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I MUSEI CAPITOLINI
I Musei Capitolini comprendono un complesso di edifici localizzati sul colle del
Campidoglio, uno
dei Sette Colli di Roma. Nellantichit il colle era il cuore religioso e politico della citt,
luogo dove
sorgevano molti templi, incluso il grandioso Tempio di Giove Capitolino che dominava il
Foro.
Durante il Medioevo, gli edifici antichi subirono una progressiva decadenza. Sorsero
dalle loro
rovine le nuove strutture municipali: il Palazzo dei Senatori, che fu costruito in gran
parte nel XIII e
XIV secolo e che dava le spalle al Foro per guardare la Roma Papale e la Chiesa di San
Pietro; e il Palazzo dei Conservatori (magistrati), costruito nel XV secolo alla destra del
Palazzo dei Senatori.
Una donazione fatta nel 1471 segna l'inizio di una nuova funzione degli edifici sul
Campidoglio e
rappresenta un nuovo lascito che arricchisce il patrimonio artistico dell'antichit
romana. In
quellanno, Papa Sisto IV trasfer al Campidoglio quattro famose sculture antiche in
bronzo dal
Palazzo di Laterano, la residenza papale principale dellepoca. Nel 1537 Papa Paolo III
commission a Michelangelo il trasferimento di un'altra scultura dal Laterano alla
piazza di fronte
al Palazzo dei Senatori: la monumentale statua equestre in bronzo dellImperatore
Marco Aurelio
che era scampata alla distruzione durante il Medioevo e che si era creduto
successivamente
rappresentasse Costantino, il primo imperatore cristiano. Michelangelo fu incaricato
anche di
ridisegnare larea, conosciuta come Piazza del Campidoglio. Egli disegn le nuove
facciate dei
Palazzi dei Senatori e dei Conservatori, completate dopo la sua morte nel 1564. Per
bilanciare il
Palazzo dei Conservatori, concep un edificio abbinato, il Palazzo Nuovo, che fu finito
nel 1667.
Insieme, questi edifici costituiscono i Musei Capitolini. La piazza fu completata
solamente nel 1940
sotto Mussolini, ma si attiene grandemente al disegno originale che appare in
un'incisione di XVI
secolo. Nel XVI secolo le collezioni dei Musei Capitolini aumentarono notevolmente
attraverso

l'acquisizione di opere appena scoperte e grazie ai lasciti di antichi capolavori come


quelli donati da
Papa Pio V con l'intenzione di eliminare dal Vaticano gli idoli pagani. Il Palazzo dei
Conservatori
divenne cos pieno di sculture che per i dipendenti comunali fu difficile eseguire i
propri compiti.
Nel tardo diciassettesimo secolo, molte delle opere furono trasferite nel Palazzo Nuovo
recentemente ultimato, dove si trovano anche le acquisizioni del XVIII secolo pi
importanti, come
il Galata Morente e la Venere Capitolina posizionata nellesedra realizzata nel XIX
secolo. Da
allora i Musei Capitolini hanno continuato ad espandere la propria collezione,
divenendo uno dei
musei di antichit romane pi importanti al mondo.
Il Campidoglio, il pi piccolo dei colli di Roma, era articolato in due alture
(Capitolium e Arx) separate da una valle profonda corrispondente all'attuale piazza
del Campidoglio, il cui livello era circa 8 metri al di sotto dell'attuale.
I suoi fianchi erano molto scoscesi e per la sua difficile accessibilit, oltre che per la
sua posizione dominante rispetto al Tevere, fu scelto come roccaforte della citt.
Gli edifici principali erano orientati verso il Foro Romano, da cui saliva la strada
carrozzabile, il Clivo Capitolino, che conduceva fino al tempiodi Giove Ottimo
Massimo, il pi importante ed imponente della Roma antica.
Oltre che di questo e di altri edifici templari (templidi Giunone Moneta, di Veiove e
dell'Area

Capitolina)

il

Campidoglio

fu

sede

dell'archivio

pubblico

romano

(Tabularium) e della Zecca di et repubblicana.


Le origini. Le fonti antiche ricordano un centro abitato fondato da Saturno sul
Campidoglio molto prima della fondazione di Roma, dove si sarebbero poi insediati i
Greci venuti insieme ad Eracle ed in seguito i discendenti dei Troiani che
accompagnavano

Enea.

Il racconto mitico della presenza di un abitato sul Campidoglio in data anteriore a


quella tradizionalmente fissata per la nascita di Roma (753 a.C ) ha trovato conferma
nelle testimonianze archeologiche; sono infatti state messe in luce in pi luoghi tracce
della pi antica storia del colle.
Materiali sporadici databili tra il XIV e l'VIII sec. a.C. rinvenuti ai piedi del colle,
nell' area sacra di Sant'Omobono, provengono probabilmente da un abitato posto
sull'altura meridionale del Campidoglio.
Gli scavi recenti nel Giardino Romano del Palazzo dei Conservatori hanno inoltre
messo in luce resti di un insediamento protostorico, utilizzato dalla media et del
Bronzo (XV sec. a.C.) fino alla piena et del Ferro (VII sec. a.C.), con tombe ad
inumazione, possibili resti di capanne e di impianti per la lavorazione del ferro.Un
sondaggio all'interno del Tabularium ha portato alla scoperta di frammenti sporadici

di ceramica dell'et del Bronzo e dei resti di un probabile fondo di capanna dell'VIII
sec. a.C. Un deposito votivo arcaico, con ceramica miniaturistica, focaccette di
impasto ed altre offerte votive, fu messo in luce negli anni 1926-27 nell'isolato tra le
vie del Campidoglio e di Monte Tarpeo e la scalinata del Vignola.
Il tempio di Giove Capitolino era dedicato a Giove Ottimo Massimo, insieme alle
altre due divinit della triade capitolina, Giunone e Minerva.
La costruzione fu iniziata da Tarquinio Prisco e portata a termine dall'ultimo re di
Roma, Tarquinio il Superbo, ma il tempio fu inaugurato solo all'inizio della
Repubblica nel 509 a.C.
L'edificio templare sorgeva su un alto podio con scalinata di accesso sulla fronte.
Doveva essere circondato da un colonnato su tre lati, con altre due file di colonne
allineate con quelle della facciata nel profondo pronao che precedeva le tre celle,
quella centrale pi larga delle altre secondo i canoni del tempio tuscanico.
I resti ancora conservati delle fondazioni e del podio, in gran parte al di sotto del
Palazzo Caffarelli, sono costituiti da enormi strutture murarie parallele a blocchi di
cappellaccio e testimoniano la grande estensione del basamento del tempio (circa
55x60 m).
Sul tetto ricordata una grandiosa quadriga in terracotta, realizzata dall'artista
etrusco Vulca di Veio nel VI sec. a.C. su commissione di Tarquinio il Superbo,
sostituita poi da una di bronzo all'inizio del III sec. a.C.
Il tempio fu ricostruito in marmo dopo la distruzione totale provocata dai violenti
incendi dell'83 a.C., del 69 e dell'80 d.C.
Il tempio di Giunone Moneta, votato daL. Furius Camillus durante la guerra con gli
Aurunci,

fu

dedicato

sull' Arxnel 344

a.C..

Le fonti antiche, riportando l'episodio delle oche sacre a Giunone che avvertirono i
Romani durante l'assedio gallico del 390 a.C., sembrano ricondurre ad un edificio
templare precedente, a cui sono state ricollegate due terrecotte architettoniche
arcaiche dal giardino dell'Aracoeli databili tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a.C.
I resti di un grande muro in opera quadrata di cappellaccio e tufo di Fidene conservati
nel medesimo giardino, riferiti da alcuni studiosi alle fortificazioni dell' Arx, potrebbero
essere attribuiti alle presunte fasi arcaica e medio-repubblicana del tempio di Giunone
Moneta.
Il rifacimento di et imperiale sarebbe invece testimoniato dai due muri paralleli in
opera cementizia che si innestano perpendicolarmente alla struttura tufacea.
Dall'appellativo Moneta, riferito alla specifica qualit di ammonitrice della divinit,
deriv

il

nome

dato

all'officina

di

coniazione

del

denaro,

denominata

anch'essa Moneta , che in et repubblicana era ubicata nei pressi del tempio di
Giunone.
Resti di una struttura in blocchi di cappellaccio, attribuiti all' Auguraculum , sono
visibili nel giardino di fronte all'ingresso di Sisto IV del palazzo Senatorio.

Da questo spazio ritualmente tracciato, rivolto verso il Foro, gli auguri osservavano il
volo degli uccelli per interpretare la volont degli dei.
Palazzo dei conservatori. Sede dellamministrazione cittadina, il palazzo fu costruito ex
nuovo da Nicolo V (1447-1455). Nel cortile del palazzo furono trasferite nel 1471 alcuni
bronzi antichi dalla collezione pontificia del Laterano da Sisto IV (Francesco della
Rovere) appena elletto papa, sulla scalinata del palazzo si conserva liscrizione della
donazione. Le statue includevano la lupa capitolina, framm. Di una statua colossale di
Costantino (testa, mano con il globo, piede-forse-), lo spinario e forse il Camillo. Nel
1486 fu aggiunto il bronzo dorato di Ercole, scoperto nel Foro Boario (ara maxima).
Con inocenzzo VIII si aggiungono i framm. Di mamro di una statua colossale di marmo
di Costantino scoperte negli scavi della Basilica Nuova. Nel 1517 si portano per la
decorazione delle scalinate del palazzo dei senatori le due statue dei fiumi Tevere e
Nilo dalle terme di Costantino. La trasformazione del palazzo e della piazza antistante
dovuto al proggetto di Michelangelo a partire dal 1546: la scalinata dvanti al palazzo
senatorio realizzato nel 1550. La scalinata verso il Campo marzio costruito durante il
pontificato di Pio IV (1559-1566) quando sono aggiuni i due leono in basalto scoperti
nel iseum campense e le due statue dei dioscuri posti da michelangelo a coronare la
scalinata. La morte di Michelangelo nel 1564 ha interrotto i lavori. Con clemente VIII
(1592-1605) si cominciano i lavori per la costruzione del palazzo Nuovo con la fontana
del marforio. La costruzione del palazzo nuovo si conclude durante il pontificato di
Inocenzo X Pamphili. Il Nuovo museo inaugurato nel 1734 da Clemente XII dopo
lacquisizione della collezione Albani formata da 418 sculture antiche.
Cortile.
Sul primo ripiano dello Scalone che, prima della costruzione della Pinacoteca, si
presentava come un cortiletto scoperto, sono murati dal 1572-1573 quattro grandi
rilievi storici provenienti da importanti monumenti pubblici. I primi tre, giunti in
Campidoglio gi nel 1515 dalla chiesa dei Santi Luca e Martina, fanno parte di una
serie di undici pannelli, otto dei quali reimpiegati per la decorazione dell'Arco di
Costantino. La loro collocazione originaria pu essere attribuita a monumenti ufficiali
dedicati a Marco Aurelio tra il 176 e il 180 d.C. Il quarto rilievo, proveniente da un
monumento dedicato ad Adriano e rinvenuto presso piazza Sciarra, fu acquistato dai
Conservatori nel 1573 per completare il ciclo decorativo. Salendo la scala, sulla destra,
si trova il pannello raffigurante Marco Aurelio che sacrifica davanti al Tempio di Giove
Capitolino. L'imperatore raffigurato con il capo velato, mentre versa incenso su un
tripode: accanto a lui il camillo, giovinetto assistente ai sacrifici, unflamen,
riconoscibile dal caratteristico copricapo, e il vittimario, pronto a sacrificare il toro che
compare alle spalle del gruppo. La scena si svolge davanti al Tempio di Giove

Capitolino, qui in una delle raffigurazioni pi dettagliate (anche se per problemi di


spazio il tempio raffigurato con quattro colonne anzich sei), con la triade capitolina
raffigurata nel frontone e la quadriga a coronamento del tetto. Il secondo rilievo
rappresenta una scena di trionfo: l'imperatore, togato e alla guida di un carro trainato
da quattro cavalli, si accinge a passare, sotto un arco di trionfo. Lo precedono un
littore e un tibicine, mentre alle sue spalle una piccola figura di Vittoria alata incorona
il generale vincitore.
Sulla stessa parete posto il rilievo raffigurante la clemenza imperiale: Marco Aurelio
a cavallo, vestito in abiti militari con corazza e paludamentum* si accinge, con il
braccio destro sollevato, a esercitare la sua clemenza nei confronti di due barbari
inginocchiati in segno di sottomissione. L'atteggiamento dell'imperatore mostra
notevoli assonanze con quello della grande statua bronzea della piazza, sebbene in
questo caso Marco Aurelio sia rappresentato in abiti civili. 11 quarto pannello,
proveniente da un monumento eretto in onore di Adriano, mostra l'imperatore al suo
ingresso in citt (adventus) accolto dal Genio del Senato e dal Genio del Popolo
Romano e dalla dea Roma, caratterizzata da una corta tunica che le lascia scoperta la
spalla destra e dal capo sormontato da un elmo piumato. Altri due grandi rilievi storici,
provenienti dalla demolizione del cosiddetto "Arco di Portogallo", e trasportati in
Campidoglio nel 1664, ornano gli altri ripiani dello scalone monumentale. L'Arco di
Portogallo, che si trovava lungo la via Lata (attuale via del Corso), prese il nome dalla
vicinanza dell'ambasciata di quel Paese: si trattava di un monumento tardo-antico,
completamente decorato facendo uso di materiali di spoglio. Fu distrutto nel 1662
sotto il pontificato di Alessandro VII per i lavori di ampliamento della strada: i due
pannelli capitolini, derivati da un monumento in onore di Adriano, rappresentano
probabilmente gli unici elementi superstiti della decorazione dell'arco.
Scalone.
Il primo pannello rappresenta l'imperatore Adriano mentre presiede a una cerimonia
legata all'elargizione di aiuti alimentari ai bambini romani. L'imperatore raffigurato
su un alto podio, ai cui piedi si trovano le figure dei Geni del Senato e del Popolo
Romano: in primo piano la figura di un bambino togato. I volti dei personaggi
raffigurati hanno subito, probabilmente in occasione del riutilizzo del rilievo, importanti
rilavorazioni per adattarli al monumento nel quale furono reimpiegati. Sul ripiano dello
scalone che da accesso alla Pinacoteca stato sistemato l'ultimo dei rilievi storici
provenienti dall'Arco di Portogallo. Esso rappresenta l'apoteosi d Sabina, moglie non
amata

dell'imperatore

Adriano,

ma

ciononostante

divinizzata

dopo

la morte.

L'imperatore, seduto su uno scranno, assiste, alla presenza del Genio del Campo
Marzio, all'apoteosi di Sabina che si solleva dalla pira funeraria sulle spalle di una
figura femminile alata, riconoscibile come Aeternitas. Sullo stesso ripiano sono

collocati due splendidi pannelli in opus sedile rappresentanti tigri che aggrediscono
vitelli. Si tratta di due dei pochissimi elementi superstiti (altri due pannelli pi piccoli
sono conservati al Palazzo Massimo alle Terme) della splendida decorazione marmorea
della cosiddetta ''Basilica di Giunio Basso" all' Esquilino. La grande aula, costruita da
Giunio Basso, console nel 317 d.C., presentava le pareti interamente ricoperte da
tarsie marmoree dalla splendida policromia: dopo la distruzione dell'edificio i preziosi
partiti decorativi sono ricostruibili solo attraverso disegni antichi.
Sala degli orazi e curiazi. L'Aula grande, detta degli Orazi e Curiazi dal soggetto di uno
degli affreschi, era destinata alle udienze del Consiglio Pubblico dei Conservatori.
L'incarico di decorare la sala fu affidato nel 1595 a Giuseppe Cesari, detto il
Cavalier d'Arpino (1568-1640), esponente di spicco del manierismo romano. La
conclusione dei lavori era prevista per il Giubileo del 1600, ma nel 1613 erano
compiute solo le prime tre scene. Dopo una interruzione di oltre vent'anni i lavori
terminarono nel 1640.
Il ciclo degli affreschi illustra alcuni episodi della storia delle origini di Roma narrati
dallo storico Tito Livio. Le scene fingono una serie di arazzi divisi, nei lati lunghi, da
festoni di frutta e fiori, trofei d'armi e vasi lustrali. Alla base delle pareti un fregio a
finto marmo di Cesare Rossetti con medaglioni monocromi recanti episodi storici.
In

ordine

di

esecuzione

il

ciclo

inizia

da:

Ritrovamento della lupa con Romolo e Remo (1596): Faustolo scopre sotto i rami
di un fico, sulla riva del Tevere, la Lupa che allatta Romolo e Remo. Nella figura della
lupa evidente il richiamo alla Lupa capitolina conservata nel palazzo e simbolo della
citt.
Battaglia di Tullo Ostilio contro i Veienti e i Fidenati (1597-1601): con vivacit
rappresentato un episodio della guerra di espansione intrapresa dai Romani contro le
citt

vicine

al

tempo

di

Tullo

Ostilio,

terzo

re

di

Roma.

Combattimento tra gli Orazi e Curiazi (1612-1613): episodio della guerra di Roma
contro la vicina citt di Albalonga che si concluse con un duello tra i rappresentanti di
Roma, gli Orazi, e quelli di Albalonga, i Curiazi. Gli eserciti contendenti assistono alla
scena finale del duello, quando l'ultimo degli Orazi sta per colpire l'ultimo degli
avversari.
Ratto delle Sabine (1635-1636): in primo piano il gruppo delle donne Sabine rapite
dai Romani per popolare la citt da poco fondata. L'affresco, eseguito dopo circa
vent'anni d'interruzione, condivide con le ultime due scene una tecnica pittorica pi
rapida

sommaria,

tipica

della

tarda

maniera

del

Cavalier

d'Arpino.

Numa Pompilio istituisce il culto delle Vestali e dei sacerdoti (1636-1638): al


centro della scena, sullo sfondo di un grandioso scorcio architettonico, arde sull'altare
il

fuoco

sacro

che

le

Vestali

dovevano

custodire

sempre

acceso.

Romolo traccia il solco della Roma quadrata (1638-1639): la mitica fondazione di


Roma, Romolo delimita i confini della citt tracciando un solco con l'aratro.
Le porte in legno intagliato e scolpito che illustrano temi legati alle origini
leggendarie di Roma furono eseguite nel 1643 da Giovan Battista Olivieri e Giovanni
Maria Giorgetti.
Nei lati corti

della

sala

vi

sono

due

magnifiche statue

onorarie

di

Papi commissionate dai Conservatori: l'una, in marmo, scolpita da Gian Lorenzo


Bernini tra il 1635 e il 1640, raffigura Urbano VIII Barberini (1623-1644); l'altra,
realizzata in bronzo tra il 1645 e il 1650 in onore di Innocenzo X Pamphilj (16441655), opera dello scultore bolognese Alessandro Algardi.
Statua bronzea stante, a dimensioni lievemente inferiori al vero.
La sala prende il nome da un affresco a ciclo continuo che corre sotto il soffitto, in
cui raffigurato il trionfo celebrato dal console romano L. Emilio Paolo su Perseo, re di
Macedonia ( 167 a.C. ). L'affresco eseguito dai pittori Michele Alberti e Iacopo
Rocchetti nel 1569 ripropone con fedelt la descrizione della cerimonia tramandataci
dal racconto dello storico greco Plutarco, in cui per ben quattro giorni sfilarono i beni e
le opere sottratte al nemico come bottino di guerra. I luoghi e i palazzi della Roma
rinascimentale fanno da sfondo al fastoso corteo che accompagna il vincitore fin sul
Campidoglio, riconoscibile per la raffigurazione della nuova facciata del Palazzo dei
Conservatori che proprio in quegli anni si andava edificando. Le sontuose processioni
trionfali sono evocate anche dallo splendido vaso in bronzo conservato nella sala.
Lopera giunta a Roma come probabile bottino delle guerre di conquista in Oriente
del I secolo a. C. Uniscrizione incisa sul bordo riporta il nome di Mitridate Eupatore re
del Ponto tra il 120 ed il 63 a.C.
Statua bronzea, cd. CamilloLa figura stante sulla gamba destra, la sinistra
lievemente arretrata; il braccio destro tenuto aderente al corpo, il sinistro invece
piegato, in modo da permettere alla mano corrispondente di tenere saldamente
impugnato tra le dita un oggetto (non conservato).
L'indumento indossato una corta tunica cinta in vita, dalle maniche lunghe fin quasi
al polso; sui fianchi l'inserto di due strisce in rame, che corrono dalle spalle fino all'orlo
inferiore, riproduce i clavi.
Una intenzionale ambiguit rende difficile stabilire se si tratti di un ragazzo o di una
fanciulla: la pettinatura, di impronta proto-classica, tipica delle statue di divinit
femminili, le proporzioni e la struttura del corpo d'altra parte sembrano tipiche di corpi
maschili, bench efebici.
L'assenza di qualsiasi attributo, del resto, non aiuta nella corretta lettura del soggetto,
in cui convenzionalmente si riconosce un camillo, un giovinetto di buoni natali, con
entrambi i genitori ancora in vita, incaricato dell'assistenza al sacerdote nel corso dei
sacrifici.

Secondo lo stile cosiddetto eclettico, la figura combina elementi tratti da repertori


figurativi e formali differenti.
La statua bronzea del cosiddetto Spinario uno dei pi noti capolavori delle collezioni
capitoline; dono di Sisto IV, fu trasferita in Campidoglio nel 1471.
Il soggetto un fanciullo in giovane et tradizionalmente identificato con un
pastorello, seduto su uno sperone roccioso, chino in avanti nell'atto di estrarre una
spina dalla pianta del piede sinistro, con la gamba flessa ad angolo retto e poggiata
sulla coscia destra. Testa del fanciullo, corpo e sedile roccioso sono realizzati in
un'unica fusione.
Il motivo un tema di genere, inventato e molto amato in et ellenistica.
Il tipo scultoreo noto in sette copie, con leggere varianti nella posizione del corpo;
oltre a queste, sono note undici copie della testa, cinque delle quali si conservano
nelle collezioni dei Musei Capitolini.
Lo Spinario considerato un'opera eclettica, che combina un corpo di tradizione
ellenistica con una testa redatta ad imitazione dello stile severo, con ciocche plastiche
ed ordinate, rese sulla calotta con un effetto disegnativo a sistema lineare.
Statua colossale di Ercole in bronzo dorato. La statua colossale in bronzo dorato fu
scoperta durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484) nell'area del Foro Boario tra il
Circo Massimo e la chiesa di S. Maria in Cosmedin. L'opera rappresenta Ercole stante,
con i pomi delle Esperidi nella mano sinistra e la clava nella mano destra. La testa,
girata a destra, di proporzioni piccole rispetto alle poderose forme del corpo e
presenta i capelli corti e cinti da una corona di ulivo. Lungo le guance visibile una
barba molto rada. L'opera fu scoperta tra le vestigia di un edificio rotondo -distrutto
durante gli stessi scavi di Sisto IV- riconosciuto con l'Aedes Aemiliana Herculis, un
tempio localizzato dalle fonti antiche presso il Foro Boario e dedicato da Scipione
l'Emiliano nel 142 a.C. La statua in bronzo dorato, simulacro del tempio, stata datata
intorno alla met del II secolo a.C. L'originale dal quale deriva non sembra essere
riferibile ad un unico modello ma a diversi tipi statuari di IV secolo a.C., vicini allo stile
di Skopas e di Lisippo.
Ritratto colossale, circa cinque volte pi grande del vero, pertinente probabilmente ad
una statua di Costantino. Il volto, caratterizzato da naso e mento prominenti, mostra
alcuni segni dellet avanzata, come le guance cadenti, le borse sotto gli occhi e le
pieghe delineate alla radice del naso, sotto gli occhi e intorno alla bocca; lipotesi
che il ritratto possa essere stato realizzato gli ultimi anni di vita di Costantino o dopo la
sua morte. La capigliatura costituita sulla fronte da una serie di ciocche arrotolate
che formano una frangia compatta che copre parzialmente la fronte e ricade sulle
tempie. Al di sopra i capelli sono disposti in ciocche lisce e compatte. Caratteristico dei
ritratti di imperatori di IV secolo lo sguardo rivolto verso l'alto, qui reso pi evidente
dalle pupille incavate e dall'arcata sopracciliare sporgente. Non vi sono elementi per

stabilire se la statua fosse seduta o stante; in questo caso il bronzo colossale doveva
raggiungere unaltezza di otto o nove metri circa. La mano in bronzo con il globo (S
1065, S 1070), attribuita secondo la tradizione allo stesso colosso bronzeo, potrebbe
invece appartenere ad una statua diversa: le caratteristiche tecniche della fusione del
bronzo

sembrano

infatti

differenti

da

quelle

della

testa.

Lopera,

collocata

originariamente davanti al palazzo lateranense, fa parte del gruppo dei bronzi donati
in Campidoglio da Sisto IV nel 1471, segnando di fatto la nascita del complesso
museale capitolino.
II primo a colonizzare l'Esquilino come sede di residenze di lusso fu, secondo le fonti
letterarie, Mecenate, il quale port a termine la bonifica della zona precedentemente
occupata da un millenario sepolcreto con un'operazione urbanistica celebrata da
Grazio. L'area dell'antica necropoli esquilina fu infatti ricoperta da uno spesso interro,
che consent di trasformare una zona malfamata in un'area residenziale di
straordinario prestigio. Della sontuosa dimora, fatta costruire nella seconda met del I
secolo a.C. da questo illustre personaggio amico e consigliere di Augusto, gli scavi
ottocenteschi hanno messo in luce pochi resti: l'unico ambiente attualmente
conservato il cosiddetto Auditorium, probabilmente un triclinio estivo semiipogeo e
decorato da affreschi riferibili a due fasi: la prima del 40 a.C., attribuibile allo stesso
Mecenate, e la seconda del primo decennio d.C. quando la villa era gi passata sotto
la propriet imperiale. Gli affreschi, purtroppo mal conservati, rappresentano vedute di
giardini nei quali sono inserire piccole sculture e fontanelle, quasi a voler annullare la
mancanza di aperture sull'esterno della grande sala.
In et neroniana la villa che si estendeva a cavallo delle mura serviane,
evidentemente non pi funzionali alla difesa della citt, costitu una sorta di
continuazione dell'immensa estensione territoriale occupata dalla Domus Aurea. E cos
il Palazzo imperiale sempre pi simile alle regge dei sovrani ellenistici, amplificava gli
spazi a sua disposizione "specializzando" i diversi nuclei edilizi a seconda della loro
funzione: la zona del Palatino destinata a sede di rappresentanza, i settori dell'Oppio e
dell'Esquilino connotati come ville di piacere. Famosa la battuta che circolava a Roma
dopo la costruzione della Domus Aurea e riportata da Svetonio: "Roma diverr la sua
casa: migrate a Veio, Romani, ammesso che questa casa non inglobi anche Veio!". Da
una torre situata nella zona pi elevata degli Horti di Mecenate, sembra, Nerone
assistette allo spettacolo dell'incendio di Roma. Estremamente problematica risulta la
ricostruzione dell'apparato decorativo di questa residenza, dal momento che la
maggior parte delle sculture emerse dagli scavi era stata reimpiegata come materiale
da costruzione in murature tardoantiche o altomedievali. Particolarmente significativo,
considerati gli interessi del padrone di casa, appare il ritrovamento in questa zona di
una serie di erme con ritratti attribuibili a personaggi della cerchia letteraria ed esposti

nella Sala VI: una presenza di grande rilievo in connessione con l'attivit di Mecenate,
noto come protettore delle aiti, e soprattutto in relazione a quanto ci tramandano le
fonti letterarie sull'arredo scultoreo delle case dei personaggi pi in vista. Nella casa di
un intellettuale (come nel caso di Mecenate) o di un aspirante tale, non poteva infatti
mancare una biblioteca, decorata dalle immagini dei pi famosi letterati greci e latini.
Nel programma decorativo di questa residenza immersa nel verde ben si inseriscono i
piccoli rilievi con scene idilliche e il raffinatissimo esempio di arte neoattica
rappresentato dalla fontana a forma di rhytn firmata dall'artista Pontios, che trova un
immediato riscontro tematico nel bellissimo rilievo con Menade danzante, replica
neoattica del donario votivo coregico per le Baccanti di Euripide creato da Kallimachos
nel 406-405 a.C.
Il programma decorativo

scultoreo degli

horti

comprendeva

anche

opere

di

straordinario impegno artistico come quelle esposte nella Sala VI; tra di esse la testa
di Amazzone, copia da un famosissimo originale greco del V secolo a.C., e la bellissima
statua di Marsi in marmo pavonazzetto capolavoro di virtuosismo scultoreo. Dalla zona
degli horti delTEsquilino proviene anche il gruppo scultoreo dell'Auriga collocato nella
Sala VII che, solo a seguito di una recente analisi, ha riacquistato il suo significato
originario. Lo studio stilistico e interpretativo ha infatti permesso di riaccostare le due
figure dell'auriga e del cavallo che, rinvenute ad una certa distanza una dall'altra negli
scavi della fine del secolo scorso, erano state musealizzate separatamente senza
riconoscerne la reciproca appartenenza. Il cavallo, ridotto in frammenti, fu rinvenuto
infatti nel 1873 nello smontaggio di un muro tardoantico in corrispondenza della zona
occupata dagli Horti di Mecenate. Il ritrovamento dell'auriga avvenne invece nel 1874,
diverse centinaia di metri pi a nord rispetto al cavallo, vicino alla chiesa di S. Eusebio,
a Piazza Vittorio. Anche in questo caso la scoperta avvenne durante la demolizione di
un muro "dei bassi tempi" costruito con migliaia di frammenti di scultura dalla
ricomposizione dei quali derivano molte delle sculture esposte nel settore dedicato
agli Horti Tauriani. Il gruppo statuario cos ricomposto presenta dunque una figura
maschile nuda nell'atto di salire su un carro trainato da due cavalli: la scena stata
interpretata come la rappresentazione del ratto di Antiope, regina delle Amazzoni, da
parte di Teseo. Alcuni segni presenti sulla figura maschile fanno infatti ipotizzare la
presenza di un altro personaggio, l'Amazzone rapita appunto, vicino all'eroe: ma di
questa scultura non si sono trovate tracce nelle collezioni capitoline. Dal punto di vista
stilistico l'opera appare,, non gi una copia di un modello greco codificato, bens una
reintepretazione di et romana di stilemi greci del V secolo a.C. Significativa appare la
presenza, nell'ambito degli Horti di Mecenate, di alcune statue femminili identificabili
come Muse, specchio della fama del padrone di casa come protettore delle aiti e degli

artisti, mentre la scultura in marmo verde egiziano raffigurante un cane da guardia


rappresenta probabilmente un esempio di colto collezionismo. Rara e preziosa la stele
funeraria esposta nella Sala Vili, opera originale greca, nella quale compare una
fanciulla vestita con un complicato panneggio in cui vengono sottolineate le diverse
qualit di tessuto accuratamente delineato nelle fitte piegoline; la mano destra
protesa e sembra che la sinistra sollevasse le pieghe del chitone nel caratteristico
gesto di una kore tardoarcaica. Un'opera di particolare impegno artistico, forse
attribuibile a un luogo di culto situato all'interno dei giardini, rappresentata dalla
statua colossale di Demetra, raffinata copia romana da un originale della met del V
secolo a.C., ove la studiata geometria delle pieghe del panneggio e la lieve torsione
del busto caricano la figura di una notevole tensione interna. Se in quest'opera viene
sottolineata la maestosit olimpica della dea, il dinamismo la caratteristica che
contraddistingue la statua di rcole combattente, rappresentato in vivace movimento
e ripreso da modelli greci del IV secolo a.C.
In et augustea, a quanto possibile ricostruire dalle fonti e dalla documentazione
epigrafica, l'intero territorio compreso tra la via Labicana antica, l'aggere serviano e il
limite poi rappresentato dalle mura aureliane, fu occupato dagli Horti Tauriani, per
un'estensione che stata calcolata intorno ai 36 ettari; ai limiti della propriet, e lungo
il percorso della via Labicana, si trovava il sepolcreto di famiglia. Forse proprio per
l'ampiezza della propriet, per lo splendore della villa e per la vicinanza con la zona di
ingresso a Roma di numerosi acquedotti - strategicamente molto delicata per la difesa
della citt - che gli Horti di Statilio Tauro suscitarono la cupidigia di Agrippina, moglie
di Claudio, che istig Tarquinio Prisco ad accusare il senatore prima di concussione e
poi di pratiche magiche. Tauro non aspett il verdetto del Senato e prefer suicidarsi
permettendo cos all'imperatore di incamerare i suoi beni (53 d.C.).
Dopo il passaggio della propriet in mano imperiale essa fu di nuovo smembrata, in
favore di Epaphrodito e Fallante (liberti rispettivamente di Claudio e Nerone), per poi in
parte riconfluire sotto Gallieno (253-268 d.C.) negli Horti Liciniani. Presso i confini
occidentali dell'area furono rinvenuti i resti di un edificio che, attraverso i nomi scritti
sulle fistulae aquariae, pu essere riferito a Vettio Agorio Pretestato (praefectus Urbi
del 367-368 d.C.) e a sua moglie Fabia Aconia Paulina. Un muro trovato nell'area e
costruito, come verificato in molti altri casi sull'Esquilino, con frammenti di sculture, ha
restituito una straordinaria messe di materiali. Le sculture rinvenute in questa zona
possono essere attribuite alle varie fasi di vita degli horti: nella Sala IV si ricordano
soprattutto la splendida statua di Igea; per stile e dimensioni le pu essere avvicinato
il busto di divinit femminile, riconoscibile come Artemide, copia di un originale,
attribuito a Kephisodotos, del IV secolo a.C. trovato nelle vicinanze e probabilmente
facente parte dello stesso gruppo; simile nelle proporzioni anche una terza statua

trovata nella stessa zona e trasformata, alla fine dell'Ottocento, in Roma Cristiana per
decorare la sommit della torre capitolina. Un'ambientazione all'interno di una
residenza immersa nel verde sembra particolarmente appropriata per le opere esposte
nella Sala V: la statua di mucca, forse parte di un gruppo pastorale, probabilmente
copia della famosissima statua in bronzo di uguale soggetto creata da Mirone per
l'Acropoli di Atene e portata a Roma ali'epoca di Vespasiano.
Ben inseribili nella decorazione di un giardino sono anche i rilievi: uno, particolarmente
raffinato, rappresenta un paesaggio sacro con un santuario circondato da alte mura,
mentre gli altri due, purtroppo frammentari, sono di manifattura neoattica e
rappresentano le quadrighe di Helios (il sole) e Selene (la luna) che corrono una
incontro all'altra. Alla decorazione dei giardini della villa devono essere riferiti i due
grandi crateri decorati rispettivamente con scene relative al mondo dionisiaco e con la
raffigurazione delle nozze di Paride ed Elena, mentre alla fase imperiale degli horti
devono essere attribuiti gli splendidi ritratti di Adriano, Sabina e Matidia, rinvenuti
nella demolizione dei muri tardoantichi degli Horti Tauriani collocati in galleria.
La fortunatissima stagione che per l'archeologia romana ebbe inizio nel 1870 con la
proclamazione di Roma Capitale d'Italia permise di esplorare intere zone della citt in
maniera sistematica: certo si trattava di scavi finalizzati alla costruzione di quartieri
residenziali oppure dei grandi edifici destinati ad accogliere le sedi dei Ministeri e
quindi necessariamente difficili ed affrettati. Ciononostante il Quirinale, il Viminale e l'
Esquilino, poli dell'espansione urbanistica di fine secolo, restituirono una tale messe di
materiali e di dati topografici da costituire un intero Museo e da rappresentare
materiale di studio per intere generazioni di archeologi. Queste zone della citt
rappresentavano infatti un fecondissimo terreno di ricerca perch, pur essendo
contigue al centro storico, mostravano, prima dei grandi cambiamenti, un impianto
edilizio estremamente rarefatto, caratterizzato da ville con vasti giardini, vigne, orti: si
andava quindi a esplorare un terreno vergine, non sconvolto, come nel resto della
citt, dall'ininterrotto succederei delle fasi abitative.
La supervisione dei lavori di scavo in queste zone fu affidata, per competenza
territoriale, alla Commisssione Archeologica Comunale: per questo motivo le raccolte
archeologiche capitoline si sono arricchite di una straordinaria documentazione su un
fenomeno urbanistico, al confine tra la sfera pubblica e quella privata, situabile
cronologicamente tra la fine della repubblica e l'inizio dell'et imperiale. Si tratta degli
horti, cio di complessi residenziali immersi nel verde, caratterizzati da uno
spettacolare apparato decorativo, nati ai margini del centro monumentale come
prestigiose dimore delle pi illustri famiglie gentilizie della tarda repubblica e poi
passati a far parte delle propriet imperiali. Nella prima et imperiale gli horti
costituivano una ininterrotta corona di verde intorno al centro della citt, non

diversamente dalle ville gentilizie della Roma moderna: proprio la situazione che i
lavori edilizi di fine Ottocento andavano gravemente compromettendo. Le cronache
dell'epoca riportano i numeri delle scoperte avvenute durante i lavori: "705 anfore con
importanti iscrizioni; 2360 lucerne di terracotta; 1824 iscrizioni scolpite nel marmo o
nella pietra; 77 colonne di marmi rari; 313 pezzi di colonne; 157 capitelli di marmo;
118 basi; 590 opere d'arte di terracotta; 405 opere d'arte in bronzo; 711 tra gemme,
pietre incise e cammei; 18 sarcofagi di marmo; 152 bassorilievi; 192 statue di marmo
in buone condizioni; 21 figure di animali in marmo; 266 busti e teste; 54 pitture in
mosaico policromo; 47 oggetti d'oro e 39 d'argento; 36679 monete d'oro, d'argento e
di bronzo; e una quasi incredibile quantit di piccole reliquie di terracotta, osso, vetro,
smalto, piombo, avorio, bronzo, rame, stucco".
Per ospitare le sculture di maggior prestigio rinvenute in quegli anni fu creata da
Virgilio Vespignani, all'interno di un cortile scoperto del Palazzo dei Conservatori, la
cosiddetta Sala Ottagona, un padiglione in legno dalle eleganti decorazioni, che fu
inaugurato nel 1876, pochi anni dopo l'inizio degli scavi. Al momento della sua
apertura la sala conteneva 133 statue ma, nei 27 anni della sua esistenza e fino alla
demolizione nel 1903, il padiglione di Vespignani accolse un numero sempre maggiore
di opere che venivano restaurate ed esposte man mano che i lavori di esplorazione
procedevano e sempre nuove sculture venivano alla luce. Nel 1903 il Museo del
Palazzo dei Conservatori conquist nuovi spazi adiacenti al giardino interno che aveva
ospitato la Sala Ottagona e un nuovo allestimento delle opere, suddivise secondo la
loro provenienza, fu curato da Rodolfo Lanciani, grande personaggio dell'archeologia
romana dell'epoca. Oggi molte di quelle opere tornano nelle stesse sale con un nuovo
allestimento che mette in evidenza la preziosit dei marmi e la qualit artistica delle
statue antiche rispettando, nello stesso tempo, le scelte museografiche di quella
originaria sistemazione.
Gli scavi eseguiti alla fine degli anni Trenta sotto la piazza del Campidoglio, tra il
basamento di Marco Aurelio e il Palazzo Senatorio, per realizzare una galleria
sotterranea che mettesse in comunicazione i tre palazzi capitolini, hanno evidenziato
una situazione archeologica inaspettata; l'area era tradizionalmente identificata con
lasylum in cui Romolo aveva radunato i rifugiati dai vicini villaggi per popolare la
nuova citt. Il piano della piazza attuale a circa 8 metri dal-livello di una strada
antica che, salendo dal Campo Marzio, percorreva il fondo di una stretta valle che si
insinuava tra i due pendii delarx e delCapitolium: la strada era costeggiata da edifici
in laterizio di et imperiale, l'ultimo dei quali era caratterizzato da pilastri con mensole
a sostegno di balconi. Il pendio dellArx era poi occupato da strutture laterizie
pertinenti a edifici a pi piani che si disponevano ai lati di una strada pi alta di quella
di fondo valle e diretta verso la sommit dell'arar.-Potenti muri di terrazzamento in

grandi blocchi di tufo sostenevano poi i pendii. La strada proveniente dal Campo
Marzio doveva girare verso il Capitolium costeggiando il Tempio di Veiove e il
Tabularium.
La Galleria Lapidaria
Nel 2005 stato inaugurato all'interno della Galleria di Congiunzione il nuovo
allestimento di iscrizioni antiche, latine e greche, pertinenti alla prestigiosa collezione
epigrafica dei Musei Capitolini. Le pareti della Galleria furono utilizzate gi negli anni
cinquanta del Novecento per alloggiare circa 1400 iscrizioni marmoree d et romana,
provenienti in parte dalle sale dell' Antiquarium del Celio, chiuso per ragioni statiche
pochi anni dopo l'apertura (1929), e in parte da nuove sistemazioni all'interno dei
Musei Capitolini. Questo allestimento fu inaugurato nel 1957 in occasione della visita
in Campidoglio degli studiosi riuniti a Roma per il III Congresso Internazionale di
Epigrafia Greca e Latina. Gravi problemi di infiltrazioni d'acqua e di umidit hanno
portato nel corso degli anni settanta del Novecento alla chiusura al pubblico della
Galleria di congiunzione e al progressivo distacco dalle pareti delle iscrizioni, per
ovviare al rischio di un processo di degrado del marmo con conseguente caduta della
superficie iscritta dei reperti. Il completamento di un ventennale lavoro di restauro e la
costituzione di una banca dati epigrafica digitale hanno costituito la base per
l'elaborazione e l'attuazione del nuovo progetto di allestimento delle iscrizioni, da
tempo conservate in depositi comunali di diversa dislocazione. Nell'ordinamento degli
anni cinquanta le iscrizioni erano per lo pi cementate sulle pareti delle scale che
scendono in Galleria e molte a notevole altezza: di conseguenza si percorrevano le
scale restando impressionati dalla quantit e dal fascino del reperto antico, ma non
c'era alcuna possibilit di comprensione dei testi, mancando per di pi qualsiasi ausilio
didattico. Il nuovo allestimento coniuga oggi un alto livello di scientificit con le pi
moderne istanze di fruizione. Il testo antico presenta certo problemi di approccio pi
complessi rispetto alle opere scultoree o pittori che: manca il valore estetico ed
difficile comprendere la testimonianza scritta e il suo significato. Per tali ragioni la
comunicazione delle informazioni nel nuovo percorso stata strutturata su tre livelli,
che forniscono una conoscenza progressivamente pi specifica: didascalia, con
trascrizione del testo antico; pannelli, consultazione informatica della banca dati
epigrafica. Altra peculiarit innovativa di questo allestimento la creazione di uno
specifico percorso per i portatori di handicap visivo mentre un commento musicale
"cattura" il visitatore all'inizio del percorso espositivo nel Palazzo dei Conservatori e lo
accompagna, con musiche diversificate, fino al magnifico affaccio sul Foro Romano.
Il percorso
La particolare ambientazione dei reperti intende rievocare l'immagine di un'antica via
consolare romana sotto un ciclo notturno, in cui nelle costellazioni, in omaggio al

contesto epigrafico, le stelle hanno lasciato il posto a lettere dell'alfabeto latino e


greco. Le 130 iscrizioni esposte appartengono in prevalenza all'allestimento della
Galleria Lapidaria degli anni cinquanta del Novecento. Sono state aggiunte altre
epigrafi della collezione capitolina per completare l'illustrazione delle tematiche scelte,
relative ad alcuni aspetti della vita sociale e privata del mondo romano. All'inizio del
percorso si forniscono informazioni sull'uso dei diversi linguaggi all'interno dell'impero
romano, per addentrarsi poi nel mondo del sepolcro, del culto, del diritto, del lavoro e
del gioco, della viabilit e degli acquedotti, della milizia e dell'aristocrazia romana,
concludendo con uno dei reperti epigrafici pi noti e ricchi di significato della
collezione capitolina, la Base dei Vicomagistri, base di statua dedicata all'imperatore
Adriano dai responsabili dei distretti territoriali di cinque delle regiones in cui Augusto
aveva diviso la citt di Roma.
I linguaggi
Nella collezione epigrafica capitolina troviamo testimonianza dell'uso di linguaggi
differenti all'interno dell'impero romano. L'estendersi del potere di Roma a territori di
usi e costumi eterogenei aveva portato all'assimilazione dei linguaggi parlati in quelle
terre. L'interesse dello stato romano era di far giungere le informazioni al maggior
numero di persone possibile, per questo esso non osteggi le lingue parlate dalle
popolazioni conquistate, ma al contrario permise che nei testi iscritti i linguaggi
stranieri venissero affiancati alla lingua ufficiale dello Stato: il latino. Particolare Fuso
della lingua greca, idioma delle regioni orientali, che fu sempre considerato la seconda
lingua dell'impero. Un esempio assai noto del bilinguismo greco-latino un atto
ufficiale, una deliberazione del Senato del 78 a.C. (senatus consultum de Asclepiade)
riguardante personaggi vissuti nelle province dell'Asia e della Macedonia, inciso su una
tavola bronzea conservata nella Sala delle Colombe del Palazzo Nuovo. Il testo in
latino seguito dalla relativa traduzione in greco. Esempi di tale bilinguismo relativi a
iscrizioni sepolcrali, sono qui l'iscrizione del sepolcro di Lucius Vettenius Musa
Campester e le stele di Licinia Selene e di Aelios Melitinos. Sempre nel settore relativo
al sepolcro si segnala anche la presenza di greco e semitico in una lastra proveniente
dalla catacomba ebraica di Monteverde. In questa sezione si mostrano iscrizioni
sepolcrali e votive di personaggi vissuti a Roma ma originari di Palmira, citt situata
nella provincia della Siria, nelle quali la lingua palmirena si affianca al latino e al greco.
Reperti particolari, di cui esistono pochi altri esemplari a Roma, ragione per la quale si
ritenuto opportuno mostrarli in questo ambito, sono i quattro capitelli ed il
frammento di colonna di et imperiale riutilizzati nel Cimitero giudaico di Trastevere.
Situato presso Porta Portese e noto con il nome di Campus ludeorum, fu il luogo di
sepoltura dei cittadini di religione ebraica dall'inizio del Medioevo fino al 1645, anno in
cui il papa Innocenze X, costatata l'insufficienza di spazio e le condizioni di degrado

del cimitero, concesse un nuovo luogo di sepoltura sull'Aventino. I reperti antichi,


rilavorati per essere probabilmente infissi nel terreno, mostrano epitaffi in lingua
ebraica datati tra il 1560 ed il 1576.
Il sepolcro
Il primo gruppo di reperti illustra diverse forme di monumenti connessi al sepolcro:
dalla semplice lastrina posta sulle pareti di un colombario (camera sepolcrale le cui
pareti sono cosparse di nicchie per le olle cinerarie) alle stele, dei segnacoli infissi nel
terreno per evidenziare la tomba, fissate mediante un palo stabilizzatore inserito in un
foro o su una base di sostegno, o anche utilizzate a parete nelle camere sepolcrali.
Cinerari e are ossario contenevano i resti del defunto cremato. Sulla facciata del
monumento sepolcrale una iscrizione (titulus maior) ne indicava la propriet, mentre
le mense sepolcrali, lastre forate in modo da poter versare le libagioni durante i riti
funebri, erano poste all'interno. Di rilevante valore artistico il cinerario a forma di
edicola con i ritratti dei defunti.
Interessanti informazioni giungono da questi testi epigrafici sulle caratteristiche delle
aree sepolcrali. Sono presenti giardini (cepotaphii) ed edifici all'interno di esse ed
consuetudine delimitare il proprio terreno con cippi su cui si leggono le misure
espresse in piedi (un piede romano pari a circa 30 centimetri) del fronte stradale (in
fronte) e del lato verso la campagna (in agro), talvolta anche dell'area stessa (in
quadrato). Le camere sepolcrali appaiono con le pareti ricoperte dalle nicchie perle
olle cinerarie, situate anche sul pavimento, dove sono alloggiate le mense per le
libagioni. I monumenti funerari potevano essere realizzati per volont testamentaria
(testamento), a cura dei propri eredi o tramite collegi funeratizi. Il proprietario stabiliva
chi potesse essere seppellito all'interno del sepolcro, ed erano previste multe per i
trasgressori (per il sepolcro di Aelius Saturninus la multa di 30 sesterzi). Norme
giuridiche tutelavano l'area sepolcrale. Era considerato sacrilego scavare presso una
tomba e danneggiare in qualsiasi modo le olle contenute all'interno delle camere
sepolcrali. Nell'epigrafia funeraria colpiscono per le immagini poetiche i testi scritti in
versi (carmina), in lingua latina e greca. Dalla catacomba ebraica di Monteverde
presso la via Portuense provengono un rilievo con i simboli del culto ebraico e
l'epitaffio di Ammias, morta a ben 85 anni, che accanto al testo greco conserva la
formula "in pace" scritta nella sua lingua d'origine. Tra i testi cristiani, databili tra III e
VI secolo d.C., un'iscrizione ricorda l'acquisto di una tomba a due posti (locus
bisomus), i fossori, addetti alla realizzazione e alla vendita delle sepolture nelle
catacombe, e il prezzo pagato. Altre epigrafi conservano raffigurazioni legate al culto o
anche oggetti di uso quotidiano. La sacralit della tomba trova un'espressione molto
incisiva nell'epitaffio di Gemmula, in cui si invoca per chi osi violare il sepolcro la
stessa sorte di Giuda.

Il culto
Queste iscrizioni costituiscono degli esempi di devozione alla divinit: dall'offerta al dio
venerato, fatta anche a seguito di un sogno, agli ex voto in lingua latina e greca.
Particolari le dediche di '"itus et reditus'"' (andata e ritorno), relative al buon esito di
un viaggio, e le iscrizioni riferibili ai bidentalia, i luoghi colpiti da un fulmine.
Considerati funesti, questi venivano recintati e in essi si nascondeva sottoterra una
pietra come simbolo del fulmine caduto. Il sacrificio di una pecora (bidens), il cui nome
latino allude probabilmente alla caratteristica del maggiore sviluppo di due denti,
completava il rito purificatorio.
Il diritto
L'epigrafia giuridica riguarda testi antichi inerenti disposizioni di legge a carattere
pubblico e privato iscritti su metallo, marmo e altri materiali. Il bronzo divenne
comunque la materia usuale, scelta per praticit d'uso e conservazione. Le disposizioni
di legge, per avere valore, non dovevano necessariamente essere rese pubbliche, ma
talvolta le tabulae che le contenevano venivano esposte a Roma in luoghi idonei,
mentre in Italia e nelle province dell'impero la pubblicazione degli atti avveniva
esponendo il testo iscritto, copia di un esemplare inviato dalla capitale. Questa sezione
comprende testi giuridici che si datano dall'et repubblicana (II secolo a.C.) al IV
secolo d.C., riferibili a disposizioni di diversa natura: due editti emanati da magistrati,
una legge e un senatoconsulto (disposizione del senato). L'editto del pretore Lucius
Sentius, in carica tra il 93 e l'89 a.C., riguarda la delimitazione dei luoghi dell'Esquilino,
e vieta di bruciare cadaveri e depositare immondizie all'interno del confine della citt.
Ne esistono altre due copie, una alla Centrale Montemartini e l'altra nel Museo
Nazionale Romano: la prima conservava tre righe dipinte, oggi non pi visibili, che
dicevano ""porta via le immondizie per non essere punito". Simile nei contenuti
all'editto di Sentius e sempre inerente la tutela di un'area urbana ritenuta
dell'Esquilino il senatoconsulto "De pago montano'1''. Il secondo editto, che riguarda
le frodi dei negozianti (IV secolo d.C.), il capo invece al praefectus Urbi, il funzionario a
cui spettava a Roma il potere giudiziario e di polizia e che proprio nel IV secolo, a
seguito del trasferimento del residenza imperiale in Oriente, divenne il vero
responsabile della citt. La Lex horreorum" (legge riguardante i magazzini), secondo
la definizione contenuta nel testo, tramanda un bando di locazione con il relativo
capitolato per prendere in affitto dei locali di propriet imperiale.
Professioni e mestieri
La sezione inizia con gli apparitores di magistrati (personale subalterno loro
assegnato), un littore (lictor) e un messo consolare (viator consularis), un servo
pubblico era invece addetto a funzioni rituali nell'ambito di un collegio sacerdotale.
Seguono esponenti dell'amministrazione imperiale; alcuni rivestono mansioni legate
alla gestione finanziaria, quali un responsabile dell'ufficio per la riscossione delle tasse

sulle importazioni ad Alessandria d'Egitto (procurator ad anabolicum Alexandriae) e


dell'ufficio per la riscossione della tassa sulla legalizzazione dei documenti (ad
rationem chartariam), o un archivista impiegato in un ufficio pubblico che potremmo
paragonare all'odierno ufficio del catasto (tabularius mensorum aedificiorum). Tra le
mansioni connesse al palazzo dell'imperatore ricordiamo un addetto al controllo degli
atti (contrascriptor), il curatore del patrimonio dell'imperatore (procurator patrimonii
Caesaris) e un archivista contabile (tabularius castrensis). Molte sono le testimonianze
di professioni private, di commercianti e di artigiani: dal progettista e costruttore
navale (architectus et faber navalis) all'intagliatore di gemme (sculptor gemmarius) o
il fabbricante di corone di fiori che aveva il suo negozio sulla via Sacra nel Foro
Romano (coronarius de Sacra via). Non mancano le attivit professionali che gi nella
societ romana godevano di alto prestigio (honestae), come quelle del medico
(medicus) e dell'oculista (medicus ocularius). Da ultimo appare il mondo del circo e
dell'anfiteatro, con le iscrizioni degli aurighi delle fazioni verde (cursor factionis
prasinae) e azzurra (agitator factionis venetae) e la stele di Anicetus, gladiatore
armato di spada e specializzato nell'attacco (provocator spatharius).
Il gioco
Nella societ romana, per i giochi da tavolo venivano usati piani portatili denominati
tabulae lusoriae (tavole da gioco, scacchiere). Gli esemplari pi economici erano in
legno, quelli pi pregiati in bronzo, marmo, come quelli che qui mostriamo, pietre
semipreziose e legni intarsiati. Molte tabulae lusoriae furono inoltre incise sulla
pavimentazione di edifici pubblici e sono tuttora visibili. I giocn1 pi comuni erano il
filetto, il gioco delle fossette, il gioco delle dodici linee (duodecim scripta), il ludus
latrunculorum (gioco dei soldati o mercenari), un complesso gioco di guerra, simile al
moderno gioco degli scacchi, e giochi di composizione di lettere, come quello esposto
detto "dei Reges". Il gioco delle dodici linee si praticava su una tavola, per lo pi
marmorea, su cui erano scritte due parole, composte di 6 caratteri ciascuna, disposte
su tre righe, per un totale di 36 lettere (da ci il nome di "gioco delle 36 caselle"con
cui anche noto). Si utilizzavano tre dadi e trenta pedine, quindici bianche e quindici
nere; ogni casella poteva contenere pi di una pedina. Il giocatore poteva muovere da
una a tre pedine: una pedina sommando il punteggio dei tre dadi, due pedine,
utilizzando per una il punteggio di due dadi ed il resto per la seconda, tre pedine, con il
punteggio di ogni singolo dado. L'intento del gioco era di far uscire per primo dalla
tavola le proprie pedine, scegliendo adeguatamente la somma o la scomposizione dei
numeri totalizzati con i dadi.
Viabilit e acquedotti
I tre testi epigrafici appartengono a quella categoria di iscrizioni che individuano
percorsi che possono essere connessi a tracciati viari o di acquedotti.

II testo pi antico un esempio di cippo itinerario che indica la presenza e il percorso


di una strada privata (iter privatum). Il miliario della via Prenestina, invece, un
esempio dello stesso tipo di cippo, ma posto su una grande arteria pubblica, una delle
vie consolari, per indicare al passante la strada percorsa, espressa in miglia. I cippi di
acquedotti, che si trovano essenzialmente a Roma e nelle vicinanze, erano fabbricati
in serie e lungo il tracciato apparivano contraddistinti da un numero progressivo. La
loro disposizione fu curata a partire dall'et augustea dall'ufficio del curator aquarum,
a cui era affidata la tutela degli acquedotti e della distribuzione delle acque, mentre la
concessione dell'uso dell'acqua ai privati era prerogativa dell'imperatore.
Militari
Le due grandi basi dedicate dalla V coorte dei vigili, che aveva la propria sede presso
la chiesa di S. Maria in Domnica sul Celio, forniscono informazioni sull'organizzazione
di questo corpo. Comandati da un prefetto, i vigili svolgevano funzioni di polizia urbana
notturna, comprese le attivit di sorveglianza dai furti di ladri e scassinatori e di
repressione degli incendi. Il corpo era composto in gran parte da liberti (schiavi
liberati) suddivisi in sette coorti, ciascuna di 1000 uomini. Il corpo di guardia prendeva
il nome di excubitorium, e ne esisteva uno per ogni regione urbana, la caserma invece
era denominata statio. La stele funeraria di Lucius Monneius Secundus offre
un'immagine di un componente di questo corpo militare, ed dedicata da un soldato
delle coorti urbane, create da Augusto con compiti di polizia diurna. Guidate da un
prefetto di rango senatorio, erano alloggiate nel Castro Pretorio, insieme ai pretoriani.
Solo con Aureliano (270-275 d.C.) gli urbaniciani ebbero una caserma propria nel
Campo Marzio.
La stele di Lucius Nonius Martialis ci riporta a un altro corpo militare operante a Roma,
quello degli statores Augusti, composto da due centurie assegnate al prefetto del
pretorio, che avevano funzioni di polizia e vigilanza, legate in particolar modo agli
arresti. Gli statores costituivano quindi una sorta di polizia giudiziaria. Al termine del
servizio di leva il soldato romano diveniva un veteranus, come si legge nella dedica
incisa da Aurelius Dolatra sull'abaco di un capitello, mentre evocatus era il militare,
generalmente un pretoriano, che dopo il normale servizio di leva ricopriva incarichi per
lo pi amministrativi. Le tre stele di Rufus, Pronto e Vitalianus, databili tra il II ed il III
d.C., si riferiscono al corpo dei pretoriani, istituito da Augusto come guardia ufficiale
dell'imperatore e sciolto da Costantino (IV secolo d.C.) per aver appoggiato Massenzio
nella battaglia di Ponte Milvio. Era comandato da un prefetto di ordine equestre e
composto da nove coorti, ciascuna di uomini scelti dalle legioni, delle quali tre
stazionavano a Roma e le altre in Italia. Tiberio riun tutte le coorti a Roma in un'unica
caserma (Castro Pretorio), costruita appositamente tra la vie Nomentana e Tiburtina.
Le dediche agli dei patrii, come la grande base che ricorda il contributo di venti denari

e un quadrante di bronzo versato da ciascun soldato per l'offerta alla divinit,


provengono dall'Esquilino e testimoniano l'esistenza nel III secolo d.C. di un luogo di
culto legato a questo corpo militare. Il prefetto del pretorio era a capo di un altro corpo
militare, gli equites singulares, la guardia scelta a cavallo dell'imperatore, istituita da
Traiano o forse gi dai Flavi, in sostituzione dei corporis custodes e sciolta da
Costantino sempre per aver parteggiato per Massenzio. Singolare poi l'ara del
cavaliere Quintus Sulpicius Celsus, che ci fornisce un esempio di cursus honorum
(elenco degli incarichi) equestre, e cita una delle prefetture alle quali i cavalieri
potevano accedere, quella del Genio Militare. Il coperchio del cinerario di Marcus Iulius
Saturninus e l'iscrizione sepolcrale di Alagria Ingenua e dei suoi figli ricordano due
centurioni di legione.
L'aristocrazia romana
In epigrafia, le iscrizioni incise sulle due basi di statua vengono definite onorarie,
concepite cio come dedica a un personaggio.
Entrambi i testi mostrano che l'esaltazione dell'operato del destinatario della dedica si
attua attraverso l'intero cursus honorum, l'elenco degli incarichi pubblici ricoperti, a
cui si aggiungono le qualit personali dei due leader politici: Quinto Aurelio Simmaco e
Virio Nicomaco Flaviano, tra i pi noti esponenti della aristocrazia romana del IV secolo
d.C. Le famiglie dei Simmaci e Nicomachi furono a Roma le pi rappresentative di
quella parte della classe senatoria legata alla difesa degli antichi valori della tradizione
romana e del paganesimo, in un periodo in cui il Cristianesimo si avviava ad avere,
con l'imperatore Costantino, la sua maggiore affermazione. Il rinvenimento delle due
basi presso l'Ospedale Militare del Celio ha contribuito ad avvalorare l'ipotesi della
localizzazione della residenza delle due famiglie sul colle, oggi confermata dagli scavi
archeologici condotti nell'area.
Il Tabularium, l'Archivio dell'antica Roma
Nel I secolo a.C. sulle pendici del colle capitolino che degradano verso il Foro Romano
fu costruita un'imponente struttura in opera quadrata e cementizia all'interno della
quale ebbe sede il Tabularium, l'antico archivio romano. Nonostante l'imponenza e
l'importanza della costruzione, non si hanno notizie da fonti letterarie su questo
edificio: esse sono pertanto desumibili esclusivamente dalla lettura diretta delle
strutture superstiti, la cui interpretazione resa difficile dalla continuit d'uso che le
ha sempre caratterizzate. In et romana, forse flavio-traianea, il Tabularium sub un
consistente intervento in seguito al quale la galleria inferiore venne occupata da un
condotto idrico e venne abbandonata la scala verso il Foro. Contemporaneamente il
Tempio di Veiove fu dotato di una volta in muratura.
Nelle epoche successive al periodo romano il Tabularium non sembra essere stato
saccheggiato dai predatori e dai cavapietre che contribuirono a distruggere gli altri
edifici del colle, ma abitato e fortificato. Su di esso stato poi costruito il Palazzo

Senatorio, sede del Senato Romano, costituito nel, 1144, e del suo capo simbolico, il
Senatore. Il Palazzo Senatorio stato ampliato e modificato nel corso dei secoli e i
diversi ambienti di et romana sono stati variamente utilizzati a seconda delle
esigenze che via via si manifestavano: essi hanno ospitato la "salara del Campidoglio"
fino al XVII secolo, cucine, staUe e servizi del Senatore, prigioni per i detenuti in attesa
di giudizio del tribunale senatorio.
La riscoperta del monumento romano inizia nell'Ottocento, prima con gli scavi nel Foro
Romano che rimisero in luce i templi di Vespasiano e Tito e della Concordia ai piedi del
Tabularium, poi con gli sterri degli ambienti interni.
Negli anni a cavallo della met del secolo, in seguito alla trasformazione generale
delle competenze e della struttura burocratica del Comune di Roma, in particolare in
seguito alla soppressione del tribunale senatorio e delle relative prigioni, vengono
eseguiti grandi lavori di adattamento dell'edificio alle nuove esigenze amministrative.
Vengono pertanto realizzati uffici nei piani superiori, ora nettamente separati dagli
ambienti pertinenti al monumento romano: di questi ultimi faceva parte anche la
galleria di Sisto IV, alla quale si accedeva esclusivamente dalla galleria sul fronte del
Foro.
La volont di valorizzare il monumento romano e di collegare i tre palazzi capitolini con
una galleria sotterranea porta, alla fine degli anni Trenta, a grandiosi lavori di
ristrutturazione che vedono in particolare l'apertura di due arcate della galleria sul
Foro e la scoperta del Tempio di Veiove nella galleria di Sisto IV. Gli allarmi destati dal
continuo degrado degli antichi muri e dal pericolo di slittamento di tutto il complesso
hanno portato, negli ultimi venti anni, alla realizzazione di una nutrita serie di indagini,
sulla base delle quali stato elaborato un progetto di restauro inserito in un pi ampio
piano di ristrutturazione di tutto il complesso del Palazzo Senatorio. Il Tabularium, che
deriva il suo nome dalle tabulae di bronzo nelle quali venivano incise le leggi e gli atti
ufficiali, stato identificato all'inizio del XV secolo sulla base di una iscrizione letta da
Poggio Bracciolini e poi andata perduta; l'iscrizione, molto rovinata e scritta in lettere
antiche, si poteva leggere presso la '"salara" del Campidoglio, all'interno del Palazzo
Senatorio. Da essa si evinceva che Quinto Lutazio Catulo, durante il suo consolato,
nell'anno 78 a.C., aveva eseguito il collaudo della substmctio e del Tabularium.
Un'iscrizione analoga stata trovata nel secolo scorso dal Canina incisa in alcuni
blocchi di tufo pertinenti a una piattabanda e da lui ricollocata nel corridoio su via di
San Pietro in Carcere; quest'ultima ricorda soltanto il collaudo del 78 a.C. e il nome del
collaudatore, non quello dell'edificio.
La costruzione del Tabularium stata messa in relazione con l'incendio che, nell'83
a.C., devast il Tempio di Giove Capitolino e in seguito al quale venne affidato, allo
stesso Quinto Lutazio Catulo, il compito di restaurare il grande tempio: compito che
egli complet durante la sua censura, nel 65 a.C.; in questi anni egli fu probabilmente

aiutato da quel Lucio Cornelio, ricordato in un'iscrizione funeraria, che fu prefetto del
genio e architetto proprio negli anni del consolato e della censura di Lutazio Catulo. A
giudicare dai resti degli edifici preesistenti si ha la sensazione che il Tabularium abbia
modificato le pendici del colle in modo sostanziale, realizzando un'unica, robusta
struttura a rinforzo del pendio, costituito in quest'area da terreni argillosi; il nucleo
centrale del Tabularium risulta cos articolato in vani di fondazione che danno luogo a
terrazzamenti lungo il pendio del colle. La struttura poi attraversata da una ripida
scala che giunge fino al piano del Foro Romano, sul quale si apriva con una porta in
travertino. I muri, in opera cementizia, presentano verso l'esterno un rivestimento in
blocchi sistemati alternativamente per testa e per taglio in pietra gabina o in tufo
rosso. L'articolazione dell'edificio risulta piuttosto complessa e di non facile lettura
anche per la perdita dei livelli superiori, distrutti o inclusi nelle posteriori costruzioni, e
di tutto il fronte nord-ovest sull'attuale piazza. L probabile che ci fosse infatti almeno
un altro piano sopra la galleria sul Foro, come sembra di poter dedurre dalla presenza,
nell'area forense ai piedi del monumento e forse da questo crollati, di alcuni capitelli in
travertino; a questo piano doveva condurre una scala, purtroppo assai mal conservata,
che saliva dai pressi del Tempio di Veiove. Un'ulteriore anomalia costituita
dall'originale angolo rientrante che il suo perimetro, grossomodo rettangolare, forma
in corrispondenza del preesistente Tempio di Veiove.
La visita
II lato sud-ovest, sull'attuale via del Campidoglio, presenta un muro pieno, in opera
quadrata di pietra gabina, ben conservato tra le torri medioevali di Bonifacio IX e il
contrafforte che chiude la galleria; al centro di esso, inquadrata da due specchiature
rettangolari incassate nella superficie, si apre una grande nicchia quadrangolare, della
quale stata ritrovata e lasciata in vista la soglia in travertino; specchiature e nicchia
sembrano voler alleggerire, con un effetto di chiaroscuro, l'aspetto massiccio del muro
pieno; non per escluso che la loro presenza fosse condizionata da strutture esistenti
nell'area antistante.
Scavi eseguiti nella sede stradale nei primi anni Ottanta hanno evidenziato le
fondazioni di un poderoso muro in pietra gabina che fronteggiava il Tabularium al di l
di una strada, gi individuata nell'Ottocento per la presenza dei basoli ancora in situ e
sicuramente preceduta da una strada di et repubblicana e forse da una ancora pi
antica. All'interno della nicchia, sulla cui parete di fondo rimangono tracce di uso in et
posf-antica, stato ricavato in tempi moderni l'accesso al Tabularium e alla grande
galleria. Quest'ultima si apre sul Foro Romano con arcate inquadrate da semicolonne
di ordine dorico in pietra gabina, con capitelli e architrave in travertino; sia le arcate
sia le estremit sono state chiuse in epoche successive. La galleria era coperta da
volte a padiglione, delle quali rimane un unico esempio originale nell'ultima campata

verso via di San Pietro in Carcere. Arcate separano la galleria da una serie di ambienti
interni, tre su un lato, due sull'altro di una parete piena in blocchi di pietra gabina; su
quest'ultima l'erosione eolica ha prodotto effetti molto particolari. Al centro di essa
una

porta

moderna

permette

l'accesso

un

grande

vano

di

fondazione,

immediatamente alle spalle della galleria. I vani di fondazione dovevano essere


originariamente chiusi su tutti i lati e forse interrati, almeno in parte: le pareti sono
infatti costituite dalla semplice opera cementizia priva di fodera e sono spesso visibili
nella muratura i segni delle tavole della centina e i successivi getti di calcestruzzo.
Sterri eseguiti negli anni Trenta hanno riportato alla luce i resti di un edificio
precedente al Tabularium, forse realizzato nell'ambito della seconda met del II secolo
a.C.; di esso si conserva parte del pavimento di un ambiente in mosaico bianco e nero,
dal quale si accedeva, attraverso una soglia in travertino, a una terrazza, forse
perticata, caratterizzata da un pavimento in scaglie di calcare bianco con inserzioni
irregolari di pietre colorate. Saggi di scavo realizzati nei primi anni Ottanta hanno
messo in luce una cisterna foderata in cocciopesto obliterata da questo edificio.
Percorrendo la scala e attraversando uno stretto ambiente si giunge sulla passerella,
montata in occasione dei recenti lavori, che sovrasta i resti del Tempio di Veiove. Il
tempio, votato nel 196 a.C. dal console Lucio Furio Purpurione in seguito alla vittoriosa
battaglia di Cremona contro i Galli Boi, venne dedicato nel 192 a.C. L'edificio attuale
una ricostruzione pi o meno coeva al Tabularium, con restauri di et flavia. Esso
caratterizzato da una cella pi larga che profonda su alto podio foderato di lastre di
travertino; la cella presenta muri in blocchi di tufo di Grotta Oscura e conserva la
soglia in travertino: un piccolo pronao con quattro colonne contiene un'ara anepigrafe
ed raggiungibile tramite una breve scala; il tempio rivolto a occidente, verso la
pendice del Capitolium. In et flavia stata realizzata una volta in muratura, a
sostegno della quale sono stati realizzati piloni in laterizi; marmi colorati e stucchi
dipinti decoravano il pavimento e le pareti della cella. ben visibile, lungo i lati
posteriore e sinistro del tempio, e quasi a ridosso di essi, il muro in blocchi di tufo
rosso pertinente alla costruzione del Tabularium, alla vicinanza del quale si deve la
mirabile conservazione delle modanature del podio in travertino.
Proprio sopra i consistenti resti del tempio fu realizzata, nel Medioevo, la rampa che
dalla piazza saliva ai piani superiori del Palazzo Senatorio: questo ha preservato l'area
dagli appetiti dei cavapietre e ha permesso di trovare, durante gli scavi degli anni
Trenta, nella stessa cella dove era stata originariamente collocata, la grande statua di
culto del dio. Tornando indietro, si raggiunge di nuovo la galleria. Lo spazio di una
campata stato utilizzato nel XVTII secolo per una scala, l'impronta della quale
visibile sul coevo intonaco bianco; essa univa i piani superiori e gli alloggi del Senatore
con la galleria; grazie al consistente interro che si era accumulato a ridosso del muro

del Tabularium, era possibile uscire verso il Foro tramite la vicina arcata, unica rimasta
sempre aperta. Due grandi frammenti delle trabeazioni del Tempio della Concordia e di
quello di Vespasiano e Tito sono stati rimontati nell'Ottocento sulle pareti: essi sono
frutto degli scavi realizzati all'inizio del secolo ai piedi del Tabularium. Il frammento del
Tempio della Concordia, pertinente al restauro del tempio operato da Tiberio, mostra
particolare eleganza e delicatezza degli intagli marmorei, tipiche del periodo iniziale
del principato di Augusto, il frammento del Tempio di Vespasiano e Tito, dal
caratteristco chiaroscuro e dalla particolare plasticit dei rilievi, raffigura nel fregio
oggetti di culto e strumenti sacrificali, tra i quali si notano il bucranio, la patera, il
copricapo, l'aspersorio, la brocca, il coltello. L'ambiente dove montato il cornicione
del Tempio di Vespasiano e Tito era originariamente chiuso da un muro di fondo in
corrispondenza dell'arco. Quest'ultimo stato realizzato in epoca imprecisata per la
necessit di collegare la galleria sul Foro con quella di Sisto IV; il collegamento
esistito fino ai lavori del 1939. Nel successivo vano di fondazione stata sistemata la
statua di culto del dio Veiove, rinvenuta negli scavi del 1939. Di altezza doppia del
vero, la statua, purtroppo acefala, ricavata da un unico blocco di marmo bianco. Il
dio raffigurato secondo un'iconografia giovanile, nudo ma con la spalla e il braccio
sinistri avvolti da un ampio mantello che, con pieghe larghe e piatte, arriva fino a
terra. Simile iconografia presentano alcune statuette in bronzo e alcune monete
repubblicane, gi identificate con il dio italico Veiove. Di quest'ultimo non chiaro il
carattere, per alcuni maligno, per altri benevolo, n il suo rapporto con Giove, a cui il
dio legato sia dagli attributi, i fulmini e la capra, caratteristici delle due divinit, sia
dal nome simile. E stata recentemente proposta una datazione della statua in et
sillana, coeva quindi alla costruzione del Tabularium.
L'ultimo ambiente permette di ammirare da vicino il lato posteriore del podio del
Tempio di Veiove attraverso due varchi nel muro del Tabularium, realizzati al momento
dello scavo. Tornando indietro verso la galleria, attraverso un'apertura realizzata per
esigenze di comunicazione, possibile osservare uno degli ambienti del fronte sud-est
del Tabularium. Questi ultimi, a due piani, si affacciavano su un corridoio di
disimpegno chiuso da un muro in opera quadrata in parte ancora esistente; proprio a
una piattabanda di questo corridoio appartiene l'iscrizione di Lutazio Cattilo. Il vano,
del quale nel corso del recente restauro stato possibile recuperare l'originario
pavimento in scaglie di calcare bianco, presenta ancora gran parte dell'originario
intonaco che copriva le pareti di tufo nonch l'originaria volta in muratura. Simili
caratteristiche presentano i due vani affiancati a esso sul lato nord, mentre in quello
sul lato sud inizia una scala che permette di scendere verso la galleria inferiore.
Quest'ultima corre lungo il fronte del Foro Romano, verso il quale si apre con finestre

rettangolari; tramite una porta, poi obliterata, si raggiungeva un edificio del Foro. In
et flavia la galleria stata occupata da un condotto idrico con copertura "a
cappuccina", del quale rimangono alcuni tratti. E stata poi utilizzata, forse come
magazzino, e di questa fase rimangono gli stipiti di due porte. Il pavimento attuale
stato portato a un livello inferiore di quello originario e la volta stata probabilmente
alzata: il corridoio doveva essere pertanto pi angusto e particolarmente basso. Del
fronte nord-ovest del Tabularium, verso l'attuale piazza del Campidoglio, si conservano
pochi resti, dai quali si deduce che esso, dopo la rientranza in corrispondenza del
Tempio di Veiove, proseguiva parallelamente al fronte sud-est.
Palazzo Nuovo.
Cortile. Il cortile si apre scenograficamente con la fontana di c.d. Marforio, opera
romana del I secolo d.C., utilizzata durante il Rinascimento per affiggervi le cosiddette
pasquinate, composizioni ironico-satiriche indirizzate prevalentemente contro il
governo pontificio. La parete retrostante, sistemata come facciata monumentale, reca
inserite

entro

nicchie

le

due

statue

di Satiri della

Collezione

Della

Valle,

originariamente destinate alla decorazione architettonica del teatro di Pompeo. In alto


posta l epigrafe relativa alla fondazione del Museo nel 1734 e alla realizzazione
della fontana, sormontata dal ritratto del pontefice promotore Clemente XII. Nello
spazio del cortile sono sistemate le colonne di granito decorate a rilievo con scene
egittizzanti, provenienti dal grande tempio di Iside nel Campo Marzio.
1. Statua di fiume c.d. Marforio scultura in marmo lunense del I d.C. La statua si
trovava presso la chiesa di S. Pietro in Carcere, di fronte alla Chiesa di S.
Martina. Fu rimossa in seguito ad una ordinanza municipale e, dopo una breve
permanenza in piazza S. Marco, fu trasferita sulla Piazza Capitolina nel 1592,
ove ornava una fontana eseguita su disegno di Giacomo della Porta. La nicchia,
ove tutt'ora la statua inserita, venne in seguito inclusa all'interno dell'edificio
dei Musei Capitolini. Statua colossale raffigurante una divinit fluviale. Come
consueto, il dio, con folta capigliatura e barba, raffigurato semisdraiato, in
seminudit, con un mantello che gli ricopre parte di una spalla e la gambe. Per
la mancanza di attributi specifici, risulta ardua l'indentificazione di uno specifico
fiume: si pensato al Reno, al Nilo, o, pi verosimilmente, al Tevere.
2. Statua di Pan. Collezione Albani, Marmo lunense, II d.C., scoperto in piazza dei
satiri era pertinente alla decorazione del teatro di pompeo. La statua raffigura
Pan: il dio, come di consueto, raffigurato con zampe e lunghe corna caprine
(ben visibili sulla cesta in vimini), zoccoli, e la parte superiore del busto in forma
umana. A tracolla sul busto indossa una pelle di pantera. Il suo braccio destro
sollevato, a reggere un canestro colmo di uva in equilibrio sul capo: circostanza

che determina la funzione di telamone del nostro pezzo. Nella sua mano
sinistra, abbassata ed avvicinata al fianco, un grappolo d'uva.
Sala del Galata. La sala prende nome dalla statua di Galata morente scoperta negli
horti sallustiani nel 16. Marmo greco datata tra 240-220 a.C. forse copia da un
originale pergameno dedica di Attalo sulla terrazza del tempio di Athena di pergamo.
1. Galata morente
2. Gruppo di Amor e Phsiche. Rinvenuta sullavventino presso s. balbina nel 1749,
marmo greco, Avvolti in un serrato abbraccio, nell'atto di baciarsi. Le due figure
sono impostate con il peso sulla gamba interna e un forte sbilanciamento
esterno dell'anca, che determina una rotazione vistosa del busto in modo che
possano riunirsi in un abbraccio. Sono raffigurati in totale nudit, ad eccezione
di un mantello che ricopre dai fianchi in gi il corpo di Psyche, ricadendo con un
gioco di pieghe tra le gambe. Si tratta della copia di et tardo-adrianea primo
antonina di un famosissimo originale di et ellenistica. Portato a Parigi nel 1797,
fu poi riportato a Roma nel 1816. 10/06/1985 ritirato della ditta Tartaglia ed
inviato ad Atene.
3. Statua di Amazzone ferita, tipo "Mattei". Replica di prima et imperiale della
celebre statua di Amazzone ferita, attribuita a Fidia. La donna indossa come di
consueto solo un leggero chitone, che trattenuto su una sola spalla le lascia
scoperto il seno sinistro. Il peso della figura impostato sulla gamba destra,
mentre la sinistra avanzata e flessa, e sfiora solo con la punta delle dita il
suolo. Il braccio destro, sollevato, piegato ad angolo retto in modo da potere
superare il capo e giungere ad impugnare con le dita una delle frecce contenute
nella faretra indossata a tracolla.La testa, antica, non per pertinente: fu
aggiunta alla statua dopo il 1775, data in cui essa si trovava nella Sala delle
Colombe.
4. Statua di satiro. Copia di et Adrianea del Satiro in riposo di Prassitele La figura,
impostata con il peso sulla gamba sinistra, sbilanciata sulla destra dalla forte
inclinazione dell'anca opposta: per ragioni statiche allora inserito come
sostegno un tronco d'albero al di sotto del gomito destro. Il giovane
interamente nudo, ad eccezione della pardalis (pelle di pantera) che gli corre in
diagonale sul busto fino all'attacco delle cosce. Il capo appena reclinato in
avanti. La capigliatura a calotta, a piccole ciocche ricciute, pi mosse nella
parte anteriore, pi disegnative nella zona occipitale, oltre la tenia. Si tratta di
una delle numerosissime repliche della statua di Prassitele nota con il nome di
Satiro in riposo.

5. Statua di hermes detto Antinoo

Albani.

Tarda

et adrianea-prima et

antininiana. Marmo lunense scoperto a villa di Adriano di Tivoli.


6. Statua di Apollo Citaredo. Tarda et adrianea.rielaborata sul modello del famoso
originale, attribuito alla fase finale della produzione di Prassitele (340-330 a.C.).
Il dio, in completa nudit ad eccezione di un mantello che, poggiato con uno
sbuffo sulla spalla sinistra gli ricade poi sul braccio, stante e pensieroso, colto
in un attimo di sospensione dall'attivit musicale: il peso della figura sorretto
interamente dalla gamba destra, la sinistra arretrata e scartata di lato; ne
consegue un movimento che crea un lieve sbilanciamento della figura sulla
destra, corretto dal movimento del braccio destro, sollevato ad arco e poggiato
sul capo. Nella mano sinistra il dio impugna una cetra di grandi dimensioni.
Sala del Fauno. Marmo rosso et adrianea, dalla villa di tivoli. La statua di Fauno
in marmo rosso antico una delle opere pi note della Collezione dei Musei
Capitolini. La figura del Fauno impostata sulla gamba destra, mentre la sinistra
avanzata e scartata leggermente di lato; il movimento del bacino sulla destra
determina un sbilanciamento del busto, poi corretto dal raddrizzamento delle spalle
e dall'energico movimento delle braccia. Il capo volto con un movimento deciso
sulla destra. Il Fauno, interamente nudo ad eccezione della consueta nebrs (pelle
di pantera) annodata sulla spalla destra e condotta in diagonale sul busto, regge un
polposo grappolo d'uva nella mano destra, con il braccio sollevato quasi ad angolo
retto; nella sinistra stringe invece un pedum (il tipico bastone dei satiri), affiancato
ancora da un secondo grappolo d'uva, dagli acini resi in forte chiaroscuro. Ai suoi
piedi sono gli attributi tipici del mondo dionisiaco: un flauto annodato ad un tronco
(ad indicare l'ambientazione agreste), e, sulla destra, una capra poggiata su una
cista in vimini con coperchio socchiuso. Il viso, dal modellato vigoroso, dominato
dagli zigomi sporgenti dalle labbra mrbide e socchiuse, che rivelano i denti, e dal
taglio degli occhi: questi, adesso cavi, dovevano essere completati in origine con
l'inserimento di materiale in pasta vitrea pietre dure. Il marmo rosso antico, di
provenienza peloponnesiaca (dalla Laconia) fu particolarmente amato in et
adrianea, scelto per la realizzazione delle numerose sculture che arredavano
giardini e ville.
Salone.
1. Statua di Centauro anziano in marmo bigio. Da villa di Tivoli et adrianea.La
scultura, volta a destra, presenta un ritmo sinuoso, determinato dalla
accentuata torsione del busto, inarcato all'indietro ed inclinato sulla destra, e
dalla posizione delle braccia, raccolte insieme dietro la schiena. Il movimento

accentuato dalla zampa anteriore destra del quadrupede, sollevata dal suolo e
flessa. Anche il capo, volto all'indietro ed inclinato sulla destra, ne accentua il
ritmo complessivo. Il Centauro , come di consueto, interamente nudo, ad
eccezione della nebrs (la pelle di pantera) raccolta sulla spalla destra. Sul
sostegno al di sotto del ventre sono scolpite in rilievo piatto due nacchere. Sul
plinto sono incisi i nomi degli scultori che eseguirono l'opera: si tratta di Aristeas
e di Papias, probabilmente artisti provenienti da Afrodisia. Il marmo grigio, di
provenienza peloponnesiaca (Laconia), piuttosto duro da lavorare: nondimeno,
alcuni dettagli, come le vene rigonfie, la muscolatura dell'addome o la rifinitura
della capigilatura scomposta e della barba fluente sono di altissima qualit.
2. Statua di centauro giovane. Eta adrianea, villa adriana, Statua di giovane
Centauro, volta a sinistra, con le zampe al suolo, ad eccezione della zampa
anteriore destra, sollevata ad angolo retto. L'essere semi-ferino interamente
nudo, ad eccezione di un piccola pelle di animale selvatico, poggiata sul braccio
sinistro. Nella mano sinistra tiene un pedum, il piccolo bastone nodoso tipico dei
satiri. Altri attributi del mondo dionisiaco sono riconoscibili sul sostegno al di
sotto del ventre dell'animale (una syrinx ed un ramo di pino). Il marmo grigio, di
provenienza peloponnesiaca (dalla Laconia), piuttosto duro da lavorare:
nondimeno, alcuni dettagli, come le vene visibili al di sotto della muscolatura
contratta o la rifinitura della capigilatura, scomposta, sono di altissima qualit.
Sul plinto sono incisi i nomi degli scultori che eseguirono l'opera: si tratta di
Aristeas e di Papias, probabilmente artisti provenienti da Afrodisia.
3. Statua di amazzone ferita di Sosikles. Replica di et antoniniana della celebre
Statua di Amazzone ferita, attribuita a Sosikles, e nota in quasi una trentina di
copie. La figura impostata sulla gamba sinistra, la destra, arretrata, sfiora il
suolo con la punta delle dita del piede. Il braccio sinistro (parzialmente
integrato) piegato e si appoggia sul busto, il destro (anch'esso integrato)
doveva sostenersi ad una lunga lancia (non conservata). La testa reclinata in
avanti. La donna indossa un corto chitone e un himation (mantello): di
quest'ultimo appena visibile l'attacco sul collo, mentre la stoffa scivola sul
retro a coprirle le spalle. Il chitone, corto al di sopra delle ginocchia, le scivola
sul corpo, lasciando scoperto il seno destro. I capelli, pettinati con scriminatura
centrale, seguono il profilo del viso in ordinate ciocche ondulate, che arrivano a
coprire l'attacco dei lobi. Le labbra, carnose, sono appena dischiuse.
Sala di Afrodite. Si tratta di una rielaborazione di tarda et ellenistica (II o I sec. a.C.)
della celebre e amatissima statua della Afrodite Cnidia, eseguita da Prassitele intorno
al 360 a.C. per il santuario della dea a Cnido. La dea raffigurata nel momento

immediatamente precedente al suo bagno: interamente nuda, lievemente inclinata in


avanti, nell'atto di proteggere la sua nudit con entrambe le braccia. La composizione
della figura attentamente calibrata: alla sua spalla sinistra abbassata corrisponde la
gamba destra arretrata, mentre il peso gravita interamente sulla gamba sinistra. I
capelli sono raccolti sulla nuca in una elaborata acconciatura, che lascia cadere sulle
spalle soltanto due ciocche ricciolute. I vestiti sono adagiati su un'anfora, collocata nei
pressi della gamba destra.
Galleria.
1. Torso di discobolo. I d.C. copia prima et imperiale dopo il discobolo di Mirone.
La statua, che originariamente raffigurava un discobolo intento al lancio del
disco, stata cos pesantemente restaurata nel XVIII (P. Monnot) secolo che ne
stata alterata la visione complessiva. L'unico elemento originario il torso, fino
all'attacco delle cosce: nello sforzo della torsione e del lancio, sono visibili le
costole, e le partizioni addominali. I muscoli sono resi con grande attenzione ai
dettagli, ben definiti nel movimento della loro tensione. Doveva trattarsi di una
copia di prima et imperiale del celeberrimo Discobolo di Mirone, opera molto
amata in et imperiale e della quale sono attestate una ventina di repliche.
2. Vecchia ebra.copia di et imperiale da originale ellenistico del III a.C. Statua di
donna anziana, seduta a gambe incrociate sul pavimento, che regge un otre tra
le mani, decorato con una ghirlanda d'edera sul collo.La sua et denunciata
da una serie di dettagli, quali rughe sul volto, grinze sul collo,una certa nodosit
delle mani e la pelle delle braccia. La donna indossa un lunghissimo chitone
privo di maniche (la cui spallina destra scivolata all'altezza del gomito), al di
sopra del quale un mantello. Alle dita della mano sinistra sono due anelli.Si
tratta della copia, di et imperiale, di un soggetto, molto amato in et
ellenistica, la cui creazione da porre verosimilmente intorno al 300 a.C.
3. Leda con il cigno. Et adrianea. La statua raffigura la giovane Leda nell'atto di
accogliere in grembo Zeus, nelle sembianze di un cigno. Si tratta della copia di
et imperiale di un celebre originale greco di et tardo-classica, attribuito a
Timotheos. La fanciulla, assisa su una roccia, ricoperta solo parzialmente da
un leggerissimo chitone, annodato sulla spalla sinistra, che le scivola via
sensualmente lasciandola pressoch scoperta; con la mano sinistra, in un gesto
quasi di protezione, trattiene sollevato in alto il lembo di un himation (mantello).
Il cigno, poggiato sl suo ginocchio destro e trattenuto con la mano destra dalla
fanciulla, sembra ricercare lo sguardo di lei, proteso con il lungo collo nello
sforzo. Il viso della fanciulla invece volto in alto sulla sua sinistra:
accorgimento che sembra conferire alla scena una sorta di ineluttabilit e quasi
di rassegnazione all'unione che si sta ormai per compiere. Scultore nativo

probabilmente di Epidauro, ma di scuola attica, vissuto intorno alla prima met


del IV sec. a. C. e attivo fra il 370 e il 350 a. C. Il suo nome e legato a due fra i
pi importanti complessi scultorei del IV sec., il tempio di Asklepios a Epidauro
ed il Mausoleo di Alicarnasso, ma gli scarsi dati delle fonti non hanno consentito
attribuzioni inequivocabili, cosi che la figura di questo artista conserva dei
contorni piuttosto imprecisi. Essa si colloca genericamente nell'ambito di quella
corrente postfidiaca volta a elaborare soprattutto le conquiste luministiche
dell'arte del maestro attraverso il trattamento dei panneggi e sensibile ad
influenze argive4. Eros che tende larco Statua di Eros intento a tendere l'arco: la figura, il cui peso
retto dalla gamba sinistra, impostata secondo le diagonali delle braccia, tese
verso destra, a reggere l'arco: nello sforzo del movimento, il fanciullo compie
una leggera torsione del busto verso destra, accompagnata da una inclinazione
del capo nella stessa direzione. Si tratta di una copia della prima et imperiale
del celebre originale scolpito da Lisippo per il santuario di Eros a Tespie in
Beozia.
Sala dei ritratti.
In questa sala del Museo Capitolino, fin dall'apertura al pubblico, avvenuta nel
1734, i curatori delle raccolte artistiche vollero esporre tutti i busti, le erme e i
ritratti raffiguranti gli imperatori romani e i personaggi della cerchia imperiale.
Le opere qui esposte sono il frutto di una selezione ragionata che ha interessato
questa particolare sezione della raccolta nel corso dell'ultimo secolo, venendo
ampiamente sfoltita e ridisposta secondo criteri storici e logico-tematici pi
rigorosi e conseguenti. Attualmente nella Sala degli Imperatori si trovano
esposti 67 tra busti e ritratti e al centro una statua femminile seduta, mentre le
pareti sono ornate da 8 rilievi antichi e da un'epigrafe onoraria moderna. I busti,
disposti in gran parte su doppia fila di mensole marmoree, danno modo al
visitatore di seguire cronologicamente lo sviluppo della ritrattistica romana
dall'et repubblicana al periodo tardo-antico, offrendo una esemplificazione
ricca dal punto di vista numerico e particolarmente notevole sotto l'aspetto
qualitativo.
Nella serie maschile degli imperatori si pu seguire l'evoluzione nel modo di
portare i capelli e la barba (fino ad allora perfettamente rasata e in seguito
portata lunga, "alla greca", nell'intento d'apparire ispirati e filosoficamente
impegnati), mentre nella serie femminile, l'evoluzione delle acconciature dei
capelli, da quelle alte e frastagliate "a impalcatura" di tradizione flavia, a quelle
caratterizzate da una pi o meno alta crocchia "a ciambella" tipica per tutta
l'epoca antonina. Ben rappresentata anche la casata severiana (193-2f 7 d.C.)

con i ritratti di Settimio Severo, impostato su di uri imponente busto d'alabastro


verde, di Giuria Domna, sua moglie, e dei figli Geta e Caracalla, e inoltre di
Elagabalo, Massimino il re i capelli e la barba (fino ad allora perfettamente
rasata e in seguito portata lunga, "alla greca", nell'intento d'apparire ispirati e
filosoficamente impegnati), mentre nella serie femminile, l'evoluzione delle
acconciature dei capelli, da quelle alte e frastagliate "a impalcatura" di
tradizione flavia, a quelle caratterizzate da una pi o meno alta crocchia "a
ciambella" tipica per tutta l'epoca antonina. Ben rappresentata anche la
casata severiana (193-2f 7 d.C.) con i ritratti di Settimio Severo, impostato su di
uri imponente busto d'alabastro verde, di Giuria Domna, sua moglie, e dei figli
Geta e Caracalla, e inoltre di Elagabalo, Massimino il Trace, Traiano Decio,
Aurelio Probo e Diocleziano. La serie imperiale si chiude con la testa del giovane
Onorio (384-423 d.C.), il pi piccolo dei figli dell'imperatore Teodosio, preludio
dei

modi

figurativi

dell'arte

bizantina.

II

percorso

di

visita

si

snoda

elicoidalmente in senso orario; parte dalla mensola superiore immediatamente


a sinistra, entrando dalla Sala dei Filosofi, per terminare all'estremit della
mensola inferiore subito a destra della menzionata porta di passaggio.
Sono presenti due ritratti di Augusto, il primo dei quali relativo a un momento
di poco successivo alla vittoriosa battaglia di Azio (31 a.C.), che ne segn
l'ascesa, mentre il secondo ci offre l'imperatore gi nella piena maturit, cinto il
capo da una trionfale corona di quercia, sereno e consapevole della sua
auctoritas.

questo

ritratto

di

Augusto

si

pu

avvicinare

il

ritratto

dell'imperatrice Livia, sua consorte, impreziosito da un ricco e alto diadema con


trofeo di spighe e boccioli, che la assimila alla benefica e frugifera dea Cerere.
Nella

sala

sono

conservati

numerosi

ritratti

femminili,

con

complesse

acconciature, in qualche caso parrucche dai riccioli molto elaborati. Tra loro
spiccano Faustina Maggiore (sposa di Antonino Pio) e Faustina Minore, che
cambiava acconciatura a ogni nascita di figlio e della quale pertanto si
conoscono otto tipi. Molto pregevole il ritratto della "Dama flavia", dalla
complessa e articolata acconciatura e dai raffinati tratti del volto. Singolare il
busto policromo di Dama romana, il cui ritratto proviene da Smirne ed datato
al periodo di Alessandro Severo. Come molti altri di questo tipo e di questo
periodo, era composto per parti, con l'inserimento distinto della chioma; in et
moderna fu restaurata la capigliatura, forse perduta, in nero antico.
In questa sala, analogamente all'attigua Sala degli Imperatori, fin dalla
fondazione del Museo Capitolino si vollero raccogliere ed esporre i ritratti, i busti
e le erme raffiguranti le fattezze di poeti, filosofi e retori dell'antichit greca di
epoca classica ed ellenistica, le cui immagini nell'et romana (secondo una

moda introdotta dal letterato Asinio Pollione nella seconda met del I secolo
a.C.) decoravano biblioteche pubbliche e private, case gentilizie, ville e parchi di
facoltosi e sensibili cultori delle arti e della filosofia. I collezionisti rinascimentali
vollero arricchire i loro palazzi e le loro raccolte con le effigi pi rappresentative
di tanti uomini illustri.
Statua di Elena. 182. Statua di ElenaRoma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo, inv.496 |
Gi

nel

Belvedere

Vaticano,

trasferita

in

Campidoglio

nel

1566

seguito

delladonazione di papa Pio V | Marmo greco |Alt. tot. 123 cm; alt. testa (mentovertice)22,5 cm; largh. 62 cm; lungh. 147 cm. Lelegante figura seduta su una sedia
con alta spalliera e piedi ricurvi (klisms), fornita di un morbido cuscino che deborda
sui lati. La donna ha le gambe allungate in avanti con il piede destro accavallato al
sinistro, entrambi
calzati con semplici sandali e poggiati su un basso suppedaneum. vestita con un
peplo attico e con un mantello, e appare comodamente appoggiata in una posizione di
tranquillo riposo, con il busto rivolto di tre quarti verso la propria sinistra e con il
braccio sinistro poggiato sulla spalliera. Il gomito proteso indietro e la mano
mollemente abbandonata nel vuoto. La veduta privilegiata della statua capitolina era
quella frontale, dal momento che il retro rifinito in modo sommario.
Per la posizione del corpo la statua riprende un prototipo greco tardo classico,
identificato fino a pochi anni fa con una statua di Afrodite, attribuita dai diversi studiosi
a Fidia, ad Alcamene o a Calamide (Delivorrias 1978, pp. 1-23; Gasparri 2000, pp. 3-8
con bibliografia precedente) e ora riconosciuto nella statua di Igea vista da Pausania
(Paus. Graeciae descriptio I, 23, 4) sullAcropoli di Atene (Despinis 2008, pp. 268-317).
Il tipo iconografico, noto attraverso undici repliche, era molto apprezzato in epoca
romana per la raffigurazione di statue iconiche, evidentemente per via della posa, che
esprime al tempo stesso maestosa solennit e pacatezza, virt consone ai familiari
femminili di imperatori o di personaggi di alto rango. La testa risulta lavorata
separatamente e mostra incongruenze e indecisioni nel trattamento delle orecchie,
non completamente rifinite, e dellacconciatura, in particolare alla sommit, sulla nuca
e sul collo, che contrastano con laccurata esecuzione del corpo. La capigliatura
divisa centralmente da una scriminatura
e si dispone in ciocche ondulate che convergono verso le orecchie e sono raccolte sul
retro in una duplice matassa piatta cingente il capo, che scendeva a treccia ai lati del
collo. I piani facciali sono sfumati e arrotondati, il mento sporgente, la bocca
piccola con le labbra sottili e serrate. Il naso, affilato e pronunciato, caratterizzato
individualmente da unaccentuata gibbosit. Gli zigomi sono alti e sporgenti. Gli occhi,
con liride sommariamente indicata, con la pupilla incavata e con le palpebre appena

accennate, hanno lo sguardo rivolto in alto. La fronte bassa e segnata da una ruga
centrale. Questi tratti, per affinit con le immagini riprodotte nelle monete, hanno
consentito a Raissa Calza di proporre lidentificazione con Elena, madre di Costantino,
in seguito unanimemente accettata. Restano, tuttavia, alcuni interrogativi. Lidentit
del marmo del corpo e della testa induce a ritenere che il ritratto di Elena sia stato
rilavorato su un volto pi antico pertinente alla medesima statua, sebbene non
manchinoacconciaipotesi contrarie (von Heintze 1971). Alcune scheggiature presenti
lungo il bordo della veste intorno al collo fanno supporre che per lintervento di
rilavorazione la testa sia stata estratta e poi ricollocata (Arata), unoperazione
certamente rischiosa e non necessaria. Il capo risulta leggermente rimpicciolito e nella
zona occipitale era completato con parti della capigliatura lavorate separatamente,
probabilmente in stucco, e congiunte mediante perni alla testa originaria, che non
possedeva evidentemente materia sufficiente per la realizzazione della complessa
acconciatura della madre dellimperatore.
Si sostenuto che il capo avesse il diadema (contra Wegner), che divenne una
consuetudine per i ritratti femminili imperiali a partire dai primi decenni del IV secolo
d.C., ma non vi sono tracce sicure della sua presenza, in analogia alla statua di Elena
conservata agli Uffizi. Lidentificazione del personaggio originariamente raffigurato
nella scultura con una principessa di et antoniniana (Faustina Minore o Lucilla, cat.
185) sembra essere ormai accertata, per analogia con altre statue affini tratte dal
medesimo prototipo. Restano incerti, invece, il significato della scelta del soggetto
riadoperato e loccasione della nuova dedica costantiniana: il 324, anno del
conferimento del titolo di Augusta, o la divinizzazione seguita alla sua morte
(328/329). [CPP]
Nella Sala dei Filosofi ne sono attualmente esposti 79. Molti sono i ritratti di
cui stata determinata l'identit del personaggio, alcuni certamente "di
ricostruzione",creati cio molto tempo dopo la morte del personaggio e quindi
solo vagamente ricollegabili alle fattezze reali, altri invece dall'epoca ellenistica
in poi, che riproducono con una certa fedelt le diverse fisionomie. La raccolta si
apre con una numerosa rappresentanza di erme raffiguranti Omero, il pi
celebre poeta dell'antichit, raffigurato convenzionalmente nell'aspetto di
vecchio, barba e chioma fluenti, con gli occhi ormai spenti a testimoniare la
leggendaria cecit fisica, ma anche la profonda sensibilit e conoscenza
dell'anima e del destino dell'uomo. Il prototipo di questo ritratto pu attribuirsi
alla scuola artistica rodia, collocandosi cronologicamente intorno al 200 a.C. Di
ricostruzione il ritratto di Pindaro, altro celebre poeta greco, il cui prototipo

statuario risale a un momento artistico influenzato dallo stile severo (prima


met del V secolo a.C.).
Interessante anche il ritratto identificato con Pitagora, il famoso filosofo e
matematico di Samo, caratterizzato dal piatto turbante che ne avvolge la testa.
Socrate reso secondo il ritratto creato da Lisippo intorno alla met del IV
secolo a.C., circa mezzo secolo dopo la morte del filosofo: raffigurato quasi
nell'aspetto di un sileno, con il naso carnoso rivolto all'ins, gli occhi rotondi e
sporgenti, la fronte bombata e la larga bocca dalle labbra tumide. Sono
presenti, inoltre, i ritratti raffiguranti i tre pi noti poeti tragici ateniesi. Eschilo
rappresentato con i tratti del volto pieni e definiti, ornato da una barba stilizzata
e ornamentale, forse da un prototipo della met circa del V secolo a.C. Sofocle
ha la testa quadrata e massiccia, barba e capelli trattati a ciocche brevi e
corpose serrate da un nastro. Euripide mostrato gi avanti negli anni,
stempiato e con i lunghi capelli che gli coprono le orecchie. Il prototipo, che
risente dell'impronta stilistica lisippea, pu datarsi intorno al 320 a.C. Tra i tanti
ritratti di personaggi celebri della grecita, sono esposti in questa sala anche
alcuni ritratti originali d'epoca romana, tra cui il busto di Cicerone, celebre
statista e letterato, rappresentato poco pi che cinquantenne nel pieno delle
sue energie intellettuali e politiche. L'impostazione generale trae origine e
spunto dalla ritrattistica greca d'epoca tardoellenistica, ma ben evidenti
appaiono le intenzioni realistiche del pi autentico ritratto romano d'et
repubblicana.

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