Il problema dell’arte non è che un aspetto dell’attività multiforme del massimo esponente della cultura umanistica, Leon Battista Alberti (1404-1472): letterato, filosofo, architetto e teorico dell’arte. Con lui l’arte diventa l’asse del nuovo sistema culturale e assume valore i dottrina autonoma ed egemone, si pone come concezione del mondo. I suoi tre trattati della pittura, dell’architettura, della scultura costituiscono una completa teoria dell’arte: la prima che consideri più che il processo operativo, il processo ideativo, la genesi e la struttura della forma. Il primo è la magna charta della pittura toscana del Quattrocento: enuncia in modo sistematico la concezione prospettica brunelleschiana e ne studia gli sviluppi nel campo della rappresentazione. Il secondo, scritto a Roma quando l’Alberti era abbreviatore apostolico, segue la traccia del trattato di Vitruvio, compendia l’esperienza dello studio diretto dei monumenti antichi, costruisce il fondamento del classicismo architettonico del Rinascimento. 2. Il Tempio Malatestiano a Rimini Come architetto la sua prima opera è la trasformazione, cominciata nel 1447, della Chiesa di San Francesco a Rimini in tempio-mausoleo per Sigismondo Malatesta: l’esecuzione del progetto, non interamente attuato, fu affidata a Matteo de’ Pasti. L’opera dell’Alberti si riduce alla facciata incompiuta e al fianco. È incontestabile il riferimento alla tipologia classica: dell’arco trionfale per la facciata, degli acquedotti per il fianco, che si presenta come una successione di profonde arcate. Tanto l’arco trionfale che le arcate degli antichi acquedotti sono organismi plastici che si inseriscono nello spazio e non lo delimitano. Già il Brunelleschi aveva intuito che un piano di facciata deve essere una struttura e non soltanto una superficie: nello spedale degli Innocenti e nella cappella de’ Pazzi aveva risolto il problema componendo la facciata in più piani prospetticamente coordinati. L’Alberti, nel Tempio Malatestiano, interpreta la facciata come un organismo plastico articolato. Gli spigoli vivi e gli scavi profondi danno al piano prospettico consistenza volumetrica: cornice, archi, colonne formano sul piano un forte telaio che sembra contenere la pressione dello spazio interno. Due spinte immaginarie, infatti, si contrastano sul piano frontale: una dall’esterno, che “sfonda” nell’arcone mediano, una dall’interno, che dà forza plastica alla membratura. L’Alberti non si accontenta di misurare, delineare, proiettare lo spazio; lo sente come una realtà fisica, come luce, penombra, atmosfera, colore. È il primo architetto che valuti, anche dal punto di vista psicologico, il trapasso emozionale dalla luminosità e dalla concretezza volumetrica dell’esterno alla penombra e alla cavità dell’interno; e che faccia materialmente e visivamente comunicare esterno ed interno attraverso gli archi profondi della facciata e del fianco. Rialza la struttura su un podio, e non soltanto per analogia all’antico, ma per dare alla veduta dell’edificio una leggera inclinazione dal basso che lo fa penetrare, con un minimo scorcio, nella profondità reale dello spazio. Rafforza i risalti delle colonne, delle cornici, degli archi, del cornicione affinché sembrino veramente contrastare alle due spinte opposte, equilibrarle; ma poiché si tratta solo di un effetto visivo, non ne accentua lo sviluppo dimensionale, le modella in modo che reagiscano più vivacemente alla luce o proiettino ombre più nette e profonde. 3. Il palazzo Rucellai a Firenze Nel palazzo Rucellai a Firenze, dello stesso periodo, fissa il tipo del palazzo signorile che, come dichiara nel Trattato, deve imporsi più con il prestigio intellettuale delle proporzioni che con l’ostentazione del fasto e della forza. Il bugnato dà densità di materia al piano, lo mette in rapporto con la profondità reale delle finestre; ma, anche, fa affiorare il piano al livello delle lesene che lo spartiscono e formano, con le cornici e il cornicione, la struttura geometrica in cui si contiene e definisce in termini di proporzioni la spazialità premente dell’interno e che, affiorando, s’illumina. La spazialità della facciata è infatti espressa dal rapporto tra la luce vibrante del reticolo del bugnato, quella che scorre sulla faccia piana delle lesene e lo scuro delle finestre, modulato dagli archetti e dalle colonnine delle bifore. 4. La facciata di Santa Maria Novella a Firenze L’Alberti progetta una facciata anche per la Chiesa gotica di Santa Maria Novella. Ritrova, con un colpo di genio, le superficî e tarsìe geometriche del romanico fiorentino, per esempio di San Miniato: forse pensando, come il Brunelleschi, che il romanico fiorentino fosse l’ultima espressione o la prima gemma rifiorita del “classico”. Ma elabora il tema romanico secondo i principî, dedotti da Vitruvio, della composizione modulare, assumendo come modulo compositivo il quadrato (Wittkover). Alla tarsìa geometrica e dicroma ricorre anche nel tempietto del Santo Sepolcro nella cappella Rucellai in San Pancrazio. Questo motivo è importante: a. perché dimostra che per l’Alberti l’antico non è un modello a priori, ma una “causa” profonda da ritrovare risalendo lungo la storia; b. perché, come spiega nel Trattato, le forme geometriche, con la loro verità, sollecitano a meditare sulla verità della fede: pensiero che anticipa le correnti estetiche neo-platoniche che domineranno nella cultura fiorentina nella seconda metà fino alla fine del secolo; c. perché prova come, per l’Alberti, le forme visibili siano portatrici di precisi significati ideologici; d. perché la tarsìa geometrica realizza l’ideale della riduzione della forma al puro “disegno”. 4. Le chiese di San Sebastiano e Sant’Andrea a Mantova Per Mantova l’Alberti progetta le chiese di San Sebastiano (iniziata nel 1460) e di Sant’Andrea (progettata nel 1470, iniziata nel 1472). La seconda è, delle costruzioni albertiane, la più completa: con un lontano richiamo alla basilica di Costantino, ha una sola navata con cappelle laterali e transetto. Anche qui la composizione è modulare e il modulo è il quadrato (Zevi); ma tutta la struttura, all’interno e all’esterno, è impostata sull’antitesi diretta di volumi squadrati pieni e vuoti, articolati da forti membrature plastiche. All’interno, il vuoto delle cappelle è alternato con equivalenti volumi pieni; all’esterno la facciata è un forte organismo plastico, con il vuoto profondo dell’arcone serrato tra i due volumi affioranti del piano delle lesene. La chiesa di San Sebastiano invece è una croce greca in un quadrato, con un pronao e tre absidi. Muta il principio simmetrico, bilaterale in Sant’Andrea e raggiato in San Sebastiano, ma la ricerca dell’artista è, nell’uno e nell’altro caso, rivolta al coordinamento di volumi e di vuoti, cioè alla definizione dell’unità plastica della forma architettonica. 6. Teoria e storia nell’Alberti Il Brunelleschi aveva lungamente cercato la sintesi dei due sistemi classici: se la struttura dello spazio è una e l’architettura la rappresenta, non possono esservi due sistemi di rappresentazione oggettiva dello spazio. Per l’Alberti l’architettura rappresenta una concezione dello spazio, ma rappresenta allo stesso tempo le grandi idee storiche che hanno determinato le diverse concezioni dello spazio. Per lui l’edificio è pur sempre un oggetto, anche se è un oggetto ideale e assoluto, che esprime una concezione del mondo, come natura e come storia: l’edificio ideale è il monumento, come forma plastica unitaria espressiva di valori ideologici e storici. Non possono esservi più tipi di struttura, ma possono certamente esservi più tipi di monumenti. La sua opera può considerarsi come un elaborato insieme di tipologie monumentali; e come il fondamento tipologico dell’architettura classica del Cinquecento.