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info/scu01137/
I MUSEI CAPITOLINI
I Musei Capitolini comprendono un complesso di edifici localizzati sul colle del
Campidoglio, uno
dei Sette Colli di Roma. Nellantichit il colle era il cuore religioso e politico della citt,
luogo dove
sorgevano molti templi, incluso il grandioso Tempio di Giove Capitolino che dominava il
Foro.
Durante il Medioevo, gli edifici antichi subirono una progressiva decadenza. Sorsero
dalle loro
rovine le nuove strutture municipali: il Palazzo dei Senatori, che fu costruito in gran
parte nel XIII e
XIV secolo e che dava le spalle al Foro per guardare la Roma Papale e la Chiesa di San
Pietro; e il Palazzo dei Conservatori (magistrati), costruito nel XV secolo alla destra del
Palazzo dei Senatori.
Una donazione fatta nel 1471 segna l'inizio di una nuova funzione degli edifici sul
Campidoglio e
rappresenta un nuovo lascito che arricchisce il patrimonio artistico dell'antichit
romana. In
quellanno, Papa Sisto IV trasfer al Campidoglio quattro famose sculture antiche in
bronzo dal
Palazzo di Laterano, la residenza papale principale dellepoca. Nel 1537 Papa Paolo III
commission a Michelangelo il trasferimento di un'altra scultura dal Laterano alla
piazza di fronte
al Palazzo dei Senatori: la monumentale statua equestre in bronzo dellImperatore
Marco Aurelio
che era scampata alla distruzione durante il Medioevo e che si era creduto
successivamente
rappresentasse Costantino, il primo imperatore cristiano. Michelangelo fu incaricato
anche di
ridisegnare larea, conosciuta come Piazza del Campidoglio. Egli disegn le nuove
facciate dei
Palazzi dei Senatori e dei Conservatori, completate dopo la sua morte nel 1564. Per
bilanciare il
Palazzo dei Conservatori, concep un edificio abbinato, il Palazzo Nuovo, che fu finito
nel 1667.
Insieme, questi edifici costituiscono i Musei Capitolini. La piazza fu completata
solamente nel 1940
sotto Mussolini, ma si attiene grandemente al disegno originale che appare in
un'incisione di XVI
secolo. Nel XVI secolo le collezioni dei Musei Capitolini aumentarono notevolmente
attraverso
Capitolina)
il
Campidoglio
fu
sede
dell'archivio
pubblico
romano
Enea.
di ceramica dell'et del Bronzo e dei resti di un probabile fondo di capanna dell'VIII
sec. a.C. Un deposito votivo arcaico, con ceramica miniaturistica, focaccette di
impasto ed altre offerte votive, fu messo in luce negli anni 1926-27 nell'isolato tra le
vie del Campidoglio e di Monte Tarpeo e la scalinata del Vignola.
Il tempio di Giove Capitolino era dedicato a Giove Ottimo Massimo, insieme alle
altre due divinit della triade capitolina, Giunone e Minerva.
La costruzione fu iniziata da Tarquinio Prisco e portata a termine dall'ultimo re di
Roma, Tarquinio il Superbo, ma il tempio fu inaugurato solo all'inizio della
Repubblica nel 509 a.C.
L'edificio templare sorgeva su un alto podio con scalinata di accesso sulla fronte.
Doveva essere circondato da un colonnato su tre lati, con altre due file di colonne
allineate con quelle della facciata nel profondo pronao che precedeva le tre celle,
quella centrale pi larga delle altre secondo i canoni del tempio tuscanico.
I resti ancora conservati delle fondazioni e del podio, in gran parte al di sotto del
Palazzo Caffarelli, sono costituiti da enormi strutture murarie parallele a blocchi di
cappellaccio e testimoniano la grande estensione del basamento del tempio (circa
55x60 m).
Sul tetto ricordata una grandiosa quadriga in terracotta, realizzata dall'artista
etrusco Vulca di Veio nel VI sec. a.C. su commissione di Tarquinio il Superbo,
sostituita poi da una di bronzo all'inizio del III sec. a.C.
Il tempio fu ricostruito in marmo dopo la distruzione totale provocata dai violenti
incendi dell'83 a.C., del 69 e dell'80 d.C.
Il tempio di Giunone Moneta, votato daL. Furius Camillus durante la guerra con gli
Aurunci,
fu
dedicato
a.C..
Le fonti antiche, riportando l'episodio delle oche sacre a Giunone che avvertirono i
Romani durante l'assedio gallico del 390 a.C., sembrano ricondurre ad un edificio
templare precedente, a cui sono state ricollegate due terrecotte architettoniche
arcaiche dal giardino dell'Aracoeli databili tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a.C.
I resti di un grande muro in opera quadrata di cappellaccio e tufo di Fidene conservati
nel medesimo giardino, riferiti da alcuni studiosi alle fortificazioni dell' Arx, potrebbero
essere attribuiti alle presunte fasi arcaica e medio-repubblicana del tempio di Giunone
Moneta.
Il rifacimento di et imperiale sarebbe invece testimoniato dai due muri paralleli in
opera cementizia che si innestano perpendicolarmente alla struttura tufacea.
Dall'appellativo Moneta, riferito alla specifica qualit di ammonitrice della divinit,
deriv
il
nome
dato
all'officina
di
coniazione
del
denaro,
denominata
anch'essa Moneta , che in et repubblicana era ubicata nei pressi del tempio di
Giunone.
Resti di una struttura in blocchi di cappellaccio, attribuiti all' Auguraculum , sono
visibili nel giardino di fronte all'ingresso di Sisto IV del palazzo Senatorio.
Da questo spazio ritualmente tracciato, rivolto verso il Foro, gli auguri osservavano il
volo degli uccelli per interpretare la volont degli dei.
Palazzo dei conservatori. Sede dellamministrazione cittadina, il palazzo fu costruito ex
nuovo da Nicolo V (1447-1455). Nel cortile del palazzo furono trasferite nel 1471 alcuni
bronzi antichi dalla collezione pontificia del Laterano da Sisto IV (Francesco della
Rovere) appena elletto papa, sulla scalinata del palazzo si conserva liscrizione della
donazione. Le statue includevano la lupa capitolina, framm. Di una statua colossale di
Costantino (testa, mano con il globo, piede-forse-), lo spinario e forse il Camillo. Nel
1486 fu aggiunto il bronzo dorato di Ercole, scoperto nel Foro Boario (ara maxima).
Con inocenzzo VIII si aggiungono i framm. Di mamro di una statua colossale di marmo
di Costantino scoperte negli scavi della Basilica Nuova. Nel 1517 si portano per la
decorazione delle scalinate del palazzo dei senatori le due statue dei fiumi Tevere e
Nilo dalle terme di Costantino. La trasformazione del palazzo e della piazza antistante
dovuto al proggetto di Michelangelo a partire dal 1546: la scalinata dvanti al palazzo
senatorio realizzato nel 1550. La scalinata verso il Campo marzio costruito durante il
pontificato di Pio IV (1559-1566) quando sono aggiuni i due leono in basalto scoperti
nel iseum campense e le due statue dei dioscuri posti da michelangelo a coronare la
scalinata. La morte di Michelangelo nel 1564 ha interrotto i lavori. Con clemente VIII
(1592-1605) si cominciano i lavori per la costruzione del palazzo Nuovo con la fontana
del marforio. La costruzione del palazzo nuovo si conclude durante il pontificato di
Inocenzo X Pamphili. Il Nuovo museo inaugurato nel 1734 da Clemente XII dopo
lacquisizione della collezione Albani formata da 418 sculture antiche.
Cortile.
Sul primo ripiano dello Scalone che, prima della costruzione della Pinacoteca, si
presentava come un cortiletto scoperto, sono murati dal 1572-1573 quattro grandi
rilievi storici provenienti da importanti monumenti pubblici. I primi tre, giunti in
Campidoglio gi nel 1515 dalla chiesa dei Santi Luca e Martina, fanno parte di una
serie di undici pannelli, otto dei quali reimpiegati per la decorazione dell'Arco di
Costantino. La loro collocazione originaria pu essere attribuita a monumenti ufficiali
dedicati a Marco Aurelio tra il 176 e il 180 d.C. Il quarto rilievo, proveniente da un
monumento dedicato ad Adriano e rinvenuto presso piazza Sciarra, fu acquistato dai
Conservatori nel 1573 per completare il ciclo decorativo. Salendo la scala, sulla destra,
si trova il pannello raffigurante Marco Aurelio che sacrifica davanti al Tempio di Giove
Capitolino. L'imperatore raffigurato con il capo velato, mentre versa incenso su un
tripode: accanto a lui il camillo, giovinetto assistente ai sacrifici, unflamen,
riconoscibile dal caratteristico copricapo, e il vittimario, pronto a sacrificare il toro che
compare alle spalle del gruppo. La scena si svolge davanti al Tempio di Giove
dell'imperatore
Adriano,
ma
ciononostante
divinizzata
dopo
la morte.
L'imperatore, seduto su uno scranno, assiste, alla presenza del Genio del Campo
Marzio, all'apoteosi di Sabina che si solleva dalla pira funeraria sulle spalle di una
figura femminile alata, riconoscibile come Aeternitas. Sullo stesso ripiano sono
collocati due splendidi pannelli in opus sedile rappresentanti tigri che aggrediscono
vitelli. Si tratta di due dei pochissimi elementi superstiti (altri due pannelli pi piccoli
sono conservati al Palazzo Massimo alle Terme) della splendida decorazione marmorea
della cosiddetta ''Basilica di Giunio Basso" all' Esquilino. La grande aula, costruita da
Giunio Basso, console nel 317 d.C., presentava le pareti interamente ricoperte da
tarsie marmoree dalla splendida policromia: dopo la distruzione dell'edificio i preziosi
partiti decorativi sono ricostruibili solo attraverso disegni antichi.
Sala degli orazi e curiazi. L'Aula grande, detta degli Orazi e Curiazi dal soggetto di uno
degli affreschi, era destinata alle udienze del Consiglio Pubblico dei Conservatori.
L'incarico di decorare la sala fu affidato nel 1595 a Giuseppe Cesari, detto il
Cavalier d'Arpino (1568-1640), esponente di spicco del manierismo romano. La
conclusione dei lavori era prevista per il Giubileo del 1600, ma nel 1613 erano
compiute solo le prime tre scene. Dopo una interruzione di oltre vent'anni i lavori
terminarono nel 1640.
Il ciclo degli affreschi illustra alcuni episodi della storia delle origini di Roma narrati
dallo storico Tito Livio. Le scene fingono una serie di arazzi divisi, nei lati lunghi, da
festoni di frutta e fiori, trofei d'armi e vasi lustrali. Alla base delle pareti un fregio a
finto marmo di Cesare Rossetti con medaglioni monocromi recanti episodi storici.
In
ordine
di
esecuzione
il
ciclo
inizia
da:
Ritrovamento della lupa con Romolo e Remo (1596): Faustolo scopre sotto i rami
di un fico, sulla riva del Tevere, la Lupa che allatta Romolo e Remo. Nella figura della
lupa evidente il richiamo alla Lupa capitolina conservata nel palazzo e simbolo della
citt.
Battaglia di Tullo Ostilio contro i Veienti e i Fidenati (1597-1601): con vivacit
rappresentato un episodio della guerra di espansione intrapresa dai Romani contro le
citt
vicine
al
tempo
di
Tullo
Ostilio,
terzo
re
di
Roma.
Combattimento tra gli Orazi e Curiazi (1612-1613): episodio della guerra di Roma
contro la vicina citt di Albalonga che si concluse con un duello tra i rappresentanti di
Roma, gli Orazi, e quelli di Albalonga, i Curiazi. Gli eserciti contendenti assistono alla
scena finale del duello, quando l'ultimo degli Orazi sta per colpire l'ultimo degli
avversari.
Ratto delle Sabine (1635-1636): in primo piano il gruppo delle donne Sabine rapite
dai Romani per popolare la citt da poco fondata. L'affresco, eseguito dopo circa
vent'anni d'interruzione, condivide con le ultime due scene una tecnica pittorica pi
rapida
sommaria,
tipica
della
tarda
maniera
del
Cavalier
d'Arpino.
fuoco
sacro
che
le
Vestali
dovevano
custodire
sempre
acceso.
della
sala
vi
sono
due
magnifiche statue
onorarie
di
stabilire se la statua fosse seduta o stante; in questo caso il bronzo colossale doveva
raggiungere unaltezza di otto o nove metri circa. La mano in bronzo con il globo (S
1065, S 1070), attribuita secondo la tradizione allo stesso colosso bronzeo, potrebbe
invece appartenere ad una statua diversa: le caratteristiche tecniche della fusione del
bronzo
sembrano
infatti
differenti
da
quelle
della
testa.
Lopera,
collocata
originariamente davanti al palazzo lateranense, fa parte del gruppo dei bronzi donati
in Campidoglio da Sisto IV nel 1471, segnando di fatto la nascita del complesso
museale capitolino.
II primo a colonizzare l'Esquilino come sede di residenze di lusso fu, secondo le fonti
letterarie, Mecenate, il quale port a termine la bonifica della zona precedentemente
occupata da un millenario sepolcreto con un'operazione urbanistica celebrata da
Grazio. L'area dell'antica necropoli esquilina fu infatti ricoperta da uno spesso interro,
che consent di trasformare una zona malfamata in un'area residenziale di
straordinario prestigio. Della sontuosa dimora, fatta costruire nella seconda met del I
secolo a.C. da questo illustre personaggio amico e consigliere di Augusto, gli scavi
ottocenteschi hanno messo in luce pochi resti: l'unico ambiente attualmente
conservato il cosiddetto Auditorium, probabilmente un triclinio estivo semiipogeo e
decorato da affreschi riferibili a due fasi: la prima del 40 a.C., attribuibile allo stesso
Mecenate, e la seconda del primo decennio d.C. quando la villa era gi passata sotto
la propriet imperiale. Gli affreschi, purtroppo mal conservati, rappresentano vedute di
giardini nei quali sono inserire piccole sculture e fontanelle, quasi a voler annullare la
mancanza di aperture sull'esterno della grande sala.
In et neroniana la villa che si estendeva a cavallo delle mura serviane,
evidentemente non pi funzionali alla difesa della citt, costitu una sorta di
continuazione dell'immensa estensione territoriale occupata dalla Domus Aurea. E cos
il Palazzo imperiale sempre pi simile alle regge dei sovrani ellenistici, amplificava gli
spazi a sua disposizione "specializzando" i diversi nuclei edilizi a seconda della loro
funzione: la zona del Palatino destinata a sede di rappresentanza, i settori dell'Oppio e
dell'Esquilino connotati come ville di piacere. Famosa la battuta che circolava a Roma
dopo la costruzione della Domus Aurea e riportata da Svetonio: "Roma diverr la sua
casa: migrate a Veio, Romani, ammesso che questa casa non inglobi anche Veio!". Da
una torre situata nella zona pi elevata degli Horti di Mecenate, sembra, Nerone
assistette allo spettacolo dell'incendio di Roma. Estremamente problematica risulta la
ricostruzione dell'apparato decorativo di questa residenza, dal momento che la
maggior parte delle sculture emerse dagli scavi era stata reimpiegata come materiale
da costruzione in murature tardoantiche o altomedievali. Particolarmente significativo,
considerati gli interessi del padrone di casa, appare il ritrovamento in questa zona di
una serie di erme con ritratti attribuibili a personaggi della cerchia letteraria ed esposti
nella Sala VI: una presenza di grande rilievo in connessione con l'attivit di Mecenate,
noto come protettore delle aiti, e soprattutto in relazione a quanto ci tramandano le
fonti letterarie sull'arredo scultoreo delle case dei personaggi pi in vista. Nella casa di
un intellettuale (come nel caso di Mecenate) o di un aspirante tale, non poteva infatti
mancare una biblioteca, decorata dalle immagini dei pi famosi letterati greci e latini.
Nel programma decorativo di questa residenza immersa nel verde ben si inseriscono i
piccoli rilievi con scene idilliche e il raffinatissimo esempio di arte neoattica
rappresentato dalla fontana a forma di rhytn firmata dall'artista Pontios, che trova un
immediato riscontro tematico nel bellissimo rilievo con Menade danzante, replica
neoattica del donario votivo coregico per le Baccanti di Euripide creato da Kallimachos
nel 406-405 a.C.
Il programma decorativo
scultoreo degli
horti
comprendeva
anche
opere
di
straordinario impegno artistico come quelle esposte nella Sala VI; tra di esse la testa
di Amazzone, copia da un famosissimo originale greco del V secolo a.C., e la bellissima
statua di Marsi in marmo pavonazzetto capolavoro di virtuosismo scultoreo. Dalla zona
degli horti delTEsquilino proviene anche il gruppo scultoreo dell'Auriga collocato nella
Sala VII che, solo a seguito di una recente analisi, ha riacquistato il suo significato
originario. Lo studio stilistico e interpretativo ha infatti permesso di riaccostare le due
figure dell'auriga e del cavallo che, rinvenute ad una certa distanza una dall'altra negli
scavi della fine del secolo scorso, erano state musealizzate separatamente senza
riconoscerne la reciproca appartenenza. Il cavallo, ridotto in frammenti, fu rinvenuto
infatti nel 1873 nello smontaggio di un muro tardoantico in corrispondenza della zona
occupata dagli Horti di Mecenate. Il ritrovamento dell'auriga avvenne invece nel 1874,
diverse centinaia di metri pi a nord rispetto al cavallo, vicino alla chiesa di S. Eusebio,
a Piazza Vittorio. Anche in questo caso la scoperta avvenne durante la demolizione di
un muro "dei bassi tempi" costruito con migliaia di frammenti di scultura dalla
ricomposizione dei quali derivano molte delle sculture esposte nel settore dedicato
agli Horti Tauriani. Il gruppo statuario cos ricomposto presenta dunque una figura
maschile nuda nell'atto di salire su un carro trainato da due cavalli: la scena stata
interpretata come la rappresentazione del ratto di Antiope, regina delle Amazzoni, da
parte di Teseo. Alcuni segni presenti sulla figura maschile fanno infatti ipotizzare la
presenza di un altro personaggio, l'Amazzone rapita appunto, vicino all'eroe: ma di
questa scultura non si sono trovate tracce nelle collezioni capitoline. Dal punto di vista
stilistico l'opera appare,, non gi una copia di un modello greco codificato, bens una
reintepretazione di et romana di stilemi greci del V secolo a.C. Significativa appare la
presenza, nell'ambito degli Horti di Mecenate, di alcune statue femminili identificabili
come Muse, specchio della fama del padrone di casa come protettore delle aiti e degli
trovata nella stessa zona e trasformata, alla fine dell'Ottocento, in Roma Cristiana per
decorare la sommit della torre capitolina. Un'ambientazione all'interno di una
residenza immersa nel verde sembra particolarmente appropriata per le opere esposte
nella Sala V: la statua di mucca, forse parte di un gruppo pastorale, probabilmente
copia della famosissima statua in bronzo di uguale soggetto creata da Mirone per
l'Acropoli di Atene e portata a Roma ali'epoca di Vespasiano.
Ben inseribili nella decorazione di un giardino sono anche i rilievi: uno, particolarmente
raffinato, rappresenta un paesaggio sacro con un santuario circondato da alte mura,
mentre gli altri due, purtroppo frammentari, sono di manifattura neoattica e
rappresentano le quadrighe di Helios (il sole) e Selene (la luna) che corrono una
incontro all'altra. Alla decorazione dei giardini della villa devono essere riferiti i due
grandi crateri decorati rispettivamente con scene relative al mondo dionisiaco e con la
raffigurazione delle nozze di Paride ed Elena, mentre alla fase imperiale degli horti
devono essere attribuiti gli splendidi ritratti di Adriano, Sabina e Matidia, rinvenuti
nella demolizione dei muri tardoantichi degli Horti Tauriani collocati in galleria.
La fortunatissima stagione che per l'archeologia romana ebbe inizio nel 1870 con la
proclamazione di Roma Capitale d'Italia permise di esplorare intere zone della citt in
maniera sistematica: certo si trattava di scavi finalizzati alla costruzione di quartieri
residenziali oppure dei grandi edifici destinati ad accogliere le sedi dei Ministeri e
quindi necessariamente difficili ed affrettati. Ciononostante il Quirinale, il Viminale e l'
Esquilino, poli dell'espansione urbanistica di fine secolo, restituirono una tale messe di
materiali e di dati topografici da costituire un intero Museo e da rappresentare
materiale di studio per intere generazioni di archeologi. Queste zone della citt
rappresentavano infatti un fecondissimo terreno di ricerca perch, pur essendo
contigue al centro storico, mostravano, prima dei grandi cambiamenti, un impianto
edilizio estremamente rarefatto, caratterizzato da ville con vasti giardini, vigne, orti: si
andava quindi a esplorare un terreno vergine, non sconvolto, come nel resto della
citt, dall'ininterrotto succederei delle fasi abitative.
La supervisione dei lavori di scavo in queste zone fu affidata, per competenza
territoriale, alla Commisssione Archeologica Comunale: per questo motivo le raccolte
archeologiche capitoline si sono arricchite di una straordinaria documentazione su un
fenomeno urbanistico, al confine tra la sfera pubblica e quella privata, situabile
cronologicamente tra la fine della repubblica e l'inizio dell'et imperiale. Si tratta degli
horti, cio di complessi residenziali immersi nel verde, caratterizzati da uno
spettacolare apparato decorativo, nati ai margini del centro monumentale come
prestigiose dimore delle pi illustri famiglie gentilizie della tarda repubblica e poi
passati a far parte delle propriet imperiali. Nella prima et imperiale gli horti
costituivano una ininterrotta corona di verde intorno al centro della citt, non
diversamente dalle ville gentilizie della Roma moderna: proprio la situazione che i
lavori edilizi di fine Ottocento andavano gravemente compromettendo. Le cronache
dell'epoca riportano i numeri delle scoperte avvenute durante i lavori: "705 anfore con
importanti iscrizioni; 2360 lucerne di terracotta; 1824 iscrizioni scolpite nel marmo o
nella pietra; 77 colonne di marmi rari; 313 pezzi di colonne; 157 capitelli di marmo;
118 basi; 590 opere d'arte di terracotta; 405 opere d'arte in bronzo; 711 tra gemme,
pietre incise e cammei; 18 sarcofagi di marmo; 152 bassorilievi; 192 statue di marmo
in buone condizioni; 21 figure di animali in marmo; 266 busti e teste; 54 pitture in
mosaico policromo; 47 oggetti d'oro e 39 d'argento; 36679 monete d'oro, d'argento e
di bronzo; e una quasi incredibile quantit di piccole reliquie di terracotta, osso, vetro,
smalto, piombo, avorio, bronzo, rame, stucco".
Per ospitare le sculture di maggior prestigio rinvenute in quegli anni fu creata da
Virgilio Vespignani, all'interno di un cortile scoperto del Palazzo dei Conservatori, la
cosiddetta Sala Ottagona, un padiglione in legno dalle eleganti decorazioni, che fu
inaugurato nel 1876, pochi anni dopo l'inizio degli scavi. Al momento della sua
apertura la sala conteneva 133 statue ma, nei 27 anni della sua esistenza e fino alla
demolizione nel 1903, il padiglione di Vespignani accolse un numero sempre maggiore
di opere che venivano restaurate ed esposte man mano che i lavori di esplorazione
procedevano e sempre nuove sculture venivano alla luce. Nel 1903 il Museo del
Palazzo dei Conservatori conquist nuovi spazi adiacenti al giardino interno che aveva
ospitato la Sala Ottagona e un nuovo allestimento delle opere, suddivise secondo la
loro provenienza, fu curato da Rodolfo Lanciani, grande personaggio dell'archeologia
romana dell'epoca. Oggi molte di quelle opere tornano nelle stesse sale con un nuovo
allestimento che mette in evidenza la preziosit dei marmi e la qualit artistica delle
statue antiche rispettando, nello stesso tempo, le scelte museografiche di quella
originaria sistemazione.
Gli scavi eseguiti alla fine degli anni Trenta sotto la piazza del Campidoglio, tra il
basamento di Marco Aurelio e il Palazzo Senatorio, per realizzare una galleria
sotterranea che mettesse in comunicazione i tre palazzi capitolini, hanno evidenziato
una situazione archeologica inaspettata; l'area era tradizionalmente identificata con
lasylum in cui Romolo aveva radunato i rifugiati dai vicini villaggi per popolare la
nuova citt. Il piano della piazza attuale a circa 8 metri dal-livello di una strada
antica che, salendo dal Campo Marzio, percorreva il fondo di una stretta valle che si
insinuava tra i due pendii delarx e delCapitolium: la strada era costeggiata da edifici
in laterizio di et imperiale, l'ultimo dei quali era caratterizzato da pilastri con mensole
a sostegno di balconi. Il pendio dellArx era poi occupato da strutture laterizie
pertinenti a edifici a pi piani che si disponevano ai lati di una strada pi alta di quella
di fondo valle e diretta verso la sommit dell'arar.-Potenti muri di terrazzamento in
grandi blocchi di tufo sostenevano poi i pendii. La strada proveniente dal Campo
Marzio doveva girare verso il Capitolium costeggiando il Tempio di Veiove e il
Tabularium.
La Galleria Lapidaria
Nel 2005 stato inaugurato all'interno della Galleria di Congiunzione il nuovo
allestimento di iscrizioni antiche, latine e greche, pertinenti alla prestigiosa collezione
epigrafica dei Musei Capitolini. Le pareti della Galleria furono utilizzate gi negli anni
cinquanta del Novecento per alloggiare circa 1400 iscrizioni marmoree d et romana,
provenienti in parte dalle sale dell' Antiquarium del Celio, chiuso per ragioni statiche
pochi anni dopo l'apertura (1929), e in parte da nuove sistemazioni all'interno dei
Musei Capitolini. Questo allestimento fu inaugurato nel 1957 in occasione della visita
in Campidoglio degli studiosi riuniti a Roma per il III Congresso Internazionale di
Epigrafia Greca e Latina. Gravi problemi di infiltrazioni d'acqua e di umidit hanno
portato nel corso degli anni settanta del Novecento alla chiusura al pubblico della
Galleria di congiunzione e al progressivo distacco dalle pareti delle iscrizioni, per
ovviare al rischio di un processo di degrado del marmo con conseguente caduta della
superficie iscritta dei reperti. Il completamento di un ventennale lavoro di restauro e la
costituzione di una banca dati epigrafica digitale hanno costituito la base per
l'elaborazione e l'attuazione del nuovo progetto di allestimento delle iscrizioni, da
tempo conservate in depositi comunali di diversa dislocazione. Nell'ordinamento degli
anni cinquanta le iscrizioni erano per lo pi cementate sulle pareti delle scale che
scendono in Galleria e molte a notevole altezza: di conseguenza si percorrevano le
scale restando impressionati dalla quantit e dal fascino del reperto antico, ma non
c'era alcuna possibilit di comprensione dei testi, mancando per di pi qualsiasi ausilio
didattico. Il nuovo allestimento coniuga oggi un alto livello di scientificit con le pi
moderne istanze di fruizione. Il testo antico presenta certo problemi di approccio pi
complessi rispetto alle opere scultoree o pittori che: manca il valore estetico ed
difficile comprendere la testimonianza scritta e il suo significato. Per tali ragioni la
comunicazione delle informazioni nel nuovo percorso stata strutturata su tre livelli,
che forniscono una conoscenza progressivamente pi specifica: didascalia, con
trascrizione del testo antico; pannelli, consultazione informatica della banca dati
epigrafica. Altra peculiarit innovativa di questo allestimento la creazione di uno
specifico percorso per i portatori di handicap visivo mentre un commento musicale
"cattura" il visitatore all'inizio del percorso espositivo nel Palazzo dei Conservatori e lo
accompagna, con musiche diversificate, fino al magnifico affaccio sul Foro Romano.
Il percorso
La particolare ambientazione dei reperti intende rievocare l'immagine di un'antica via
consolare romana sotto un ciclo notturno, in cui nelle costellazioni, in omaggio al
Il culto
Queste iscrizioni costituiscono degli esempi di devozione alla divinit: dall'offerta al dio
venerato, fatta anche a seguito di un sogno, agli ex voto in lingua latina e greca.
Particolari le dediche di '"itus et reditus'"' (andata e ritorno), relative al buon esito di
un viaggio, e le iscrizioni riferibili ai bidentalia, i luoghi colpiti da un fulmine.
Considerati funesti, questi venivano recintati e in essi si nascondeva sottoterra una
pietra come simbolo del fulmine caduto. Il sacrificio di una pecora (bidens), il cui nome
latino allude probabilmente alla caratteristica del maggiore sviluppo di due denti,
completava il rito purificatorio.
Il diritto
L'epigrafia giuridica riguarda testi antichi inerenti disposizioni di legge a carattere
pubblico e privato iscritti su metallo, marmo e altri materiali. Il bronzo divenne
comunque la materia usuale, scelta per praticit d'uso e conservazione. Le disposizioni
di legge, per avere valore, non dovevano necessariamente essere rese pubbliche, ma
talvolta le tabulae che le contenevano venivano esposte a Roma in luoghi idonei,
mentre in Italia e nelle province dell'impero la pubblicazione degli atti avveniva
esponendo il testo iscritto, copia di un esemplare inviato dalla capitale. Questa sezione
comprende testi giuridici che si datano dall'et repubblicana (II secolo a.C.) al IV
secolo d.C., riferibili a disposizioni di diversa natura: due editti emanati da magistrati,
una legge e un senatoconsulto (disposizione del senato). L'editto del pretore Lucius
Sentius, in carica tra il 93 e l'89 a.C., riguarda la delimitazione dei luoghi dell'Esquilino,
e vieta di bruciare cadaveri e depositare immondizie all'interno del confine della citt.
Ne esistono altre due copie, una alla Centrale Montemartini e l'altra nel Museo
Nazionale Romano: la prima conservava tre righe dipinte, oggi non pi visibili, che
dicevano ""porta via le immondizie per non essere punito". Simile nei contenuti
all'editto di Sentius e sempre inerente la tutela di un'area urbana ritenuta
dell'Esquilino il senatoconsulto "De pago montano'1''. Il secondo editto, che riguarda
le frodi dei negozianti (IV secolo d.C.), il capo invece al praefectus Urbi, il funzionario a
cui spettava a Roma il potere giudiziario e di polizia e che proprio nel IV secolo, a
seguito del trasferimento del residenza imperiale in Oriente, divenne il vero
responsabile della citt. La Lex horreorum" (legge riguardante i magazzini), secondo
la definizione contenuta nel testo, tramanda un bando di locazione con il relativo
capitolato per prendere in affitto dei locali di propriet imperiale.
Professioni e mestieri
La sezione inizia con gli apparitores di magistrati (personale subalterno loro
assegnato), un littore (lictor) e un messo consolare (viator consularis), un servo
pubblico era invece addetto a funzioni rituali nell'ambito di un collegio sacerdotale.
Seguono esponenti dell'amministrazione imperiale; alcuni rivestono mansioni legate
alla gestione finanziaria, quali un responsabile dell'ufficio per la riscossione delle tasse
Senatorio, sede del Senato Romano, costituito nel, 1144, e del suo capo simbolico, il
Senatore. Il Palazzo Senatorio stato ampliato e modificato nel corso dei secoli e i
diversi ambienti di et romana sono stati variamente utilizzati a seconda delle
esigenze che via via si manifestavano: essi hanno ospitato la "salara del Campidoglio"
fino al XVII secolo, cucine, staUe e servizi del Senatore, prigioni per i detenuti in attesa
di giudizio del tribunale senatorio.
La riscoperta del monumento romano inizia nell'Ottocento, prima con gli scavi nel Foro
Romano che rimisero in luce i templi di Vespasiano e Tito e della Concordia ai piedi del
Tabularium, poi con gli sterri degli ambienti interni.
Negli anni a cavallo della met del secolo, in seguito alla trasformazione generale
delle competenze e della struttura burocratica del Comune di Roma, in particolare in
seguito alla soppressione del tribunale senatorio e delle relative prigioni, vengono
eseguiti grandi lavori di adattamento dell'edificio alle nuove esigenze amministrative.
Vengono pertanto realizzati uffici nei piani superiori, ora nettamente separati dagli
ambienti pertinenti al monumento romano: di questi ultimi faceva parte anche la
galleria di Sisto IV, alla quale si accedeva esclusivamente dalla galleria sul fronte del
Foro.
La volont di valorizzare il monumento romano e di collegare i tre palazzi capitolini con
una galleria sotterranea porta, alla fine degli anni Trenta, a grandiosi lavori di
ristrutturazione che vedono in particolare l'apertura di due arcate della galleria sul
Foro e la scoperta del Tempio di Veiove nella galleria di Sisto IV. Gli allarmi destati dal
continuo degrado degli antichi muri e dal pericolo di slittamento di tutto il complesso
hanno portato, negli ultimi venti anni, alla realizzazione di una nutrita serie di indagini,
sulla base delle quali stato elaborato un progetto di restauro inserito in un pi ampio
piano di ristrutturazione di tutto il complesso del Palazzo Senatorio. Il Tabularium, che
deriva il suo nome dalle tabulae di bronzo nelle quali venivano incise le leggi e gli atti
ufficiali, stato identificato all'inizio del XV secolo sulla base di una iscrizione letta da
Poggio Bracciolini e poi andata perduta; l'iscrizione, molto rovinata e scritta in lettere
antiche, si poteva leggere presso la '"salara" del Campidoglio, all'interno del Palazzo
Senatorio. Da essa si evinceva che Quinto Lutazio Catulo, durante il suo consolato,
nell'anno 78 a.C., aveva eseguito il collaudo della substmctio e del Tabularium.
Un'iscrizione analoga stata trovata nel secolo scorso dal Canina incisa in alcuni
blocchi di tufo pertinenti a una piattabanda e da lui ricollocata nel corridoio su via di
San Pietro in Carcere; quest'ultima ricorda soltanto il collaudo del 78 a.C. e il nome del
collaudatore, non quello dell'edificio.
La costruzione del Tabularium stata messa in relazione con l'incendio che, nell'83
a.C., devast il Tempio di Giove Capitolino e in seguito al quale venne affidato, allo
stesso Quinto Lutazio Catulo, il compito di restaurare il grande tempio: compito che
egli complet durante la sua censura, nel 65 a.C.; in questi anni egli fu probabilmente
aiutato da quel Lucio Cornelio, ricordato in un'iscrizione funeraria, che fu prefetto del
genio e architetto proprio negli anni del consolato e della censura di Lutazio Catulo. A
giudicare dai resti degli edifici preesistenti si ha la sensazione che il Tabularium abbia
modificato le pendici del colle in modo sostanziale, realizzando un'unica, robusta
struttura a rinforzo del pendio, costituito in quest'area da terreni argillosi; il nucleo
centrale del Tabularium risulta cos articolato in vani di fondazione che danno luogo a
terrazzamenti lungo il pendio del colle. La struttura poi attraversata da una ripida
scala che giunge fino al piano del Foro Romano, sul quale si apriva con una porta in
travertino. I muri, in opera cementizia, presentano verso l'esterno un rivestimento in
blocchi sistemati alternativamente per testa e per taglio in pietra gabina o in tufo
rosso. L'articolazione dell'edificio risulta piuttosto complessa e di non facile lettura
anche per la perdita dei livelli superiori, distrutti o inclusi nelle posteriori costruzioni, e
di tutto il fronte nord-ovest sull'attuale piazza. L probabile che ci fosse infatti almeno
un altro piano sopra la galleria sul Foro, come sembra di poter dedurre dalla presenza,
nell'area forense ai piedi del monumento e forse da questo crollati, di alcuni capitelli in
travertino; a questo piano doveva condurre una scala, purtroppo assai mal conservata,
che saliva dai pressi del Tempio di Veiove. Un'ulteriore anomalia costituita
dall'originale angolo rientrante che il suo perimetro, grossomodo rettangolare, forma
in corrispondenza del preesistente Tempio di Veiove.
La visita
II lato sud-ovest, sull'attuale via del Campidoglio, presenta un muro pieno, in opera
quadrata di pietra gabina, ben conservato tra le torri medioevali di Bonifacio IX e il
contrafforte che chiude la galleria; al centro di esso, inquadrata da due specchiature
rettangolari incassate nella superficie, si apre una grande nicchia quadrangolare, della
quale stata ritrovata e lasciata in vista la soglia in travertino; specchiature e nicchia
sembrano voler alleggerire, con un effetto di chiaroscuro, l'aspetto massiccio del muro
pieno; non per escluso che la loro presenza fosse condizionata da strutture esistenti
nell'area antistante.
Scavi eseguiti nella sede stradale nei primi anni Ottanta hanno evidenziato le
fondazioni di un poderoso muro in pietra gabina che fronteggiava il Tabularium al di l
di una strada, gi individuata nell'Ottocento per la presenza dei basoli ancora in situ e
sicuramente preceduta da una strada di et repubblicana e forse da una ancora pi
antica. All'interno della nicchia, sulla cui parete di fondo rimangono tracce di uso in et
posf-antica, stato ricavato in tempi moderni l'accesso al Tabularium e alla grande
galleria. Quest'ultima si apre sul Foro Romano con arcate inquadrate da semicolonne
di ordine dorico in pietra gabina, con capitelli e architrave in travertino; sia le arcate
sia le estremit sono state chiuse in epoche successive. La galleria era coperta da
volte a padiglione, delle quali rimane un unico esempio originale nell'ultima campata
verso via di San Pietro in Carcere. Arcate separano la galleria da una serie di ambienti
interni, tre su un lato, due sull'altro di una parete piena in blocchi di pietra gabina; su
quest'ultima l'erosione eolica ha prodotto effetti molto particolari. Al centro di essa
una
porta
moderna
permette
l'accesso
un
grande
vano
di
fondazione,
del Tabularium, era possibile uscire verso il Foro tramite la vicina arcata, unica rimasta
sempre aperta. Due grandi frammenti delle trabeazioni del Tempio della Concordia e di
quello di Vespasiano e Tito sono stati rimontati nell'Ottocento sulle pareti: essi sono
frutto degli scavi realizzati all'inizio del secolo ai piedi del Tabularium. Il frammento del
Tempio della Concordia, pertinente al restauro del tempio operato da Tiberio, mostra
particolare eleganza e delicatezza degli intagli marmorei, tipiche del periodo iniziale
del principato di Augusto, il frammento del Tempio di Vespasiano e Tito, dal
caratteristco chiaroscuro e dalla particolare plasticit dei rilievi, raffigura nel fregio
oggetti di culto e strumenti sacrificali, tra i quali si notano il bucranio, la patera, il
copricapo, l'aspersorio, la brocca, il coltello. L'ambiente dove montato il cornicione
del Tempio di Vespasiano e Tito era originariamente chiuso da un muro di fondo in
corrispondenza dell'arco. Quest'ultimo stato realizzato in epoca imprecisata per la
necessit di collegare la galleria sul Foro con quella di Sisto IV; il collegamento
esistito fino ai lavori del 1939. Nel successivo vano di fondazione stata sistemata la
statua di culto del dio Veiove, rinvenuta negli scavi del 1939. Di altezza doppia del
vero, la statua, purtroppo acefala, ricavata da un unico blocco di marmo bianco. Il
dio raffigurato secondo un'iconografia giovanile, nudo ma con la spalla e il braccio
sinistri avvolti da un ampio mantello che, con pieghe larghe e piatte, arriva fino a
terra. Simile iconografia presentano alcune statuette in bronzo e alcune monete
repubblicane, gi identificate con il dio italico Veiove. Di quest'ultimo non chiaro il
carattere, per alcuni maligno, per altri benevolo, n il suo rapporto con Giove, a cui il
dio legato sia dagli attributi, i fulmini e la capra, caratteristici delle due divinit, sia
dal nome simile. E stata recentemente proposta una datazione della statua in et
sillana, coeva quindi alla costruzione del Tabularium.
L'ultimo ambiente permette di ammirare da vicino il lato posteriore del podio del
Tempio di Veiove attraverso due varchi nel muro del Tabularium, realizzati al momento
dello scavo. Tornando indietro verso la galleria, attraverso un'apertura realizzata per
esigenze di comunicazione, possibile osservare uno degli ambienti del fronte sud-est
del Tabularium. Questi ultimi, a due piani, si affacciavano su un corridoio di
disimpegno chiuso da un muro in opera quadrata in parte ancora esistente; proprio a
una piattabanda di questo corridoio appartiene l'iscrizione di Lutazio Cattilo. Il vano,
del quale nel corso del recente restauro stato possibile recuperare l'originario
pavimento in scaglie di calcare bianco, presenta ancora gran parte dell'originario
intonaco che copriva le pareti di tufo nonch l'originaria volta in muratura. Simili
caratteristiche presentano i due vani affiancati a esso sul lato nord, mentre in quello
sul lato sud inizia una scala che permette di scendere verso la galleria inferiore.
Quest'ultima corre lungo il fronte del Foro Romano, verso il quale si apre con finestre
rettangolari; tramite una porta, poi obliterata, si raggiungeva un edificio del Foro. In
et flavia la galleria stata occupata da un condotto idrico con copertura "a
cappuccina", del quale rimangono alcuni tratti. E stata poi utilizzata, forse come
magazzino, e di questa fase rimangono gli stipiti di due porte. Il pavimento attuale
stato portato a un livello inferiore di quello originario e la volta stata probabilmente
alzata: il corridoio doveva essere pertanto pi angusto e particolarmente basso. Del
fronte nord-ovest del Tabularium, verso l'attuale piazza del Campidoglio, si conservano
pochi resti, dai quali si deduce che esso, dopo la rientranza in corrispondenza del
Tempio di Veiove, proseguiva parallelamente al fronte sud-est.
Palazzo Nuovo.
Cortile. Il cortile si apre scenograficamente con la fontana di c.d. Marforio, opera
romana del I secolo d.C., utilizzata durante il Rinascimento per affiggervi le cosiddette
pasquinate, composizioni ironico-satiriche indirizzate prevalentemente contro il
governo pontificio. La parete retrostante, sistemata come facciata monumentale, reca
inserite
entro
nicchie
le
due
statue
di Satiri della
Collezione
Della
Valle,
che determina la funzione di telamone del nostro pezzo. Nella sua mano
sinistra, abbassata ed avvicinata al fianco, un grappolo d'uva.
Sala del Galata. La sala prende nome dalla statua di Galata morente scoperta negli
horti sallustiani nel 16. Marmo greco datata tra 240-220 a.C. forse copia da un
originale pergameno dedica di Attalo sulla terrazza del tempio di Athena di pergamo.
1. Galata morente
2. Gruppo di Amor e Phsiche. Rinvenuta sullavventino presso s. balbina nel 1749,
marmo greco, Avvolti in un serrato abbraccio, nell'atto di baciarsi. Le due figure
sono impostate con il peso sulla gamba interna e un forte sbilanciamento
esterno dell'anca, che determina una rotazione vistosa del busto in modo che
possano riunirsi in un abbraccio. Sono raffigurati in totale nudit, ad eccezione
di un mantello che ricopre dai fianchi in gi il corpo di Psyche, ricadendo con un
gioco di pieghe tra le gambe. Si tratta della copia di et tardo-adrianea primo
antonina di un famosissimo originale di et ellenistica. Portato a Parigi nel 1797,
fu poi riportato a Roma nel 1816. 10/06/1985 ritirato della ditta Tartaglia ed
inviato ad Atene.
3. Statua di Amazzone ferita, tipo "Mattei". Replica di prima et imperiale della
celebre statua di Amazzone ferita, attribuita a Fidia. La donna indossa come di
consueto solo un leggero chitone, che trattenuto su una sola spalla le lascia
scoperto il seno sinistro. Il peso della figura impostato sulla gamba destra,
mentre la sinistra avanzata e flessa, e sfiora solo con la punta delle dita il
suolo. Il braccio destro, sollevato, piegato ad angolo retto in modo da potere
superare il capo e giungere ad impugnare con le dita una delle frecce contenute
nella faretra indossata a tracolla.La testa, antica, non per pertinente: fu
aggiunta alla statua dopo il 1775, data in cui essa si trovava nella Sala delle
Colombe.
4. Statua di satiro. Copia di et Adrianea del Satiro in riposo di Prassitele La figura,
impostata con il peso sulla gamba sinistra, sbilanciata sulla destra dalla forte
inclinazione dell'anca opposta: per ragioni statiche allora inserito come
sostegno un tronco d'albero al di sotto del gomito destro. Il giovane
interamente nudo, ad eccezione della pardalis (pelle di pantera) che gli corre in
diagonale sul busto fino all'attacco delle cosce. Il capo appena reclinato in
avanti. La capigliatura a calotta, a piccole ciocche ricciute, pi mosse nella
parte anteriore, pi disegnative nella zona occipitale, oltre la tenia. Si tratta di
una delle numerosissime repliche della statua di Prassitele nota con il nome di
Satiro in riposo.
Albani.
Tarda
et adrianea-prima et
accentuato dalla zampa anteriore destra del quadrupede, sollevata dal suolo e
flessa. Anche il capo, volto all'indietro ed inclinato sulla destra, ne accentua il
ritmo complessivo. Il Centauro , come di consueto, interamente nudo, ad
eccezione della nebrs (la pelle di pantera) raccolta sulla spalla destra. Sul
sostegno al di sotto del ventre sono scolpite in rilievo piatto due nacchere. Sul
plinto sono incisi i nomi degli scultori che eseguirono l'opera: si tratta di Aristeas
e di Papias, probabilmente artisti provenienti da Afrodisia. Il marmo grigio, di
provenienza peloponnesiaca (Laconia), piuttosto duro da lavorare: nondimeno,
alcuni dettagli, come le vene rigonfie, la muscolatura dell'addome o la rifinitura
della capigilatura scomposta e della barba fluente sono di altissima qualit.
2. Statua di centauro giovane. Eta adrianea, villa adriana, Statua di giovane
Centauro, volta a sinistra, con le zampe al suolo, ad eccezione della zampa
anteriore destra, sollevata ad angolo retto. L'essere semi-ferino interamente
nudo, ad eccezione di un piccola pelle di animale selvatico, poggiata sul braccio
sinistro. Nella mano sinistra tiene un pedum, il piccolo bastone nodoso tipico dei
satiri. Altri attributi del mondo dionisiaco sono riconoscibili sul sostegno al di
sotto del ventre dell'animale (una syrinx ed un ramo di pino). Il marmo grigio, di
provenienza peloponnesiaca (dalla Laconia), piuttosto duro da lavorare:
nondimeno, alcuni dettagli, come le vene visibili al di sotto della muscolatura
contratta o la rifinitura della capigilatura, scomposta, sono di altissima qualit.
Sul plinto sono incisi i nomi degli scultori che eseguirono l'opera: si tratta di
Aristeas e di Papias, probabilmente artisti provenienti da Afrodisia.
3. Statua di amazzone ferita di Sosikles. Replica di et antoniniana della celebre
Statua di Amazzone ferita, attribuita a Sosikles, e nota in quasi una trentina di
copie. La figura impostata sulla gamba sinistra, la destra, arretrata, sfiora il
suolo con la punta delle dita del piede. Il braccio sinistro (parzialmente
integrato) piegato e si appoggia sul busto, il destro (anch'esso integrato)
doveva sostenersi ad una lunga lancia (non conservata). La testa reclinata in
avanti. La donna indossa un corto chitone e un himation (mantello): di
quest'ultimo appena visibile l'attacco sul collo, mentre la stoffa scivola sul
retro a coprirle le spalle. Il chitone, corto al di sopra delle ginocchia, le scivola
sul corpo, lasciando scoperto il seno destro. I capelli, pettinati con scriminatura
centrale, seguono il profilo del viso in ordinate ciocche ondulate, che arrivano a
coprire l'attacco dei lobi. Le labbra, carnose, sono appena dischiuse.
Sala di Afrodite. Si tratta di una rielaborazione di tarda et ellenistica (II o I sec. a.C.)
della celebre e amatissima statua della Afrodite Cnidia, eseguita da Prassitele intorno
al 360 a.C. per il santuario della dea a Cnido. La dea raffigurata nel momento
modi
figurativi
dell'arte
bizantina.
II
percorso
di
visita
si
snoda
questo
ritratto
di
Augusto
si
pu
avvicinare
il
ritratto
sala
sono
conservati
numerosi
ritratti
femminili,
con
complesse
acconciature, in qualche caso parrucche dai riccioli molto elaborati. Tra loro
spiccano Faustina Maggiore (sposa di Antonino Pio) e Faustina Minore, che
cambiava acconciatura a ogni nascita di figlio e della quale pertanto si
conoscono otto tipi. Molto pregevole il ritratto della "Dama flavia", dalla
complessa e articolata acconciatura e dai raffinati tratti del volto. Singolare il
busto policromo di Dama romana, il cui ritratto proviene da Smirne ed datato
al periodo di Alessandro Severo. Come molti altri di questo tipo e di questo
periodo, era composto per parti, con l'inserimento distinto della chioma; in et
moderna fu restaurata la capigliatura, forse perduta, in nero antico.
In questa sala, analogamente all'attigua Sala degli Imperatori, fin dalla
fondazione del Museo Capitolino si vollero raccogliere ed esporre i ritratti, i busti
e le erme raffiguranti le fattezze di poeti, filosofi e retori dell'antichit greca di
epoca classica ed ellenistica, le cui immagini nell'et romana (secondo una
moda introdotta dal letterato Asinio Pollione nella seconda met del I secolo
a.C.) decoravano biblioteche pubbliche e private, case gentilizie, ville e parchi di
facoltosi e sensibili cultori delle arti e della filosofia. I collezionisti rinascimentali
vollero arricchire i loro palazzi e le loro raccolte con le effigi pi rappresentative
di tanti uomini illustri.
Statua di Elena. 182. Statua di ElenaRoma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo, inv.496 |
Gi
nel
Belvedere
Vaticano,
trasferita
in
Campidoglio
nel
1566
seguito
delladonazione di papa Pio V | Marmo greco |Alt. tot. 123 cm; alt. testa (mentovertice)22,5 cm; largh. 62 cm; lungh. 147 cm. Lelegante figura seduta su una sedia
con alta spalliera e piedi ricurvi (klisms), fornita di un morbido cuscino che deborda
sui lati. La donna ha le gambe allungate in avanti con il piede destro accavallato al
sinistro, entrambi
calzati con semplici sandali e poggiati su un basso suppedaneum. vestita con un
peplo attico e con un mantello, e appare comodamente appoggiata in una posizione di
tranquillo riposo, con il busto rivolto di tre quarti verso la propria sinistra e con il
braccio sinistro poggiato sulla spalliera. Il gomito proteso indietro e la mano
mollemente abbandonata nel vuoto. La veduta privilegiata della statua capitolina era
quella frontale, dal momento che il retro rifinito in modo sommario.
Per la posizione del corpo la statua riprende un prototipo greco tardo classico,
identificato fino a pochi anni fa con una statua di Afrodite, attribuita dai diversi studiosi
a Fidia, ad Alcamene o a Calamide (Delivorrias 1978, pp. 1-23; Gasparri 2000, pp. 3-8
con bibliografia precedente) e ora riconosciuto nella statua di Igea vista da Pausania
(Paus. Graeciae descriptio I, 23, 4) sullAcropoli di Atene (Despinis 2008, pp. 268-317).
Il tipo iconografico, noto attraverso undici repliche, era molto apprezzato in epoca
romana per la raffigurazione di statue iconiche, evidentemente per via della posa, che
esprime al tempo stesso maestosa solennit e pacatezza, virt consone ai familiari
femminili di imperatori o di personaggi di alto rango. La testa risulta lavorata
separatamente e mostra incongruenze e indecisioni nel trattamento delle orecchie,
non completamente rifinite, e dellacconciatura, in particolare alla sommit, sulla nuca
e sul collo, che contrastano con laccurata esecuzione del corpo. La capigliatura
divisa centralmente da una scriminatura
e si dispone in ciocche ondulate che convergono verso le orecchie e sono raccolte sul
retro in una duplice matassa piatta cingente il capo, che scendeva a treccia ai lati del
collo. I piani facciali sono sfumati e arrotondati, il mento sporgente, la bocca
piccola con le labbra sottili e serrate. Il naso, affilato e pronunciato, caratterizzato
individualmente da unaccentuata gibbosit. Gli zigomi sono alti e sporgenti. Gli occhi,
con liride sommariamente indicata, con la pupilla incavata e con le palpebre appena
accennate, hanno lo sguardo rivolto in alto. La fronte bassa e segnata da una ruga
centrale. Questi tratti, per affinit con le immagini riprodotte nelle monete, hanno
consentito a Raissa Calza di proporre lidentificazione con Elena, madre di Costantino,
in seguito unanimemente accettata. Restano, tuttavia, alcuni interrogativi. Lidentit
del marmo del corpo e della testa induce a ritenere che il ritratto di Elena sia stato
rilavorato su un volto pi antico pertinente alla medesima statua, sebbene non
manchinoacconciaipotesi contrarie (von Heintze 1971). Alcune scheggiature presenti
lungo il bordo della veste intorno al collo fanno supporre che per lintervento di
rilavorazione la testa sia stata estratta e poi ricollocata (Arata), unoperazione
certamente rischiosa e non necessaria. Il capo risulta leggermente rimpicciolito e nella
zona occipitale era completato con parti della capigliatura lavorate separatamente,
probabilmente in stucco, e congiunte mediante perni alla testa originaria, che non
possedeva evidentemente materia sufficiente per la realizzazione della complessa
acconciatura della madre dellimperatore.
Si sostenuto che il capo avesse il diadema (contra Wegner), che divenne una
consuetudine per i ritratti femminili imperiali a partire dai primi decenni del IV secolo
d.C., ma non vi sono tracce sicure della sua presenza, in analogia alla statua di Elena
conservata agli Uffizi. Lidentificazione del personaggio originariamente raffigurato
nella scultura con una principessa di et antoniniana (Faustina Minore o Lucilla, cat.
185) sembra essere ormai accertata, per analogia con altre statue affini tratte dal
medesimo prototipo. Restano incerti, invece, il significato della scelta del soggetto
riadoperato e loccasione della nuova dedica costantiniana: il 324, anno del
conferimento del titolo di Augusta, o la divinizzazione seguita alla sua morte
(328/329). [CPP]
Nella Sala dei Filosofi ne sono attualmente esposti 79. Molti sono i ritratti di
cui stata determinata l'identit del personaggio, alcuni certamente "di
ricostruzione",creati cio molto tempo dopo la morte del personaggio e quindi
solo vagamente ricollegabili alle fattezze reali, altri invece dall'epoca ellenistica
in poi, che riproducono con una certa fedelt le diverse fisionomie. La raccolta si
apre con una numerosa rappresentanza di erme raffiguranti Omero, il pi
celebre poeta dell'antichit, raffigurato convenzionalmente nell'aspetto di
vecchio, barba e chioma fluenti, con gli occhi ormai spenti a testimoniare la
leggendaria cecit fisica, ma anche la profonda sensibilit e conoscenza
dell'anima e del destino dell'uomo. Il prototipo di questo ritratto pu attribuirsi
alla scuola artistica rodia, collocandosi cronologicamente intorno al 200 a.C. Di
ricostruzione il ritratto di Pindaro, altro celebre poeta greco, il cui prototipo