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facciata della Basilica di San Marco Evangelista al Campidoglio

Francesco del Cera detto Francesco del Borgo (Sansepolcro, intorno al 1415 – 1468) è stato
un architetto italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante le scarse notizie biografiche e la scarsità di documentazione, fu una delle figure più importanti
nell'attività edificatoria romana nei decenni centrali del XV secolo.

La sua opera subì l'influsso di Leon Battista Alberti di cui condivise l'interesse per l'architettura antica e la
formazione più umanistica che artistica, fu anch'esso, e nello stesso periodo, al servizio della curia romana.
Fu infatti scriptor apostolicus di Pio II e contabile della tesoreria di Niccolò V. Si avvicino all'architettura
probabilmente per le sue mansioni contabili di responsabile di vari cantieri papali in Campidoglio ed in
Vaticano. Dopo la morte di Niccolò fu sospettato di abusi contabili e brevemente incarcerato prima di
essere riammesso nei ranghi dell'amministrazione.

Progettò per papa Pio II, dal 1460 la loggia per le benedizioni di San Pietro, rimasta incompiuta e per papa
Paolo II, dal 1467, la loggia in facciata della San Marco.[1] Nella realizzazione di tali logge, vennero riutilizzati
elementi costruttivi in travertino prelevati da monumenti antichi[2], probabilmente il Colosseo a cui si
riferisce anche il disegno architettonico caratterizzato da archi inquadrati entro ordini sovrapposti
gerarchicamente. Questo motivo che caratterizzerà l'opera romana di Bramante, trovò nell'opera di
Francesco del Borgo una delle prime applicazioni. La storiografia recente a lui attribuisce un ruolo
importante nell'ammodernamento della basilica di Santa Maria Maggiore, nella realizzazione dell'edicola e
dell'Oratorio di Sant'Andrea a Ponte Milvio e nella progettazione di Palazzo Venezia ed in particolare per il
cortile con la sua articolazione molto classicheggiante.[3]

Manifestò interesse per gli studi matematici come il suo conterraneo Piero della Francesca[4] con cui si
incontrò sicuramente a Roma durante il soggiorno dell'artista per eseguire affreschi in Vaticano e nella
basilica di Santa Maria Maggiore. Negli anni fra il 1457 e il 1458 si fece copiare trattati di Euclide, di
Tolomeo e di Archimede e l'algebra di al-Khwarizmi in manoscritti che ci sono rimasti, in parte da lui
annotati e commentati.[5]

Il 16 aprile 2011 è stata dedicata alla sua memoria una lapide posta nel loggiato del Palazzo delle Laudi
a Sansepolcro, sede municipale[6].
FRANCESCO di Benedetto Cereo da Borgo San Sepolcro https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-
di-benedetto-cereo-da-borgo-san-sepolcro_(Dizionario-Biografico)/

di Pier Nicola Pagliara - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FRANCESCO di Benedetto Cereo da Borgo San Sepolcro (Francesco del, di Borgo; Franciscus Burgensis). -
Figlio di Benedetto di Antonio di Matteo del Cera, nacque a Borgo San Sepolcro entro il secondo decennio
del sec. XV.

Il padre, Benedetto, che in diversi documenti è indicato come pittore, risulta attivo a Borgo San Sepolcro
dal 1413 fin quando morì, il 1° giugno 1455 (Banker, 1992, pp. 54, 56). Di Benedetto sono attestati
soprattutto lavori (di legno quando se ne precisa la natura) per la Confraternita di S. Antonio, di cui era
socio. Tra le sue opere note, eseguite per altri committenti, la più importante è la costruzione, nel 1431, di
una pala d'altare su disegno di Antonio di Giovanni d'Anghiari. Benedetto ebbe almeno un altro figlio,
Pellegrino, mercante, e una figlia morta nel febbraio 1424.

Una prima notizia su F. risale all'aprile 1441, quando, verosimilmente già adulto e su proposta del padre, fu
ammesso con 7 voti contrari nella Confraternita di S. Antonio.

Non si sa se allora abitasse ancora a Borgo, e si può solo immaginare che li avesse ricevuto una prima
istruzione in una scuola d'abaco. Considerando la fiorente attività commerciale della cittadina all'inizio del
Quattrocento è naturale infatti supporre l'esistenza di una buona scuola di contabilità per mercanti e a
Borgo negli anni Venti erano attivi diversi maestri d'abaco. F. dovette apprendervi le prime nozioni di
matematica, che più tardi a Roma approfondì risalendo alle fonti greche antiche ed arabe di questa scienza,
mentre la frequentazione della bottega paterna gli fornì, oltre a un'esperienza del disegno, necessaria per
praticare l'architettura, la conoscenza di diverse tecniche artistiche e artigianali e, soprattutto, una
notevole attitudine organizzativa, accresciuta anche dalle esperienze mercantili del fratello, del quale nel
1458 fu socio d'affari (Banker, 1992). In questo ambiente di artigiani e mercanti intraprendenti dovettero
aver origine le sue capacità di misuratore, contabile, amministratore e organizzatore efficiente e fidato che
gli procurarono la stima di quattro papi. Non sappiamo invece dove F. acquisì la conoscenza del latino,
inusuale per la sua estrazione sociale e tale da consentirgli di diventare scrittore delle lettere apostoliche.

La familiarità con architetture del primo Rinascimento toscano che traspare nelle costruzioni attribuite a F.
fa pensare a un suo soggiorno a Firenze, forse prima della permanenza a Roma, documentata dal 1450,
anno in cui risulta attivo nella Camera apostolica (Frommel, 1984, pp. 131 s.).

In qualità di contabile della Camera tenne i conti delle costruzioni papali; nel 1451 lavorò nella dogana di
Ripa e fu membro della Tesoreria segreta di Niccolò V, alimentata dalle entrate della stessa dogana;
successivamente fu misuratore delle costruzioni a S. Maria Maggiore e si occupò di lavori al Campidoglio e
in Vaticano. Nel 1454-55 fu responsabile dei pagamenti per la tribuna di S. Pietro e per il palazzo vaticano e
in questa veste può aver conosciuto Bernardo Rossellino e i suoi progetti per S. Pietro (Frommel, 1984, p.
132). Divenuto "familiare" di Niccolò V, alla sua morte fu imprigionato perché accusato di abusi compiuti
nell'amministrare il guardaroba papale; in suo favore si mosse la Signoria di Firenze (Zippel, in Canensi, p.
149 nota). Liberato presto dai sospetti, fin dall'inizio del papato di Callisto III effettuò pagamenti per lavori
eseguiti a S. Maria Maggiore.

Nel 1457 e 1458 F. fece copiare codici riccamente miniati di traduzioni latine della Geometria (Bibl. apost.
Vaticana, Vat. lat. 2224) e dell'Optica di Euclide, quest'ultima unita a uno scritto di astronomia attribuito a
Tolomeo e a un trattato arabo di algebra (Ibid., Urb. lat. 1329). Dallo stesso copista, Michele Foresi, fece poi
scrivere un terzo codice (Urb. lat. 261) con una raccolta di opere di Archimede, tradotte in latino a Roma su
richiesta di Niccolò V (Ruysschaert, 1968, pp. 259, 262 s.; Frommel, 1984, pp. 85, 104).
Quando commissionò i tre codici F. doveva aver già raggiunto una certa agiatezza, forse grazie agli affari
realizzati con il fratello più che alle sue entrate di curiale. Dai modi in cui collaborò alla preparazione dei
manoscritti traspaiono aspetti importanti della sua cultura e dei suoi interessi. Non solo sono di sua mano,
infatti, le figure geometriche nel Vat. lat. 2224 e nell'Urb. lat. 1329 (Frommel, 1984, pp. 132, 134); ma
anche la scelta dei soggetti raffigurati nei capilettera dell'Urb. lat. 261 (Bartòla - Stabile, 1996, pp. 240 s.),
sempre pertinenti all'argomento scientifico che segue, deve dipendere da F. più che dal miniaturista. Per
un'insolita veduta di Roma dal colle vaticano, particolarmente innovativa e precisa, raffigurata al f. 98r
del Vat. lat. 2224, F. doveva aver preparato almeno un disegno, usato come modello dal miniaturista. La
posizione leggermente imprecisa di due edifici che ricorre nella Descriptio Urbis di L.B. Alberti e in questa
miniatura (Maddalo, 1990, p. 195) suggerisce l'ipotesi che F. abbia usato l'opera topografica albertiana per
impostare la costruzione della veduta, precisando poi dal vero le immagini delle singole architetture. Anche
la raffigurazione accurata delle mura leonine e dei palazzi vaticani (Voci - Roth, 1994) denota l'attenzione
del disegnatore per l'architettura. Nello stesso codice il frontespizio del libro XI (Bartòla - Stabile, 1996, pp.
396 s.) rivela un singolare interesse per costruzioni antiche e contemporanee negli archi di bipedali, nei due
ordini di logge con trabeazione su colonne e volta a botte (a sinistra), in un edificio tutto laterizio con
cornici formate da mattoni ordinari posti di coltello e da mattoni profilati (in alto a destra) e soprattutto nei
beccatelli, dove il profilo a gola in basso prelude alle mensole formate da un insieme di modani
classicheggianti realizzate più tardi nel coronamento di palazzo Venezia (in alto a sinistra).

F. doveva dedicare pari attenzione alla preparazione dei testi dei suoi codici. Nel 1457, quando fece copiare
la Geometria di Euclide, prese in prestito un manoscritto trecentesco di quest'opera dalla biblioteca
appartenuta a Giordano Orsini (Maddalo, 1990, p. 192); inoltre in una copia del corpus delle opere di
Archimede tradotte da Iacopo Cassiano, il cui nome non compare mai nei codici (Parigi, Bibl.
nationale, Nouv. Acq. Lat. 1538, f. 1r), si attribuisce addirittura a F. la versione (Clagett, 1978, pp. 321-323).
Dovrebbe trattarsi di un fraintendimento originato dal colophon dell'Urb. lat. 261, che termina con: "quod
transcribi iussit dominus Franciscus Burgensis". La copia di F. si distingue comunque dalle altre per i numeri
d'ordine assegnati ad alcune proposizioni di Archimede e ciò ha permesso di riconoscervi il manoscritto
citato più volte da Piero della Francesca nel De quinque corporibus regularibus (ibid., pp. 392-394). Piero
potrebbe aver consultato nella biblioteca del suo concittadino l'Urb. lat. 261, insieme all'Urb. lat. 1329 che
gli interessava per la prospettiva, quando, nel 1459, venne a Roma a dipingere nei palazzi vaticani, sempre
che il testo di quel codice fosse già stato copiato; di certo lo studiò più tardi a Urbino, nella biblioteca di
Federico da Montefeltro.

Il nome di F. rimase legato alla traduzione di Archimede ancora all'inizio del secolo seguente, quando
invece di una sua possibile attività di architetto si era già persa memoria. Dopo il 1502, infatti, Leonardo
cercò un codice di Archimede appartenuto alla biblioteca di Urbino, mentre in un altro appunto, riferendosi
forse allo stesso codice, ricorda: "quello da il Borgo a san Sepolcro", identificato, seppure con qualche
dubbio, nell'Urb. lat. 261 (Clagett, 1969, p. 102).

Alla fine del sesto decennio F. era padrone di varie scienze: di calcolo e geometria, basilari per le sue attività
di misuratore prima, di organizzatore e verificatore di conti e misure di fabbriche poi, di prospettiva,
nonché di concetti di meccanica archimedei, preziosi per chi dovesse organizzare trasporti e sollevamenti di
grandi pesi e progettare macchine da cantiere. Gli interessi scientifici e antiquari lo avvicinarono a Piero
della Francesca, a Biondo Flavio e a Leon Battista Alberti. Col primo la bottega del padre di F. (Banker, 1992,
pp. 54, 56) ebbe qualche rapporto mediato, e F. può aver incontrato il pittore a Roma nel 1459; il secondo
nel 1461, durante i lavori per rinnovare la scala davanti alla basilica vaticana, si fermò a interrogarlo sulla
disposizione delle statue di S. Pietro e S. Paolo (Biondo Flavio, p. 202). Mancano, invece, prove di rapporti
con l'Alberti, che però F. doveva conoscere bene grazie alla comune appartenenza alla Curia. Mentre infatti
l'Alberti faceva parte del collegio degli scrittori dei brevi, finché Paolo II nel 1464 non lo soppresse, F. era
scrittore apostolico e "familiare" di Callisto III e poi di Pio II, come fece annotare nei colophon di due dei
suoi codici (Bartòla - Stabile, 1996, pp. 381 e 394). Appartenne quindi al Collegio dei "litterarum
apostolicarum scriptores" (Müntz, 1879, p. 24; Frommel, 1984, p. 133), rimanendo anche con Paolo II
"scriptor apostolicus et famulus Sanctissimi domini nostri pape" (Zippel, 1910-11).

Incarichi amministrativi di fiducia gli furono rinnovati anche da Pio II: nel 1459, durante il soggiorno
mantovano del papa, F., rimasto a Roma, fu luogotenente del tesoriere papale (Frommel, 1984, p. 134);
dopo il ritorno del papa a Roma, nell'ottobre 1460, registrò di propria mano i pagamenti dei cantieri
pontifici, firmò le relative cedole (Id., 1983, pp. 114, 119), stimò i lavori e ne assunse la direzione, a
cominciare dalla sistemazione della scalinata di S. Pietro nel 1461-62; continuò tuttavia a occuparsi di tasse
e di monopolio del sale, senza trascurare qualche affare privato. Anche la scelta delle selve di Borgo San
Sepolcro per fornire legnami destinati ai tetti della basilica di S. Pietro, di S. Marco e del palazzo apostolico
(Zippel, 1910-11) è forse legata alla provenienza del principale responsabile amministrativo di quei lavori.
Le sue attività mercantili non gli impedirono nel 1463 di dichiararsi disposto a partire per la crociata contro i
Turchi promossa dal papa.

Sotto Pio II F. potrebbe aver aggiunto alla funzione di gestore finanziario delle fabbriche pontificie quella
nuova di architetto. L'Alberti, la cui formazione è per alcuni aspetti simile alla sua, potrebbe aver suggerito
a Pio II di affidargli la più importante architettura romana del suo pontificato, la loggia delle Benedizioni, in
Vaticano (Frommel, 1983). La mancanza per questo monumento di attribuzioni basate su argomenti solidi e
il fatto che F., al vertice dell'organizzazione di cantiere come principale responsabile amministrativo (Zippel,
1910-11, p. 447), fiduciario del papa e unico intermediario tra questo e sovrastanti ed esecutori, coprisse
già il ruolo che ebbe poi con Paolo II, quando le cronache lo citano come architetto, hanno indotto a
proporlo come autore di questa opera, oltre che della rocca di Tivoli nel 1461-62, dell'edicola di S. Andrea a
ponte Milvio nel 1462 (ricostruita nell'800) e di un tabernacolo di S. Andrea, scomparso con la demolizione
del vecchio S. Pietro (Frommel, 1983).

L'idea di fondere nella loggia delle Benedizioni il motivo del Colosseo, di ordini sovrapposti addossati ad
arcate su pilastri, con il motivo, tratto dagli archi trionfali, di una trabeazione risaltante sopra colonne di
recupero ammorsate solo per un terzo ai pilastri, non ha precedenti nell'imitazione così stretta
dell'architettura imperiale. Si traduce qui efficacemente, in un'architettura all'antica che esprima la
magnificenza della Chiesa di Roma, l'esortazione rivolta da Biondo Flavio a Pio II nel De Roma triumphante a
far rinascere nel Papato la grandezza di Roma imperiale. La loggia delle Benedizioni, che al tempo di
Alessandro VI era arrivata al terzo ordine di arcate, fu demolita nel 1600.

Dopo la morte di Pio II, F. è indicato come "operum et fabricarum executor" del papa (Frommel, 1984, p.
135). Nel 1465 fu nominato da Paolo II commissario per impedire frodi e simonie da parte di impiegati della
Camera papale, soprintendere ai doganieri di Ripa e Ripetta, ai ministri del Sale, alle entrate e alle uscite
della Camera di Roma e ad altri uffici (Zippel, in Veronese, p. 48 n.). Fino alla primavera di quell'anno non fu
tuttavia confermato né come commissario delle costruzioni papali né come familiare del papa. Nel
settembre 1465 fu commissario ad hoc per il rinnovamento di Borgo Vecchio e nel novembre dello stesso
anno rappresentò il papa nella stipula di un contratto per una cappella del coro presso il Ss. Salvatore ad
Sancta Sanctorum. Da quella data si occupò soprattutto di architettura, in particolare del complesso di S.
Marco: chiesa, palazzo e palazzetto. Come rappresentante del papa firmò diversi contratti: nel novembre
1465 uno per il tetto della chiesa, il 25 marzo 1466 uno per le volte laterali della stessa chiesa e per opere
murarie sia nella chiesa, sia nel palazzo e nel palazzetto, nel giugno seguente, con altri maestri, uno per le
stesse opere (Frommel, 1984, pp. 79, 80, 85). Nei documenti compare a capo della fabbrica fino alla morte.
Negli stessi anni Gaspare Veronese nel celebrare la costruzione del palazzo di S. Marco, attesta che a
quest'opera F. "architectus ingeniosissimus praefectus est". Lo menziona ancora come "architectus
ingeniosissimus", in cui Paolo II aveva piena fiducia, poco dopo la morte, che addolorò il papa perché non
era facile sostituirlo; in un altro passo di nuovo indica distintamente le due funzioni: "Magnis aedificiis Santi
Marci praefectus atque architectus" (anche Andrews, 1970). Michele Canensi ricorda invece F. preposto a
un'opera pubblica minore (p. 147).

La qualifica di "architectus", distinta da quella di "praefectus", fa pensare che F. avesse aggiunto (con ogni
probabilità da alcuni anni) un ruolo nuovo rispetto a quello che svolgeva in modo ben documentato da un
quindicennio, ma da sola non chiarirebbe del tutto in cosa consista questa funzione. Considerate le
conoscenze di meccanica di F., "architectus ingeniosissimus", potrebbe anche alludere a una fama acquisita
negli anni immediatamente precedenti come progettista di ingenia, macchine per rimuovere le pesanti
colonne del portico d'Ottavia e innalzarle nella loggia delle Benedizioni di Pio II, nella quale dovevano
essere reimpiegate. È vero che i documenti citano F. per aver fatto costruire un carro per trainare le
colonne (Frommel, 1984, p. 84), mentre per "spese di certe corde et traglie per lo disegno dello edifitio per
tirar colonne" al portico d'Ottavia, nonché per il costo del legname, nel 1461 è pagato Iacobo da Gaeta (Id.,
1983, p. 119), ma ciò non esclude che, come supervisore dei lavori, egli abbia ideato le modalità
dell'operazione e le macchine necessarie. La sua parte, però, deve essere stata più ampia. Le architetture
del complesso di S. Marco, per le quali mancava un'attribuzione convincente, formano
un corpus abbastanza omogeneo con quelle di Pio II assegnate a F., poiché a una evidente ispirazione
albertiana si mescolano elementi tardo medievali (i pilastri ottagoni nel palazzetto, i pilastrini nelle bifore
della chiesa) che escluderebbero una responsabilità diretta dell'Alberti (a cui palazzo Venezia è stato più
volte attribuito). Questi argomenti, uniti a quelli considerati per le architetture romane di Pio II, hanno
portato Frommel ad attribuire a F. quanto è stato progettato per il complesso di S. Marco tra il 1465 e la
sua morte nel 1468, vale a dire la trasformazione della chiesa con la loggia delle benedizioni (il cui ordine
superiore è stato eseguito più tardi con modifiche), il palazzetto, l'impianto del palazzo e il disegno in alzato
del portico nel cortile, anch'esso costruito più tardi.

Se appare sempre più solida l'ipotesi che F. fosse architetto in senso pieno, rimane invece aperta e difficile
da risolvere la questione della parte che l'Alberti può aver avuto in alcune sue scelte progettuali.
Nel corpus delle architetture attribuitegli, infatti, gli aspetti innovativi più importanti sono di ispirazione
albertiana. Se è possibile, visti i suoi rapporti con Pio II, che l'Alberti abbia suggerito al papa il nome di F. per
la loggia delle Benedizioni in Vaticano e ne abbia ispirato direttamente le scelte fondamentali, rimane meno
chiaro se dopo questa prima esperienza F. abbia proseguito autonomamente o abbia continuato come
minimo a consultare, come era d'uso, l'Alberti. L'intervento diretto dell'Alberti è comunque più che
probabile almeno in una parte del palazzo di S. Marco, la botte cassettonata di conglomerato del vestibolo,
realizzata intorno al 1467, pienamente rispondente al tipo di opera albertiana che, in un brano del De re
aedificatoria verosimilmente inserito dopo il 1452, Leon Battista dichiara di aver realizzato. Non è rimasta,
infatti, memoria di nessuna altra volta del genere realizzata durante la vita del trattatista.

Verso la fine della sua vita, nel luglio 1467, F. fu di nuovo arrestato, con l'accusa di aver ritardato i
pagamenti dovuti a maestranze e impiegati papali, ma dopo alcuni mesi fu rilasciato. Dovette essere
riconosciuto innocente, poiché conservò fino alla morte il suo stipendio di "provisionato" del papa (Zippel,
in Canensi, p. 149 n.) e il 10 maggio 1468 era ancora depositario della Camera capitolina. Morì nel giugno
1468, lasciando all'ospedale del Ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum 100 fiorini per la celebrazione di messe
e indicando il medico papale Jacopo Gottifredi come esecutore testamentario fu sepolto in S. Pietro.

L'inventario dei beni redatto subito dopo la morte mostra la posizione che F. aveva raggiunto: possedeva
una casa a due piani, con una saletta e uno studio, una stalla con due cavalcature, gioielli e un ricco
vestiario. Vi si rispecchiano la sua attività di contabile, con la presenza di registri e cedole, i suoi interessi e i
suoi studi. Sono elencati, infatti, un astrolabio, un paio di "bipassi" (per disegnare o prendere misure) e 17
codici di cui non si precisano i titoli (Spotti Tantillo, 1975, pp. 79, 80, 86; Frommel 1984, pp. 137 s.).

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