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La pratica dell’attribuzione:

Previtali:
Analizza l’attività del conoscitore
- Parte dall’attualissima voce “Attribuzione” scritta nel 1971 da Giovanni
Previtali per il primo dei due volumi dell’Enciclopedia Feltrinelli Fischer.
Impresa curata dallo stesso Previtali, cui collaborò un gruppo di giovani
studiosi.
- Definizione: L’attribuzione è l’atto critico mediante il quale un prodotto
artistico viene riconosciuto come appartenente ad un medesimo gruppo di
altri prodotti analoghi, supposti opera dello stesso autore. L’attribuzione è
l’atto conclusivo dell’analisi stilistica, cioè di quello strumento analitico
specifico della storia dell’arte e delle altre discipline storiche.
- I principi validi per la storia dell’arte sono quelli della filologia classica e
della linguistica storica:
 Loci comunes e la loro trasmissione
 Lectio facilior
 Lectio difficilior
 Ritardo delle aree periferiche
Valgono come principi della critica storica per quanto riguarda l’ANALISI,
SELEZIONE E L’UTILIZZAZIONE DELLE FONTI E DOCUMENTI.
Lo storico d’arte:
- Si avvale di particolari documenti storici, ovvero le opere d’arte, volta alla
ricostruzione della specifica storia delle arti figurative.
Secondo Previtali il principio su cui si basa l’attribuzione è:
1- Capacità della mente di riconoscere ciò che già consce
2- Volontà dell’uomo (artista) di lasciare un’impronta su ciò che fa. Come
ribadiva lo stesso Luigi Lanzi, nel Settecento, “una mano avvezza a moversi in
una data maniera tien sempre quella: scrivendo in vecchiaia divien più lenta,
più trascurata, più pesante- così è in dipingere”.
Secondo Juan Augustin Céan Bermidez “qualche ciarlatano inesperto, si basa sulle
analogie, è solito battezzare le opere simili a quelle dei maestri Ribera, Murillo,
Monegro etc con i loro nomi. Si deduce come la generalizzazione sia un aspetto
insufficiente di questo metodo di ricerca; è giusto procedere i punti di analogia e
di somiglianza.

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L’analisi delle opere a confronto è il primo step da fare, perché si affronta la
“maniera degli studi”.

L’errore nell’indagine storica sta nell’induzione sulla base degli elementi raccolti.
La prima fase:
1- Osservazione (analisi)
LE SOMIGLIANZE:
Si notano una serie di somiglianze tra le opere A e B, può avere più significati:
- DERIVAZIONE STESSO MODELLO “C”
- STESSA CONDIZIONE AMBIENTALE “X”
- AMBEDUE RISPONDENTI ALLA MEDESIMA RICHIESTA DI UN
COMMITTENTE “Y”
Si citano le formelle del concorso bandito a Firenze nel 1401 per le porte del
Battistero- precedente storico della Porta di Andrea Pisano.
La chiarezza dell’atto di attribuzione:
- Rapporti con la società, convenzioni
- Identificazione dell’autore: nome compatibile con lo Stato delle
conoscenze
L’analisi formale delle opere d’arte rivela:
 Complesso di fatti
 L’opera sta mai da sola, è sempre in rapporto con alcune variabili.
Secondo Roberto Longhi, l’opera d’arte è un sistema in cui ogni elemento ha una
specifica funzione, che rimanda ad una serie storica. Riduzione allo strumento
classificatorio ai fini commerciali. L’attribuzione merita indifferenza.
L’ORIGINE STORICA: strumento specifico di analisi differenziale e di
classificazione che la storiografia artistica ha elaborato fino ad oggi. Fu Morelli a
sostenere che la base scientifica oggettiva delle attribuzioni andasse ricercata nei
dettagli secondari e meccanici in cui meno sensibile, è l’intervento cosciente
dell’autore e che essi potessero essere considerati oggettivamente uno per uno. I
segni caratteristici della maniera non hanno valore determinante se non si
considera il contesto:
- Il carattere distintivo
- Cogliere l’intervento del maestro

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- Riconoscere il falso deliberato
- Coordinate storiche del tempo e dello spazio
- Critica delle arti figurative e comunicazione
- Formazione del linguaggio tecnico preciso nella comunicazione dei risultati
dell’analisi formale.

Giovanni Romano: L’intelligenza della passione (Scritti per Andrea Emiliani)

Si affronta un dibattito di Storia dell’arte , disciplina destinata piuttosto


all’Accademia di Belle Arti, perché troppo “appoggiata” alla pratica artistica.
Cosa fa lo storico dell’arte?
Domande ricorrenti:
- Come si legge un’opera d’arte?
- Come si fa un’attribuzione?
Le etichette “geografiche”: la scuola senese – scuola fiorentina. È la provenienza
geografica a identificare- si tratta di una presa visione dei caratteri comuni. La
tradizione figurativa italiana è una tradizione di scuole regionali autonome e
gerarchicamente alla pari: l’aspetto regionale è un carattere che rende l’esperienza nel
campo figurativo diverso da quello letterario. Il multilinguismo della produzione
figurativa stabile
L’espressione “scuola di “è molto comoda e di uso ricorrente, anche se comporta una
complessa organizzazione mnemonica di immagini che permette in ordine in una
serie articolata di momenti della nostra esperienza. Non basta sola la reazione
intuitiva, anche il percorso razionale e inclinazioni psicologiche.
Esempio: sfoglio del repertorio di immagini delle formelle fiorentine del 1430-35.
L’attribuzione si fa con un’opera collegata ad un luogo, ad un momento stilistico
attraverso i caratteri stilistici. Si possono affrontare i documenti figurativi.
L’attribuzione costituisce l’atto filologico di base per accedere con sicurezza alla
lettura delle opere d’arte.
L’opera d’arte è il documento figurativo della sua storia:
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- Stilistica
- Materiale
Lo storico dell’arte deve:
1- Verificare l’affidabilità dell’opera, che arriva con cattiva attribuzione
2- Controllo del contesto geografico e della data
La lettura critica considera la reazione di umana sensibilità e il valore poetico
dell’opera d’arte.
Il documento figurativo è un oggetto fortemente condizionato:
- Intervento di restauro
- Manomissione per altre ragioni
Romano non la definisce un’operazione di falsario, bensì un inganno
programmatico: fa il paragone con l’esecuzione infedele di un brano musicale e di
un’opera d’arte. La prima non comporta alterazioni sul testo musicale, perché le
note rimangono sempre quelle; l’opera figurativa sottoposta ad un ingentilimento
da parte del restauratore è un documento modificato in modo stabile, che ci può
spingere in errore.
L’importanza della filologia preventiva:
- Il documento inaffidabile può spingerci a itinerari sbagliati
Un’opera dell’Ancien Régime non è un’opera che l’artista realizza per un
trasalimento sentimentale d’occasione, sta a metà tra:
- Chi la usa È un oggetto destinato alla società e non è frutto
- Chi lo fa dell’esercitazione dell’artista
- Chi lo fruisce
L’artista non realizza niente in piena libertà: per tipologie e generi specifici (ad
esempio la pala d’altare o la natura morta):
Importante è l’aspettativa del pubblico.
La realizzazione di una pala d’altare prevede una committenza ben attenta al
rispetto delle diverse variabili:
1- Luogo
2- Denaro disponibile
3- Abitudine introitata nel pubblico- sono obblighi preventivi
L’artista si sente obbligato- privo della sua libertà espressiva, della sua autonomia.

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Anche la realizzazione dei polittici era guidata da precise regole da seguire specie
sulla scelta dei protagonisti dell’immaginario religioso.
Al centro di un polittico ci stanno di solito la Madonna o il Cristo, ma può capitare
che al centro ci sia un santo. È il titolare della chiesa o dell’altare di provenienza a
scegliere le figure.
La madonna può stare su qualsiasi altare e complica il gioco degli indizi sulla
provenienza originaria della pala a più caselle. Ad esempio, tutti sanno che San Pietro
è rappresentato con le chiavi, ma per identificare un altro santo ad esempio San
Giovanni Nepomuceno, santo caro al nostro Settecento, rappresentato con la corona
di stelle.
E’ chiaro che in una chiesa francescana o domenicana troveremo rispettivamente san
Francesco e San Domenico- ad esempio in un polittico dominato dai santi francescani
e San Luigi di Francia in posizione principale, firmato da Simone Martini. La
competenza sulla storia della devozione per immagini e sui suoi protagonisti storici,
come la storia della liturgia e dei suoi oggetti significativi.

Il contributo dei falsari alla storia dell’arte: Massimo Ferretti

La storia dei falsi è una storia sotterranea: il falsario rimane nascosto e se viene
smascherato e corre a mettersi un’altra maschera.
Chi si occupa di falsificazioni, cosa deve fare?
- Attraversare i rigogliosi terreni della copia e plagio in tutte le sue sfumature
- Considerare il restauro e il revival delle opere
- Attenzionare le integrazioni necessarie ad un insieme decorativo o
collezionistico
La falsificazione è un fenomeno più ricorrente nella storia dell’arte; anche se in
letteratura si presenta, ma si parla più di plagio.
Per la storia dell’arte, le falsificazioni s’identificano con un “corpo fisico”:
- L’accertamento per l’inferenza della paternità di un’opera non è solo
competenza dello storico dell’arte.

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Ci sono settori della scultura del Quattrocento dove la percentuale di cose di
sospetta autenticità è rilevante per:
1- Quantità
C’è chi nega l’autenticità di veri capolavori.
Si mette in evidenza l’aspetto della morale dei due secoli: Quattrocento e
Ottocento. Riguardo le opere d’arte contemporanea al fianco dei pittori Rosai e
Pisis lavoravano vari falsari. Questa questione affasciava Ferretti, che riportò le
parole di Arcangeli “per riconoscere i Pisis spuri bisogna imparare a
distinguere le diverse mani degli imitatori”.
Il problema della falsificazione riguarda tutti i prodotti dell’uomo che trovino
posto e valore nella memoria culturale che si estende all’intero raggio delle
scienze umane. Il “problema” è prettamente nostro anche se la contraffazione
dei testi scritti ha una lunga storia, si pensi all’età alessandrina; per cui falsari e
filologi si muovono alla pari nell’affinamento dei loro strumenti.
La FALSIFICAZIONE artistica ha acquisito un posto di ribalto soltanto in
tempi recenti e che la sua fioritura è tardiva. Ci vorrà tempo prima che un
falsario di cose d’arte si possa fare un ritratto come la Donatio Constantini e ci
vorrà ancor più tempo fin quando Lorenzo Valla compirà per la prima volta
un’analisi critica dell’opera, alla stregua di quella che si farebbe con un’opera
d’arte.
ALCUNE PRECISAZIONI:
- I Falsi realizzati nel Quattrocento e Seicento non sono paragonabili a quelli
degli ultimi due secoli.
- Ad essere imitate, dapprima furono le cose del mondo antico, poi anche i
grandi pittori del Cinquecento: rappresentava quindi un riferimento normativo
alle persone di cultura e sia di chi avesse pratica dell’arte.
1- Quando i fatti figurativi riguardano la tradizione letteraria, continua a valere la
regola “concepita come altrui soltanto se era avversa” e pertanto il consenso
cancellava il confine e la distanza di ciò che è altrui e ciò che è proprio.
2- La capacità di fingere la maniera tipica di un grande artista moderno consacra,
le regole d’arte e la suprema libertà individuale con cui si giunge a quegli
esempi (secondo Focillon “è un esercizio che presuppone una condizione di
libertà nei confronti del modello”)
Entra in gioco il collezionismo e il mercato, la grande esplosione falsaria
dell’Ottocento, sta dunque ad indicare la vastità dei valori figurativi.
Il MOMENTO CLASSICO della FALSIFICAZIONE corrisponde al consolidarsi dei
presupposti indispensabili alla nascita della storia dell’arte come disciplina storica.
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Si sa:
 L’80%-90% dei diplomi merovingi erano falsi
 Il più straordinario ritrovamento degli ultimi 70 anni
Il caso studio delle pitture murali di Castelseprio:
- Datazione: ha dato luogo ad opinioni molto diverse sull’ambiguità, ancora più
che dai ritmi di trasmissione o persistenza dei modelli classici, nasce dalla
rarefazione estrema dei confronti possibili.
IL FALSO è una forma di cosciente distanza rispetto ai valori figurativi canonizzati o
in via di canonizzazione. È uno sdoppiamento della doppia testimonianza storica.
Nel Medioevo così fecondo di falsi documentari, non sembra rientrare nella nozione
di falso artistico. Zeri parlava dei rifacimenti che in età tardo-antica dovevano essere
stati fatti nei monumenti di età classica come di un problema trascurato. Questioni del
genere si sono aperte attorno a qualche elemento architettonico realizzato in età
bassomedievale.
La DIFFERENZA tra:
- L’integrazione di una serie
- Falso mirato
Oppure:
- Derivazione da un modello classico
- La rilavorazione di un marmo effettivamente antico
Situazione diversa nella Roma classica, dove esisteva il collezionismo,
un’organizzazione di mercato, dove c’erano i conoscitori: si tratta di un contesto
favorevole alla falsificazione artistica.
Circolazione di falsi di opere di:
- Prassitele
- Mirone
- Zeusi ricordata da Fedro, nell’introduzione al quinto libro
Gli storici dell’arte antica ci insegnano che le copie romane non vanno guardate
come semplice riflesso dei perduti archetipi greci, ma anche per le loro riconoscibili
qualità espressive.
L’ASPETTO “BUONO” DEL FALSO: far attenzione alla realtà materiale delle
opere d’arte, ma in un contesto documentario stratificato ed eterogeneo.

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Si precisa che la maggior incidenza di falsi si verifica nelle opere d’arte; si
considerano i processi di alterazione che sono la componente essenziale delle
tradizionali nazionali ottocentesche o delle strategie di propaganda politica di massa.
Il DISVELAMENTO di un’opera d’arte FALSA mette in gioco una circoscritta verità
fattuale e l’autenticità delle nostre percezioni.
Il falso svelato si contrappone all’opera “genuina”, come l’idolo pagano all’immagine
di culto cristiana.
LO STATUTO DELL’AUTENTICITA’ delle opere d’arte:
- Fra Settecento e Ottocento, sia sul versante neoclassico che romantico, è
cambiato lo statuto di autenticità dell’opera d’arte. La storia del falso va letta
nella sua controriforma, si è svolta la nozione di autenticità. C’è da dire che
l’idea di autenticità è relativa, ma in questo periodo storico si cominciò a
ritenere che le opere d’arte hanno acquisito un decisivo e più ampio senso di
verità storica, fosse anche quella irripetibile della creatività individuale.
- L’ACCREDITAMENTO DEL FALSO fa spesso leva sulla geografia culturale.
- La storia del falso diventa un punto di osservazione privilegiato per individuare
a distanza certe concrezioni stereotipe- la contraffazione di oggetti non è un
fenomeno recente, si pensi alle porcellane cinesi ad essere contraffate in
Europa.
LA STORIA DEL FALSO È UN OSSERVATORIO, di secondo grado, da cui si
possono considerare alcuni aspetti della geografia dell’arte.
Si andava delineando l’orizzonte storicista che fece del Neoclassicismo un fenomeno
del tutto nuovo rispetto a qualsiasi precedente idealizzazione del mondo classico.
Definizione di falso documentario contigua a quella di natura giuridica- il punto
risolutivo fu l’incontro, entro l’orizzonte collezionistico, fra il metodo dell’antiquaria
ormai divenuta quasi un fenomeno di costume, e la tradizione artistica degli ultimi
due secoli.
Massimo Ferretti si rifà a Carlo Goldoni, a 3 sue commedie scritte negli anni 50, il
decennio che vede maturare non solo mezzi artistici, ma anche i suoi giudizi sulla
società veneziana contemporanea.
La prima commedia viene dalla Famiglia dell’antiquario: sulla battuta finale di
Anselmo, sembra ovvio che “non era necessario dipingere per giudicare la pittura”,
ma non era l’opinione assestata al tempo di Goldoni. Da qui si citano:
1- Luigi Lanzi “i giudizi che io più ne rispetto son quegli che immediatamente
vengon da’professori”.

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2- Da Vasari a Crespi “avean un diritto più speciale d’insegnarci, perché erano
del mestiere”.
3- Pietro Giordani recensiva La Storia della scultura ricordando l’importanza di
“Pietro Giordani essendo l’artista”.
Con il secondo prestito di Goldoni si sposta lungo l’asse del collezionismo: dialogo
tra Don Eraclio e Dottor Melanzana – due quadri di Raffaello (falsamente attribuiti d
a Veronese e Cappalunga risponde che si tratta di Raffaello da Urbino) e Don Eraclio
replica “volete insegnare a me a conoscer le copie dagli originali?”.
La raffigurazione è caricaturale ma serve per evocare la fiducia nella diversa capacità
remunerativa di altri centri di commercio artistico (Roma).
Come distinguere un’opera originale o una copia?
Il punto decisivo della competenza artistica fosse quello di distinguere le copie: nel
capolavoro di Goldoni intitolato “Gl’innamorati” commedia che fu scritta a ritorno
da Roma. Dialogo tra Fabrizio e Roberto (il primo dice che il signor Conte si diletterà
di pitture e il secondo risponde che gli uomini grandi e sublimi non possono
intendersi di ogni cosa- di Tiziano gli hanno offerto duemila doppie e l’ho avuto per
100 zecchini) Fabrizio esorta il suo amico a far vedere i quattro pezzi stupendi dl
Wandich, cene insigni del Veronese, Guercino e dell’aurora inimitabile di
Michelangelo Buonarroti.
Cosa vuol dire qualità?
La qualità è qualcosa che si identifica strettamente con la fattura, il tocco, l’abilità
della mano. Siamo abituati a pensare che la qualità, il contenuto di autenticità
dell’opera, non stia nella pura pittura. Per chiarire il concetto occorre fare un passo
indietro: cosa conseguì l’artista del Quattrocento rispetto ai materiali?
Secondo Baxandall è un assioma: è ovvio che dalla figura dell’artista scoperta nel
Rinascimento siano nati anche i moderni falsari. Occorre tornare alla combinazione
fra:
1- Suprema maestria
2- Esperienza dei modelli storici CHE SPIEGA IL TIPO DI FALSO TIPICO
DELL’ETA’ BAROCCA: il dipinto “à la manière de”.
La rivelazione che sotto il nome di un maestro famoso si nasconde l’opera propria è
sempre stato un “topos” della consacrazione artistica. In età barocca quel topos ebbe
una rilevanza particolare, NON SI SPIEGA FUORI DALLO SPAZIO DEL
COLLEZIONISMO, ma anche del dilettantismo gentilizio.
Il CASO DELLE INCISIONI:

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- Repliche dureriane di Marcantonio Raimondi, che comunque rientrano in pieno
nelle pratiche riproduttive della stampa, ma anche ai travestimenti stilistici di
Goltzius incisore.
Pensando alla fama di falsario che ebbe Angelo Caroselli, sembra improbabile che
siano scomparse chissà quali sue opere o che altre si nascondano ancora sotto i nomi
più antichi e prestigiosi.
Lo schema narrativo dell’opera creduta di un artista famoso fin quando non ne viene
svelato, l’autore ribadisce:
1- la superiorità della conoscenza prammatica del pittore
2- Descrive la forma di libertà individuale in una società coercitiva
3- Registra un’assimilazione dei modelli così piena e viva da trarre in inganno i
competenti, non solo quelli di allora
C’è una ragione per tornare su un tipo di “falso”, si riportano alcune citazioni:
1- La maniera di Bastiano del Piombo per sua scusa non avea visto che era in tela
(l’opera). Qui l’accento batte sull’abilità di mano che si mimetizza in un altro e
NON SULL’ASPETTO MATERIALE DELLA COSA IMITATA. C’è da dire
che neppure l’autore considerava con particolare cura gli aspetti fisici
dell’imitazione. A rafforzare questa attenzione saranno l’allargamento di
orizzonte verso le opere di età medievale, ma prima ancora la pratica
antiquaria. Nelle opere d’età medievale erano all’origine delle firme di pittori
primitivi aggiunte su dipinti più o meno della stessa epoca. Si costruivano
genealogie senza fondamento.
Il nuovo significato del falso in età romantica facendo riferimento all’ inversione di
segno cui venne riproposto il topos “l’ho fatto io”. La migliore prova di inversione
s’incontra in un racconto di Balzac “Pierre Grassaou”- il protagonista era un pittore
senza genio- a cui fanno capire che è destinato a rimanere al livello degli artisti di
secondo ordine. Il protagonista si rese conto “che inventare ad ogni costo significava
morire a fuoco lento- mentre copiare significava vivere”. Si tratta di una copia, non
letteralmente beninteso, non al modo degli studenti dell’accademia o degli artigiani
specializzati.
IL CAPOVOLGIMENTO DEL TOPOS
Il capovolgimento del topos del riconoscimento del vero autore emerge quando la
scienza antiquaria aveva svolto una parte decisiva nell’intero sistema storiografico
dell’arte. Il sistema aveva indotto a ritenere:
- Ogni opera d’arte come qualcosa di materialmente complesso, specie per i
segni lasciati dal tempo e dai suoi diversi modi d’impiego.
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- Il falsario d’età romantica, storicista, erudita tiene conto dell’uno e dell’altra
cosa- sta nella stessa cultura figurativa di chi riesce ad abbindolare.
Il confronto tra falsario e filologo:
- Si tratta di un confronto fra effettivi livelli di competenza – il falsario e le sue
competenze fattuali diventerà rischioso davanti a certi restauri “amatoriali” di
dipinti primitivi realizzati fra Otto e Novecento.
C’è chi falsifica e chi è ingannato dal falsario:
- Il falso non esiste- il falso non ha esistenza autonoma, non consiste
nell’oggetto in sé, rinvia sempre a qualcos’altro. Ciò significa che la
condizione di falsità non è materialmente propria di un oggetto, anche se è
stato pensato con l’intento di ingannare.
Nella produzione artistica si possono fare “figli” illegittimi, adulterini, ma non si
possono fare i figli altrui.
IL FALSO CLASSICO:
1. È realizzato con l’intento di attirare nell’equivoco
2. Può accadere che diventi falso quando non era nato per esserlo
Nel primo caso la conversione in falso è quasi istantanea.
Nel secondo avviene lentamente, talvolta senza essere prevista in partenza.
LE FALSITA’ delle scritture rade volte si fabbricano da principio: ma di poi, in
progresso di tempo, secondo che conducono le occasioni o le necessità.
IL FALSO ARTISTICO COME FORMA DI CONOSCENZA STORICA: può
avere la formula di Morrou:
h= P\p dove la conoscenza storica esprime il rapporto tra PASSATO E
PRESENTE- ovvero il rapporto posto in essere dallo storico tra i due piani di
umanità: il passato vissuto dagli uomini di un tempo e il presente in cui si
sviluppa tutto uno sforzo inteso a rievocare quel passato.
Questa formula potrebbe sembrare un controsenso, perché nella falsificazione il
passato assume il valore massimo, mentre si crede di annullare il presente.
LO STORICO DELL’ARTE E’ MOLTO ATTENTO AI PROCESSI
MATERIALI ED ESPRESSIVI:
 Non ci può essere falsificazione senza attribuzione di valore: simbolico o
economico

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 Non c’è produzione di falsi d’arte, se non c’è collezionismo, se non c’è un
sistema di attese, di preferenze.
 Ogni falsificazione svelata diventa una testimonianza del momento in cui la
falsificazione è stata prodotta e accolta per buona.
LA TRASFORMAZIONE nella cultura artistica di Otto-Novecento:
1- Non tutto può essere falsificato
2- Non tutto può entrare allo stesso titolo nell’orizzonte delle nostre preferenze

Testimonianza del modo di:


- Apprezzare in un SISTEMA DI CONOSCENZE le opere d’arte.
- Scegliere
- Collocare
Il falso è un osservatorio estremo, ma lo storico dell’arte non si confronta solo con
l’autore delle opere d’arte, o con il committente, o con la società che richiese la
produzione di quell’opera. Studia ogni cosa che abbia a che fare con la posterità
dei suoi monumenti, con le condizioni di sopravvivenza delle opere d’arte. Lo
storico dell’arte trova tutto questo nell’unità materiale di una sola testimonianza.
La storia dell’arte è storia delle cose e non solo storia delle immagini. Le opere
d’arte hanno una funzione, più o meno pratica, che sia anche solo quella estetica.
Il falsario si muove nell’orizzonte di consacrazione estetica, tende a dimenticare
che immagini hanno avuto funzioni diverse nel tempo, che un certo tipo di
funzioni visive non ha continuità storica. Ad esempio:
- IL RITRATTO nell’Otto-Novecento era in voga, specie quello femminile e tra
i falsari del tempo sembra essere nata come una generalizzazione sovrastorica
della forma visiva più diffusa e tipica della propria cultura e del proprio tempo,
il ritratto fotografico.
- Se un falso viene prodotto\omologato è comune a chi realizza materialmente
l’oggetto e a chi lo abilita “come originale”.
- Nell’evoluzione del sistema culturale, anche l’immaginario storico-artistico
muta eroi, immagini, forme di rappresentazione.
In Arte, hanno contato di più certi scambi attributivi, alcuni grandi slittamenti
cronologi, certe ubicazioni, transitori o meno.
Si riporta il falso di Botticelli del 1930 può attingersi agli stessi modelli
autenticamente botticelliani di un falso realizzato un quarto di secolo prima
La conoscenza storico-artistica dovrà misurarsi con la vita posteriore delle opere e

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dei loro autori. S’intende che i contesti culturali in cui si svilupparono immagini
dell’artista diverse dalla nostra sono ormai inseparabili, anche se in misura minima,
dalle sue opere. Non si tratta di mantenere unite storia dell’arte e letteratura artistica,
ma di prendere atto che quella storia postuma è affidata anche alle testimonianze
materiali, si riflette in manifestazioni prammatiche quali sono le falsificazioni o i
restauri.
La storia dell’arte non può mai fare l’intera storia dei suoi oggetti, nelle condizioni in
cui essi vennero prodotti, perché troppo larga e significativa, ma a volte anche
insufficiente, è la storia delle loro vicende collezionistiche e significative.
L’autore analizza sei opere, osservate nelle mostre precedenti, aperte nel 2006:
- La seconda opera presenta uno stato incerto di conservazione e di restauro-
storia dell’arte come storia fatta di testimonianze materiali.
Non si capisce se lo storico dell’arte sia disposto a riconoscere il “probabile
bozzetto” già da lui creduto originale. Attorno ai falsi c’è sempre troppo clamore e
poca voglia di sfruttare l’occasione per imparare a guardare meglio.
Riporta le postille:
1- Prima postilla: un esempio di scultura 400entesca che lascia incerti
sull’autenticità- nel catalogo della mostra di Matteo Cividali- busto di
giovinetta in terracotta, riferendolo con certezza ad Andrew Butterfield.
Caglioti, miglior conoscitore, cita i due esami di termoluminescenza sono stati
sfavorevoli all’autenticità dell’opera. In linea di principio è bene non fidarsi di
queste analisi
L’ipotesi di Caglioti: la terracotta sarebbe stata desunta da un originale Mino
rimasto sconosciuto; ma l’ipotesi è accantonata non appena viene fatto notare che
L’IMPASTO APPARE MODELLATO ANCHE DALL’INTERNO E NON
PREMUTO IN UNO STAMPO. In effetti, la corrispondenza con la struttura dei
busti e con le più tipiche formulazioni stilistiche di Mino è piena. Resto però
convinto che sia l’opera ottocentesca per:
- Modo troppo naturalistico
- Sensuale di chiudere le labbra
Ma il rapporto con la figurazione cambia perché esso dipenda dal luogo nel quale
l’opera è collocata: quella in questione, dal vero si rivela inspiegabilmente fuori
scala, come se la sua forma naturalistica non calzasse nelle misure ridotte.
- Seconda postilla: un esempio di dipinto “à la manière de” con firma: alla
mostra del Romanino aperta al Castello del Buonconsiglio nell’estate del 2006,
si è potuta studiare l’Adorazione dei pastori, conservata ad Edinburgo. Dalla
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scheda di Buganza si evince la ricostruzione della storia collezionistica e
critica. Sulla cronologia del pittore bresciano sembra essere l’oggetto di
attenzione e non la paternità dell’opera- considerando la firma GIORGIUS
BARBARELLI tracciata sul muro della capanna. Le caratteristiche:
1. Accensione di azzurro, bianco, verdi che inquadra da due lati la casa
cadenti, che ritaglia la trave e l’avanzo del tetto con lucentezza naturalistica
ha già uno stacco barocco
2. Le “bave” di luce sui visi di Giuseppe e del pastore anziano
3. Testa ritorta di Maria fa pensare al Romanino.

4. Puntualità botanica con fiori minuti e precisi che punteggiano il tessuto


pittorico

Con il restauro, l’opera presenta ridipinture di una certa estensione, specie in


corrispondenza del praticello in primo piano- forse colpa dell’illuminazione artificiale
di una mostra. Così l’autore rivede quanto possa essere fondato un controllo fatto in
una mostra, non è riuscito a vedere dove si estendesse il rifacimento. Quanto alle
indicazioni stilistiche, che parlano di un “giorgionismo eterodosso” per poi spiegare
attraverso i restauri, ma non rientra nel quadro cronologico e culturale. La
spiegazione della firma apocrifa di Giorgione. Nel Seicento si aveva un’idea di
Giorgione simile a quella per noi è la realtà stilistica di Romanino Si dice che a furia
di ricreare la maniera di Giorgione, finì per scoprire quella di Romanino.
- Terza postilla: un caso d’incertezza fra restauro radicale e falsificazione. La
questione sorge per confermare l’attribuzione a Gentile da Fabriano e si dice
che si fece appello all’opinione plebiscitaria della critica. Spense una parola
per lo stato di conservazione della Lapidazione di Santo Stefano. A sostenere
l’autenticità del dipinto, lo stato di conservazione veniva opposto come un
ostacolo insormontabile. Ferretti lo definisce un falso di fine Ottocento, la
stesura pittorica della tavoletta gli è sembrata “lututenta- imbrattata di fango”.
Si analizza l’Adorazione dei Magi e ribadisce che nella mostra si ritrovava in
una particolare predella ingrandito su due pagine, come aperture di sezione.
L’opera di bottega è quella di minore impegno esecutivo, di minore valore
materiale. Anche se la stesura non è quella da Gentile da Fabriano,
l’invenzione sintattica del racconto appare un’idea di prima mano. Lo stupisce
il fatto che ci sia stato il bisogno di commentare questa sintassi più sciolta e
irregolare; o che nella scheda citata si ipotizzi il ricorso ad uno sconosciuto
modello classico per la figura dell’aguzzino sulla sinistra. Riguardo la sintassi
sciolta ed irregolare nasca dalla lettura ravvicinata, sforbiciata, fotografica
della lunetta centrale dell’Adorazione dei Magi degli Uffizi. Un falsario di
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calibro avrebbe potuto trovare il motivo vegetale e quello dei sassi luccicanti
sulla strada di campagna; avrebbe saputo variare il profilo perduto del terzo re
e ricavare dal primo loro il viso dell’aguzzino in secondo piano. Un’analisi di
laboratorio ci darà qualcosa in più anche se i giudizi definitivi sono quelli che
non vedono discordanza fra diversi criteri di analisi.

- Quarta postilla: un esempio di incongruenza iconografica. Le opere in


questione vennero esposte alla mostra mantovana “La scultura al tempo del
Mantegna”. Lo scultore va a cercarsi scorci difficili o complessi di trapassi di
piani, con esiti che perdono ogni identità stilistica. Il muso del cavallo rapante
a destra si rattrappisce, nello scorcio, in modo goffo quanto poco probabile.
IMPROBABILE S’INTENDE NON PER CORRETTEZZA ACCADEMICA,
MA PER CRITERIO ESPRESSIVO DELLA LOMBARDIA di fine
Quattrocento, e perché ha qualcosa di artificiosamente innaturale. Tra le
stranezze si annoverano i materiali: il rilievo è in terracotta – una riproduzione
di Valeri è una prima, ma in pietra nel 1904. Nella scheda viene citata “pietra
grigia” di provenienza dolomitica- le sue scaglie grosse ricordano la selenite
bolognese di Monte Donato, ma di materiale estraneo all’area stilistica della
lavorazione. Come si spiega la cavità in corrispondenza della coppia di
centauri sulla sinistra, che si allarga liscia sotto l’orlo del cratere? O il grosso
buco fra le gambe del soldato a terra e le zampe del cavallo rampante lì vicino?
Ferretti non crede che la disposizione invertita delle lastre che si vede
nell’Amedeo di Malaguzzi Valeri, con due mezzi stemmi ai lati. Le
incongruenze riguardano però l’iconografia che ha a che fare con
l’immaginazione combinatoria tra i modelli rinascimentali e lombardi: i
centauri aggiogati al carro sì, ma nei cortei bacchici. I centauri sono aggiogati e
in lotta, non potranno suonare il liuto o portare in groppa una ninfa. Pensando
ai modelli figurativi lombardi, cita il ritratto monetale in cui compare l’infisso
nel mozzo di una ruota di uguale diametro. Durer fa qualcosa di simile con
l’aquila imperiale del Grande carro di Massimiliano I, ma in contesto
allegorico. Il rilievo si trova al Museo di Cremona.
Non possiamo conoscere sempre la storia del falso e dobbiamo attenderci delle
sorprese.

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