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I caratteri del 700

Il settecento fu, in generale, il secolo delle riforme e dei grandi cambiamenti


(soprattutto la seconda metà), in modo particolare con la rivoluzione industriale,
quella americana e francese. Si fondano le premesse dell’età moderna, inizia il
secolo dell’Illuminismo (movimento culturale e filosofico sorto in Francia e diffusosi
nel resto d’Europa) che porterà a una visione più analitica e razionale del mondo: è
l’epoca dell’espansione dei commerci e di grande fervore culturale. Si ha la crisi
dell’assolutismo monarchico, con anche il progressivo svincolarsi degli artisti dalla
chiesa a favore di committenti laici e degli Stati. Per quanto riguarda l’arte, si
sviluppa infatti l’estetica (cioè la filosofia dell’arte) con due diversi stili, dovuti alla
spaccatura e il contrasto tra il gusto barocco e la razionalità dell’Illuminismo: il
Rococò e il Neoclassicismo (riproposizione dell’arte classica). Il Rococò (ne accentua
i caratteri di estrosità ed esagerazione) riflette il pensiero dell’età dei lumi (prima
parte), e si identifica come uno stile (fase finale del Barocco) molto sfarzoso, che
nasce in Francia sotto Luigi XIV: deriva etimologicamente da “rocailles”, rocce
artificiali a forma di conchiglia poste sul fondo di laghetti, per indicare i motivi
ornamentali tratti dalla natura che appaiono negli arredi dei palazzi dal 1730 circa.
Tratti distintivi sono l’opposizione al barocco, e inoltre il recupero della luminosità
che porterà allo schiarimento dei colori. Lo stile del Barocco risulta più aulico,
monumentale e severo, mentre lo stile Rococò è più estroso, dinamico e visionario,
trattandosi di un genere tipicamente ornamentale. Si manifesta infatti
prevalentemente nel decorativismo degli interni, ornati di stucchi, maioliche
(produzioni ceramiche rivestite per immersione da uno smalto), specchi e
porcellane. Questo stile esprime al meglio la grazia e ricercatezza delle corti
settecentesche, anche se ben presto si manifesta una reazione contraria che porta
al bisogno di imporre ideali classicheggianti con il Neoclassicismo, con il ritorno alla
razionalità e l’equilibrio dell’arte greca dovuto alle scoperte archeologiche di
Pompei ed Ercolano.

Filippo Juvarra
Fu sicuramente uno degli esponenti principali di questa corrente artistica. Nato a
Messina nel 1678, figlio di un artigiano orafo da cui apprende il gusto per l’arte e
per la decorazione scultorea, la sua formazione artistica avviene nella città di Roma,
dove ben presto si afferma come scenografo. Fu infatti allievo di Carlo Fontana. Nel
1714 diventa architetto della corte di Savoia, al tempo capeggiata da Amedeo II, Che
era diventato anche il re di Sicilia e aveva avuto modo di apprezzare le sue qualità
artistiche. Soggiorna anche a Torino, dove guadagna la nomina di primo architetto
di corte, e viene anche invitato a Londra, Parigi e in Portogallo e infine muore poi a
causa di una polmonite a Madrid, dove si era recato per realizzare il Palazzo Reale,
nel 1736, su invito di Re Filippo V. Raggiunse fama internazionale grazie alla sua
tecnica architettonica. Le sue opere presentano infatti influssi sia classici che
barocchi, dato che egli fu influenzato da Michelangelo e da Borromini, come
possiamo vedere nella cupola e le torri della Basilica di Superga. Vi è sempre uno
stretto rapporto tra le opere e l’ambiente circostante, scelto con cura, tramite
prospettive e proporzioni accurate.

La Basilica di Superga è una delle sue opere più importanti, realizzata in


14 anni a partire dal 1717. Commissionata da Vittorio Amedeo II come
ringraziamento a Maria (durante l’assedio egli era salito sul colle, e inginocchiatosi
lo aveva giurato) per la liberazione di Torino dall’assedio francese del 1706, è
collocata sulla sommità della collina di Superga: si tratta di un edificio monumentale
e particolarmente suggestivo, che domina panoramicamente tutta Torino ed è
visibile da ogni punto della città. Il Piemonte era infatti al tempo uno dei più potenti
Stati Italiani, e per questo Torino riceve un forte impulso per ridisegnare
completamente la città. Problemi logistici= sentiero sassoso per raggiungere il colle ,
i materiali edili venivano trasportati a dorso d’asino. La complessa fabbrica presenta
una pianta centrale, un’alta cupola michelangiolesca (alta 75m), due campanili di
gusto borrominiano lievemente arretrati rispetto al corpo della chiesa quasi come
uno sfondo teatrale, e un pronào classico di pianta quadrata, che riprende il
Pantheon ed è delimitato da 8 colonne a fusto liscio con capitelli corinzi —>
tetrastilo (lo spazio tra la cella e le colonne). All’interno vi è anche una scala a
chiocciola che porta a una balconata esterna, da cui si possono vedere alcune parti
delle alpi. Nella cripta vi sono anche le tombe monumentali di molti re e duchi di
casa Savoia, tra cui vittorio amedeo II e il figlio. Si alternano linee curve e piane
donando alla basilica un effetto scenografico, che all’interno corrisponde a spazi
aperti e murati . La parte posteriore della chiesa è inglobata nel convento,
organizzato attorno ad un cortile rettangolare porticato. La parte tergale fu anche
colpita nel 1949 dall’aereo del Torino, squadra fortissima, a seguito del quale tutta
la squadra perse la vita mentre tornava da una trasferta a Lisbona. La caratteristica
più importante che rivela l’abilità dell’artista è la sua capacità di fondere temi
architettonici estremamente diversi: quello classico del pronao, rinascimentale della
cupola e barocco dei campanili.

La Palazzina di Caccia di Stupinigi è uno dei gioielli monumentali di


Torino, che nel 1997 fu anche proclamato patrimonio dell’umanità dall’unesco: si
tratta della Residenza Sabauda per la Caccia e le Feste, matrimoni (attività venali)
edificata a partire dal 1729 su progetto proprio di Filippo Juvarra, dove venivano
accolti gli ospiti dopo le battute nelle campagne circostanti. Furono poi creati viali
che portano a varie località. Si tratta di una costruzione che assume un vero e
proprio impatto urbanistico e si inserisce perfettamente nell’ambiente rurale
circostante, non un semplice palazzo: nel corso del Settecento, il complesso venne
ampliato con l'aggiunta delle scuderie e delle rimesse agricole. Anche Napoleone vi
soggiornò, nel maggio 1805, Insieme alla sorella Paolina, che fece attrezzare nelle
forme attuali il gabinetto che prende il suo nome (in occasione del suo soggiorno,
quando fu nominata governatrice del Piemonte), con l’installazione di una splendida
vasca da bagno in marmo decorata con bassorilievi rappresentanti Le insegne
imperiali con l’aquila napoleonica . Il cuore della Residenza è il grande salone ovale
provvisto di balconate di forte suggestione. Dal salone centrale, di piante ellittica e
che si sviluppa per l’intera altezza dell’edificio, partono invece quattro bracci più
bassi a formare una croce di Sant'Andrea, dove si trovano gli appartamenti reali e
quelli per gli ospiti. Ha anche una cupola in rame con maestose vetrate, affresco di
Diana. All’esterno, oggi sostituita con una copia, vi era un cervo sulla vetta (Ladatte).
In corrispondenza del primo piano vi è lungo l’intero perimetro anche un ballatoio
balaustrato. I due bracci della costruzione racchiudono un cortile esagonale e uno
ottagonale. Il tema della caccia viene ripreso anche dalle decorazioni degli altri
ambienti del palazzo, arredati da sontuoso mobilio in stile Rococò, colmo di lacche,
porcellana e stucchi dorati, con molti specchi, anticamere e anche il gabinetto
cinese. All’interno della struttura è presente anche una cappella dedicata a
Sant’Uberto e una galleria di ritratti di alcuni membri della famiglia reale dei Savoia.
Degno di nota è anche il parco adiacente la palazzina, oggi sede del Parco Naturale
di Stupinigi, che si estende per 1.700 ettari e fu progettato su modello francese.
Nella parte posteriore si articola inoltre un gioco geometrico di aiuole e viali. La
palazzina di stupinigi è importante non solo dal punto di vista architettonico
paesaggistico, ma anche come indicatore della tipica vita di Corte settecentesca,
immersa tra feste, balli, banchetti e battute di caccia. Anche le facciate esterne
come in una sorta di gigantesco ferro di cavallo creano un singolare effetto di
movimento.
1919= museo di arredamento, oggi di proprietà della fondazione ordine mauriziano

Luigi Vanvitelli
Pittore e architetto di origini olandesi infatti il nome van Wittel fu italianizzato (figlio di un
pittore vedutista), è considerato uno dei maggiori interpreti del periodo del Rococò Oltre
che il primo architetto neoclassico italiano, Per il fatto che era molto sensibile ai temi della
classicità che l’illuminismo stava rivalutando; eseguì un cospicuo numero di opere che
ancor oggi caratterizzano il paesaggio di varie città italiane: a Caserta la scenografica
Reggia, l’imponente acquedotto Carolino (per il rifornimento idrico di Napoli e la Reggia),
ad Ancona il grande Lazzaretto, su un'isola artificiale pentagonale da lui realizzata, e la
chiesa del Gesù; a Napoli il Foro Carolino; a Roma il difficile restauro della Basilica di Santa
Maria degli Angeli; il restauro della basilica di Loreto. Può essere considerato un
precursore del Neoclassicismo, dato che rinnovò profondamente l’architettura. Nacque a
Napoli nel 1700 e morì a Caserta nel 1773. Si formò a Roma nell’ambiente di Carlo Fontana
e probabilmente andrò anche in contatto con Juvarra. dopo aver partecipato a diversi
concorsi viene nominato primo architetto della fabbrica di San Pietro, collaborando con il
matematico e ingegnere Poleni alla messa in opera di una cerchiatura della cupola vaticana
di Michelangelo con 5 catene in ferro per ovviare le lesioni che la grande struttura
presentava. Vanvitelli infatti era prevalentemente un tecnico, tant’è che la realizzazione di
questo intervento assume una risonanza addirittura europea. alla luce del razionalismo
illuminista a fianco della figura dell’architetto comincia a delinearsi infatti anche quella
dell’ingegnere, esperto anche di fisica, matematica e geometria al fine di poter assicurare
scientificamente agli edifici quella solidità costruttiva che fino allora era affidata all’intuito
e all’esperienza.

Il Palazzo reale di Caserta patrimonio dell’umanità nel 97 fu


voluto dal re di Napoli Carlo di Borbone, il quale, colpito dalla bellezza del paesaggio
casertano e desideroso di dare una degna sede al governo del suo reame, volle che venisse
costruita una reggia tale da poter reggere il confronto con quella di Versailles (centro
amministrativo di uno stato moderno). 1751 La reggia doveva avere l’aspetto di un palazzo
moderno che celebrasse i fasti dei Borbone e che elevasse il Regno di Napoli e di Sicilia allo
stesso rango degli altri. Si tratta quindi anche di un simbolo politico. Si diede inizialmente
per scontato che sarebbe stata costruita a Napoli, ma si ritenne poi più sicuro collocarla
verso l’entroterra (la capitale poteva essere soggetta a eventuali attacchi) dato che i
monarchi e sovrani di Europa si stavano facendo costruire le regge fuori città, come era
stato anche per Versailles (30 km). Il palazzo reale di Napoli era inoltre sulla costa, che
costituiva un pericolo. Area di 47.000 m2º. Per realizzare il grandioso progetto fu
chiamato un architetto e ingegnere all’epoca assai stimato: Luigi Vanvitelli, anche se dopo
la sua morte nel 1773 i lavori furono continuati dal figlio Carlo. Per l’edificio principale
l’architetto progetta un corpo di fabbrica rettangolare, lungo 247 metri sui lati maggiori e
184 su quelli minori, con quattro cortili interni immaginati come piazze d’armi (gli immensi
spazi all’aperto che sembrano quasi piazze utilizzati per le adunanze militari) e definiti da
due bracci perpendicolari. La facciata ha invece andamento uniforme, appena rotto da
sporgenze al centro e ai lati che movimentano le pareti, arricchite da ben 108 finestre
(totale 1.742). All’interno la residenza si mostra sfarzosa: il vestibolo centrale, l’immenso
scalone d’onore, le milleduecento stanze, moltiplicano le vedute prospettiche in uno
straordinario gioco di rimandi. I piani sono cinque: terreno, mezzanino, piano nobile,
secondo piano e attico, oltre a un piano sotterraneo. Il perno della costruzione è però il
grande atrio ottagonale, con una complessa intersezione di volte a botte. A destra si
diparte il grandioso Scalone d’onore, che con i suoi 18 m di larghezza è il più grande e
sfarzoso d’Italia. Esso è composto dalla rampa principale che si divide in due ulteriori
rampe parallele, presidiate da due giganteschi leoni in marmo bianco con rilievi balaustre
marmoree. Attorno alla Reggia di Caserta si estende un parco di oltre 120 ettari che sfrutta
la pendenza naturale del terreno: qui, fra boschetti, fontane e giochi d’acqua, sbucano
ovunque statue di eroi e divinità della mitologia classica, che alludono alla passione per la
caccia dei regnanti. Alla fine del parco vi è una grande cascata artificiale con un enorme
bacino d’acqua ornato con il gruppo scultoreo di Diane e Atteone, scolpito da Paolo
Persico, Pietro solari e Angelo Brunelli. Esso rappresenta la dea della caccia e dei boschi
Diana circondata da ninfe e a Atteone che aveva osato guardarla nella sua nudità, e
trasformato in cervo e poi sbranato alla fine dai suoi stessi cani. Il culto di Diana era molto
popolare nella zona di Caserta ricca di foreste e animali selvatici. Vi è anche la peschiera, il
Giardino inglese con l’accostamento di elementi artificiali e naturali (apparentemente
selvaggio), il laghetto dei cigni, e le piante sono sempre disposte a formare disegni
geometrici ( Stile all’italiana che geometrizza la natura, con un utilizzo architettonico del
verde). Vanvitelli dovette affrontare i numerosi problemi di tipo tecnico, come per esempio
l’approvvigionamento delle acque per il funzionamento delle cascate artificiali e delle
fondane, per il quale fece costruire appositamente l’acquedotto che si snoda attraverso la
campagna per diverse decine di chilometri. Soprattutto in questo parco (con il lungo viale)
possiamo notare moltissimo l’influenza del giardino di Versailles, realizzato dall’architetto
Andrea le Notre per volere di re di Francia Luigi XIV. L'intera struttura è coronata da
un'ampia cupola centrale. Visitando il suo interno si è stupiti dal continuo susseguirsi di
stucchi, bassorilievi, affreschi, sculture, pavimenti a intarsio. Notevoli sono quelli della Sala
di Astrea, della Sala di Marte e della Sala del Trono, adibita al ricevimento delle
personalità. Essa magnifica il potere assoluto del sovrano: lunga più di quaranta metri,
illuminata da sei finestre e caratterizzata da dorature, ospita in fondo il trono: in legno
intagliato e dorato, con i suoi braccioli a forma di leoni alati e con le due sirene, simbolo
della città di Napoli. Secondo la mitologia la sirena Partenope, dopo aver cercato invano di
sedurre Ulisse con il suo canto, si suicidò nel golfo di Napoli: il suo corpo viaggiò per giorni
tra i flutti, per approdare sull’isolotto di Megaride (piccola isola napoletana), dove sorse la
città partenopea. Al piano nobile della Reggia, sul vestibolo superiore, si apre invece la
Cappella Palatina, mentre Il Teatro di Corte, molto simile al San Carlo di Napoli, è ubicato
nel lato occidentale della Reggia. Ha una classica forma a ferro di cavallo, con cinque ordini
di palchi e colonne di marmo alabastrino e il palcoscenico delimitato dalle statue della
Musica e della Tragedia.

Giardino del principe acquaviva

San leuco= produzione seta, bandiere buckingam palace

Il vedutismo , anche se nasce in onlanda, è un movimento


artistico sviluppatosi in Italia, soprattutto a Venezia (attiva artisticamente nonostante la
progressiva decadenza della città), che consisteva nella raffigurazione di paesaggi tramite
rigorosi principi prospettici, con particolare attenzione a luoghi dove erano presenti ruderi
ed antichità. A partire dalla fine del Settecento il termine “veduta” si sostituì infatti a quello
di “prospettiva” per definire un genere pittorico incentrato, più che sulle figure umane,
sulla natura e la città, gli scorci urbani. Rappresentazione fotografica della realtà,
indipendentemente dalla presenza attiva dell’uomo. Il paesaggio cittadino infatti era già
stato raffigurato più volte nel corso dei secoli, ma sempre come sfondo Su cui agivano i
personaggi e mai come protagonista. La cultura illuministica infatti aveva dato grande
impulso allo studio di geometria ed ottica su base razionale, Abbandonando quindi le
illusioni ottiche e le scenografie barocche. Il più importante rappresentante di questa
tendenza fu il veneziano Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto.  Nacque a Venezia nel
1697, figlio del pittore Bernardo Cesare Canal che gli trasmise la sensibilità artistica,
facendogli realizzare in giovane età fondali dipinti per le scene teatrali. Durante la sua
formazione soggiornò a Roma, per poi tornare a Venezia nel 1720 in occasione del
Carnevale. La pittura del Canaletto comincia ad acquisire caratteristiche individuali molto
precise, dato che egli fonde in modo armonico la rappresentazione topografica con la
parte architettonica e la natura, creando un insieme dettagliato dell'immagine. Nel 1746 il
Canaletto decide di trasferirsi a Londra, e vi rimane per un decennio: a questo periodo
appartengono le vedute del Tamigi e della campagna inglese dipinte per l'alta aristocrazia
locale. Gli inglesi erano molto amanti delle sue opere, che acquistavano come souvenir
durante il grand tour a Venezia I paesaggi inglesi sono calmi e silenziosi, non chiassosi e
brulicanti di vita come Venezia. Nel 1755 torna a Venezia per rimanerci, incontrando però
un progressivo declino della sua fortuna. Continuò a sperimentare, ma si andò anche
progressivamente isolando dall'ambiente artistico e da quello mondano, fino alla morte
che lo colse nel 1768, nella sua casa di San Lio. Preannuncia i paesaggisti inglesi e
l’impressionismo. L’artista dipingeva le sue opere avvalendosi talvolta della camera ottica,
che permetteva di riprodurre un paesaggio nei minimi particolari e di fatto stravolse il
modo di dipingere del fine Seicento. Si trattava di una scatola di legno portatile In cui
l’immagine, passando attraverso un obiettivo, Era riflessa su uno specchio inclinato di 45
gradi e poi proiettata su una superficie trasparente (vetro smerigliato) Sulla quale l’artista
poteva appoggiare il foglio per ricalcare le figure, ponendosi all’ombra oppure coprendosi
con un panno nero. Era inizialmente una specie di armadio trasportato da due persone,
all’interno del quale l’artista ai sedeva al buio: il secondo modello era invece molto più
piccolo. Questo permetteva all’artista di abbozzare uno schizzo, ripassando l’immagine
proiettata per poi completare il lavoro nel suo studio. Canaletto li chiamava scarabotti , e
li usava in atelier per ridipingere le scene . Si tratta di uno strumento che possiamo definire
trisavolo delle nostre macchina fotografiche (in particolare le reflex, una m f dotata di uno
specchio interno al mirino). Canaletto riesce così a rappresentare la sua Venezia con una
incredibile attenzione ai particolari, realizzando una serie di ricalchi in piccoli fogli che
accostati davano poi la veduta finale (porzione), grandangolo, cogliere in sequenza i
segmenti della rappresentazione. Ci restituisce alcune delle immagini più superbe per
conoscere com’era la Serenissima all’epoca. I particolari vengono anche ritratti tramite un
particolare uso della luce: il cielo riflesso sulle acqua, il cielo delle stagioni, la luce diffusa.
Le principali tecniche della prospettiva che gli aveva preso anche dal padre che utilizzava
nei suoi dipinti erano:

- Collocare il punto di fuga in posizione rialzata (impressione)

- Produrre delle viste grandangolari per ampliare la rappresentazione Raffigurandola


al di là del suo naturale quadro prospettico.

Gusto per le macchiette e la vita popolare, interesse nel chiaroscuro e per la prospettiva tagliata
per evidenziare effetti pittoreschi. La luce è sempre diversa nei suoi dipinti: a volte calda, fredda, si

abbassa, è più accessa. Canal grande verso la Punta della


Dogana, realizzato verso il 1727, è uno dei dipinti più famosi del maestro, che ritrae
un suo amatissimo angolo di Venezia, oggi conservato presso la Pinacoteca di Brera. Del
dipinto si conoscono almeno 3 repliche, a testimonianza di come con il disegno della
camera ottica si potessero realizzare più soggetti. Al centro della veduta corre il Canal
Grande sul quale Canaletto dipinse gondole e piccole imbarcazioni. A sinistra, si intravede
la facciata laterale Di palazzo barbarigo, dietro al quale si intravede quasi per intero la
cupola barocca della basilica di Santa Maria della salute the bounty a destra, sul campo,
sono dipinte alcune figure umane colte nella loro quotidianità, mentre in fondo,
all’orizzonte, si alzano gli alberi delle imbarcazioni lontane. A destra Possiamo osservare
invece la lunga successione gli edifici signorili, che inizia con la grandiosa facciata
rinascimentale di palazzo corner.. Le abitazioni di Punta della Dogana si fondono in una
sottile linea sopra lo specchio d’acqua. Il cielo è ampio e luminoso, attraversato da sottili
nubi bianche e reso con colori luminosi e brillanti. Grazie all’uso di tonalità chiare l’artista
riesce a definire con grand freschezza tutta la scena nelle sue componenti, senza eccessi
descrittivi neanche nelle macchiette dettagliate in atteggiamenti e vesti. Il cielo, Animato
dalle luci mattutine, riempie quasi i tre quarti della tela e si riflette sulle calma acque del
canale. Il punto di fuga è molto decentrato sulla destra per evidenziare al massimo i palazzi
a sinistra.

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