaboli i quali sono utilizzati per
caratterizzare la SCA ma che non vengono applicati anche alla SLA: attribuzioni, giudizi,
opere, conoscitori, concetti, idee, originalità, fatto/atto critico, (vicende del) gusto.
Mentre di specifico la SLA ha: (le arti figurative) in generale, trattati, criteri storiografici,
guide, poemi, epigrammi, bibliografia sulle fonti.
Cerchiamo di capire la ragione di tale specificità lessicale, confrontando tra loro i due volumi
eponimi, specie le parti introduttive, a cominciare dal volume di Schlosser.
Questo si divide in nove libri (preceduti da una premessa e da una introduzione), libri che
commentano scritti in prevalenza italiani, ma anche, sebbene in misura molto minore,
tedeschi, francesi, inglesi e spagnoli, e che spaziano dall’antichità classica fino al XVIII
secolo. Nella premessa lo stesso Schlosser precisa la natura delle fonti da lui raccolte e
commentate:
Il concetto stesso della scienza delle fonti ha bisogno di una limitazione: si intendono qui le
fonti scritte, secondarie, indirette; soprattutto quindi, nel senso storico, le testimonianze
letterarie, che si riferiscono in senso teoretico all’arte, secondo il lato storico, estetico o
tecnico, mentre le testimonianze per così dire impersonali, iscrizioni, documenti e inventarli,
riguardano altre discipline e possono qui essere materia soltanto di un’appendice.
Appendice che però non venne mai pubblicata.
I vari saggi compresi nel libro erano apparsi tra il 1914 e il 1920 sulla rivista
“Sitzungsberichte” dell’Accademia Viennese delle Scienze, col titolo Materialiper la scienza
delle fonti storico-artistiche. Inoltre, Schlosser aveva già curato: due raccolte di fonti,
apparse nelle “Fonti scritte per la storia dell’arte e la tecnica artistica del medioevo e
dell’epoca moderna”, collana inaugurata da Rudolf Von Eitelberger, titolare della prima
cattedra di Storia dell’arte presso l’Università di Vienna (1852) e da Albert Ilg, conservatore
del Kunsthistorisches Museum, nonché un’edizione dei Commentari di Lorenzo Ghiberti
[Ghiberti 1912].
Ma Die Kunstliteratur aveva origini ancora più lontane, nella formazione cioè di una propria
“biblioteca di storia e di teorie dell’arte, specialmente italiana, quasi completa e in ogni modo
notevolissima per un privato”. Attingendo alla quale Schlosser intendeva nel volume fornire
alla nascente disciplina storico-artistica una serie di strumenti, dal carattere filologico,
analoghi a quelli che si erano adoperati a raccogliere gli archeologi.
Come spiega Donata Levi nel suo Discorso sull’arte (2010), l’archeologia classica, disciplina
ormai istituzionalizzata, si era da tempo approntata gli strumenti che Schlosser nel 1924
intendeva fornire alla storia dell’arte. Al 1868 risalivano ad esempio, per l’arte greca, Die
antiken Schriftquellen di Johannes Adolf Overbeck, un corpus di passi desunti da testi
storici, filosofici, retorici, letterari dell’antichità contenenti informazioni su artisti e opere.
Sottolineando come il volume di Schlosser si distingua però da imprese come quella di
Overbeck: mentre Overbeck aveva suddiviso le testimonianze sulla base degli artisti,
ordinati cronologicamente, Schlosser fa opera critica ed ermeneutica, puntando alla
“dimostrazione dell’intrinseco valore storico dei suoi materiali”.
La citazione sul valore storico delle fonti raccolte è tratta dalla Premessa di Schlosser: la
scienza delle fonti deve anzitutto esplorare il materiale effettivamente esistente, e
trasmetterlo descrivendolo almeno bibliograficamente. Essa sale su un gradino più elevato
on l’elaborazione critica di questa materia prima, che deve naturalmente essere adattata ai
singoli periodi. Finalmente si innalza al rango di una disciplina storica indipendente, al pari
delle altre “scienze ausiliarie”,- per usare una volta tanto quest’espressione inesatta,- con la
dimostrazione dell’intrinseco valore storico di questo materiale, considerato con spirito
filosofico, trasformandosi quindi necessariamente, nel passare ai tempi più recenti, in una
storia della nostra disciplina.
Nella dedica all’amico filologo Karl Vossler, Schlosser esprime la propria insoddisfazione per
il volume quale esito delle sue ricerche, ascrivendole limiti e difetti ad un proprio
cambiamento di vedute, dovuto al crescente influsso su di lui del pensiero filosofico di
Benedetto Croce, motivo per i quale ciò che era iniziato come “manuale di scienza delle
fonti” ed era finito come un duplice aspetto attraverso gli accenni qua e là sensibili a
qualcosa di fondamentale diverso che pure poggia sulla stessa base e che mi preoccupa
sempre più, a una teoria cioè e a una storia della storiografia artistica…
Tanto è vero che l’opinione diffusa (e in parte giustificata) secondo la quale il volume
costituisce una sorta di “bibliografia ragionata” (com la chiama Venturi- idea che si
rispecchia anche nella voce Grassi-Pepe (“Bibliografia delle fonti”)- è in parte smentita da
passi come quelli in cui Schlosser insiste che da un punto vista storico e teorico si apriva un
“abisso profondo fra la concezione medievale e quella moderna del mondo e dell’arte”
oppure che “l’intellettualismo dominante, l’accentuata attività delle menti, la ricerca delle basi
scientifiche, cominciata nel Quattrocento italiano e volta ad inserire le arti figurative nella
classe delle antiche “arti liberali”, tutto dimostra che non era ancora affatto superato l’antico
concetto dell’arte, quale ci è rimasto in qualche locuzione usuale (“arte culinaria” e simili)”.
E più equa risulta la caratterizzazione del volume suggerita da Donata Levi:
Sistematica ed esaustiva ricognizione degli scritti sull’arte della tarda antichità al
Settecento… lavoro di raccolta monumentale, preceduto da una breve, ma densa
introduzione che traccia le linee di sviluppo della letteratura artistica nel periodo preso in
esame.
Introduzione che spiega altra peculiarità della definizione della SLA di Grassi e Pepe, la
quale presenta, tra i vocaboli specifici di essa, più nomi di generi testuali: trattati, guide,
generi, epigrammi. Indizio infatti della “sistematicità” della ricognizione di Schlosser è
l’accento che pone nell’interruzione (sottotitolato inizio della letteratura artistica occidentale)
sui vari generi o classi testuali di appartenenza degli scritti intorno all’arte più antichi che ci
sono pervenuti, generi dalla vita duratura che pertanto serviranno allo studioso nello
strutturare le varie fasi cronologiche della sua trattazione.
Generi che sono:
Il Trattato: quella letteratura “fiorita negli ambienti artistici”, di argomento tecnico, di cui
l’unico esempio che si è conservato è il trattato di Maro Vitruvio Pollione (80 a.C. Circa) De
Architectura.
La Biografia d’Artista: tipologia di scritto che deriva “da ambienti profani, dal pubblico degli
autori e degli osservatori”, di cui gli unici esempi giunti a noi si trovano all’interno della
Naturalis historia, opera enciclopedica, in 37 libri, di Gaius Plinius Secundu, dett Plinio il
Vecchio (23/24-79), di cui i libri XXXIII-XXXVII si occupano dei metalli, delle pietre e delle
terre e del loro utilizzo nella medicina, nell’arte e nell’architettura.
Un genere di carattere topografico, detta Periegetica (dal nome greco che indica quella
persona incaricata d accompagnare i forestieri nella visita di templi e monumenti), di cui è
rimasta un’unica opera completa, un libro in dieci libri di Pausania, dal titolo variamente
tradotto: Viaggio in Grecia / Guida alla Grecia / Descrizione della Grecia / Geografia.
L’Ekphrasis: descritto da Schlosser quale genere “del tutto soggettivo, che appartiene
all’ambiente dei poeti, dei retori e dei giornalisti, e che si serve dell’opera d’arte soprattutto
come stimolo e pretesto a far mostra di brio, di arguzia e di umorismo”, ma che “ha frequenti
occasioni ala critica stilistica, particolarmente in un fine conoscitore come Luciano”.
E infine gli Epigrammi: (“fiore squisito dello spirito greco”), conservati ad esempio nella
cosiddetta Antologia Palatina, compilata a Costantinopoli intorno alla metà del X secolo, il
cui manoscritto, diviso tra Heidelberg e Parigi, sarebbe la copia ampliata di un antologia di
poco precedente, ma perduta.
LEZIONE 2
DOMANDE PRELIMINARI (2)
LEZIONE 2
DOMANDE PRELIMINARI (2)
Passiamo ora a considerare il volume cui risale la denominazione disciplinare di SCA,
l’omonima Storia della critica d’arte di Lionello Venturi. Ma prima di procedere, sarebbe da
notare che, non meno della “Kunstliteratur” di Schlosser, anche la Storia di Venturi
rappresenta l’esito finale di ricerche avviate in anni anche molto precedenti: si vedano
Venturi 1917, 1922, 1925, 19941, ed in particolare il libro “Il gusto dei primitivi” ([1926]1972),
in cui, come ricorda lo stesso Venturi nella SCA, aveva già “tentato di scrivere una storia
della critica d’arte da Platone a Ruskin, limitandola a un solo problema, quello del giudizio di
valore agli artisti primitivi” (col termine “primitivi” si intende coloro che sono venuti prima di
Giotto e Raffaello per quanto riguarda l’arte della pittura, perciò nel Medioevo). Ruskin era
uno storico dell’arte inglese che agì nell’interesse della scoperta e l’identificazione dei
“primitivi”. Occorre innanzitutto correggere l’impressione che si potrebbe trarre dalla voce
sulla SCA in Grassi-Pepe 2003 che il volume di Venturi fosse più limitato per estensione
cronologica rispetto a quello di Schlosser. In realtà, da questo punto di vista La storia della
critica d’arte risulta più ampio della monumentale Kunstliteratur: spazia infatti dall’antichità
classica fino al Novecento, arrivando a trattare persino il pensiero architettonico di Frank
Lloyd Wright, che sarebbe morto nel 1959.
Ma quali sono i materiali trattati da Venturi? Quali i criteri di scelta e di commento adottati?
Ed in che modo essi giustificherebbero l’adozione in Grassi-Pepe 2003, nel riguardo
specifico della SCA, dei termini precedentemente elencati (e che per comodità si riportano di
nuovo qui sotto)?. Ma cosa intende Venturi per “giudizio”, termine variamente qualificato nel
corso del volume aule “artistico”, “critico”, “estetico”? Essenzialmente un giudizio sulle opere
d’arte o sugli artisti in quanto tali (ossia, come produttori di opere d’arte). Infatti, secondo
l’autore condizione necessaria di critica sarebbe “l’esperienza intuitiva delle opere d’arte”, in
particolare di quelle d’arte contemporanea: “questo ritorno continuo all’origine, all’impulso
intuitivo, al contatto con l’opera d’arte, al contatto di uomo a uomo, di spirito a spirito”. Dalle
espressioni “esperienza intuitiva” ed “impulso intuitivo” trasparenza il fatto che da un punto di
vista teorico anche il volume di Venturi, come quello di Schlosser, ma ancor di più e in
maniera più esplicita, si appoggia alla filosofia di Benedetto Croce, che nell’Estetica (1908)
aveva definito l’arte quale manifestazione primaria della conoscenza “intuitiva”, che in quanto
“conoscenza delle cose nella loro concretezza e individualità” viene distinta dalla
“intellettuale”.
Secondo Croce la conoscenza intuitiva sarebbe appunto conoscenza anche in quanto la
stessa intuizione si distinguerebbe dalla semplice sensazione, che sarebbe il motivo per cui:
Ogni vera intuizione o rappresentazione è, insieme, espressione. Ciò che non si oggettiva in
LEZIONE 3
DOMANDE PRELIMINARI (3)
Le definizioni della SCA come disciplina non si esauriscono naturalmente con quella
fondante di Venturi, né le discipline o aree di studio affini alla SCA ma distinte da essa si
esauriscono con la SLA schlosseriana. Nell’Introduzione programmatica ad un suo manuale
ad uso di studenti universitari iscritti ad un corso di laurea in Storia dell’Arte che prendesse
un insegnamento di SCA e/o di SLA, Donata Levi spiega come la scelta del titolo Il discorso
sull’arte tradisca la difficoltà di individuare con una dizione più concisa un ambito di studi che
in anni recenti è diventato sempre più difficile da delimitare e da mettere a fuoco.
Osserva inoltre Donata Levi che, sebbene il “titolo della disciplina nelle nostre università”
continui “a essere, tranne alcune più fantasiose eccezioni, Storia della critica d’arte o, in
netta minoranza, Letteratura artistica, a seconda che in passato si fossero adottati, più o
meno consapevolmente, come modelli Lionello Venturi o Julius Schlosser”, alla stabilità
istituzionale della denominazione fa riscontro invece una significativa varietà terminologica
nei modi con cui la disciplina è stata vi via definita nel dibattito specifico.
Varietà che, oltre alle canoniche SCA e SLA, comprenderebbe: la “critica d’arte” delle
Proposte per una critica d’arte di Roberto Longhi (1950). Dicitura con la quale Longhi si
oppone all’impostazione teorico-filosofica della SCA di Venturi, proponendo piuttosto “una
storia di evasioni, riuscite o no, dalle chiuse dottrinali”, a favore di una concezione della
critica quale “illuminazione acerrima, terebrante (significato: penetra fino ad arrivare alla
definizione)” di un’opera.
La “storiografia” cui accenna il titolo del contributo di Paola Barocchi sulla Storia dell’arte
einaudiana.
La “storia della storia dell’arte”: titolo di una storia della disciplina universitaria dello storico
dell’arte tedesco Heinrich Dilly (1979), dicitura in varie forme ripresa da altri autori: da
Donald Preziosi nell’antologia The Art of Art History (1998); da Rolan Recht et al (2008); da
Orietta Rossi Pinelli (2014); da Michela Pasini (2017); da Christopher Wood (2019).
Perfino la definizione “provvisoria” da cui Elkins parte risulta problematica: come egli stesso
giustamente osserva, una presunta funzione valutativa non costituisce una base adeguata
per distinguere la critica da una storia dell’arte concepita per contrasto quale “descrittiva”
LEZIONE 4
LA CRITICA D’ARTE COME DISCORSO
Nell’ultima lezione abbiamo visto come Donata Levi sia stata portata a caratterizzare ciò he
persiste nel considerare un’unica (per quanto multiforme) disciplina - un unico “ambito di
studi” - con il nome de “il discorso sull’arte”. Per i problemi inerenti alla definizione della
critica d’arte sollevati (ad esempio) da James Elkins. Altrimenti per la proliferazione di una
terminologia alternativa alla denominazione canonica di SCA. Per la “limitazione” al concetto
di Quellenkunde imposta da Julius Schlosser nella LA. O per altre ragioni ancora.
LEZIONE 5
LA CRITICA D’ARTE COME DISCORSO
Abbiamo appena detto che la critica d’arte non si intenderà in questo corso quale tipologia
testuale particolare né come genere particolare: come invece lo definì esplicitamente Albert
Valutare
Ossia, rappresentare l’ente in termini di valore o di merito, secondo un determinato criterio
(E se fra’ Filippo fu raro in tutte le sue pitture, nelle piccole superò se stesso./Masaccio
maturo, sta bene/Senza dubbio questa è una delle più gloriose creazioni di Renoir nel suo
primo periodo impressionista…)
Caratterizzare
Ossia, rappresentare l’ente in termini di ‘carattere’, la sua maniera distintiva di essere di
apparire, il suo impatto visivo o affettivo, come presenza espressiva (Le ombre che
dipingeremo saranno più luminose delle luci dei nostri predecessori…/Una composizione
armonica è bilanciata, ma una composizione bilanciata non è detto che sia armonica.)
Paragonare-a
Ossia, rappresentare l’ente in termini di somiglianza o di dissomiglianza (E veramente la
storia pittorica è simile alla letteraria, alla civile, alla sacra./Simile è la testa della Vergine: le
mani rassomigliano a quelle di Lei nel quadro di Londra./… la Flagellazione di Cristo a
Ora, con quali modalità avanza, progredisce un testo dalla tipologia individuativa? In altri
termini, come vengono coordinati tra loro i singoli enunciati che insieme lo compongono?
Seguono definizioni ed esempi relativi ai principali atti coordinativi di cui può avvalersi il
parlante. Negli esempi sono evidenziati in rosso le espressioni indicative di un certo tipo di
coordinamento (che però non sempre sono presenti: il nesso coordinativo può essere
espresso ed inteso senza indicazione esplicita).
Un enunciato (y) spiega un altro (x) quando rappresenta un situazione che determina per
nesso causale (anche motivazionale) quella rappresentare in x.
Spiegare
X, a causa del fatto che Y (La scuola Senese e la scuola Fiorentina del Trecento non
producono dopo Giotto e Simone un solo grande artista perché invece di camminare per la
propria via tentano di darsi la mano.)
Un enunciato (y) giustifica un altro (x) quando adduce un argomento teso a mostrarne la
giustezza.
Giustificare
X, poiché Y (Deve dominare il colore poiché privilegio tipico del genio italiano).
Un enunciato (y) illustra un altro (x) quando adduce esemplificazione atta ad esplicarlo.
Illustrare
X, ad esempio Y (Anche la statua in tutto tondo isolata nella spazio [almeno
apparentemente] ha bisogno di un fondo acconcio di tenda per potervi disegnare meglio il
suo profilo elegante e vibratile. Anche nella cosiddetta statua può valere adunque, talora, il
profilo di linea funzionale e perfino floreale. Così accade per esempio per una statua di
Prassitele—tutta vibrazione ionica di margini corporei—così per una di gotico francese, tutta
insinuata mollezza di linee discendenti: un Simone Martini in scultura.)
Un enunciato (y) complementa un altro (x) quando rappresenta una situazione che risulta
conseguire da quella rappresentata in x.
Complementare
X, ne consegue che Y (Il Cubismo intendeva reagire allo spirito cartesiano e bergsoniano del
momento, verso la conquista di un assoluto plastico. La filosofia dello spirito voleva
sostituirsi alla filosofia della vita.)
Un enunciato (y) modifica un altro (x) quando mira ad attenuarne la forza o pretesa di
validità o a smentirne le implicazioni.
Modificare
X, sebbene Y (Nella centesimaquarta Olimpiade fiorì Prassitele famosissimo scultore, il
quale, e nel bronzo, e nel marmo dimostrò la virtù sua, benché nel marmo egli superasse se
stesso./Un altro degli affreschi meno rovinati è quello della cattura di nostro Signore, che
Un enunciato (y) si contrappone a un altro (x) quando rappresenta una situazione che è in
contrasto con quella rappresentata in x.
Contrapporsi
X, viceversa Y (Beato Angelico è uno di questi timidi pittori che non si risolvono a prender
partito. Egli—vedete—comprende tutto: ama le vivide e delicate tinte gotiche per poterle
abbandonare— ne usa infatti e talora mirabilmente; d’altra parte come gli paion belli quei
ghirigori, quei riccioli, quelle sinuosità floreali del panneggio leggero dei senesi e le adopera
sempre, un poco; però, gli piace anche il miracolo del chiaroscuro!)
LEZIONE 6
IL TRATTATO ATTRAVERSO I SECOLI
Nella prima lezione abbiamo visto come Schlosser abbia sottolineato le origini classe e, ed
in particolare greche, della LA, e insieme la longevità culturale di quanto si è conservato
della “ricca e perduta ‘biblioteca artistica’ del mondo classico”.
Come la maggior parte delle manifestazioni culturali dell’Europa, anche la letteratura che si
riferisce all’arte figurativa ha le sue radici su suolo ellenico. Di questi primi scritti soltanto
pochi e tardi ci sono pervenuti direttamente, ma il loro spirito e la loro materia hanno
continuato ad avere efficacia, quasi direi, fino ai nostri giorni.
Abbiamo anche accennato al fatto tutta la trattazione di Schlosser è strutturata in modo da
dimostrare la longevità culturale in particolare dei generi testuali riferiti all’arte che furono
stabiliti presso i greci e i romani: trattato; biografia; periegetica; ekphrasis; epigramma.
Inizieremo oggi la prevista panoramica della critica d’arte—nell’accezione proposta nelle
ultime due lezioni—a partire proprio dall’antichità classica, in particolare da quella romana
imperiale. Focalizzando l’attenzione su un testo che costituisce “l’unica teoria dell’arte che è
giunta fino a noi nella sua interezza” e più specificatamente il primo trattato dlla SCA o SLA,
ossia De architectura, scritta probabilmente tra il 27 e il 23 a.C., da Marco Vitruvio Pollione
(80 a.C. Circa - dopo 15 a.C.)
Come osserva Lionello Venturi, le “idee architettoniche dell’antichità” ci sono note grazie
proprio al trattato di Vitruvio, il primo scrittore che tratti compiutamente dell’architettura,
compendiamo ecletticamente da varie fonti greche, tra le quali sembra predominare
Ermodoro (XI secolo). È infatti possibile ravvisare sovrapposte e spesso confuse le
successive concezioni della bellezza come simmetria o pura proporzione numerica, come
Il brano presenta molte affinità con il secondo capoverso di quello tratto da Vitruvio.
Anche qui il testo ipotizza la valutazione delle opere architettoniche secondo determinati
criteri, precedentemente definiti equi riassunti nei termini strength (forza, potere) e beauty
(bellezza) (che come già cenato ripropongono due dei tre criteri vitruviani).
D’altra parte, oltre al fatto che vengano precisate in maggior dettaglio le condizioni
necessarie perché l’esito della valutazione sia positivo e l’edificio dichiarato Well built (ben
costruito), tali condizioni si distinguano da quelle specificate nel testo di Vitruvio per
l’insistenza sull’aspetto economico del lavoro.
Ma ancor più significativa è la diversa caratterizzazione dell’architettura quale ente
sottoposto ad individuazione.
Già nel titolo del capitolo e nel l’affermazione di apertura l’architettura viene presentata non
tanto quale attività professionale produttrice di opere degne o meno di lode, quanto piuttosto
—quasi fosse una persona—individuo capace di un comportamento morale, le cui”virtù” si
manifestano attraverso opere delle tipologie ben distinte e particolari e grazie a specifiche
capacità mentali dell’architetto, che alla fine del primo capoverso emerge come protagonista
del processo architettonico e fonte della cifra morale delle costruzioni da lui progettate.
Ne consegue che vi è una maggiore enfasi in questo brano sulla funzione particolare del
singolo edificio; e vi gioca pertanto un ruolo cospicuo l’atto coordinativo dell’ illustrare, del
tutto assente invece da quello vitruviano.
Ad esemplificare infatti le virtù architettoniche viene da Ruskin evocata una precisa tipologia
di opera architettonica—il faro—con i suoi ‘doveri’ particolari.
Segue una ulteriore, elaborata illustrazione, volta ad inscenare la valutazione ipotetica di
un’altra tipologia di opera architettonica ed in tal modo a precisare quali capacità mentali
sono richieste all’architetto, anche di tango non eccelso, perché si possa realizzare: siamo
invitati ad assistere alla costruzione di un ponte e a leggere in esso L’ingente impegno
intellettuale e morale che essa comporta. All’interno dell’illustrazione ve ne è un’altra: si
danno esempi delle “molte cose” che era necessario che l’architetto conoscesse e
comprendesse. Illustrazione che funge come giustificazione anticipata della valutazione
conclusiva del ponte, valutazione interpretativa ‘dell’uomo nella cosa’.
Per Ruskin, come Vitruvio, nelle opere di architettura si manifestano le capacità intellettuali
dell’architetto, che si distingue nettamente dai muratori ed artigiani che la realizzano.
Ma per Ruskin tali capacità mentali sono anche capacità morali, che si manifestano
soprattutto nel secondo ‘dovere’ dell’architetto e della sua opera, quella relativa alla
bellezza; e qui però la distinzione tra architetto ed artigiano si confonde—una bellezza frutto
del pensiero anche povero ma autentico dell’artigiano essendo per Ruskin caratteristica
essenziale dell’architettura per eccellenza, quella gotica. Come viene argomentato altrove
nelle Pietre di Venezia, nel celebre capitolo intitolato The Nature of Gothic.
Il terzo brano è scritto dall’architetto finlandese Juhani Pallasmaa (1936-), ed è tratto dal
libro The Eyes of The Skin (Gli occhi della pelle).
Il titolo del libro viene così spiegato dall’autore nella sua Introduzione:
Col titolo Gli Occhi Della Pelle volevo esprimere la portata del senso del tatto nella nostra
esperienza e nella nostra comprensione del mondo, ma intendevo anche creare un
cortocircuito concettuale tra il senso dominante, la vista, e la modalità sensoriale soppressa,
LEZIONE 7
LA BIOGRAFIA ARTISTICA ATTRAVERSO I SECOLI
In questa lezione si proporrà una riflessione analoga a quella svolta nella scorsa e che
riguarderà un altro dei generi testuali che sin dalle più antiche fasi della storia culturale
dell’Occidente sono stati riferiti all’arte.
Si tratta della biografia, o—come si tenderà a chiamarlo nel rinascimento italiano (sulla scia
anche delle “Vite de Plutarcho traducte de latino in vulgare” stampate all’Aquila nel 1482)—
la vita d’artista.
Ci occuperemo in primo luogo della raccolta più antica di vite di artisti di cui disponiamo—
raccolta contenuta (come accennato nella lezione I) in alcuni libri della “Naturalis historia” di
Plinio il Vecchio.
Da questo testo estrarremo un brano che confronteremo con due tratti invece da testi affini,
per quanto riguarda il genere, ma di epoche diverse: i quattrocenteschi “Commentariii” dello
scultore Lorenzo Ghiberti (1378-1455) e la “Breve ma veridica storia della pittura italiana”,
delle dispense scritte per gli studenti dei licei Visconti e Tasso di Roma da Roberto Longhi
nel 1914.
Come in precedenza, l’intento sarà quello di illustrare attraverso il confronto non soltanto la
longevità del genere ma anche i modi in cui esso si è trasformato nel tempo, soprattutto
nella dimensione esplicativa (predicativa e coordinativa) del testo, nonché gli stretti rapporti
che da sempre in riferimento all’arte legano tra loro il genere biografico e quello
storiografico.
Infatti, in un suo articolo sulla tradizione squisitamente occidentale della storiografia artistica,
Salvatore Settis definisce la biografia artistica quale genere che dispone “in narrazione
storica le vite degli artisti e le loro opere”; e proprio dei “Commentarii” di Ghiberti, Settis nota
che essi contengono biografie di artisti, organizzate secondo una parabola evolutiva, il cui
inizio nell’antichità greco-romana—tolto dalla “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio—è
delineato nel primo Commentario…
Ora, non solo i Commentarii (come anche la Naturalis Historia pliniana) contengono
biografie di artisti, ma il modello evolutivo comune a tutti e due i testi—modello connotato da
quelle idee di progresso, di perfezionamento e di decadenza dell’arte tanto biasimate da
Lionello Venturi [ad es. 1964,99]—è di per se stesso biografico, in quanto ripropone niente
meno che la ‘curva’ ineluttabile di ogni vita umana.
Viceversa la “Breve ma veridica storia” di Longhi offre un modello storiografico diverso, che
si potrebbe quasi associare a quella “Storia critica dell’arte” cui aspirava Venturi—una storia
della pittura pur sempre evolutiva, ma non dominata ed ordinata dalle idee di progresso, di
perfezionamento e di decadenza.
Dedicata nel 77 d.C. all’imperatore Tito (di cui Plinio era consigliere) la Naturalis Historia è
opera (come si è detto) enciclopedica, di cui 37 libri costituiscono “una vera e propria
Viene ora ripresa la discussione dei “singoli colori dei primi pittori”, già avviata nel libro
XXXIII, per passare solo in seguito (“giacché l’ordine stesso dell’opera presente esige che
noi mostriamo prima la natura dei colori”) all’elencazione dei pittori “che inventarono” e delle
loro invenzioni—ad iniziare dai “celebri” o “capi” (proceres) per passare poi a quelli di
seconda categoria (primis proximi), ai non ignobiles e infine alle pittrici.
Il brano sul quale ci soffermeremo è tratto dalla sezione dedicata ai più eminenti tra i pittori e
riguarda in particolare Parrasio (o Parrhasios), un pittore di Efeso di cui Plinio pone il floruit
intorno a 420 a.C., ma che probabilmente visse in epoca precedente.
67—Parrhasios, nato ad Efeso, fu anch’egli autore di molte scoperte [“multa contulit”,
portò/raccolse insieme/contribuì molte cose]. Per il primo dette alla pittura le norme della
simmetria, eseguì per il primo i minuti particolari del viso, l’eleganza dei capelli, la bellezza
della bocca, e, per riconoscimento degli altri artisti, raggiunse la perfezione nelle linee di
contorno dei corpi; le quali costituiscono il maggior pregio per una pittura. È certamente,
infatti, prova di grande perizia dipingere i corpi e le zone centrali degli oggetti, ma è perizia di
cui partecipano molti; invece rendere l’estremità dei corpi e saper racchiudere e limitare il
giro dei piani di scorcio, là dove termina l’oggetto rappresentato: questo raramente riesce
bene.
68—La linea di contorno deve infatti come girar su sé stessa, e finire in modo da lasciar
immaginare altri piani e altre linee al di là, quasi che, in certo qual modo, volesse mostrare
anche parti che necessariamente occulta. Questa gloria gli concessero Antigonos [scrittore e
È un brano cui accenna Roberto Longhi nelle Proposte per una critica d’arte, riferendosi in
particolare al passo sulla linea di contorno:
È significante che, volendo parlare degli artisti figurativi, Plinio sia costretto a includerli in
una Storia naturale, come utenti di materiali naturalistici. E, del resto, anche nei tanti autori
greci e romani da cui desume, sento che la buona critica si nasconde piuttosto entro la
vicenda semantica dei vocaboli, che in altro. I trapassi di parola da arti diverse, “tonon,
armoghè” e simili, la dicon più lunga che i soliti rilievi di progresso nella eterna “mimesi”. Su
tutto spicca la famosa definizione “de lineis” tratta certo, e di presenza sensibile, da qualche
opera di Parrasio: “Ambire enim se ipsa debet extremitas et sic desinere ut promittat alia
post se ostendatque etiam quae occultant”. Definizione tanto aderente che la moderna storia
della critica credette di scoprirla soltanto nell’Aretino che si era limitato a trascriverla
letteralmente; per dirla schietta, a plagiarla.
LEZIONE 8
LA BIOGRAFIA ARTISTICA ATTRAVERSO I SECOLI
Ora confronteremo la breve biografia pliniana del pittore Parrasio con quella di Giotto posta
in apertura del secondo dei tre Commentarii di Lorenzo Ghiberti, nonché con un passo tratto
dalla Breve ma veridica storia della pittura italiana di Roberto Longhi. Sono passi scelti con
l’intento di illustrare, per brevi ma significativi accenni, i modi in cui si è trasformato nel corso
del tempo il genere della biografia artistica, sia in sé che come modello storiografico.
Come si è visto, la complessiva funzione storiografica delle biografie contenute nei
Commentarii di Ghiberti è stata sottolineata da Salvatore Settis, che le descrive quali
“organizzate secondo una parabola evolutiva, il cui inizio nell’antichità greco-romana—tolto
dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio—è delineato nel primo Commentario”.
E proprio in quanto storiografo, protagonista del ridestato “senso storico” del Rinascimento
italiano, Ghiberti è ritenuto da Schlosser “l’antenato” per eccellenza “della letteratura storico-
artistica nel vero senso della parola… tanto più che egli, provenendo direttamente dalla
Ma come ci ricorda Donata Levi, la storiografia artistica di Ghiberti, come anche quella di
Plinio, è storia costituita proprio dagli “apporti delle singole individualità”; conseguentemente,
il testo passa da una modalità di progressione di tipo narrativo e consecutivo a quella
individuativa, scegliendo quale ‘oggetto’ da individuare proprio Giotto pittore, la
constatazione valutativa della cui grandezza è il punto d’arrivo della narrazione introduttiva,
in quanto evoca l’esito di un processo di auto-trasformazione (Fecesi Giotto grande nell’arte
della pictura).
Tutto il resto della biografia, costruita per la maggior parte “sulla base delle opere”, giunge a
giustificare tale constatazione.
A partire da una sequenza di predicazioni d’azione (figurate) di cui è soggetto Giotto:
Arrechò l’arte nuova, lasciò la rozeza de’ Greci, sormontò excellentissimamente in Etruria. E
fecionsi egregiissime opere e spetialmente nella città di Firenze et in molti altri luoghi, et
assai discepoli furono tutti dotti al pari delli antichi Greci. Vide Giotto nell’arte quello che gli
altri non agiunsono. Arecò l’arte naturale e Ia gentileza con essa, non uscendo delle misure.
E che nella maggior parte dei casi introducono nel discorso—quali prodotti, fuochi o punti di
riferimento di tali azioni—degli oggetti (l’arte nuova; la rozeza dei Greci; quello che gli altri
non aggiunsono; l’arte naturale; la gentileza; le misure) che servono a caratterizzare in modo
più o meno indiretto la pittura così come la praticò e come la concepì Giotto.
A tali caratterizzazioni indirette sono abbinate valutazioni sia indirette (egregiissime) che
dirette (dotti) dei discepoli di Giotto e delle loro opere.
Schlosser suggerisce che per misure Ghiberti intenda per lo più proporzioni, talvolta
simmetria.
Venturi commenta così il passo:
Come spiega il Ghiberti la grandezza di Giotto? “Arrecò l’arte naturale e la gentilezza con
essa non uscendo dalle misure”. Se “arte naturale” e “misure” derivano da Plinio,
“gentilezza” indica l’affinità tra Cennini e Ghiberti: si tratta della nobiltà del sentire.
Giotto viene poi valutato (Fu peritissimo in tutta l’arte) e classificato (Fu inventore e trovatore
di tanta doctrina) in termini che richiamano puntualmente la storia dell’arte pliniana quale
storia degli artisti-inventori e che richiedono una spiegazione generale evocativa di leggi
della natura:
“Fu peritissimo in tutta l’arte, fu inventore e trovatore di tanta doctrina la quale era stata
sepulta circa d’anni 600. Quando la natura vuole concedere alcuna cosa, la concede sanza
veruna avaritia.”
Concludiamo questa lezione con la lettura di un brano dalla Breve ma veridica storia della
pittura di Roberto Longhi, di cui narra la genesi Cesare Garboli nell’Introduzione all’edizione
BUR.
Quando scrisse la Breve ma veridica storia della pittura Italiana, nel 1914, Longhi aveva
ventiquattro anni. Si era laureato a Torino discutendo col Toesca una tesi sul Caravaggio;
poi, nel 1912, un anno dopo la laurea, era sceso a Roma per frequentarvi, stipendiato, la
scuola di perfezionamento del Venturi [Adolfo] alla quale era stato ammesso dopo un
colloquio sul Tura. Intanto, preso alloggio a vita Urbana, insegnava nei licei Tasso e
Visconti. E qui, per gli studenti liceali, preparò alla fine dell’anno scolastico 1913-14, tra il 15
giugno e il 4 luglio, un paio di settimane incandescenti se si deve credere alla denuncia,
nell’explicit, del caldo intollerabile di quei giorni, un promemoria, in vista degli esami di
maturità, un breviario, una sorta di Bignami che riassumesse, in poche formule essenziali e
in termini facilmente assimilabili e memorizzabili, il corso delle lezioni impartite dalla
cattedra.
Il brano è tratto dalla Parte I del libro (Idee), volta ad esporre quegli “elementi” tramite i quali
il pittore “trasfigura l’essenza visiva” della realtà, giungendo così ad offrire, non una
imitazione, bensì una “interpretazione individuale” e propriamente pittorica di essa—elementi
che costituiscono infatti “una serie di modi di visione pittorica, degli stili diversi insomma”, le
cui “vicende” saranno raccontate nella Parte II (Storia):
Un’opera ci piace: è gusto; un’altra ci piace per le stesse ragioni che scopriamo essere
ragioni di espressività lineare, supponiamo, o coloristica. Porre la relazione fra le due opere
è anche porre il concetto della Storia dell’Arte, come almeno intendo io, e cioè null’altro che
la storia dello svolgimento degli stili figurativi: le vicende della linea del colore della forma per
opera degli artisti di genio, non dei braccianti della pittura.
Così, in base a questi semplici criteri, non aspettate da me copia di nomi, di date, di
biografie più o meno aneddotiche; ma soltanto la catena ideale che lega i più grandi artisti
italiani a seconda dei loro intenti stilistici. Il che, non è poco.
Il primo di tali elementi fondamentali ad essere presentato ed esplicativo è lo “stile lineare”:
Stile lineare
È un modo di visione per cui l’artista figurativo esprime tutta la realtà visiva, sotto specie di
linea e di contorno. Voi comprendete quanto sia lontano dal realismo un artista che sfronda
dal complesso delle apparenze tutto ciò che non si può esprimere sinteticamente per mezzo
di linea.
LEZIONE 9
LEZIONE 10
PER VISIBILIA INVISIBILIA
Nella scorsa lezione abbiamo considerato esempi ‘fondanti’ dei generi testuali della
periegetica e dell’ekphrasis—esempi risalenti alla tarda antichità classica—che abbiamo
confrontato con testi affini per genere benché del Sei- e del Novecento.
L’obiettivo era quello di illustrare il perdurare attraverso i secoli di tali modalità generiche,
non tanto come tradizioni letterarie quanto come amalgami variabili delle tre tipologie testuali
(narrativa, istruzionale, individuativa) che abbiamo distinto—amalgami corrispondenti a
diverse combinazioni dei modi in cui è possibile per il parlante confrontarsi con gli oggetti—
ad esempio le opere d’arte o gli artisti—e rappresentarli a parole.
Nella lezione odierna, si darà avvio ad una rassegna storica più ordinata della critica d’arte,
intesa quale momento individuativo di un discorso riferito alla produzione artistica (e
necessariamente limitato alla cultura occidentale). Rassegna inevitabilmente selettiva ma
che, ponendo i testi a lettura critica e comparativa, cercherà di approfondire elementi sia di
continuità che di discontinuità, anche alla luce di considerazioni storiche di carattere
generale.
Nella misura concessa dalla durata del corso, si tenterà cioè di compiere quello “sforzo di
puntuale e precisa contestualizzazione filologica delle singole testimonianze” sulla cui
necessità ha insistito Donata Levi.
Si inizierà con il considerare il processo per cui, nei secoli immediatamente successivi a
quelli in cui vissero e scrissero Pausania e Filostrato Maggiore, generi testuali riferiti all’arte
quali la periegesi e l’ekphrasis si sono ‘convertiti’ al cristianesimo e pertanto rinnovati.
Testimonianza di una forma di continuità in seno a condizioni di profondo, talvolta violento
mutamento culturale.
Sono secoli infatti che hanno segnato quella cesura con il mondo classico di cui la memoria
traumatica affiora nell’Incipit del secondo Commentario di Ghiberti:
A dunque al tempo di Costantino imperadore e di Silvestro papa sormontò su la fede
christiana. Ebbe la ydolatria grandissima persecutione, in modo tale, tutte le statue e le
picture furon disfatte e lacerate di tanta nobiltà et anticha e perfetta dignità, e così si
consumaron colle statue picture, e amaestramento a tanta et egregia e gentile arte.
Incipit che tramanda in maniera un poco confusa gli esiti dell’editto di Tessalonica del 380
d.C., in cui non Costantino ma gli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II (benché
ancora ragazzo) dichiararono il cristianesimo religione ufficiale dell’impero romano e
LEZIONE XI
UMILE PRECETTISTICA DI LABORATORIO
Come anticipato nella scorsa lezione, nella presente ci occuperemo di quella “umile
precettistica di laboratorio” cui secondo Roberto Longhi la “dottrina mondana” dell’arte si era
ridotta nel medioevo, in seguito al ‘crollo’ del mondo antico. Ci occuperemo cioè di alcuni
esempi di trattato tecnico—genere che secondo Schlosser costituisce “l’unica letteratura
artistica in senso stretto” del periodo, anzi “la parte più originale…di ciò che possiamo
chiamare la letteratura artistica del Medio Evo”—periodo in cui l’arte si trovava nella
condizione di dover “ricominciare sulle sterminate rovine della civiltà antica”. Confrontando
tre trattati risalenti a tre fasi diverse della media aetas.
De coloribus et artibus Romanorum è un testo in tre libri, attribuito a tale “Eraclio”, da tempo
però ritenuto una “finzione mitologica…la personificazione di un mago”.
Il trattato risulta essere infatti una miscellanea, databile, per i primi due libri (composti in
versi e probabilmente in ambito italiano) al X secolo e per il terzo (redatto in prosa,
probabilmente in ambito francese) al XII o al XIII secolo.
Il secondo trattato, anch’esso in tre libri, è noto (per indizi testuali interni) quale Schedula
diversarum artium, oppure Diversarum artium schedula, o ancora come De diversis artibus.
In tutti e due i brani viene indicata esplicitamente, quale obiettivo eventuale del lettore-
ricevente del testo, quella finalità – in un caso ottenere colori, in particolare il verde, per
scrivere, nell’altro far sembrare dorato il rame – che determinerà e darà ordine e
orientamento alla procedura in questione.
Tale procedura viene esposta – e il suo carattere prescrittivo segnalato – attraverso una
serie di predicazioni d'azione che sono o modalizzate tramite l'uso del verbo dovere (deve
camminare) oppure espresse al modo imperativo (fa’ così, mischia, raschialo, cospargi,
stendi, aggiungi), al congiuntivo (colga, badi, faccia, macini), o ancora al futuro (noterà,
vedrai), nel caso di azioni che si verificheranno a condizione che ne vengano
precedentemente compiute delle altre.
Le azioni che compongono la procedura sono coordinate – in senso temporale e in senso
logico – attraverso l'uso di congiunzioni ed espressioni avverbiali quali allora, poi, di nuovo.
L'intento prescrittivo si esprime anche nella locuzione avverbiale di maniera con cura; e si
riscontra nella descrizione della composizione ottenuta dai fiori, che alla modalizzazione
(deve contenere gypsum) aggiunge una motivazione finale (così da mantenere i colori
asciutti).
Ed analogamente ad asciutti nel primo brano, anche brillante nel secondo indica lo stato (del
colore) cui mira tutto il processo in esame.
Passiamo ora alla Schedula di Teofilo ed esaminiamo i capitoli primo e terzo del primo libro:
I, I. LA PREPARAZIONE DEI COLORI PER I CORPI NUDI
Il colore che vien detto membrana, con il quale si dipingono i volti e i corpi nudi si prepara
così. Prendi colore bianco fatto con il piombo e mettilo, senza tritarlo ma com’è, asciutto, in
un vaso di ferro o di rame che piazzerai sul fuoco fino al momento in cui diventerà giallo.
Allora macinalo e mischialo con altro bianco plumbeo e vermiglio finché non prende il colore
della carne. Combina i colori secondo il tuo gusto: se vuoi volti rossi aggiungi vermiglio, se li
vuoi chiari aggiungi bianco, se li preferisci pallidi aggiungi un poco di verdigris invece del
vermiglio.
I, III. IL COLORE PER LE OMBRE SUI CORPI NUDI
Dopo aver preparato il colore per i corpi nudi e aver riempito i volti e i corpi, mescola ad esso
il verde scuro, il rosso ottenuto dalla combustione dell’ocra, un poco di vermiglio, e prepara il
colore per le ombre. Con quello dipingerai le sopraciglia, gli occhi, le narici, la bocca, il
mento, le fossette accanto alle narici e alle tempie, le rughe della fronte e del collo, le
rotondità del viso, la barba dei giovani, le articolazioni delle mani e dei piedi, e tutte quelle
membra che spiccano nel corpo nudo.
Salgono all'occhio alcune affinità formali con i brani tratti da De coloribus: i verbi al modo
imperativo (prendi, metti, combina, mescola, prepara); le congiunzioni (allora, dopo) che
coordinano le rappresentazioni di singole azioni e fasi; l'uso di un periodo ipotetico della
LEZIONE XII
CARTE CHE “RIDONO” E OPERE SENZA TITOLO
Questa lezione ha due obiettivi:
Dare conto del posto occupato da Dante Alighieri nella storia della critica d’arte.
Abbozzare una storia del titolo dell’opera d’arte.
Sono due obiettivi apparentemente sconnessi, ma, legati tra loro in profondità.
L'importanza di Dante in tal senso è sottolineata, a modo proprio, da ognuna delle guide che
ci stanno accompagnando nella nostra rivisitazione della storia della critica d'arte.
Intesa – sarà il caso ancora una volta di ribadire – quale momento individuativo di un testo o
genere variamente riferito alla produzione artistica.
Per Schlosser, Dante, o più esattamente la Commedia di Dante ed in particolare "i famosi
passi su Cimabue e su Giotto".
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è oscura. [Dante 1983, Purgatorio, XI, 94-96]
In seguito il testo offre l'esplicazione di questo e degli altri intagli in chiave caratterizzante –
di cui un primo chiaro indizio sono i verbi "pareva", "sembrava".
La caratterizzazione opera sia in modo diretto, come sopra, sia indirettamente – ad es.
tramite la citazione testuale dei saluti apparentemente scambiati da Gabriele e Maria e la
similitudine della figura impressa nella cera:
Giurato si saria ch'el dicesse 'Ave!';
perché iv’era imaginata quella
ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; 42
Il carattere particolare di queste sculture e l'effetto sullo (e nello) spettatore che suscita è
indirettamente comunicato soprattutto dai dialoghi che Dante riferisce come di sentire tra i
propri sensi della vista e dell'udito e tra l'imperatore e la vedova:
Era intagliato lì nel marmo stesso
lo carro e' buoi, traendo l'arca santa,
per che si teme officio non commesso. 57
E' tale carattere che viene riassunto nel celebre ossimoro "visibile parlare":
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perché qui non si trova. 96
Donata Levi si sofferma anche sul passo del Canto XI cui già si è accennato, in cui Dante
riconosce il miniatore Oderisi da Gubbio (1240 ca-1299) e l'apostrofa con le parole.
"Oh!", diss'io lui, "non se’ tu Oderisi,
l'onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch'alluminar chiamata è in Parisi?" 81
LEZIONE XIII
DI NUOVO FABBRICHIAMO UNA ARTE DI PICTURA
In questa lezione ci occuperemo di uno tra i maggiori trattati d’arte del Quattrocento, De
Pictura (1435) di Leon Battista Alberti (1404-1475).
Cui si è accennato già nelle lezioni precedenti, a proposito del trattato sull’architettura di
Vitruvio, che Alberti prese a modello, e dei Commentarii di Ghiberti, redatti una decina di
anni dopo e che si sarebbero coscientemente posti quali
opera di "commemorazione storica" sul modello biografico ereditato da Plinio, laddove
Alberti aveva invece esplicitamente rifiutato tale modello, proponendo nel trattato una “opera
di reinvenzione” teorica.
Sarà interessante confrontare il trattato di Alberti con quello di Cennini, scritto solo una
quarantina di anni prima, e così verificare sui testi e alla luce delle nostre considerazioni sul
genere del trattato quanto scrive Venturi in proposito:
I trattati d'arte del secolo XV non hanno piú nulla del ricettario, essi si occupano soprattutto
dell'interpretazione della realtà e suggeriscono le norme per rappresentare la realtà …
L'interpretazione della natura assegna ... tanta importanza all'uomo interprete, che essa
diventa a volte una creazione dell'uomo. Anzi i limiti tra interpretazione e creazione spesso
sfuggono ... Egli [Alberti] vuol far sorgere la pittura dalle radici della natura: "Noi non come
Plinio recitiamo storia, ma di nuovo fabbrichiamo una arte di pictura" ... la sua definizione
della pittura, come veduta prospettica della natura, pone su basi nuove il trattato d'arte.
L'origine dell'arte era indicato nell'antichità e nel medioevo in modo leggendario; l'Alberti
chiarisce che l'origine dell'arte è problema psicologico e non storico; si rinnova ogni volta
che si crea arte. E alla medesima origine non si riporta soltanto la pittura, ma anche la
scultura e l’architettura: si tratta di un principio di stile figurativo.
Ora, come si è accennato nella XI Lezione, quel modo "leggendario", tipico del medioevo, di
indicare l'origine dell'arte, si ritrova anche in Cennini, che inizia il Libro dell’arte raccontando
la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso e le conseguenze che avrebbe portato. Nel
principio che Iddio onnipotente creo ̀ il cielo e la terra, sopra tutti animali e alimenti creo ̀
LEZIONE XIV
“AL DI LÀ DELL’ORDINE”
La lezione odierna sarà dedicata in primo luogo al trattato pittorico di Leonardo da Vinci
(1492- 1519), secondo Venturi una delle "due piú importanti teorie dell'arte del rinascimento"
[Venturi 1964, 95] (di cui l’altra costituita dai trattati di Alberti).
Lo confronteremo con testi del Cinquecento, esemplificativi di generi diversi: il Dialogo sulla
pittura (1557) del letterato Ludovico Dolce (1508-1568) e due lettere del poeta e scrittore
Pietro Aretino (1492-1556).
L'opera nota ormai come il Trattato della pittura di Leonardo è una ricostruzione postuma di
annotazioni del pittore tratte da diciotto suoi codici (non tutti dei quali sono stati conservati),
ricostruzione realizzata probabilmente dall'allievo Francesco Melzi (1491-1570) e contenuta
in un codice conservato presso la Biblioteca vaticana, che reca il titolo Libro di pittura di M.
Lionardo da Vinci pittore.
Precisa lo storico dell’arte e studioso di Leonardo Martin Kemp,
[Anche se ci sono alcune parti più sostenute e relativamente ben organizzate – è il caso in
particolare di quella riguardante il paragone, o confronto tra le arti – è nel complesso
un'antologia disomogenea, ripetitiva, talvolta contraddittoria, fatta di appunti risalenti a varie
date. Argomenti come quelli della luce e del colore, del movimento, del gesto e della
botanica sono relativamente ben rappresentate, mentre gli interessi più matematici (in
particolare quello per la prospettiva) sono trattate in modo ingannevole sommario, e nei suoi
dettagli la scienza dell’anatomia umana non è rappresentata affatto.]
Diverse versioni abbreviate del trattato circolavano, in forma manoscritta, durante il
Cinquecento e ancora nel primo Seicento, specie in ambiti accademici italiani (Venturi
osserva che il trattato "è il programma fondamentale dell'arte del secolo XVI" [1964, 105]).
Ve ne fu un progetto di pubblicazione da parte del collezionista Cassiano dal Pozzo (1588-
1657) e del conte Galeazzo Arconati, che rimase però non realizzato.
Fu tuttavia Cassiano a fornire una copia (sempre abbreviata) del trattato, con illustrazioni di
Nicolas Poussin, a Paul Fréart Sieur de Chambray, che lo portò con sé in Francia, dove una
prima edizione fu stampata da Raphael Trichet du Fresne nel 1651.
LEZIONE XV
VASARI E LA “STORIA VSIVA”
In questa lezione affronteremo l'opera che secondo Schlosser "segna la piú forte cesura nel
nostro campo" [Schlosser 2008, 239], la monumentale raccolta di Vite de’ più eccellenti
pittori, scultori e architettori (1550, 1568) del pittore Giorgio Vasari (1511- 1574).
Sorta di apoteosi cinquecentesca dell'antico genere della biografia d'artista, ma soprattutto
di esempi fiorentini del Tre- e Quattrocento.
Nelle lezioni XI e XII si è accennato al fatto che nel secondo Trecento l’attenzione riservata
agli artisti da parte degli scrittori dell’antichità – indizio di grande prestigio – era stata citata
dall’umanista fiorentino Filippo Villani, che così aveva giustificato l’inclusione in un'opera
elogiativa, il Liber de origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus, delle vite di
alcuni concittadini pittori, tracciandone una breve genealogia evidentemente ispirata a quelle
raccontate da Plinio.
A me debbe essere lecito, secondo l'esempio degli antichi Scrittori, i quali ne' loro annali e
tra gli uomini illustri Zeusi, Policreto, Calai, Fidia, Prassitele, Mirone, Apelle, Canone, Volario
& altri hanno recitato: e Prometeo pe' suoi ingegni e diligenza, finsero avere del limo della
terra creato un uomo; con questo esempio i miei egregi Dipintori Fiorentini raccontare, i quali
quell'arte smarrita e quasi spenta suscitarono: tra' quali il primo fu Giovanni, chiamato
Cimabue, che l'antica pittura, e dal naturale già quasi smarrita e pagante [sic: vagante?], con
arte e con ingegno rivocò; perocchè innanzi a questo la Greca e la Latina pittura per molti
secoli avea errato, come apertamente dimostrano le figure nelle tavole e nelle mura
anticamente dipinte.
Dopo lui fu Giotto di fama illustrissimo, non solo agli antichi pittori eguale, ma d'arte e
d'ingegno superiore. Questi restituì la Pittura nella dignità antica, & in grandissimo nome,
come apparisce in molte dipinture, massime nella Porta della Chiesa di San Piero di Roma,
opera mirabile di Musaico, e con grandissima arte figurata [ubi ex musivo
periclitantes navi apostolos artificiosissime figuravit]. Dipinse eziandio a pubblico spettacolo
nella città sua, con ajuto di specchi, sè medesimo, & il contemporaneo suo Dante Alighieri
poeta, nella Cappella del Palagio del Podestà nel muro [redazione latina: in tabula altaris
capelle palatii potestatis]. Fu Giotto, oltre alla Pittura, uomo di gran consiglio, e conobbe
l'uso di molte cose. Ebbe ancora piena notizia delle Storie. Fu eziandio emulatore
grandissimo della poesia, e della fama, piuttosto che del guadagno, fu seguitatore. Da
questo laudabile uomo, come da sincero e abbondantissimo fonte uscirono chiarissimi rivoli
di pittura, i quali essa pittura rinnovata, emulatrice della natura fecero preziosa e piacevole:
infra quali fra tutti gli altri Maso dilicatissimamente dipinse con mirabile venustà. Stefano,
Scimia della natura, nell'imitazione di quella valse più. Taddeo dipoi con tanta arte dipinse,
che fu stimato quasi un altro Dinocrate.
Da Plinio forse derivava inoltre il motivo dell’arte che si era spenta e poi risorta:
LEZIONE XVI
INTORNO ALLE IMMAGINI SACRE E AI TITOLI
Il corso si avvia ad una conclusione a dir poco prematura, dal momento che nella nostra
rassegna storica della critica d'arte, iniziata nella X Lezione, siamo giunti per ora solo al
tardo Cinquecento.
Occorre quindi ribadire la già espressa dichiarazione di inevitabile selettività – e con
accresciuta cognizione di causa, in vista della "spaventosa abbondanza" [Schlosser 2008,
457] del discorso sull'arte dei secoli XVII e XVIII, per non parlare di quelli ancor più vicini a
noi.
Ma è altrettanto d'obbligo indicare sin da ora fino a quale punto si vorrà comunque arrivare,
perché proprio a quel punto e per quali tappe.
Il punto di arrivo che ci prefiggiamo è quello stesso indicato sia da Albert Dresdner che da
Lionello Venturi quale il punto in cui, dopo una genesi (o se vogliamo una preistoria) durata
molti secoli, venne finalmente alla luce la "critica d'arte", e cioè il XVIII secolo, nella
fattispecie quello francese.
E' qui, in questo momento, che per Dresdner infatti emerge quel "genere letterario
indipendente, che ha come oggetto l'esame, la valutazione e l'influenza dell'arte
contemporanea" e che "chiamiamo, secondo l'uso comune, critica d'arte" [Dresdner 1915, 8,
11].
Fatto storico di cui sottolinea la stranezza, dal momento che "il mondo ne aveva fatto
benissimo a meno per migliaia di anni".
Ma che 'spiega' indicando il modo in cui, nel corso di quelle migliaia di anni, era andata
lentamente trasformandosi la stessa "vita artistica europea" ed in particolare "il rapporto
dell'arte e degli artisti con il pubblico e la letteratura" – rapporto che si manifesta nel "giudizio
artistico" – "fino a cristallizzarsi" in una "propria rappresentazione e forma letteraria".
Venturi, da parte sua, attribuisce il decisivo 'salto di qualità' avvenuto nel XVIII secolo, oltre
che alle tendenze empiriche dell'illuminismo, all'istituzione delle mostre pubbliche.
Prima del secolo XVIII le occasioni per la critica d'arte sono state da ricercarsi nei trattati
d'arte e nelle vite degli artisti. Ma il secolo XVIII ha fornito con le esposizioni d'arte,
specialmente in Francia, l'opportunità dei resoconti critici, cioè la critica d'arte ha trovato una
LEZIONE XVII
TRA PLASTICO E PITTORESCO
Ora, Il Riposo di Borghini – di cui i libri III e IV danno "in brieve sommario le vite degli antichi
e de' moderni scultori e pittori" [Borghini 1584, 248], volte anche ad esporre "il quadro
evolutivo successivo delle arti nella Firenze granducale" – è tra le prime di quelle numerose
produzioni letterarie che dal tardo Cinquecento in avanti si sarebbero occupate di
“completare e/o correggere” la monumentale opera di Vasari.
E, come si evince dal titolo, anche Le vite de' pittori scultori e architetti moderni di Bellori
erano intese quale continuazione delle Vite vasariane.
O pià precisamente quale "versione 'emendata'" di un'altra loro continuazione: Le vite de'
pittori, scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di Papa
Urbano VIII nel 1642 (1642) del pittore romano Giovanni Baglione (1573-1643).
Sostiene Giovani Previtali che alla morte di Baglione, nel 1643, questo progetto:
poté assumere la forma concreta di una iniziativa editoriale, pensando di poter stampare la
nuova opera come vera e propria seguito alla riedizione bolognese delle Vite del Vasari
(1647) a cura di Carlo Manolessi ...
LEZIONE XVIII
DESCRIPTIONS E RESOCONTI
In questa lezione, l'ultima del corso, ci occuperemo di cinque autori, quattro dei quali vissuti
tra il Sei- e il Settecento, di cui due francesi:
Roger de Piles (1635-1709).
Denis Diderot (1713-1784).
E due inglesi:
• Jonathan Richardson (1665-1745), chiamato "the Elder" per distinguerlo dal figlio Jonathan
(1694-1771).
• John Williams (1761–1818), che pubblicava sotto lo pseudonimo Anthony Pasquin.
Mentre il quinto autore, come anticipato, sarà l'americano Jerry Saltz, attuale critico d’arte
della rivista New York.
Abbiamo visto nella XVI lezione come Venturi abbia riconosciuto nella figura di Roger De
Piles l’iniziatore di una corrente di critica francese e nella fattispecie parigina, anche se
"partita da Venezia, per opera principalmente del Boschini", ccontrapponendola a quella
belloriana, in quanto si fondava non sull’Idea di derivazione platonica ma "sulla sensibilità
pittorica".
Ma De Piles chi era?
Nato a Clamecy (Nièvre) nel 1635, studiò filosofia e teologia a Parigi, formandosi anche
quale pittore con il francescano recolletto Claude François, noto come Frère Luc (1614-
1685).
Nel 1662 divenne tutore di Michel Amelot de Gournay; e nel 1673 i due fecero un lungo
soggiorno a Roma, ospiti a palazzo Farnese del duca d’Estrées, ambasaciatore francese
alla Santa Sede, e del fratello cardinale.
E’ possibile stabilire delle regole così palesemente derivate dalla ragione da risultare
inconfutabili ...
Essendo tali regole fisse e certe, è facile vedere se un'immagine o un disegno possieda le
proprietà richieste, e avendole scoperte un uomo potrà essere tanto sicuro di vedere ciò che
pensa di vedere quanto lo sarebbe nel caso in cui fossero i propri sensi a fornirne la prova
all’intelletto.
Ed abituandosi a vedere e ad osservare i quadri migliori, un uomo sarà in grado di giudicare
in quale misura tali qualità eccellenti eccellenze siano presenti nel quadro che ha in esame;
poiché tutte le cose vanno giudicate per mezzo del confronto; e così verrà reputata la
migliore, la migliore di cui si è a conoscenza. E se un quadro effettivamente possiede alcune
delle qualità di cui ho parlato (poiché nessuno le possiede tutte) si potrà vedere quali e
quante esse siano, e di quale natura, e dire in quale misura va stimato tale quadro, e se le
qualità eccellenti che possiede compensano quelle che ad esso mancano.
E a tal fine Richardson consigliò ai lettori d'impratichirsi nell’uso della balance des peintres di
De Piles.
Senonché, in modo didatticamente efficace, mostra anche come applicare tale metodo – che
rivede, aggiungendo ai quattro criteri previsti da De Piles anche la Handling o esecuzione e
la Grace and Greatness, la grazia e la grandezza o grandiosità – attraverso l’analisi critica di
un ritratto di van Dyck di sua proprietà (che vedete qui in una copia attribuita allo stesso
Richardson).
Bella da parte di Monsieur de Piles l’idea di proporre una bilancia con la quale esprimere un
giudizio sintetico circa il merito dei pittori ... Con qualche piccola modifica per migliorarla,
essa potrà essere di grande aiuto agli amatori e agli intenditori dell’arte.
Manterrò il numero 18 per indicare il più alto grado di eccellenza; e questo, insieme al
numero immediatamente inferiore, rappresenterà il sublime, qualora lo si raggiungesse in
quelle parti della pittura che ne sono capaci. I numeri 16. 15. 14. 13. indicheranno altri
quattro gradi di eccellenza, come quelli da 12 a 5 incluso indicheranno il mediocre. E anche
se i quadri cattivi non sono affatto degni della nostra attenzione, quelli buoni possono essere
cattivi per certi aspetti; e pertanto mi riserverò gli altri quattro numeri per esprimere questo; e
non perché esistono meno gradi del cattivo rispetto al buono, ma perché i buoni maestri, gli
unici di cui mi occupo, molto raramente sprofondano di molto nel cattivo; e se ciò dovesse
accadere, andrebbe segnato con lo zero.
La bilancia sarebbe da impiegare in questo modo: si dovrebbe tenere sempre a disposizione
un piccolo quaderno, di cui ogni foglio fosse preparato come si vedrà in seguito. E quando si
ha da considerare un quadro, se ne potrebbe fare una stima inserendo in corrispondenza
alle singole voci le cifre che si ritenessero opportune; o più di una se in qualche parte del
FINE