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Politecnico di Milano, Leonardo. Scuola: I Facoltà di Architettura, Mi Corso di studio: Architettura, Mi Anno Accademico 2010-2011
INDICE
CAPITOLO 1. CAPITOLO 2.
Viaggio nella storia dell’Acropoli I ‘Partenoni’
. 1 γ L’acropoli classica
Il Nuovo tempio dedicato ad Athéna Parthénos
p.17
I Propìlei e il tempietto di Athèna Nìke. p.19 -27
L’ Eretteo o L’ultimo tempio di Athèna Poliàs
p. 27-33
Tra il IV e il III millennio a. C. sulle pendici nord-ovest e sud-est e sulla sommità stessa dell’altura, come prova il ritrovamento di fram-
menti d’oggetti di ceramica, di pietra e d’ossidiana e alcune ossa d’animali a conferma di un’ affermazione di Tucidide (Tucidide II, 15,
3-6), si stanziarono in abitazioni rudimentali, gruppi di agricoltori e pastori, seguendo, probabilmente, il modello d’insediamento creato
e diffuso dai villaggi neolitici della Tessaglia, Sesklo e Dimini: vale a dire dando vita ad un abitato imperniato su di un’altura scelta quale
centro comune di raduno e di difesa ma anche sede delle abitazioni più importanti e magari di una “Casa della Comunità”, integrata a
nuclei residenziali e produttivi sparsi.
L’habitat permanente sulla piattaforma e sul fianco meridionale dell’altura si intensificò nel millennio successivo a cui risalgono abita-
zioni e sepolture “a tumulo” e “a cista” per adulti e bambini.
Alla metà del II millennio, nel corso del XVI secolo a. C., nelle regioni della penisola greca giunsero, provenienti dal Nord, popoli di ceppo
indoeuropeo e lingua greca suddivisi in dàmoi o gruppi indipendenti d’insiemi di tribù, ciascun dàmos fondato sul rapporto gerarchico
tra un capo guerriero ed un popolo obbediente.
Ove si stanziarono – soprattutto in Beozia, in Attica, in Argolide e in Messenia – i nuovi venuti perfezionarono e rafforzarono un sistema
economico e sociale nettamente centralizzato, fondato sulla proprietà della terra a cui finì per corrispondere, di norma, un altrettanto
chiaro insediamento bipolare sul territorio che presentava indubbie analogie con la tradizione neolitica: il wànax o re si insediò con la
propria famiglia e con i più vicini funzionari su di un’altura dominante e i componenti del dàmos, proprietari della terra, si distribuirono
nelle campagne in villaggi e fattorie sottostanti.
Le conoscenze sull’ Atene di quei secoli sono, in vero, piuttosto confuse, sicuramente non paragonabili a quelle relative a Micene, la
città-capoluogo del regno più potente da cui derivò l’appellativo di “micenea” alla nuova civiltà.
Tuttavia, dalle ceramiche di varia fattura, dalle sepolture e dalle tracce di costruzioni ritrovate – specialmente in seguito al grande scavo
condotto tra il 1885 e il 1890 dalla Società Archeologica Greca - è possibile restituire per grandi linee e con relativa tranquillità lo svilup-
po dell’abitato sul sommo, sulle pendici e nei dintorni del colle.
CAP. 1 Tra la metà e la fine del XVI secolo a. C. sull’altura già si svolgeva una qualche attività produttiva: quasi di certo si produceva ceramica,
VIAGGIO NELLA STORIA parte per uso locale e parte da immettere nella rete di scambio organizzata dagli abitanti dell’isola di Egina; sorgeva, inoltre, al centro
DELL’ ACROPOLI del lato Nord, affacciato sulle pendici, un edificio di ragguardevoli dimensioni, si direbbe ad unico vano, costruito con il calcare ricavato
dal colle. A Sud, in pianura, fu ritrovata una tomba a cista, segno che l’ancor povero abitato di Atene cominciava ad orientarsi in dire-
« Blind are the eyes that do not shed tears while seeing, O, zione dell’Ilissos.
Greece beloved, your sacred objects plundered by profane
English hands that have again wounded your aching bosom Nel mezzo secolo successivo, tra la fine del XVI e la metà del XV a. C., l’apparizione di ceramica di qualità raffinata conferma che sulla
and snatched your gods, gods that hate England’s abominable sommità dell’altura si era insediata una famiglia egemone.
north climate.» Sarebbe del tutto logico pensare che sulle cinque terrazze livellate artificialmente nell’area settentrionale del colle si articolasse il
palazzo di un wànax , ma, purtroppo, alla logica non corrisponde l’evidenza archeologica: le sole tracce di due basi di colonne non ci
consentono di asserire con certezza che anche ad Atene fosse esistito un palazzo, simile a quelli, di sicura esistenza, centrati sui megara
Lord Byron, Childe Harod colonnati e lussuosi di Pilo, Tirinto e Micene.
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fig 1. Il muro Pelargikon (Boetticher 1888)
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1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla
formazione della Pòlis
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1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla
formazione della Pòlis
L’età oscura post-micenea XI – VIII sec. a. C.
A l collasso del potere e del sistema politico delle cittadelle micenee avvenuto sul finire del XII a. C. per cause ancor dibattute – cata-
clismi naturali, conflitti interni, nuova migrazione d’altri popoli Greci, la cosiddetta invasione o migrazione dei “Dori” secondo l’ipotesi
un tempo più diffusa ma non sorretta da evidenti testimonianze archeologiche – seguì per oltre tre secoli un’età definita “oscura”, carat-
terizzata da contrazione demografica, recessione economica, autarchia, sparizione della scrittura (il lineare B dei Micenei), dal ritorno a
forme più primitive e barbariche di vita e di relazioni sociali.
Cosa accadde ad Atene ove, peraltro, non è stata rinvenuta alcuna traccia di distruzione o di devastazione violenta o di totale abbandono?
Avvenne, probabilmente, quanto successe a Tebe, Orcomeno, Micene o Tirinto: che le pendici della rocca ed ampi inserti della pianura
circostante divennero i deserti cimiteri di villaggi indipendenti tanto contratti da ospitare singoli clan legati da rapporti di parentela e
guidati, all’occasione, da un capo o basileùs eletto entro e da una limitata assemblea composta dai principali possessori di terre.
Nell’oscurità e nella confusione dei secoli post-micenei un testimone però ci assicura di un cambiamento avvenuto nella collina, non
fig. 5 Bastioni micenei un testimone qualsiasi ma il poeta dei poeti epici: Omero.
Nel canto VII dell’Odissea, dopo essere apparsa ad Ulisse gettato dalle onde sull’isola dei Feaci ed aver confortato il suo protetto circa il
destino che lo attendeva, la dea “glaucopide” Atena, lascia la Scheria per prendere la via di Maratona e di Atene dove, ospite consueta
e venerata, penetra nel palazzo possente del re Erettéo - en Erekthéos pukinòn dòmon (vv. 80-81).
Nel canto II dell’Iliade, durante la rassegna degli eserciti partecipanti alla spedizione contro Troia, il contingente ateniese è chiamato
démos o popolo del grande Erettéo, figlio della terra feconda che un tempo Atena allevò e collocò ad Atene, nel suo nel suo tempio
sontuoso ( vv. 545-549).
Pur nell’intrico dei problemi ancor dibattuti ed aperti della “questione omerica”, i più autorevoli studi concordano sul fatto che l’Iliade e
l’Odissea abbiano preso forma nei “secoli oscuri” - come si voglia chiamare il periodo compreso tra XI ed VIII secolo a. C. - e che, unendo
racconti fantastici ad avvenimenti reali, essi abbiano narrato e descritto insieme leggende, fatti, ambienti e luoghi storici d’età micenea
e post-micenea senza distinzione, accentuando anzi le innegabili continuità; i più autorevoli studi concordano sul fatto che Omero sia
stato il cantore di una lunga “età degli eroi” individuata nel periodo miceneo e che i Greci successivi acquisirono come proprio passato.
E’ dunque legittimo confermare che il “possente palazzo”, con il quale potrebbe intendersi più semplicemente una vasta residenza di
Erettéo, si trovasse sull’Acropoli in età micenea e che vi sorgesse anche, indipendente e non più come sacrario interno al palazzo, il
“sontuoso tempio di Atena” dopo l’età oscura post-micenea, nel periodo cosiddetto “geometrico recente” vale a dire intorno agli inizi
dell’ VIII secolo a. C..
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1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla
formazione della Pòlis
morali nascoste in immagini fan tastiche o nello svolgimento di un dramma, rispecchiavano la storia delle varie stirpi e delle numerose
città e per metafore, spesso surreali, spiegavano e rammentavano ai membri d’una comunità le vicende all’origine della propria storia.
La nascita di Atena
Narra il poeta Esiodo nella Theogonia che Zeus sposò in prime nozze Metide, la coltissima dea del “saggio consiglio”; ma quand’essa
stava per partorire, il marito se la inghiottì per timore che potesse nascere un figlio in grado di spodestarlo nel primato della saggezza.
Ma la vita ormai concepita premeva per uscire al mondo e così fu il padre a dover partorire la figlia di Metide ch’era in lui: “levatrice” fu
il dio Efesto che percosse la testa di Zeus dalla quale balzò fuori la dea Atena “dagli occhi di gufo” rivestita di tutto punto d’armi d’oro
rutilante e lanciando come primo vagito un grido di guerra che riempì di sgomento gli dei dell’Olimpo, il cielo, il mare e la terra (Esiodo,
Teogonia, 886-900; Pindaro, Olimpica VII 34 e sgg.; Apollodoro I .3. 6).
L’anomalo parto era avvenuto sulle rive del lago Tritonis in Libia o, come altri vuole, su quelle del fiume Tritone in Beozia; fosse come
fosse, la venuta al mondo della dea fu provvidenziale per gli abitanti che vivevano radunati intorno alla collina.
A pollodoro racconta (III, 14, I, 177-180) che, quando gli dei decisero di eleggere una città come propria dimora e di proteggerla in
modo particolare (al tempo in cui Zeus iniziò a porre ordine nel cosmo), Poseidone per primo si recò in Attica e scagliò il proprio triden-
te sull’Acropoli facendovi apparire un “mare”- thàlassan - che Pausania precisa trattarsi di un pozzo d’ acqua. Sopraggiunse Atena che
chiamò Cecrope - Kékrops – il “caudato”, dal busto d’uomo e coda di serpente, primo re dell’Attica, a testimone del suo insediamento
accompagnato dall’impianto di un albero d’elaiav o d’ulivo nel suolo dell’Acropoli. Ne nacque una disputa e, affinché questa non dege-
fig. 9 La nascita di Atena di G. Bevilacqua nerasse in zuffa violenta, Zeus propose che gli altri dei o, secondo altri, lo stesso Cecrope giudicassero vincitore chi dei due contendenti
aveva offerto alla regione il dono più bello. Fu scelto l’ulivo e Atena divenne signora dell’Attica poiché con l’umile utilità aveva vinto
l’ostentazione della forza che Poseidone esibì nuovamente dopo il verdetto inondando l’Attica.
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1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla
formazione della Pòlis
Atena è normalmente considerata Parthenos o “Vergine”, ma talvolta viene invocata anche come Meter o “Madre” (da Pausania, da
Eraclide). Secondo una logica estrema essa poteva considerarsi sia l’una che l’altra: madre perché era stata responsabile di una nascita
pur senza aver concepito e, quindi, senza perdere la propria verginità.
Nella versione di Apollodoro (Apollodoro, III, 14, 6, 188) all’origine di questa “maternità” virginale vi è il seme di Efesto che la dea avreb-
be evitato con destrezza incurante del fatto, però, che esso, ripulito dalla sua coscia con un lembo di lana, cadendo al suolo fecondasse
la Madre-Terra Gea, la quale, dopo aver partorito un fanciullo, lo consegnò seduta stante ad Atena, colei che aveva eccitato l’eiacula-
zione di Efesto. La dea affidò il bimbo, celato in un cesto, alle cure di Pandroso, la maggiore delle Agraulidi vale a dire delle figlie del re
Cecrope e della sua sposa Agraulo (Aglauro e Aglauridi questi personaggi secondo Pausania).
Divenuto adulto il fanciullo divino, chiamato Erittonio, nato cioè dall’incontro tra “lana e terra”, dopo aver scacciato Anfizione (terzo re),
ch’era succeduto a Cranao (secondo re), regna come quarto re di Atene, ove innalza il simulacro della dea e istituisce in suo onore le
feste Panatenee (III, 14, 6, 190).
fig. 11 Decorazione proveniente da un Dopo la sua morte, Erittonio venne sepolto nel tempio di Atena sull’Acropoli (III, 14, 7, 191), lasciando il regno al figlio Pandione (quinto
vaso firmato dal pittore Amasis, pittu-
ra vascolare (sec.VI a.C.), raffigurante re) che egli aveva generato con la ninfa Prassitea (III 14, 6, 190); a sua volta Pandione genera quattro figli con Zeusippe: Procne e Filo-
Atena e Poseidone. mela e i due gemelli Eretteo e Bute (III 14, 8, 193); alla morte del padre, Erettéo sale al trono di Atene (è il quinto re, nipote del ‘figlio’ di
Efesto e di Atena), Bute assume il sacerdozio di Atena e di Poseidone insieme (III 15, I, 196), segno di pacificazione tra le due divinità e
coronazione del principio dinastico nella successione.
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fig. 13 Tempio di Atena Polias, (Archaios Naos) fig. 14 Ricostruzione del Tempio di Atena Polias fig.15 Ricostruzione dell’ Acropoli arcaica
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1β. I templi arcaici di Athèna Poliàs.
I l “sontuòso” tempio di Atena sull’Acropoli ricordato da Omero sarebbe sorto sul finire dell’età oscura o, meglio, all’inizio del processo di
formazione della pòlis ateniese, vale a dire durante il processo di unione dei villaggi sparsi dei “secoli oscuri” esistenti intorno alla collina
in una comunità coordinata e organizzata di uomini liberi.
Si può anche dire che il tempio sorse all’inizio del processo di formazione di un centro urbano che stava divenendo contemporane-
amente il centro di uno stato composto dal nucleo urbano creatosi intorno all’Acropoli e dai villaggi sparsi nella chòra o territorio
economicamente dipendente ed integrato. Il tempio rafforzava l’unione tra i vari nuclei abitati in nome del riconoscimento o meglio di
un’appropriazione di una stessa storia e dell’adozione di una stessa divinità protettrice.
Il tempio in cui - come dice Omero - Atena aveva accolto ed
allevato Erettéo fu probabilmente il primo di una serie dedicata
alla dea in quanto poliàs vale a dire poliade o protettrice del-
la pòlis ed avrebbe ospitato un’antica statua lignea, si diceva
piovuta sull’acropoli dal cielo.
Nel 1885 l’archeologo tedesco W. Doerpfeld, nell’area nord della collina, in posizione centrale, proprio sulla terrazza dove, secondo al-
cuni, sarebbe stata la reggia micenea - l’omerica reggia di Eretteo - scoprì le fondazioni di un ampio edificio; poco dopo, in un esteso e
spesso riporto di terreno nell’area sud-sud/est dell’Acropoli, il greco P. Kavvadias ritrovò numerosi resti di due frontoni in pòros (calcare
tenero del luogo) che nel 1904 un altro archeologo tedesco, T. Wiegand, ricompose attribuendoli a tre assetti di uno stesso edificio tem-
plare le cui fondazioni erano quelle scoperte da Doerpfeld a nord della collina e da identificare con l’arcaico tempio omerico di Atena:
Ma altri studiosi – il primo fu R. Heberdey nel 1919 - sulla base di un’ iscrizione risalente al 485-484 a. C. leggibile su di una metopa appar-
tenuta all’ ”Architettura H” che menziona il tempio arcaico di appartenenza ed un hécatompédon o un tempio di cento piedi non meglio
identificato sostengono che i frontoni ritrovati da P. Kavvadias coronavano due templi distinti ed entrambi già scomparsi nel 485-484
a.C.: l’uno - l’H - eretto sulle fondazioni scoperte da Doerpfeld, l’altro - l’ hécatompédon - eretto nell’area sud, sud/ovest dell’Acropoli,
quella ove sarebbe sorto il futuro Partenone (dunque, secondo R. Heberdey i primi templi sull’acropoli sarebbero stati due, in posizioni
diverse).
Un solo grande tempio tre volte rinnovato o due templi distinti coronavano l’Acropoli arcaica, tra la metà del VII e la fine del VI secolo?
La questione è praticamente inestricabile perché ciascuna delle due ipotesi solleva quesiti di difficile risposta. In entrambi i casi, però,
dobbiamo per certo immaginare templi perìpteri esastili, vale a dire circondati sui quattro lati da perìstasis di 12 colonne sui lati lunghi13
fig. 16 Immagini del frontone dell’ Antico Tempio di Atena
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1β. I templi arcaici di Athèna Poliàs.
e 6 colonne sui fronti sormontati da timpani ospitanti gruppi scultorei di cui parti consistenti si conservano oggi al Museo dell’Acropoli.
L’ipotesi di un tempio unico tre volte rinnovato si fonda sull’assoluta sintonia con i testi antichi che fino al VI secolo parlano sempre e
solo di un tempio sull’Acropoli e di un culto di Atena, quello di Atena Poliàs.
Secondo I. Beyer, nel suo primo stadio, databile intorno al 650 a. C., l’ “Architettura H” avrebbe avuto una cella in pòros locale, una pe-
rìstasis di 6 x 12 colonne in legno, il fronte occidentale sormontato dalla falda posteriore inclinata del tetto e solo quello orientale coro-
nato da un timpano ; un timpano la cui parte destra avrebbe ospitato una possente leonessa che dilania un toro (Museo dell’Acropoli),
tema d’ispirazione orientale, assoluta espressione di forza.
Nello stadio successivo, 625-600 a. C., il tempio sarebbe stato dotato di colonne di pòros locale e coronato da due timpani della stessa
pietra, uno per fronte.
Ancora secondo I. Beyer, il timpano occidentale avrebbe mostrato al centro due leoni mentre sbranano un toro (fig 16.), immagine
araldica quale contrapposizione di forze uguali. Nell’angolo sinistro dello stesso timpano per chi osserva, un altro gruppo scultureo
(anch’esso conservato al Museo dell’Acropoli) avrebbe rappresentato Eracle in lotta con il mostro ittiforme Tritone, il quale fu vinto in
lotta da Eracle. Le sculture di destra (anch’esse visibili al Museo dell’Acropoli) avrebbero raffigurato come spettatore della lotta (fig. 18)il
mostro dai tre busti umani e unica coda di serpente che Omero chiama l’ halios geròn, il “vecchio del mare”.
Nel terzo stato dell’ “Architettura H”, risalente al 520 o 505-500 a. C., Eracle scompare per lasciare prima protagonista Atena, come
scompare il calcare sostituito dal marmo dell’isola di Paros; la dea è impegnata nella lotta vittoriosa contro i Giganti mentre il tonante
padre Zeus la spalleggia dalla sua quadriga. E’ scomparsa la potenziale parità tra il dio o l’eroe e il mostro ed è scomparsa la rappresen-
tazione sospesa e senza soluzione dello scontro a favore della rappresentazione di un esito, nel nostro caso di una vittoria.
La tesi dell’ unico tempio suffraga quella anche dell’ Hécatompedon come edificio non templare qualora l’Hécatompedon non fosse
considerato la stessa “Architettura H”.
L’ipotesi di due templi in due aree diverse, al contrario della precedente, si basa solo su considerazioni architettoniche, topografiche,
religiose. Sostenuta da R. Heberdey, W. Dinsmoor, C. J. Herington, H. Schrader e M. Korrès essa poggia sulla constatazione di un
orientamento livemente diverso dai sottostanti (meno di 4°) del diciannovesimo filare di blocchi della piattaforma di fondazione del
futuro Partenone il che dimostrerebbe l’esistenza di un precedente Partenone con asse lievemente ruotato un poco più verso nord
rispetto all’ultimo definitivo.
Così l’hécatompédon ricordato dalla famosa metopa sarebbe l’ Ur-parthenon – il primo vero antenato dell’attuale Partenone, vale a
dire un tempio risalente alla prima metà del VI secolo - 600-570 a. C.- dedicato al culto di Atena con l’epiclesi di Parthénos.
Il suo assetto sarebbe stato, secondo M. Korrés, esattamente quello corrispondente alla seconda fase dell’ “Architettura H”, caratterizza-
ta, nella restituzione di T. Wiegand, da un contrasto di forze tra strutture portanti e membrature portate: vale a dire da colonne doriche
fig. 17 Ipotesi sulla localizzazione dell’ Architettura H (M. Korres 1997 b)
poste ad ampi intervalli con fusti a più rocchi scanalati piuttosto snelli memori delle antiche perìstasis lignee e, per contro, da possenti
trabeazioni (in questo caso di più di 1,00 m. di altezza) sormontate da variopinti frontoni con i due leoni araldici al centro del frontone
orientale, con la presentazione di Eracle all’Olimpo nell’angolo destro, con pantere puntinate scolpite nel marmo dell’Imetto poste
entro le metope dei vestiboli.
Nell’una o nell’altra ipotesi, comunque, la vita dell’unico tempio o della coppia dei templi di Atena sarebbe stata ugualmente breve.
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fig. 18 Gruppo calcareo dal Frontone dell’ Hekatompedon, Heracle e Tritone. fig. 19 Gruppo calcareo dal Frontone dell’ Hekatompedon, demone a tre teste.
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1β. I templi arcaici di Athèna Poliàs.
Nel 490 a.C. i Persiani sbarcano nella pianura di Maratona; intendono marciare su Atene che aveva sostenuto la rivolta delle colonie
ioniche dell’Asia Minore. Di gran lunga inferiore per numero ma dotata di miglior armamento la fanteria pesante ateniese annienta e
respinge l’esercito aggressore.
In segno di ringraziamento per la vittoria in campo e la libertà salvata, gli Ateniesi decidono di erigere nell’area più alta dell’acropoli un
gran tempio ad “Athéna Parthénos”, alla “vergine Atena”.
fig. 22 Evoluzione dei Propilei: 1. Età classica; 2. Epoca arcaica; 3. Epoca micenea fig. 23 Propilei, sezione sull’asse ovest-est
(Tratto da: “Acropoli e mito, aspetti religiosi e motivi tradizionali nell’architettura e nell’urbanistica classiche” , M.C.
Ruggieri Tricoli.)
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1γ. L’ Acropoli classica.
I Propìlei
C ompiuto il Partenone, l’accesso principale all’Acropoli parve del tutto inadeguato alla maestà del tempio di Atena e, pertanto, nel
437 a. C. Pericle affidò l’incarico di ideare e costruire un nuovo passaggio monumentale sullo stesso luogo del primo all’architetto Mne-
siclès, un allievo di Ictino che si rivelò all’altezza del maestro.
L’accesso più antico, le “nove porte” d’età micenea, l’una dietro l’altra entro uno stesso baluardo del “Pelargikòn” , al tempo della caduta
dei Pisistrati era stato trasformato in una porta monumentale vale a dire in un Propylon , che presentava un volume esterno simile a
quello di un tempio in-antis privo di cella , di pianta rettangolare (17 x 14 metri di lato all’incirca), formato da pareti perimetrali in pòros
e di quattro colonne marmoree tra ante laterali su ciascun fronte, comprendente, al proprio interno, un tratto del muro di cinta con
cinque aperture. Dalla distruzione operata dai Persiani si era salvato solo l’angolo di sud-ovest dell’edificio.
L’area ove ricostruire presentava difficoltà notevoli non solo per il permanere di consacrate vestigia, ma, soprattutto, per il dislivello di
1,30 metri da superare tra l’entrata al termine della salita e l’uscita sulla piattaforma rocciosa.
L’allievo di Ictino modificò l’asse del precedente propìleo ed impostò il nuovo con direzione esatta est-ovest, agì nel contempo sul
versante della collina ricavando rampe a gradini e tornanti nella viva roccia per ascendere all’Acropoli con minor fatica e conferendo al
seno d’arrivo dinnanzi al Propylon il perimetro regolare di un rettangolo aperto sul lato ovest e chiuso su tre lati, come fosse la cavea di
un teatro in pòros a quattro file di posti o gradinate.
Il corpo che domina al centro è un edificio di pianta rettangolare e di contenute dimensioni, anfiprostilo, esastilo, con entrambi i fronti
coronati da timpani privi di sculture. Le colonne doriche in marmo pentelico, che sostengono la trabeazione lievemente inarcata dei
fronti, ripropongono lo stesso sistema di proporzioni delle colonne del Partenone (nei Propilei l’altezza delle colonne è pari a 5,47 volte
il loro diametro inferiore, nel tempio di Atena pari a 5,48 volte il diametro del fusto alla base).
Le colonne, dotate di entasis accentuata, ‘prendono’ vita inclinandosi appena verso l’interno e, in più, verso l’asse principale ove l’inter-
columnio si amplia di un valore pari ad 1/3 dei laterali (da 3,63 a 5,44 metri) per accogliere ed evidenziare l’imbocco dell’ agevole rampa
che, solcando il crepidoma, s’inoltra nel corpo del Propileo.
Le due file di tre colonne ioniche per banda che fiancheggiano il passaggio contrappongono ai corpi robusti delle colonne doriche del
fronte agili fusti scanalati a listelli (10, 29 metri l’altezza e 1,04 metri il diametro all’imoscapo) posti su basi attiche e coronati da capitelli
a volute, conferendo allo spazio circostante il senso di una maggior estensione in altezza e in profondità.
A chi percorreva, infatti, il sentiero inclinato si palesavano dietro l’intermettente barriera due vani simmetrici profondi quanto due in-
tercolumni di facciata. Li copriva alla quota superiore dell’architrave del fronte un soffitto marmoreo a lacunari con rose e stelle dorate
fig. 24 Planimetria dei Propilei in campo azzurro chiuso da fregi quadrati ad ovuli e dardi e da kymàtia lesbi e sostenuto da travi monolitiche di marmo, gettate tra le
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fig. 25 Propilei, planimetria (bohn1882 )
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1γ. L’ Acropoli classica.
pareti estreme e i due semplici architravi anch’essi marmorei a tre fasce, sorretti dalle colonne ioniche interne.
La leggerezza era solo apparente: in realtà le ampie luci tra i sostegni avrebbero chiesto travi di sezione molto consistente, Mnesìcle,
al contrario, volle mantenere il loro spessore al disotto di quel che la situazione e la consuetudine consigliavano, rinforzando i giunti
delle travi con grappe di ferro impiombate. Superati i 2/3 del percorso interno si presentava innanzi ai cortei una parete intermedia
trasversale interrotta da cinque porte di dimensioni variabili e decrescenti ( 4,13 x 7,38 metri la centrale, 1,47 x 3,44 metri le estreme) e
sollevata da cinque gradini che superavano e mascheravano il dislivello da superare; l’ultimo gradino rivestito di pietra nera eleusina,
costituiva il segno forte di una barriera da superare, il momento di purificazione o di catarsi che il mondo antico annetteva al varco di
un passaggio. All’innalzarsi della quota del pavimento corrispose un analogo sollevamento delle linee di gronda e del culmine del tetto,
sicchè il manto a due falde della copertura risultò spezzata e sfalsata in due parti.
Lo spazio sino a quel punto attraversato celava e anticipava nelle misure e proporzioni le parti più interne del Partenone: l’ampiezza
misurata tra le pareti era la stessa del nàos del tempio di Atena (18,12 metri), la profondità misurata tra il limite interno del fronte e il
fronte delle porte era la stessa dell’opistodòmo. Superate le cinque porte, cortei e pellegrini entravano nel vano orientale, posato sul
piano della collina a mezzo di un basamento alto un solo gradino, mentre il sentiero interno proseguiva il proprio ininterrotto percorso
inclinato. Il fronte prostilo esastilo, gemello dell’occidentale, prospettava sull’ampia distesa dell’Acropoli ove la rampa uscente dall’in-
tercolumnio centrale moriva confondendosi con il terreno roccioso dinnanzi all’Athéna Promàchos di Fidia, la statua di Atena condut-
trice di schiere dalla lancia dorata visibile fin dal Pireo.
Le trabeazioni dei due fronti a quote diverse piegavano d’ambo le parti ad angolo retto posando sulle terminazioni ad anta dei muri
laterali del corpo centrale del Propileo: la trabeazione orientale si spingeva all’interno sino alle cinque porte, quella occidentale si
fermava sulle terminazioni ad anta. In tal modo l’architetto metteva in bell’evidenza, tanto verso le rampe di risalita dalla città, quanto
verso il piano dell’Acropoli, la forma e il volume di un corpo principale inquadrato d’ambo le parti da due corpi laterali di minor altezza,
perpendicolari o paralleli alle linee dei fronti .
Due edifici laterali, infatti, furono iniziati, ad est, verso l’Acropoli e furono compiuti, ad ovest, verso le rampe. Ai lati del fronte prostilo
orientale Mnesìcles aveva ideato due ampie sale ipostile entro volumi pieni (due sole porte per aperture), uguali e simmetrici in opera
isodoma. Serrando sui due fianchi il corpo colonnato centrale, ne avrebbero accentuato l’ aggetto e la pre-
minenza in altezza (tenuta minore di 1/5 di quella del Partenone). L’ala o l’aula sud, tuttavia, avrebbe imposto lo spostamento dell’a-
diacente santuario di Artemide di Brauronia (Artemide Brauronion) e la rimozione di un tratto del Pelargikòn da molti considerato sacro
per la sua vetustà.
I sacerdoti di Artemide si opposero fieramente e, comunque, nel 431, non essendosi ancora risolta la vertenza, lo scoppio della guerra
del Peloponneso consigliò o comportò l’abbandono prima e l’ interruzione poi della costruzione delle due ali.
Ad occidente, a destra e a sinistra del fronte esastilo del corpo centrale, alla distanza di un intercolumnio dalle colonne angolari,
Mnesìcles innestò e protese due corpi di fabbrica perpendicolari, posati sul comune basamento che, avanzando lateralmente, accoglie-
va nel proprio seno l’arrivo delle rampe di risalita e del pendio. A entrambi i corpi laterali fu attribuito un fronte molto simile a quello
di un tempio in-antis, sebbene non terminassero con timpani frontali ma con una delle quattro falde di un tetto a spioventi. Le due file
speculari di tre colonne doriche comprese tra due ante con cui l’architetto risolse le facciate furono mantenute d’altezza pari a 1/3 delle
colonne del corpo centrale, scolpite con analoghe proporzioni (5,85 metri l’altezza, 2,51 metri l’interasse, 1,07 metri il diametro inferio-
fig. 26 Propilei, planimetria re) e poste a intervalli e interassi minori a partire dall’allineamento con il fronte centrale. Ciascuna delimitò un vestibolo antistante un
ampio vano o…una parete che lo simulava. 21
fig. 27 Ipotesi ricostruttive del sistema di ingresso in epoca micenea (J. C. Wright, 1994)
22
1γ. L’ Acropoli classica.
Il vestibolo settentrionale introduce ad una Pinacoteca, coronata esternamente da un fregio dorico continuo ed illuminata da due fine-
stre laterali e da una porta eccentrica rispetto all’asse della sala ma centrata entro il penultimo intercolumnio antistante.
Il vestibolo meridionale, al contrario, non introduce ad alcunché, delimitato come fu da una parete cieca dal momento che la costruzio-
ne di un corpo retrostante analogo alla Pinacoteca avrebbe imposto la demolizione di un tratto del Pelargikòn e comportato la sepa-
razione dell’area dell’Acropoli dal proprio baluardo naturale a guardia dell’accesso. Per salvare agli occhi dello spettatore la simmetria
dei due bracci avanzati il fronte colonnato del vestibolo meridionale fu chiuso da un’anta isolata e per consentire la comunicazione allo
sperone-baluardo il fianco occidentale fu lasciato aperto con un solo pilastro intermedio e la parete di fondo fu arretrata in corrispon-
denza dell’ultima colonna.
Abbracciando con gli avancorpi il termine del pendio, solcando con il sentiero il corpo d’ingresso, Mnesìcles introdusse, forse per pri-
mo, l’idea che l’architettura potesse consistere non solo nella perfetta conformazione di un corpo splendidamente isolato ma anche
nell’articolazione di masse in reciproco accordo e nella successione di spazi da attraversare.
Accolto dalle due ali e dal corpo centrale nessuno poteva sottrarsi alla suggestione dell’esperienza spaziale; seguendo il proprio per-
corso ciascuno avvertiva il sottile conflitto di due direzioni-tensioni contrarie: l’apparire frontale del tempio, l’inoltrarsi della rampa, il
dilatarsi oltre le colonne ioniche degli spazi laterali, il prospettarsi intermedio delle cinque porte, il fronte dei gradini da infrangere e
superare, l’ultimo fronte potente del vestibolo orientale, l’estendersi oltre della spianata. Nessuno si era probabilmente accorto né degli
ostacoli accidentali superati né delle asimmetrie celate.
Di più non si poteva chiedere: raramente un architetto riuscì a fare altrettanto con pari chiarezza e semplicità.
La storia del piccolo tempio di Athèna Nìke, tre volte ricostruito, inizia con un solenne principio seguito da una brusca interruzione.
Da due lapidi con iscrizioni conservate al Museo Epigrafico di Atene si deduce che fin dal 450-449 , 449-448 a. C., l’Assemblea popolare
aveva deciso di erigere, a fianco, quasi a “guardia” dei Propilei, un santuario in onore di Athèna Nìke, Atena Vittoriosa in battaglia, per
commemorare il trattato di pace con la Persia conclusa da Callia.
Il tempio, l’altare, il recinto dovevano essere costruiti tutti di marmo secondo le indicazioni già fornite dall’architetto Callicrate su in-
carico di Cimone. Ma, dalle stesse lapidi, si deduce, anche che, l’insieme fu iniziato solo nel 427-426 e concluso nel 424-423 la guerra
contro Sparta iniziata, più di vent’anni dopo il decreto dell’Assemblea e cinque anni dopo la morte di Pericle che in vita si era mostrato,
evidentemente, contrario alla costruzione patrocinata dal suo avversario politico Cimone.
Il tempietto di Athèna Nìke sorse sullo sperone occidentale dell’Acropoli, un tempo parte del sistema difensivo miceneo e occupato fin
dagli inizi del V secolo a. C. da un naìskos con altare antistante (dei quali restano visibili le fondazioni). Quando guidava il cantiere dei
Propilei, Mnèsicles aveva provveduto ad ampliare, innalzare, rettificare il perimetro trapezoidale, il vol me prismatico e le facce dello
sperone.
Perfezionando l’appiombo delle pareti l’architetto dei Propilei aveva contemporaneamente provveduto alla rifinitura del loro rivesti-
mento in opera isodoma di pòros coronata da lastre di marmo a profilo modanato e all’allineamento, in particolare, della faccia setten-
trionale con il fronte dell’ala sud del proprio edificio in costruzione. Spinto all’estremo limite ovest della terrazza per non invadere l’area
fig. 28 Tempietto di Athena Nike, Planimetria
esterna al Pelargikòn dedicata ad Artemide (causa prima dell’interruzione dell’ala sud dei Propilei) ed insieme per lasciar posto all’altare
23
ed allo spazio necessario allo svolgimento delle cerimonie rituali, il tempio costruito da Callicrate, di contenute dimensioni,interamente
fig. 29 Fotografia di William James Stillman raffigurante il Tempietto di Atena Nike, facciata est, 1869
24
1γ. L’ Acropoli classica.
in marmo Pentelico, è un anfiprostilo tetrastilo con due fronti opposti di quattro colonne ciascuno; ma è un anfiprostilo del tutto par-
ticolare.
Esso è privo di vestibolo e di opistòdomo ovvero dei due vani abitualmente posti tra due tratti di muri sporgenti dinnanzi e sul retro del
nàos; eccezionalmente quest’ultimo è più largo che lungo (4, 14 x 3, 78 m) e tra le ante, vale a dire tra le estremità dei muri laterali, si
trovano pilastri squadrati anziché le consuete colonne.
Sull’ euthinterìa appena emergente e sporgente posa un crepidoma di gradini sottolineati da solchi rientranti tra la pedata e l’alzata. Una
base di forma nuova, un’ elegante versione attica delle basi dei templi ionici elaborata da Callicrate (Carpenter la giudica “di superba
bellezza”), con un primo toro minuto, una scozia intermedia lievemente concava ma notevolmente espansa, un secondo toro turgido
con scanalature orizzontali, àncora allo stilobàte i fusti delle colonne e gli ortostati dei muri laterali. I fusti scanalati a listelli sono mono-
litici, troncoconici piuttosto massicci e accentuatamente rastremati, con altezza (m. 4,06) pari a 7,61 volte il diametro all’imoscapo (m. 0,
533); li coronano capitelli alquanto espansi - più espansi del consueto - nella colonna d’angolo con voluta esterna cadente e in diagona-
le visibile di fronte e di lato, con occhio convesso ricoperto da una foglia di bronzo dorato. Come dimostrano gli intercolumni di 1,03 m.,
pari a poco meno di due fusti accoppiati, Callicrate intendeva ottenere fronti fitti ed accentuati per resistere visivamente alla pienezza,
esaltata dalla luce, dei muri isodomi laterali, composti da otto filari di blocchi di marmo, di cui l’ultimo dipinto con serie di fiori di loto
e palmette, coronato da una sottile cornice a gola diritta o cyma recta. Sugli abachi dei capitelli e sulle cymae di coronamento delle
pareti corre la parte superstite della trabeazione, composta da un architrave a tre fasce e da un fregio piuttosto alto (0,45 m) e continuo
scolpito su ogni lato (per una lunghezza complessiva di 25,94 m). Il fregio correva sui quattro lati interamente cinto di lastre scolpite,
fig. 30 Balaustrata del Tempio di Atena Nike - p. (Vittoria esposte dal 1999 nel Museo dell’Acropoli, ad esclusione di quattro segmenti conservati al British Museum. Sul fronte una trentina di di-
che si slaccia un sandalo), ca. 410-405 a.C.
vinità difficilmente identificabili s’era riunita intorno al padre Zeus, Atena e Poseidone; sugli altri tre lati si svolgevano scene di battaglia,
ma non delle mitiche lotte tra Greci e Centauri o tra Greci ed Amazzoni bensì – caso più unico che raro - quelle realmente avvenute tra
Greci e Persiani, Greci e Tebani, Spartani o Corinzi.
Lavoro collettivo di più botteghe,
26
1γ. L’ Acropoli classica.
La cella, ornata solo del bell’apparecchio dei suoi muri lapidei, decisamente nuda ed austera se confrontata con il suo involucro splen-
dente e decorato, accoglieva una statua cultuale modesta, forse uno xoanon vale a dire di legno ed antica, raffigurante, eccezionalmen-
te, una Vittoria aptera o senz’ali con una granata, simbolo ctonio, ed un elmo, trofeo di guerra, tra le mani, accompagnata, forse, da una
seconda immagine in posizione eccentrica rispetto all’asse d’entrata.
In un momento di euforia durante i difficilissimi anni di guerra contro Sparta, molto probabilmente in concomitanza con la vittoria
(peraltro occasionale) ottenuta a Cizico da Alcibiade nel 410 a. C., gli Ateniesi decisero di cingere il santuario di Athéna Nike con un pa-
rapetto di marmo interamente scolpito: 32 lastre in altorilievo larghe mediamente 1,229 m. per una lunghezza di 41,71 m misurata dalla
piccola scala che si arrampica al santuario dalle rampe d’accesso ai Propilei sino alle fondazioni dell’ala sud-ovest mai realizzata. Alto 1,
06 m ma dotato di plinto di base e di una modanatura di coronamento che riducevano, per ogni lastra, il campo utile per la scultura a
0,91m., il parapetto ospitò una cinquantina di figure, di alcune delle quali restano quasi integri i corpi, di molte significativi frammenti.
Nessun guerriero è presente; appaiono ai nostri occhi solo figure di dee. Il soggetto è unico: sotto lo sguardo di Atena Vittorie alate
preparano sacrifici e riti di ringraziamento.
In una lastra a sud la dea dall’ampio cimiero che ha concesso agli Ateniesi il dono della vittoria (il frammento di un’insegna nemica scol-
pito altrove dice trattarsi ancora di guerre persiane) siede abbandonata su di un trono improvvisato di roccia, posando il braccio sullo
scudo reggendo al contempo per un suo lembo il fluente mantello; dinnanzi a lei una Vittoria dalle amplissime ali in riposo sistema un
trofeo mentre un leggerissimo chitone aderisce alle forme del suo corpo sinuoso riprendendosi in pieghe profonde prima di giungere
a terra. In una lastra settentrionale, molto meglio conservata, due Vittorie conducono all’altare un torello recalcitrante: l’una lo guida,
l’altra lo calma trattenendolo un poco, le vesti d’entrambe fluttuano in onde create dai loro opposti movimenti aderendo alle convessi-
tà dei ventri e dei seni. In una terza lastra meridionale, certamente la più celebre, una Vittoria è sorpresa dallo scultore mentre con gesto
infantile slaccia un sandalo profanatore, l’ala ripiegata asseconda l’incurvarsi lieve del dorso mentre un chitone trasparente e leggero
rivela la pienezza di un giovane corpo divino. La scultura dell’Attica, concentrata sulle sinuosità dei corpi femminili, nel parapetto del
minuto santuario della Vittoria raggiunge l’espressione massima di una voluttà giovanile e il tocco della perfezione.
Paionio di Mende, Callimaco, Alcamene: sono i nomi proposti per lo scultore; ma più di tutti probabile è quello di Agoracritos, allievo di
Fidia, tornato per quest’impresa dal bronzo al marmo.
Nel canto dell’Odissea che narra d’Ulisse all’isola dei Feaci, ed in quello dell’Iliade dedicato alla rassegna degli eserciti Achei , Omero
fa menzione di due edifici ateniesi: la “splendida” reggia d’ Eretteo ed il “sontuoso” tempio dedicato ad Atena. I versi omerici (Odissea,
VII°, 81;Iliade, II°, 549), mentre alludono ad un mito piuttosto intricato, sono in accordo con quanto, fino ad oggi, gli studi archeologici
hanno stabilito, ossia l’esistenza d’un palazzo e d’un tempio risalenti al periodo miceneo od immediatamente sub-miceneo, che, si
sovrapposero parzialmente nell’ area centro-settentrionale dell’acropoli, nel tempo in cui questa
andava trasformandosi da rocca a santuario ( dalla fine del XII° secolo a. C. in poi).
Il palazzo sarebbe appartenuto ad una dinastia di principi pre-ellenici fondatori della potenza dell’Attica prima del sinecismo di Teseo,
tra i quali il mito annoverava la figura del re di Atene, Eretteo che originariamente si identificava con Erittonio frutto dell’amore di Efesto
per Atena, ma concepito nel seno della madre Terra, allevato per incarico di Atena dalle figlie di Cecrope, un altro re-serpente partorito
dalle divinità ctonie o sotterranee del luogo. Il tempio sarebbe il primo posseduto da Atena sull’area stessa del megaron del palazzo e 27
fig. 33 Eretteo, (Fergusson, 1880) fig. 34 Pianta dell’Eretteo (Tempio dei Pisistràtidi, Boetticher)
28
1γ. L’ Acropoli classica.
sostituito - al più tardi nel VII secolo, sotto il governo dei Pisistratidi - da una nuova costruzione, quando la dea assunse l’appellativo di
Poliade (Poliàs), ossia quando divenne, da tutelare del palazzo, protettrice di tutta la pòlis. Secondo lo sviluppo dello stesso mito in età
classica quando le figure di Erittonio ed Eretteo si separarono, il re ateniese fu ucciso in un impeto d’ira da Posidone che poi, in atto d’e-
spiazione, assunse su di sè gli attributi del re ingiustamente fatto perire (gli attributi delle divinità pre-elleniche vennero assunti dalle
nuove). Dopo la soluzione pacifica della loro contesa per il possesso dell’Attica e dell’acropoli, Atena ammise accanto al proprio il culto
di Posidone-Eretteo, con cui condivise, addirittura, il suo tempio più antico.
Tutta l’area del palazzo, del tempio e delle loro adiacenze, era dunque uno stratificarsi di testimonianze storiche dei primordi intrecciate
al mito e conservava, ben visibili, i segni lasciati dagli dei: la polla salata fatta scaturire nella roccia dal tridente di Poseidone, l’ulivo fatto
nascere miracolosamente sul suolo roccioso da Atena, le tombe di Cecrope e della figlia Pandroso. Si presentava, inoltre, spezzata in due
parti da una balza rocciosa di quasi 3 m d’altezza: nella zona più elevata, a sud-est della separazione, rinforzata da un terrazzamento
artificiale, poggiava il tempio d’Atena, nella inferiore, nord-occidentale, sgorgava la polla, nasceva l’ulivo e giacevano le tombe.
Al centro dei sepolcri regali e delle tracce divine, per metà sulla piattaforma superiore e per metà sull’ inferiore, accanto all’antico, gli
Ateniesi vollero costruire interamente in marmo pentelico un nuovo tempio di Atena Poliade, mentre il Partenone già rifulgeva con
tutte le sue sculture. Sebbene completasse, in certo qual modo, il programma di rinnovamento di Pericle (morto nel 429 a. C.), la co-
struzione del tempio fu promossa da Alcibiade, dopo la pace di Nicia del 421 a. C..
Iniziato, probabilmente, in quello stesso anno, fu interrotto nel 413, a causa della sconfitta subita in Sicilia dagli Ateniesi; fu ripreso nel
409 e completato sul finire del secolo.
all’imoscapo 0, 62 m), sono, di conseguenza, impostate su di un appoggio elevato, costituito, nel caso particolare, da una parete piena
con l’aspetto d’un basamento inserito tra le basi delle semi-colonne ed il terreno, che sappiamo appartenere alla zona di quota inferio-
re dell’area del tempio. Il sostegno prospetta sul piano roccioso in cui verdeggiava l’ulivo d’Atena e posava il sepolcro di Pandroso, nella
cella d’ un tempietto prostilo, tetrastilo; ma dal pianoro, completamente recintato - il Pandrosèion, dal nome della fanciulla che acco-
glieva - una porta ricavata tra i blocchi marmorei della parete - eccentrica e priva d’ornamenti, negandole importanza per dichiararne
soltanto l’utilità - immetteva direttamente nel vestibolo, la cui antica denominazione, Prostomiaion o Prostomieo, indica trattarsi di un
luogo affatto particolare, ossia di un vano anteposto ad uno stretto orifizio o ad una porta di limitata ampiezza.
Sotto il pavimento del vestibolo, infatti, si aprivano una fossa ed una cavità (visibili attraverso fessure?): nella prima stagnava un laghet-
to salato in comunicazione con la polla di Poseidone, affiorante in una fenditura della roccia, posta al di fuori del corpo del naos ; la
seconda racchiudeva la tomba di Cecrope e, parte, usciva all’esterno, entro la terrazzadel più antico tempio d’Atena, parte - accessibile
dal Pandrosèion - rientrava sotto l’angolo sud-ovest del nuovo.
Per abbracciare entro l’area del tempio il segno divino e la regale sepoltura ( testimonianze di verità storica del mito), Filocle progettò
due corpi minori aggiunti, addossati al corpo principale ma ideati e costruiti con forme proprie, autonome e distinte.
Al lato settentrionale del naos accostò un vestibolo ampio e profondo (di 10,60 m di larghezza e 6,75 m di profondità) con quattro
colonne sul fronte ed una su ciascun lato. Poggiate su di un crepidoma a tre gradini, le colonne, particolarmente alte e snelle (7,63 m
l’altezza; 0,82 m il diametro inferiore), presentano un’entasi lievissima e s’inclinano impercettibilmente verso l’interno (0,02 m appena)
prima di raggiugere la trabeazione, il timpano volto a settentrione ed il proprio tetto a falde inclinate, il cui culmine cade esattamente
al di sotto del geison del corpo principale.
Ecentrico e spostato com’è verso l’estremità ovest della parete settentrionale il corpo del vestibolo sopravanza per un buon tratto quel-
lo del naos, nella misura utile a ricavare, nella sporgenza, un’apertura che conducesse al Pandrosèion, di cui il portico venne a costituire
una sorta di propileo.
Una seconda porta, la principale, dalle dimensioni monumentali e dal raffinatissimo decoro ( un rettangolo di 2,43 x 4,88 m di lato),
conduce al Prostomieo mentre, perfettamente in asse con l’intercolumnio centrale, lascia, alla sua destra, l’entrata al recinto, alla sua
sinistra un pozzo che racchiude una fenditura nella roccia - contenente la polla del mito- fatta sgorgare dal tridente di Posidone. E’ pro-
babile che intorno al pozzo - illuminato da una corrispondente apertura, lasciata nel tetto - si svolgesse qualche rito collegato al culto
del dio e che vi si potesse assistere dalle gradinate come fossero un segmento di cavea trapezoidale simile a quelle dei teatri più antichi,
ottenute più ad est approfittando del dislivello dell’area.
Sul lato meridionale del naos, sempre al termine della parete, verso occidente, l’architetto innestò un altro edificio. Una loggia, propria-
mente, costituita da un alto zoccolo o basamento, su cui poggiano, in luogo delle colonne, sei statue femminili - quattro sul fronte e
32
1γ. L’ Acropoli classica.
Si tratta, in ogni caso, di immagini che gli Ateniesi dovevano immediatamente associare a culti misterici ed antichi, con riferimento alla
morte ed alla vita. Tanto più che la loggia si sovrappone all’andito della tomba di Cecrope, alla quale consentiva di scendere scendere,
grazie ad una scaletta a gomito che attraversava il Prostomieo; è, si può dire, essa stessa la parte superiore o la sovrastruttura della
tomba: ripropone, infatti, con lo zoccolo e il sistema di sostegni e copertura, la forma antica d’un monumento sepolcrale, la perfeziona,
la nobilita e la stabilisce per il futuro (la tomba di re Mausolo, il “Mausoleo” di Alcarnasso, ne costituì l’esempio magnifico e colossale).
Nel luogo cruciale dell’acropoli ove si sovrappongono e si confondono i miti con i miti, il mito con la storia, le tracce degli dei con le
spoglie degli eroi, ogni vestigia è presa ed abbracciata entro l’Eretteo, entro il suo corpo principale ed entro quelli congiunti, ciascuno
con la forma che discende solo dalla propria ragion d’essere o natura.
L’intreccio dei miti spiega il “mistero” della forma complessiva. E’ perfettamente coerente a se stesso l’insieme di reliquari in cui consiste
l’Eretteo, che squadre e squadre di abilissimi scalpellini (o raffinatissimi scultori?), sotto la guida di Filocle, resero preziosi nell’aspetto
prodigandosi nel trattamento delle superfici e nelle decorazioni.
Le Korai della loggia meridionale furono scolpite, probabilmente, dall’allievo di Fidia, Alcamène; la posa, comunque, - una gamba
caricata dal peso, l’altra ripiegata all’indietro - che riproponeva quella dell’equilibrio chiastico o di contrapposizione alla maniera di
Fidia e Policleto, conferisce ai corpi un lieve movimento o una sottile tensione che rinviano, a loro volta, per lo sforzo che implica, alla
trabeazione portata (tenuta a quota decisamente inferiore a quella del corpo principale), costituita da un basso architrave a tre fasce,
alleggerito da rosette (rimaste incompiute), e da una cornice a dentelli, come nei templi immensi della Ionia orientale.
Nel 409 una commissione fece il punto della situazione, quando il cantiere temporaneamente si fermò a causa degli oneri imposti
dagli eventi bellici che, tra l’altro, non erano favorevoli. Dalla relazione si deduce che il tempio era giunto fino all’imposta della trabe-
azione, che il portico nord stava per essere compiuto mentre lo erano del tutto il fronte orientale e la loggia delle Korai. Le colonne
del fronte orientale non erano ancora scanalate e nemmeno le pareti erano rifinite del tutto. Fregio, geison, soffitto e tetto non erano
iniziati.
In resoconti successivi furono annotati il nome, la provenienza, la paga d’ogni lavoratore, compreso l’architetto (che era sostanzialmen-
te considerato direttore dei lavori). Per tutti, senza distinzione, una dracma al giorno.
I tagliapietra lavoravano in squadre da 4 a 7 persone, spesso padre e figli. Per scanalare una colonna un tagliapietra, da solo, impiegava
350 giornate lavorative, in squadra due mesi: dapprima l’arrotondamento della colonna messa in opera grezza; quindi un primo sfac-
cettamento corrispondente al numero delle scanalature e dei listelli; ancora l’escavazione delle scanalature; infine la levigatura e la pu-
litura definitive delle parti. Gli stessi tagliapietra lavorarono probabilmente alle figure del fregio, ciascuno secondo la propria inventiva,
pur servendosi di un modello..
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fig. 38 Ricostruzione dell’ incendio che distrusse il Partenone visto dalla collina ad ovest del Licabetto (oggi Strefi), fig. 39 L’interno del Partenone dopo l’ incendio degli Eruli, dopo 267 d.C. (M. Korres)
a sinistra il Licabetto, in lontananza le alture del Pireo, il Golfo di Saronicco ed Egina. (M. Korres)
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1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli
durante i secoli
Le trasformazioni degli edifici dell’Acropoli durante i secoli
L’inizio del Cristianesimo in Grecia risale ai tempi di San Paolo: ma nonostante la forza della predicazione dell’apostolo i cittadini
delle antiche poleis non si staccarono e non si stancarono presto degli antichi dei.
Gli Ateniesi costruirono le loro prime chiese solo intorno agli inizi del V secolo d. C.: una sull’isola dell’Ilissos con impianto basilicale
a tre navate e transetto a croce ridotto, l’altra, a pianta centrale tetraconca nel cortile della Biblioteca di Adriano. Nella città, tuttavia,
aleggiava ancora il ricordo del glorioso passato che, del resto, l’Acropoli ed i suoi edifici quotidianamente testimoniavano.
Perché non far uso dei loro spazi e volumi circondati ed ornati di colonne e che, con calibrati ma non esagerati accomodamenti, si potevano
trasformare in chiese?
Non fu difficile intravedere una chiesa nel Partenone già suddiviso in tre navate e senza più l’ingombro della statua cultuale di Atena
scomparsa ormai da tempo (forse già nell’incendio del 267 d. C.): fu sufficiente pensarlo rovesciato entro l’immutato bel corpo este-
riore scandito da colonne di marmo.
fig. 42 Pianta dei Propilei nel 300 d.C. fig. 43 Pianta dei Propilei nel 700 d. C.
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fig. 45 Fortificazioni dei Propilei nel 700 d.C., in alto la porta di Beulè
1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli
durante i secoli
Succedendo ai funzionari bizantini, al tempo delle Crociate s’alternarono al governo della città e d’un territorio che andava dalla Me-
garide alle Termopili signori Borgognoni (1204 -1311), Catalani (1311 –1388) e Fiorentini (1388 – 1458), fregiandosi tutti del titolo di
duca d’Atene. Gli edifici dell’Acropoli rimasero quel che erano ad eccezione dei Propilei trasformati progressivamente in un castello
fortificato, residenza ducale.
I francesi s’erano limitati a creare nel corpo centrale suddiviso dalle due serie di colonne ioniche un vestibolo che dava accesso alla
pinacoteca sopraelevata di un piano adattata ad appartamenti con terrazza e cappella al di sopra dell’ala settentrionale.
Il fiorentino Antonio Acciaiouli (1403 – 1435) fu più radicale: incorporò senza nulla distruggere colonne e pilastri antichi entro nuove
spesse murature di chiusura d’atrio, vestibolo e residenza proteggendo il tutto con avancorpi e bastioni difensivi; sbarrata la porta
“Beulè” e ripristinate le antiche rampe, innalzò una torre di guardia nel portico sud dinnanzi al tempietto di Atena Nike.
Il sette dell’aprile 1436 giungeva ad Atene, provenendo dalla Beozia e percorrendo presumibilmente la strada che si snodava sul fondo
valle tra il Parnete e il Pentelico, il mercante-umanista italiano Ciriaco de’ Pizzicolli, più noto come Ciriaco d’Ancona.
La visione che da lontano lo attrasse subito non poté essere che quella dell’Acropoli. In un cattivo latino, appreso da autodidatta, Ciria-
co ci ha lasciato nei Commentari del suo viaggio (perduti, ma di cui possediamo una trascrizione secentesca) le prime più immediate
impressioni di questa sua prima visita (ne segui un’altra nel 1444), offrendoci un quadro, con animo tra lo stupefatto e lo struggente,
delle condizioni d’una terra e d’una citta un tempo celeberrime ed allora del tutto derelitte:
«... Arrivai ad Atene - scrive il Pizzicolli -, e vidi da ogni parte grandi muri edificali ridotti in rovine dal tempo, presenti per ogni dove, dentro
citta e fuori, per la campagna, edifici di marmo inimmaginabili, palazzi e templi sacri, e sculture d’ogni tipo, opere mirabili per l’arte stupenda
di chi le aveva eseguite; ed enormi colonne. Il tutto pero in stato di grande rovina, in tanti mucchi da ogni parte”. Ma ciò che soprattutto merito
la maggiore attenzione era il sovrastare della rocca cittadina con il suo imponente e meraviglioso tempio marmoreo della divina Pallade,
opera, anch`essa divina, di Fidia. Esso consta di ben 58 colonne del perimetro di sette piedi, ed e da ogni parte ornato con sculture di nobilis-
sima fattura, sull’una e sull’altra fronte, nonché sulla fascia più alta delle pareti. All’esterno, sugli architravi, si può ammirare una battaglia di
centauri, prodotto meraviglioso dell’arte dello scultore »
37
fig. 46 Il Partenone come Chiesa, (M. Korres)
38
Mediante la forza che non escluse azioni diplomati-
che, gli Ottomani conquistarono l’Acropoli nel 1456,
riconfermando la natura ormai acquisita di fortezza,
sede proibita ai cristiani di una guarnigione milita-
re e del suo comandante insediato nel palazzo degli
Acciaiuoli.
Partenone ed Eretteo non subirono che blande trasformazioni: cancellando i supporti della liturgia cristiana il primo fu convertito in
moschea segnalata all’esterno da un minareto che spuntò ritto come una lancia dal pronaos ovest, il secondo in un harem. Nell’atrio
dei Propilei trovarono posto polveri da sparo che nel 1640, colpite da un fulmine, deflagrarono danneggiando gravemente colonne e
copertura.
Nel settembre 1687, approfittando delle sconfitte subite dai Turchi alle porte di Vienna ed entrati nella “ Santa Lega ” con l’Austria, la
Polonia ed il papa, i Veneziani, al comando del doge Francesco Morosini e del generale in capo delle truppe lo svedese conte Koenig-
smark, riuscirono a riconquistare la Morea da cui mossero fino ai piedi dell’Acropoli sbarcando al Pireo con i propri cannoni. Un nugolo
di palle investì le mura rinforzate anche con le pietre del tempietto di Atena Nike smontato per l’occasione e il Partenone ove la scarna
guarnigione turca aveva ammassato le polveri dopo il fulmine sui Propilei (?)e radunato donne e bambini.
Le trecento vittime delle esplosioni furono compiante assai meno degli edifici danneggiati.
Il Partenone ne uscì trasformato in fumante rovina: nàos e pronàos quasi del tutto distrutti, otto colonne della perìstasis a nord e cinque
a sud abbattute, parti del fregio spezzate, copertura volata in frantumi. Salito sull’Acropoli, il vincitore Morosini pensò bene di far calare
dal frontone occidentale le quadrighe di Poseidone e di Atena con l’intenzione di trasportarle a Venezia: ma le corde si spezzarono e le
statue s’infransero sulla piattaforma sommitale della collina. L’anacronistica conquista della Morea durò ben poco.
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1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli
durante i secoli
Dalla veduta alla copia e da questa al desiderio di possesso di qualche originale i passi furono brevi, incoraggiati dalla compiacenza
mercenaria dei custodi. Affascinato dalle testimonianze di un grande passato immerse nel torpore del presente, il conte Choiseul Go-
uffier, avendo già pubblicato con successo il primo volume di un Voyage pittoresque de la Grèce, (1781), mentre era ambasciatore di
Francia presso l’impero Ottomano inviò come proprio agente personale ad Atene, ch’egli ancora non conosceva, lo scultore Sébastian
Fauvel ad eseguire copie in gesso delle metope e del fregio del Partenone e di due Korai dell’Eretteo.
Mentre per suo ordine i gessi venivano esposti al Louvre affinchè li ammirassero tutti i parigini, l’ambasciatore non tardò a far chiede-
re al capo-guarnigione da Fauvel il permesso di prelevare segmenti del rilievo, una cariatide…insomma, quanto più poteva. Fauvel,
tuttavia, si mantenne più che moderato dinnanzi al crescendo dei desideri e si limitò ad inviare in Francia solo due metope (una fu
intercettata dagli inglesi) ed il frammento con le Ergastine del fregio, mentre cercò di arrestare una spoliazione di enorme portata che
stava concludendosi sotto i propri occhi.
fig. 49 Facciata del Partenone in un disegno di fig. 50 Veduta dell’Acropoli nel 1600, era una piazzaforte difesa da un complesso sistema di fortificazioni che irrobustiva la ripida parte naturale di roccia. Un basso bastione
Ciriaco d’ Ancona inglobava il Teatro di Erode Attico, sopra la seconda linea difensiva seguiva il tracciato della cerchia antica. Da questi bastioni merlati emergevano i Propilei (sopraelevati e
murati nel Medioevo) e la Torre Franca. 41
fig 51 -fig. 52 Raffigurazioni dell’ esplosione del 1687
42
1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli
durante i secoli
Nel 1801 lo scozzese lord Elgin, ambasciatore d’Inghilterra presso la Sublime Porta, ottenne il permesso di prelevare dall’Acropoli
“qualche” lapide iscritta e “qualche” scultura.
L’autorizzazione non precisava trattarsi solo di quelle cadute intorno o anche di quelle rimaste ancorate agli edifici ma Sir Elgin non si
fece scrupolo di interpretare la concessione a proprio favore e ordinò al drappello di artisti che lo aveva seguito per eseguire i calchi
delle sculture sotto la guida del pittore napoletano Lisieri di rimuovere e calare dal Partenone metope, fregio e quel che restava dei
frontoni.
E’ vero che si trattò di uno spoglio pressoché totale ma è anche vero che, al fine di porre al sicuro e sotto gli occhi di artisti e cittadini
inglesi uno dei massimi capolavori dell’umanità, si spogliava un edificio destinato a perire tra l’indifferenza e l’incuria di Greci ed Ot-
tomani, soliti a far uso dei marmi come materiali da costruzione o per estrarre calce a vantaggio delle umili case sorte entro la cinta
dell’acropoli.
Complicazioni belliche e diplomatiche resero avventuroso il trasferimento delle sculture, perché la Francia, tornata in buoni rapporti
con la Sublime Porta, mediante il suo nuovo ambasciatore ed approfittando del termine del mandato di lord Elgin, riuscì ad imbarcare
su di un proprio vascello tanto le modeste raccolte di Choisel-Gouffier quanto il “bottino” del gentiluomo scozzese. La flotta inglese,
però, sbarrò il passo e sequestrò il carico dell’imbarcazione francese.
I marmi raggiunsero Londra ove furono acquistati per una cifra modesta - 35.000 lire – dallo Stato, non senza incertezze sul loro effet-
tivo valore e polemiche sull’operato dell’ex-ambasciatore ma infine affidati per sempre al British Museum istituito nel 1753, rinnovato
nel 1823-1846 da Robert Smirke (e, ai nostri giorni, da Norman Foster).
Dallo scoppio alla fine della guerra d’indipendenza greca, tra 1821e1833, s’alternano gli assedi all’Acropoli: ora sono i Turchi ad asser-
ragliarsi, ora sono i Greci a difendersi. Il cannoneggiamento ordinato e guidato da Réschid Pascià nell’agosto 1826, oltre ad infliggere
nuove ferite al Partenone, colpisce duramente l’Eretteo: crolla parte del portico nord, già quartier generale della difesa greca, è sfonda-
to quasi interamente il muro sud mentre due sole Korai restano in piedi.
Nel 1834 la Grecia libera offre la corona al giovane Ottone, figlio di Ludovico I° di Baviera ardente ammiratore dell’Ellade; seduta stante
è inviato ad Atene, designata capitale del nuovo regno, il celebre architetto Leo von Klenze, proprio colui che stava conferendo un volto
“ellenico” a Monaco, con il compito di aiutare i colleghi S. Kléanthès e N. Schaubert a redigere il piano della città, progettare il nuovo
palazzo reale, avviare il restauro della martoriata Acropoli.
Per la collina, immediatamente smilitarizzata, quattro sono i punti cardine del programma.
Primo: demolizione delle opere militari ad eccezione di qualche elemento di particolare interesse architettonico; secondo: sgombero
delle macerie e restauro del Partenone mediante riuso dei blocchi riconoscibili accompagnato dall’ integrazione di nuovi purché chia-
ramente distinguibili e dalla raccolta in bell’ordine di tutti gli elementi originali ma non più utilizzabili;
terzo: restauro dei Propilei e dell’Eretteo, creazione di un museo all’estremità ovest del pianoro e di portici per ospitare le sculture;
quarto: piantagione d’alberi intorno al Partenone.
In alternativa all’Acropoli - Museo con l’eliminazione di ogni marmo che non fosse pericleo od immediatamente successivo, K. F. Schin-
kel, l’ormai celebre architetto berlinese impegnato a far rinascere l’antico nella capitale prussiana, in un progetto del 1834 avanzava
l’idea di re-innestare la vita delle istituzioni sulla collina: da trasformare in Museo e Reggia insieme, in un labirintico intreccio di corpi ed
ali di fabbriche,colonnati e giardini con Partenone ed Eretteo inseriti al loro interno come maestose impareggiabili rovine.
Ma come poteva il sentimento collettivo della nuova nazione accettare l’unione dell’antico al nuovo, lì, su quella collina ove s’innalza-
vano i monumenti che tutta Europa considerava testimoni ed espressione degli inizi della propria civiltà? (aggiungere qlc sul progetto
Schinkeliano).
Nel segno della più intransigente restituzione dell’antico e solo di quello risalente al V secolo a. C., il programma di von Klenze partì
nella primavera del 1835 affidato alla guida di L. Ross, nominato Direttore Generale delle Antichità.
Si inaugurava l’era dei restauri o, meglio, dei rimontaggi o delle ricomposizioni degli edifici dell’Acropoli giunti attraverso le traversìe
della storia mutilati, svuotati, scalfiti, scoloriti, spogliati.
Ross aprì due cantieri: l’uno ai Propilei, l’altro al Partenone; il primo per demolire il muro che sbarrava trasversalmente le rampe di ac-
cesso, il secondo per liberare dalle macerie lo stilobate del tempio. Bisogna dire a merito di Ross che prima di porre mano – come da
programma - a qualsiasi ricostruzione, sentì l’esigenza di attuare scavi che, attraverso la datazione degli oggetti eventualmente ritrova-
ti, potessero restituire le vicende dell’Acropoli sin dall’inizio della sua vita: egli fu tra i precursori della stratigrafia, un metodo di scavo
che avvicina alla scienza l’archeologia.
47
48
2α. Il Partenone nella storia
L a costruzione del vecchio tempio di Atena ebbe inizio subito prima o subito dopo la battaglia di Maratona del 490 a.C., ma fu raso al
suolo dai persiani durante la loro breve occupazione di Atene nel 480 a.C. .
La decisione di riedificare i monumenti devastati dell’Acropoli non nasceva semplicemente da una nostalgia del passato, ma guardava
al presente, e anche al futuro. Politicamente, Atene era più potente che mai, stato firmato un trattato con i persiani che garantiva alle
città greche l’immunità da interferenze esterne e rispondeva allo scopo di fondare, in seguito alle guerre persiane, la lega delio-attica,
capeggiata da Atene, la quale, tuttavia, era più di un semplice centro di potere, era anche il polo indiscusso di una stupefacente rinasci-
ta intellettuale e artistica, che nei secoli a venire ha segnato profondamente la storia dell’Europa e del mondo intero.
Oltre al comando militare anche l’amministrazione del tesoro della neonata lega navale, restava in mano ateniese: gran parte di esso
alla fine servirà all’erezione dei maggiori monumenti dell’Acropoli.
Il nuovo tempio avrebbe dovuto essere il simbolo visibile e l’incarnazione della fiducia in sè stessa e dell’orgoglio con cui la generazione
di Pericle affrontò il mondo, e un’ispirazione per tutte le altre, presenti e future.
Come si vedrà meglio nel paragrafo successivo, B. H. Hill nel suo saggio “The Older Parthenon”, aveva ricavato la planimetria di un tem-
pio precedente disposto e in parte eretto quasi sulle stesse fondamenta del Partenone attuale. Osservando le due piante sovrapposte,
subito balza all’occhio che i due templi hanno molto in comune. Se si eccettua il fatto che il Partenone posteriore è leggermente più
lungo (di una sola colonna), e notevolmente più largo (di due colonne), la pianta posteriore riproduce la precedente quasi in ogni det-
taglio. In entrambe, a ciascuna estremità del santuario interno, si trovano dei bassi portici con colonne indipendenti, ed ogni portico
è diviso in due locali da una parete cieca. La cella sul retro è relativamente piccola, con profondità uguale o inferiore alla larghezza,
mentre l’altro scompartimento, cui si accede attraverso un ampio archivolto che si apre dal portico frontale, è assai più lungo e ha file
di colonne interne che lo dividono in un’ampia navata e in navate laterali più strette.
Il progetto posteriore riproduce la disposizione sostanziale del precedente, in forma ampliata senza però far corrispondere un propor-
CAP. 2 zionale incremento degli elementi costitutivi della struttura. I nuovi muri non sono più spessi, né le colonne più grosse; la rampa di
I ‘PARTENONI’ scalini esterna non è più ampia, quindi presumibilmente non più alta. Fu proprio alla luce di queste osservazioni che maturò la teoria
di Hill secondo cui la proporzione degli elementi che costituivano la soprastruttura del nuovo tempio non avvenne proprio perché si
« Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla riutilizzarono gli elementi del tempio precedente. Ma questa è un’altra storia.
via della democrazia.
Pericle fu eletto ininterrottamente stratega per un lungo trentennio, dal 460 al 429 a. C., questo gli diede modo di essere considerato il
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la liber-
vero e unico reggitore di Atene, ancorché proprio in quegli anni e per sua opera la città raggiunse costituzionalmente il livello più alto
tà sia solo il frutto del valore.
di democrazia che il mondo antico abbia mai conosciuto.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che Oltre agli interventi atti al consolidamento dell’egemonia marittima, nel crescente prosperare della città, non si poteva non sancire
ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la visibilmente nell’aspetto della città e quindi dell’Acropoli che ne era il centro sacrale e ideale, il segno di un primato che voleva essere
fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situa- soprattutto morale, per quelle virtù per cui si attribuiva principalmente agli ateniesi l’opera decisiva di difesa di tutta la Grecia.
zione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi Conclusa una pace con la Persia tutte le risorse e le energie potevano essere rivolte alla creazione del complesso monumentale dell’A-
non cacciamo mai uno straniero.
cropoli. Già intorno al 450 a. C. si era decisa la costruzione del tempio di Atena Nike da collocare sul bastione di sud-est dominante l’ac-
cesso all’Acropoli. Percle pensò di accordare la costruzione del piccolo tempio con una nuovo più solenne edificio di accesso , i celebri
Qui ad Atene noi facciamo così.»
Propilei, affidati a Mnesicle.
Si prospettò anche un nuovo tempio dedicato ad Eretteo il cui edificio primitivo, sul lato settentrionale dell’Acropoli, vicino all’Hekaton-
Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C. pedon pisistrateo, era stato distrutto dall’invasione persiana. 49
Fig. 1 Piante a confronto: sopra arcaico Partenone; sotto Partenone Pericleo fig. 2 Sovrapposizione delle Piante dei ‘Partenoni’
50
2α. Il Partenone nella storia
Lo stilobate, il basamento su cui si erge, misurava 30,87 metri di larghezza e 69,54 metri di lunghezza. Tutto il massiccio di fondazione
del tempio, lo stereobate, era fatto di poros, lo zoccolo si articolò in una linea di tre gradini. La cella occupa gran parte dello stilobate
e il corridoio creato dalla peristasi risulta stretto. La lunghezza della cella era superiore ai cento piedi; essa infatti fu divisa in due parti
, quella in cui si doveva collocare la statua della dea, lunga effettivamente cento piedi, l’altra divisa da quattro colonne era il vero e
proprio Parthènon, la parte posteriore riservata alla custodia del tesoro o del peplo sacro. Il nàos è preceduto e seguito da una fila di sei
colonne. La cella ospitante la statua di Athena era tripartita in navate da due doppie file di colonne doriche che misurano 1,9 metri di
diametro e sono alte 10,4 metri.
Le colonne , di ordine dorico, si erigevano direttamente sul pavimento senza piedestallo, con la scanalatura continua fino al capitello
sobriamente decorato. In stile dorico così come i triglifi e le metope del fregio esterno, ma sono individuabili anche riferimenti ionici,
come l’allargarsi del fronte costituito da otto colonne e il fregio che correva ininterrotto sui lati esterni della cella: questa commistione
di elementi dorici e ionici si presentava come un tratto assolutamente originale. L’altezza dei singoli timpani era di 3,46 metri, la lar-
ghezza di 28,35 metri e la profondità di 0,91: è soprattutto nella loro decorazione, fatta di statue a tutto tondo, che si poteva ammirare
in tutta la sua grazia l’intervento diretto della mano di Fidia.
Tutto il progetto è basato su sottili e raffinatissimi calcoli che organizzano in modo equilibrato e razionale la costruzione. Vitruvio riferi-
sce come Ictino, insieme con Karpion, scrisse un trattato sul Partenone: il rapporto 9:4 regola le misure del basamento, della larghezzae
dell’altezza, dell’interasse e del diametro delle colonne, della lunghezza e della larghezza della cella. Raffinatissime sono le correzioni
ottiche, nella curvatura delle linee orizzontali (stilobate, frontone, cornici dei lati lunghi), nell’inclinazione delle colonne verso l’interno,
nell’ingrossarsi delle colonne angolari; gli intercolumni degli angoli sono contratti per attenuare il contrasto angolare. 51
fig.4 Athena Varvakeion ,copia di età
romana dell’Atena di Fidia
52
fig.5 Ricostruzione dell’ Opistodomo del Partenone (C. Mingkwan)
2α. Il Partenone nella storia
Tutto ciò rendeva il tempio simile a un organismo vivo, organicità che trovava compimento nella sua policromia, nell’ azzurro, rosso e
oro delle parti architettoniche (triglifi, cornici e cassettoni), nel rosso, blu, verde e bronzo dorato delle sculture. La pianta dell’edificio
non fornisce alcuna indicazione riguardo la cromia. Essa mostra il consueto impianto architettonico tipico del tempio greco: un pe-
ribolo esterno di colonne che circonda una semplice camera interna anche se qui, in realtà, si tratta di due vani interni, caratteristica
inconsueta che costituisce l’eccezionalità del Partenone.
L’entrata principale, ad est, conduceva nel vano più grande, dove giganteggiava la grande statua d’oro e avorio. Intorno al vano, su tre
lati, correva un colonnato a due piani, con una fila di colonne che ne sosteneva un’altra soprastante. Ad un certo punto, dopo che l’edi-
fig. 6 Schemi illustrativi delle correzioni ottiche del Partenone ficio era stato completato davanti alla statua fu installato un bacino poco profondo, destinato a contenere acqua.
Il bacino doveva servire a riflettere la luce che entrava nell’ambiente da est, attraverso la porta principale e attraverso le due sole
finestre della stanza, che si trovavano in alto sul muro est. Sempre dall’estremità est si poteva accedere al tetto, attraverso una scala
nascosta nello spessore del muro.
Gli storici dell’architettura si sono accapigliati per quasi duecento anni sul modo in cui questo tetto fosse costruito. Studi moderni con-
cordano nel dire che la copertura fosse costituita da una superficie continua fatta di tegole di marmo, sostenuta da travicelli di legno.
Durante il periodo classico, l’accesso alla camera ovest era possibile solo attraverso la sua porta esterna. Caratteristica principale di
questo ambiente erano il gruppo di quattro colonne collocate al centro di esso, e, in contrasto con il luogo in cui si trovava la statua, la
sua tenebrosa oscurità. Sembra effettivamente che questa stanza più piccola fosse completamente priva di finestre.
Il Partenone, come lo ha recentemente definito un archeologo, era una “cassaforte”. L’edificio conservava i tesori di proprietà della dea,
che, nella pratica, non sempre erano facilmente distinguibili dalle proprietà dello Stato. La presenza di tutti questi oggetti di valore
determina un’enorme differenza nel nostro modo di concepire l’immagine del Partenone, il suo uso quotidiano e, inevitabilmente, la
sua sorveglianza. Immagazzinamento e sicurezza devono essere stati in cima alla lista delle priorità. I nudi muri indicati sulla pianta
dell’edificio erano coperti da armadi e da scaffali in grande quantità e il pavimento era disseminato di casse. Per proteggere i tesori
contenuti nel portico, furono alzate delle palizzate o delle inferriate in mezzo alla fila interna di colonne, sia all’estremità est che ovest
dell’edificio: : i fori di queste installazioni sono ancora chiaramente visibili. Ben lontana dall’immagine per noi consueta di un edificio
aperto, quella che si parava di fronte ai visitatori, quando salivano i gradini verso l’ingresso del vano principale est, era una barriera
metallica. Il fatto che il Partenone fosse come un forziere, non contrastava con i normali impieghi dei templi greci. Nell’antica Grecia la
religione era soprattutto un evento che si svolgeva all’aria aperta: il rituale fondamentale del sacrificio dell’animale aveva luogo intorno
ad un altare esterno. Il compito principale del tempio era di alloggiare la statua della divinità.
Il Partenone, così com’era stato eretto nell’età di Pericle, durò solo per due secoli; purtroppo un incendio nel II secolo a.C. , danneggiò
gran parte degli interni, incluso il colonnato interno, il soffitto e la statua di culto. Il tempio fu restaurato, con una nuova statua mo-
dellata sulla base dell’originale, nel 165-160 a.C., probabilmente a opera di Antioco, re di Siria, segno evidente che il Partenone era un
monumento la cui importanza si estendeva ben al di là dei confini della città. Nel 267 d.C. il Partenone venne nuovamente distrutto,
stavolta a causa dell’invasione degli Eruli.
Nel 362-363 d.C. l’imperatore Giuliano intraprese un ambizioso progetto di restauro come parte della sua campagna per ristabilire la
religione pagana in un mondo sempre più cristiano. Ciò significa che l’edificio rimase in rovina per circa un centinaio di anni.
fig. 7 Ricostruzione della camera interna del Partenone con la stauta crisoele- I danni causati al monumento erano gravi: il grande tetto in marmo crollò e si frantumò al suolo e le strutture erano indebolite a causa
fantina di Fidia dell’alta temperatura raggiunta dall’incendio appiccato dagli Eruli. Il restauro rispettò la pianta della fase precedente e ricostruì poco di
53
fig. 9 Particolare della cromia del fregio
fig. 8 Ricostruzione del frontone est del Partenone fig. 10 Ipotesi di Fergusson riguardo la copertura dell’ Hekatompedon, si no-
tano le due interruzioni in corrispondenza dei vani luce per l’illuminazione
diretta
54
2α. Il Partenone nella storia
ciò che era andato perduto: solo le stanze interne furono provviste di un tetto in terracotta mentre il colonnato esterno fu lasciato senza
copertura. Le due file di colonne presenti nella cella furono ripristinate fedelmente utilizzando materiale di reimpiego.
56
2α. Il Partenone nella storia
Nel 1799 Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, fu nominato ambasciatore britannico presso il governo ottomano.
Le sue intenzioni iniziali non risultarono ben chiare, ovvero se fosse interessato semplicemente a copiare le sculture del Partenone o
a impossessarsi di alcuni esemplari di esse. L’esplosione avvenuta con il bombardamento del Partenone da parte dei Veneziani dan-
neggiò in maniera molto pesante il lato sud del tempio mettendo a nudo il fregio interno, rimasto ‘celato’ in periodo cristiano. Bisogna
pensare che il Partenone che si trovava dinnanzi a Elgin era un edificio molto differente a quello che potrebbe trovarsi di fronte oggi
un visitatore contemporaneo. Si trattava di un edificio quasi del tutto abbattuto: colonizzato da una moschea, invaso dalla baraccopoli
di una guarnigione e per oltre un secolo spogliato dalla gente del luogo e dai visitatori. Non fu certo cosa difficile dunque per lui con-
vincersi che i marmi sarebbero stati più al sicuro sotto sua tutela. Fu così che, se non si può dire che saccheggiò un ‘sito archeologico’
, nel senso che noi potremmo intendere, Elgin mise in atto una spietata e sistematica rimozione delle sculture ancora esistenti di una
preziosa testimonianza dell’antichità classica, incurante del fatto che il suo gesto avrebbe privato le generazioni future di poter mirare
ancora una volta il tempio nella sua originaria integrità. In generale poi non si criticò tanto l’idea che Elgin trasferisse in Inghilterra i
pezzi trovati scavando o quelli che erano stati murati nelle case turche dell’Acropoli; ma i critici manifestarono il loro orrore per gli scal-
pelli, le seghe, le corde e le carrucole che segnarono lo smembramento delle parti più alte dell’edificio ancora esistenti per asportarne
le sculture, tanto che si ritenne la barbaria degli agenti di Elgin persino peggiore di quella dei Turchi.
Ultima fase “distruttiva” del Partenone avvenne durante la guerra greca d’indipendenza. Solo nel 1835 l’Acropoli finì sotto la giurisdi-
zione del neonato Servizio Archeologico Greco, che da allora si occupa di tutte le questioni relative alla conservazione, agli scavi e al
fig. 13 James Stuart, autoritratto mentre disegna l’Eretteo restauro della struttura. 57
fig. 14 Sezione trasversale all’estremità orientale
58
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
2 β. Il vecchio e il nuovo Partenone (protopartenone, partenone arcaico, partenone classico)
59
fig. 15 Muro nord dell’Acropoli con i rocchi di colonna appartenenti al tempio arcaico, fotografia del 1890 fig. 16 Rocco di colonna ancora oggi presente nell’ aea sud del Partenone
60
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
61
fig. 17 Piante dei ‘Partenoni’: sovrapposizione.
In nero l’antico partenone e tratteggiato il partenone pericleo (Doerpfeld)
62
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
64
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
Tuttavia sono molteplici le questioni che sorgono attorno all’antico Partenone, in primo luogo in merito a chi fosse l’autore del proget-
to e quanta parte di esso venne effettivamente costruita.
Hill riteneva di aver recuperato la pianta del tempio in costruzione all’epoca dell’invasione persiana; in realtà dalle prove ricavate dalle
analisi stratigrafiche (figura 14), risulta chiaramente che la pianta così ingegnosamente ricavata da Hill non era quella del progetto
prepersiano ma quella del tempio in corso di costruzione dopo l’allontanamento dei Persiani.
Volgendo l’attenzione alla domanda su quanto del «Partenone cimoniano» fu realmente costruito non mancano varie indicazioni utili
a dare una risposta accettabile anche se non completamente certa.
Incorporata nelle fondamenta di sostegno sotto il pavimento di marmo del presente Partenone si trova una lastra di marmo con i
bordi intagliati secondo il profilo illustrato nella figura 5. Questa lastra, insieme ad altri sei blocchi incorporati nel muro occidentale del
Partenone (figura 15), devono in origine aver fatto parte del Partenone cimoniano. Il blocco ora sotto il pavimento del tempio è stato
identificato come blocco terminale per il muro del santuario mentre gli altri sei blocchi un tempo facevano parte della base a gradini
dello stesso muro.
Ora, è normale nell’ordine ionico, che un muro del genere rechi una base profilata corrispondente a quella delle colonne ioniche ester-
ne. Ma, siccome le colonne doriche non hanno base, mancava un motivo logico per collocare una base profilata ai piedi del muro del
santuario di un edificio dorico.
Si potrebbe quindi obiettare che questi blocchi, con un profilo che ricorda quello della base della ben nota colonna attico-ionica, non
poteva provenire dal Partenone precedente. Tuttavia, il tempio di Efesto , dorico di stile e appartenente al periodo immediatamente
successivo a quello in cui fu interrotta la costruzione del Partenone cimoniano, ha una base muraria con un profilo assai simile. Se ne
deduce che l’architetto il quale disegnò il Partenone cimoniano scelse questa caratteristica ionica per il suo tempio dorico. Ma non è
tutto.
Durante l’esplorazione delle fondamenta del tempio di Efesto, si osservò che l’intero colonnato esterno venne eretto prima che fosse
disegnato qualsiasi altro elemento della pianta; ne deriverebbe, riguardo al quasi contemporaneo Partenone cimoniano, che, poiché
la costruzione del santuario interno era già stata iniziata, il colonnato esterno doveva essere ormai completato quando si smise di la-
vorare al tempio.
Sulla base dell’opinione corrente, secondo cui la pianta del tempio ricostruita da Hill rappresenta un progetto la cui realizzazione era
stata iniziata prima dell’invasione persiana, senza essere mai stata portata oltre la sistemazione del circuito di gradini e l’erezione di
alcune colonne, è sempre sembrato strano, anzi inesplicabile, che il Partenone pericleo abbia mantenuto esattamente le stesse dimen-
sioni di base (e presumibilmente quasi la stessa altezza) per le sue colonne.
Ma ora ci si presenta una spiegazione semplice e immediata: le colonne del Partenone posteriore ebbero le stesse dimensioni di quelle
del Partenone precedente perché erano le stesse colonne, smontate e rimesse a posto.
65
fig. 18 Gradini scolpiti nella roccia, lato ovest del Partenone
66
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
Che le colonne del Partenone appartengano all’architettura ateniese di una generazione più antica è indicato anche dallo spessore
in rapporto all’altezza dal momento che vi fu una continua tendenza verso colonne più snelle nel corso dei secoli V e IV a. C. inoltre,
l’altezza delle colonne esterne del Partenone riproduce esattamente quella delle colonne esterne del tempio di Zeus a Olimpia, eretto
durante il decennio 460-450. Ora, è molto improbabile che tale dimensione sia stata copiata ad Atene da un architetto pericleo; invece
un costruttore cimoniano contemporaneo poteva ben indursi ad adottarla.
Si troverà risposta nella comparazione delle due piante del Partenone. Più precisamente si rileverà che in quella posteriore il numero
delle colonne è stato aumentato da sei a otto sulla fronte e sul retro, da sedici a diciassette sui lati.
L’aumento a otto colonne sul fronte fu imposto dall’esigenza di lasciar libera la veduta centrale assiale attraverso le porte esterne. Il
cambiamento da sedici a diciassette colonne sui fianchi invece ha come motivo quello di rispettare la tradizione canonica secondo la
quale il numero delle colonne sui fianchi doveva essere pari al doppio delle colonne dei lati brevi, più una. È stato calcolato che, mentre
le colonne del Partenone attuale distano fra loro mediamente di 4,295 metri, tra quelle del tempio antecedente l’intervallo era supe-
riore di 0,105 metri. Può sembrare una differenza trascurabile; tuttavia in una fila di diciassette colonne si giunge complessivamente al
metro e mezzo.
Una spiegazione plausibile al drastico e costoso pas-
saggio di progetto, oltre al fatto che otto colonne
per diciassette costituiva una scelta più canonica
riferita a quel decennio, può essere trovata nel fat-
to che Pericle patrocinò l’erezione di una colossale
statua d’oro e di avorio della dea, la cui esecuzione
fu affidata a Fidia, lo scultore da lui protetto.
Le dimensioni della statua erano tali da non consentire il suo collocamento nel Partenone antecedente. Tuttavia, per quanto questa
possa rappresentare una delle ipotesi, devono esservi state forze maggiori che costrinsero al mutamento del progetto.
Il passaggio ad un colonnato di otto per diciassette,pur comportando in tutto solo sei colonne in più, causava serie difficoltà per adat-
tare allo stereobate la struttura ampliata. Vari erano i motivi per cui le colonne già erette non potevano essere lasciate al loro posto sul
fianco meridionale o su ognuna delle due estremità.
Se ci si fosse limitati ad aggiungere una colonna alla fine della serie già esistente, la rampa di scalini sarebbe sporta in fondo oltre la
piattaforma, cosicché sarebbe occorso estendere la piattaforma per contenerli e sostenerli. Inoltre come Hill riuscì a dimostrare, il
gradino più basso del Partenone antecedente non era stato costruito in marmo ma si era adoperata una pietra calcarea grigia, scelta
adottata anche dall’architetto del tempo di Efesto. 67
fig. 19 Sezione di dettaglio sul colonnato sud, confronto tra Partenone arcaico e Partenone classico (B. H. Hill)
68
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
Nonostante ciò a Ictino la cosa non piacque e così escogitò la soluzione, geniale e praticissima, di ricoprire i tre gradini cimoniani con
una nuova scalinata di marmo, sistemando i nuovi gradini davanti a quelli vecchi e allo stesso livello. L’unico inconveniente dovuto a
questa alterazione fu che si rese necessario spostare in avanti tutte le colonne, dato che nel tempio greco il peristilio è allo stesso livello
del bordo esterno del gradino più elevato, e questo gradino (o stilobate) adesso era stato ampliato. A occidente, sul retro del tempio,
Ictino spostò i gradini con le colonne fino al bordo estremo della piattaforma così da guadagnare una quantità equivalente di spazio
sulla piattaforma stessa a est, lungo il lato frontale.
Dalla pianta risulta invece evidente che a nord il Partenone ampliato non poteva essere contenuto tutto sulla piattaforma; occorrevano
altre fondamenta per la fila di diciassette colonne, con la loro gradinata.
Che questa aggiunta sia stata realmente effettuata si può facilmente verificare oggi: lì le fondamenta sono esposte in vista, e non oc-
corre un occhio professionalmente esercitato per rendersi conto, dal corso delle giunture nell’opera muraria, che nuovi blocchi furono
incastrati per aumentare qui il sostegno dei gradini e delle colonne attuali.
La curiosa morfologia della roccia dell’Acropoli che si eleva in un crescendo continuo da ovest verso est giustifica l’altrettanto singolare
conformazione dello stereobate: il risultato è che mentre si dovettero porre in opera varie file di blocchi per le fondamenta nella metà
occidentale del fianco settentrionale, a est invece il livellamento sotto il gradino inferiore si poté ottenere semplicemente seguendo il
corso della roccia originaria.
Se il tempio fosse stato esteso ulteriormente verso est, sarebbe stato necessario scavare per una notevole profondità nella viva roccia.
Ciò potrebbe spiegare perché Ictino abbia spostato il tempio verso ovest per quanto la piattaforma lo permetteva, e inoltre ne abbia
accorciato la lunghezza complessiva di 1,79 metri, ravvicinando tra loro le colonne di alcuni centimetri.
Va osservato che oltre alle colonne, si poteva disporre di una notevole quantità di materiale da riutilizzare. Nel suo classico articolo The
Older Parthenon, Hill aveva acutamente osservato:
«Il gradino inferiore della cella dell’attuale Partenone è composto in larga parte di blocchi presi dal vecchio tempio e riutilizzati, come è dimo-
strato dal fatto che hanno due serie di intagli per le grappe [...]. Ora, i blocchi di cui si è così dimostrata un’utilizzazione precedente sono lunghi
in media 1,77 metri. Si tratta di una lunghezza standard nella sottostruttura del Partenone precedente, non però normale per il Partenone
attuale. È comunque la lunghezza media di venti su ventinove blocchi del gradino inferiore sul lato nord della cella, e di numerosi blocchi sugli
altri lati. Tutti questi materiali erano stati senza dubbio impiegati nel Partenone antecedente».
«Esistono nel Partenone altre anomalie, che con tutta probabilità non si sarebbero avute in un edificio completamente nuovo. Così, le colonne
che incorniciano il portico frontale sono più sottili di quelle corrispondenti del retro; inoltre il diametro di queste ultime è identico a quello di
alcuni rocchi eccezionalmente piccoli, incorporati nel muro nord dell’Acropoli.».
Basandosi su queste e su altre prove, Hill dichiarò che «in sede di progettazione,il Partenone attuale, fu concepito per molte dimensioni
esattamente uguale al tempio precedente, in modo che alcuni blocchi di questo, non troppo guasti, potessero essere impiegati per il nuovo
edificio».
In sintesi :
69
fig. 20 Sezioni totali dell’ Acropoli. 1879
70
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
72
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
moda con le loro rigide pose e i loro schemi compositivi arbitrari non fu motivo sufficiente a farli scartare.
Essi furono invece relegati sul fianco meridionale, il meno frequentemente visitato e il meno visibile del tempio. Se il lavoro fosse stato
eseguito con cura, senza mutilare i rilievi scolpiti, non si sarebbe lasciata nessuna traccia visibile dell’operazione. Fortunatamente, ma
solo per l’interesse degli studiosi, il lavoro fu eseguito in fretta e malamente, indizio sicuro, questo, che fu compiuto nel corso stesso
dell’operazione con cui le metope venivano fissate al loro posto. I muratori incaricati di sistemarle nel fregio ben sapevano che, una
volta inserite le metope nelle scanalature dei triglifi, nessuno si sarebbe accorto se i bordi erano rifiniti o meno; il visitatore che esamini
le metope del British Museum vedrà che più della metà di esse hanno una o entrambe le estremità tagliate rozzamente.
Se è poi un osservatore più attento, noterà inoltre che in quattro piccole metope alcune parti dei rilievi sono state asportate sul bordo
per permettere che il triglifo potesse sporgere sopra di esse.
In base alle supposizioni sopra ampliamente argomentate si potrebbe quindi concludere che soltanto ventiquattro metope scolpite
erano finite e pronte per il Partenone di Cimone allorquando fu sostituito da quello di Pericle. Ora, è semplice calcolare che il Partenone
antecedente, con sei colonne per sedici, avrebbe richiesto dieci metope per ogni facciata e trenta per ciascuno dei fianchi; così, le ven-
tiquattro metope ultimate sarebbero state troppo numerose per le due facciate, ma insufficienti per il fregio dell’uno o dell’altro fianco.
È probabile che le botteghe degli scultori avessero ricevuto in anticipo l’ordinazione di scolpire le metope, affinché fossero pronte
quando l’edificio fosse giunto a uno stadio di lavorazione così avanzato, da poterle sistemare sul tempio. Dato che il numero delle me-
tope ultimate e raccolte non era sufficiente per il fregio di uno dei lati lunghi del Partenone cimoniano, è molto probabile che non ne
sia stata messa a posto nessuna, e di conseguenza l’opera cimoniana non sia andato oltre l’erezione delle colonne del peristilio e l’inizio
della costruzione delle mura del santuario. Sopravvenuto allora il nuovo progetto ad opera di Pericle, ogni ulteriore lavoro fu sospeso.
73
fig. 24 Ricostruzioni del Frontone Est del Partenone a
74
2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico,
il Partenone classico
2_ Fra il 468 circa e il 465 a. C., per iniziativa di Cimone fu progettato un nuovo tempio per Atena nello stesso luogo e con la stessa pian-
ta dell’«anteriore». Il capomastro direttore dei lavori va identificato con Callicrate. Il tempio venne iniziato e portato avanti per meno
della metà; allora i lavori vennero bruscamente interrotti da Pericle, all’atto di assumere il potere dopo la morte di Cimone, nel 450 a.C.
3_ Asceso Pericle al potere, fu progettato un terzo tempio, da erigere nello stesso luogo ma con pianta ampliata.
Callicrate fu sollevato dall’incarico e sostituito da Ictino. Questi ebbe il compito di disegnare e costruire un nuovo tempio su scala più
maestosa, impiegando tutto il materiale dell’edificio non ultimato disponibile.
Nel 438 a. C. il tempio era ormai completato nelle sue strutture; nel 432 a. C. erano terminate le sculture dei frontoni. È questo il tempio
le cui rovine s’innalzano ancora oggi sull’Acropoli.
Rimangono tuttavia molti i dubbi sulla vera ragione per cui Pericle abbia dovuto operare un così vistoso cambiamento ad un’impresa
architettonica già compiuta praticamente per metà. Ospitare la nuova statua di Atena o «correggere» le proporzioni del tempio pre-
cedente, troppo allungate per il gusto della seconda metà del secolo v, sono valide spiegazioni che non legittimano però l’atto tanto
drastico di Pericle se non fosse che a questi motivi si aggiunge il violento antagonismo che animava le fazioni politiche a cui Pericle e
Cimone erano a capo.
Durante il periodo in cui si costruiva attivamente il Partenone primitivo la rivalità tra i due, nel contendersi il controllo politico sullo
stato e sul suo impero insulare, minacciava spesso di sfociare in aspri mutamenti di potere, accompagnati da sfrenati atti di vendetta
e successive rappresaglie. Non sorprende quindi il fatto che il conflitto tra Cimone e Pericle sia sfociato anche in campo architettonico
qualora fosse in gioco la dimostrazione della propria magnificenza attraverso un’opera memorabile.
Per rendersi conto dell’asprezza dei reciproci rapporti tra Pericle e Cimone e delle ripercussioni che la politica può avere avuto sul
tempio che si andava costruendo in onore della dea protettrice della città, bisogna spostarsi dalla storia dell’architettura a quella degli
uomini.
L’aspra rivalità, la gelosia, l’odio personale che dovevano contrassegnare le carriere politiche di Cimone e di Pericle ebbero probabil-
mente inizio durante la loro prima giovinezza. La loro rivalità ebbe certamente tutta l’apparenza, e tutta la ferocia, di una vendetta
familiare. Il padre di Cimone, Milziade, era stato messo sotto accusa da Santippo, il padre di Pericle, e condannato a una fortissima multa
dopo il fallimento della sua spedizione clandestina contro Paro nel 488 a. C. Cimone non ereditò subito l’influenza e la potenza politica
del padre. Solo nel 468 a. C., alla morte di Aristide, egli raggiunse una posizione di preminenza nel partito aristocratico, il partito allora
dominante nella politica ateniese, in opposizione al partito popolare, di cui Pericle doveva divenire il principale esponente ed il capo. Le
grandi capacità militari di Cimone si erano già rivelate mentre era in vita Aristide, con una fortunatissima campagna punitiva in Tracia e
col comando della flotta attica nell’Ellesponto e nel Mar di Marmara. Fu dopo la morte di Aristide, tuttavia, che la reputazione militare
di Cimone raggiunse l’apice, con alcune gesta che non sarebbero mai più state uguagliate da alcuni ateniesi per terra o per mare.
In una famosa campagna contro i Persiani in Asia Minore egli intercettò la flotta nemica al largo della foce del fiume Eurimedonte,nel 75
fig. 25 Ricostruzioni del Frontone Est del Partenone b
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2 γ. Il Partenone tra architettura e politica
golfo di Panfilia, presso la moderna città turca di Antalya. Dopo aver annientato completamente il nemico sul mare, Cimone senza
alcun respiro per riprendersi dopo la precedente battaglia sbarcò le sue forze sulla vicina costa, e in un aspro combattimento non solo
ebbe la meglio, ma mise in rotta completa le forze persiane e ne saccheggiò il campo, assicurandosi con la duplice vittoria un enorme
bottino.
A questo punto si può ricordare che:
78
2 γ. Il Partenone tra architettura e politica
I suoi focolai locali furono repressi; ma più seri furono gli sviluppi nella vicina Messene, i cui abitanti ribelli si rifugiarono entro la fortezza
del monte Itome, resistendo a tutti i tentativi spartani di sloggiarli.
Dopo più di un anno di inutili sforzi, Sparta chiese l’aiuto di Atene. Un aspro dibattito divise l’assemblea ateniese: Efialte, a capo del
partito popolare, si opponeva a che venisse data assistenza al più formidabile rivale e potenziale nemico di Atene; Cimone invece,
capo della fazione aristocratica, la quale aveva costantemente intrattenuto rapporti amichevoli con Sparta, sosteneva che la Grecia
non poteva permettersi di essere politicamente disunita finché la Persia ne minacciava la libertà. Preferendo la sopravvivenza di Sparta
alla supremazia di Atene, Cimone persuase il popolo a inviare una grossa forza per aiutare Sparta. Il risultato della missione deluse le
aspettative di Cimone. Mentre l’assedio si protraeva, gli Spartani cominciarono a nutrire dei sospetti contro gli Ateniesi venuti in loro
aiuto. Temendo un tradimento, essi cacciarono di punto in bianco l’alleato ateniese e i soldati tornarono a casa a mani vuote, umiliati e
indignati. Fu a questo momento che la popolazione di Atene, irritata per l’immeritato e offensivo trattamento, sfogò la propria rabbia
Cimone
su Cimone, che per le sue inclinazioni filospartane era stato direttamente responsabile dell’accaduto.
fu condannato con voto maggioritario all’o-
stracismo per il periodo di dieci anni, e di conse-
guenza dovette lasciare Atene.
Per quanto inaspettato fosse questo incidente, le sue conseguenze furono ancora più sorprendenti.
Il malanimo fra Atene e Sparta sfociò in una aperta ostilità quando, poco dopo il malinteso sulla Messenia, un corpo di spedizione spar-
tano fu inviato a Delfi per «liberarla» dal controllo che Atene aveva appoggiato.
Di ritorno da Delfi, le forze spartane si accamparono poco a nord della frontiera Attica, a Tanagra, e verso quella località gli Ateniesi
marciarono per affrontarle. Ora tra le due potenze militari vi era guerra aperta. In questa occasione Cimone, giunto al quarto anno di
esilio, diede prova della sua inalterabile devozione alla terra che lo aveva scacciato. Poiché l’esercito ateniese aveva oltrepassato la fron-
tiera dell’Attica per avanzare su Tanagra, Cimone poté raggiungerlo senza timore di essere arrestato. Ma quando si offrì di guidare gli
uomini della sua tribù nel combattimento contro gli Spartani, e la notizia giunse ad Atene, l’assemblea votò che Cimone doveva essere
cancellato dai ranghi perché vi era il rischio di un suo tradimento, considerate le sue note inclinazioni filospartane.
Prima di ritirarsi Cimone schierò i suoi fedeli compagni, che insieme a lui condividevano la fama di essere ferventi filospartani, in prima
linea nella battaglia nel tentativo di dissipare l’accusa di cui erano fatti segno da parte dei cittadini ateniesi. Stretti alla promessa fatta
a Cimone caddero tutti in combattimento lasciando dietro sé il rimpianto e il rimorso degli Ateniesi di averli accusati ingiustamente.
Dopo questo fatto la città non si ostinò oltre nella sua avversione verso Cimone. A Tanagra gli Ateniesi avevano subito infatti una grave
sconfitta ed entro breve s’aspettavano un’invasione da parte di Sparta; quindi
richiamarono Cimone dall’esilio, ed egli tornò. Subi-
to dopo il suo rientro, Cimone pose fine alla guerra
e riconciliò Sparta con Atene. Il richiamo di Cimone
dall’esilio e il suo successivo arbitrato nel con-
flitto con Sparta gli restituirono abbondantemente il
favore popolare e di conseguenza la sua autorità po-
litica ne uscì rafforzata.
Cimone era ormai un uomo ricco, grazie al suo patrimonio privato oltreché per i suoi stretti rapporti con Callia l’uomo più dovizioso di
Atene, che aveva sposato sua sorella Elpinice. Valendosi del suo solido patrimonio, Cimone cominciò a conquistarsi partigiani politici
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2 γ. Il Partenone tra architettura e politica
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82
fig. 28 Ricostruzione dell’ Acropoli prima della distruzione persiana, veduta dall’angolo sud- est
2 γ. Il Partenone tra architettura e politica
La minaccia di una plebe oziosa e troppo numerosa fu eliminata inviando coloni a insediarsi in terre straniere che per un motivo o un
altro non potevano opporsi alla loro venuta. Infine, ai rimasti in patria fu assicurata l’occupazione con un ambizioso programma di
lavori pubblici, per i quali l’acquisto dei materiali e il pagamento della manodopera era finanziato dal tesoro statale. A capo della lista
di queste imprese, che davano un incentivo economico ad ogni artista, artigiano e manovale, vi era il nuovo e immensamente costoso
progetto del Partenone, seguito, dopo il suo completamento, da una monumentale porta in marmo che si apriva sull’Acropoli: i famosi
Propilei.
In merito alla colossale opera del Partenone coronata dalla realizzazione della monumentale statua per il culto di Atena, rivestita d’a-
vorio e coperta d’oro, abbiamo un brano sovente citato della Vita di Pericle di Plutarco, che dà l’idea dell’inimmaginabile quantità di
materiali e l’enorme numero di operai specializzati e di artigiani coinvolti:
Furono usati come materiali la pietra, il bronzo, l’avorio, l’oro, l’ebano, il cipresso; furono impiegate le arti che li trattano e lavorano, cioè
falegnami, scultori, fabbri, scalpellini, tintori, modellatori d’oro e d’avorio, pittori, arazzieri, intagliatori, per non dire di coloro che impor-
tarono e trasportarono tutte queste merci: armatori, marinai e piloti in mare, carradori, allevatori, conducenti, cordai, tessitori, cuoiai,
terrazzieri e minatori. Ogni categoria aveva poi schierata sotto di sé, come un generale il proprio corpo d’armata, una folla particolare
di manovali, che erano le membra di cui si serviva per disimpegnare la sua mansione.
Così la complessa opera proseguì fino a quando, nove anni dopo, la statua da venerare venne installata nel nuovo santuario di Atena
sotto la supervisione del suo ideatore, lo scultore Fidia. Intanto il grande tempio che la custodiva si ergeva ormai terminato così come lo
aveva progettato il capo architetto Ictino, con le sue modanature colorate, con i suoi soffitti a cassettone di legno all’interno e di marmo
all’esterno, le sue alte e ornate porte pieghevoli e le grate di bronzo dorato.
In tutta questa impresa entusiasmante, resa possibile da una prodiga distribuzione della ricchezza imperiale, poca gloria ebbe l’ar-
chitetto Callicrate, a cui era stata affidata la costruzione del vecchio tempio, spodestato probabilmente da Pericle a causa dell’anta-
gonismo politico, piuttosto che dall’animosità personale, in ossequio al suo veto a tutte le attività «cimoniane» sull’Acropoli. Dopo la
morte di Cimone e la successione di Pericle al potere politico, Callicrate venne rimosso dalla carica di architetto responsabile di ogni
costruzione sull’Acropoli.
Se prestiamo fede ai sarcastici versi del contemporaneo poeta comico Cratino, citato da Plutarco, emergerebbe che, invece di facilitare
il compito di Callicrate, Pericle fece il possibile per ostacolarlo. Si ritiene che a causa dello stesso Pericle venne temporaneamente so-
spesa la costruzione del tempietto di Atena Nike, sempre su progetto di Callicrate, a riconoscimento dei successi militari di Cimone e
di quelli diplomatici di Callia, che sarebbe inevitabilmente diventato un perpetuo memoriale all’eterno nemico politico, un memoriale
che Pericle non avrebbe facilmente tollerato. E così avvenne anche con l’iniziativa di Cimone per il tempio di Atena sulla cima dell’A-
cropoli; Pericle la sostituì con un progetto più grandioso, da eseguire sotto la supervisione di un capo costruttore scelto da lui stesso:
Ictino.
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fig. 29 Planimetria generale del progetto di F. Schinkel, 1834
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2 δ. Il Partenone nel futuro
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2 δ. Il Partenone nel futuro
ro del Partenone, che comprende l’anastilosi del colonnato nord e di una parte di quello sud, l’anastilosi parziale del pronao della parte
ovest, del frontone est (1921-1933).
Anche nel dopoguerra i lavori sull’Acropoli sono piuttosto limitati. L’intervento più significativo fu quello che interessa l’ala sud-ovest
dei Propilei (1947-1957) diretto da Anastasios Orlandos, fondatore dello studio della storia dell’architettura in Grecia, durante il quale
si corressero gli errori dei restauri precedenti. Sotto la sua direzione si effettuarono lavori di manutenzione, dal 1960 al 1964, sui muri
della cella, sulla pavimentazione e sul basamento del Partenone.
Negli anni ‘40 cominciò ad apparire tragicamente evidente l’influenza catastrofica del ferro così largamente impiegato negli interventi
di Balanos. Lo sviluppo gigantesco di Atene e la sua trasformazione in metropoli moderna, il raggruppamento di grandi complessi
industriali nella pianura attica, determinarono l’aumento dell’inquinamento atmosferico che favorì il processo di ossidazione del ferro.
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2 δ. Il Partenone nel futuro
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2 δ. Il Partenone nel futuro
I lavori di restauro del Partenone sono ancora oggi in corso e a differenza dei restauri precedenti, che avevano come unico obiettivo
quello di rimediare ai danni senza pensare troppo alle conseguenze in modo da prolungare lo sfruttamento dell’edificio alle funzioni
più varie, mirano alla conservazione e alla valorizzazione del monumento in modo da lasciarne testimonianza anche alle generazioni
che verranno.
Il metodo è rigorosamente scientifico, i principi da seguire ben delineati. Le nuove integrazioni sono eseguite partendo da calchi delle
parti mancanti riprodotte in parte da sofisticate macchine a controllo numerico e in parte, quasi come un tempo, dal meticoloso lavoro
artigianale di scalpellini.
93
CAPITOLO3
INDICE DELLE FIGURE
fig. 1 Nella pagina a fianco: Leo Von Klenze, Veduta ideale di Atene, 1846
fig. 2 Ritratto di Leo von Klenze
fig. 3 Nella pagina a fianco: P. von Hess, Ricevimento del re Otto di Grecia ad Atene, 1834-1839
fig. 4 Ritratto di Ludwig Ross
fig. 5 Frontespizio del libro: Die Akropolis von Athen di L. Ross; E. Schaubert; C. Hansen. Berlino,
1839
fig. 6 Propilei, veduta prima della demolizione della torre franca nel 1876
fig. 7 L. Ross, Tempio di Atena Nike
fig. 8 Porta di Beulè, 1854
fig. 9 Intervento di Pittakis, ricostruzione del muro nord della cella del Partenone (fotografia di
Balanos)
fig. 10 Dodwell, Loggia delle Cariatidi (si può osservare la sostituzione da parte di Lusieri, a segui-
to di Lord Elgin il quale fece sostituire la seconda Cariatide con un pilastro in mattoni
fig. 11 I Propilei prima del 1890
fig. 12 Planimetria generale con il Museo a sud est (Boetticher 1888)
fig. 13 Nella pagina a fianco: Petros Moraites, I Propilei e l’ Eretteo, 1870
fig. 14 Efebo di Kritios, (Il torso è stato trovato nel 1865 durante gli scavi per gettare le fondamen-
ta del Museo: la testa 23 anni più tardi, tra il Museo e la parete parete sud dell’ Acropoli.
fig. 15 Ritrovamenti scultorei nella Perserschutt (colmata persiana: in primo piano il Moscopho-
ros e il torso dell’ Efebo di Kritios, alcuni frammenti di Korai)
fig. 17 Restauro del Partenone, progetto di N. Balanos, impalcature nell’angolo sud-est
fig. 18 Loggia delle Cariatidi dopo la ricostruzione di Balanos, 1908
fig. 19 Trasferimento delle Cariatidi al Museo dell’ Acropoli
fig. 20 -21 Percorsi: prima e dopo l’intervento di restauro
fig. 22 Equipaggiamento per il restauro della Commissione per la Conservazione dei monumenti
sull’ Acropoli
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96
3 α. La nascita dello Stato Greco e l’interesse per la
tutela dei monumenti nazionali.
La nascita dello Stato greco e l’interesse per la tutela dei monumenti nazionali
La fine della Guerra d’indipendenza greca lasciò Atene completamente in rovina e la maggior parte dei suoi monumenti antichi
distrutti.
L’accampamento turco che si era insediato sull’Acropoli, con le case e i giardini che possiamo vedere nelle rappresentazioni del XVIII
e XIX secolo, erano stati ridotti in un mucchio di rovine nel mezzo del quale spiccavano il Partenone, l’Eretteo e i Propilei che avevano
tutti subito di gravi danni durante i due assedi dell’Acropoli.
Il riconoscimento dell’indipendenza dello Stato Greco dal Protocollo di Londra nel 1830 fu un punto di riferimento nella storia dei mo-
numenti antichi.
Il nuovo Stato era culturalmente orientato verso una mentalità occidentale, considerato erede dello spirito ellenico e al contempo at-
trattore per la diaspora intellettuale greca. Infatti fu solo dopo che la nuova forza politica entrò nella corrente di pensiero europeo che
per la prima volta vennero fatti diversi sforzi per proteggere e mettere in mostra l’enorme patrimonio archeologico.
Dalla metà del XVIII secolo l’Europa ha sviluppato un interesse nelle antichità classiche, un coinvolgimento suscitato dalle prime pub-
blicazioni scientifiche dei monumenti greci, dai grandi ritrovamenti nell’Italia meridionale e dalla creazione di collezioni archeologiche
che furono per la prima volta aperte al pubblico.
J. J. Winckelmann, fedele alle idee dell’Illuminismo, introdusse il primo trattato sullo sviluppo dell’arte antica, fondando così la scienza
dell’Archeologia. Winckelmann proclamò l’incomparabile perfezione della bellezza classica e chiese ai suoi contemporanei di inve-
stigare e imitare l’arte greca. Osservare così le opere d’arte da un punto di vista illuministico e critico portò alla considerazione delle
creazioni artistiche allora contemporanee come separate dalle opere d’arte del passato; questo a sua volta rese le persone consapevoli
della necessità di preservare i materiali antichi.
Gli sforzi per iniziarono n generalmente usando solo i materiali antichi rinvenuti con l’idea di ripristinarne la loro originaria bellezza.
Il movimento ‘classicheggiante’ fu importato in Grecia dai tanti architetti e archeologi che arrivarono ad Atene, la nuova capitale dello
Stato greco, durante il periodo della Reggenza, in particolare nei primi anni del Regno di Ottone di Wittelsbach, principe ereditario di
Baviera eletto nel 1832.
Molti di loro contribuirono a costruire la nuova città in stile neoclassico; offrirono il loro talento all’appena fondato Servizio Archeolo-
gico e si dedicarono alla ricerca scientifica e allo sviluppo dei metodi di esibizione dei monumenti antichi, in particolare le splendide
rovine dell’Acropoli.
CAP. 3
GLI INTERVENTI SULL’ ACROPOLI
Cristopher Neezer 97
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3 β. Leo Von Klenze: il memorandum.
Dal giugno al settembre del 1834 Leo Von Klenze (1784-1864), il famoso architetto alla corte di Monaco di Baviera, visitò Atene e il suo
breve soggiorno incise molto sugli sviluppi delle vicende dei monumenti dell’Acropoli.
Le proposte che egli enunciò nel memorandum si possono riassumere tramite questi assunti:
1. Rimuovere le fortificazioni che non presentavano interesse archeologico, strutturale, artistico, specialmente quelle che mostravano
un imminente pericolo di crollo, come ad esempio le fortificazioni collocate di fronte ai Propilei.
2. Ripulire e ricostruire il Partenone, continuare gli scavi nell’area del tempio per un’ estensione di 20 piedi e riordinare i reperti ritrovati.
Ricollocare le sculture sia nella moschea costruita all’interno del Partenone che nel Theseion.
Conservare i blocchi architettonici che potevano essere utilizzati per la ricostruzione nei pressi del tempio. I frammenti che invece non
apparivano funzonali a tale scopo ma che presentavano un loro intrinseco valore artistico dovevano essere raggruppati in pile di mar-
mo per trasmettere una sorta di immagine pittoresca della rovina.
Il risultante materiale architettonico che giaceva a terra doveva essere rimosso dall’Acropoli e venduto come meteriale da costruzione.
3. La ricostruzione del Partenone doveva iniziare sul lato a Nord il quale risultava più visibile dalla città e dal Palazzo. Bisognava riutiliz-
zare dapprima i rocchi di colonna originali ed eventualmente, dove essi mancavano, avrebbero dovuto essere sostituiti tramite l’utilizzo
di nuovi rocchi in marmo con il presupposto di mostrarli nella loro originalità e cioè senza alcun tentativo di camuffare la provenienza
contemporanea del materiale.
Laddove metope, triglifi e architravi fossero stati rinvenuti sarebbe stato neccessario riposizionarli sopra alle colonne in modo da pre-
servarne il carattere pittoresco.
Il modus operandi avrebbe dovuto essere lo stesso nell’ intero edificio: procedendo per anastilosi anche per le murature della cella, in
quanto alcuni dei blocchi originari erano a portata di mano.
Sul lato Sud le colonne macanti avrebbero dovuto essere escluse senza compromettere però la visione d’insieme.
La scala a chiocciola appartenente alla chiesa cristiana doveva essere demolita e rimpiazzata nel caso in cui fosse stato necessario un
mezzo di accesso alla sovrastruttura, con una scala leggera collocata all’interno dell’edificio.
4. Dopo la ricostruzione del Partenone l’area a Est dello stesso, dove sarebbe stato costruito in seguito il museo dell’ Acropoli, avrebbe
fig. 2 Ritratto di Leo von Klenze dovuto essere interamente sgomberata dalle rovine.
Stessa sorte sarebbe toccata all’ Eretteo e ai Propilei, i quali avrebbero dovuto essere ricostruiti come parte del Partenone.
Il livello originario del terreno sarebbe dovuto rimanere intatto, così come le rovine dei muri di contenimento, le basi e le fondazioni.
fig. 1 Nella pagina a fianco:
Leo Von Klenze, Veduta ideale di Atene, 1846
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100
3 γ. Ludwig Ross:
la scoperta della sottostruttura del Par-
tenone e del Tempio di Atena Nike.
Leo von Klenze non solo stese un programma per gli scavi e le ricostruzioni, ma concepì e curò un piano per rimuovere il presidio mi-
litare dall’Acropoli che da quel momento iniziava a manifestare i caratteri di un sito archeologico.
L’ architetto bavarese affidò la supervisione dei lavori al giovane archeologo Ludwig Ross, il quale insieme all’architetto Stamatios Kle-
anthis e ad Eduard Schaubert ricavò un budget per 3 anni di lavori sull’Acropoli.
Von Klenze studiò inoltre l’architettura del Partenone e condusse piccoli scavi sul lato settentrionale del Partenone e dei Propilei.
Il 10 Settembre 1834, prima che Klenze lasciasse Atene, fu organizzata una cerimonia sull’Acropoli e in quell’ occasione il ripristino di un
fusto di colonna nel punto originario diede inizio all’inaugurazione della campagna di restauro. Il re Otto si sedette all’interno del Par-
tenone sopra ad un trono decorato con rami di ulivo, mirto e alloro; la sua presenza e lo splendore della cerimonia espresse il desiderio
dello stato di proteggere e mostrare i monumenti che si identificavano con la rinascita dell’ intera nazione.
Il patrocinio di Leo Von Klenze riflettè lo spirito di ammirazione per l’antichità che caratterizzò tutte le operazioni intraprese sull’Acro-
poli nel XIX secolo:
“tutte le vestigia delle barbarie devono essere estirpate dall’Acropoli e da tutta la Grecia e i resti del glorioso passato potranno brillare con un
nuovo splendore come solida base per un presente e un futuro glorioso.”
Ludwig Ross: la scoperta della sottostruttura del Partenone e del Tempio di Atena Nike.
Verso la fine del Dicembre 1834 iniziarono i lavori di restauro sull’ Acropoli, sotto la direzione di Ludwig Ross, Gustav Eduard Schaubert
e Christian Hansen, il quale sostituì l’architetto greco Stamatios Kleanthis.
Ross decise che il suo primo compito avrebbe dovuto essere quello di rintracciare i resti del tempio distrutto dai persiani.
Dall’inizio del gennaio 1835, ottanta operai lavorarono costantemente alla rimozione dei riempimenti attorno al Partenone e nei pressi
della piattaforma del tempio dove, oltre a numerose sculture e iscrizioni, nel 1835-1836, fu portata alla luce l’ immensa sottostruttura
prima ancora che venissero condotti studi dettagliati sul tempio pericleo e sulle sue origini.
Chiaramente i risultati degli scavi furonono sorprendenti: non solo si scoprì che il Partenone Pericleo giaceva su questa sottostruttura
enorme, ma diventò presto evidente che tale opera era stata costruita per un tempio diverso.
La sagoma regolare della piattaforma in poros non coincideva, infatti, sia in dimensioni che in posizione, con quella del Partenone di
fig. 4 Ritratto di Ludwig Ross Pericle.
Intanto, la demolizione dei bastioni turchi di fronte ai Propilei permise di scoprire molte parti architettoniche appartenenti all’edificio,
fig. 3 Nella pagina a fianco: iscrizioni, e molti gradini della scalinata romana posta a sud- est.
P. von Hess, Ricevimento del re Otto di Grecia ad Atene, 1834-1839
101
fig. 5 Frontespizio del libro: Die Akropolis von Athen di L. Ross; E. fig. 6 Propilei, veduta prima della demolizione della torre franca nel 1876
Schaubert; C. Hansen. Berlino, 1839
102
3 δ. Kyriakos Pittakis:
la rimozione del layer medioevale e i pri-
mi interventi di restauro.
Ma tutte le attenzioni erano incentrate sul lato sud del bastione che era stato costruito con il marmo del Tempio di Atena Nike quando
i veneziani stavano assediando l’Acropoli nel 1687.
I ritrovamenti superarono di gran lunga le aspettative e consentirono una ricostruzione parziale del tempio ionico.
Ross scrive quanto segue:
«Dopo che iniziammo a demolire il bastione nei primi giorni dell’ Aprile 1835 ci ritrovammo proprio al di sopra dei resti del Tempio di Athena
Nike sul lato est e per questo motivo tale porzione fu rinvenuta per prima. Allo stesso tempo raggiungemmo le fondazioni del tempio all’estre-
mità sud del bastione; trovammo 3 gradini, l’intero podio della cella e due basi di colonne dell’angolo sud est, una delle quali con una parte
del fusto ancora nel punto originario: e ora c’è ragione di sperare che questa meravigliosa parte di architettura possa essere parzialmente
ricostruita.»
Di conseguenza i lavori proseguirono e nel mese di luglio del 1835 si ebbero quasi tutti i resti del Tempio raggruppati nell’area di fronte
ai Propilei ad eccezione di alcune parti che sembravano mancare completamente ma che al contempo erano facilmente comprensibili
per quanto riguardava la collacazione.
La ricostruzione del Tempio ebbe inizio nel dicembre dello stesso anno e terminò nel maggio successivo.
Per la costruzione delle nuove colonne venne utilizzato marmo pentelico, che fu quindi inserito nei tre fusti rotti e in una nuova base.
Per i nuovi blocchi utilizzati per sostituire o completare quelli della cella venne invece scelta la roccia calcarea.
Il lato nord e quello est furono ricostruiti all’altezza dell’architrave e gli altri due lati restanti rimasero completi per metà.
Il Tempietto di Atena Nike fu il primo monumento classico in grecia ad essere completamente ricostruito.
Nel 1835 Ross lavorò anche all’Eretteo, dove scavò il portico nord. Dal luglio 1836, dopo che Ross rassegnò le sue dimissioni, Kyriakos
Pittakis divenne ufficialmente direttore delle operazioni sull’Acropoli secondo un decreto reale.
104
3 δ. Kyriakos Pittakis:
la rimozione del layer medioevale e i pri-
mi interventi di restauro.
T
proposito degli scavi 1856-60:
« utte le strutture posteriori sono state rimosse, ci
sono stati ritrovamenti importanti e sostanzialmente
tutta la parte centrale dell’Acropoli è stata scavata
fino al raggiungimento della quota della roccia.»
Pittakis effettuò inoltre progetti di conservazione e ampie ricostruzioni: dal 1837al 1840 nell’ area adiacente l’ Eretteo vennero ricostru-
ite alcune parti delle mura sud e nord, le colonne del portico nord e dell’angolo sud-est vennero consolidate; la Cariatide n.5 che era
stata riparata da Imhof fu riposizionata.
Nel 1842-1845, insieme a Rizos-Rangabè, fu redatto un progetto di ricostruzione del Partenone: alcune colonne dei colonnati nord e
sud furono ricostruite e 158 blocchi che giacevano attorno al tempio furono ricollocati nel muro sud dell’edificio interno.
I resti della Moschea, costruita all’interno del Partenone nel XVII secolo, furono rimossi.
Nel 1834-1844 portarono a termine la ricomposizione del Tempio di Atena Nike completando le mura a ovest e a sud, ricostruendo
la maggior parte delle travi a vista e il soffitto cassettonato di entrambi i portici; inoltre il pavimento fu reso impermeabile e tutti i
monumenti vennero recintati.
Nel 1850 venne restaurata una parte della rampa di risalita principale dei Propilei accanto al Tempio di Atena Nike, seguendo un piano
redatto dall’Architetto francese Desbuisson.
Nel 1854 venne ripristinato il crepidoma della Pinakotheke.
Nella ricostruzione degli edifici Pittakis riutilizzò semplicemente i blocchi che giacevano a terra in modo azzardato, senza preoccuparsi
di stabilire l’esatta posizione originaria di ciascuno di essi. Usò fissaggi in ferro e riempì gli spazi vuoti tra i blocchi con mattoni ordinari,
rinforzò le colonne con pesanti anelli in ferro.
La preoccupazione principale dell’architetto durante questi anni intensi di lavoro sull’ Acropoli fu la salvaguardia dei materiali che
giacevano sul terreno attorno ai monumenti e l’archiviazione dei reperti ritrovati negli scavi.
fig. 9 Intervento di Pittakis, ricostruzione del muro nord della
cella del Partenone (fotografia di Balanos) 105
fig. 10 Dodwell, Loggia delle Cariatidi (si può osservare la sostituzione da parte di Lusieri, a seguito di Lord Elgin il quale fece sostituire la seconda Cariatide con un pilastro in
mattoni)
106
3 ε. La scoperta della porta di Beulè; la
demolizione della Torre Franca e la co-
struzione del Museo.
Infatti, a partire dal 1833 Pittakis iniziò la creazione della prima collezione di reperti archeologici nei Propilei. Durante gli anni se-
guenti continuò a collezionare frammenti di architetture e sculture che aveva conservato appartenenti ai quattro edifici classici e alle
strutture successive che ancora si trovavano sull’Acropoli.
Pittakis e il suo lavoro in generale, non solo quello riguardante i monumenti dell’Acropoli, fu oggetto di innumerevoli critiche: perfino
il suo collaboratore, A. Rizos-Rangabè lo accusò successivamente di essere grossolano e poco metodico.
Queste critiche provenivano dagli ambienti colti, dalle classi istruite in diretto contatto con l’Europa , specchio del conflitto che sorse in
Grecia, sotto al regno del Re Otto (1833-1863) tra gli Occidentali e i greci.
Giudicati al giorno d’oggi i criteri dell’operato di Pittakis sull’Acropoli sono senza dubbio molto lontani da qualsiasi procedura scien-
tifica, ma i suoi sforzi nel raccogliere e salvaguardare il materiale antico ampliamente disseminato sull’altura, rimarrà per sempre un
contributo prezioso.
Grazie allo zelo quasi fanatico di Pittakis una quantità di antichità che in altro modo sarebbero irreparabilmente andate perse sono
state salvate e tramandate di generazione in generazione per studi e ricerche. Anche nelle ricostruzioni in alcuni casi egli anticipò le
pratiche moderne, se si pensa che intervenì prima che venissero concepiti i principi originari del Restauro contemporaneo.
Per esempio, rispettò il materiale originario unendo tra loro i frammenti e molte parti delle sue ricostruzioni erano fornite di iscrizione
con la data del lavoro.
La scoperta della porta di Beulè, la demolizione della Torre Franca e la costruzione del Museo.
Al tempo di Pittakis archeologi francesi e architetti, molti dei quali Pensionnaires dell’Accademia francese a Roma, (Prix de Rome), sta-
vano investigando, scavando e ricostruendo i monumenti dell’Acropoli.
Nel 1846-1847 l’architetto A. Paccard ristrutturò il portico delle cariatidi con l’aiuto dei contributi francesi; posizionò delle colonne a
sostituzione di antiestetiche murature e puntelli di sostegno tra le Cariatidi, che fino a quel momento avevano sostenuto la sovrastrut-
tura, la Cariatide n. 6 venne ristrutturata dall’archeologo Andreoli e ricollocata nel punto originario.
La Cariatide conservata al British Museum fu rimpiazzata da una di terracotta; il podio e l’architrave furono grossolanamente riparati
con nuovi blocchi in modo dannoso per la struttura antica.
Nel 1852-53 l’Archeologo E. Beulè scavò a ovest dei Propilei. Al termine delle sue ricerche che consentirono la scoperta dell’ultima por-
ta, che è oggi conosciuta con il nome dell’ archeologo che la scoprì, la maggior parte delle fortificazioni successive sull’ingresso ovest
dell’Acropoli erano state cancellate.
Nel 1862 l’Archeologo tedesco C. Botticher stava lavorando sull’Acropoli. Rimosse i resti dell’abside della chiesa dalla cella del Parte-
none e scavò attorno all’Eretteo, andando sotto al livello della roccia e trovando blocchi archeologici, frammenti di fregi dell’Eretteo e
iscrizioni.
I due interventi più importanti sull’Acropoli tra il 1870 e il 1885 riguardavano il consolidamento del Partenone e la demolizione della
Torre Franca.
Nel 1870-1872 i seguenti lavori vennero svolti sul Partenone sotto la supervisione di P.Eustratiadis, General Ephor of Antiquities: l’archi-
trave della porta occidentale e i blocchi superiori furono rinforzati mediante tondini di ferro, un arco di mattoni e muratura grezza di
pietre e mattoni; l’italiano Martinelli si occupò del restauro dei fregi occidentali in situ.
Nel 1875 H. Schliemann stanziò i fondi con cui demolire la Torre Franca. «...che stava nascondendo la parte ovest dei Propilei e guastava
l’armonia dell’intera Acropoli.»
Quest’impresa fu animata da uno spirito purificatore che è andato ben oltre le proposte di Von Klenze secondo le quali la torre doveva
essere conservata come una pittoresca traccia delle fortificazioni medioevali dell’Acropoli.
La demolizione della Torre suscitò accese polemiche nei salotti ateniesi più colti. Nella seconda metà del XIX secolo in Grecia era emersa
una tendenza verso l’apprezzamento del passato medioevale come un collegamento inalienabile della continuità storica della nazione
e questo ha portato a prendere una posizione contro l’annientamento degli ultimi resti medioevali sull’Acropoli.
Tra il 1875 e il 1885 ci furono piccoli scavi ed esplorazioni, il più importante dei quali furono le ricerche di R. Bohn dei Propilei e del
Tempio di Athena Nike nel 1880 e uno scavo nell’area tra il museo e il lato Est del Partenone iniziato dall’Archaeological Society nel
1882 e interrotto l’anno seguente.
Questi preludevano agli scavi finali dell’Acropoli nel 1885-1890 che hanno prodotto reperti sorprendenti e inaspettati.
edifici devono essere liberati da qualsiasi superfetazione. Kavvadias portò avanti fermamente questo programma senza interruzioni
fino al 1890.
Nel 1886 l’intera area dai Propilei all’Eretteo fu scavata: fuono molti i ritrovamenti di figurine di terracotta, ceramiche, sculture, iscrizioni.
Nel 1888 fu effettuato uno scavo al di sotto del pavimento del nuovo Museo dove venne ritrovata la continuazione del circuito delle
Mura Micenee.
L’operazione di scavo più importante fu condotta nell’area tra l’angolo sud Est del Partenone e l’angolo Sud-ovest del Museo, dove
venne alla luce il “poros layer”, con le sue grandi quantità di sculture e architettura di roccia calcarea porosa.
Gli scavi procedettero nell’area tra il Partenone e le Mura Sud dell’Acropoli, raggiungendo una profondità di 10-14 metri, rivelando i 22
corsi appartenenti alle fondazioni del Vecchio Partenone nel lato Sud, successivamente su quello ovest le fondazioni della Chalkotheke.
Nel 1889 gli scavi continuarono a ovest lungo le mura sud fino ai Propilei; furono cosi scoperte le fondazioni del Santuario di Artemis
Brauronia. Nello stesso anno l’area centrale fu ripulita; molti frammenti di architetture disseminati a Nord del Partenone vennero or-
dinati; altri scavi furono effettuati nell’ opisthòdomos (ossia lo spazio posto dietro la cella) del Partenone nei punti in cui i solai erano
mancanti al fine di indagare la muratura delle fondazioni del Tempio di Athena Nike.
Agli inizi del 1890 l’area attorno ai Propilei fu ripulita fino alla porta di Beulè dove vennero demoliti anche gli ultimi resti appartenente
all’epoca dell’impero Ottomano.
Nel Febbraio 1890 gli scavi sull’Acropoli terminarono. Pieno di orgoglio Kavvadias annunciò nell’ Archaiologikon deltion:
“In questa forma finale la Grecia lascia in eredità l’Acropoli al mondo civilizzato - una testomonianza del genio greco, un monumento
venerabile finalmente ripulito di tutti i resti barbari, un archivio unico di squisite opere d’arte del mondo antico, uno stimolo costante
per tutti i popoli civilizzati a lavorare insieme in amicizia che li indirizza al nobile compito di promuovere studi archeologici.”
Gli obiettivi degli scavi erano stati raggiunti con successo. I magnifici ritrovamenti magnifici arricchirono il Musei dell’Acropoli e il Mu-
seo Nazionale e stimolarono la ricerca non solo sull’Acropoli ma di tutta l’Arte antica.
Dal 1902-1909 Balanos portò a termine una cospicua operazione sull’Eretteo: nel Portico Nord, tutti gli architravi, un parte di fregio e i
cornicioni vennero rimessi a posto e il tetto fu ricostruito; sul lato ovest fu ripristinata la trabeazione. Inoltre venne eretto nuovamente
il muro a sud e furono corretti gli interventi maldestri di Paccard nel portico delle Cariatidi, dove sia le statue che il soffitto cassettonato
furono interessati da un intervento conservativo.
Dal 1909 al 1917 Balanos lavorò sui Propilei. Furono ripristinati gli architravi del portico est, fu ricostruito l’angolo nord-est e la parte
nord del soffitto a cassettoni. Nel passaggio principale centrale la colonna sud.est in stile ionico fu ricostruita così come il corso supe-
riore del muro della porta che gli ha permesso di ricostruire l’angolo sud est del soffitto.
Nel 1921 Balanos propose la ricostruzione del colonnato Nord del Partenone completo di trabeazione, usando i materiali antichi che
giacevano a terra attorno al tempio con l’aggiunta, laddove si rendesse necassaria, di nuovi rocchi di colonna con un nucleo di cemento
rivestito da pietra calcarea porosa.
Questa proposta diede adito a molte discussioni tra archeologi e architetti, non solo in Grecia ma anche all’estero. Le reazioni variavano
da un rifiuto totale della proposta sulla base di criteri estetici e storici , all’accettazione della stessa con riserve e osseravazioni riguar-
danti la necessità di una completa documentazione prima delle operazioni in modo che fosse prima possibile determinare la posizione
corretta dei frammenti, e dubbi sul quanto restaurare e quali materili fossero da utilizzare.
Alla fine la proposta di Balanos fu accettata.
I lavori iniziarono nel 1923 e nel 1933 i lavori vennero terminati: l’intero colonnato nord e una parte del colonnato Sud fu ricostruito
e restaurato; vennero effettuate riparazioni sul frontone e sul portico a est: l’arco inserito all’ingresso ovest nel 1872 venne rimosso e
fu rimpiazzato da un architrave in cemento rinforzato; durante le operazioni dirette da Pittakis- Rangabè le mura interne a nord e sud
furono completate con mattoni ora rimossi.
113
fig. 17 Restauro del Partenone, progetto di N. Balanos, impalcature nell’angolo sud-est
114
3 ζ. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau
Balanos e il recupero dell’Antico splendo-
re dell’Acropoli.
Ad eccezione del colonnato, Balanos usò il marmo Pentelico per ricomporre i blocchi antichi e per quelli completamente ristrutturati.
Usò staffe in ferro sia per tenere insieme i frammenti antichi, sia per attaccare i nuovi frammenti marmorei a quelli antichi; i morsetti
di ferro, sia crudamente rivestiti in piombo che non rivestiti affatto, sono stati coperti con malta cementizia. In molti casi sono state
incorporate travi di ferro spesse e molto lunghe nei blocchi antichi per motivi statici.
Bisogna sempre ricordare che Balanos stava lavorando in un momento in cui era sorto in Europa un nuovo dibattito sui problemi del
restauro dei monumenti.
Agli inizi del 1883 infatti, C.Boito, ingeniere italiano, formulò i primi principi scientifici e giudiziosi sulla conservazione dei monumenti.
Egli sosteneva che il rispetto per il carattere storio di un monumento richiedeva che questo non fosse alterato.
Interventi di conservazione e restauro sono necessari, a differenza della ricostruzione che deve essere fatta solo in casi estremi e usan-
do meno aggiunte possibili. Laddove debbano essere aggiunti dei materiali nuovi, questi devono essere resi ben distinguibili da quelli
originali.
Qualsiasi fase delle operazioni di restauro deve errere scritta e al termine dei lavori dovrebbe esserci una pubblicazione scientifica.
Queste tesi, successivamente ampliate e elaborate in base alle nuove scoperte, sarebbero diventate poi le basi della Carta di Atene del
1931, il primo documento internazionale ufficiale, valido sul restauro.
Questi nuovi concetti, si rifletterono nelle discussioni e negli scontri che precedettero i due progetti di ricostruzione del Partenone e
obbligarono N. Balanos- insieme a P. Kavvadias e all’Architetto Tedesco W.Dorpfeld (che al tempo era per eccellenza il maggior investi-
gatore sui monumenti dell’Acropoli)- a formulare, e alla fine teorizzare, le linee guida prima di iniziare l’Anastilosi.
Per la prima volta questa operazione fu effettuata in Grecia e le linee guida riportavano: “collezionare i blocchi che si erano preservati,
riparare gli stessi in modo da poterli riposizionare”. Il materiale nuovo doveva essere utilizzato solo dove strettamente necessario.
Balanos, tuttavia spesso non praticava ciò che aveva proclamato.
Consapevole di continuare l’opera del Classicismo del XIX secolo, e: «volendo fornire un’immagine più completa dei monumenti come
se avessero subito meno devastazione e esaltandoli recuperando una parte del loro antico splendore», procedette ricostruendo una
grande parte degli edifici usando il materiale antico a disposizione ma senza affrontare il problema di dove questo fosse collocato
originariamente. Inoltre mise insieme blocchi architettonici (capitelli e soffitti a cassettoni in particolare) unendo antichi frammenti di
provenienza sconosciuta. Non esitò mai nel tagliare frammenti antichi per ottenere superfici piatte per unirli con la forza, dimostrando
così un’indifferenza per l’architettura antica, che ha avuto conseguenze disastrose.
Antichi blocchi architettonici furono ulteriormente segnati da tagli profondi che devastarono una grande quantità di marmi antichi a
causa dell’ inserimento dei morsetti di ferro e di travi.
116
3 η. La seconda ricostruzione del Tempio di Atena Nike e il
restauro del restauro.
Balanos tuttavia non può essere incolpato ulteriormente per l’utilizzo di cemento armato, utilizzato per il consolidamento di ampie
fasce dei monumenti e per la creazione di nuovi sistemi di supporto; l’ingegnere, che si laurò alla famosa Ecole des Ponts et Chaussées,
stava semplicemente seguendo le piu diffuse pratiche contemporanee e applicò la tecnologia del tempo in un modo che era impres-
sionante per il livello di competenza tecnica in Grecia in quel momento.
Alla conferenza internazionale dell’ ICOM tenutasi ad Atene nel 1931 il lavoro di Balanos infatti trovò approvazione e consenso; l’arti-
colo 4 della Carta di Atene, scritto durante la conferenza, proclamava l’affidabilità della nuova tecnica del cemento armato e la fiducia
nella sua efficacia applicata all’ anastilosi.
Orlandos, un pioniere nel campo dell’architettura greca antica, diresse i lavori sull’Acropoli per il ventennio successivo.
Il lavoro seguente venne eseguito sui Propilei sotto la sua supervisione: la ricostruzione dell’ala sud est nel 1947-57 nel corso della qua-
le vennero rimosse alcune tracce della Torre Franca ; la colonna sud-ovest, la vicina anta e il molo centrale furono ricostruiti, nel 1956 la
pietra calcarea (poros) delle fondamenta delle mura della Pinakotheke furono consolidati.
La salita attuale tramite rampa è stata disposto sulla base di reperti recenti di studiosi americani.
Orlandos pianificò per ripristinare il soffitto del porticato ovest del Partenone in marmo. Una proposta ripetutamente presa in esame
dal 1942-1960 e di volta in volta approvata, come nel 1950, quando le travi del soffitto e le ‘casse ‘ vennero intagliate, e ancora nel 1960,
ma non fu mai concretamente realizzata.
A. Orlandos, l’ultimo ad effettuare gli interventi in base a idee puriste, iniziò nel 1953 a demolire la scala a chiocciola di origine cristiana
all’ interno del Partenone, ma questo lavoro fu prontamente arrestato.
117
fig. 20 -21 Percorsi: prima e dopo l’intervento di restauro
118
3 θ. La commissione per la conservazione di monumenti dell’Acropoli.
Nel 1960-1964, al fine di proteggere l’edificio dall’ acqua piovana sigillò le porte laterali della chiesa cristiana e restaurò il pavimento in
marmo e il crepidoma in poros.
Dal 1940 le prime conseguenze disastrose dello sconsiderato uso del ferro nel restauro Balanos erano già divenute evidenti. Nei de-
cenni successivi i monumenti si deteriorarono rapidamente e nuove cause di devastazione si sommarono al problema principale del
ferro arrugginito.
I nuovi problemi erano legati all’insufficienza statica, ai cambiamenti fisici, chimici e biologici nelle superfici in marmo a causa dell’in-
quinamento atmosferico e, non da ultimo, alla protezione antisismica necessaria.
120
3 θ. La commissione per la conservazione di monumenti dell’Acropoli.
Dal 1977 in poi il Partenone è stato sistematicamente studiato e indagato e nel 1983 venne pubblicato uno Studio per il suo restauro.
Dopo essere stato sottoposto alla critica in occasione del Secondo Incontro Internazionale per il Restauro dei Monumenti dell’Acropoli,
tenutosi ad Atene nel Settembre 1983, iniziarono i lavori.
Un cantiere di lavoro con attrezzature moderne è stato installato sul lato sud del Partenone dove i reperti architettonici che apparten-
gono al Partenone, prima sparsi per tutta l’Acropoli, sono stati raccolti.
Lo smantellamento del tempio iniziò presto e l’ intera operazione di salvataggio dell’edificio e di ricostruzione quasi totale grazie alle
aggiunte in marmo nuovo è tutt’oggi in atto.
Ormai quasi conclusi sono anche i lavori per la conservazione e ricostruzione dei Propilei e le tempio di Atena Nike, che hanno richia-
mato maestranze da tutta la Grecia per individuare la posizione originaria dei blocchi che giacevano per l’Acropoli e ricollocarli, con
l’aggiunta dove necessaria, di nuove parti create artigiamalmente e con estrema precisione.
La maggior parte dei lavoratori oggi proviene infatti dalle Isole greche dove c’è una antica tradizione della lavorazione del marmo:
gli artigiani ora continuano il lavoro dei loro antenati, utilizzando gli stessi metodi e gli stessi strumenti per salvare un capolavoro che
appartiene non solo alla Grecia, ma all’intera umanità.
Il lavoro sull’Acropoli ha naturalmente interessato e mosso persone da tutto il mondo. Lo Stato ellenico, essendo ben consapevole del
suo grande impegno nella protezione di questi monumenti unici, ha provveduto all’assegnazione di tutti i fondi necessari per preser-
vare e conservare i monumenti dell’Acropoli anche se già dal 1983 la CEE si è impegnata a coprire la maggior parte delle spese dei
lavori del Partenone.
Da vent’anni a questa parte l’Acropoli da l’impressione di essere ancora un grande cantiere, con i monumenti in parte smontati, impal-
cature in ogni dove, macchine e operai, presentando un quadro forse simile a quello di età Periclea, quando il complesso architettonico
fu creato.
Noi tutti speriamo che in futuro i monumenti dell’Acropoli saranno restaurati e al sicuro, in un clima che avrà riacquistato la sua prece-
dente purezza e traslucenza, qualità strettamente legata al carattere di architettura classica greca.
121
CAPITOLO 4
INDICE DELLE FIGURE fig. 22 (fig. 14 cap. 2) Sezione trasversale all’estremità orientale
fig. 23 Tavola A dal libro di J.A. Bundgaard ‘Parthenon and the Mycenaean city on the heights’
fig.1 Pianta schematica delle sottostrutture del Partenone In linea di massima, la tavola è costituito da copie dei disegni di Kawerau. In alcuni punti sono stati necessari arrangia-
fig 2. Sezione schematica delle sottostrutture del Partenone menti.
fig. 3 Nella pagina a fianco: Dettaglio degli ultimi corsi dello Stereobate Le lastre di pietra no. 20 e la moschea nella cella del Partenone sono tratti da una tavola di L. A. Winstrup del Royal Aca-
fig. 4 Stereobate, lato sud ovest demy di Copenhagen, datato Atene, dicembre 1850.
fig. 5 Wilhelm Doerpfeld Numeri rossi: Kawerau indicano i livelli della superficie della roccia.
fig. 6 William Dinsmoor Numeri sul podio e nel Partenone indicano il numero dei corsi visibili, contati a partire dall’elemento più basso (all’angolo
fig. 7 Sezione trasversale del lato sud del Partenone, strati di riempimento (Ross 1855) sud-est).
fig. 8 Pendice sud dell’ Acropoli (1967) k.l.m.n.o.p. Edificio IV (Ergasterium).
fig. 9 Rocchi di colonna appartenenti al crepidoma del Pre- Partenone, 479 a.C., utilizzati per il rinforzo delle mura nord, i I dati dei conci esistenti da l a m non corrispondono e sono quindi lasciati fuori.
blocchi hanno un diametro di ca. 1.94 e 1.98 m (fotografia M. Korres) q. Parte di una terrazza costruita su piccole pietre.
fig. 10Pianta e prospetto delle Mura sud, sono indicate le parti originali e le aggiunte posteriori. Le linee 1-12 indicano il r. Il contrafforte può indicare una sosta temporanea nella costruzione di K3.
posizionamento delle sezioni teoriche (nella pagina precedente) (M. Korres) fig. 24 Ricostruzione dei paramenti murari situati nella parte orientale dell’ Acropoli, tra le Mura sud e il podio del Parte-
fig. 11 Sezioni teoriche delle Mura sud (viste da ovest) (M. Korres) none; da ‘The excavations of Athenian Acropolis’, J. A. Bumdgaard, Copenhagen 1974
fig. 12 Piante e prospetto dei restauri effettuati sulle Mura sud. Le frecce indicano le ipotetiche corsie di trasporto delle fig. 25 Sezione trasversale est- ovest della collina dell’Acropoli, sono indicati i materiali di riempimento.
pietre (M. Korres) fig. 26 Tamburo e concio di colonna a guisa di argine per i movimento del terreno
fig. 13 Sezione degli Scavi 1885- 1890
fig. 14 Pianta dell’ acropoli dopo gli scavi del 1885- 1890. Da: P. Kavvadias e G. Kawerau, Die Ausgrabung der Akropolis
vom Jahre 1885 bis zum jahre 1890
fig. 15 Pianta con il posizionamento teorico del Donario Attalide lungo le mura a sud (E. Dintino su una pianta di M. Korres)
fig. 16 Ricostruzione della visibilità del complesso statuario attalide dalla città. Il parapetto è stato ripristinato mediante
l’aggiunta di due corsi o di due corsi e un elemento di finitura. (M. Korres)
fig. 17 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedistalli posizionati al centro della sommità delle Mura
sud (M. Korres)
fig. 18 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedistalli posizionati a ridosso del parapetto delle Mura
sud (M. Korres)
fig. 19 Angolo sud-est delle Mura di cinta dell’Acropoli, è possibile osservare i resti dei due laboratori: edificio IV e V
fig. 20 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90 che riproduce il piccolo donario situato sulle Mura sud dell’ Acropoli
fig. 21 Sezioni I; II; III; IIIa; IV; V
Sezioni trasversali del riempimento all’ estremità orientale dell’ Acropoli, tra le mura a sud e il podio del Partenone (Bund-
gaard)
Il tratto dal podio a S2 in II, III, III bis e IV sono state ricavate dai rilievi diretti di Kawerau. Il resto invece è il risultato dello
studio di alcuni schizzi, mancanti di misure precise e
da fotografie contemporanee.
123
124
4α. Lo Stereobate
Lo Stereobate
6
CAP. 3 stereobate
126
4α. Lo Stereobate
Qualche notizia quanto la loro cronologia si poté probabilmente ottenere esaminando la massa di materiale eterogeneo gettato per
colmare il ripido abbassamento del terreno esistente tra l’alta piattaforma del tempio e il muro di fortificazione dell’Acropoli.
Lì infatti fu dissotterrata una grande quantità di materiali di scarto di ogni genere celata dalla superficie attuale. Se si potesse fissare
la data di fabbricazione delle ceramiche si arriverebbe a una stima approssimativa dell’epoca in cui fu effettuato il riempimento. Sfor-
tunatamente, nel periodo in cui l’area fu scavata, sebbene si tenesse un’ampia documentazione di ciò che si trovava man mano che lo
scavo progrediva, non si apprezzava adeguatamente il valore della ceramica come testimonianza, da un lato perché la cronologia della
pittura vascolare attica non era ancora stata fissata con esattezza, e dall’altro perché l’analisi della stratificazione, con la determinazione
dell’ordine degli strati successivi di terra, detriti e manufatti non era ancora diventata la massima preoccupazione della scienza degli
scavi.
Vari anni passarono prima che si facesse un proficuo tentativo per valutare le testimonianze cronologiche venute alla luce in quest’a-
rea. Nel 1902 Wilhelm Dörpfeld pubblicò un articolo intitolato “La data del Partenone più antico”, in cui diede la sua prima ben pon-
derata interpretazione dell’importanza del materiale scavato per la storia del Partenone. I risultati a cui pervenne non furono tuttavia
pienamente conclusivi.
Toccò allora ad un grande specialista di architettura greca, William Bell Dinsmoor, sfruttare l’occasione , in un tentativo eroico e in
gran parte coronato da successo, di ottenere dati cronologici sufficienti per fissare le date entro cui racchiudere la costruzione della
piattaforma del tempio e per ciascuno dei cinque muri nascosti sotto il moderno terrazzamento dell’area. Molte delle conclusioni a
cui giunse lo studioso americano furono stupefacenti. Si è detto che i cinque tratti di muro dissotterrati durante gli scavi sono indica-
ti come «miceneo», «poligonale», «a conci squadrati», «cimoniano» e «pericleo». Il passo successivo della restituzione stratigrafica si
compie tenendo presente i tipi di costruzione dei muri, che variano notevolmente nella tecnica e offrono quindi qualche indizio per
individuarne le epoche e gli scopi relativi.
fig. 5 Wilhelm Doerpfeld
Il muro 1, identificato come miceneo, è un settore dell’antichissima cintura di protezione intorno alla sommità dell’Acropoli. Questa
altura calcarea rappresentava un esempio tipico di roccia micenea dove aveva sede il Wanax, il signore, e sorgevano le dimore che
circondavano il suo palazzo. Se la costruzione del muro di cinta risalga realmente a mille anni prima del Partenone o meno, è cosa
di scarsa importanza. Esso è costituito da un paramento esterno di grossi blocchi calcarei, da un altro interno composto da blocchi di
minori dimensioni e da un riempimento fatto di terra e pietra: la datazione dei frammenti ceramici trovati tra gli interstizi collocano
l’erezione del muro al più tardi al XIII secolo a. C. avanzato.
Poggiato su roccia compatta e costruito con blocchi rozzamente squadrati ma uniti con molta abilità in modo da formare un bastione
dello spessore medio di 4,6 metri, questo muro suppliva in solidità laddove era carente in altezza. Anche per questo, gli invasori persia-
ni trovarono sul lato opposto dell’Acropoli un punto debole, da cui riuscirono ad arrampicarsi sulla rocca saccheggiando e devastando
la cittadella sacra ad Atena. Venne quindi costruito sulla pendice meridionale della collina rocciosa, a una distanza variante fra 15,2 e
30,5 metri dalla piattaforma del tempio, oltre la vecchia cerchia di mura, una nuova e molto più alta struttura di blocchi squadrati di
fig. 6 William Dinsmoor
pietra calcarea, quella cimoniana, sistemati in corsi uniformi a un’altezza media di 12 metri. Essa superava così in altezza la grande piat-
taforma del tempio, anche se, per la sua base posta molto più in basso rispetto al pendio roccioso, non andava oltre il suo undicesimo
corso murario.
Questo divario fu in seguito colmato con l’aggiunta di una cinta muraria ancora più ampia, quella periclea , che portò il muro di fortifi-
fig. 3 Nella pagina a fianco: cazione dell’Acropoli nel lato sud del Partenone quasi a livello con la sommità della piattaforma. Con quest’ultima aggiunta si conclude,
Dettaglio degli ultimi corsi dello Stereobate 127
fig. 7 (fig. 14 cap. 2) Sezione trasversale all’estremità orientale
128
4α. Lo Stereobate
senza riscontrare difficoltà di distinzione o di interpretazione, la stratificazione della cinta muraria dell’Acropoli nella sua parte meridio-
nale, costituita dunque dai muri «miceneo», «cimoniano» e «pericleo».
Ma come spiegare invece l’esistenza dei muri «poligonale» e «a conci squadrati», che di primo acchito non sembrano avere una precisa
utilità o uno scopo comprensibili in quello che potremmo definire il lato oscuro del Partenone? Una traccia è leggibile in un dettaglio
edilizio apparentemente secondario, notato quando i due muri furono messi allo scoperto. In entrambi, solo la faccia esterna, cioè quel-
la lungo il pendio, era stata allineata correttamente e finita. Ciò prova in modo conclusivo che entrambi i muri dovevano servire come
sostegni per trattenere i detriti e i materiali di riempimento (terra, pietrisco o scarti dei muratori), gettati alle loro spalle per formare una
specie di terrazzamento fra i muri stessi e l’alta piattaforma del tempio.
Da tempo si sapeva che la piattaforma sottostante il Partenone posava direttamente sulla roccia originaria. Ciò che non si sapeva è che
le opere murarie della piattaforma non furono ele-
vate usando impalcature sempre più alte , ma invece,
mano a mano che la costruzione progrediva, il livello
del terreno adiacente veniva alzato ammucchiando il
suolo smosso e tutto il materiale di scarto disponi-
bile
(Si tratta dell’area IIa indicata nell’immagine 7, che si incunea nello strato esistente del suolo più antico contrassegnato dal numero
romano I).
Conseguentemente man mano che l’altezza della piattaforma aumentava, il riempimento gettato al suo lato diveniva un terrapieno
sempre più ripido. Al fine di impedire che questo materiale poco compatto fosse portato via dalla pioggia fu eretto il muro di sostegno
con tecnica poligonale (contrassegnato con il numero 2), adoperando cioè dei blocchi di forme diverse tagliati in modo da combaciare
l’uno con l’altro. Come mostra l’immagine 2, il corso di questo muro fu disposto in linea approssimativamente parallela alla piattaforma,
per dar luogo ad una terrazza degradante larga circa 13 metri.
Nell’immagine 1, che riproduce la copia del disegno originale di Dörpfeld eseguita da Dinsmoor, viene fatta distinzione tra lo strato di
riempimento IIb, che forma una terrazza a livello della metà dell’altezza della piattaforma, e uno strato IIc , sovrapposto, che degrada
fino alla cima del muro poligonale.
Dato che la tecnica di costruzione è molto differente, essendo il primo in pietre semipoligonali, i due muri non possono essere stati
eretti in periodi contemporanei. Siccome poi nell’antichità classica la tecnica poligonale era più antiquata rispetto a quella isodoma
con pietre squadrate, e siccome il muro «poligonale» non avrebbe avuto alcuna necessità se già fosse stato eretto quello «a conci», più
alto, possiamo quindi concludere che il «poligonale» lo precedette. Inoltre, se ci fosse già stato il muro «a conci squadrati» a fare da
sostegno lungo una pendice terrazzata costituita con materiale di riempimento, non sarebbe stato costruito il muro «poligonale»; men-
tre, col muro «poligonale» già in sede, la colmata della cinta muraria micenea sarebbe rimasta scoperta e disponibile per l’erezione su
di essa, del muro «a conci». Un ragionamento simile conferma anche la priorità del muro «a conci» rispetto al muro «cimoniano»: l’ere-
zione del muro «a conci» sarebbe stata inutile se il muro esterno dell’Acropoli, immensamente più robusto, fosse già stato al suo posto.
Dopo avere toccato il vecchio muro di cinta dell’Acropoli all’incirca in linea col lato est del Partenone, il muro a pietre squadrate fu fatto
continuare al di sopra di esso lungo il suo bordo esterno, fino al punto in cui si piegava nettamente nell’angolo ovest della piattaforma.
A questo punto il muro «a conci» si divideva dal muro di cinta per seguire un tracciato diverso , a forma di triangolo rettangolo.
129
fig.8 Pendice sud dell’ Acropoli (1967)
130
4β. Le mura a sud
Questi dati fondamentali portarono Dinsmoor alla conclusione che le fondamenta del Partenone si potevano collocare intorno al 495
a. C. a giudicare dall’altezza del materiale di riempimento ammucchiato contro lo stereobate nel II strato, la costruzione dello stesso
fu completata dunque in questa fase iniziale, e l’area adiacente, scoperta, fu rivestita con uno strato di detriti e terra che discendeva
ripida fino al muro di sostegno poligonale, probabilmente lasciando ancora visibili i quattro corsi di pietra più alti della piattaforma.
Ma si ha la prova che era stata iniziata anche la costruzione del tempio vero e proprio, prova visibile nella forma caratteristica del muro
di fortificazione attorno all’Acropoli.
Lì infatti, nel settore nord, non lontano dal punto in cui i Persiani irruppero nella cittadella nel 480 a. C.,e più precisamente subito a
nord dell’Eretteo , costruito nel tardo secolo V, si può scorgere una serie di grossi tamburi di marmo , solidamente incorporati nel lato
esterno del muro. Soprattutto perché si deve scartare la possibilità di qualsiasi collocazione altrove, si ritiene che siano stati trasportati
Questa
nella posizione attuale dalla precedente collocazione sulla piattaforma del Partenone.
conclusione è di importanza vitale per asse-
gnare alcune date storiche all’erezione di uno tra i
più famosi monumenti al mondo. Essa stabilisce infat-
ti che il progetto di un nuovo grande tempio per la
dea protettrice della città di Atene fu iniziato nel
490 a. C. o poco dopo.
Questa conclusione è di importanza vitale per assegnare alcune date storiche all’erezione di uno tra i più famosi monumenti al mondo.
Essa stabilisce infatti che il progetto di un nuovo grande tempio per la dea protettrice della città di Atene fu iniziato nel 490 a. C. o poco
dopo.
Quello fu infatti l’anno della vittoriosa battaglia di Atene contro gli invasori persiani, battaglia nella quale la città greca frustrò il ten-
tativo dei nemici di costruire una testa di ponte nella baia di Maratona. Le osservazioni di Dinsmoor dimostrano che il progetto di un
nuovo tempio per Atena fu una conseguenza della vittoria di Maratona , e che la sua realizzazione iniziò con la costruzione di una piat-
taforma ambiziosamente ampia e alta, per poter erigere il maestoso tempio dedicato ad Atena Poliade nel punto più alto della città.
Le Mura a sud
Costruito dopo il successo conseguito da Cimone nella campagna di Eurimedonte nel 466 a. C., la parete sud ha un tratto orientale
lungo 165 m e uno occidentale lungo 130 metri che si incontrano ad angolo ottuso. Guardando l’esterno, la sua unica parte visibile,
difficilmente si può distinguere la muratura originale dal momento che venne alterata da imponenti contrafforti, spessi rivestimenti e
riparazioni.
Otto stretti contrafforti, sono distribuiti con scansione serrata su una lunghezza di 87 metri; il primo si trova a 15 metri dall’angolo del
muro sud-est, mentre l’ottavo si trova di fronte l’angolo sud-est del Partenone. La loro parte inferiore è stata costruita grazie il riutilizzo
di grosse pietre antiche mentre la parte superiore, caratterizzata da una forte pendenza verso l’interno di macerie.
fig. 9 Rocchi di colonna appartenenti al crepidoma del Pre- Tre ampi contrafforti, a distanza ravvicinata e regolare, sono distribuiti invece su un tratto a sud lungo 65 metri posto quasi esatta-
Partenone, 479 a.C., utilizzati per il rinforzo delle mura nord, i mente di fronte al Partenone. Costituiti da macerie e frammenti marmorei, delimitano porzioni di mura risultati di ampie ricostruzioni,
blocchi hanno un diametro di ca. 1.94 e 1.98 m
(fotografia M. Korres) anch’esse, in macerie murarie. 131
fig. 10 Pianta e prospetto delle Mura sud, sono indicate le parti originali e le aggiunte posteriori. Le linee 1-12 indicano il posizionamento delle sezioni
teoriche (nella pagina precedente) (M. Korres)
fig. 11 Sezioni teoriche delle Mura sud (viste da ovest) (M. Korres)
132
4β. Le mura a sud
Così come rivestimento continuo, costituito di macerie e frammenti di marmo, ricopre per circa 110 metri un tratto di mura che va
dall’angolo sud-ovest del Partenone sino alla fine delle mura verso ovest. Sostituzioni di parti danneggiate del paramento con nuove
porzioni murarie sono frequenti fra e sopra i contrafforti (dove il fronte antico è ancora rintracciabile in alcuni punti) ma si verificano
ripetutamente anche in parentesi murarie di più recente fattura, del tipo [b] e [c]. La più recente aggiunta, effettuata tra il 1936 e il 1944,
consiste in un nuovo rivestimento di malta a imitazione del bugnato applicato principalmente sui muri di tipo [d] tra la fine del muro a
est fino al primo contrafforte, e in misura minore da questo al secondo contrafforte.
Queste aggiunte non solo occludono la vista del muro originario ma ne alterano anche la struttura e ne rendono di difficile compren-
sibile lo sviluppo in pianta.
Nonostante ciò minuziose indagini hanno condotto a risultati soddisfacenti sulla stratigrafia e la composizione delle mura di cinta. Il
rivestimento del muro tra gli stretti contrafforti, di tipo [d] e [e], è nuovo, ma nel complesso il muro mantiene ancora il suo spessore
originale. A partire dagli ampi contrafforti, invece, con l’aggiunta del rivestimento il muro si è inspessito.
Il rivestimento continuo è molto spesso e costituito da un impasto molto forte. Per i suoi primi 40 metri a partire da est, la sua parte
alta sostituisce quasi esattamente la distrutta fila esterna del penultimo corso della parete sud. Tuttavia, internamente, molti blocchi di
quell’assisa posizionati di tesa sono ancora ben conservati; inoltre un taglio insieme ad una serie di fori praticati sulla loro faccia supe-
riore mostrano come il corso successivo fosse costituito da una singola riga di testate. Lungo la sua lunghezza rimanente il rivestimento
Anche
non sempre sostituisce la massa esterna dell’antico muro andata distrutta.
se nella parte inferiore inspessisce il muro
sud considerevolmente, l’antico paramento è riscon-
trabile già ad una profondità di circa 50 centimetri.
In aggiunta a tutte queste malformazioni costrutti-
ve, il muro è stato gravemente distorto dall’enorme
pressione della terra di riempimento dietro di esso,
che lo ha inclinato e fessurato lungo tutta la sua
lunghezza.
Il layout originale del muro, la costruzione e l’ altezza sono state ricostruite grazie alle osservazioni emerse dalle indagini condotte
sulle mura. Come detto precedentemente, il muro si compone di due lunghe sezioni che si incontrano ad angolo ottuso; una sezione
transitoria inserita tra i due tratti, lunga 15 metri, ne attenua leggermente l’unione. Alla fine delle mura, verso est, un’altra smussatura
lunga 13 metri segna il passaggio al muro orientale. Ma maggiori informazioni sono contenute nel lato che per molto tempo è rimasto
nascosto alla vista degli studiosi, il lato interno delle mura sud. Questa faccia è stato portata alla luce e resa accessibile per motivi di
studio in tempi diversi.
Nel 1836, all’estremità meridionale, su scavo di Ludwig Ross, è rivelato un tratto di esso, la cui posizione coincide grosso modo con la
corte d’ingresso dell’attuale museo. Qui si scoprì la parte superiore di un muro che sembrava essere larga circa 6,5 metri.
Tuttavia lo scavo era abbastanza profondo da mostrare che questa larga sommità consisteva in soli sei assise; sotto di essi c’era solo
riempimento di terra in quanto la muratura sottostante doveva avere un’ampiezza decisamente minore. Rimuovere la terra per rag-
giungerne il fronte avrebbe significato compromettere la stabilità dei sei corsi superiori. Vedendolo un decennio più tardi, Penrose lo
interpretò come una piattaforma atta ad accogliere il gruppo Attalide.
Nel 1864 un’altra porzione di questa piattaforma, dalla trincea di Ross verso l’angolo sud-est dell’Acropoli, fu scoperta quando l’area
venne scavata per costruire il nuovo museo. Nel 1888 i restanti 160 m dal museo al Brauroneion sono stati scavati fino al substrato roc 133
fig. 12 Piante e prospetto dei restauri effettuati sulle Mura sud. Le frecce indicano le ipotetiche corsie di trasporto delle pietre (M. Korres)
134
4β. Le mura a sud
cioso. La larga piattaforma si blocca in un punto circa all’altezza di metà del lato sud del Partenone.
La faccia interna della piattaforma, soprattutto la parte sottostante, non poteva essere raggiunta e quindi rimane semisconosciuta.
Inoltre, il lato settentrionale della piattaforma, anche se completamente esposta meritò solo un disegno, una sezione stratigrafica di
un segmento di I7 metri che va dal museo a ovest, vista da nord e rilievo fotografico decisamente ridotto. Un segmento di 20 metri,
immediatamente a ovest del cortile interrato del museo, venne esposto una seconda volta nel 1950 quando vennero costruiti i nuovi
magazzini del museo, ma ancora una volta nessun disegno e nessuna fotografia vennero pubblicati.
La superficie interna del muro sud è stata invece approfonditamente studiata dal termine occidentale della larga piattaforma al Brau-
roneion. Per i primi 45 metri, le condizioni erano molto sfavorevoli per la fotografia.
Kawerau ha registratolo stato di fatto in tre disegni abbozzati in scala 1:100 riferendo qualche informazione riguardo le dimensioni. I
successivi 52 metri, che terminano al santuario di Artemide Brauronia, sono stati rilevati e fotografati solo in maniera approssimativa.
I restanti 45 metri che terminano al Brauroneion, ampiamente scavati, non sono stati indagati oltre e nessuna fotografie o altri disegni
sono stati fatti.
Tuttavia, utilizzando segmenti ancora disponibili per lo studio e le fotografie e rappresentazioni effettuate durante lo scavo del 1888,
la forma e la struttura del muro possono essere visualizzati attraverso disegni di sezione realizzate in più punti lungo la sua lunghezza.
Le principali caratteristiche strutturali emerse sono le seguenti:
_ il muro poggia le proprie fondazioni direttamente sulla roccia.
_ Le sue assise sono perfettamente orizzontali e consistono in blocchi ortogonali in media di 0,5 metri di altezza, 0,65 metri di profon-
dità e 1,3 metri di lunghezza, posizionati con alternanza regolare di giunture. La porzione più a ovest utilizza, per una lunghezza di 50
metri, grandi blocchi disposti in filari singoli posizionati in costa.
_ I filari non sono completamente continui nell’ intera lunghezza. In alcuni punti, ora in gran parte oscurati, essi variano leggermente
di livello, altezza, larghezza o struttura. La maggior parte di questi cambiamenti sono di importanza limitata, ma alcuni testimoniano
invece, come vedremo, diverse fasi costruttive.
_ Ad ogni assisa è stata data una leggera battuta d’arresto verso l’interno, producendo un’inclinazione verso l’interno del muro.
_ La sua parte inferiore è sempre la più spessa e la più forte. Esso include anche numerosi elementi architettonici del primo Partenone
periptero, posizionati verso l’esterno: blocchi di stilobate, blocchi di muro, rocchi di colonne e architravi.
_ Sopra le parti inferiori costruite irregolarmente, il muro è costruito quasi esclusivamente utilizzando i normali conci in pietra porosa,
larghi due piedi attici (che possiamo stabilire come un’unità), lungo quattro piedi (due unità) e alto 1,5/ 1,75, disposti in corsi disposti di
testa o di taglio o in entrambe le combinazioni. Di conseguenza il suo spessore è variabile e può essere definito in termini antichi come
diplinthon, ovvero due unità costituite da due blocchi paralleli disposti di taglio e uno posizionato di testa, triplillthon, tre unità formate
da tre blocchi paralleli messi di taglio o uno di taglio più uno di tesa, e così via fino al dekaplinthon, dieci unità formate dall’unione di
più combinazioni, per le parti di maggiore spessore. La sua parte più sottile, il parapetto è monoplinthon, si compone cioè di singoli
corsi di blocchi disposti di taglio.
_ Lo spessore del muro diminuisce progressivamente al crescere delle assise. Il filare più basso supera i 5 metri di spessore mentre
immediatamente sotto il parapetto è solo due o tre unità di spessore, nonostante la sua piena larghezza sia conservato solo in alcuni
punti. Il sistema costruttivo utilizzato si basa dunque sulla combinazione alternata di tagli e teste, sistema applicato fino all’ultimo
corso. Ciò che sorgeva su di esso poteva essere solo un elemento che fungeva da parapetto, con pietre ben levigate posizionate per-
pendicolarmente.
135
fig. 13 Sezione degli Scavi 1885- 1890 fig. 14 Pianta dell’ acropoli dopo gli scavi del 1885- 1890. Da: P. Kavvadias e G. Kawerau, Die Ausgrabung der Akropolis
vom Jahre 1885 bis zum jahre 1890
136
4β. Le mura a sud
La sua assisa superiore (quella immediatamente sotto il parapetto) accanto al Brauroneion è circa 10 centimetri più alto della superficie
della roccia livellata all’interno del santuario, che è stato in seguito coperto da uno strato di terra di circa 10 centimetri di spessore. Il suo
lato superiore (come indicato dal penultimo filare parzialmente conservato), dal Brauroneion all’angolo sud del Partenone, sorgeva
all’altezza del riempimento di fronte ai gradini, intagliati nella roccia, della terrazza occidentale del tempio. Questo riempimento con-
sisteva in un sottile strato di terra che copriva la superficie livellata della roccia. Una striscia allineata lungo la parte inferiore dell’ alzata
più bassa dei gradini definisce esattamente la sua profondità.
La parte superiore verso l’angolo sud-est è andata quasi completamente perduta. Tuttavia, i resti esistenti (l’angolo, alcuni blocchi a 15
metri da esso e possibili tracce in altri due punti) indicano l’altezza originale di un solo corso in più, come ad ovest.
La maggior parte degli studiosi concorda nell’attribuire la parete sud all’attività svolta sull’Acropoli da Cimone attorno il 460 a. C. come
anticipato in precedenza il muro presenta delle discrepanze che delineano abbastanza precisamente le fasi che scandirono la sua co-
struzione:
_ a causa della forte pendenza dell’Acropoli nel suo versante sud, la prima fase costruttiva del muro, a partire dal livello più basso della
roccia, ha cercato di portare il paramento a livello della quota più alta usando forte bugnato al fine di creare una solida base per il resto
del muro e creando sentieri per il trasporto della pietra.
_La prima fase, contrassegnata nelle immagini con il numero 1, consiste in un tratto di 130 metri di lunghezza e sei di altezza dove la
roccia raggiunge il suo punto minimo (circa 6 metri sotto la parte superiore dei grandi architravi riutilizzati dal primo Partenone).
Anche se la sua faccia interna non è stata raggiunta da nessuna parte durante il Grande scavo, deve essere almeno 5 metri di spessore,
grazie all’impasto eccezionalmente forte utilizzato nei filari inferiori. Dal momento che la roccia sale verso per tutta la lunghezza del
muro, l’altezza media di questa fase di costruzione è circa 2,5 metri ed il suo volume poco più di 2000 metri cubi. Il lungo, ripido e iso-
lato, non poteva essere agevolato dal trasporto della pietra lungo i sentieri convergenti sull’Acropoli dall’esterno; ma fortunatamente
Il
questo non si rese necessario.
muro, infatti, venne quasi interamente costruito
con materiali del primo Partenone periptero resisi
disponibili quando questo tempio fu sostituito dal
più recente Partenone cimoniano, e da pietre in cal-
care duro provenienti dalla cinta muraria micenea o
dalla cima rocciosa dell’Acropoli stessa.
Questo stadio è l’unica parte delle mura sud che potrebbe essere anteriore alla sua fase principale di costruzione di trent’anni al mas-
simo.
_ Il secondo stadio, distinto dai numeri 2α e 2β, sorgeva sulla parte più bassa del bordo occidentale. La sezione 2α è lunga circa 110
metri e alta 6; consiste in un hektaplinthon, raggiunge dunque quasi i 5 metri di spessore. I quattro filari più alti della sezione 2α sono
incompleti e formando una sequenza di quattro gradini decrescenti verso est. Dal momento che la roccia sale verso ogni estremità
(soprattutto verso ovest) e anche nel suo lato interiore, la sua altezza media è di circa 3 metri ed il suo volume di circa 3000 metri cubi.
Quando venne costruito il tratto, per accedere all’area anche qui molto ripida, si utilizzava una rampa temporanea collocata nella metà
occidentale dell’ultima Calcoteca, in modo che le pietre potessero essere trasportate attraverso i Propilei e la via Panatenaica.
_ La fase successiva, la numero 3, in parte sovrapposta alle sezioni 2α e 2β, si estende dall’angolo sud-ovest dell’Acropoli, passa per
137
fig. 15 Pianta con il posizionamento teorico del Donario Attalide lungo le mura a sud (E. Dintino su una pianta di M. Korres)
138
4β. Le mura a sud
il Brauroneion fino a terminare in un punto che si trova a 18 metri a sud della Calcoteca. La porzione ha una lunghezza di 55 metri e
un’altezza di 3,4.
---Il suo corso più basso ha uno spessore di 2,2 metri, il successivo di 1,7 mentre i cinque superiori hanno uno spessore che non supera
l’1,1 metri. Eccezionalmente, questi ultimi cinque filari consistono in blocchi disposti per taglio di dimensione più grande, di misura 5
per 3 piedi attici. Il volume di pietra impiegata è di circa 280 metri cubi, trasportato dagli stessi sentieri utilizzati per le sezioni 2α e 2β.
Presumibilmente la porzione è stata costruita in una fase iniziale al fine di facilitare il trasporto delle pesanti pietre dall’area interna ai
Propilei al sito della parete sud in costruzione. Nella sua parte terminale, verso est, la terra di riempimento per un breve tempo prese
la forma di una rampa discendente fino al livello della sezione 2α (come mostrano le frecce della terza fase nell’immagine 3).
_ La fase numero 4, è stata costruita sopra la porzione 1 fino l’altezza della sezione 2α. La sezione 4, un heptaplinthon lungo circa 180
metri, formato da un volume di pietra pari a 2500 metri cubi, è suddivisa in una serie di sottosezioni di costruzione, ognuna con un
proprio sentiero di trasporto. È molto probabile che le prime sottosezioni siano state costruite in contemporanea con la fase 3 mentre
che le rimanenti siano state costruiti in diversi stadi con numerose sovrapposizioni e aggiustamenti sia in orizzontale che filare per
filare.
_ La fase numero 5, di fatto separata dal muro sud vero e proprio, è rappresentata dall’ausiliario muro di contenimento ad angolo
retto che sorge di fianco all’angolo sud-ovest del podio del Partenone. Questo muro e spesso collegato direttamente con il Partenone
di costruzione periclea, causa di fraintendimenti per quanto riguarda la cronologia della mura sud. È tuttavia probabile che questo
muro di contenimento, composto anch’esso da diverse sezioni, provvedeva a fornire un’ulteriore via di trasporto supplementare per il
migliaio di blocchi destinati alla sezione centrale del muro sud. Analogamente, si rese necessaria l’aggiunta di altri due o tre sentieri
che conducevano dall’angolo nord-est del Partenone al sud, sud-est ed est al fine di fornire l’enorme numero di blocchi destinati
alla costruzione dei 100 metri di tratto di muro verso l’angolo est dell’Acropoli. Per non parlare poi delle mura est in fase di cantiere
simultaneamente a quelle meridionali. Solo la presenza di cinque o sei sentieri di trasporto equamente distribuiti poteva permettere
a questo grande progetto di essere completato nel breve frangente storico e archeologico in cui è stato ultimato.
_ La fase numero 6 si compone di due assise inferiori adiacenti alla parte superiore dei gradini della sezione 2α, così come altre quat-
tro parzialmente sovrapposti ad ovest si innestano sul termine della pendenza orientale della sezione 3 e ad est incontrano l’estremità
orientale della Calcoteca. Questa fase, molto più spessa della sezione 3, è tetraplinthon per la maggior parte della la sua lunghezza e il
suo volume è di circa 250 metri cubi.
_ La fase successiva, la numero 7, sovrapposta alla sezione 4, è costituita da cinque assise pentaplinthon; il suo il volume è di circa
1300 metri cubi. Per il trasporto delle pietre sono stati utilizzati i gradini superiori della sezione 2α, il riempimento all’interno della
sezione numero 5 e i sentieri già descritti ad est del Partenone.
_ Le fasi 8 e 9 vennero costruite quasi contemporaneamente; la sezione numero nove riempie l’intervallo esistente tra le fasi 6 e 7.
_ La fase 10 si sovrappone alla sezione 7; comprende sette assise tetraplinthon e il suo il volume è circa 1500 metri cubi.
_ le tappe successive, la 11 e la 12, sovrapposte alle sezioni 6 e 9, sono triplinthon per la maggior parte della loro lunghezza.
_ La fase numero 13, sovrapposta alle sezioni del tratto occidentale, ha una lunghezza di circa 40 metri e si compone di cinque assise
triplinthon, i cui primi due andati perduti.
_ La fase finale, la numero 15, probabilmente costruita sotto Pericle (quasi in contemporanea con la sezione 14, la parte più alta
della parete di contenimento) è molto consistente, circa 3000 metri cubi, e sicuramente la più distintiva in quanto molto più spessa
(dekaplinthon al massimo) rispetto al resto del muro sottostante; da qui deriva il nome attribuitogli durante gli scavi, “sommitale” o
139
fig. 17 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedi-
stalli posizionati al centro della sommità delle Mura sud (M. Korres)
fig. 16 Ricostruzione della visibilità del complesso statuario attalide dalla città. Il parapetto è stato ripristinato
mediante l’aggiunta di due corsi o di due corsi e un elemento di finitura. (M. Korres)
140
4β. Le mura a sud
“piattaforma larga.”
Come già detto il muro sud si assottiglia gradualmente dal basso verso la sua sommità. Contrariamente qui, a partire da un punto di
fronte alla nona colonna del Partenone, per un tratto lungo 45 metri verso est, la sezione del muro si amplia fino a quasi 6,5 metri. I
filari di pietra che sporgono rispetto allo spessore del paramento sottostante poggiano direttamente sulla terra di riempimento. L’e-
stremità occidentale di questa ampia cima è ancora visibile in una delle diverse buche di visualizzazione volutamente lasciate aperte
sull’Acropoli per mostrare i risultati degli scavi.
Purtroppo, nel 1880 le sue giunture sono state sigillate con la malta al fine da preservare la piattaforma dalla pioggia oscurando la
rapporto strutturale tra i filari e il resto del muro.
Nelle sezioni di Dorpfeld e di Kawerau la piattaforma sembra costruita in modo uniforme al resto delle mura, come se fossero una parte
più spessa superiore di esse, mentre nel disegno dello stato di fatto di Kawerau e nelle sezioni del restauro di Bundgaard sembra essere
una sommità distinta lungo il lato interno del muro. A giudicare dalle fotografie e dai resti visibili dello scavo una piattaforma distinta
è probabile solo per il tratto più occidentale, situato all’interno dell’ Ergasterion. La maggior parte di questa ampia cima è ora nascosta
alla vista. Il tratto a ovest del museo non è mai stato ripulito dallo strato di terra mentre la metà esterna della parte a sud del museo è
stata ricoperta a partire dal 1889 da ammassi di architetture e dal 1983 dalla gru necessaria al progetto di restauro dell’Acropoli e dai
suoi binari.
Tuttavia, i resti visibili e quelli registrati prima dell’ l’installazione della gru mostrano che la maggior parte del filare superiore è andato
perso. Dal momento che le parti accessibili della piattaforma sono poche, sparse e danneggiate, uno strumento di livellamento è stato
utilizzato per stabilire la forma dei suoi corsi e il loro reciproco rapporto. Anche se non possiamo conoscere le disposizioni esatte dei
blocchi all’interno di questa massa muraria, la sua forma può essere delineata abbastanza dettagliatamente. Il filare più basso è formato
da blocchi regolari posizionati di testa eccetto nella parte orientale dove i blocchi sono disposti di taglio in modo da aumentare l’altez-
za del filare. La sua parte più occidentale è più stretta, costituita di due teste invece che di due e mezzo.
Per la maggior parte della sua lunghezza il terzo filare è costituito da blocchi posti di taglio al fine di aumentare la sua l’altezza. La fila
più interna è costituita da barelle mentre il resto da teste. Ad ovest questo filare è composto da blocchi messi di piatto. I successivi
quarto, quinto e sesto filare consistono in teste e barelle disposte in maniera molto regolare.
Oltre ai filari di blocchi furono depositati strati di pietrisco, ghiaia, argilla e detriti provenienti dal sacco persiano, stipati dietro le mura
in modo da formare corsie di trasporto per il materiale e creare il cantiere all’aperto. Il suo volume totale è stato stimato nella impres-
sionante cifra di 60000 metri cubi.
142
4β. Le mura a sud
di questo’ultimo, e l’angolo nord-est della cittadella è stato lasciato totalmente privo di mura di cinta. A causa di questa lacuna, per
raggiungere il livello della terrazza del Partenone avrebbe richiesto l’aggiunta di sette filari di pietra. Il piano originale era quello di
aggiungere anche questi corsi, ma venne annullato o rinviato per motivi sconosciuti.
Alcuni studiosi sostengono che il muro non venne completato a causa della guerra del Peloponneso o per la paura di aumentare la
pressione esercitata dalla terra di riempimento o ancora per una certa riluttanza dovuta al fatto che l’opera avrebbe rischiato di ridurre
la visibilità del Partenone unita ad una ritrosia ad interferire con la preesistente costruzione a sud-est qualora questa fosse davvero il
misterioso santuario di Pandione e non un semplice laboratorio, come invece veniva sostenuto nella pubblicazione del resoconto del
Grande Scavo.
In ogni caso, il passaggio necessario per completare il terrazzamento a sud-est del Partenone è stato messo in attesa per secoli. La
parte nord-est dell’Acropoli era con ogni probabilità murata non prima del III secolo d. C., mentre non lontano dalla facciata est del
Partenone,sopra un consistente strato di terra, una dozzina di fusti di colonna inutilizzate, sparse in modo casuale, dominarono la scena
fino a quando la zona fu ricoperta di case medievali. Mal costruite, in gran parte realizzate in mattoni in argilla e detriti, hanno dovuto
essere ricostruite e sostituite più volte nel corso dei secoli, un processo che gradualmente ha innalzato il livello del suolo di diversi
metri. Infine il sito è stato oggetto dei già citati scavi archeologici del XIX secolo, che hanno cercato di ricostruire teoricamente non solo
ciò che esisteva un tempo, ma anche di comprendere le intenzioni dei costruttori per quanto riguarda le parti lasciate incompiute.
fig. 20 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90 che riproduce il piccolo donario situato sulle Mura sud dell’ Acropoli 143
sezione I sezione II sezione III
145
fig. 22 Sezione trasversale del lato sud del Partenone, strati di riempimento (Ross 1855)
146
4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento
sotto lo stereobate
I l processo di realizzazione del terrapieno lungo tutta l’area meridionale dell’Acropoli, e soprattutto sotto il Partenone, al fine di ricreare
un terrazzamento piano dal quale fosse possibile ammirare il tempio, ha avuto origine al momento stesso della costruzione del podio.
Il principio utilizzato nel riempimento si nota chiaramente nel luogo nel quale ha avuto inizio, immediatamente ad est della collina di
roccia e di fronte al centro del tempio di Atena (figura 22, sezione II).
L’orizzonte che segna l’inizio dei lavori sul podio si distingue molto chiaramente: è la parte superiore della roccia.
Sopra questa linea il riempimento è diviso in diagonale da spessi strati di ghiaia degradanti verso sud a partire da un punto a circa 5
Il
metri dal podio.
profilo può essere seguito attraverso le sezio-
ni III e IV fatte in prossimità dell’angolo sud-est,
angolo del podio, che vanno dalle mura di cinta me-
ridionali fino al punto in cui la roccia affiora in su-
perficie. Le sezioni mostrano che il terrapieno è stato
accumulato contro il podio, e da esse emerge che la
terra è cresciuta successivamente durante l’erezione
del basamento.
Il primo passo è stato compiuto con il collocamento di tre grossi blocchi costituiti da detriti di edifici in pietra porosa distrutti. È ragio-
nevole prevedere che provenissero da pezzi del vecchio Partenone, smantellato per lasciare spazio al nuovo tempio. Sopra quello il
terrapieno è costituito da strati di terra divisa in sottili strisce costituite da fini schegge di pietra porosa. Nessun scheggia grossolana,
né in pietra porosa né in marmo, è stata trovata nel terrapieno originale. Grazie a questa scoperta, viene esclusa l’affermazione spesso
fatta che i blocchi del podio e del tempio siano stati prima modellati qui. Noi sappiamo, in parte grazie ai blocchi conservati così come
sono stati scoperti, in parte dalle iscrizioni successive, che la cava fornì i blocchi approssimativamente squadrati e in ampie dimensioni.
Le prime lavorazioni delle pietre richiesero strumenti pesanti che produssero schegge grossolane in masse tali da sommergere com-
pletamente i rifiuti più fini delle fasi successive nella formazione dei blocchi.
I depositi rilevati in cantiere, al contrario, provenienti dall’erezione del tempio, derivano dalla rifinitura delle giunzioni, dalla dispo-
sizione dei filari, dalla levigatura delle pareti e delle colonne e lavori analoghi di precisione che richiedono scalpelli, raspe o oggetti
simili che producono i rifiuti fini in quantità moderate. Poiché solo fini schegge di pietra porosa e polvere di pietra sono stati trovati nel
terrapieno originale ne consegue che i blocchi del podio non sono stati modellati sul terrapieno durante l’ erezione, ma in un cantiere
situato a distanza.
Per la maggior parte del periodo di costruzione il podio può essere stato accessibile, per il trasporto del materiale, solo da ovest. Di
conseguenza, il cantiere degli scalpellini deve avere giaciuto sul crinale tra il tempio in costruzione e il muro P1. Ciascuno delle dodici
assise più alte del podio contiene almeno 500 blocchi. Poiché dovevano essere formati da file di varia lunghezza i mastri dovevano aver
avuto lo spazio necessario a disporre le serie completate prima del collocamento, per assicurarsi che fossero rispettati l’ordine e le mi-
sure. Partendo dal presupposto che non più di una superficie di filari è stato in opera contemporaneamente, anche questa eventualità
avrebbe comunque richiesto tutta l’estensione occupata dai blocchi , vale a dire approssimativamente la stessa area del podio, trenta
per settantacinque metri.
147
148
4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento
sotto lo stereobate
Durante la costruzione del podio nessuna operazione di trattamento del marmo può avere preso posto qui, ma questo non significa
che tale lavorazione sia stata avviata solo a completamento dello stereobate.
Dal momento che il cantiere si sarebbe reso accessibile dopo la conclusione della fondazione, è ragionevole prevedere che Callicrate al
più presto aveva disposto agli scalpellini di modellare i blocchi di marmo per il primo Partenone lungo il lato nord ed est della piatta-
forma in modo che ogni mastro potesse lavorare vicino al sito e rendere immediatamente disponibili i manufatti portati a compimento.
Questo è confermato dal fatto che i resti grossolani che compongono la maggior parte del riempimento lungo la parete della cittadella
sono esclusivamente in poros ad ovest del tempio, in poros mescolato a marmo di fronte al tempio, e prevalentemente in marmo ad
est di esso.
Lo strato inclinato di ghiaia indica un allargamento dello spazio in cima al terrapieno da 5 a 9 metri. La datazione è rintracciabile grazie
al tamburo di marmo ritrovato nel terrapieno originale. Poiché è ovviamente scivolato dall’alto, ed è stato trovato completamente se-
polto nel Iayer inclinato di ghiaia, è stato dedotto che probabilmente è precipitato per caso e il fatto che non sia più stato recuperato
successivamente, giustifica il suo ottimo stato di conservazione.
La conservazione è davvero così perfetta che siamo in grado di accertare che il fondo del tamburo non è parallelo con la parte supe-
riore. Questo dimostra che è stato messo nella propria posizione sullo stilobate del primo Partenone e la parte superiore incisa per
neutralizzare la curvatura e produrre l’inclinazione della colonna.
La perdita del tamburo di colonna non può essere successa mentre il primo Partenone era in costruzione ma deve essere avvenuta du-
rante lo smantellamento del tempio stesso. D’altra parte, è ovvio che fosse andato perso prima che lo stilobate del Partenone pericleo
fosse pronto a riceverlo. Questo restringe notevolmente il periodo della sua scomparsa, diciamo qualche mese dopo l’adozione del
nuovo edificio progetto nell’estate del 447 a. C..
Il tamburo non può essere semplicemente scomparso scivolando giù per il pendio del terrapieno sottostante. La sommità del terrapie-
no era già stata allargata e il tamburo era stato posto sullo strato di terra, ma abbastanza lontano da esso. Durante uno dei famigerati
nubifragi greci il bordo si ruppe e il tamburo venne completamente inghiottito dalle masse di ghiaia in movimento che defluivano a
causa della pendenza. Probabilmente non era questo il solo tratto in cui il bordo si spezzò in quella occasione. La sezione III mostra un
blocco dello stilobate del Partenone cimoniano ai piedi del pendio che, è ragionevole.
La sezione III illustra inoltre un blocco dello stilobate del Partenone cimoniano ai piedi del pendio che, è ragionevole prevedere, scivolò
nella stessa occasione. Nessuna ricerca venne fatta per quanto riguarda i blocchi perduti, ma l’argine fu riparato dal deposito di ghiaia
lungo il pendio.
150
I II III III a
151
IV
S2
Ricostruzione del paramento murario S2. Ricostruzione del paramento murario S3,parete sud
fig. 24 Ricostruzione dei paramenti murari situati nella parte orientale dell’ Acropoli,
tra le Mura sud e il podio del Partenone; da ‘The excavations of Athenian Acropolis’, J. A.
152
Bumdgaard, Copenhagen 1974
4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento
sotto lo stereobate
A sud, la parte superiore del terrapieno offriva una comoda sede per lo stoccaggio dei pezzi, ma Ictino dovette raddoppiare lo spazio
disponibile. Lo ottenne, molto saggiamente, scaricando i rifiuti da nord lungo il pendio a sud e a est; in questo modo avvenne che sca-
glie di marmo fecero la loro prima apparizione a sud del tempio, proprio all’interno degli strati di riempimento.
A questo schema appartengono i muri S3, S4 e probabilmente anche l’S5.
M uro S 3 S3 non è un muro nel senso comune del termine. Per circa due terzi della sua lunghezza consiste in un solo filare, diviso in quattro
parti dalla fine ovest del punto T , salendo dalla roccia fino al muro S2. Solo in un tratto è ben conservato. Questo mostra per un tratto
due filari, tra cui, quello superiore con solo la metà, quella verso nord, dello spessore della parete. Dal momento che corre precisamen-
te sulla linea ai piedi dell’angolo dove il terrapieno raggiunge il suo massimo ampliamento e venne costruito nel medesimo periodo,
non c’è dubbio al fatto che esso marcava l’estensione da dare all’allargamento. Nel punto di intersezione con S2 aumenta fino a tre
filari, e più in là un quarto segna l’aumento di spessore del nuovo riempimento. Molto interessanti sono le coppie isolate di conci x, x
che segnano il punto più alto del muro. Ciò significa che questa parte di S3 è stata costruita filare per filare, riversando più materiale
all’interno per evitare spreco di materiale. È emerso che questi corsi superiori non si resero necessari. Per questo i costruttori di S4 ne
tolsero un paio nei punti x.
M uro S 4 S4 non è uno, ma due muri. A sud-ovest ai margini della discesa, arriva così vicino al podio che il necessario spazio aggiuntivo può
essere ottenuto solo con la costruzione di una sorta di torre, due pareti sporgenti da P2 e che si incontrano ad angolo retto.
Durante gli scavi trovarono roccia all’interno del triangolo unita a blocchi del muro demolito della cittadella a dimostrazione del fatto
che nessun edificio aveva preso posto qui prima del 447.
Sopra questi blocchi il riempimento giaceva in strati di orizzontali di diversa altezza. La terrazza prese forma riempiendo il triangolo
murario che si alzava, filare per filare.
Il rafforzamento esterno, prima del muro sud e poi dell’ovest, dimostra che si è verificato un aumento abbastanza forte fino all’ estremi-
tà superiore di S2, ma da lì al podio è cresciuto di un solo corso. Il filare superiore della parete ovest inizia sulla prosecuzione della linea
del lato sud del podio e si intervalla con il terzo filare dall’alto.
Il filare inferiore del lato sud dell’S4 invade il sedicesimo corso della parete della cittadella. Si è rilevato che le quindici assise sopra que-
sto punto sono costruite tutte con conci regolari. S4, poi, si erge sulla sommità di K1 che, di conseguenza, era già esistente al momento
in cui Ictino fu assunto nel 447.
M uro S 2 L’S2 originale, collocato su una pendenza più dolce, è costruito quasi esclusivamente mediante l’utilizzo di blocchi grezzi ricavati
dall’Acropoli tramite una tecnica poco regolare e reca una sovrastruttura che consiste principalmente in conci di edifici in poros distrut-
ti, così come S4 e S3.
Inoltre, i blocchi sono sapientemente assemblati in modo tale da formare una facciata perfettamente liscia, in posizione arretrata di
una decina di centimetri su S2.
M uro S 5
Il contrasto tra le due parti è così evidente che Kawerau e Dorpfeld considerarono questa sommità, qui segnata con S5, essere il vero e
proprio muro, e la sottostante parte sua fondazione, da cui si può ricavare che il ben conservato tratto di S2 tra i punti 11 e 12 non han
alcun progetto di fondazione e che l’ S5 ha metà dello spessore di S2. A giudicare dalla materiale utilizzato S5 è parte dello schema di 153
fig. 25 Sezione trasversale est- ovest della collina dell’Acropoli, sono indicati i materiali di riempimento.
154
4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento
sotto lo stereobate
ampliamento, e infatti una consistente quantità di ghiaia poteva essere risparmiata con la costruzione del muro sui resti di S2.
La porzione rilevata è solo quella esposta in quanto il muro deve resistere alla spinta esercitata dagli strati di riempimento. Quando fu
scoperto, infatti, S5 aveva un inclinazione in avanti così pronunciata che gli archeologi non osarono rimuovere la terra direttamente di
fronte ad esso per non rischiare di farlo collassare.
È deduzione ovvia che il cedimento che inghiottì il tamburo nella sezione II è stato causato da un tratto corrispondente a tale muro, che
mostra un filare di blocchi squadrati ai piedi dell’allargamento, che potrebbero benissimo aver costituito un muro. Che l’incidente non
fu limitato all’estremità occidentale del terrapieno ampliato appare dal fatto che S3 è stato interrotto in due punti, e l’intervallo riparato
da un piccolo intervento di pietre. Due elementi in marmo nel punto f (immagine a lato), un tamburo e un concio, sono posti qui per
arginare movimenti simili all’interno del terrapieno.
M uro S 7 Dall’altra parte la grande barriera di pietra S7 viene disegnata lungo la depressione tra il terrapieno allargato e la roccia; potrebbe
così essere appartenuto ad un collegamento successivo tra i laboratori sulla punta orientale dell’Acropoli e il sito costruttivo. Il primo
passo per la ricostruzione del tempio fu l’estensione della fondazione a nord-ovest. Dal momento che l’angolo è costituito da blocchi
dello stiIobate prelevati dal primo Partenone, l’estensione non è stata messa in opera fino a quando il tempio non fu completamente
smantellato. Vale la pena notare che mentre il lato nord-ovest del podio di Callicrate era destinato ad essere visibile fino alla roccia, e
che deve essere di conseguenza rimasto nudo fino a 448, la parte aggiunta da Ictino può non essere mai stata pensata allo scopo di
rimanere fuori terra.
Esso è costruito con blocchi non adatti ad omologarsi alle altezze delle assise esistenti del podio e non è stata portata avanti l’accurata
finitura, iniziata da Callicrate, delle quattro assise superiori visibili sotto la euthynteria del secondo Partenone. E ‘abbastanza chiaro
che l’intenzione, fin dall’inizio, era quella di nascondere l’angolo con una terrazza, e dal momento che la fondazione aggiunta sul lato
nord non era di meticolosa fattura, essa doveva girare l’angolo e correre lungo tutto il lato settentrionale fino al punto in cui la roccia
raggiunge l’euthynteria del secondo Partenone. La terrazza non può essere stata realizzata prima che il tempio venisse nuovamente
eretto ma si può tranquillamente presumere che la sua realizzazione è stato fatta poco dopo.
La sequenza di fori termina dove comincia la pendenza della roccia poiché, da qui in poi, sono stati scavati nella terra del terrazzamen-
to. Se gli alberi segnano il centro della terrazza, essa probabilmente aveva un larghezza di nove metri.
Tornando alla sezione II, siamo ora in grado di tracciare l’orizzonte che indica l’inizio della ricostruzione del nuovo tempio: costeggian-
do la cima di K1 si giunge alla parte superiore dello strato di riempimento.
Tutti i riempimenti sopra di questa linea sono stati fatti dopo che i danni causati dal collasso del muro in seguito al nubifragio furono
riparati, circa nella primavera del 446. Più vicino a K, è depositato un layer identico in spessore contenente corsi delle mura della citta-
fig. 26 Tamburo e concio di colonna a guisa di argine per i della.
movimento del terreno Ne consegue che il muro è stato costruito contemporaneamente al riempimento dietro di esso, e la datazione alla primavera del 446 155
fig. 27 Rocco di colonna probabilmente appartenente al periodo pre-persiano, è possibile vederne tutt’oggi l’ ottimo stato di conservazione
(Fotografie marzo 2011)
156
4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento
sotto lo stereobate
si applica anche a K2 e dimostra che il riempimento a ovest di S4 è stato riversato alla stessa maniera del tratto che corre attraverso e
oltre l’ S4 fino al punto vicino alla Brauronion, dove K1 raggiunge l’altezza del muro di cinta.
Verso est, al contrario, la datazione non può essere applicata più avanti del punto in cui passa la sezione II.
Nella sezione IV, venti metri più avanti verso est, uno spesso Iayer di rifiuti in marmo segna il completamento del secondo Partenone.
La linea scende fino alla cima di K1 mostrando che a quel tempo nessun riempimento era stato fatto sopra quel livello; dato che il muro
presuppone il riempimento, che serva da impalcatura per K2, deve essere esserci stato un intervallo tra le sezioni II e IV.
Il resto delle mura sud della cittadella, sopra K1, contrassegnate dalla sigla K3, risale al 438 a. C..
Il riempimento dietro K2, a ovest di S4, consiste per la maggior parte in trucioli di pietra porosa, che indicano che una terrazza stava
prendendo forma sul crinale ovest del cantiere dove era stato eseguito il lavoro per i conci del podio del tempio.
A est di S4 consistenti depositi di scaglie di marmo grezzo indicano che in quest’area venivano scolpiti i blocchi per il primo Partenone.
Ma la componente più cospicua del riempimento retrostante K2, in particolare a ovest di S4, sono frammenti irregolari di calcare dell’A-
cropoli depositato in sacche di grandi dimensioni. Queste ultime sono così grandi che le pietre non possono essere state raccolte sulla
superficie della roccia durante una semplice opera di sistemazione. Esse dovevano provenire da un ampio taglio della roccia effettuato
in un’area vicina.
Infatti l’Acropoli venne tagliata nella la sua larghezza da una linea di undici metri ad ovest del podio viene tagliato nella la sua larghezza
da una linea di undici metri ad ovest del podio, cioè appena fuori l’area su cui il fronte ovest del primo Partenone deve essere stato
depositato durante lo smantellamento, per formare un’area piana a quota 151 metri. Dal momento che questa è l’unica fonte plausibile
per l’immenso accumulo di frammenti di pietra calcarea nel riempimento dietro K2 ne consegue che la roccia venne tagliata durante
l’erezione di questo tratto del muro nella primavera del 446, e appartiene al sistema stesso.
157
CAPITOLO 2
INDICE DELLE FIGURE
CAPITOLO 5
fig.1 Visione aerea dell’Acropoli, 1940.
fig.2 Copertina del catalogo della mostra ‘Metoikesis’, Lizzie Calligas
fig.3 Interno del ‘vecchio’ museo dell’ Acropoli, Lizzie Calligas
fig. 4 Fotografia di una Kore imballata e pronta per il trasferimento, Lizzie Calligas
fig. 5 Disegno dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard
fig. 6 Fotografia dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard
fig. 7 Copertina del volume ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard
fig. 8 Plastico dell’ Acropoli Periclea
fig. 9 Plastico dell’ Acropoli Micenea
fig. 10 Plastico dell’ Acropoli medievale
fig. 11 Statuine in terracotta
fig. 12 Anfora Proto Panatenaica a figure nere.
fig. 13 Lekythos a fondo bianco, a sinistra, Caronte e Hermes.
fig. 14 Moscophoros
fig. 15 Cavaliere Rampin
fig. 16 Kore di Archermos (675)
fig. 17 Kore di Anenore (681)
fig. 18 Rocco di colonna probabilmente appartenente al pre- Partenone
fig. 19 Capitello Ionico
fig. 20 Persiano in ginocchio, Vaticano.
fig. 21 Galata in ginocchio, Venezia.
fig. 22 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90, riproduzione del Piccolo Donario Attalide sulle mura sud dell’ Acropoli.
fig.1 Visione aerea dell’Acropoli, 1940.
160
Allestimento
“Metoikesis”
Nella serie “Metoikesis”, Lizzie Calligas fotografa le statue antropomorfe (Korai) nel Vecchio Museo dell’Acropoli nel 2007, immedia-
tamente prima del loro trasloco nel Nuovo Museo dell’Acropoli, congelando ne l tempo il momento della loro ricollocazione, la loro
‘metoikesis’ o trasloco, un momento di partenza e perdita.
Calligas ha potuto girovagare nel luogo che era stato la casa di questi esempi unici della scultura antica sulla pietra sacra dell’Acropoli
e fermarli su pellicola. Il suo obiettivo mette a fuoco le sculture stesse avvolte in panni bianchi e pronte per essere trasportate: scatti
a figura intera o immagini di arti selezionati, occasionalmente anche gruppi di statue. La realtà della situazione è resa in modo chiaro
ma solo indirettamente attraverso immagini di piccoli dettagli della numerazione di una cassa o di un tinta blu dei muri. Tutto ciò offre
stimoli visivi che alludono sia a un luogo specifico (il vecchio piedistallo, materiali da imballaggio, arti esposti vicino ad altri impacchet-
tati e la caratteristica Museo dell’Acropoli) che agli eventi che vi si stanno svolgendo (l’impacchettamento delle statue per il trasloco).
Queste immagini non hanno un intento documentaristico, sono bensì riprese impressionistiche di un momento critico nella vita di
queste specifiche statue.
H
« o trascorso molte ore nella stanza in cui erano al-
CAP. 5 lestite le korai, osservandole da tutti i lati e sof-
fermandomi sui dettagli delle loro forme. L’allesti-
mento a semicerchio in fondo alla sala, con uno sfondo
« Ogni volta che il Partenone viene distrutto, per ricostruirlo ci blu scuro che sembrava avvolgere quei corpi, e la luce
vuole un po’ più di tempo filtrante dalle finestre creavano un’atmosfera magica.
e il compito si fa un po’ più diffiicoltoso. [...] L’estetica dello spazio rifacentesi agli anni ’50, in
Un giorno, del Partenone non resteranno che dei frammenti impri- concomitanza con la bellezza assoluta delle sculture
gionati nei musei; delle copie sulle rive del Mississippi, del Kelani, arcaiche, creava un’atmosfera molto particolare.
del Tamigi, della Sprea, del Forth o del Danubio; i disegni di Stuart Tuttavia, la ricollocazione delle opere nel nuovo
e Revett; milioni di fotografie sbiadite; e centiinaia di panegirici, spazio avrebbe prodotto un altro effetto, chiara-
da quello di Tucidide a questo che sto scriivendo io. mente molto differente. L’attuale disposizione del-
le statue, nonostante avesse in passato emozionato
E allora, liberato dalla sua essenza fisica, il Partenone sarà diven- moltissime persone, tra cui visitatori, pellegrini e
tato nient’ altro che viaggiatori, non avrebbe più suscitato la stessa sen-
un’ idea e, finalmente, sarà perfetto.» sazione.
Inoltre, l’idea che queste korai venissero, per la
prima volta in 2500 anni, trasferite dalla roccia
Edward Hollis ,LA VITA SEGRETA DEGLI EDIFICI. dell’Acropoli mi suscitava un certa malinconia, come
se fossero sradicate dal loro spazio naturale.» 161
fig.2 Copertina del catalogo della mostra fig. 3 Interno del ‘vecchio’ museo dell’ Acropoli, Lizzie Calligas
‘Metoikesis’, Lizzie Calligas
162
fig. 4 Fotografia di una Kore imballata e pronta
per il trasferimento, Lizzie Calligas
La storia
Già dopo i fortunati scavi condotti sull’Acropoli alla fine dell’Ottocento era evidente che il piccolo edificio costruito a partire dal 1865 a
est del Partenone non era in grado di contenere i meravigliosi pezzi recuperati.
Per questo, si pensò prima alla costruzione di un nuovo edificio sull’Acropoli – il cosiddetto “piccolo museo”, che non trovò però realiz-
zazione – e poi, nel 1946-7, ad un ampliamento di quello già esistente.
L’idea di un nuovo museo nacque nel 1976 ad opera del primo ministro Konstantinos Karamanlis, che indicò in Makriyianni, il quartiere
che si estende oltre Odos Dionysiou Areopagitou, il luogo deputato alla costruzione. Tuttavia, sono occorsi ben trent’ anni – e una serie
di tentativi falliti – perché l’idea iniziale potesse realizzarsi: solo nel 2001, infatti, è stato indetto con successo il concorso per l’assegna-
zione del progetto, che ha visto trionfare l’idea dell’architetto franco-svizzero Bernard Tschumi, in collaborazione con Michael Photiadis.
I lavori di costruzione del nuovo edificio si sono conclusi nel 2007, quando il vecchio museo dell’Acropoli è stato chiuso e le opere sono
state trasportate nella struttura appena realizzata.
Il nuovo Museo dell’Acropoli è stato inaugurato ad Atene il 20 giugno del 2009.
Perserschutt
Termine coniato da Doerpfeld nel 1887: si intende la massa dei detriti derivanti dai monumenti dell’ Acropoli distrutti dai persiani nel
480- 479 a.C. riutilizzati come riempimento dei grandi terrazzamenti che allargarono il pianoro nel corso del programma di ristruttura-
zione della metà del V secolo.
Le informazioni sull’architettura e scultura di questo periodo sono il frutto degli scavi archeologici effettuati nella seconda metà dell’
Ottocento proprio in quella che è definita “colmata” a sud del Partenone, il materiale ritrovato che comprendeva elementi votivi, fram-
menti statuari ed elementi architettonici, non potevano essere asportati dal luogo in cui erano stati sepolti e di conseguenza furono
riutilizzati in parte come fondazione.
Sono emersi gruppi statuari in marmo e consistenti frammenti di architettura: frontoni, frammenti di fregio, trabeazioni, colonne, ca-
pitelli.
Il periodo dell’arte greca che si colloca fra quello geometrico e quello classico, e più precisamente fra il 650 a.C. e il 480 A.C..
Nella scultura arcaica la figura, prima rigida e squadrata perché vista dall’artista secondo piani paralleli, trovò poi punti di visione mol-
teplici e un migliore inserimento nello spazio, passando così dall’astrazione “dedalica” a una maggiore aderenza alla realtà.
Oltre che architettonica la scultura era votiva, funeraria, onoraria (statue di vincitori di gare atletiche; gruppo dei Tirannicidi).
Pochi erano i tipi della grande statuaria, tra cui anzitutto quello del “kouros” (statua maschile nuda, in piedi, con la gamba sinistra avan-
zata) e della “kore” in greco “κορη” (statua femminile in posizione analoga, vestita di chitone e himαtion), tipi documentati dai numerosi
esempi trovati nella cosiddetta colmata persiana dell’Acropoli di Atene ed oggi al Museo dell’Acropoli (dalla metà del sec. VI a. C. ai primi
decenni del V) ma presenti in Attica (Atene, Museo Archeologico Nazionale) e in altre località già alla fine del sec. VII; in essi è soprattutto
163
fig. 5 Disegno dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. fig. 6 Fotografia dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the
Bundgaard Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard
164
evidente la progressiva conquista della conoscenza dell’anatomia umana.
Lo stile attico, proprio di Atene fonde la severità dorica con l’eleganza ionica.
Fotografie degli scavi del1882-1890 dai disegni di Kawerau_ J.A. Bundgaard, Copenhagen 1974.
The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’ contiene una raccolta di testi e fotografie realizzati da Wilhelm Dorpfeld and Georg Kawerau
durante gli scavi sulll’Acropoli e utilizzati da quest’ultimi per preparare le pubblicazioni circa venti anni più tardi.
La collezione è praticamente completa e , in connessione con le fotografie, permette di seguire gli scavi step by step dall’inizio alla
fine, fornendo durante questo periodo nuove prove a proposito dell’importante questione e oggetto di accese dispute sulla data del
Vecchio Partenone, grazie al lavoro di J. A. Bundgaard questi documenti di fondamentale importanza sono diventati materiale di facile
accesso.
QUOTA 143
Dallo studio sulla distribuzione delle forme ceramiche dell’Acropoli è stato inoltre è possibile delineare un quadro, seppure talvolta
sfocato a causa della frammentarietà degli esemplari e della mancata conoscenza della loro provenienza, su specifiche attività cultuali
che scandiscono i differenti momenti della vita civica e religiosa della polis. In questo senso al pari di crateri e vasi potori risultano ugual-
mente “parlanti” i ritrovamenti di loutrophoroi, lebetes gamikoi ed anfore panatenaiche, tutte forme che hanno conosciuto un utilizzo
pratico prima di essere offerte alla divinità e, in questo senso, segni tangibili della religiosità ateniese e attestazioni di significative “tap-
pe” o “traguardi” dell’esistenza dell’individuo (matrimonio, agon atletico) o della collettività (rituali e celebrazioni delle diverse festività).
Per contro appare, invece, indubbia la connotazione votiva di altri prodotti ceramici rinvenuti sull’Acropoli, quali pinakes, epinetra,
kantharoi, vasi configurati ed esemplari miniaturistici che si qualificano come veri e propri anathemata, sovente accompagnati da un’i-
scrizione che esplicita l’occasione della dedica.
Una considerazione di primaria importanza è che, accanto alla funzione rituale assolta da alcune forme vascolari, anche l’iconografia
appare funzionale alla vita cultuale del santuario al punto da essere talvolta preminente sulla forma.
I vasi a soggetto mitico sono decisamente predominanti rispetto a quelli decorati da scene non mitologiche e pertinenti a svariati am-
fig. 7 Copertina del volume ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A.
biti, da quello rituale a quello funerario, dalla sfera erotica a quella guerriera etc.
Bundgaard 165
fig. 8 Plastico dell’ Acropoli Periclea
166
fig. 11 Plastico dell’ acropoli Pre-persiana (arcaica)
fig. 11 Statuine in terracotta
168
Statuaria arcaica
Il Moschophoros Il moschophoros (da μοσχος, vitello: “portatore di vitello”) è una scultura greca di età arcaica; il corpo fu rinvenuto sull’Acropoli di Atene
nel 1864, la base nel 1864, die Basis 1887 negli scavi a sud-est dell’Acropoli nella cosiddetta colmata persiana.
La statua è ora conservata nel museo dell’acropoli di Atene.
Risale al 560 o 550 a.C. (per la precisione, risalirebbe agli anni immediatamente posteriori il 566 a.C., anno della riorganizzazione delle
grandi Panatenee).
La statua è in marmo dell’Imetto e ha un’altezza di 1,65 m.
La figura originariamente era policroma, con occhi di pasta vitrea, avorio e osso.
In questa scultura viene rappresentato un uomo che porta sulle spalle un vitello. Il viso dell’uomo presenta il cosiddetto “sorriso arcaico”
(utile per l’arrotondamento degli occhi e della bocca) e lo sguardo diritto.
Cavaliere Rampin C
“ avaliere Rampin”: 560 - 540 a.C., marmo, alt. 113 cm., il corpo è conservato al Museo dell’Acropoli, oggi trasferito al Nuovo Museo
dell’Acropoli, Atene mentre la testa originale si trova al Louvre di Parigi (testa, acquistata dal diplomatico Rampin); altezza (della sola
testa) 27 cm.
E’ la prima statua equestre nota, i cavalieri erano due: i figli di Pisistrato (Ippia e Ipparco), ritratti quali vincitori di giochi oppure i Dioscuri.
La corsa con i cavalli era uno sport molto elitario, destinato solo ai cittadini di posizione sociale elevate, a causa delle spese consistenti
che comportavano l’allevamento dei cavalli ed il mantenimento delle scuderie. La testa del cavaliere, cinta da una sottile corona di
foglie di quercia, simbolo dell’atleta vittorioso, è caratterizzata dal contrasto creato dal chiaroscuro dei lunghi capelli ricci e della barba
con la morbidezza del volto liscio, caratterizzato dal tipico sorriso arcaico. Il torso possente mostra i pochi dettagli anatomici, quali i
muscoli addominali e i pettorali.
La testa, come del resto il torso e parte del cavallo (conservati ad Atene nel Museo dell’Acropoli) ai quali venne ricondotta nella seconda
metà degli anni Trenta del Novecento dalla felice intuizione del grande archeologo inglese Humfry Payne (1902-1936), è opera di scavo
ed è stata rinvenuta nella «colmata persiana» dell’Acropoli.
La statua che oggi è possibile ammirare nel Museo Archeologico di Atene è composta quindi dal calco in gesso della testa conservata
al Louvre e dal grande torso originale.
Il nome «Rampin», con cui è universalmente conosciuta, è quello del collezionista francese che per primo la possedette. È probabile che
la statua equestre – la più antica della Grecia nel suo genere – facesse parte di un gruppo comprendente due cavalieri vincitori.
La testa presenta una leggera inclinazione laterale rispetto al busto; allo stesso tempo il torso del giovane è ruotato rispetto a quello del
cavallo, nel tentativo di porre cavallo e cavaliere su due piani diversi. In tal modo viene superata la frontalità tipica delle sculture di età
arcaica. I piani ortogonali che definiscono la volumetria della testa, i grandi occhi obliqui dallo sguscio delicato che disegna le palpe-
bre e le labbra dal taglio lunato testimoniano l’appartenenza della scultura alla corrente attica. Tuttavia la delicatezza del trattamento
scultoreo l’avvicina agli esiti della dolce scultura ionica. Il volto, decisamente espressivo, è incorniciato dalla barba, resa con un motivo
169
fig. 16 Kore di Archermos (675)
170
a perline memore della scultura medio-orientale, nonché dall’elaborata acconciatura dei capelli (che presentano ancora tracce di una
colorazione rossiccia). Numerose treccine, infatti, calano con regolarità dietro le orecchie, mentre altre si dispongono simmetricamente
sulla fronte con andamento divergente verso destra e verso sinistra a partire dal centro. Una corona di foglie di quercia circonda la ca-
lotta cranica. Tale ornamento lascia ritenere che il cavaliere sia un vincitore forse dei Giochi Istmici o di quelli Nemei.
Kore n. 675 Kore 675: 520-510 a. C., marmo di Chio, alt. 55 cm.,
E’ conservata la decorazione a colori.
Acropoli di Atene, oggi al Museo dell’Acropoli
La testa fu ritrovata a est del Partenone nel 1886 mentre il corpo nel 1888 nell’area a sud dello stesso.
Statua di fanciulla, probabilmente da uno scultore greco orientale. Una delle numerose korai dedicate nell’ultimo quarto del VI secolo
a.C., presumibilmente ad Atena. La sua gamba sinistra è leggermente più avanzato, il braccio sinistro tira la gonna di lato, creando un
ventaglio di fini pieghe disposte radialmente. Il suo braccio destro è teso in avanti. Indossa un bel chitone increspato sul quale è drap-
peggiato un corto himation in diagonale.
La scultura è la ricca di dettagli, e il colore l’arricchisce ulteriormente. Il chitone è blu, l’ himation bordato con un disegno di colore rosso
e blu, lo stephane è stato decorato con un intreccio, gli orecchini e una collana sono dipinti, e anche i capelli sono colorati.
Anche se lo stile di vestire ionico è una caratteristica delle Korai dell’Acropoli dopo il VI secolo, questa kore sembra avere altre connes-
sioni con l’Oriente greco. Il suo viso e i capelli sono molto simili alle sculture greche di Delfi e alla Nike di Delo di Archermos di Chio.
Il nome di Archermos di Chios è rappresentato sull’Acropoli anche da uno o forse due dediche, conosciute da colonne iscritte, e Rau-
bitschek ha provvisoriamente associato a lui questa Kore.
Si pensa che il tipo di marmo utilizzato provenga da Chio.
Plinio (NH36.11-14) ci racconta che la famiglia Archermos sono stati scultori per generazioni, dunque se la differenza di tempo tra i
lavori a Delo e ad Atene è troppo grande, Stewart suggerisce che ci potrebbe essere stato un nipote con lo stesso nome.
Stewart 1990, 124, 243-4; Boardman 1978a, 88; Brouskari 1974, 65; Richter 1968, 79 no. 123, figs. 394-97; Raubitschek 1949, no. 9
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Composta da frammenti ricongiunti (reduce da alcuni restauri, ad esempio, sull’avambraccio sinistro) che costituiscono la maggior par-
te delle kore, è stato identificato un sostegno separato a cui apparteneva. Il panneggio è scheggiato ai bordi, e il naso è rotto, così come
le dita dei piedi e le dita della mano sinistra. Piccole tracce cristallo intarsiato color porpora rimangono sugli occhi (il contenitore metal-
lico per il cristallo, a cui ciglia sarebbe stato aggiunto, rimane l’occhio sinistro ??). L’avambraccio destro è completamente mancante. La
base di iscritti (che probabilmente apparteneva a questa statua, anche se questo non è stato provato) conserva qualche decorazione
dipinta (come anche i panneggi e la Stephane), mentre la superficie iscritta è rotta.
Buchi nei lobi delle orecchie e sulla stephane indicano che gli orecchini e la decorazione erano fatti in un altro materiale (metallo?) che
sarebbe stato aggiunto; Brouskari aggiunge anche che la Kore avrebbe potuto indossare un braccialetto sul braccio sinistro. Richter (70)
nota i resti di una meniskos di bronzo sulla testa.
L’iscrizione alla base è la seguente: * N * E * A * R * X * O * S * A * N * E * D * E * K * E [* N * H * O * K * E * R * A * M * E] * U * S * E * R * G *
O * N * A * P * A * R * X * E * N * T * A * Q [* E * N * A * I * A * I] * A * N * T * E * N * O * R * E * P [* O * I * S * E * N * H] * O * E * U * M * A * R
* O * S * T [* O * A * G * A * L * M * A].
Questo è approssimativamente tradotto con: “Nearchos (il vasaio?) Dedicato da i primi frutti di Atena. Antenore, il figlio di Eumares,
realizzò la statua.”
Antenore era insieme scultore in bronzo e in marmo (come forse prova il fatto che i globi degli occhi erano incastrati)
Maestosità; sopra il chitone ionico, sollevato con la mano sinistra, indossa un pesante mantello, che avvolge il busto con profonde
pieghe verticali
Il volto venne mutilato dopo la morte di Ipparco.
Nella “kore di Antenore” non v’è neppure anatomia, ma soltanto drappeggio. Come in tutto il gruppo delle “korai” dell’Acropoli di Atene,
un sottile luminismo di origine ionica increspa tutte le superfici, variamente incanalando la luce nei rivoli fitti delle pieghe irraggiate in
direzioni diverse, nei festoni dei lembi ricadenti dei pepli, nelle fini treccioline ondulate. Il moto o, piuttosto, la vita della figura è dunque
interamente ottenuto con diverse qualificazioni delle superfici per una varia modulazione della luce, con il diverso orientamento e an-
damento dei risalti luminosi e dei solchi d’ombra, con il loro ritmo ora ascendente ora discendente. La figura, insomma, è uno schermo
su cui si intensificano, animandosi, gli elementi che compongono lo spazio naturale: e proprio da ciò dipende il predominio della figura,
il maggior prestigio o il maggior valore di bellezza che la figura scolpita, la statua, assume nei confronti di tutte le possibili sembianze
naturali.
Questa concezione della centralità della figura umana rispetto allo spazio della natura corrisponde del resto all’evolvere della credenza
religiosa, del mito. Indubbiamente la gravità dorica, con il taglio severo delle masse e la forza contenuta delle sue forme conserva an-
cora il senso d’oppressione della mitologia “ctonia”, che è appunto la mitologia delle preponderanti, invincibili forze cosmiche: come si
vede nel “frontone della Gorgone, dal tempio di Artemide a Corfù” con la mostruosa raffigurazione della Gorgone tra le belve; mentre,
nella corrente attica il rapporto si inverte e la figura umana, dandosi come suprema forma della natura e quindi come rappresentazione
di sè e dello spazio, si pone veramente come pitagorica “misura di tutte le cose”.
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fig. 20 Persiano in ginocchio, Vaticano. fig. 21 Galata in ginocchio, Venezia.
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Piccolo donario Attalide
QUOTA 150.5
Intorno al 432 a.C. si concludevano i lavori al Partenone. Giungeva così a compimento l’ampio e complesso programma politico-ide-
ologico pericleo, che puntuale attuazione trovava nel variegato e fastoso apparato decorativo del tempio (e dell’intera rocca), frutto
di un preciso e meditato progetto iconografico improntato a una tradizione di cui il Partenone diventerà, da quel momento in poi, il
sinonimo.
Ancora dopo quasi tre secoli, la forza, la persistenza e la valenza politica di quel messaggio permanevano intatte, al di sopra del tempo
e della storia, se un sovrano di Pergamo, all’apice del proprio potere, scelse proprio l’acropoli ateniese - e il suo tempio di Atena - per la
dedica di una colossale commemorazione del proprio regno.
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fig. 22 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90, riproduzione del Piccolo Donario Attalide sulle mura sud dell’ Acropoli.
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Presupposti storici:
Nel 279 tribù di Celti (Galli, Galati) europei invadono la Grecia.
Respinti a Delfi, in parte si riversano l’anno successivo in Asia Minore passando per la Tracia. Culturalmente ed etnicamente differenti
dai Greci, come barbari rimasero isolati, nella regione che da loro si chiamò Galazia. Per decenni terrorizzarono le città costiere greche
con razzie.
Attalo I (241-197) negli anni 240-230 li sconfisse in una serie di battaglie, che segnano una forte espansione del regno
attalide (in seguito anche Eumene II nel 168-166 a.C.). Vittorie commemorate da una grande serie di monumenti votivi sull’acropoli di
Pergamo e su quella di Atene – punto di riferimento culturale dei sovrani attalidi – di cui rimane testimonianza, oltre che dalle copie
romane che ora vedremo, in testimonianze epigrafiche e soprattutto nelle fonti:
. Paus.1.25.2 “nel muro sud dell’Acropoli di Atene Attalo dedicò (a) la leggendaria battaglia dei Giganti (b) la battaglia degli Ateniesi contro le
Amazzoni (c) la battaglia contro Persiani a Maratona (d) la distruzione del Galati in Misia. Ciascuna figura alta due cubiti (tre piedi, circa un
metro).
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Progetto
Il desiderio di istituire e rendere evidenti le relazioni tra i frammenti e tutto ciò che esiste sul sito sono state per noi una preoccupazione
primaria.
Uno dei principali obiettivi del progetto è infatti quello di evidenziare il rapporto tra i ritrovamenti e tutto ciò che esiste in loco.
I frammenti stessi e ciò che essi riflettono sono utili per la definizione della tipologia di Museo, la determinazione di uno spazio in grado
di mettere in risalto il rapporto tra ciò che viene esposto- e per estensione la collezione nel suo complesso - e la profonda essenza del
paesaggio architettonico.
Infatti la scultura arcaica e quella classica sono state concepite come parte di un tutto, come se “i visitatori percorrendo il loro cammino
sull’Acropoli nell’antichità avrebbero visto le sculture come parte di un sistema indivisibile chiamato l’Acropoli di Atene.”
L’intervento si propone di individuare una strategia di intervento che si proponga di restituire a questo sito monumentale, forse il più
formativo della civiltà occidentale - o più precisamente ad una parte di esso, quella delimitata dalle mura a sud e dal Partenone stesso- ,
una propria compiutezza, riportando alla luce cioè le origini dell’acropoli classica.
Non appena vediamo il Partenone, l’Eretteo o i Propilei, diventa necessario “vedere ciò da cui sono stati separati”, ciò che è stato nasco-
sto.
Pertanto, il requisito che almeno le sculture arcaiche dovrebbero rimanere sulla roccia sacra dell’Acropoli diventa una conditio sine qua
non per alcuni architetti ateniesi; infatti la possibilità di estendere il museo esistente di un piano al di sotto del Partenone era già stata
formulata nel primo Concorso architettonico, accompagnata da suggerimenti di Manolis Korres, un architetto coinvolto intimamente
con il sito.
A partire dal movimento moderno, abbiamo cominciato ad intendere l’opera d’arte come un elemento autonomo, sia essa legata a
qualche spazio architettonico o meno. Questo concetto non è però applicabile alla scultura arcaica e classica, in cui ogni opera è con-
cepita come parte di un tutto, di un insieme.
Se i visitatori moderni che scalano l’Acropoli devono essere pienamente consapevoli dell’ universalità spirituale che articola il più com-
pleto sistema che la civiltà occidentale ha da offrire per un sito monumentale, dobbiamo garantire che i loro significati non siano ulte-
riormente frammentati.
Non appena noi vediamo il Partenone, l’Eretteo o Propilei, è necessario percepire ciò da cui essi sono stati staccati (separati), ciò che è
stato negato da questa esperienza assoluta.
Se l’intero (la globalità) viene spezzato, la pseudo-autonomia offerta dalla vista dei Marmi di Elgin al British Museum potrebbe essere
legittimato - un piacere estetico che non può competere con l’esperienza spirituale del totale.
Il requisito possiamo dire quasi scaramantico è la possibilità che almeno le sculture arcaiche vengano ricollocate nel loro luogo origi-
nario e cioè sulla roccia dell’Acropoli, con la possibilità di estendente il museo esistente di un piano nello spazio al di sotto del livello 179
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del Partenone (un approccio che era già stato formulato e mostrato tramite un modello in marmo in occasione del primo concorso per
il museo dell’acropoli indetto dal Ministero della Cultura nel maggio 1989) corre parallelamente con le considerazioni suggerite da
Manolis Korres (un architetto interessato esclusivamente al monumento).
FORMA
La forma è data dallo spazio del vuoto, mentre la copertura ripristina la quota del terreno su cui sorge il Partenone.
Il museo è visto come sezione nello spazio e nel tempo, rispettivamente in orizzontale e in verticale.
Lo spazio del museo è circoscritto (al di sotto) dalla topografia della roccia, dalle fondamenta su cui si erge il Partenone (ad una profon-
dità fino a 11 metri: stereobate) e dal lato interno delle pareti di 7 metri di spessore.
Si tratta di un luogo che conservò la memoria dei tempi arcaici fresca sotto il peso della terra umida, fino a quando venne riempito al
tempo in cui l’epoca arcaica lasciò spazio all’epoca classica e il tempio arcaico conosciuto come Hekatompedon fu demolito per lasciare
spazio all’attuale Partenone.
A quel tempo, le mura micenee caddero in disuso e furono costruite quelle classiche che vediamo oggi.
Tutte queste memorie – le mura più antiche, le abitazioni preclassiche, le tombe e i laboratori dove è stato tagliato il marmo - saranno
messe a nudo e lasciate in loco dopo uno scavo esaustivo venendo a far parte integrante dell’opera.
Questo luogo buio e umido è l’unico che la storia degli ultimi 2500 anni ha lasciato intatto e il riempimento effettuato sotto Pericle
custodisce il segreto del passaggio dall’età arcaica all’epoca classica, e renderà a noi oggi a pieno il concetto di museo come custode
della memoria.
Due primi scavi effettuati durante l’800 gettano un po’di luce su questo passato.
Fu in questo momento che furono ritrovate statue e frammenti di elementi architettonici e sculture appartenenti al tempio arcaico,
sepolti come i resti di bambini, l’uno accanto all’altro tra le pareti e la superficie della roccia.
Il mondo arcaico, che era strettamente legato alle divinità ctonie, non poteva essere né distrutto né ignorato dai Greci del V secolo.
Perché tutto questo dovrebbe essere ignorato oggi?
Questi spazi accanto all’Acropoli hanno mantenuto in vita l’origine della nostra civiltà, sono stati caricati con il significato della cripta;
l’area in cui fu gettata la maggior parte della terra di riempimento, in particolare, ha il duplice valore simbolico di essere una cripta, e di
essere soprattutto la cripta del Partenone.
La discesa nella cripta, che è anche una discesa nel tempo, è l’elemento più importante nel rivelare a noi che tipo di museo il Museo
dell’Acropoli dovrebbe essere.
M. Boutmy (come citato in G. Duthuit ‘s Le musée Inima-ginable) ha affermato che il Partenone non avrebbe mai potuto essere un
tempio in toto (assoluto), nel senso contemporaneo del termine, poiché non vi era alcun modo di poter essere visitato interamente dal
pubblico; egli concluse che ci doveva essere un thesaurus o tesoro-casa per le reliquie e le offerte: “Prima di tutto è stato un museo”,
conclude, e soprattutto, era una cripta, aggiunge Duthuit.
L’arcaico suggerimento che ci invita a esplorare le possibilità offerte dal questa cavità nella roccia dimostrato più rivelatore.
HYPERTOPOS
Il museo, inteso come luogo di protezione, esposizione e stoccaggio di importanti opere d’arte, ha le sue origini agli inizi della del
tempo umano.
Al fine di preservare dalla morte qualcosa della sostanza immortale della vita, gli esseri umani fin dai primi tempi seppellivano i loro
morti con gli oggetti più preziosi e che essi possedevano in vita.
Questi oggetti funerari raggruppati e collocati nelle cripte rappresentavano il gesto iniziale di installazione del “prezioso” in un luogo
suggellato (chiuso, sigillato), un luogo istituzionalmente e ritualmente proibito, da cui gli oggetti non avrebbero mai più dovuto emer-
gere.
Il soggetto che seppellisce un oggetto in un sepolcro è ben consapevole che questo oggetto non potrà mai essere restituito, recupera-
to, come oggetto la da quel momento accompagna i morti.
Questo gesto archetipico, l’immissione di una collezione di opere in modo specifico, precisamente zona delimitata, si è evoluta nel
tempo per comprendere le tombe dei re, i funzionari, gli eroi e i ricchi.
Il museo inteso come “topos”, letteralmente ”luogo” della raccolta, conservazione, protezione ed esposizione, deriva così la sua genea-
logia dalla tomba.
All’interno di questo vuoto, gli Ateniesi dell’epoca classica seppellirono i loro morti e onorarono le statue arcaiche del tempio dei loro
padri e nonni.
Essi costruirono un immenso muro di ritenzione, e, tra esso e la superficie della roccia gettarono le fondazioni del Partenone lungo il
pendio in questo grande vuoto che, per un breve periodo rimase visibile, per poi scomparire sotto il terrapieno.
L’esistenza di questo sito invisibile è nota, ma è un punto cieco della nostra conoscenza.
Fu un punto cieco anche nella nostra conoscenza, ma abbiamo a scoprire con tutti i mezzi un modo in cui un museo potrebbe essere
collocato all’interno del sito archeologico senza disturbare, nella sua realtà e il suo design, il paesaggio che circonda l’Acropoli.
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Museo come palinsesto
Le statue arcaiche conservate oggi nel nuovo Museo dell’Acropoli, sono state ritrovate in questo luogo durante gli scavi ottocenteschi.
Grazie al lavoro fatto dagli archeologi dell’Istituto tedesco di Archeologia e soprattutto grazie ai libri di Bundgaard (The excavation of
the Athenian Acropolis 1882-1890 : the original drawings / edited from the papers of Georg Kawerau by J. A. Bundgaard; Parthenon and the
Mycenaean City on the Heights by J. A. Bundgaard) abbiamo trovato schizzi ed eidotipi delle sezioni architettoniche venute alla luce
attraverso lo scavo che, insieme a disegni topografici, piante e rilievi di edifici antichi e micenei e delle loro altezze interne –i quali che
stati tutti sepolti nuovamente al termine delle operazioni di scavo.
L’impressione di oscurità, vaga e informe che avevamo inizialmente di questo spazio improvvisamente è diventato chiaro: come se una
serie quasi completa e scientifica di disegni, i disegni di un luogo inesistente fossero improvvisamente caduti nelle nostre mani. Un sito
invisibile e non misurabile che può solo essere intuito grazie alle mura e superfici esterne.
In questo momento siamo venute in possesso di tutti gli elementi di cui avevamo bisogno ed è stato come se il progetto stesso si fosse
mostrato rivelandosi ai nostri occhi.
Il volume dello scavo è abbastanza ampio per poter esibire per dare riparo la maggior parte dei gli oggetti esposti.
Per andare avanti è stato necessario attuare una sorta di rottura rispetto al tabù che ha impedito a tutti (a partire da Schinkel) di intac-
care la roccia sacra.
Dall’alto dell’Acropoli il museo potrebbe ora svilupparsi dispiegandosi nella sua discesa lungo il pendio verso quei “soggetti dispersi”
che il volume del museo principale non potrebbe includere.
Abbiamo deciso fin dall’inizio di demolire il museo esistente perché le sue piccole dimensioni non potevano soddisfare il requisito di
dare dimora ai reperti e soprattutto perchè tale spazio non avrebbe mai permesso di svelare le strutture sotterranee di fondazione e
sostruzione che stanno all’origine della costruzione del Partenone.
La sua posizione, parzialmente affondata nella superficie del riempimento, impedisce di estendere lo scavo fino all’estremità sud-est
dell’Acropoli, ostacolando il recupero di importantissime strutture quali l’ansa di muro miceneo conservato e le rovine del santuario di
Pandione, celate sotto il pavimento del vecchio museo.
Lo operazioni di scavo dell’ ottocento, dalle informazioni in nostro possesso, (anche se lo scavo non è stato sistematicamente fotogra-
fato) sono state evidentemente eseguite con eccessiva impellenza, al punto tale che molte delle antiche strutture scoperte furono
danneggiate. Gli archeologi portarono alla luce la maggior parte della parete rocciosa (tranne al livello più basso adiacente ai piedi
delle mura), le abitazioni micenee sia dentro che fuori dal limite delle mura difensive risalenti al II Millenio e i laboratori che risale alla
costruzione dell’attuale Partenone.
Queste rovine e la geologia stessa sarebbe diventata parte della struttura del nuovo museo.
Evidentemente, dati gli insufficienti elementi a nostra disposizione, non abbiamo potuto effettuare con assoluta precisione una rico-
struzione di ciò che emerse dalle operazioni di scavo ma ciò che possediamo e che abbiamo ricavato è stato più che sufficiente per dare
un’idea generale di progetto.
Abbiamo trovato delle sezioni che, confrontate con le fotografie ci hanno fornito delle misure piuttosto precise della superficie della
roccia con le posizioni esatte delle mura micenee che longitudinalmente intersecano il “vuoto” e il laboratorio del Partenone V secolo
(di Fidia).
Dopo aver recuperato la maggior parte delle misure di questo luogo “invisibile”, abbiamo ricostruito tridimensionalmente una ad una
tutte le sottostrutture presenti all’interno dello scavo e abbiamo cominciato ad immaginare alcune viste virtuali degli interni da diffe-
renti punti di vista.
Proprio per questo motivo abbiamo deciso di impostare la quota minima del piano di calpestio (pavimento) esattamente allo stesso
livello di imposta della fondazione (+143) per poi risalire fino al limite ovest, sempre seguendo la geologia.
L’ingresso avviene tramite una discesa che segue il naturale pendio a est del Partenone concludendosi con una rampa che porta all’in-
terno del primo volume.
La copertura, impostata ad una quota inferiore rispetto a quella del vecchio museo, rimane allo stesso livello dell’originario cortile del
Partenone (+ 153), (ripristinando la quota di calpestio attuale in modo da non stravolgere l’immaginario della rocca rimasto immutato
negli anni) rimanendo per cui invisibile dalla città.
La scala conduce ad un punto preciso in cui il livello della copertura del museo divide l’orizzonte: il cielo Attico e il Partenone al di sopra,
le fondazioni sepolte dell’angolo sud-est del Partenone al di sotto.
Un’inquadratura inedita, che, a colpo d’occhio, definisce il primo passo di una discesa nel tempo storico, il tempo del museo.
Il museo è una cripta, una camera del tesoro (tesoreria) adiacente alle fondazioni del Partenone.
Un topos sepolto 2500 anni fa.
All’interno di uno spazio del senza tempo, della cavità naturale della roccia, l’unità tra architettura e la scultura degli antichi greci può
essere almeno in parte mantenuta e si differenzia dalla modalità più violenta del “white cube”.
“L’Acropoli di Atene può allora continuare il suo percorso attraverso il tempo come una “nave di pietra” che ha conservato gran parte del
suo carico, trattenendo il più possibile in sé stessa, offrendo un luogo e una speranza per le generazioni future di scoprire e interpretare
le creazioni di una civiltà un in silenzio indisturbato.”
Un museo costruito al di fuori della Rocca, all’interno della moderna città di Atene, è sostanzialmente un sovrappiù, una zavorra.
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