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Il Rinascimento

Con il termine Rinascimento si usa indicare quella fase di rinnovamento culturale che ha origine a Firenze
intorno al secondo decennio del Quattrocento.
Nel quattrocento l’Alberti ed il Filarete lodano l’usanza moderna di costruire del Brunelleschi che si riallaccia
all’antica (classicità greca e romana), mentre viene disprezzata la maniera gotica e bizantina.
Massimo esponente dell’arte, la quale attinge sia dall’antico che dalla natura, è Michelangelo.
Il concetto di Rinascimento, viene inteso come periodo culturale non come periodo stilistico, contrapposto
al Medioevo. Nel campo figurativo, la prospettiva rende possibile la rappresentazione di uno spazio
concreto e misurabile, rispetto a quello empirico e intuitivo del Medioevo. La novità essenziale del
Rinascimento sta nel suo cosiddetto “realismo e individualismo”.
Il Rinascimento è visto come un periodo compatto e limitato che si inizia con lo studio della natura condotto
da Brunelleschi, Donatello e Masaccio e raggiunge l’apice dopo poco più di un secolo con Michelangelo,
Giorgione e Tiziano, dai quali ha inizio la decadenza.

Questo primo scorcio di secolo è dominato a Firenze dai cantieri di grandi opere pubbliche, come la fabbrica
del Duomo, l’ospedale degli innocenti e varie chiese che hanno sì come committenza l’oligarchia
imprenditoriale Fiorentina, ma come destinatario il popolo di Firenze. Questi sono gli anni della formazione
del nuovo codice linguistico, delle arti e della codificazione di una nuova visione del mondo da parte di
letterati e filosofi. Ora il codice nato per le grandi opere pubbliche con l’ambizione di servire e a
determinare una nuova scena urbana, come scena delle azioni dell’uomo, in quanto libero cittadino,
comincia ad essere utilizzato per le grandi fabbriche private, cioè per una parte relativamente esigua alla
produzione edilizia del tempo.
Sono particolarmente significativi i cantieri che si impostano a Firenze e a Urbino, l’uno per l’elevazione
della cupola di Santa Maria del fiore, l’altro per l’ampliamento del palazzo di Montefeltro. Due cantieri
distanziati di cinquant’anni coincidono l’uno con l’adolescenza, l’altro con la maturità del Rinascimento.

Classicismo e naturalismo
I termini particolari sono il ritorno alla natura e all’antico attraverso il concetto di imitazione, mimesi. La
natura infatti possiede delle leggi geometriche proporzionali, già scoperte ed applicate dagli antichi, che
vanno riprese, indagate, per fondare su di esse la nuova scienza e la nuova ragione su cui edificare
autorevolmente la libertà dell’uomo e la centralità del suo posto nel mondo. Dall’esperienza naturale da
quella dell’antichità vengono dedotti una serie: dalla natura prendono l’avvio indagini che hanno diretta
influenza in architettura, quali quelle sul corpo umano e le sue proporzioni, (antropomorfismo) e sugli
animali superiori (zoomorfiismo) e sulle piante (fitomorfismo) Tale influenza è verificabile negli esiti
planimetrici degli edifici rinascimentali, ad esempio gli studi antropomorfici avranno diretta influenza
sull’architettura civile (la pianta centrale e longitudinale delle chiese) quelli zoomorfici nell’architettura
militare, quelli fitomorfici prevalentemente nella decorazione architettonica.
La prospettiva.
L’applicazione delle leggi proporzionali ad una sufficiente porzione di spazio è resa possibile, a livello
progettuale, solo con uno strumento di rappresentazione, capace di rendere costanti i rapporti dimensionali
e posizionali di più oggetti posti nella stessa distanza dall’osservatore, dal che le grandezze vengono a
dipendere solo dalla distanza fra oggetto e punto di vista. Tale strumento è la prospettiva scientifica, in
quanto metodo di rappresentazione su di un piano di uno spazio tridimensionale, secondo le regole della
geometria proiettiva. La prima codificazione di queste regole che si conosca compare in due tavolette, oggi
perdute, eseguite dal Brunelleschi. La prima in prospettiva centrale, raffigurante il Battister,o la piazza tra
esso e il Duomo di Firenze; la seconda in prospettiva obliqua, con una visione di scorcio del palazzo e della
piazza della Signoria.
La scala umana e l’ordine gigante
Il primo Rinascimento aveva finito per creare un vero e proprio culto della proporzione architettonica a scala
umana, proporzioni cioè le cui unità di misura fossero detratte dalle misure del corpo umano, di
conseguenza edifici le cui parti avessero dimensioni confrontabili con l’altezza media dell’individuo. È
possibile che l’ordine gigante, cioè posta ad abbracciare più piani, sia stato proposto da Bramante anche in
facciate di palazzi e segna nel punto di trapasso, perché la dimensione, nata come riferimento all’uomo, si
trasforma in dimensione atta a dimostrarne la nullità di fronte ai concetti sopra storici di potere e di
potenza.

La tipologia
Con il Brunelleschi, questi strumenti vengono messi a punto e sperimentati, ad esempio nella sua opera,
accanto all’interesse per l’antichità, è presente anche una forte presenza di continuità con il passato
recente, specialmente romanico e gotico di Firenze e della Toscana. Tipologia funzionale, tipologie formali,
tipologia di impianto planimetrico e di impianto prospettico, formeranno un nuovo grande codice sempre
più largamente accettato e diffuso.
Il metodo
Nella sua proposta di un nuovo linguaggio, il Brunelleschi aveva individuato una possibile via di
rinnovamento degli organismi architettonici, mediante la loro scomposizione in unità o moduli elementari,
considerati come elementi prestabiliti e ripetibili. Una volta fissato un modulo spaziale di base ed una legge
di aggregazione, sarebbe stato possibile mediante diverse combinazioni degli elementi, inventare un
immenso numero di nuovi tipi di organismo. La libera campata medievale deve assumere la determinatezza
di un modulo spaziale, le cui dimensioni siano tra loro legate da rapporti numerici e geometrici fissi. Questa
astratta griglia tridimensionale di linee nella sua assolutezza, renderà lo spazio razionalmente ordinato e
misurabile.
Dall’antichità classica viene dedotto il codice l’ordine architettonico, e l’arco a tutto sesto. In esso si
intravedono ben presto due componenti: una di ordine estetico, l’altra di ordine strutturale, che tenderanno
ben presto a divergere la prima albertianamente intesa come il principale ornamento e tutta l’architettura.
Nella seconda accezione dell’ordine sarà inteso come vera e propria matrice, cerniera di ogni articolazione
di involucri di spazi.
Nell’ordine architettonico e nell’arco a tutto sesto, il Brunelleschi individua gli intermediari fisici, atti a
tradurre uno schema geometrico astratto in struttura ed in spazi concreti. L'associazione dell'ordine classico
in quanto elemento costituito da un numero fisso di parti fra loro, con l’arco semicircolare, potrà costituire
uno sistema determinato.
Per formare e qualificare edifici reali non è sufficiente alla semplice aggregazione di moduli spaziali uguali,
ma è necessario comporre insieme moduli simili ma di dimensioni fisiche diverse. Tale risultato è ottenuto
dal Brunelleschi incastrando fra loro due diversi ordini, in modo tale che la trabeazione dell’ordine
dimensionalmente maggiore risulti tangente al cervello o vertice della mostra dell’arco sostenuto dall’ordine
più piccolo.

Piante centrali e piante longitudinali


Nella cornice del metodo compositivo si riscontrano una serie di problemi particolari, che si configurano
come veri e propri modi compositivi. Uno di questi nodi è il dibattito pianta centrale-piante longitudinale
per l’edificio di culto. Lo schema centrico, assai diffuso nell’antichità e in prevalenza abbandonato nel
medioevo, ritorna in auge in questo periodo, in conseguenza del suo caricarsi di significati simbolici, ovvero
centricità, come visualizzazione della coincidenza fra microcosmo umano e macrocosmo divino, contro
longitudinalità, come percorso di avvicinamento all’altare, quindi chiesa come ecclesia. Altro nodo
compositivo divenne il tema della facciata della Chiesa, in coincidenza della doppia esigenza da un lato di
dare tramite l’edificio un nuovo assetto della scena urbana, e dall’altro di proiettare sul piano di facciata lo
schema dello spazio interno dell’organismo architettonico.

Filippo brunelleschi
Il concorso per la realizzazione della cupola di Santa Maria del fiore, che viene imbandito nel 1418, vede
vincitori Brunelleschi e il Ghiberti, ai quali viene affidato l’incarico in collaborazione. Nel 1420 iniziano i
lavori, il Brunelleschi risolve il problema della copertura nel grande vano ottagono di 43 m di luce, attraverso
una serie di scelte determinanti: anzitutto quella di una sezione a quinto acuto meno spingente all’imposta,
rispetto ad una a tutto sesto, quindi quella di una struttura il meno pesante possibile. Per ottenere ciò il
Brunelleschi ricorre ad un tipo di doppia calotta, da lui ideata ,costituita da 8 costoloni maggiori emergenti
al finito e da due costoloni intermedi ad ogni spicchio, per un totale di 16 interni alle due calotte.
L’ossatura è completata da tratti di archi orizzontali in un collegamento ed irrigidimento. Le murature delle
calotte sono eseguite in conci di pietra per la parte inferiore e di mattoni per quella superiore, posti in opera
secondo il sistema di incastro detto “a spina di pesce” che permette a Brunelleschi di rendere ogni anello di
pietra o mattoni, autoportante.
Al Ghiberti viene infatti affidata alla realizzazione delle seconde porte per il Battistero. I lavori proseguono
quindi fino al 1436, quando la struttura è terminata fino all’anello di imposta della lanterna.

L’ospedale degli Innocenti, con destinazione a brefotrofio, e con impianto analogo a quello degli Spedali
trecenteschi, viene progettato nel 1419. Nel 1424 è quasi ultimata la loggia ed anche se vi sono documenti
che attestano un qualche partecipazione al Brunelleschi, fino al 27 i lavori vengono portati avanti da altri
che modificheranno arbitrariamente il progetto. La loggia è costituita da una serie di campate a matrice
cubica, coperte con volte a vela, il loro ritmo frontale è scandito da colonne con capitelli corinzi il cui
interasse è pari all’altezza, sono sormontate da archi e la cui mostra in effetti un architrave di trabeazione
ricurvo. Una trabeazione completa e poi disposta sopra di essi è tangente a loro cervello. Questa è da
ritenersi la prima opera del nuovo stile, che oltre ad assumere il significato di manifesto, ha un preciso
riferimento urbano e civile.

Nel 1419 viene inoltre definito il progetto ricostruzione di San Lorenzo, chiesa parrocchiale dei medici, che
viene subito affidata al Brunelleschi.
I lavori iniziano limitatamente alla sacrestia, detta poi vecchia, nel 1419, e successivamente viene deciso
l’ampliamento e poi la ricostruzione della vecchia chiesa, anche alla parte relativa al transetto. La sacrestia
può essere quindi considerato un edificio a sé stante.
L’impianto prospettico, costituito da un modulo cubico, coperto da una cupola nervature e a vele su
pennacchi sferici. La parete frontale, tripartita dall’ordine dà accesso ad un vano anch’esso cubico e
copulato, “la scarsella”.
L’ordine architettonico, corinzio e le modanature risaltano sul fondo murario intonacato di bianco
conferendo allo scheletro oltre ad una precisa funzione di definizione stereometrica del vano, anche una
valenza allusiva, questa allusione ad una struttura portante, non vera, smaterializza il muro.

Le difficoltà incontrate nella costruzione della Chiesa di San Lorenzo, le preesistenze, il programma, nonché i
vincoli posti dall’area su cui essa insiste, fanno sì che questa resti legata non alle strutture linguistiche
sebbene, all’impianto iconografico di origine cistercense delle chiese gotiche fiorentine, e particolarmente a
quello di Santa Maria Novella. Se è vero infatti che a questi schemi volontariamente si rifà il brunelleschi,
sembra altresì che la disposizione a tre navate fosse da lui ritenuta inutile e disdicevole e che a queste egli
preferisse lo schema a croce Latina con nave unica, circondata di cappelle su ogni lato.
Intorno al 1429, è certo che intorno a questi anni si verificano dei cambiamenti nella linea di ricerca
brunelleschiana. Se è infatti vero che le prime notizie sul Santo Spirito risalgono al 28, è tuttavia nel 36 che
Brunelleschi riceve l’incarico per la costruzione della fabbrica. Vengono qui superate le incertezze del San
Lorenzo, tutte le misure planimetriche ed altimetriche formano un sistema unitario di quote vere riferito
alla base dell’interasse delle colonne.

Leon Battista Alberti


La vicenda architettonica della seconda metà del 400 è fortemente segnata dalla personalità di Leon Battista
Alberti.
In palazzo Rucellai, cominciato intorno al 1446 emerge la trattazione del tema della facciata per un edificio
civile. Primo coerente tentativo di applicazione degli ordini classici al fronte di un palazzo, in funzione di una
griglia prospettica, esso si qualifica come estensione del modulo classico. Gli elementi
emergenti sono qui il ritmo della facciata, scandito dai moduli leggermente più ampi
su cui si aprono gli ingressi, la sovrapposizione non canonica degli ordini, che trae
spunto da edifici romani come il Colosseo, ed infine la trattazione della fascia
basamentale con l’alto zoccolo di sapore antiquario, e di quella terminale con una
trabeazione con fregio a mensole come nel Colosseo.

Questa foto di Ma forse la prima opera d’architettura dell’Alberti è il cosiddetto Tempio Malatestiano
A Autore sconosciuto è Rimini. Non sappiamo con certezza qual è stato intervento dell’Alberti nè quali parti
concesso in licenza da
siano da attribuirsi ai collaboratori che l’architetto dirigeva nella dimora
CC BY-ND
romana.
La facciata costituisce il primo esempio di soluzione rinascimentale per il
fronte di un tempio. La pianta longitudinale gotica, avvolta nel suo
involucro morale indipendente, doveva concludersi in alto come una volta
a botte probabilmente lignea e sul fondo con un corpo centrico cupolato
ampio quando la larghezza della Chiesa.

Questa foto di Autore


sconosciuto è concesso in licenza da
CC BY-SA-NC

Anche nel completamento della facciata per la chiesa Fiorentina di Santa Maria Novella, l’Alberti si trova di
fronte ad una preesistenza gotica e anche qui si comporta nel pieno
rispetto di essa.
Al partito decorativo preesistente, l’Alberti decide di sovrapporre,
usando gli stessi modi policromi toscani, una griglia rinascimentale di
ordini architettonici, secondo uno schema proporzionale basato sul
quadrato. La completa assenza di colonne e la loro sostituzione con
paraste, risolvendo il compromesso tra colonne e muro, indica nelle due più tarde facciate, sempre
mantovane, una svolta decisiva nelle concezioni architettoniche albertiane.

La prima di queste, il San Sebastiano, la sua costruzione fu iniziata nel 1460. L’impianto, desunto da qualche
costruzione sepolcrale romana, è centrico a croce greca con atrio a portico murario ed una fronte in forma
di tempio. Quest’ultima, opposta alla critica di problemi sia per le probabili modifiche portate dall’albergo
stesso in corso d’opera e che devono aver comportato la diminuzione del numero delle parassite dal fronte,
sia per il completamento rinascimentale successivo, sia dall’ultimo per l’avvenuto restauro moderno.Il
Sant’Andrea invece possiede un impianto longitudinale a croce Latina, fiancheggiata da un’alternanza di
spazi apparentemente scavati nella profondità della struttura muraria, le scandite sul fronte della navata
dalla concatenazione di due ordini.

Il Palazzo ducale di Urbino


Federico da Montefeltro, Conte duca di Urbino, costituì per sé la sua dimora, il Palazzo Ducale di Urbino.
L’edificio, o più puntualmente il complesso di edifici, non è il prodotto di un’unica personalità artistica bensì
il risultato di un’unica volontà ordinatrice, quella di Federico. Nel cantiere del palazzo passano i più reputati
architetti e artisti del tempo e si incontrano i maggiori rappresentanti della cultura umanistica.
Quattro superfici in un chiaro proporzionamento degli elementi architettonici (colonne-archi, trabeazioni,
lesene-trabeazione, e finestre) vengono dall’architetto indicate per mezzo della cesura formale (visivo
strutturale) degli angoli, in una fusione di semicolonna e parasta al piano terreno, e lesena-parasta al primo
piano.

Questa foto di Autore sconosciuto è


concesso in licenza da CC BY-SA-NC

LaQuesta
lezionefoto di Autore sconosciuto
brunelleschiana ed albertiana, è certamente presente all’architetto, che però sembra voler
è concesso in licenza da
spostare l’attenzione dagli elementi costitutivi dell’architettura, alla logica di visione di essa. Infatti il cortile
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non è considerato un invaso, il soggetto di uno spazio interno, bensì l’oggetto su cui guardano quattro
facciate. Alcuni scultori e decoratori di primo piano sono presenti arrivano Urbino, pittori quali Piero della
Francesca che contribuirà alla formazione di un particolare spirito culturale urbinate, definito di umanesimo
matematico. Il suo de prospectiva pingendi è il punto di arrivo della ricerca sull’essenza spirituale, culturale,
formale e linguistica della prospettiva iniziata dal Brunelleschi. E’ nella presenza delle maggiori personalità
artistiche culturali attive nella seconda metà del quindicesimo secolo che va riconosciuto al cantiere di
Urbino un ruolo particolarmente importante, dove è avvenuto lo scambio e l’elaborazione di idee ai massimi
livelli. Da questo ambiente usciranno personalità come Bramante e Raffaello.

Il 400 a Roma
Nel XIV secolo Roma, rimasta per quasi settant’anni in potere di famiglie baronali in lotta fra loro, che aveva
visto diminuire enormemente la sua popolazione, al ritorno della sede Pontificia da Avignone riacquista il
ruolo di città guida. Il romano Martino Colonna comincia il sistematico restauro degli edifici di Roma
chiamando artisti come Masaccio, Gentile da Fabriano, Pisanello.
Nicolò V Parentucelli, per primo rivolge i suoi interessi verso una sistematica campagna di restauro degli
edifici romani e promuove interventi a carattere urbanistico. A lui si deve ripristino delle mura di Roma, la
rettificazione di strade e infine l’idea di trasformare, secondo i canoni della nuova cultura architettonica, la
basilica di San Pietro. La guida di questo programma architettonico è Leon Battista Alberti.
Sisto V della Rovere è il pontefice che più si ricollega all’attività culturale e artistica di Niccolò.

Nella notevole attività architettonica praticata, restauri, abbellimenti e costruzioni, va ricercata l’idea di una
nuova Roma imperiale, basata sulla grandezza del passato. L’architettura del 400 a Roma ha una
caratterizzazione tutta propria che la differenzia dalla produzione degli altri centri italiani. Superate il
concetto che il bello di Roma sta tutto nelle rovine, nella città cominciano a sorgere delle architetture che
tengono il confronto coi resti del passato.
La basilica di San Pietro assunta a simbolo delle grandezze della comunità culturale della Roma imperiale,
nella Roma cristiana divenne il polo di un programma di rinnovamento che abbraccerà tutta la città,
attraverso una serie di costruzioni dislocate all’interno del tessuto urbano.

Il cardinale Barbo inizia, fra il 1451 e il 1455, la


ricostruzione del proprio palazzo, oggi Palazzo Venezia,
presso la chiesa titolare di San Marco. L’edificio, di notevoli
dimensioni, è caratterizzato da un esterno estremamente
severo, dove la merlatura e la torre creano un’immagine
militarmente intesa. La chiesa di San Marco viene
involucrata all’interno dei nuovi corpi di fabbrica ed ha
come facciata un portico con una loggia sovrapposta. Tra il
piano terreno e tre archi guardati da semicolonne e il
piano superiore, dove queste sono sostituite da paraste, si
nota una diversa sensibilità architettonica. All’interno del
Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in palazzo l’interrato porticato su due piani evidenzia una
licenza da CC BY-NC-ND ripresa dall’antico (Colosseo).

Le opere realizzate durante il pontificato di Sisto IV sono


numerosissime. In Vaticano la Cappella Sistina si presenta
esternamente come un volume coronato a mezza altezza da merli
su beccatelli e internamente è coperta da una volta a botte
ribassata e lunettata. La luce penetra da una serie di finestre che
girano tutto intorno. Nessun elemento architettonico è presente,
tutto è affidato ai cicli pittorici realizzati al di sotto delle finestre. Il
pavimento è una riproposta del tipo cosmatesco, largamente
presente nella Roma medievale.
Questa foto di Autore sconosciuto è
concesso in licenza da CC BY-SA-NCL’ospedale di Santo spirito, una lunga corsia circondata da un portico
esterno ad attacchi ad archi su pilastri ottagonali con al centro un’alta cupola, tiburio a pianta ottagonale
irregolare col tamburo traforato da finestre, tutta la costruzione, anche nelle decorazioni è in mattoni.

Le chiese del pontificato di Sisto IV non possono essere inquadrate in un’unica tematica progettuale. Santa
Maria del popolo presenta una pianta con cappelle poligonali (su un modello gotico settentrionale) e un
alzato mediato dal sistema delle coperture termali dell’antichità. La sua facciata presenta un’intelaiatura di
ordini proposti e un disegno non preciso, mentre quella di Sant’Agostino denota una maggiore ricerca
formale; però la chiesa denuncia all’interno una minore chiarezza nelle membrature architettoniche. Santa
Maria della pace unisce ad un impianto centrale ottagonale, una corte nave. San Pietro in Montorio,
realizzata d’aula, presenta le pareti articolate da una serie di piccole nicchie circolari pronunciate all’esterno
e ha una facciata stretta e alta sormontata da un timpano triangolare.

Il 400 a Venezia
A Venezia la particolare posizione geografica, l’economia tutta mercantile, la lunga tradizione bizantina
gotica, conferiscono al linguaggio architettonico rinascimentale una caratterizzazione particolare, nell’ibrida
fusione degli elementi nuovi con quelli della tradizione. Non mancavano alla città presenza di artisti della
nuova cultura provenienti da centri come Firenze, Milano e Verona, così come non erano assenti
testimonianze dell’antichità. E’ proprio nel tipo di antichità prettamente tardo antica e bizantina che vanno
individuate le ragioni di questa inerzia di Venezia al rinnovamento del suo linguaggio architettonico, operato
da artisti come Antonio Rizzo, il quale riesce in parte a svincolare l’architettura dalla decorazione facendo
risaltare maggiormente le membrature architettoniche.
E’ con Mario Colucci bergamasco che si hanno i presupposti per la successiva adesione di Venezia a quella
fase di Rinascimento irradiata a Roma, in seguito alle esperienze della cerchia di Bramante. Nella chiesa di
San Michele in isola e in quella di Santa Zaccaria, la facciata è definita da un’intelaiatura architettonica
posta secondo una logica costruttiva e formale precisa. Santa Maria formosa, San Giovanni Crisostomo,
rimandano nella pianta e nella spazialità interna alla tipologia bizantina.

Il 400 lombardo
Antonio Avellino, detto il filarete, dopo l’attività di scultore praticato a Firenze col Ghiberti, e dopo aver
realizzato per Eugenio quarto una delle porte in bronzo per il San Pietro, si trasferisce a Milano. E’ proprio
tramite filarete che la nuova cultura rinascimentale formata da Firenze, penetra nell’ambiente milanese e
lombardo.

Nel 1456 lo Sforza, fonda l’Ospedale maggiore, e offre al filarete la possibilità di operare in maniera
indipendente. I Lombardi Giovanni solari e il figlio Guiniforte nelle loro opere rimandano alla tradizione
romana gotica lombarda. Guiniforte, subentrato al filarete nei lavori
dell’Ospedale maggiore, sostituisce le progettate finestre
classiciste con complesse bifore gotiche.
.I solari lavorano nella Certosa di Pavia la cui chiesa è
impostata seconda proporzionamenti gotici analoghi a
quelli del Duomo di Milano del San Petronio a Bologna e
portata avanti nelle linee fondamentali secondo questi
principi pur evidenziando numerose aperture verso la
nuova cultura rinascimentale.
Giovanni Antonio Amadeo lavora nella maggior parte dei cantieri milanesi e Lombardi sotto due aspetti,
quello di costruttore e quello di architetto

Il complesso della Certosa di Pavia è un'articolata struttura costituita dalla chiesa


di Santa Maria delle Grazie, a pianta longitudinale a tre navate con volte a
crociera e 14 cappelle laterali.Per la Certosa esegue i due chiostri usando
archi a tutto sesto, esuberanti di decorazioni e portati da colonne troppo esili.

La Cappella Colleoni a Bergamo, che nella pianta ricorda quella Portinari,


nell’elevato rifiuta l’immagine di una chiarezza compositiva ricercando invece
quella di una complessa ricchezza decorativa e coloristica, dove qua e là è
possibile individuare elmenti ed intelaiature rinascimentali, così come accade
nella facciata della Certosa.
Tra gli architetti operandi in Lombardia che hanno immesso nelle loro opere
l’insegnamento del Rinascimento toscano, va ricordato il Dolcebuono, che collabora con l’Amadeo nel
Duomo e nella Certosa, evidenziando nelle sue opere un avvicendamento più sostanziale alla nuova
architettura, forse derivato dai rapporti col Bramante e indirizzandosi verso soluzioni che tendono ad
evidenziare le strutture compositive spaziali.

Rinascimento nell’italia meridionale, Napoli e Sicilia


Sebbene debba essere interamente considerarsi come un fenomeno di impostazione culturale il
Rinascimento a Napoli si manifesta con caratteri propri. grazie alle favorevoli contingenze politiche e sociali
che sono determinate dalla conquista aragonese dal Regno. Per quanto riguarda l’architettura, le nuove
correnti di gusto provenienti principalmente dalla Toscana, vanno di pari passo con gli ultimi sviluppi del
gotico fiammeggiante di provenienza iberica.
Napoli oscilla lungo fra l’uno e l’altro stile. L’intendo principale dell’arte del Rinascimento e il suo fine ultimo
non sono la conoscenza scientifica della natura, lo studio e la rappresentazione di essa mediante regole di
geometria e di matematica, o quella della prospettiva (come a Firenze), ma è quello di rappresentare il
“personaggio”, celebrarlo nelle sue azioni, farlo vivere anche dopo molto, sempre da vincitore. Si spiega così
la particolare fioritura del ritratto, quasi sempre in marmo, mentre la pittura, l’architettura ed alcuni aspetti
della stessa scultura, finiranno più o meno con l’essere cornici allo statuaria.

In considerazione della breve durata della stagione aragonese. che non permette la realizzazione del
progettato piano regolatore per Napoli, e consente solo in piccola parte la ricostruzione delle mura della
città, nell’architettura rinascimentale napoletana manca qualsiasi realizzazione a carattere pubblico e
sociale. L’architettura rinascimentale partenopea offre quasi unicamente esempi di palazzi di
rappresentanza e cappelli gentilizie, non ospedali, caserme o mercati.
Il Castelnuovo, fu originariamente costruito per Carlo I d’Angiò, fu gravemente danneggiato dall’assedio con
l’aragonese, alla vittoria aragonese seguì un ampio restauro e un rifacimento da parte dello stesso Alfonso
d’Aragona. Risultano sicuramente angioine le strutture della grande chiesa del castello mentre sicuramente
aragonesi risultano la scala del patio, le decorazioni scultoree e la grandiosa
sala dei Baroni. Solo con l’arrivo a Napoli del sagrera nel 1449 essa viene
impiantata come attualmente con la costruzione delle grandi torri cilindriche
tra queste la torre di mezzo e la torre di guardia ai lati della porta sembrano
senz’altro del sagrera che nominato capomastro dell’opera dal 1450 al 54. Il
grande arco trionfale in ingresso viene realizzato dal 53 al 67. La
coesistenza di due così diversi filoni di gusto a Napoli, quali quello del
classicismo rinascimentale e del fantasioso gotico fiammeggiante è esemplificata nel restauro della Chiesa
del castello che, danneggiata dal terremoto, riceve un portale rinascimentale ed un’elegante finestrone
gotico.

Il palazzo di Diomede Carafa, dalla facciata decorata a bugne lisce è datato 1466 se ne ignora l’autore. Il
portale rinascimentale del palazzo, dall’architrave scolpitotutto e per il quale è stato rilevato un influsso
albertiano, è serrato da due battenti scolpiti secondo il gusto gotico flamboyant. Esso
immette in un cortile porticato ove alcuni elementi classici (la colonna romana di spoglio
scanalata e parzialmente baccellata, un capitello corinzio) si uniscono volutamente ad
elementi tardo gotici, quali pilastri polistili sormontati dal capitello a foglie di cardo che
sorreggono l’arco depresso dell’androne; e ai pilastri poligonali del tipo diffuso a Roma
nell’epoca di Sisto IV. Tutto in quella casuale mescolanza di Rinascimento toscano e gotico
aragonese che rende tipiche le costruzioni napoletane della metà del 400.

La città ideale
Soprattutto dopo il 1000 si era andato sviluppando un tessuto residenziale compatto, formato da edifici
generalmente unifamiliari, composte dall’abitazione vera e propria, dalla bottega artigianale, dalle stalle e
dall’orto. Questo corpo della città medievale fu comunque caratterizzato da alcune peculiarità che si
rintracciano costanti per molti secoli e per larghe aree geografiche. Tali peculiarità sono tutte riconducibili al
modo stesso attraverso cui la città medievale è cresciuta, cioè ad uno sviluppo spontaneo non definito
anteriormente attraverso piani. Lo spazio che dal modo viene a crearsi e seppur unitario nel suo complesso
vario mutevole e imprevedibile intercambiabile dove la sfera pubblica tende a confondersi con la sfera
privata e dove l’unico alimento organizzatore è la via.
La città del Rinascimento dovrà “rifunzionalizzarsi” alle nuove esigenze, alla dinamica imposta dai rapporti
sociali mutati, e contemporaneamente dovrà recare anche visivamente il segno dei mutati rapporti di forza
costituendosi come immagine del nuovo potere. Contemporaneamente si affermerà in modo definitivo il
concetto di piano urbanistico, cioè di “progetto” dello sviluppo urbano. Lo spazio urbano rinascimentale, la
via la piazza, ecc è infatti unitario e costituito da parti simmetriche basato sulle forme geometriche regolari,
misurabili, e valutabili nelle sue proporzioni, comprensibile, del tutto razionale. L’occasione di verifica
concreta di tutti i nuovi parametri (funzionalità, significato ideologico e impostazione prospettica) sarà
offerto dai processi di ristrutturazione di alcune città, costituite dalle varie proposte di città ideale.

Il punto di riferimento è la città di Vitruvio, più precisamente la descrizione contenuta nel de architectura. Si
tratta di uno schema a forma circolare o poligonale, a seconda delle interpretazioni, nel quale si innesta una
maglia varia e radiocentrica, dove al centro come ambiente a sé stante si colloca il foro, luogo dei principali
edifici pubblici.
Partendo da un analogo atteggiamento pratico e positivo, si muove la proposta che Leon Battista Alberti
sviluppa nel De re aedificatoria. Gli aspetti funzionali e distributivi e la prospettiva di sviluppo della città
costituiscono il tema centrale attorno al quale ruota tutta la sua concezione urbanistica. Nella città nuova,
secondo Leon Battista Alberti, dovranno essere definite zone di vincolo di aree destinate all’espansione, i
servizi generali, le tipologie delle piazze commerciali, e dovrà porsi attenzione alle relazioni tra funzione ed
estetica degli ambienti urbani.
Vengono per la prima volta nella storia dell’urbanistica introdotti i criteri proporzionali nei tracciamenti
stradali, attraverso determinati rapporti tra la larghezza della strada e l’altezza degli edifici che la
fiancheggiano.
La Sforzinda, che il filarete idea per gli sforza di Milano, è la prima città disegnata del Rinascimento.
All’interno di un sistema radio centrico stellare, risultante dalle intersezioni di due quadrati inscritti nel
cerchio del fossato interno, gli edifici si distribuiscono in una gerarchia spaziale dominata dalla piazza
centrale, equivalente al foro romano, dove sorgono gli edifici pubblici e quelli per il culto. Attorno alla piazza
centrale si sviluppa un sistema di piazze periferiche a carattere commerciale. Gli edifici più importanti
vengono concepiti da filarete in modo del tutto fantastico, irreale; la loro dimensione gigantesca, (il castello
si sviluppa in forma piramidale per 16 piani) rimanda, più che al simbolo, ad un tempo e ad una civiltà
mitica.
È interessante notare come il filarete, nel tracciare la forma perimetrale
degli edifici posti nel centro della città, ricorra a figure quadrilatere che
cadono in palese contraddizione formale con il sistema che regola tutto il
piano. La città dovrà realizzare la perfetta sintesi tra la natura, l’uomo e la
storia, tra la legge naturale e la ragione umana. Questo atteggiamento che
l’architetto umanista nei confronti della città è lo stesso che lo guida nei
confronti dell’architettura, ma mentre il prodotto architettonico può essere
Questa foto di Autore razionalizzato e controllato attraverso un codice ben definito, quale
sconosciuto è concesso in licenza da l’ordine e il sistema di proporzioni che postula, la progettazione della città
CC BY-NC-NDsfugge a questa regola.
L’applicazione della prospettiva ad un intorno spaziale vario discontinuo di notevoli dimensioni quale
appunto è la città pone problemi completamente nuovi.

Si assiste nel 400 del 500 ad interventi strutturanti limitati a zone rappresentative, ristrette a pochi edifici,
mentre il resto della città continua ad essere costituito dall’impianto medievale. È il caso di Pienza, dove
Bernardo Rossellino viene chiamato per realizzare un nuovo centro rappresentativo all’interno di un borgo
medievale. Gli edifici monumentali vengono disposti da Rossellino in modo da formare una piazza a forma
di trapezio, dove la facciata della Chiesa è inquadrata al centro della base maggiore.
Mentre a Pienza l’intervento urbanistico viene limitato alla definizione di uno spazio in sé concluso, a
Urbino invece gli interventi succeduti sul Palazzo Ducale, fanno di questo organismo, nelle sue articolazioni
spaziali, l’evento organizzatore, motore di tutto lo spazio urbano, tanto da ribaltare l’orientamento
originario della città. Il complesso del Palazzo Ducale nella sua monumentalità si inserisce perfettamente
nell’organismo urbano preesistente, conservandone la continuità, senza rinunciare peraltro ad una propria
autonomia.
Le più importanti sistemazioni urbane del periodo rinascimentale si hanno a Roma a partire dalla seconda
metà del 400. Un vero e proprio programma urbanistico sarà impostato da Sisto V, il quale sente l’esigenza
di ristrutturare la città. L’ammodernamento di Roma avviene per sfondamento del corpo edilizio medievale,
per sovrapposizione ad esso di una nuova trama viaria, al fine di renderla funzionale al potere papale, ma
lasciano aperto il problema della pianificazione dello sviluppo urbano a lunghissimo termine.

L’ampliamento di Ferrara progettato da Biagio Rossetti, l’architetto della Corte estense è la risposta a queste
esigenze. L’addizione di Borso consisteva in un ampliamento di limitate dimensioni in uno spazio di risulta
all’interno della città medievale. L’ampliamento di Rossetti invece, per potersi realizzare, deve proiettarsi
fuori dalla città, superando la cerchia delle mura esistenti. Viene infatti prevista una nuova e più ampia
cerchia di mura entro la quale viene organizzato un impianto viario che, allacciandosi alle più importanti
arterie del vecchio tessuto, si articola attorno a due assi principali, come il cardo e il decumano, al centro
della città. Ma la trama viaria non era decisamente impostata sull’angolo retto, così i lotti che ne derivano
hanno una forma quadrilatera ma non regolare e configurano perciò spazi vari e imprevedibili. La grande
piazza monumentale non sorge all’intersezione di due assi principali ma è decentrata e viene quindi ad
assumere la funzione di alternativa e contrappeso al baricentro. Il merito di Biagio Rossetti è quello di aver
concepito un piano che tranne l’intento generale non ha nulla di statico.

L’architettura del primo 500 romano


Bramante
Verso la fine del 400 si assiste, nel campo della cultura artistica, ad un ampliamento di interessi che va oltre
allo studio dei modelli dell’antichità indicati e prediletti dal primo umanesimo. Questo atteggiamento
universalistico, caratterizzato dalla capacità di utilizzare suggerimenti ed apporti di varia provenienza è alla
base dell’esperienza di Donato Bramante, che formatosi nell’ambiente urbinate, esordisce come architetto a
Milano dopo aver risvolto opera di pittore. Bramante decide di discostarsi dalla tradizione Toscana ed anche
il suo metodo di progettazione va oltre quello brunelleschiano.
Al procedimento di addizione di cellule spaziali uguali, sostituisce una rigorosa organizzazione gerarchica di
matrici elementari, che attraverso una molteplicità di rapporti, vengono a costituire un organismo unitario,
pur mantenendo la propria distinzione. Tale procedimento è evidente nell’interno del Duomo di Pavia,
organismo di impianto composito dove studiò uno schema basilicale a tre navate,
suggerito forse dal Santo Spirito brunelleschiano, si innesta un grande vano ottagonale
coperto a cupola. La questione di spazio centrale longitudinale è volutamente
complicata dall’introduzione di quattro organismi ottagonali absidati, per cui all’idea di
spazio universale si sostituisce un policentrismo prospettico.

Interesse di Bramante per i problemi urbanistici si manifesta nel progetto per la piazza di Vigevano,
realizzata a partire dal 1492. La piazza, ad impianto quadrangolare longitudinale è chiusa su tre lati da
portici e sul quarto dalla facciata della Chiesa. La matrice tipologica può essere ricercata nel forum romano,
a cui corrisponde anche l’ubicazione dell’edificio civile sul lato lungo, e di quello religioso sul lato corto. Con
Vigevano nasce un nuovo tipo di ambiente urbano, la piazza cortile o la piazza salone, espressione degli
ideali umanistici in materia di città e società.

Sullo svolgere del secolo, Bramante abbandona lo stato Sforzesco si trasferisce a Roma. Nel 1502 Bramante
progetta il tempietto di San Pietro in Montorio, proposta di perfetto edificio centrale inserito in un cortile
circolare oggetto a carattere simbolico e celebrativo. Le proporzioni classiche del corpo cilindrico copulato e
l’uso dell’ordine dorico, con esplicito riferimento agli esempi antichi, mirano a conferire il prestigio e
l’autorità della tradizione classica ad un’architettura moderna celebrativa di simboli e miti cristiani.
Nell’affrontare il progetto per la nuova basilica di San Pietro, Bramante riprende il meccanismo della
combinazione gerarchica di organismi semplici, per dar luogo ad uno schema a croce inscritta. Lo spazio
centrale, una croce greca sormontata da una cupola, è accompagnata dalla ripetizione della stessa figura
lungo gli assi diagonali e da quattro torri sugli angoli, il tutto è scritto in un quadrato.

Il palazzo Caprini, detto anche casa di Raffaello, Bramante realizza un prototipo di facciata destinato ad
avere larga diffusione non solo in area romana. La fronte, divisa in due comparti: il piano basamentale
trattato a bugnato rustico e la parte superiore comprendente uno o più livelli intelaiata dall’ordine gigante,
in questo caso coppie di semicolonne, sarà ripresa subito da Raffaello ed in seguito dagli architetti del 500
Veneto.

Raffaello
Il clima architettonico romano continuerà ad essere influenzato per tutto l’arco del secolo da Bramante, che
viene recepita in due differenti ambienti: quello raffaellesco e quello facente capo ai Sangallo.
La breve esperienza architettonica di Raffaello si compendia in due filoni principali: lo sviluppo dagli
insegnamenti bramanteschi, che si esprime nelle sue architetture dipinte, e la ricerca spaziale che lo porta a
tentare rielaborazioni dello schema bramantesco per San Pietro, allontanandosi sempre più dall’idea
originaria. Il progetto di Raffaello per la Basilica Vaticana, accetta in pieno, ripetendole, le indicazioni di
Bramante per la soluzione della crociera, ma nell’impostare la navata longitudinale, voluta probabilmente
da Leone X, l’artista sembra non essere in grado di risolvere il problema e si limita alla trasposizione ed alla
meccanica ripetizione delle forme planimetriche già scelte per altre parti.
Nella cappella Chigi in Santa Maria del popolo, a pianta quadrata con angoli smussati, dove è ripresa da
San Pietro la soluzione delle paraste angolari e dei pennacchi per l’imposta del tamburo, che non sono più
triangolari bensì trapezoidali. La decorazione dell’Interno con le due tombe a piramide obbedisce precisi
intenti simbolici allegorici.
La Villa Madama, iniziata dopo il 1517 per il cardinale Giulio de medici affronta il tema della residenza di
campagna in un dialogo fra spazio interno modellato secondo gli esempi classici, e paesaggio esterno. Le
strutture a nicchioni, le logge e le crociere sono arricchite e integrate dalla decorazione pittorica; ad
un’uguale ricerca del “pittoresco” tende la sistemazione dello spazio attorno alla villa, organizzato in
terrazzamenti e giardini. Queste tendenze architettoniche sviluppate dai seguaci di Raffaello daranno luogo
ad alcuni dei più significativi risultati nell’ambito della sperimentazione manierista.

I Sangallo
In alternativa alla linea del pittoricismo architettonico portata avanti da Raffaello, si viene sviluppando a
Roma, per opera della cosiddetta setta sangallese, una tendenza a normalizzare il linguaggio
dell’architettura, riducendo l’esperienza creativa l’elaborazione di pochi tipi fondamentali applicabili ad ogni
esigenza. Antonio da sangallo il vecchio, fratello di Giuliano, segue dapprima i modi stilistici di quest’ultimo,
gran parte della sua attività dedicata dopo addirittura militare in Toscana e nello stato pontificio. Antonio da
sangallo il giovane, nipote di Giuliano e di Antonio il vecchio, svolge la propria esperienza professionale
nell’ambiente romano.

Michelangelo
Il valore delle testimonianze artistiche ed umana di Michelangelo Buonarroti sta nella sua ricerca condotta
come individuale esperienza di tutte le problematiche artistiche, civili e spirituali del suo tempo. La sua
visione artistica tende quindi a trascendere la bellezza apparente del mondo e a concentrarsi nelle visioni
dello spirito, esprimendosi poi attraverso tutti i mezzi disponibili, pittura,, scultura architettura poesia.
La posizione di Michelangelo in architettura è caratterizzata da un atteggiamento di autonomia verso la
tradizione antica. La formazione artistica di Michelangelo inizia a Firenze dove studia pittura e disegno, fino
a quarant’anni svolge prevalentemente attività di pittore e scultore, la sua prima esperienza architettonica è
data dai progetti per la facciata di San Lorenzo che non verrà mai realizzata.
La soluzione michelangiolesca a tre livelli, con predominio nella parte centrale, si ispira ai progetti di
Giuliano da sangallo per la stessa chiesa, ma accentua rispetto a questi, la funzione strutturale degli ordini,
per creare un sistema unitario entro cui sono disposti gli elementi di decorativi, porte, finestre e nicchie.
Quella cristiana va di San Lorenzo Michelangelo concepisce un organismo e pianta centrale simmetrico a
quello realizzato dalla Brunelleschi, ma nonostante l’analogia dell’impianto con quello della sacrestia
vecchia il risultato spaziale è molto diverso. Un più accentuato slancio verticale e ottenuto introducendo
una fascia intermedia fra la zona inferiore e quella delle lunette la cupola “a creste e vele” del Brunelleschi,
è sostituita da una cupola emisferica a cassettoni di derivazione romana, le pareti laterali vengono scavate
da nicchia poco profonde che divengono ideale collocazione per i gruppi scultorei realizzati da
Michelangelo, per le tombe dei medici.

Dopo la caduta di Firenze, Michelangelo si trasferisce definitivamente a Roma. Qui l’artista affronta il
progetto per la basilica di San Pietro. La soluzione michelangiolesca, superando le proposte del San Gallo,, di
Raffaello riprende dal progetto bramantesco l’idea della pianta centrale, operando per una drastica
semplificazione rispetto alla soluzione del Bramante. Ripetizione gerarchica degli spazi a croce greca, lascia il
posto ad un unico spazio cruciforme su cui imposta la gigantesca cupola. L’organismo quindi è determinato
dalla proposizione di due cellule spaziali, la base e la cupola. La cupola verrà realizzata dopo la morte di
Michelangelo con qualche modifica al progetto originario.

Nella sistemazione della piazza del Campidoglio si può riscontrare l’intenzione di caratterizzare anche a
livello emblematico il centro del potere civile di Roma. Michelangelo sfrutta la disposizione non ortogonale
dei due edifici preesistenti per creare uno spazio trapezoidale, che obbedisce a precisi intendi prospettici. La
statua ,posta al centro della piazza, e la decorazione stellare del pavimento, paiono alludere la posizione del
collega come polo ideale della terra ,mentre la gradinata d’accesso pone l’insieme monumentale in diretto
rapporto con la città.

Già in vita Michelangelo è considerato dai contemporanei, un genio pari e superiore agli antichi. Tuttavia,
fino dal 500 si delinea una corrente critica per cui, sotto l’influenza della cerchia sangallese la libertà e la
novità dell’architettura di Michelangelo vengono condannate come contravvenzione alle regole vitruviane. Il
culmine dell’attacco alle posizioni michelangiolesche si registra alla fine del 700 con le accuse di scorrettezza
e di lesa architettura rivolta al maestro.

San Pietro
Nel 1451 Nicolò V decide di consolidare, rendendo più magnifica e più moderna la fatiscente basilica
costantiniana. Il disegno numero 791 dell’alberti, rappresenta l’ipotesi avanzata dell’architetto fiorentino in
concorrenza con il primo progetto bramantesco. Giuliano da sangallo sembra tenere soprattutto presente il
concetto della semplicità come fattore di bellezza. L’organismo che egli prefigura è ineccepibile sul piano
della firmitas, per il sistema di rafforzamento della cupola centrale, costituito dai sodi murali che dividono le
cappelle. Tuttavia esso non appare altrettanto perfetto dal punto di vista della venustas, perché il vano della
cupola non si lega con il corridoio quadrato che lo circonda, ed i bracci della Croce non riescono ad
emergere dal corridoio e non si legano allo spazio centrale. Così il progetto ammette due temporanee
distinte letture, quella della Croce, e quella del vano centrale circondato da un deambulatorio, secondo cioè
il concetto che sarà poi sviluppato da Michelangelo.

Il progetto del disegno Uffizi numero 1, presenta come quello di Giuliano un grande spazio centrale ,
concluso da una cupola. Tuttavia questa volta elemento centrale non è isolato dal contesto, ma costituisce
invece il nucleo intorno al quale nasce una seria conclusa di spazi omogenei. Quello centrale si estende in
quattro direzioni, tramite bracci della Croce, e fissa così il modello spaziale che appare replicato quasi
identicamente nei quattro vani cupolati, disposti in diagonale. Entrambi gli architetti hanno introdotto come
forma base del vano centrale l’ottagono irregolare, determinato da una particolare conformazione dei
piloni. I piloni, con la loro pianta con forma di triangolo isoscele, permettono di posare il pennacchio sferico
anziché su un punto, sopra un segmento sufficientemente lungo così da migliorare il meccanismo statico e
da modificare sostanzialmente la forma delle vele. Il progetto di Bramante comporta la rotazione della
facciata, da est sulla platea sancti Petri a sud, e lo spostamento del centro geometrico dell’edificio.

Il secondo progetto di Bramante costituisce una delle questioni più problematiche controversie della storia
dell’architettura. Lo schema è certamente quello rappresentato dai disegni, dove è evidente la tendenza
verso l’impianto longitudinale, le crociere diagonali si qualificano in modo diverso rispetto a quello centrale
e compaiono intorno alle absidi i deambulatori, che fino a Michelangelo costituiranno un elemento fisso in
tutte le proposte successive.

Alla morte di Bramante, Leone X affida la direzione dei lavori a Raffaello, la quale sviluppa alcune ipotesi
avanzate in precedenza. il suo progetto, che conosciamo solo attraverso il servizio, gli mostra una
sostanziale fedeltà all’organismo bramantesco, giacché nei caratteri generali è legato alla sua ultima
versione longitudinale e per quanto si può capire dalla pianta, presenta una volumetria più compatta.

Anche Antonio da Sangallo il giovane lavora alla fabbrica di San Pietro, fin dall’inizio, prima come aiutante di
Bramante, poi come applicatore e infine con il titolo di capo mastro. Antonio il giovane mette a punto il suo
progetto definitivo, in questo nuovo progetto, del quale si conserva al museo petriano il grande modello
eseguito da l’abaco, Antonio porta alle proposte precedenti due importanti varianti:
1 riporta lo schema dell’organismo alla croce greca, sostituendo il corpo longitudinale con un elemento
legato al corpo centrico attraverso un portico aperto.
2 rialza i deambulatori in modo da tenerli lungo tutto il perimetro una parete di uguale altezza.
L’architetto, attraverso i tre ordini sovrapposti, proietta infatti sulle pareti la gerarchia stabilita dal Bramante
fra il sistema maggiore della Croce centrale e quelli minori dei quattro vani disposti ai lati.

Dopo la morte di Antonio da sangallo e di Giulio romano che lo aveva sostituito Michelangelo prepara un
modello della fabbrica e il 1 gennaio dell’anno successivo assume la carica di architetto in capo della
fabbrica di San Pietro. Michelangelo presenta la propria soluzione come al ritorno a Bramante egli infatti
conservala il nocciolo centrale nella fabbrica cioè i quattro piloni e i bracci della Croce maggiore e sacrifica
tutte le articolazioni che definivano l’organismo bramantesco come aggregazione coordinata di cellule
spaziali simili ognuna delle quali continuava a mantenere una certa autonomia all’interno del sistema. Di
particolare importanza l’eliminazione non solo dei deambulatori circolari ma anche dei bracci esterni dei
quattro sistemi cruciformi minori. Con queste modifiche allo schema bramantesco dello spazio interno
basato sopra una croce centrale intrecciata con una griglia di quattro elementi incrociati si sostituisce quello
di una croce luppolata intersecata da un grande anello quadrato. Uno schema cioè già evidente nelle
proposte di Giuliano casa sangallo. Nella soluzione del Buonarroti la tessitura è completamente svincolata
dalle articolazioni interne infatti l’ordine gigante sono montato da un attico corre intorno all’edificio
inquadra finestre e nicchie che ne impianta ne innalzato corrispondono alla sequenza degli spazi interni.
La grande cupola michelangiolesca si eleva solitaria al di sopra delle pareti modellata che ne costituisce il
basamento. La mancanza di elementi intermedi indica probabilmente la volontà di puntare al contrasto fra
la compatta volumetria della base e l’emergere squillante della cupola la quale presenta notevoli elementi
problematici. Il progetto prevede una doppia calotta appoggiata su nervature che si concludono con dei
contrafforti e muniti di colonne binate. La struttura generale quindi è a traliccio lontana dalle cupole di
tradizione romana per la massima parte impostata in modo continuo sulla muratura di base. Michelangelo
sembra accogliere in questo suggerimenti formali dalla cupola di Santa Maria del fiore. Alla morte
dell’artista la terribile fabbrica è giunta alla costruzione del tamburo la cupola sarà eseguita più tardi.
Il 500 Veneto e Palladio
L’esperienza architettonica di Andrea Palladio a Venezia.
Lo studio dell’architettura palladiana risulta da condursi sul piano del duplice confronto con il mondo
romano, indubbiamente avvertibile nella sua influenza, sulle soluzioni adottate nell’uso degli ordini
architettonici e con l’universo Veneto, al quale Palladio appare legato non solo nelle scelte tipologiche e
funzionali, come nel caso delle ville, ma anche negli intenti connessi alla codificazione storica
dell’architettura. La progettazione delle ville impone una distinzione per la cosiddetta rotonda, che viene
inclusa nel trattato, nella parte dedicata alla illustrazione dei palazzi di città. Si tratta infatti di un edificio a
pianta centrale con doppio asse di simmetria e quattro pronai identici, che immettono in un ambiente
centrale voltato a cupola. La fabbrica assolve unicamente alla funzione residenziale e non contempla
l’esercizio di nessuna funzione produttiva. Lo studio dei palazzi urbani e delle opere pubbliche permette di
affrontare la consistenza dell’espressione teorica palladiana, riassunta nei quattro libri, la quale si precisa
nell’identificazione di modelli tipologicamente sviluppati.

Il palazzo Thiene a Vicenza, forse eseguito su progetto di Giulio romano, avrebbe dovuto svilupparsi in
insula. In esso è sottolineata la fusione di elementi romani con altre decisamente veneti. Questo secondo
una configurazione ben individuabile nella tavola del trattato palladiano, dove lo schema planimetrico, il
sistema decorativo di fronte, coesistono accanto all’uso di elementi locali, come la sala passante dell’atrio. Il
palazzo Valmarana a Vicenza anche se largamente incompiuto, realizza clienti suggestioni
michelangiolesche nell’uso dell’ordine gigante e solleva il problema del rapporto della fabbrica con
l’ambiente urbano. Problema ancora più sentito nella progettazione di Palazzo chiericati dove la posizione
urbana, vicinanza del porto fluviale della città vicentina, suggeriscono l’architetto, per l’acquisizione di
qualche metro in profondità data la ristrettezza del lotto disponibile dai nobili chiericati in quel sito,
l’adozione di uno spazio rappresentato dal portico al pian terreno.
L’architettura religiosa Palladiana si puntualizza nella facciata del San Francesco della Vigna, in cui si
anticipano gli schemi delle facciate, interpretate come esito della compenetrazione di due pronoi di templi,
composte più tardi nella chiesa di San Giorgio maggiore, iniziata nel 1556, un organismo a tre navate
fortemente sviluppato longitudinalmente, come attesta la profondità oltre la zona centrale su cui si imposta
la cupola della zona presbiteriale. Nella Chiesa del Redentore, dove si riflette il carattere specifico della
grande fabbrica, remota rispetto al centro della città, ma in posizione tale da essere visibile anche da
lontano, raggiungibile con solenni cortei di imbarcazioni. L’impianto, a navata unica si arricchisce di una
sequenza di cappelle laterali, comunicanti fra loro e si focalizza nell’episodio absidale, preceduto da una
esedra di colonne.

Roma, il piano di Sisto V


Il rinnovamento urbanistico di Roma aveva avuto inizio fino dalla metà del 400, con Nicolò V che aveva
intrapreso la costruzione dei palazzi vaticani, affidando all’Alberti il piano regolatore di borgo, e verrà
proseguito con gli interventi di pontefici successivi, volti alla riorganizzazione del tessuto antico, mediante
nuovi assi viari e al ripristino di tracciati esistenti
Solamente sotto il pontificato di Sisto V il problema viene affrontato con un disegno di pianificazione a largo
raggio. L’intervento si propone di favorire l’edificazione e il ripopolamento dell’area collinare, compresa fra
le basiliche di San Giovanni in Laterano Santa Maria Maggiore e Santa Croce in Gerusalemme. Tale indirizzo
è dato dall’esigenza di spostare il baricentro della città dall’ansa del Tevere, per motivi sia pratici, soprattutto
di ordini igieniche sanitario, sia politici e religiosi. Alla volontà di fare di Roma la città modello per la
cristianità, prevedendo quindi una rete viaria che permetta un’agevole visita ai principali luoghi di culto e di
pellegrinaggio, corrispondono a concezione del potere volta a rivalutare il dominio temporale del papato,
quindi a valorizzare anche la città secolare fino allora contrapposta e ideologicamente subordinata alla
cittadella vaticana.
Il piano viene realizzato da Domenico Fontana, attraverso la creazione di un sistema radio concentrico di
arterie colleganti fra di loro le principali basiliche, ed aventi come fuoco la basilica di Santa Maria Maggiore.
Gli assi viari facenti parte di questo sistema, determinano lunghe visuali prospettiche a sfondo delle quali si
pongono le basiliche. Contemporaneamente, il ripristino degli acquedotti antichi permette di alimentare le
zone interessate, rendendo possibile lo sviluppo edilizio. Il piano di Sisto V ha per effetto un immediato
incremento edilizio e demografico, e costituirà l’ossatura viaria della Roma barocca.
Trasformazioni urbane
In tutte le principali città italiane si hanno, nel 500, interventi di varia qualità volti a ristrutturare particolari
interni urbani, in funzione delle nuove esigenze, sia politiche e sociali. Inizia così un processo che, nei due
secoli successivi, porterà la forma delle città al suo assetto definitivo.
A Venezia, una serie di interventi danno al complesso della piazza San Marco il carattere monumentale
proprio del centro del potere religioso e civile della città. L’allargamento degli spazi preesistenti, la
particolare funzione visuale, è assunta dagli elementi isolati, la definizione architettonica delle pareti
continue delimitanti l’area, trasformano la piazza e la piazzetta in ambiente perfettamente risolti,
rispondenti ai criteri prospettici rinascimentali e alle esigenze di decoro cittadino della Repubblica.
A Palermo, per iniziativa del governo spagnolo, il tessuto edilizio medievale viene attraversato da un’asse
stradale, collegando il palazzo vicereale, la cattedrale e il porto. A questo si aggiunge in seguito un altro asse
ortogonale, via Maqueda, i due assi dividono il centro cittadino in quattro quartieri di dimensioni analoghe
ed il loro incrocio, nodo della composizione urbana, riceverà una sistemazione monumentale in epoca
barocca (i quattro canti).
Il 600
Il Barocco
Intorno al 1630, l’architettura romana riceve un radicale impulso al rinnovamento, per opera di tre
personalità di primo piano. Queste tre diverse esperienze hanno come base comune, al di là del codice
classico che ancora viene impiegato, l’attivazione di un periodo spaziale fra interno ed esterno, conquista
che differenzia in modo fondamentale l’architettura barocca da quella manieristica. Bernini, Cordona e
Borromini.
Gianlorenzo Bernini
Architetto, pittore e scultore, domina la scena artistica romana per oltre sessant’anni con la sua vasta e
fortunata attività, caratterizzata da una totale adesione all’ideologia e alla cultura del tempo. Nel campo
dell’architettura contribuisce a formare l’immagine della città barocca con numerosi interventi significativi.
Va considerato come un mediatore che tenta di operare una sintesi fra l’eredità classica e le nuove ipotesi
della cultura barocca.
Nel baldacchino di San Pietro, Bernini integra architettura e scultura nella raffigurazione in bronzo di un
arredo sacro a funzione celebrativa. La struttura, formata da quattro colonne tortili, sorregge il
coronamento a frange e volute dalla originale sagoma inflessa, si colloca nello spazio della crociera
michelangiolesca al di sotto della cupola, con effetto non statico ma dinamico.
Il palazzo di Montecitorio, ha la fronte divisa in tre parti, secondo una volontà classica di proporzionamento
marcata dalle paraste che segnano la divisione e l’attacco fra i prospetti parziali. L’adesione del Bernini allo
spirito barocco, è dimostrata dall’articolazione in pianta della facciata ad ali oblique, e dalla commistione di
elementi architettonici e forme naturali nei bugnati ad angolo e nelle mostre di alcune finestre di fianco
terreno.
L’opera di maggior impegno a livello urbanistico è la sistemazione di piazza San Pietro, dove il Bernini riesce
a soddisfare le esigenza di carattere liturgico e simbolico, connesso alla particolare funzione del luogo. Lo
spazio è organizzato con una chiara struttura geometrica basata su elementi semplici: un piazzale
trapezoidale, con funzione di allontanamento prospettico e di “invito” rispetto alla piazza vera e propria,
formata da due emicicli ellittici di colonne doriche architravate, in cui si è vista l’immagine allegorica delle
braccia della Chiesa tesa ad accogliere il popolo dei fedeli.
La chiesa di Sant’Andrea al Quirinale ha pianta centrale con cappelle radiali, riprende il tema dell’ellisse con
ingresso sull’asse minore già proposto nella piazza San Pietro. L’asse trasversale è marcato dall’adozione di
un piano murario; l’ordine gigante delle pareti prosegue nelle nervature della cupola ellittica con un
risultato di grande coerenza spaziale. La facciata, inquadrata da un sobrio telaio di ordine Corinzio, si
inserisce organicamente nello spazio stradale con il protiro semicircolare e le ali curve di raccordo.
Fra il 1664 i 1665 il Bernini esegue tre progetti per il palazzo del Louvre che, sebbene non realizzati,
documentano l’evoluzione della sua esperienza creativa, alle prese con un tema così vasto e complesso. Si
tratta di organismi concepiti unitariamente nella loro vastità, dove l’organizzazione interna si rivela
all’esterno attraverso l’articolazione dei volumi, secondo un modo di comporre affine a certe esperienze
borrominiane, e destinato a influenzare per molto tempo la cultura europea.
Pietro da Cortona
Si dedica all’architettura negli intervalli della sua prevalente attività di pittore. Rispetto a Bernini e
Borromini, egli porta avanti una ricerca parallela e sostanzialmente indipendente, che lo conduce a
formulare per primo alcuni temi caratteristici del barocco, quali la facciata inflessa, la dialettica di sistemi a
matrice rettilinea e a matrice curva, la fusione degli schemi longitudinale e centrale. Il Cortona impiega un
codice architettonico di base classica, ma elaborato attraverso la tradizione manieristica. Questa influisce sul
suo modo di comporre, che procede per accostamento delle varie membrature, lasciando ciascuno la
propria individualità. Pienamente nello spirito barocco invece l’uso della luce come elemento unificatore
dello spazio architettonico.

Francesco borromini
Il ruolo dell’esperienza di Francesco Borromini è quello di dare organicità ai tentativi e alle ricerche della
generazione del primo 600, affrontando fino in fondo il problema del superamento della cultura
manieristica attraverso l’acquisizione di un metodo che permette di operare sullo spazio inteso come
fondamentale parametro compositivo. Questa rigorosa ricerca è condotta da Borromini con un impegno
personale che dà alla sua opera un grandissimo valore morale, oltre che artistico e professionale.

La chiesa di San Carlino alle quattro fontane realizza un esempio di una perfetta unità spaziale. La pianta ha
complessa matrice ellittica, fonde i due tipi, longitudinale e centrale, in un discorso nuovo a cui è
subordinata la struttura degli elementi architettonici: le colonne disposte in gruppi di quattro, a seguire
l’andamento curvilineo delle pareti vengono legate da una trabeazione continua che unifica anche
visivamente d’insieme, al di sopra, tramite un sistema di pennacchi e catini di raccordo è impostata la
cupola ellittica, dall’originale disegno a cassettoni. Con la galleria colonnata nel Palazzo Spada, il Borromini
sfrutta la tecnica di illusionismo prospettico, già usata da Bramante, non per un artificio fino a se stesso ma
per sperimentare la possibilità di modellare lo spazio attraverso le correzioni visive ed effetti di luce.
Le complesse vicende costruttive della Chiesa Sant’Agnese a piazza Navona, portano ad un’incompleta
realizzazione dell’idea borrominiana; tuttavia anche nella sua forma attuale l’opera rimane fra le più
significative dell’architetto, soprattutto per il suo modo di porsi in relazione con lo spazio antistante,
mediante accorgimenti volumetrici e compositivi. La pianta è una croce greca,con un nucleo centrale
quadrato ad angoli smussati, aperta in vani absidate lungo gli assi ortogonali, la dimensione verticale è
molto accentuata dall’insolita altezza del tamburo. All’esterno la principale caratteristica è data dalla
concavità della facciata, ribadita dai campanili laterali, che si pone in diretto contatto con la convessità del
tamburo, secondo un procedimento, ormai tipico del modo di comporre di Borromini.
L’evoluzione dell’architettura barocca in Italia si può così sintetizzare a grandi linee: dopo una fase di
transizione in cui vengono superate, in modo più o meno graduale, le posizioni tardo cinquecentesche, si ha
la fase eroica del barocco, corrispondente alle ricerche svolte a Roma fra il 1630 e il ‘60 circa, dopodiché il
primato architettonico passa al Piemonte dove il nuovo linguaggio viene elaborato e diffuso anche in
Europa.
Guarino Guarini
Con l’arrivo a Torino del Guarini ha inizio la grande stagione del barocco piemontese, destinato a svilupparsi
per circa un secolo con il contributo di alcune fra le più interessanti personalità di architetti. Il modenese
Guarino Guarini svolge un ruolo fondamentale per l’evoluzione del linguaggio barocco. Le premesse da cui
parte, sono quelle indicate dai maestri romani. Nelle sue opere tende tuttavia a superare il concetto di
omogeneità dello spazio, che era stata l’aspirazione costante del Borromini, per affermare un metodo
compositivo basato sull’accostamento di cellule spaziali autonome, addizionate o parzialmente intersecate,
che determinano la forma generale dell’organismo, senza perdere la loro identità. Un accentuato interesse
per la ricerca strutturale, espresso nel suo trattato sull’”Architettura civile” porta il Guarini ad indicare la
possibilità estreme dei materiali e dei metodi costruttivi, specialmente nelle volte e nelle cupole che
rappresentano il punto focale della sua ricerca architettonica. Le sue idee contribuiranno in modo
determinante nella diffusione della cultura barocca nell’europa centrale.
A Torino il Guarini realizza la cappella della Santa Sindone, modificando l’edificio a pianta circolare secondo i
criteri del tutto nuovi. Nello spazio cilindrico introduce tre vestibili semicircolari, uniti due a due da grandi
archi. Sulla figura triangolare così ottenuta imposta, mediante tre pennacchi, il tamburo con sei finestre
alternate a nicchie. La cupola è composta da serie di archetti formanti anelli concentrici sovrapposti che si
restringono man mano.
La sperimentazione sul tema della pianta centrale è portata ancora avanti nella chiesa di San Lorenzo a
schema ottagonale in cui i lati della figura di base sono sfondati da aperture che, attraverso diaframmi
convessi di colonne, lasciano intravedere i vani retrostanti. Le colonne libere, con ardimento statico più
apparente che reale, sembrano sostenere da solo il peso della cupola. Questa è formata da un complesso
sistema di strutture che vede sovrapposto ad una calotta a costoloni incrociati, un alto tamburo con
finestre,ed una seconda cupola più piccola. Anche il presbiterio è coperto da una volta nervature incrociate.
Abbandonato il modello classico della cupola di San Pietro, Guarini sembra piuttosto ispirarsi all’architettura
gotica. Il Guarini approfondisce la propria ricerca spaziale tipologica e, numerosi altri progetti per edifici in
Italia e all’estero, documentati attraverso le tavole del trattato, sono organismi a pianta centrale o
longitudinale composta.
Nella seconda metà del 600 l’eredità rivoluzionaria del Borromini, ripresa tramite il Guarini, trova più vasti
sviluppi nell’italia settentrionale e di lì si diffonde in Europa. Nell’ambiente romano si assiste invece
all’affermarsi di tendenze conservatrici e classicistiche che riportano l’architettura nell’ambito più limitato di
una consuetudine quasi provinciale. Il maggior protagonista di questo momento è Carlo Fontana che inizia
la propria carriera come assistente dei principali architetti della generazione precedente. Infatti lo troviamo
a fianco del Bernini, del Cortona eh a quindi occasione di attingere ad un vasto patrimonio di idee che egli
tuttavia non sviluppa, ma tende a ridurre ed organizzare il linguaggio tanto dotato di chiarezza, quanto privo
di audacia innovativa.

Le trasformazioni di Parigi
La capitale della più forte è un’arpia europea conserva ancora la fine del sedicesimo secolo la struttura
medievale a cui il Rinascimento non aveva apportato che scarse modifiche. Oltre che il completamento del
Louvre e alcune sistemazioni interne quali le rive del fiume gli interventi più importanti investono la
periferia. L’agenda di fortificazioni ormai inutile viene demolita e sostituita da un sistema di ampi viali
alberati boulevard che disimpegnano la campagna circostante con un percorso anulare a questo si innesta
una serie di radiali che portano a loro volta a sistemi viari minori. Il territorio intorno al vecchio centro viene
così urbanizzato con una maglia infrastrutturale che ne indica le direttrici di sviluppo. In definitiva i criteri
urbanistici applicati a Parigi non si risolvono tanto in una trasformazione del vecchio centro quanto
piuttosto nella creazione di una nuova periferia. Anche con i piani redatti successivamente bullet e blondel
la città continuerà ad espandersi secondo questi criteri e sarà solo nell’ottocento con i radicali interventi
della housman che il centro parigino acquisterà non via la mia completamente nuova.
Nancy
Il criterio bandistici legati al potere assoluto che avevano ispirato alla sistemazione di alcune zone del centro
di Parigi vengono applicati anche in diverse città minori. Un esempio particolarmente felice si ha a Nancy
dove nel 1752 l’architetto progetta per il duca un sistema di spazi avente la funzione di unire la parte
medievale della città dove sorge il Palazzo Ducale al grande ampliamento rinascimentale. Il problema è
risolto mediante due piazze comunicanti la place stanislas concepita come la tipica place Royal
quadrangolare aperta agli angoli e con la statua del monarca al centro si Lega mediante un arco di trionfo
alla place della carrier a forte sviluppo longitudinale terminante in uno slargo con due segré simmetriche.
L’accostamento di questi spazi diversi crea una varietà di effetti pur nel predominio dell’asse longitudinale
caro alla tradizione francese ma l’equilibrio della composizione e l’efficacia della soluzione di raccordo fra i
due organismi assicurano il valore urbanistico dell’intervento che ancora oggi costituisce il fulcro degli spazi
pubblici del centro cittadino.
Sicilia
Condizioni particolari portano ad un’intensa attività edilizia urbanistica in Sicilia. Il terremoto del 1693 che
devasta la parte orientale dell’isola e il programma di ripopolamento nella parte nord occidentale portano
fra il 600 e il 700 alla Fondazione di numerose cittadine e borghi rurali. In alcune di questi Partinico
balestrate la struttura come sta semplicemente di una griglia di lotti allungati disposti secondo una o più
direzioni. Fra le ricostruzioni globali di centri distrutti significativa e infine l’opera compiuta a noto è un
gruppo di architetti locali i quali realizzano a partire dal 1703 un organismo urbano struttura reticolare
ortogonale dichiara reminiscenza ippodameo che si adatta alla conformazione del terreno scosceso. In
questa griglia sono inserite tre piazze in declivio intorno alle quali si compongono numerosi edifici
monumentali soluzione che dà origine a un tracciato di grande chiarezza generando nello stesso tempo una
serie di prospettive punti visuali che fanno di Noto un ambiente urbano di singolare coerenza dove
architettura e urbanistica concorrono alla promozione dello spazio secondo i criteri propri della visione
barocca.

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