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I. Statuaria e frammenti maggiori

I.1 Clemente Massimi e Girolamo Santorio (attivi nella prima met del XIX secolo) Sfingi alate, 1828 travertino, altezza 226 cm Villa Lontana, gi Villa Torlonia; Collezione Federico Zeri Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli Una modesta tenuta agricola, situata un miglio circa fuori Porta Pia, fu acquistata nel 1797 da Giovanni Torlonia, protagonista di una vertiginosa e rapida ascesa economica e sociale che lo aveva inserito nella nobilt romana. Dal 1802 larchitetto Giuseppe Valadier fu incaricato di trasformarla in una raffinata residenza adeguata al nuovo status della famiglia, incarico confermato almeno fino al 1828. Valadier si occup del Casino nobile, del Casino dei Principi e delle Scuderie, conferendo agli edifici un aspetto rigoroso ed elegante, secondo le idee progettuali evidenziate in alcuni schizzi autografi. Tra i documenti che ci sono pervenuti risulta un suo intervento anche negli arredi del parco, in particolare nellideazione di fontane da porre alle intersezioni dei viali pi importanti e una, pi complessa, da collocare davanti al Casino. Questultima ci nota da uno schizzo e da un dipinto che raffigura la Villa, ed era decorata da quattro sfingi accovacciate sui bordi. Nel corso di successive trasformazioni la fontana stata smantellata, e delle sfingi in travertino ne restano due in Villa, poste a decoro di un edificio novecentesco, il Villino Rosso, mentre altre due si trovano oggi nel giardino del Palazzo Orsini Savelli a Monte Savello, probabilmente portate in dote quando Maria Luisa Torlonia (figlia di Giovanni e sorella di Alessandro Torlonia) and sposa a Domenico Orsini. Altre sfingi in travertino, nella variante eretta e alata, alcuni anni dopo furono ideate da Valadier a decoro dellingresso monumen-

tale su via Nomentana. Di queste sfingi, quattro, in parte mutile nelle ali, sono ancora a Villa Torlonia, sono state rinvenute allepoca dellesproprio nei pressi del Casino dei Principi e quindi, dopo il restauro, sono state collocate appaiate ai due ingressi delledificio. Altre quattro sono invece state donate dalla famiglia Torlonia a Federico Zeri e sono state a lungo poste ai lati dellingresso della Villa di Mentana. Lideazione delle sfingi chiaramente attribuita a Valadier: da un documento conservato nellArchivio Torlonia risulta che nel gennaio 1828 lo scultore Clemente Massimi sottoscriveva il seguente impegno: Don Alessandro Torlonia essendosi compiaciuto di incaricarmi dellintaglio e scultura in travertino di tre sfingi per uso e decorazione della Villa fuori Porta Pia a forma dei modelli eseguiti, io sottoscritto mi obbligo di fare i lavori suddetti a stile di perfetta arte pel prezzo di scudi 200 in tutto, che mi verr pagato dopo che il Sig. Architetto Valadier avr approvato i lavori. Un impegno analogo per altre tre simili sfingi, e per lo stesso ammontare, veniva contestualmente sottoscritto da Girolamo Santorio. La destinazione delle sfingi risulta in tutta evidenza da due documenti grafici, unincisione di Giovan Battista Cipriani del 1835 (fig. 1) e una seconda incisione, non firmata ma pubblicata sulla rivista LAlbum del 1842 (fig. 2). Entrambe mostrano lingresso monumentale della Villa, situato allinizio del muro di cinta lungo via Nomentana e non lontano da via Spallanzani, non in asse con il Casino nobile ma con una prospettiva sul lato ovest. Lingresso, non pi esistente perch demolito per consentire, intorno al 1910, lampliamento della via Nomentana, conferiva alla Villa una notevole monumentalit, con unarticolazione studiata e complessa. Era composto da due alti pilastri laterali a bugnato liscio, ognuno coronato da una coppia di sfingi, mentre al cen-

tro, arretrato rispetto al muro di cinta, si trovava un corpo pi ampio, anchesso a bugnato liscio, sormontato da altre due sfingi affiancate a uno stemma colossale della famiglia. Fra i tre corpi erano poste due belle cancellate. Luso delle sfingi come supporto a uno stemma nobiliare, come in questo caso, non riconducibile ad alcuna tradizione, va quindi attribuita a un libero accostamento ideato da Valadier. La tipologia adottata per le sfingi quella dellanimale seduto sulle zampe posteriori, eretto su quelle anteriori, dotato di ali e con volto femminile, che trova numerosi antecedenti anche nel mondo antico, come nella Sfinge dei Nassi a Delfi. La valenza funeraria cui le sfingi erano in origine associate nellarte egizia e anche nel mondo greco-romano era stata presto affiancata da quella puramente decorativa, secondo una tradizione ampiamente diffusa in et imperiale, quando la sfinge alata era frequentemente usata quale sostegno per tavoli o mobili. Proprio a questo uso decorativo si richiama Valadier, accostando le sfingi al grande stemma in travertino di stampo quattrocentesco. Il volto femminile delle sfingi, con la capigliatura divisa al centro in due bande e un ampio nodo sulla sommit, ricorda vagamente la tipologia adottata in antico per lApollo tipo Ariadne, bench la posizione del nodo sia diversa. Accertata quindi la paternit e la tipologia delle sfingi, resta da chiarire il loro numero e la loro sorte dopo lo smantellamento dellingresso nel 1910. Per quanto riguarda il numero, tutti i documenti concordemente riportano il dato di sei sfingi: i pagamenti sono riferiti a tre realizzate da Clemente Massimi e tre da Girolamo Santorio, le due incisioni citate in precedenza mostrano ugualmente sei sfingi, due sul pilone centrale a fianco dello stemma e due su ciascuno dei piloni laterali. Tuttavia le sfin-

1. G.B. Cipriani, Ingresso di Villa Torlonia, incisione, 1835.

2. Lingresso di Villa Torlonia, incisione pubblicata sulla rivista LAlbum, 1842.

3. E. Gennari, Progetto per il nuovo ingresso di Villa Torlonia, 1907, ASC, Ispettorato Edilizio.

gi a noi pervenute sono otto, quattro ancora a Villa Torlonia e quattro nella Collezione Zeri. I due gruppi risultano in modo evidente eseguiti da mano diversa, pi raffinate le sfingi della Collezione Zeri, e confermano la divisione del lavoro tra due scultori. Il problema resta lesecuzione delle altre due, una per ciascun gruppo, da chi e quando siano state realizzate. Un elemento di riflessione si pone nellosservare attentamente il progetto di Enrico Gennari per il nuovo ingresso, presentato allIspettorato Edilizio Comunale nel 1907, che prevedeva, sulla sommit dei due propilei, proprio delle sfingi alate, quattro per ciascun propileo, mentre sui piloni centrali figurano due stemmi di famiglia (fig. 3). Si tratta, in tutta evidenza, della proposta di riutilizzo degli elementi decorativi dellingresso ottocentesco da smantellare. Per motivi di simmetria le sfingi dovevano essere otto, quindi si pu supporre che altre due, del tutto simili a quelle ottocentesche, siano state appositamente eseguite. Di fatto lingresso effettivamente realizzato risulta diverso, in quanto sulla sommit dei propilei, in luogo delle sfingi, decisamente troppo pesanti e fuori scala, furono posti dei grifoncini, sempre in travertino. Anche i due stemmi non furono mai collocati sui due piloni centrali, per le stesse motivazioni, e furono sostituiti da due globi in vetro e ghisa. Non sono pervenute a noi notizie su quale sia stato lutilizzo delle sfingi dal 1910, quando lingresso su cui erano poste fu smantellato, e il 1978, quando la Villa fu aperta al pubblico e le quattro ancora nella Villa vennero rinvenute nei pressi del Casino dei Principi, senza le ali. Su indicazione di Federico Zeri sono state rinvenute le ali mancanti, in condizione frammentaria. Un intervento di restauro ha permesso la ricomposizione e la collocazione delle quattro sfingi ai lati dei due ingressi del Casino dei Principi. Diversa stata la

vicenda delle altre quattro che, donate a Federico Zeri presumibilmente subito prima del passaggio della Villa al Comune di Roma, sono state conservate in condizioni ottimali senza subire menomazioni. Alberta Campitelli

I.2 Scultore greco della fine del VII inizio del VI secolo a.C. Lucerna con protome umana marmo greco, altezza 7,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 81 Proveniente dal santuario di Demetra Malophoros a Selinunte, ne gi stata avanzata unidentificazione con una lucerna descritta nel Giornale dei trovamenti 18721888, p. 348, n. 378, rinvenuta nel lato occidentale dei Propilei della Gaggera il 15/03/1888; gi propriet della famiglia Alliata. La lucerna spezzata, specie sul lato sinistro e in particolare nelle proiezioni in cui erano i fori per la sospensione, contenenti unanima di ferro, a giudicare dai residui rimasti; il viso della figura scheggiato nella parte superiore e per tutta la lunghezza del settore centrale. La lucerna semicircolare in marmo, con vaschetta dal fondo piatto incavata, aveva dei buchi esterni (ora perduti) per essere appesa; il buco in cui si immergeva lo stoppino in corrispondenza della protome umana, probabilmente femminile; essa presenta un volto dedalico, con occhiaie accentuate e incise; sulla fronte i capelli si raccolgono in una sorta di cercine (qualche ricciolo si intravede ancora) al di sopra di una benda, mentre due grosse trecce con linee orizzontali e verticali incorniciano il viso, celando le orecchie. Lesemplare, della fine VII inizio VI secolo a.C., rientra in un piccolo gruppo di lucerne in marmo dal santuario di Demetra Malophoros a Selinunte; unaltra dal mercato antiquario londinese negli anni trenta del secolo scorso fu detta proveniente dallisola di Melos; un esemplare ancora pressoch inedito al Museo dellOlivo e dellOlio a Torgiano, con vasca interna tripartita, conserva una corona di sei protomi femminili e persino il sistema di sospensione in ferro (per le lucerne selinuntine Gabrici 1927, cc. 162-164; Beazley 1940; Rolley 1994, p. 150; Di Stefano 2002, p. 42; Sicilia in et arcaica 2009, p. 71, n. VII/6 G. Sar; Moreno 2010, p. 129; per la

Bibliografia: Campitelli 1997; Campitelli 2002, pp. 78-80.

diffusione delle lucerne in marmo cicladico in Sicilia vedi Curcio 1974). La lucerna ora Santarelli, anche per la forma allungata del viso della protome, la pi vicina a quella in marmo cicladico ora al Museo Archeologico Regionale di Palermo inv. 3892, nel quale si individua di norma larchetipo allorigine di presunte rielaborazioni da parte di artigiani locali; da questultimo si distingue per per unincisione pi accentuata degli occhi, dal disegno arcuato meno armonico. Il santuario di Demetra Malophoros (colei che porta i frutti della terra o, meno probabilmente, secondo una delle spiegazioni raccolte da Pausania, dispensatrice del bestiame) si situa in contrada Gaggera, il fulcro dellarea sacra extraurbana nella subcolonia fondata dai coloni di Megara Iblea e di Megara Nisea nel 650 e/o nel 628 a.C. circa. Si trattava di uno dei pi importanti centri del culto demetriaco in Sicilia, con certe radici nellorizzonte religioso di Megara Nisea in Grecia (seppur con tratti panellenici), mentre pi problematico afferrare leventuale mediazione di Megara Iblea (Gabrici 1927; Hintz 1998, pp. 144-152; Antonetti, De Vido 2006; Sfameni Gasparro 2008). Le lampade per cronologia rinviano al nucleo originario del santuario, frequentato dalla fine del VII secolo a.C.; non a caso la lampada a Palermo fu trovata tra le offerte infossate in un angolo del temenos del cd. primo megaron, attribuito a una seconda fase di frequentazione. Tra le ricche offerte arcaiche le lucerne in marmo spiccano come ex voto fondamentali per il culto della divinit, tanto pi se si guarda alle tante lampade fittili (circa 30.000) scoperte nel suo santuario, le quali, ben documentate specie dalla seconda met del VI secolo a.C., hanno suggerito una pur dubbiosa prassi rituale di cerimonie notturne (per la funzione delle lucerne a Selinunte e non solo vedi Hermanns 2004). Massimiliano Papini

I.3 Scultore romano del II secolo d.C. (busto) Torso femminile e testa di Dioniso marmo bianco statuario (testa), porfido egiziano (torso), altezza 82 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 165 Lopera, di autore anonimo, raffigura un torso femminile in porfido rosso antico, cui stata sovrapposta una testa di Dioniso in marmo bianco non pertinente. Sono di restauro il collo e le braccia, volutamente tagliate al di sopra dei gomiti per conferire alla figura un atteggiamento equilibrato, pur conservandone laspetto incompleto. Linsieme, ben costruito, poggia su una base di marmi vari a sezione quadrata. La testa antica, ma stata rilavorata e sottoposta a nuova politura. Il volto presenta lineamenti regolari con tratti dolcemente femminei. La bocca dalle labbra sottili chiusa. Il marmo perfettamente levigato d lidea di una pelle giovanile e senza imperfezioni. I capelli sono resi con folte ciocche ondulate, incise profondamente, frammiste a foglie di vite, che si raccolgono nella parte posteriore allaltezza della nuca lasciando scoperte le orecchie. Lidentificazione della testa con il dio del vino Dioniso resa possibile dalla presenza di pampini e corimbi tra i ricci dei capelli. Nel torso femminile si pu riconoscere, invece, una Nike, ossia una Vittoria, come lascia intuire labito fermato su entrambe le spalle da fibulae circolari e caratterizzato da un vivace panneggio con pieghe ondulate come mosse dal vento. Tale movimento fu particolarmente apprezzato nellepoca di passaggio fra il tardo Rinascimento e il Barocco, fase nella quale presumibile sia stata realizzata la composizione. Il busto, databile al II secolo d.C., stato integrato con aggiunte in marmo rosso antico e breccia rossa. Questi materiali si prestavano bene a completare lopera in porfido perch simili dal punto di vista cromatico. In parti-

Bibliografia: Tusa 1983, p. 133, n. 43; Orlandini 1995, p. 130; Hermanns 2004, pp. 330-331, n. 6.

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colare il rosso antico, le cui cave si trovano sul promontorio di Capo Tenaro, attuale Matapan nel Peloponneso, era usato gi in epoca romana a imitazione del porfido. Il gusto di combinare marmi antichi con aggiunte contemporanee si diffuse a partire dal XVI secolo con il ravvivarsi dellinteresse per gli aspetti fastosi del mondo antico. Lopera, che ha fatto parte della collezione dei conti Rosebery a Mentmore Towers nel Buckinghamshire, rappresenta un ben riuscito esempio di pastiche. Francesca Licordari

I.4 Scultore romano della seconda met del II secolo d.C. Testa di satiro marmo bianco statuario, altezza 30 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 17a Si tratta di una testa fanciullesca leggermente rivolta a sinistra. Il volto tondeggiante, dallespressione vivace, presenta piccoli occhi allungati. Il naso corto spezzato sulla punta, le labbra sono carnose e atteggiate a sorriso. Vistosi solchi intorno alla bocca fanno risaltare le guance paffute e il mento squadrato. La fronte alta e ampia, con due piccole corna sotto lattaccatura dei capelli. Questi sono resi con folte ciocche ispide, movimentate e disordinate, che lasciano scoperte le orecchie a punta. Statue di questo tipo erano particolarmente apprezzate nella decorazione di case, giardini e ville. Lopera, infatti, si inserisce in quel filone del mondo dionisiaco, largamente affermatosi a vari livelli sociali. Dioniso, come dio del vino, era invocato durante i banchetti, che costituivano un momento di otium in contrapposizione alle attivit quotidiane. I luoghi deputati a questo scopo erano i triclini delle grandi domus e delle ville, spesso decorati con scene ispirate al culto del dio, con immagini di satiri, di sileni e di menadi danzanti; accompagnati da danze leggiadre e da strumenti musicali, ci si abbandonava ai piaceri del vino. La testa una replica del tipo del giovane satiro ridente, che si rif a modelli del tardo Ellenismo, realizzata a Roma nella seconda met del II secolo d.C. I suoi attributi sono le grandi orecchie a punta, le corna sulla fronte, i ricci selvaggi e la corona di pigne. Confronti per le raffigurazioni giovanili di satiri possono essere effettuati con le teste di giovani satiri coronate di pigne del Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini (Galleria, inv. S 246; magazzino invv. S 1685, S 1403). Francesca Licordari

I.5 Scultore romano del I-II secolo d.C. Testa di satiro o di centauro marmo bianco statuario, altezza 29 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 62 La testa, dalla forma tondeggiante, leggermente inclinata a sinistra. Gli occhi presentano palpebre marcate con profonde arcate sopracciliari e rughe agli angoli esterni. Le pupille e le iridi non sono incise. Il naso spezzato in punta. Sopra il naso, fra gli occhi, il volto segnato da una marcata ruga di espressione. Anche la fronte solcata da rughe. Le labbra sono carnose e atteggiate a un leggero sorriso. Le guance paffute sono evidenziate dai vistosi solchi nasolabiali. Il mento sporgente e imberbe. La capigliatura resa con ciocche fitte e mosse con piccoli ciuffi, che ricadono sulla fronte e ai lati del viso, evidenziando le caratteristiche orecchie appuntite. Il personaggio raffigurato potrebbe essere un satiro, riconoscibile dalle orecchie aguzze, ma gli altri elementi animaleschi, tipici di queste rappresentazioni, come le corna sulla fronte o i ciuffi scompigliati, vengono meno. Il movimento della testa e la mancanza di questi attributi fa propendere verso lidentificazione con un centauro. Lesemplare riprende un modello del tardo Ellenismo, ma stato realizzato da unofficina romana nel I-II secolo d.C. Francesca Licordari

I.6 Scultore romano del I secolo d.C. Torso femminile drappeggiato alabastro orientale, altezza 67,4 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 293 La statua, composta da quattro segmenti di alabastro a strisce, si presenta acefala e spezzata allaltezza delle ginocchia. Apposite cavit per linserimento della testa e degli arti superiori sono visibili in corrispondenza del collo e delle spalle. rappresentata una figura femminile in posizione stante, in appoggio sulla gamba sinistra e con la destra leggermente flessa, che indossa un peplo dorico di stile arcaico. Il drappeggio presenta pieghe profondamente incise che ricadono con un andamento a V allaltezza del petto. Al di sopra un mantello copre la spalla sinistra ed allacciato su di essa con una fibula circolare. La veste cinta in vita, con le pieghe della stoffa che ricadono al di fuori della cintura, formando il classico rigonfiamento del chitone. Le pieghe della veste assumono un andamento a V sulla gamba destra, mentre corrono verticali e parallele su quella sinistra. Il materiale usato lalabastro venato egiziano, dal fondo giallo pallido con larghe zone bianche o rosate. I siti da cui era estratto si trovavano lungo la valle del Nilo: il pi famoso era quello di Hatnub. Il suo utilizzo stato introdotto a Roma nella met del I secolo a.C. La lavorazione dellopera presenta la particolarit tecnica della sovrapposizione e sagomatura di pi blocchi di marmo, tenuti insieme da perni metallici per dare maggiore stabilit. Questa tecnica, abituale nel mondo antico, si rif al procedimento costruttivo usato in architettura per la realizzazione delle colonne doriche. Anche il frammento di alabastro in mostra (cat. n. II.54) apparteneva a una statua dello stesso tipo. Un ulteriore confronto pu es-

sere effettuato con una scultura in marmo di Taso dellimperatore Claudio, proveniente da Cirene e l conservata nel museo. Per la tecnica utilizzata e il materiale, lopera databile al I secolo d.C. Francesca Licordari

I.7 Scultore romano di inizio II secolo d.C. Busto di Ulpia Felicitas marmo a grana fine, altezza 56,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 138 Il busto femminile, associato alliscrizione Ulpia Felicitas e vestito di tunica e mantello (palla), ritrae una donna dallovale pieno caratterizzato dalla piccola bocca carnosa, dal naso adunco, dagli occhi con spesse palpebre, sottolineati da occhiaie e sormontati da un sopracciglio di taglio arcuato. Sono presenti scalfiture, specie sul lato sinistro. Il modellato fermo del viso incorniciato da unacconciatura che, partendo da una fascia piatta di capelli con scriminatura centrale, si dispone verso la sommit con tre giri di trecce di grandi dimensioni, cui ne segue unaltra pi piccola lasciata liscia e visibile solo sul lato sinistro. Di fronte alle orecchie, lasciate scoperte, scende una breve ciocca. La sommit del capo non scolpita, e il retro, tagliato in modo netto per tutta laltezza, doveva essere addossato a una parete. Lopera rientra nella categoria dei rilievi funerari diffusi soprattutto in et tardo-repubblicana e protoimperiale, effigianti per lo pi membri del ceto libertino e sovente esposti ad esempio allinterno di nicchie di colombari ovvero di fronte agli arcosoli degli impianti funerari (sulla rinnovata fortuna dei rilievi funerari nel II secolo d.C. vedi Kockel 1993, pp. 206-213) (Del Bufalo osserva che il busto appare ricavato da unedicola funeraria contenente rilievi. Deduce questo da una netta linea verticale di demarcazione riconducibile alle due fasi del lavoro, la seconda delle quali ha portato al tutto tondo). Lespressione seriosa caratterizza di frequente i volti di privati di et traianea, come un busto al Museo Barracco o un ritratto al Louvre di provenienza sconosciuta (vedi rispettivamente P. Zanker, in Fitt-

Bibliografia: inedita.

Bibliografia: Catalogue 1977 a, p. 16, n. 229.

schen, Zanker 1983, pp. 54-55, n. 70, tav. 88 busto al Museo Barracco; Kersauson 1996, p. 110, n. 44 ritratto al Louvre), ai quali il ritratto Santarelli somiglia moltissimo soprattutto nella linea del profilo. Quanto alliscrizione, non rare sono le attestazioni del nome: il gentilizio Ulpius, -a, al pari di Felicitas, molto frequente a partire dal II secolo d.C. Ad esempio, uniscrizione funeraria di Mentana, rinvenuta a Roma o nei suoi dintorni, contiene una dedica al liberto imperiale T(itus) Flavius Vitalis dalla moglie Ulpia Felicitas, il cui gentilizio e cognome suggeriscono che fosse una schiava imperiale affrancata sotto il regno di Traiano (Cavuoto 1971). Ovviamente, data la frequenza del medesimo nome per diverse donne attestata dalle epigrafi, inaccertabile che lidentit della donna raffigurata nel busto Santarelli coincida con quella documentata dalla dedica per Flavius Vitalis; tuttavia, dal punto di vista sociale i due profili non dovevano forse troppo differire. Sara Millozzi

I.8 Scultore romano (o greco) della met del I secolo a.C. Ritratto femminile marmo a grana fine, altezza 34 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 17b Leffigiata presenta un ovale allungato, con grandi occhi appena infossati e dal taglio quasi ad amigdala enfatizzato dalle spesse palpebre superiori che tagliano allangolo esterno le inferiori e occhiaie digradanti sino agli zigomi, a indicare la piena maturit della donna; dal setto nasale diritto e affilato discendono i lievi solchi delle rughe naso-labiali, a definire i delicati piani delle guance; la bocca carnosa e con fossette ai lati mostra il labbro superiore cuoriforme; il mento tondeggiante sottolineato da un leggero solco. La capigliatura, trattata a pastose ciocche e scriminata al centro, solo in parte nascosta da un mantello (palla) con una increspatura vezzosa sulla sommit; sulla fronte ricadono due riccioli a gancetto con le estremit a spirale, cos come altri due boccoli ondulati scendono davanti alle orecchie nascoste dal velo, chiudendosi con un forellino; i capelli sul retro sono raccolti in una crocchia sporgente dalla stoffa. In questo volto di matrona i tratti individuali si percepiscono sotto un velo idealizzato, improntato a un canone di bellezza femminile quasi atemporale (sui ritratti femminili tardo-ellenistici e repubblicani vedi La Rocca 1982; Dillon 2010, pp. 103-134). In buono stato di conservazione; la testa fratturata al collo, la punta del naso lievemente scheggiata. Vi sono numerose incrostazioni, specie sulla chioma. I confronti migliori si ascrivono allet tardo-repubblicana, specie con diverse teste, in marmo e non solo, considerate per larticolazione della chioma sotto linfluenza della ritrattistica tolemaica e raccolte attorno a un noto rilievo funerario proveniente dalla via Statilia ora ai Musei Capitolini, Centrale Montemartini, degli anni intorno

alla met del I secolo a.C. (sul quale da ultimo C. Parisi Presicce, in Et della conquista 2010, pp. 319320, fig. IV.9): la figura femminile accanto al togato, difatti, molto simile a quella della collezione Santarelli sia per la capigliatura (una sorta di variante appiattita dellacconciatura a melone; analogo inoltre il trattamento calligrafico dei riccioli frontali e dei boccoli sulle guance, nonch il motivo del velo increspato in alto, peraltro gi diffuso nelle immagini femminili di et ellenistica). Leccellente fattura e i confronti istituibili suggeriscono una provenienza urbana dellopera, verosimilmente destinata a un uso funerario. Caterina Mascolo

I.9 Scultore egizio della prima met del II secolo a.C. Ritratto di regina tolemaica (?) marmo bianco a grana grossa, altezza 16 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 135 La testina femminile mostra un volto dallovale regolare, con guance piene, zigomi larghi, bocca piccola, occhi di taglio allungato stretti entro palpebre spesse. I capelli si dispongono intorno alla fronte in due bande ondulate, nettamente separate dalla rimanente capigliatura, che articolata in due file sovrapposte di boccoli calamistrati, ricadenti ai lati del collo e sul retro. Sulla sommit della calotta cranica, non rifinita, si individua una fascia, al cui interno praticato un foro circolare; un secondo foro circolare compare in posizione arretrata rispetto al primo; entrambi gli incassi dovevano sorreggere attributi. Alla base del collo robusto si conserva una porzione del petto, che era forse destinata a innestarsi nella parte restante del corpo, lavorata separatamente e con ogni probabilit in materiale diverso. La superficie si presenta molto deteriorata. Mancano buona parte del naso, del mento e della regione occipitale del cranio; labbra consunte; spezzati i boccoli ai lati del viso e del collo. Lacconciatura a boccoli calamistrati, che costituisce lelemento connotativo della testa in esame, conosce speciale fortuna nellEgitto tolemaico, dove viene impiegata, dal tardo III secolo a.C., in immagini ellenizzate di Iside e di sue sacerdotesse, come pure in ritratti di regine che si assimilano con la dea (sullacconciatura a boccoli calamistrati vedi Adriani 1948, pp. 9-10, 38-39, n. 18; p. 39, n. 24, con ricca esemplificazione; Schwentzel 2000). La versione della pettinatura qui adottata gode di vasto credito soprattutto nella prima met del II secolo a.C., allorquando la si ritrova in un nutrito gruppo di sculture,

Bibliografia: Mascolo, in Ritratti 2011, p. 385, n. 6.2; Mascolo, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Papini, in Ritratti 2011, p. 243, n. 3.18; Papini, in Papini c.d.s.

Bibliografia: inedita.

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che sono state interpretate come immagini di Iside ovvero come ritratti idealizzati di una regina lagida. Fra queste, due teste nel Museo Greco-Romano di Alessandria, senza n. inv., e nel Museo di Stoccarda, inv. n. 514, denotano stringenti nessi stilistici con la nostra nella predilezione per forme piene e molli, nella levigatezza delle superfici, nel rendimento approssimativo dei dettagli, nel largo utilizzo del trapano nella resa dei capelli. Le analogie di dimensioni e di fattura con le sculture pertinenti a un noto complesso rinvenuto a Tell Timai autorizzano a supporre che anche la testa Santarelli coronasse una statuetta di destinazione cultuale o votiva, raffigurante Iside o una regina identificata con la dea (sullassimilazione delle regine tolemaiche con Iside: Svenson 1995, pp. 85-100). Elena Ghisellini

I.10 Scultore romano della met del III secolo d.C. Frammento di statua di Giove Eliopolitano Marmo, altezza 38 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. E.DO.1 Torso acefalo di statua loricata, quasi interamente mancante delle braccia, frammentato alla base del collo e allestremit inferiore del tronco, in corrispondenza delle gambe, dove appare scheggiato diagonalmente. Le particolari caratteristiche tipologiche e iconografiche consentono di ascriverlo alla classe delle raffigurazioni del Giove di Heliopolis, divinit agraria della fertilit e della natura, generalmente riprodotto nella statuaria e nei bronzetti di et imperiale romana (spec. IIIII d.C.) quale figura stante, in posizione frontale, a volte poggiante su piedistallo a guisa di tempietto e affiancata da due tori; di solito il viso imberbe, la capigliatura fluente e quasi sempre sormontata da un copricapo a forma di alto kalathos, il braccio destro sollevato quasi sino allaltezza del volto, il sinistro, con lavambraccio disteso orizzontalmente, reca un fascio di spighe nella mano. La caratteristica principale di questo tipo iconografico senza dubbio costituita dalla singolare lorica, una sorta di corazza che riveste completamente il tronco fino a coprire le gambe, e che conferisce a questa tipologia di simulacri un aspetto alquanto oblungo e sproporzionato. Di solito la lorica istoriata copre fin sopra i polpacci una tunica a maniche corte (non visibile nel nostro esemplare), ed sempre suddivisa in comparti orizzontali, spesso a loro volta ripartiti in ulteriori registri, destinati a ospitare differenti motivi ornamentali: predominano i busti di divinit, pi raramente le figure intere, insieme con elementi floreali (rosoni), maschere leonine, dischi, sfingi, grifi, stelle (cfr. LIMC IV, s.v. Heliopolitani Dei). Della parte superiore della lorica,

Bibliografia: Schwentzel 1999, p. 166, n. 2, tav. 10, A-B; Schwentzel 1999a, pp. 122-123, n. 38; Schwentzel 2000, p. 27, fig. 7; Ghisellini, in Papini c.d.s.

completamente istoriata, rimangono qui le spalle ben levigate, da cui si dipartono delle pteryges formate da lamelle alternate a piccoli fori di trapano, ben conservate presso il braccio destro, parzialmente presso il sinistro. Di questultimo arto si intravede anche parte dellattaccatura del braccio. La lorica suddivisa centralmente in tre grandi partiti orizzontali da fasce continue che suddividono le varie scene figurate e fungono anche da linea di esergo per le relative rappresentazioni. Il primo partito, posto nella parte superiore del tronco, a sua volta suddiviso in due campiture verticali, contenenti ciascuna il busto di un personaggio, in tunica e mantello, il Sole e la Luna, in analogia con quanto attestato negli altri simulacri noti, in cui le due divinit si dispongono il pi delle volte proprio nel registro superiore della scena. La partizione centrale occupata dal fulcro della raffigurazione, una triade divina, qui identificabile con la triade capitolina. Al centro, come in altri esemplari eliopolitani, domina la figura di Giove, barbato e dalla folta chioma, stante frontale sulla gamba sinistra, il piede destro quasi sollevato, raffigurato in seminudit eroica, con il mantello avvolto sotto il torace scoperto e nelle mani gli attributi canonici (lungo scettro appuntito nella destra e fulmine nella sinistra). Alla destra di Giove campeggia una divinit femminile, probabilmente Giunone, stante sulla gamba sinistra, vestita di una lunga tunica cinta sotto il seno e dalle pieghe sinuose, coperta da un mantello che gira sulla spalla sinistra per ricadere sul braccio corrispondente, ripiegato sul grembo. Nella destra tiene un lungo scettro. Il capo, probabilmente diademato e dal volto non pi riconoscibile, rivolto verso il centro della scena. Sul lato opposto vi invece la figura di Minerva, stante frontalmente sulla gamba destra, il capo di profilo, anchesso rivolto verso il centro della raffigurazione, ornato dellelmo corinzio. Veste un peplo stretto in vita da

una sottile cintura e un chitone, dalle pieghe elaborate, ben visibile sotto il precedente, in corrispondenza delle gambe. Il lungo apoptygma ricade sul petto e scende sotto la cintura plasmando pieghe a forma di V. Al centro riconoscibile il medaglione con il gorgoneion. Il braccio destro, ricadente lungo il corpo, tiene lo scudo tondo, poggiato a terra, mentre il sinistro regge una lancia. Nelle raffigurazioni di Giove eliopolitano, dove la posizione centrale prevalentemente occupata dal busto o dalla figura di Giove (a volte anche Mercurio), non si riscontra una disposizione costante per le divinit paredre, indifferentemente maschili o femminili (ad esempio Mercurio, Venere, Ares/Marte armato, Athena/Minerva, Tyche/Fortuna, Giunone o Venere, Saturno) e diversamente collocate alla destra o alla sinistra di Giove, o nelle varie partizioni della lorica. Nella campitura pi bassa rappresentata una seconda triade divina, la cui raffigurazione tagliata in obliquo dalla linea di frattura che percorre il tronco in corrispondenza delle ginocchia. In posizione frontale Mercurio, dalla capigliatura fluente, coperta probabilmente da un petaso alato, indossa una tunica corta sino alle ginocchia, cinta in vita; un ampio mantello ricade dalle spalle sulla parte sinistra del corpo e sul braccio sinistro, appena ripiegato. Tiene nella mano destra il sacchetto con le monete, attributo del dio nella veste di protettore del denaro, dei commerci e dei guadagni, mentre nella sinistra regge il tradizionale caduceo. Alla sua destra la Fortuna, raffigurata, secondo liconografia tipica det imperiale, stante, abbigliata con tunica lunga e mantello, che tiene con il braccio sinistro ripiegato la cornucopia colma di primizie, e col timone, poggiato a terra, saldamente tenuto dal braccio destro rilasciato lungo il fianco. Sul lato opposto, lultimo elemento della triade ancora una figura femminile, vestita di tunica e mantello, il braccio destro ri-

piegato, di pi difficile identificazione (Venere?). Lo stato di conservazione, assai frammentario, nonch lassenza di dati certi sulla provenienza del reperto e sul suo contesto di rinvenimento, consentono soltanto di formulare alcune ipotesi sulla natura e la destinazione della scultura. Se il modello di riferimento appare di derivazione tipicamente orientale, caratterizzato dalla oblunga corazza che ne avvicina la tipologia a quella delle altre divinit microasiatiche e siriache, liconografia e lo stile narrativo, con il ricorso alla rappresentazione di figure stanti (piuttosto che busti) e la scelta della triade capitolina quale elemento principale della scena, sembrano ricondurre piuttosto a un contesto locale italico. Dal punto di vista prettamente ideologico, la natura agreste del culto di Giove eliopolitano ben si accorda a un contesto locale, agricolo e commerciale, in cui alla triade capitolina del pantheon tradizionale romano si associano il Mercurio dei commerci e la stessa Fortuna, in grado di assicurare fertilit, prosperit e guadagno. La presenza del Sole e della Luna contribuisce a mantenere, nel ricordo della tipologia iconografica eliopolitana, le caratteristiche tipiche di una divinit pantea, dalla natura cosmica e universale. Anche la rigidit delle figure e gli elementi formali sembrano ricondurre a un ambiente provinciale e a un periodo probabilmente non anteriore alle fasi centrali del III secolo d.C. Claudio Noviello

I.11 Scultore romano del II secolo d.C. Lotta di animali portasanta, altezza 43 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 71 Il pezzo raffigura due cani in lotta: ciascuno afferra con la bocca la zampa anteriore destra dellavversario, mentre con le zampe rimaste libere fanno reciprocamente forza per prevalere sullaltro. Lespressivit del gruppo, colto nella tensione dello sforzo, rafforzata dal colore e dalla venatura del materiale impiegato, che sottolinea il vigore della muscolatura e della struttura ossea. Il portasanta, estratto nellisola di Chio, stato uno dei marmi colorati pi amati e diffusi a Roma e ha conosciuto la sua maggiore fortuna e utilizzazione nella prima met del II secolo d.C. caratterizzato da un fondo rossastro con vene biancastre o di color rosso cupo. Il tema del combattimento fra animali risale al tardo Ellenismo ed ebbe fortuna perch si prestava a numerose variazioni nella scelta degli animali stessi e nel loro atteggiamento. Ne d ampia documentazione lomonima sala dei Musei Vaticani (Spinola 1996, pp. 125-188; Vaticano 2003). Lambito di utilizzazione erano le ricche dimore private, dotate di giardini. Si propende per una datazione al II secolo d.C. Francesca Licordari

I.12 Scultore greco-romano del I-II secolo d.C. Cavaliere orientale marmo bianco a grana grossa, forse microasiatico, altezza 115 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 55c La statuetta equestre raffigura un arciere orientale (partico?) montato su un cavallo colto nella posizione di levade, con le zampe appoggiate su uno scudo legionario e il corpo sostenuto da un plinto modanato. Il cavaliere indossa i pantaloni, la tunica e il mantello allacciato sullo sterno da unampia fibbia circolare. Il petto attraversato dal balteo da cui pendeva il fodero con la spada (lelsa perduta era aggiunta a parte). Sul fianco destro del cavallo si riconosce anche una faretra che serviva sia per larco sia per le frecce: lassenza dellarco fa ritenere che il cavaliere lo impugnasse nella sinistra mentre con la destra estraeva la freccia. Ai piedi sono calzati sandali allacciati in alto e con le dita libere. La resa del corpo equino si limita a pochi dettagli della muscolatura delle zampe, alla criniera e agli occhi, ben aperti. I finimenti, costituiti dal morso (integrato nel muso di restauro), dalla testiera e dalla cinghia delle redini, dovevano essere completati in bronzo. La sella del tipo a quattro corni (sulla quale vedi Connolly, van Driel Murray 1991) e frangiata lungo il bordo inferiore: i corni aiutavano lequilibrio del cavaliere in assenza delle staffe ed erano usati anche per appendervi la faretra, qui allacciata al corno anteriore destro. Sotto la sella si riconosce una pelle ferina, usata come ephippion e dispiegata in modo tale da porre il muso sul petto stesso del cavallo. Lo scudo legionario, non lavorato allinterno, ha un umbo centrale e una decorazione a croce, con una sorta di pelta in ciascun angolo. La statua faceva probabilmente parte di un monumento celebrativo pi ampio ed era pensata solo per una

visione frontale, con il punto di vista privilegiato da sinistra. La resa del costume orientale indica che fu realizzata da un atelier greco-romano tra I e II secolo d.C. Il cavaliere raffigurato potrebbe essere partico oppure appartenere a una delle numerose unit di arcieri (sagittarii) orientali a cavallo militanti come ausiliari nellesercito romano (sullimmagine dei Parti vedi Landskron 2005; sulla loro militanza nellesercito romano vedi Kennedy 1977). Sono di restauro il muso del cavallo, la mano sinistra, parte della mano destra, parte del fodero, il braccio e il piede sinistro e le zampe anteriori del cavallo. Il piede destro potrebbe essere originale ed stato restaurato integrando la parte perduta del polpaccio con lo stucco. Sono visibili diversi perni e fori per elementi in bronzo o restauri in marmo. Matteo Cadario

I.13 Scultore romano del I secolo d.C. (torso), leggermente posteriore (testa) Statua di Bacco marmo greco statuario a grana fine, altezza 170 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 55a Lopera raffigura ora un tipo di Bacco giovanile, stante sulla gamba sinistra, con il braccio destro disteso, ma distaccato dal fianco, che reca in mano un grappolo duva, e il braccio sinistro proteso verso lesterno con in mano la coppa del vino. Il dio si appoggia a un pilastrino, intorno al quale si avvolge, con un andamento a spirale, un tralcio di vite con foglie e grappoli. Il pezzo presenta numerose integrazioni di restauro. La parte antica, infatti, costituita solo dal torso. Sono stati aggiunti nel XVII secolo la testa, le braccia, le gambe con il pilastrino di appoggio e il piedistallo, che hanno trasformato il personaggio in Bacco. stata realizzata, infatti, unacconciatura dalle ciocche scomposte, frammiste con edere e grappoli, tenute insieme da una benda sulla testa. Sulla nuca i capelli si raccolgono per ricadere sul davanti allaltezza del petto con due lunghi ricci ondulati, lasciati liberi. Il torso idealizzato, dalla muscolatura appena accennata, presenta caratteristiche tipiche delle raffigurazioni di eroi, atleti e divinit nel mondo greco. In questo caso la presenza di una ciocca di capelli sulla spalla destra pu far pensare a unoriginaria raffigurazione del dio Apollo, che nellarte antica compare spesso con i capelli fluenti. La testa di restauro sarebbe, quindi, stata adattata realizzando una capigliatura raccolta allaltezza della nuca in maniera tale da far fuoriuscire solo due lunghe ciocche, una delle quali va a ricongiungersi sulla spalla destra con quella antica. Il risultato complessivo ottenuto comunque quello di una ponderazione equilibrata. Seguendo

landamento del torso antico, le integrazioni rispettano landamento chiastico: alla gamba di appoggio sinistra fa da corrispondente il braccio destro disteso, mentre a quella destra leggermente flessa si contrappone il braccio sinistro piegato. La testa, seguendo landamento del resto del corpo, leggermente volta verso la propria destra. Lo stesso atteggiamento del torso si ritrova nel Bacco del Vaticano, Museo Pio-Clementino, Sala della Biga (inv. 2361) e in quello del Louvre (inv. MR 110). Anche in questi due casi la capigliatura scende con lunghe ciocche sulle spalle. Per il torso si propone una datazione al I secolo d.C. e per la testa leggermente posteriore. Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

Bibliografia: Cadario, in Papini c.d.s.

Bibliografia: inedita.

Bibliografia: inedita. Cfr., per la tipologia dei simulacri eliopolitani, LIMC 1998.

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I.14 Scultore romano del II-III secolo d.C. Busto di satiro marmo bianco statuario a grana fine, altezza 19 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 285 Si tratta di un piccolo frammento di busto maschile lacunoso nella parte inferiore e parzialmente rilavorato. La testa inclinata in avanti rivolta verso sinistra. Le arcate oculari sono in forte aggetto e gli occhi socchiusi e infossati con indicazione delle palpebre. Ai lati degli occhi due rughe, come pure profondi segni verticali sono incisi sopra il naso. Questultimo sottile e adunco, gli zigomi sono sporgenti, la bocca socchiusa e atteggiata a un ghigno ferino. La fronte aggrottata e solcata da marcate rughe orizzontali. I capelli sono resi a profonde ciocche scompigliate eseguite a trapano, in mezzo alle quali spuntano le tipiche corna; ai lati sono molto evidenti le orecchie caprine allungate. Il torace, pur sommariamente accennato, doveva essere abbastanza muscoloso, data la presenza di pieghe vigorose. Il soggetto raffigurato un satiro, riconoscibile dai tratti animaleschi alquanto rozzi. Siamo lontani dalla raffigurazione del satiro giovane e ridente. Si tratta di un satiro maturo, avanzato nellet, con un atteggiamento un po ebbro derivato dalleffetto del vino, che si beveva nelle cerimonie dionisiache. I tratti realistici sono ispirati alla tradizione del tardo Ellenismo. Il lavoro, di produzione romana, da datare per le particolarit stilistiche e la tecnica di lavorazione al II-III secolo d.C. Francesca Licordari

I.15 Scultore romano di fine II inizio III secolo d.C. Cerere marmo bianco statuario, altezza 85 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 61 La statuetta raffigura una divinit in posizione stante, in appoggio sulla gamba sinistra e con quella destra flessa. Indossa un lungo chitone, dal quale fuoriescono soltanto le dita dei piedi calzati. Al di sopra un mantello dallandamento trasversale sul petto ricade dietro le spalle fin quasi a toccare terra. Il braccio sinistro corre teso lungo il fianco e impugna nella mano un mazzo di spighe, quello destro spezzato allaltezza del gomito. Il panneggio molto leggero sul davanti, tanto da creare il tipico effetto bagnato su parti del corpo come le ginocchia, che traspaiono. Pesanti pieghe incise profondamente sono, invece, presenti nella parte posteriore in corrispondenza delle gambe. Il corpo, come pure la testa, volto verso sinistra. Il naso, scheggiato, rettilineo e di grandi dimensioni, la bocca chiusa. I capelli sono resi con ciocche ondulate tenute in ordine al di sopra della fronte e avvolte da un diadema con un motivo a fori circolari. Al di sopra, parte del mantello copre la testa secondo il tipo capite velato. La presenza delle spighe nella mano sinistra il solo elemento che consente di riconoscere nella donna una raffigurazione di Cerere. Questa divinit, infatti, equivalente della dea greca Demetra, protettrice dei raccolti e delle messi, non ha altri caratteri distintivi se non le spighe di grano e le fiaccole. La statua, realizzata in ambiente romano, databile tra la fine del II e linizio del III secolo d.C. Francesca Licordari

I.16 Scultore romano del I-II secolo d.C. Erma bifronte marmo bianco statuario, altezza 19,7 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 126 Si tratta di unerma bifronte. Entrambi i lati raffigurano un giovane, forse una divinit. La testa leggermente inclinata a sinistra. Gli occhi incavati, senza iride e pupille incise, sono adombrati dalla prominenza delle arcate sopracciliari. Il naso rettilineo spezzato in corrispondenza delle narici. Scheggiature sono presenti anche sulla guancia sinistra. La bocca dalle labbra sottili appena dischiusa, il mento prominente. La fronte liscia, priva di qualsiasi imperfezione, come pure il resto della pelle. I capelli ondulati incorniciano il viso lasciando scoperte le orecchie. Al di sopra sono coronati da una fascia di alloro. Non ci sono elementi che consentano unidentificazione del personaggio. Lalloro un attributo tipico del dio Apollo, il quale di norma ha capelli sciolti e con lunghe chiome. Nelle erme pi frequente la raffigurazione di altre divinit, come Giano nel mondo romano, che bifronte per antonomasia, oppure Hermes nel mondo greco, da cui la parola stessa Erma prende il nome. Questa particolare tecnica scultorea e architettonica nasce in ambito pubblico per decorare e, allo stesso tempo, proteggere gli incroci stradali che erano posti sotto la tutela di Hermes, dio viaggiatore. Dallambito pubblico si trasferisce poi in quello privato e a Roma queste sculture si prestano a decorare le grandi gallerie di ritratti delle abitazioni signorili. Cos, oltre alle divinit, sono raffigurati personaggi privati. Si inserisce, quindi, la variante di erme bifronti con teste differenti. In questo caso, anche se il soggetto rimane sconosciuto, data la giovane et, potrebbe trattarsi di un giovane che si distinto in ambito sportivo. Nel mondo anti-

co, infatti, la corona di alloro era la ricompensa che si dava agli atleti vincitori. In seguito a ci si acquisiva il diritto a essere ricordati per leternit. Daltronde la vittoria in un avvenimento sportivo era un onore equiparato alla vittoria in guerra. Il pezzo, che riprende la tradizione greca del IV secolo a.C. e pi direttamente la maniera dello scultore Skopas, realizzato a Roma tra il I e il II secolo d.C. Francesca Licordari

I.17 Scultore romano di fine III inizio IV secolo d.C. Testa virile di divinit, probabilmente Mithra marmo, altezza 83 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 45 Testa virile maggiore del vero, scolpita in un unico blocco insieme al suo basamento rettangolare. La testa presenta diverse abrasioni e scheggiature, principalmente sul sopracciglio destro, sulle guance, presso langolo inferiore sinistro della bocca e sotto il mento, oltre che in vari punti del supporto. Il personaggio indossa il tipico berretto frigio (pileus) a forma conica e dalla punta ripiegata in avanti, di origine orientale, molto diffuso in Asia Minore e nellOriente ellenistico, per poi divenire, in et romana, il copricapo tipico dei liberti, oltre che uno degli elementi maggiormente distintivi fra gli attributi di Attis e Mithra. Si intravedono sul berretto anche le tracce delloriginaria colorazione rossa, che sembrano supportare lidentificazione proposta, unitamente a ulteriori elementi della pigmentazione, questa volta di un colore pi tenue, arancione, visibili sulle trecce e allattaccatura del collo con la base. Dal pileus fuoriescono piccoli riccioli ondulati che formano sulla fronte una fitta frangetta, mentre ai lati del volto ricadono ampie trecce spiraleggianti, che discendendo sino al basamento della testa coprono le orecchie della divinit. Lovale del volto ampio e rotondo; le cavit orbitali, il cui profilo si fonde con quello delle sopracciglia, appena accennate, sono ben delineate ma non eccessivamente profonde, con le palpebre superiori maggiormente accentuate rispetto alle inferiori, pi finemente incise. Le iridi presentano le incisioni per lalloggiamento delle pupille in pasta vitrea, ora perdute, mentre il naso, dritto e ben levigato, si amplia alla base delle narici, profondamente scavate. La bocca se-

Bibliografia: inedita.

midischiusa con il labbro inferiore diritto pi carnoso e il superiore ondulato, appena solcato dalla fossetta centrale. La mancanza di dati sul ritrovamento del reperto consente di formulare soltanto alcune ipotesi sulla destinazione e la datazione. Costituiva forse, stando allidentificazione proposta, una testa-simulacro della divinit, destinata a un edificio cultuale, meno probabilmente parte di una statua colossale del dio. Le caratteristiche stilistiche generali della realizzazione, dai rapporti stereometrici alla semplificazione dei particolari, nonch una certa rigidit formale, nel conferire al volto uno sguardo intenso e drammatico, riconducono alle modalit figurative tipiche dellarte tardoantica, con un possibile inquadramento in un periodo non anteriore alle fasi finali del III secolo d.C. e forse estensibile ai primi decenni del IV secolo d.C. Claudio Noviello

I.18 Scultori romani del I-II secolo d.C. (busto) e di met XVII secolo (testa) Vestale alabastro verde, bronzo dorato, altezza 56 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 70 La statuetta raffigura una giovane in posizione stante, appoggiata sulla sua sinistra a un pilastrino. La fanciulla indossa un lungo chitone e al di sopra un himation che la avvolge sulle spalle, lasciando scoperto il petto. Il braccio destro, coperto dallabito, piegato allaltezza del petto, con la mano lasciata libera. Quello sinistro, piegato lungo il fianco, sostiene il lembo del mantello e regge nella mano la patera sacrificale. Il mantello crea lungo il corpo una serie di pesanti pieghe dallandamento obliquo, che si intensificano allaltezza delle gambe, dove le incisioni del panneggio assumono una maggiore profondit. La testa di restauro mostra i tratti di una donna giovane, con la pelle liscia e priva di rughe e imperfezioni, evidenziata dalla levigatezza del metallo. Gli occhi sono leggermente volti verso lalto. Il naso dritto e regolare. I capelli sono raccolti dietro la nuca con una benda, mentre un diadema con fibbia centrale li tiene in ordine sopra la fronte, creando una scriminatura. La posizione solenne, lo strumento rituale nella mano e la giovinezza della ragazza hanno fatto pensare alla raffigurazione di una vestale. Le sacerdotesse di Vesta, infatti, cominciavano il loro ministero fin da adolescenti. Normalmente conosciamo raffigurazioni di vestali a dimensioni naturali, che decoravano latrium Vestae del Foro Romano. Il lavoro stato eseguito in Italia mettendo insieme un corpo femminile antico in alabastro verde del I-II secolo d.C., che ha riscontri nella statuaria decorativa di questo tipo, con una testa della met del XVII secolo, epoca in cui sono state fatte anche altre

aggiunte in bronzo dorato. Lopera ha fatto parte della collezione dei conti Rosebery a Mentmore Towers nel Buckinghamshire. Francesca Licordari

I.19 Scultore romano del II o III secolo d.C. Busto femminile velato marmo bianco, altezza 41 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. E.DO.2 La testa presenta numerose scheggiature e abrasioni, particolarmente evidenti nella parte centrale del volto, dove sono quasi interamente mancanti il naso (con leccezione di parte delle narici) e una porzione del labbro superiore, e sulla guancia sinistra. Ulteriori escoriazioni hanno interessato in modo evidente, oltre allo stesso busto, la palpebra superiore destra, i boccoli che scendono alla destra e alla sinistra del volto e parte del velo che ne ricopre la capigliatura. Una linea di frattura posta a circa met del collo separa la testa dal busto, che si interrompe allaltezza dellattaccatura del seno, per terminare con il supporto a base quadrata. Il personaggio raffigurato con il capo in leggera torsione verso destra, direzione cui rivolge lo sguardo, che appare lontano e patetico, in unespressione intensa e assorta. La testa quasi interamente coperta da un corto scialle, una sorta di kekryphalos che incornicia la fronte per avvolgere pressoch interamente i capelli, annodarsi al centro del capo e ridiscendere dietro le spalle, senza peraltro toccarle, dove pende con gli orli liberi. Ciocche di capelli, forse simili a dei boccoli calamistrati i riccioli spiraleggianti tipici dellarte ellenistica e molto frequenti anche nelle rappresentazioni di Iside fuoriescono lateralmente dal velo e coprono le orecchie. Lo scialle, dal panneggio finemente scolpito, nel racchiudere la capigliatura delimita la fronte conferendo anche enfasi allampio ovale del volto. Gli occhi appaiono ben modellati, con profonde cavit orbitali, il bordo delle palpebre ben accentuato, gli zigomi sono morbidamente sottolineati, la bocca breve e carnosa, con effetti chiaroscurali, mentre il naso doveva

Bibliografia: Catalogue 1977, p. 69, n. 34.

apparire finemente dimensionato. Il collo ben tornito. Tutti questi elementi, sia pure in un contesto eclettico, ci riportano ai moduli espressivi della scultura alessandrina di periodo tolemaico, in cui confluiscono in prevalenza stilemi lisippei, ma anche influssi prassitelici e scopadei, che si fondono con ulteriori elementi della tradizione classica, in un contesto naturalistico e intimista. Fra i prototipi di riferimento per questa testa, che probabilmente una realizzazione eclettica di et imperiale romana da originali ellenistici di II sec. a.C., possiamo immaginare alcune teste ideali di ambito alessandrino, le raffigurazioni di Demetra/Kore, tra cui la Despoina del gruppo di Lycosura in Arcadia, alcune raffigurazioni di et romana di Iside o Tyche/Fortuna. Claudio Noviello

Bibliografia: inedita. Cfr., per liconografia di Mithra, LIMC 1992.

Bibliografia: inedita. Cfr., per la tradizione ellenistica alessandrina, Adriani 1961; Adriani 19631966; Adriani 1972; Bonacasa, Di Vita 1983-1984; Bonanno Aravantinos, Stucchi 1991; LIMC 1986.

Bibliografia: inedita.

Bibliografia: inedita.

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I.20 Scultore pugliese del XII secolo Capitello con aquile bicefale marmo, altezza 25 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 218 Il capitello in marmo caratterizzato nella parte superiore da coppie di volute angolari piuttosto pronunciate; le quattro facce presentano invece figure di aquile bicefale, ovvero con un unico corpo da cui si dipartono due teste: queste, nello specifico, si uniscono con quelle dei rapaci del lato accanto, dando vita cos a una decorazione che si snoda in maniera continuativa e serrata sul corpo del capitello. Nel Medioevo, accanto allimmagine tradizionale dellaquila, diffusissima sia in Occidente che in Oriente, incontriamo anche la variante iconografica del rapace bicipite. Spesso e volentieri associata al nome di Federico II di Svevia, la figura dellaquila bicefala ha in realt unorigine molto pi antica: il tema infatti ampiamente rintracciabile gi nella cultura artistica bizantina, come attesta un pluteo dellXI secolo nel Museo Archeologico di Sofia o la decorazione di un piviale nel Tesoro della cattedrale di Anagni. Non a caso, in quella pregiata stoffa liturgica si vede un ricco apparato decorativo zoomorfo (tra cui appunto una serie di aquile bicipiti) di chiara derivazione orientale e, in particolare, sasanide. In generale, laquila conosce unenorme diffusione nella plastica romanica e, in particolare, nella decorazione dei capitelli, che vedono le loro facce popolarsi di questo rapace, a volte nella versione bicefala (o addirittura tricefala), in parte collegabile pure alle varianti iconografiche dei tanti animali (soprattutto leoni) bicipiti o bicorporati cari alla scultura romanica padana e a quella campana, abruzzese e pugliese. Proprio fra le testimonianze scultoree della Puglia romanica credo debba inserirsi il pezzo Santarelli, per ragioni sti-

listiche e di impostazione formale del capitello. Il grado di elaborazione dei corpi delle aquile e del piumaggio fanno infine propendere per una cronologia al XII secolo. Manuela Gianandrea

I.21 Scultore di ambito federiciano? Testa di cervo (acroterio?) marmo, altezza 44 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 47e Il pezzo caratterizzato da quattro incassi simmetrici sullestremit superiore, quelli in basso forati per il passaggio di perni metallici. Ci ha indotto a identificare lanimale con un cervo, scorgendo in quei punti la sede ideale per le corna. Il muso troncato, ma lassenza di fori passanti esclude lutilizzo della scultura come scolo per lacqua piovana o quale zampillo di fontana, una funzione comune per una protome animale. Lopera, secondo Dario Del Bufalo, potrebbe piuttosto avere una funzione di acroterio o comunque una sistemazione alla sommit di unarchitettura. sconosciuto il contesto di provenienza del pezzo, che stato attribuito allambito culturale federiciano (Giuliano 2003, p. 200), anche grazie al confronto con un esemplare analogo conservato a Comiso (Ragusa). Il sicuro naturalismo con cui sono scolpiti gli occhi dellanimale, gli unici elementi stilisticamente valutabili, pu essere in effetti ricondotto alla temperie di classicismo propria della scultura fiorita in seno alla corte di Federico II e indi diffusasi, anche oltre let sveva, in altri ambiti dellItalia duecentesca. Tuttavia, tale capacit plastica costituisce un tratto comune a molte altre esperienze artistiche e ci rende piuttosto difficile ogni tentativo di stabilire una precisa contestualizzazione dellopera. Francesco Gangemi

I.22 Scultore italiano di fine XII inizi XIII secolo Vescovo benedicente marmo, altezza 82 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 224 Laltorilievo rappresenta un vescovo in posizione frontale, con la destra in atto di benedire, la sinistra che stringe il pastorale e il capo coperto dalla mitra. I due attributi, assieme al pallio, affermano inequivocabilmente la carica vescovile del personaggio, confermata dal resto dei paramenti: una lunga veste coperta dalla casula e arricchita da una stola a motivi geometrici e frange. Accurato anche il riccio del pastorale, che termina in una testa di drago. singolare la forma della mitra, la cui banda verticale (titulus) si eleva rigida, lasciando cadere i lati morbidamente sul capo e determinando una sorta di calotta, anzich assumere il pi consueto profilo conico o bicorne. Tale peculiarit concorda con la datazione al XII secolo, allorch la mitra non aveva ancora una forma codificata; la variante a calotta sferica comunque testimoniata, ad esempio nella miniatura. Alla singolarit del copricapo potrebbe inoltre non essere estranea la funzione della figura, che poggia su un piano rettangolare e ha alle spalle un fondo, chiuso in alto da una mensola semicircolare, collegata giusto alla sommit della mitra. Lo sbalzo cos determinato potrebbe suggerire uninterpretazione dellinsieme come elemento di sostegno e dunque la pertinenza della scultura a un arredo liturgico monumentale, ad esempio un pontile o un pulpito. Non tuttavia da escludere una collocazione esterna dellopera, giacch il profilo sommitale bene si adatterebbe anche a costituire lelemento centrale della lunetta di un portale. A prescindere dalla sua funzione, la complessiva buona qualit del pezzo riflette i modi figurativi del maturo Romanico padano, qui sintetizzati nella salda volumetria

Bibliografia: inedita.

del personaggio e nella caratterizzazione di dettagli quali i grandi occhi sgranati o la precisa scansione dei panneggi. Ne consegue, nonostante la difficolt a stabilire la provenienza dellopera, una sua plausibile datazione alla seconda met del XII secolo, con la possibilit di sfociare agli albori del secolo successivo, qualora si volesse ravvisare nella scultura un gusto di matrice antelamica. Francesco Gangemi

I.23 Scultore dellItalia meridionale della met del XIV secolo Santo vescovo marmo, altezza 63 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 114 Il rilievo raffigura, allinterno di unarcata poco profonda, un personaggio barbuto, che tiene con la mano sinistra un libro chiuso e con la destra un pastorale. Questultimo caratterizzato peraltro dal ricciolo a forma di piccolo drago e la mitra concorrono con certezza a identificare luomo come vescovo. Decisamente arduo sembra invece stabilire con precisione lidentit del religioso, vista la genericit degli attributi, anche se non escludo che possa trattarsi di un santo vescovo. Esposta alla mostra Raccolta dArte 2003 (Raccolta dArte 2003, p. 12) con lattribuzione a un artista umbro-marchigiano del Trecento e la pertinenza a un paliotto o a uniconostasi, lopera pu essere invece pi agevolmente inserita nella produzione scultorea dellItalia meridionale della met circa del XIV secolo, riconoscendo in essa la fronte di una cassa tombale. Osservando infatti i numerosi sepolcri realizzati nel meridione nel Trecento, inquadrati nella troppo generica definizione di arte tosco-napoletana o di maniera tinesca, si nota unanaloga scansione della parte inferiore dei sarcofagi attraverso una sequenza di arcate (semicircolari o polilobate), in cui sono inserite figure di santi, in piedi o a mezzo busto. Per di pi, nel nostro caso, sono anche le dimensioni della figura, il taglio di questa allaltezza delle cosce, nonch la particolare conformazione dei bordi del rilievo a spingere verso lappartenenza a una fronte di sarcofago della cosiddetta tipologia tosco-napoletana. Nello specifico credo che la larghezza maggiore del bordo sinistro dellarcata indichi che la scultura doveva trovarsi in origine allestremit sinistra del frontale della cassa, al termine quindi della se-

quenza di arcate. Anche stilisticamente, nel vescovo della collezione Santarelli evidente un legame di fondo con leredit lasciata da Tino di Camaino e dalla sua bottega a Napoli e nel Sud Italia, fermo restando la complessit di apporti presenti nella plastica meridionale del Trecento (tosco-napoletano appunto, francese, locale), che per la decontestualizzazione del pezzo in esame non permette di approfondire. Manuela Gianandrea

I.24 Gregorio di Lorenzo (Firenze, 1436 circa Forl, 1504 circa) Madonna con Bambino marmo, altezza 49 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 124 Lo scultore fiorentino Gregorio di Lorenzo a cui da appena un decennio stata restituita identit anagrafica, rimasta lungamente nascosta dietro al nome di comodo di Maestro delle Madonne di marmo fu principalmente un abile artefice di figure e rilievi di piccolo formato, realizzati in gran numero nel corso di una vita di viaggi che lo vide attivo, oltre che in patria e in diversi centri toscani, in Campania, in Romagna e nelle Marche, nonch in Ungheria e Dalmazia. Ampio e significativo spazio nellattivit dellartista a cui faceva riferimento il vecchio nom de commodit venne riservato alla produzione di Madonne con Bambino in rilievo, scolpite nel marmo, in alcuni casi replicate anche in materiali pi economici come lo stucco e la terracotta, e destinate alla devozione domestica. Il nutrito corpus di immagini mariane assegnabili a Gregorio e a suoi collaboratori documenta ladozione da parte dellartista di diverse soluzioni compositive, repliche o parziali reinterpretazioni, in ogni caso, di modelli di successo usciti dalle botteghe dei pi grandi scultori fiorentini del suo tempo, in particolare di Desiderio da Settignano di cui era stato allievo nella seconda met degli anni cinquanta del Quattrocento , di Donatello, Antonio Rossellino, Andrea del Verrocchio e Francesco di Simone Ferrucci. Gregorio traduce questi autorevoli modelli in forme nitide, appiattite e stilizzate spesso marcando le espressioni dei volti con un caratteristico sogghigno che indusse Adolfo Venturi (1908, pp. 666-667) a definirlo: Uno strano scalpellino che fa ridere angioli e bambini, dai musetti di micio. Il rilievo della collezione Santarelli, di sostenuta

Bibliografia: inedita.

Bibliografia: Raccolta dArte 2003, p. 12.

qualit in rapporto al catalogo mariano dello scultore, propone uno schema formale pi volte replicato da Gregorio, che ritrae la Madre a tre quarti di figura assisa su un faldistorio, di cui si riconosce la voluta nellangolo in basso a sinistra del riquadro, in atto di trattenere il Bambino seduto sulla sua gamba sinistra. invece assai pi raro il gesto della mano destra della Vergine, che sostiene il braccio del Figlio disposto nellatto di benedire; nellaltra mano il Bimbo stringe il globo crucigero. Dal fondo neutro emerge un sottile festone stilizzato legato a due anelli da nastri svolazzanti. Il rilievo presenta ancora evidenti tracce di dorature e resti della colorazione del nimbo del Bambino; inserito in una moderna cornice di noce su cui applicata una targhetta dottone con liscrizione: Antonio Rossellino 1427-1429, Florence. Lopera gi appartenuta alle collezioni Gagliardi di Firenze e J. Pierpont Morgan, celebre magnate della finanza e dellindustria siderurgica, di New York (Catalogo della pregevoli Collezioni, 1908, vol. I, p. 78, n. 538; vol. II, tav. X; Sothebys, Monaco 14 giugno 1981, p. 22, n. 12, con attribuzione alla bottega di Antonio Rossellino; Christies Londra, 17 aprile 2002, pp. 26-27, n. 37). Carlo La Bella

I.25 Bartolomeo Bellano (Padova, 1434-1496) San Girolamo penitente nel deserto, 1460-1470 marmo, altezza 54,5 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR001 (lascito Federico Zeri) Proveniente dal mercato antiquario, il rilievo raffigura san Girolamo inginocchiato di tre quarti davanti al crocifisso, secondo la tradizionale iconografia che descrive il periodo di eremitaggio del santo. Un costone di roccia delimita una grotta il cui ingresso incornicia la figura; nellinterno sono descritti il cappello cardinalizio e dei libri, suoi consueti attributi. Il santo, vestito solo di un manto che gli copre laddome e le gambe, volto verso un teschio poggiato al di sotto del crocifisso, mentre in secondo piano il leone accovacciato. Il rilievo danneggiato nellangolo superiore destro dove raffigurato il crocifisso. Bacchi (Il conoscitore darte 1989, p. 16) lo ha riferito allambiente padovano con una cronologia prossima al 1460. In particolare si rilevava la suggestione delle opere lasciata da Donatello nella sua attivit per la Basilica del Santo. Veniva inoltre ricordata liconografia tipicamente veneta, diffusa nella regione con le opere di Mantegna e Marco Zoppo, come ulteriore elemento che riconduce questo rilievo a una produzione padovana. Al carattere donatelliano Bacchi aggiungeva la considerazione formale circa la mancanza di asperit della figura, tipica invece della scultura padovana dellultima parte del secolo, che orienta a ritenere questopera realizzata negli anni sessanta. In conclusione lo studioso, confortato dal parere di Giancarlo Gentilini, suggeriva la possibilit di poter identificare lautore in Bartolomeo Bellano, allievo di Donatello sia a Firenze sia a Padova. Bartolomeo, secondo la discussa testimonianza di Vasari che gli dedic una vita (Vellano da Padova),

Bibliografia: Catalogo delle pregevoli Collezioni 1908, vol. I , p. 78, n. 538, vol. II, tav. X; Caglioti 2008, p. 133; Caglioti 2009, p. 359; Bellandi 2010, p. 315, III.1.9.

Bibliografia: Giuliano 2003, pp. 200, 203.

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fu un notevole imitatore della maniera di Donatello e, lavorando a Padova, venne chiamato a Roma dal papa veneziano Paolo II Barbo, che lo impieg in Vaticano e nella Fabbrica di Palazzo San Marco (Palazzo Venezia). Per il biografo aretino, in questa sede realizz il busto del papa, ancora conservato (Museo Nazionale del Palazzo di Venezia), ma assegnato alla bottega di Paolo Romano, e per lerigenda fabbrica disegn anche lincompiuto cortile con lo scalone, interrotto dallimprovvisa morte del pontefice (1471). Ancora, secondo Vasari, fece per detto papa, e per altri, molte piccole cose di marmo e di bronzo (Vasari 1906, II, p. 606), oltre che numerose medaglie per uomini illustri. Di questa presunta attivit tuttavia non vi traccia nella cospicua documentazione quattrocentesca del palazzo. La sua opera di maggiore prestigio fu la grande statua in bronzo di Paolo II per Perugia, ultimata nel 1467, ma rifusa nel 1798. Il ritorno a Padova documentato dal 1468 e dellanno successivo la decorazione marmorea della sacrestia con i Miracoli di SantAntonio. A questa fase, segnata da un donatellismo vivace e felicemente narrativo e da un modellato ampio e morbido, potrebbe quindi appartenere questo rilievo Zeri. Stefano Petrocchi

I.26 Scultore dellItalia meridionale della prima met del XVI secolo Angelo annunciante marmo, altezza 115 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 27 Questinedita scultura marmorea fece la sua comparsa nel mercato antiquario col riferimento a un anonimo scultore meridionale attivo nella prima met del XVI secolo, ipoteticamente identificato con Antonello Gagini (1478-1536), forse in collaborazione con il figlio Antonino. Ampia fortuna godette in effetti in Sicilia e in Calabria, nel primo Cinquecento, e proprio grazie alloperato di Antonello Gagini e dei suoi discendenti ed emuli, nonch del carrarese Giovanbattista Mazzolo, la rappresentazione dellepisodio evangelico dellAnnuncio a Maria attraverso un gruppo di figure marmoree opportunamente disposte, e offerte alla devozione popolare, al di sopra di un altare. I gruppi appartenenti a questa tipologia rimasti in loco, o di cui si conservano tutti o i principali componenti (si menzionano, per Antonello, il suo primo esemplare, oggi nella chiesa di San Teodoro a Bagaladi, datato 1504, e per Mazzolo le Annunciazioni di Santa Maria della Consolazione a Brognaturo, del 15301532, e della Santissima Annunziata di Tropea, scolpita intorno al 1535), presentano il costante affiancamento della coppia statuaria dei protagonisti dellAnnuncio, correlata in un dialogo di gesti e sguardi, pur spesso poggiando ciascun personaggio su un proprio individuale scannello, sovente intervallata o affiancata da un ulteriore elemento marmoreo che riproduce il leggio della Vergine e sormontata da un rilievo raffigurante il Padre Eterno o la colomba dello Spirito Santo. Le dimensioni e la composizione dellAngelo in collezione Santarelli si prestano alla suddetta destinazione liturgica e allinserimento in un analogo contesto scultoreo, confermata anche dalloriginario punto di vista a tre quarti, che dire-

zionava la figura verso uneffigie mariana gi alla sua sinistra, e che viene svelato dalla mancata rifinitura del marmo nellampia porzione della statua che doveva restare nascosta alla vista. La mano destra, di reintegrazione, svolgeva un cartiglio raccolto allaltezza del ventre. Carlo La Bella

I.27 Bottega dei Gagini, prima met del XVI secolo Tabernacolo eucaristico marmo, altezza 87,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 226 Questo rilievo costituiva la porzione centrale di uno smantellato tabernacolo eucaristico parietale, assegnato, al momento della sua comparsa sul mercato antiquario (Semenzato, Firenze, 15 dicembre 2001, pp. 83-84, n. 84), alla bottega di Antonello Gagini (Palermo, 1478-1536), e alla possibile mano del figlio Antonino. Nessun dato permette di risalire alla chiesa di provenienza delloggetto liturgico, che deve inevitabilmente aver condiviso il destino dei numerosissimi esemplari italiani della stessa tipologia, per lo pi rimossi, alterati o dispersi dopo che il Concilio di Trento dispose di innalzare il Santissimo direttamente sulle mense degli altari, rendendo inutili le tradizionali custodie marmoree gi applicate lateralmente sulle pareti delle tribune. Luso di trasfigurare illusivamente la profondit delle edicole del Sacramento ricorrendo allapplicazione con esiti pi o meno coerenti di uno schema prospettico centrale, a simulare suggestivi sfondati architettonici, sopravvive ininterrottamente per lintero corso della loro storia, dopo essere stata inaugurata a Firenze alla met del Quattrocento. Limpennata del pavimento che conduce allapertura centrale in origine serrata da un porticina apribile, a protezione della custodia delle particole rivela lapplicazione anche in questo esemplare del consueto schema spaziale, per quanto annullato nei suoi effetti illusivi dallassenza di ulteriori definizioni nella zona superiore, nonch dallo svincolamento delle due coppie di angeli adoranti da ogni inquadramento prospettico, pur empiricamente sopperito dal loro scarto dimensionale. I racemi vegetali che decorano linterno delle lesene laterali e il fregio del-

Bibliografia: inedita.

la trabeazione traducono anchesse in forme piuttosto correnti un repertorio attestato nella produzione di ambito gaginiano (per un confronto utile si veda, ad esempio, il grande tabernacolo sacramentale oggi al Museo Nazionale Pepoli di Trapani e proveniente dalla locale chiesa di San Domenico, ricondotto della tarda attivit di bottega di Antonello Gagini). Carlo La Bella

I.28 Scultore romano del XVII secolo Ritratto di Didio Giuliano (?) marmo bianco a grana fine, altezza 37 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 172 La testa, volta con energia verso destra, riproduce la fisionomia di un uomo maturo, dal viso largo e squadrato, con guance piene e fronte alta. Gli occhi grandi, con pupilla indicata da un foro circolare, rivolgono lo sguardo verso destra; la bocca ha labbro inferiore carnoso e labbro superiore nascosto da folti baffi, le cui terminazioni confluiscono in una barba di media lunghezza, a ciocche fitte e ricciute, lavorate con lausilio del trapano. I capelli sono acconciati in una massa compatta di riccioli; marcate stempiature separano le ciocche pettinate allindietro sulle tempie dalle quattro ciocchette attorte che si dispongono lungo la fronte. Il collo robusto tagliato alla base in funzione dellinserimento in un busto. La superficie ben conservata, interessata da piccole scheggiature; manca la punta del naso; un segmento della barba sulla guancia destra riattaccato. Nella testa si riconosce un tipo iconografico tramandato da sette copie, tre antiche e quattro moderne, che, per il linguaggio stilistico legato alla tradizione antoniniana, stato datato unanimemente nellultimo decennio del II secolo d.C., mentre ancora controverso il riconoscimento del personaggio effigiato, che stato a lungo identificato con Clodio Albino o con Settimio Severo, ovvero, pi di recente, con Didio Giuliano o con un alto ufficiale dellepoca. Lesame comparativo delle copie dimostra che il busto antico oggi a Palazzo Braschi (inv. 235) ha costituito il modello per la realizzazione di tutte le riproduzioni moderne, compresa quella Santarelli, che ne ripete con fedelt le caratteristiche, in particolare nellassetto delle ciocche sulla fronte. Il busto di Palazzo Braschi

Bibliografia: inedita.

menzionato per la prima volta nellinventario dei marmi di propriet del cardinale Alessandro Albani redatto nel 1733, in occasione della loro vendita a papa Clemente XII. Non sappiamo se la scultura sia venuta alla luce nel corso di scavi promossi dallAlbani o sia invece confluita nella sua raccolta da una collezione pi antica: tale lacuna conoscitiva non ci consente di appurare in quale momento sia divenuto noto il tipo, che dovette godere di un discreto successo, a giudicare dal numero di copie moderne (sul tipo iconografico vedi Balty 1966, pp. 36-39; McCann 1968, pp. 8691, 128-133, nn. 4-9; K. Fittschen, in Fittschen, Zanker 1985, p. 93, ad n. 81). Alla luce delle attuali conoscenze sembra azzardato proporre per la testa in esame una datazione puntuale, che sarebbe fondata soltanto su troppo labili criteri stilistici. Elena Ghisellini

I.29 Scultore romano della seconda met del XVII secolo Spellato drappeggiato marmo, altezza 86 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 67 La scultura un esemplare di ottima fattura in marmo bianco statuario, rappresentante un uomo scorticato con panneggio, colto in una posa plastica. La testa scarnificata a met. Si vedono infatti losso degli zigomi, le cavit oculari e nasali, le labbra e i muscoli facciali. Lespressione drammatica e la rotazione verso destra artificiosa. La scultura appare uninteressante commistione tra varie tematiche legate allimmaginario della morte: il memento mori, linteresse per il macabro, le vanitates e le immagini devozionali controriformate. Nel secondo Cinquecento immagini di scorticati e disossati, riconducibili alle iconografie di Marsia e di san Bartolomeo, si diffusero sempre pi in Europa a seguito della pubblicazione dei trattati di Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica (1543), e di Juan de Valverde, Historia del cuerpo humano (1556), prototipi dei manuali di insegnamento scientifico, volto alla trasmissione di un sapere basato sullesperienza diretta e non pi sulla pura teoria. I volumi citati sono corredati di tavole dettagliate che mostrano lanatomia umana raffigurata secondo i canoni rinascimentali: il corpo umano paragonato a una fabbrica e rappresentato in tutti i suoi meccanismi. Gli artisti usavano questo tipo di immagini per riprodurre fedelmente muscoli e corporature perch in quegli anni le autopsie erano vietate. Alla fine del secolo, per, nelle rappresentazioni di corchs si assiste allabbandono graduale dellattenzione per laspetto anatomico privilegiando invece il plasticismo, le pose enfatiche, il rapporto con la statuaria antica e laspetto architettonico della figura umana. La nostra scultura si accosta a

questo spirito parascientifico, che annovera tra i suoi esempi pi famosi il bronzetto corch del Francavilla nella Jagellonian University di Cracovia (circa 1579) e lo Scorticato di Ludovico Cigoli al Bargello (circa 1600). Anzi, essa evidenzia un orizzonte ormai barocco, per il quale sembra probabile la provenienza da Roma. Susanna Mastrofini

I.30 Pietro Bernini (Sesto Fiorentino, 1562 Roma, 1629) Andromeda, 1615-1617 circa marmo, altezza 105 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR008 (lascito Federico Zeri) Un attento studio sulla statuaria antica fonti di ispirazione per lopera sono state riconosciute in una Ninfa che perde il sandalo e in uno dei figli del Laocoonte (Kessler 2005; Migliorato 2007), ai quali va affiancata la celebrata Venere Callipigia, esposta dal 1591 nella Sala dei Filosofi di Palazzo Farnese allorigine di questa Andromeda legata alla roccia, che volge lo sguardo allindietro verso leroe Perseo giunto a liberarla, come narra Ovidio nelle Metamorfosi. Lattribuzione del pezzo a Pietro Bernini gi avanzata da Zeri in forma dubitativa, a causa del non eccellente stato di conservazione del marmo, che risente degli effetti della sua originaria collocazione esterna venne recuperata da Bacchi al momento di pubblicare lopera (1989) e da allora accolta dalla critica successiva. I fori visibili allinterno del corpo della fiera ai piedi del personaggio, corrispondenti a condutture per lacqua, svelano loriginaria appartenenza della statua allapparato decorativo di una fontana. Pietro Bernini fu pi volte impegnato, come risaputo, nella fornitura di statue da giardino e di fontane, oggi purtroppo note grazie alle menzioni di fonti e documenti pi che per le testimonianze conservate. In rapporto a questo marmo stata in particolare ricondotta la notazione di un poemetto di Gregorio Ponzio (1615-1616) che attesta la presenza, in una grotta del giardino dei melangoli nella Villa borghesiana di Monte Cavallo, di una fontana decorata con una figura di Andromeda piangente legata alla roccia, in attesa di essere liberata da Perseo. La statua si trova nuovamente menzionata nella Stima delle Statue

Bibliografia: Premuda 1957, pp. 91-132; OMalley 1965; Saunders, OMalley 1973; Veca 1981, pp. 60-64; Ciardi, Tongiorgi Tomasi 1984, pp. 60-64; Harcourt 1987, pp. 28-61; Battisti 2000; Sladits 2000; Kemp, Wallace 2000; La Costa 2005, cat. 25, pp. 84, 317-318.

Bibliografia: Ghisellini in Papini, c.d.s.

Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, p. 16; La donazione Federico Zeri 2000, pp. 22-23.

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di Monte Cavallo redatta nel 1616 da Cristoforo Stati e Pompeo Ferrucci, ma indicata come Cleopatra in peperino con un drago alla fontana delle grotte nel giardinetto dei melangoli (Negro 1996, pp. 27 e 36, n. 51; Zanuso 1999, p. 317). La datazione sembra dunque vincolata allante quem della testimonianza poetica di Ponzio, ma Kessler (2005) valuta la possibilit, considerando le affinit stilistiche dichiarate dalla scultura con altri marmi per esterni eseguiti da Pietro Bernini, come lerma con Priapo nel Metropolitan Museum di New York e gi a Villa Pinciana (1616) o le celebri Allegorie delle Quattro Stagioni, che lo studioso data a circa il 1619, di riferire piuttosto lopera a unignota impresa borghesiana di qualche anno pi tarda, forse proprio quella fontana di Villa Mondragone a Frascati ricordata da Baglione, di cui non resta tuttavia memoria del soggetto. Lopera proviene dalla collezione Parodi di Oneglia, quindi nel 1985 circa dalla collezione Riccardi ad Assisi. Carlo La Bella Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, pp. 32-33, n. 9; Negro 1996, pp. 27 e 36, n. 51; Zanuso 1999; La Donazione Federico Zeri 2000, pp. 32-33, n. 9 e pp. 3637; Kessler 2005, pp. 337-338, A 30; Migliorato 2007, pp. 41 e 45.

I.31 Pietro Bernini (Sesto Fiorentino, 1562 Roma, 1629) Allegoria della Virt vittoriosa sul Vizio, 1610 circa marmo, altezza 42 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR009 (lascito Federico Zeri) Acquistato da Federico Zeri intorno al 1960 come opera di art nouveau, proveniente dalla collezione Aprosio di Montecarlo, il piccolo gruppo scultoreo venne subito restituito dallo studioso a Pietro Bernini, artista di cui aveva precocemente riconosciuto il ruolo assai significativo nellambito del Manierismo internazionale e sul quale progettava una monografia, mai portata a compimento. Rapidi e abilissimi tocchi di scalpello e di trapano restituiscono nel marmo un animato gruppo di figure, sovrastate da una giovane donna che lotta vittoriosamente contro un Centauro, tradizionale simbolo del Vizio; vivaci puttini disposti agli angoli della base quadrata cavalcano aquile e draghi, emblemi araldici della famiglia Borghese, alla cui committenza va dunque ineludibilmente riferita lopera. Considerando le dimensioni ridotte del gruppo, e il carattere sintetico e non rifinito della composizione, il prezioso marmo oggi a Bergamo viene ritenuto un modello preparatorio o dimostrativo per un gruppo plastico di grandi dimensioni. Il soggetto allegorico prescelto, ricorrente nella decorazione di vigne e giardini, la stessa struttura compositiva del gruppo nonch lattestata consuetudine di Pietro Bernini a fornire sculture per esterni, hanno fatto pensare che la scena da trasporre in forme monumentali fosse destinata a decorare una fontana, i cui zampilli si pu immaginare sgorgassero dalle bocche degli animali araldici posizionati alla base del gruppo (Bacchi 1989). stato altres osservato come la posizione arretrata dellepisodio di lotta rispetto al centro della ba-

se si adatti a una scultura visibile da soli tre lati, soluzione che spiegherebbe lappiattimento presente nella zona inferiore del retro del marmo, destinato a essere apposto contro uno sfondo; la fontana poteva dunque essere ambientata allinterno di una grotta naturalistica o in una nicchia (Zanuso 1999). Lopera stata datata intorno al 1610 soprattutto in virt delle profonde rispondenze stilistiche presentate con la celebre pala marmorea con lAssunzione della Vergine nella cappella del Battistero di Santa Maria Maggiore (Bacchi 1989; DAgostino 1997-1998). Kessler (2005) pospone invece la datazione al 1616-1617, epoca in cui Scipione Borghese fu molto occupato nella progettazione della decorazione scultorea dei giardini delle sue tenute. Come ben noto Pietro Bernini contribu allarredo plastico dei parchi delle residenze del cardinal nepote eseguendo opere per la Villa di Monte Cavallo, per Villa Mandragone a Frascati e per Villa Pinciana, nei primi due casi senza che le sue realizzazioni siano state ancora rintracciate. Carlo La Bella

I.32 Scultore attivo a Roma nel XVII secolo Testa di Socrate marmo nero, altezza 41,5 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR013 (lascito Federico Zeri) Questo reperto era stato classificato dallo stesso Zeri come opera romana del XVII secolo e identificato come testa di Socrate. Reso noto da Bacchi (La donazione Federico Zeri 2000, pp. 44-45) come ispirato da un modello antico, veniva inserito nella cospicua produzione romana che dalla fine del Cinquecento e soprattutto nei primi decenni del secolo successivo impiegava il marmo nero. In particolare, questa scultura potrebbe essere lesito di un completamento di un busto antico secondo la pratica di restauro prevista fin dalla bottega dei Della Porta e poi a lungo esercitata durante la nascita delle grandi collezioni di antichit romane del Seicento. Lo stesso Bacchi ricordava in tal senso la copiosa attivit di Nicolas Cordier per il cardinale Scipione Borghese e i numerosi reperti oggi divisi tra la loro collocazione originaria nella Villa Borghese e, soprattutto, il Louvre dopo lacquisizione napoleonica. Le note e ammiratissime sculture antiche in marmo nero del Seneca morente (Louvre) e del Moro (Louvre) forse di Cordier, oppure il Baccanale di putti (Galleria Borghese) e i Cacciatori (Galleria Borghese), eseguiti da Giovanni Campi su ispirazione di Duquesnoy alla met del Seicento, testimoniano del largo successo di questa raffinata tipologia scultorea spesso arricchita con altri inserti di marmi preziosi. Nel volto girato verso destra sembra potersi riconoscere una tradizionale iconografia del filosofo antico seppure i consueti tratti sileneschi siano attenuati conservando tuttavia il tipico naso largo, lampia fronte con un ciuffo di capelli, che invece ricadono lunghi ai lati, e la folta barba che per qui non ricopre il mento prominente,

come solitamente nei ritratti di Socrate. Lo scarto laterale della testa suppone una raffigurazione in movimento e quindi subordinata a unazione che potrebbe alludere a una delle pi comuni rappresentazioni del filosofo greco, la sua morte o una delle storie con Diotima o la moglie Santippe, oppure a colloquio con i suoi discepoli. Stefano Petrocchi

I.33 Scultore romano del XVII secolo Frammento di Mascherone, marmo, altezza 36 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 65A il frammento in marmo bianco statuario di un volto maschile: si possono vedere i capelli delineati a ciocche morbide, le sopracciglia folte e i baffi ricci e lunghi. Mancano totalmente le orecchie, la parte retrostante e il mento. Gli occhi, pur non essendo iridati, sono comunque espressivi; gli zigomi alti mettono in risalto i lineamenti del naso e qualche ruga sulla fronte. Della bocca rimane solo il labbro superiore e nella parte sottostante si intravede parte di un foro circolare che potrebbe essere stato praticato appositamente per inserirvi una cannella. Il frammento infatti era verosimilmente usato come mascherone di fontana; nonostante il labbro inferiore non si sia conservato, si pu dedurre che la bocca fosse stata realizzata aperta sin dallorigine per lasciare lo spazio necessario allapertura dalla quale doveva fuoriuscire lacqua. Dallatto di vendita, risulta che lopera stata acquistata da un antiquario romano come scultura in marmo bianco raffigurante una figura fantastica, arte del barocco napoletano, di probabile attribuzione ad un artista lombardo del XVII secolo attivo a Napoli, Cosimo Fanzago. In realt sembra essere stata eseguita a Roma, da un artista dallo stile non molto accostabile a quello del maestro del Barocco napoletano. Caratteristiche del pezzo sono infatti la compostezza dellespressione e la fattura equilibrata che, insieme allosservazione della resa dei ricci e dei baffi, permettono di ascrivere lopera alla corrente classicista del Seicento. Se luso del frammento come spout di una fontana praticamente certo, daltra parte non possibile determinare in nessun modo se fosse il volto di una scultura a rilievo rappresen-

tante una divinit, oppure se sia stato realizzato direttamente come mascherone per ospitare il getto dacqua una fontana. Susanna Mastrofini

Bibliografia : DOnofrio 1986; Castellani 1991.

I.34 Scultore romano della seconda met del XVII secolo Ercole fanciullo con il serpente marmo, altezza 60 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 357 Lopera raffigura Ercole fanciullo mentre lotta contro uno dei serpenti che Era, moglie vendicativa di Zeus, gli aveva messo nella culla per causarne la morte, in quanto frutto della illegittima unione di Alcmena con suo marito. Il soggetto, gi frequente nella scultura antica, gode di una certa fortuna nel XVII secolo, ideale per piccoli gruppi scultorei destinati ad arredare le dimore di raffinati collezionisti. Il marmo deriva da un originale firmato di Ercole Ferrata (Pellio inferiore, Como, 1610 Roma, 1686), passato in asta nel 1987 (Sothebys Londra, 10 dicembre 1987, lotto 176), commissionato allo scultore dal veneziano Quintiliano Rezzonico come pendant di un puttino raffigurante un amore sdegnato di Giusto Le Court, acquistato nel 1679 (Pizzo 2000 e 2002). Linterpretazione del tema mitologico fornita dal Ferrata tenne conto di una precedente invenzione del suo maestro, Alessandro Algardi (Bologna, 1598 Roma, 1654), di cui sono noti diversi esemplari in bronzo, come quello oggi conservato a Burghley House, proveniente dalla collezione di Richard Mead (1755), o lErcole della Galleria Nazionale dArte Antica di Palazzo Corsini. Lesistenza di un prototipo algardiano inoltre testimoniata dalla presenza di analoghe composizioni attribuite allartista, citate negli inventari delle collezioni Gennari a Bologna (1719) e Franzone a Genova. La presenza nello studio del Ferrata di un bozzetto in terracotta e di un modello in cera dello stesso soggetto riferiti nellinventario dei beni allAlgardi, anche se ritenuti da Montagu non originali (Montagu 1985, p. 405, n. 127.L.B.2), pu verosimilmente costituire il trait dunion tra linvenzione del mae-

Bibliografia: La donazione Federico Zeri 2000, pp. 44-45.

stro bolognese e la libera reinterpretazione dellartista lombardo. Il committente aveva esplicitamente richiesto unopera dinvenzione e non copia, completata e firmata dallo scultore (Pizzo 2000 e 2002). Ferrata tiene presente il modello algardiano, mettendo a frutto al contempo la sua esperienza nei cantieri berniniani, ed elabora una diversa composizione, connotando lErcole di una maggiore tensione, espressione della sua furia. Il movimento delle gambe segue quello delle braccia distese nella lotta, sviluppandosi in tutte le direzioni, mentre il volto girato verso sinistra esprime la concentrazione dello sforzo. Il corpo massiccio, il viso dalla fronte ampia e la guance piene trovano confronti con diversi putti del Ferrata. Nellesemplare in esame, il modellato morbido del volto e dei capelli, con le ciocche rilevate, diventa meno accurato in altre parti anatomiche (come il piede sinistro e le mani) e nella resa delle pieghe del lenzuolo, mentre una certa semplificazione nei dettagli della culla, rispetto al gruppo firmato, fanno propendere per unattribuzione a uno degli allievi della sua frequentata bottega. Laura Bartoni

I.35 Scultore italiano del XVIII secolo Divinit fluviale marmo, altezza 91 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 74 Lopera, proveniente dal mercato antiquario, entrata recentemente in collezione Santarelli. La scultura rappresenta una figura maschile dalle fattezze apollinee in seminudit, seduta su un masso roccioso, con il busto e la testa rivolti verso sinistra. La mano destra sostiene un vaso rovesciato da cui esce dellacqua destinata a trasformarsi in fiume, mentre la sinistra sollevata tiene in mano ci che resta di un grappolo duva. Singolari i caratteri iconografici del pezzo, non riconducibili pienamente alla consueta immagine della divinit fluviale di derivazione classica, caratterizzata da figure semisdraiate e barbute, ma frutto di una mescolanza di elementi attinenti allacqua con altri di derivazione bacchica e apollinea. Il riferimento al modello classico permea lopera anche dal punto di vista compositivo e formale: nella posa studiata, nella descrizione dellanatomia, nel panneggiare lento e disteso da cui manca qualsiasi empito barocco. Diversi i possibili rimandi a prototipi antichi, dalla posizione delle gambe e delle braccia al movimento del manto che, compiendo unampia curva sulla schiena, va ad adagiarsi sullavambraccio sinistro, mentre la definizione del busto richiama pi da vicino esempi della glittica, per la resa analitica della muscolatura. La roccia, definita a colpi di scalpello e con largo uso del trapano, denuncia un fare meno accurato. Lopera sembra priva di riscontri nellambito della scultura del XVII secolo, anche sul versante classicista, e trova pi agevole collocazione nel XVIII secolo, in un clima di pieno recupero del modello antico pi che nella sua reiterpretazione, come oggetto di arredo piacevole e decorativo. Laura Bartoni

Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, pp. 30-31, n. 8; Tozzi 1989, p. 45; Zeri 1995, p. 152; DAgostino 1997-1998, p. 166; Bacchi 2001, pp. 48-50; Zanuso 1999, pp. 316-317, n. 30; La Donazione Federico Zeri 2000, pp. 38-39; Kessler 2005, pp. 339-340, A 31.

Bibliografia: Old Master Sculpture 1987; Montagu 1985, pp. 405-408, nn. 127-127D3; Bacchi 1996, pp. 802-803, fig. 393; Pizzo 2000, pp. 48-49; Pizzo 2002, p. 120; Old Master Sculpture 2011.

Bibliografia: inedita.

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I.36 Scultore romano dellultimo quarto del XVIII secolo Busto di moro marmo, altezza 23 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 260 Eseguito verosimilmente su schizzi presi dal vero, il piccolo moro scolpito a mezzo busto e in scala ridotta. Il bianco del materiale impiegato d risalto allaggetto plastico del modello di colore, secondo un ossimoro visivo di singolare impatto. La trattazione originale dellarcata sopracciliare, che proietta unombra profonda intorno allo sguardo, la bella fattura della bocca, che conferisce allespressione un che di carnale, quel segno continuo di clavicola e la fossetta nello sterno sono tutti mezzi che aggiornano con vitalit nuova la tradizione tardo-barocca romana. In essa vennero rappresentati in dipinti, statue e rilievi schiavetti e mori ancora sul finire del Settecento. Pi accademica appare invece la resa dei capelli crespi aderenti al capo e delle pupille a virgola profonda, come quella delle orecchie faunesche, che mettono in risalto la convinzione, al tempo ancora assai diffusa, della natura ferina propria allumanit dalla pelle nera. Valentina Ciancio

I.37 Andrea di Michelangelo Ferrucci (Fiesole, 1559 Firenze, 1626) Bacco, primo decennio del XVII secolo marmo, altezza 185 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 49 Spetta a Sandro Bellesi (2003) laver riconosciuto in questa scultura priva di documentazione una significativa testimonianza dellattivit matura di Andrea di Michelangelo Ferrucci, scultore tra i pi affermati e dotati della Firenze degli inizi del Seicento. Non al momento nota la provenienza originaria del languido e aggraziato Bacco marmoreo, che tuttavia si suppone abbia elegantemente decorato un raffinato giardino signorile. Il Ferrucci fu pi volte chiamato, durante la sua carriera, a realizzare mascheroni pseudo-antropomorfi per esterni e sofisticate fontane ornamentali; ma furono soprattutto i suoi ultimi anni a vederlo impegnato nella progettazione dellarredo scultoreo di giardini, fornendo ai Medici, a partire dagli inizi del secondo decennio del secolo, diverse sculture da predisporre nel Giardino di Boboli. I dati stilistici del Bacco paiono tuttavia meglio conciliabili con una datazione circoscrivibile al decennio precedente, durante il quale il fiesolano dimostra di risentire in modo particolarmente incisivo dellinfluenza formale e tipologica delle opere di Giovan Battista Caccini e della sua scuola, come dichiara eloquentemente la coppia di angeli disposta ai lati dellaltar maggiore di San Salvatore in Ognissanti a Firenze, scolpita introno al 1615, e formalmente vicina al Bacco Santarelli. Opera di rilievo nel non nutrito catalogo di statue marmoree del Ferrucci, la ricercata scultura mitologica dimostra inoltre di emanciparsi dai comuni schemi iconografici del tema bacchico, che nella plastica toscana del tempo restavano ancora inevitabilmente suggestionati dal capolavoro michelangiolesco giunto a Firenze da Roma intorno al 1572, e oggi al Bargello. Allau-

torevole modello, che ritrae il giovane dio barcollante per gli effetti dellebbrezza mentre sostiene una coppa e dei grappoli duva adottato ad esempio, in statue famose, da Jacopo Sansovino, Giambologna e Domenico Poggini viene preferita una delicata figura stante che mollemente avvicina a un fianco lantico attributo del tirso, rapita in unespressione assente che lungi dal rendere gli eccessi del vino restituisce piacevolmente la grazia estatica dello sguardo, perduto nella contemplazione di un mondo soprannaturale riservato solo a pochi eletti (Bellesi 2003, p. 22). Carlo La Bella

I.38 Pierre Legros (Parigi, 1666 Roma, 1719) San Stanislao Kostka, 1703 circa marmo, alabastro, altezza 31 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 73 Nel 1702 i Padri della Compagnia di Ges adattarono a luogo di culto un modesto ambiente del noviziato presso SantAndrea al Quirinale dove erroneamente si riteneva fosse spirato il beato Stanislao Kostka (1550-1568), ucciso a soli diciotto anni da una grave malattia, nel corso della quale si erano manifestati eccezionali fenomeni mistici. Morto in odore di santit, il nobile novizio polacco era stato oggetto di devozione popolare prima ancora della sua beatificazione, avvenuta nel 1604; era stato quindi proclamato protettore della Polonia nel 1671 da Clemente X, mentre la sua canonizzazione risale al 1726. Allinterno della piccola sala nel citato complesso di SantAndrea, rinnovata e decorata con stucchi, venne posizionato nel 1703 un prezioso simulacro in marmi policromi, che suggestivamente rievoca il momento del trapasso del giovane infermo, pronto a ricevere dal letto di morte lultima apparizione della Vergine, giunta ad accoglierlo in cielo. Autore della scultura fu Pierre Legros, artista parigino ormai pienamente affermato nellambiente artistico della citt papale, e che proprio al servizio della Compagnia aveva realizzato le sue imprese pi celebrate, quali il gruppo marmoreo della Religione che sconfigge lEresia e la colossale statua di SantIgnazio per laltare del santo nella Chiesa del Ges, laltare di San Luigi Gonzaga in SantIgnazio e la statua di San Francesco Saverio a SantApollinare. Nonostante la preoccupazione manifestata da Le Gros per la limitata visibilit a cui sarebbe stata condannata lopera in quella postazione appartata, e che lo spinse a richiederne invano il trasfe-

Bibliografia: Bellesi 2003.

Bibliografia: inedita.

rirmento allinterno della chiesa di SantAndrea, la scultura divenne presto famosa, e incisa da Jean-Charles Allet gi nel 1703. Il successo immediato riscosso dallopera appare comprovato anche da questa replica in dimensioni ridotte, resa nota da Gonzlez-Palacios (2007), che la ritiene eseguita sotto la supervisione del maestro francese, e con una sua parziale partecipazione, in tempi assai prossimi alla realizzazione della statua maggiore. Lo studioso ricorda come lo stesso Le Gros dichiari esplicitamente di aver supervisionato la lavorazione e di essere direttamente intervenuto su opere di un suo dotato allievo, il carrarese Paolo Campi, riferendo forse di un metodo di lavoro consueto nella sua bottega. Tale ammissione apre tuttavia la possibilit di unattribuzione allo stesso Campi del piccolo manufatto policromo. Il modello replica in forme sostanzialmente fedeli la statua originale, discostandosene tuttavia nelladozione di un unico materiale, il marmo di Carrara, per rendere lintera figura del beato (che nel simulacro originale veste una tonaca in marmo nero del Belgio, e tiene tra le mani due oggetti, un Crocifisso e unimmagine mariana) e il suo giaciglio (gi nel prototipo in giallo antico). Conforme invece la restituzione della preziosa policromia del letto, ricoperto da un drappo in alabastro fiorito orientale e appoggiato su un basamento in verde antico. Un modello della statua viene ricordato da Lione Pascoli nella collezione di Pierre Crozat a Parigi, ed probabilmente da identificare col bozzetto in terracotta oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello a Firenze, che presenta dimensioni affini alla piccola replica marmorea (Gonzlez-Palacios 2007). Carlo La Bella

I.39 Scultore veneto della prima met del XVIII secolo Filosofo marmo, altezza 71 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 133b I.40 Scultore veneto della prima met del XVIII secolo Filosofo marmo, altezza 71 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 133a I due busti erano gi propriet di Frank Johnson Hightower. Le sculture, collocate su basi in marmo rosa pi tarde, raffigurano vegliardi barbuti, con il capo coperto da un manto e lespressione caricata, elementi riconducibili alliconografia del filosofo dellantichit, ricorrente nella pittura e nella scultura del XVII e XVIII secolo. Il lieve scarto dimensionale tra i due pezzi, le differenti proporzioni, nonch il movimento delle teste, luna quasi frontale impercettibilmente girata verso la propria destra e laltra decisamente voltata verso lo stesso lato, sembrano indicare la loro originaria appartenenza a una serie, realizzata allinterno della medesima officina da mani diverse. Laccentuato naturalismo che definisce il volto dei due Filosofi, solcato da rughe profonde, e la forte carica espressiva sono comuni a numerosi esemplari prodotti in territorio veneto tra gli ultimi decenni del Seicento e i primi del secolo successivo. In particolare, sono accostabili tipologicamente alla serie di busti marmorei nota come i Bravi, conservati presso la Galleria Querini Stampalia di Venezia, e a un secondo nucleo acquistato sul mercato veneziano allinizio del Settecento per ornare il Giardino dEstate di San Pietroburgo, gi assegnati da una lunga tradizione critica a Orazio Marinali (Bassano,1643 Vicenza, 1720) (Semenzato 1966; Androsov 1999; Bacchi, Zanuso 2000), ma recentemente riferiti a Michele Fabris, detto lOngaro (Bratislava,

1644 circa Venezia, 1684) (Guerriero 2002). Le corrispondenze sono principalmente fisionomiche ed espressive: nei volti allungati e smagriti, con le guance incavate e gli zigomi in rilievo, e nella definizione della barba realizzata a ciocche scomposte. Pi stringenti confronti sono riscontrabili in una testa di Eraclito (Bergamo, collezione privata) assegnata in via ipotetica a Fabris (Guerriero in Orazio Marinali e la scultura veneta 2002), dove la resa delle pieghe e delle volute del manto quasi sovrapponibile a uno dei nostri Filosofi (cat. n. I.39), mentre lesemplare n. I.40 molto vicino a una testa di Eraclito di ubicazione ignota, attribuita da Guerriero a Giacomo Piazzetta (Pederobba, 1640 Venezia, 1705) (Guerriero 2002). Laura Bartoni

I.41 Scultore romano dellultimo quarto del XVIII secolo primo quarto del XIX secolo Busto duomo con basettoni porfido, con base in verde di Prato, altezza 35,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 139b Un uomo dallabbondante capigliatura con ciocche rigonfie e basettoni in bella vista scolpito a mezzo busto e in dimensioni ridotte, e mostra un lembo del mantello adagiato sulla spalla destra. Il busto in porfido egizio poggia su una base mistilinea in verde di Prato, terminante a volute e decorata al centro con una placchetta in porfido. realizzato en pendant con il Busto di donna velata (cat. n. I.42), di analoghe dimensioni e sostegno. Il personaggio maschile, animato da unespressione di guizzante vitalit, sembra essere colto di sorpresa mentre volge lo sguardo verso la propria destra, la giovane dama compositivamente speculare rappresentata viceversa con la testa appena reclinata alla sua sinistra. La tensione narrativa con cui reso luomo contrasta intimamente con la scelta del materiale impiegato, il porfido, tra i pi resistenti a essere lavorati e poco usato dagli scultori in epoca moderna, dopo gli esiti raggiunti da Francesco Ferrucci, detto il Tadda, e dalla sua bottega a Firenze nel Cinquecento. Il nostro autore, allo stato attuale delle ricerche ancora sconosciuto, manifesta verso il suo modello una sorta dadesione affettiva, pressoch assente nel ritratto femminile, in cui prevale la fedelt ai prototipi classici. Nel catalogo di vendita la coppia di busti era riferita alla manifattura francese e, seppure con margine di dubbio, al Settecento. La scarsit di paragoni coevi noti rende difficile stabilire con certezza la scuola dappartenenza di questa scultura e del suo pendant. La paternit romana sembra tuttavia pi plausibile rispetto a quella francese, anche in considerazione della produzione similare rea-

lizzata in porfido nella citt eterna, a imitazione dellAntico, su richiesta di colti e raffinati collezionisti alla fine del secolo XVIII e agli inizi del secolo successivo. Valentina Ciancio

Bibliografia: inedita.

I.42 Scultore romano dellultimo quarto del XVIII secolo primo quarto del XIX secolo Busto di donna velata porfido, con base in verde di Prato, altezza 36 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 139a La figura femminile rimanda al gusto neoclassico sia nel trattamento idealizzato del viso, iscritto in un ovale quasi perfetto e modellato come un cammeo antico nella resa dei capelli, del naso e della bocca, ma soprattutto degli occhi e delle pupille. Lhimation (antico capo dabbigliamento greco) indossato dalla giovane donna mostra una fattura pi sommaria e una semplificazione angolare delle pieghe, complice la difficolt a modellare il porfido. Tali abbreviazioni, dovute al materiale impiegato, non hanno tuttavia pregiudicato il notevole livello di rifinitura del piccolo busto e del suo pendant, ideati per far parte dellarredo di una dimora di grande prestigio. Per le notizie storico-critiche si rimanda alla scheda I.41. Valentina Ciancio

Bibliografia: Semenzato 1966; Androsov 1999, nn. 68-71 pp. 233234; Galasso 1999, pp. 225-263; Bacchi, Zanuso 2000, p. 756; Fine French 2001; Guerriero 2002, pp. 88-90; Guerriero in Orazio Marinali e la scultura veneta 2002, schede n. 23, p. 72 e n. 24a-b, pp. 73-74; Guerriero 2007, pp. 44, 46, 49, 51, 52, 55.

Bibliografia: inedita.

Bibliografia: Gonzlez-Palacios 2007.

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I.43 Francesco Celebrano (Napoli, 1729-1814) Testa di donna ridente marmo, altezza 57 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR035 (lascito Federico Zeri) I.44 Francesco Celebrano (Napoli, 1729-1814) Testa di uomo ridente marmo, altezza 57 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR036 (lascito Federico Zeri) Andrea Bacchi (1989) pubblica questi due busti di identiche dimensioni e sin dallorigine formanti una coppia, oggi dotati di basamenti non originali con lattribuzione al pittore, scultore e ceramista napoletano Francesco Celebrano, gi correntemente assegnata alle opere e confermata da Teodoro Fittipaldi. Si tratta di eccellenti esempi di teste di genere, rappresentazioni plastiche di tipi convenzionali spesso fortemente caratterizzati e caricati, di gran moda nella Napoli settecentesca per finalit decorative e di arredo. Come rileva lo studioso, le due sculture costituiscono un unicum nella produzione del Celebrano, che utilizza il marmo solo per le imprese ufficiali e di particolare solennit e impegno, come i celebri gruppi plastici per la cappella Sansevero a Napoli (1766-1768). Nonostante il prezioso materiale utilizzato, queste figure richiamano infatti direttamente lattivit dellartista nel campo della plastica minore, ovvero la sua produzione di statuette di porcellana eseguite per la Manifattura di Portici, di cui assunse la direzione nel 1771 su incarico di Ferdinando IV, e soprattutto i suoi celebri personaggi per il Presepio in terracotta dipinta, che modell costantemente nel corso della sua carriera. Le figure presepiali del Celebrano sono tra le realizzazioni pi felici della sua intera attivit per lefficacia espressiva raggiunta nella resa

dei diversi tipi umani colti dal vero, aperta a spiccate intonazioni naturalistiche spesso al limite dellinflessione caricaturale. Lo stesso taglio compositivo dei busti recupera su scala maggiore quello delle teste in terracotta dei personaggi del Presepio, di cui riesce efficacemente a trasporre anche nel marmo, una volta svincolato dallufficialit degli incarichi maggiori, il felice dinamismo e la vivezza espressiva. Carlo La Bella

I.45 Giovanni Bonazza (Venezia, 1654 Padova, 1736) San Luca evangelista, 1700-1710 marmo, altezza 26 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR026 (lascito Federico Zeri) Il rilievo pendant dellevangelista Marco. Acquistato da Zeri nel 1953 a Parigi (presso lHotel Drouot), proviene probabilmente da una collezione veneziana dove doveva essere inserito, insieme agli altri evangelisti, come decorazione architettonica. Il volto del santo di profilo presenta a sinistra la testa del bue, descritta con potente realismo, che ricade sulla spalla dellevangelista. Il tradizionale tema iconografico degli evangelisti si colora qui di uninedita nota sentimentale che travalica la consueta contrapposizione tra la figura e il simbolo. stato presentato per la prima volta da Bacchi (Il conoscitore darte 1989, p. 43) insieme allaltro evangelista e a quattro rilievi di soggetto allegorico, sempre della collezione Zeri, conservati anchessi nellAccademia Carrara di Bergamo, entrambi attribuiti allo scultore vicentino Orazio Marinali. Figlio darte suo padre era lo scultore e intagliatore Francesco svolse il suo primo apprendistato nella bottega di famiglia che si era trasferita dalla natia Angarano a Vicenza gi nel 1666, insieme ai fratelli Francesco e Angelo, stabilendo con questultimo un successivo legame di collaborazione. stato immaginato un periodo formativo a Roma, peraltro mai documentato, ma a Venezia, in particolare sotto la guida dello scultore fiammingo Just de Court, che condusse le sue esperienze pi importanti e feconde. Il successo e lattivit dei Marinali raggiunse in breve le maggiori citt venete, da Venezia a Padova a Verona, per la realizzazione di statue o complessi decorativi. Largamente attivo anche per le commissioni private, Orazio dette libero sfogo a

Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, pp. 56-57; La Donazione Federico Zeri 2000, pp. 70-71.

una fiorente fantasia stilistica e iconografica soprattutto nelle decorazioni per giardino. Il carattere estroso, il gusto spregiudicato per linvenzione, il contrasto luminoso delle forme, influenzarono largamente la scultura veneta del Settecento, precorrendo la civilt del rococ. in riferimento a questo aspetto e in particolare al periodo di attivit legato alla decorazione del Santuario di Monte Berico (1690-1703) che Bacchi riferiva questi rilievi a Marinali. Di altro avviso Guerriero (2002, p. 96), che invece li riconduce entrambi convincentemente alla produzione di Giovanni Bonazza. Il confronto fra i rilievi Zeri e altri, ovali o rettangolari, creati per gallerie di palazzi o destinazioni private da Bonazza (Guerriero 2002), figg. 67-69), in particolare quelli con soggetto religioso del palazzo veneziano Nani Mocenigo a San Trovaso, evidenzia stringenti affinit stilistiche, tali da poter sostenere validamente quellattribuzione delle opere di Zeri. Stefano Petrocchi

I.46 Giovanni Bonazza (Venezia, 1654 Padova, 1736) San Marco evangelista, 1700-1710 marmo, altezza 26 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR027 (lascito Federico Zeri) Il rilievo proviene da Parigi (Hotel Drout), in coppia con il San Luca. Reso noto da Bacchi (Il conoscitore darte 1989, p. 43) con il riferimento allo scultore vicentino Orazio Marinali, veniva ipotizzato come proveniente dalla decorazione di una cappella e giudicato prossimo alla produzione a cavallo tra i due secoli dellartista, in particolare allattivit legata al Santuario di Monte Berico (1690-1703). A questattribuzione si opposto Guerriero (2002, p. 96), che riconosceva invece nelle due sculture Zeri una produzione dellartista veneziano Giovanni Bonazza. Questi fu il pi autorevole esponente di una delle maggiori famiglie di scultori veneti del Settecento. Legato inizialmente, come Marinali, allo stile del fiammingo Just de Court, si accost in seguito al carattere pi drammatico della produzione di Filippo Parodi, soprattutto a seguito del suo trasferimento a Padova (1696), dove divenne il pi importante scultore cittadino, dopo limmediato successo ottenuto con lattivit legata alla Basilica del Santo. Operoso nei principali edifici ecclesiali, realizz la sua opera maggiore con il monumentale altare dellAnnunziata nella Chiesa dei Servi, in cui si manifesta un primo segno di leggerezza delle forme in luogo della pesantezza tardobarocca. Largamente presente ancora per il rinnovamento delle pi importanti chiese veneziane nei primi due decenni del Settecento, conobbe vasto successo anche nelle commissioni private, soprattutto per larredo di giardini (Villa Pisani a Stra), fino a partecipare allinvio di statue per i monumentali parchi di San Pietroburgo. In questa produzione destinata a privati Guerriero (2002,

pp. 94-96) ha indicato alcune serie di quadretti simili a quelli Zeri, che decoravano pareti di gallerie oppure erano appesi sopra le finestre di residenze gentilizie. Tra quelli posti al primo e al secondo piano del Palazzo Nani Mocenigo a San Trovaso lo studioso ha in particolare individuato un ovale con un San Marco che sembra una replica di questo Zeri. Stefano Petrocchi

I.47 Scultore italiano dellinizio del XIX secolo Kore marmo, altezza 143 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 109 Lerma rappresenta una figura femminile, forse una divinit, scolpita a tutto tondo. Le braccia sono state volutamente troncate per conferire al pezzo laspetto di reperto archeologico. Lovale del volto tornito, larcata sopraccigliare e gli occhi sono definiti con delle linee nette e precise, il naso dritto, quasi squadrato. Particolare attenzione concentrata nel trattamento della capigliatura: una fitta calotta di riccioli ricopre la fronte e una corona di fiori le cinge il capo trattenuta da un nastro intrecciato le cui estremit ricadono sulla schiena. I lunghi capelli ondulati sono raccolti con un fermaglio, due grosse ciocche invece scendono in avanti, sulle spalle. Piuttosto accurata anche la definizione dellabito: un chitone pesante sovrapposto a una veste pi leggera, quasi trasparente, che copre le braccia: questultima definita tramite delle linee serpentine incise nel marmo che ne simulano la morbidezza. La stoffa pesante del chitone forma delle pieghe con cadenza verticale, pi evidenti e mosse nella parte superiore, meno aggettanti man mano che digradano in basso verso il fusto liscio della base. Nella parte terminale della veste invece convergono in maniera concentrica verso uno stesso punto con un movimento inedito, una variazione sul tema introdotta dallartista. Ci troviamo di fronte a una rivisitazione, frutto di un revival. Lopera spetta a uno scultore italiano attivo nel XIX secolo, che propone una rielaborazione di modelli ispirati alle korai arcaiche prodotte in Grecia tra il VI e il V secolo a.C., con uno sguardo anche alla coeva scultura etrusca. Si tratta probabilmente di un oggetto di arredo, parte di un complesso decorativo. La scultura deve esse-

re stata custodita a lungo in luogo protetto, poich lo stato di conservazione del marmo, lavorato in un unico pezzo, buono e non presenta segni di corrosione, che avrebbero caratterizzato unopera collocata allesterno. Ilaria Sferrazza

Bibliografia: inedita.

I.48 Randolph Rogers (Waterloo, New York, 1825 Roma, 1892) Giovane pescatrice indiana dAmerica, 1866 circa marmo scolpito, altezza 86 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR045 (lascito Federico Zeri) firmata sul bordo inferiore Randolph Rogers Rome. Proveniente dal medesimo acquisto sul mercato antiquario del Giovane Cacciatore (cat. n. I.49) e quindi dalla stessa precedente collocazione come arredo di giardino di una villa romana, dove si trovava ancora negli anni sessanta del Novecento, la figura della Giovane pescatrice indiana dAmerica non era stata tuttavia concepita unitariamente. Il riferimento documentario al 1866 per il primo soggetto pu tuttavia costituire una sicura indicazione anche per questa statua, i cui dati stilistici corrispondono perfettamente. Inoltre dal diario dellartista, nel 1867, si citano pi volte entrambe le statue replicate per commissioni private americane (Bacchi in Il conoscitore darte 1989, p. 78). Pure esclusivamente legato al mercato americano, Rogers trascorse gran parte della sua vita in Italia. Allievo di Lorenzo Bartolini, studi a Firenze per poi trasferirsi definitivamente a Roma. Appartenne fedelmente alla schiera dellaccademismo neoclassico italiano che gli consent di acquisire qualit tecniche e uno stile espressivo ed elegante. Con queste premesse si ritagli un ruolo di primo piano nel movimento del Renaissance Revival americano dalla seconda met dellOttocento, ricevendo incarichi per monumenti pubblici e privati. Tra questi vanno ricordate le porte bronzee della Rotonda del Campidoglio di Washington (1861), ispirate alla Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, i monumenti di George Washington a Richmond (1860) e quello di Abramo Lincoln a Filadelfia (1870). Ladesione ai

Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, p. 43; La donazione Federico Zeri 2000, pp. 62-63; La scultura a Venezia 2000, p. 756; Guerriero 2002, pp. 73-149: 96.

temi della storia americana, concepiti in forme classiche e toni severi, decret anche un notevole successo presso la borghesia americana, che per mezzo secolo sostenne la copiosa produzione del maestro. Una bottega molto attiva replicava numerose volte i soggetti di maggiore successo, come queste due sculture di cui si contano diversi altri esemplari in collezioni private. A questa fase, caratterizzata da commissioni pubbliche commemorative e celebrative (Monumento ai caduti di Gettysburg; Monumento ai soldati e marinai di Rhode Island), si aggiunse tuttavia anche una particolare attenzione al tema della scultura infantile, probabilmente legato anche a uno studio sui primi due figli da poco nati, Virginia (nata nel 1858) ed Edgerton (nato nel 1860), che furono anche i modelli dei Bambini che giocano con la tartaruga, scolpiti lanno precedente (1865) a questi due giovani indiani. Stefano Petrocchi Bibliografia: Rogers Jr. 1971, pp. 99, 210; Il conoscitore darte 1989, p. 78; La Donazione Federico Zeri 2000, pp. 86-87.

Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, p. 43; La donazione Federico Zeri 2000, pp. 62-63; La scultura a Venezia 2000, p. 756; Guerriero 2002, pp. 73-149: 96.

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I.49 Randolph Rogers (Waterloo, New York, 1825 Roma, 1892) Giovane cacciatore indiano dAmerica, 1866 circa marmo scolpito, altezza 95,5 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR046 (lascito Federico Zeri) La scultura raffigura un bambino nellatto di caricare la freccia di un piccolo arco tenuto in basso, prospiciente la gamba sinistra; una bisaccia pende sul gluteo destro tenuta da una cinta sulladdome, su cui ricade una pelle di animale che ricopre il pube; ha il volto rivolto verso destra con una capigliatura riunita in alto, secondo una moda degli indiani dAmerica. firmata sul bordo inferiore Randolph Rogers Rome. Nonostante le apparenze, non certa una nascita in pendant con la Giovane pescatrice (cat. n. I.48). Entrambe provengono da una villa romana dove fino agli anni sessanta del Novecento costituivano larredo di un giardino. Sono pervenute nella collezione Zeri dal mercato antiquario negli anni settanta. Lopera rappresenta un caso pressoch unico in Italia della produzione dello scultore americano che, pur lavorando e soggiornando a Roma dal 1851, destinava tutta la sua attivit al mercato americano. Lunica altra opera conosciuta conservata in Italia la replica di un suo importante rilievo, il Volo dello Spirito, che orna la tomba di famiglia nel cimitero monumentale romano del Verano. Come rileva Bacchi (Il conoscitore darte 1989, p. 78) linvenzione di questa scultura risale a prima del 1866, quando la giornalista C. Walker ricordava un piccolo cacciatore nello studio dellartista. Tale dato confermato dal diario dello scultore, che nel 1867 annotava numerose commesse per le due sculture, tuttavia destinate a vendite separate (Rogers Jr. 1971, p. 210). Dellopera esisteva un calco che, come

II. Sculture piccole e campionari di marmi

tutti gli altri della bottega di Rogers, venne conservato fino al 1941 nella collezione dellAnn Arbor University. Il tema iconografico corrisponde al clima del romanticismo americano di quegli anni, in cui veniva evocato il motivo delle origini e della natura primigenia con la rappresentazione delle popolazioni indigene americane secondo i canoni del Renaissance Revival. Sia il motivo del bambino con larco sia, parzialmente, la composizione della figura risalgono al celebre modello lisippeo di Eros che tende larco, di cui il noto esemplare romano conservato nei Musei Capitolini potrebbe aver ispirato lo scultore americano. Stefano Petrocchi

II.50 Scultore egizio dellepoca di Amenhotep III (1403-1365 a.C.) o romano del II secolo d.C. Testa di leone porfido egiziano, altezza 16 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 256 Il pezzo raffigura una testa di leonessa, i cui tratti del volto sono resi con grande forza espressiva. Gli occhi e le narici sono realizzati mediante fori incisi. Il naso sensibilmente schiacciato; la bocca spalancata e particolarmente profonda. Sul muso si vedono appena incisi i segni delle vibrisse. Il materiale utilizzato il porfido rosso egizio, marmo di provenienza egiziana particolarmente apprezzato nellantichit romana, tanto da diventare in breve tempo il materiale imperiale per eccellenza. Le cave, situate sul Mons Porphyrites nellattuale localit di Gebel Dokhan, erano di propriet dellimperatore e solo questultimo poteva autorizzarne lutilizzo. Se in et romana abbiamo una consistente diffusione di questo marmo, il suo impiego in ambito egizio molto pi ridotto. Non si conosce, infatti, statuaria porfiretica egizia a eccezione di qualche sporadico pezzo ricavato con blocchi di marmo rinvenuti in prossimit delle cave. Lo sfruttamento vero e proprio inizia solo con limperatore Traiano, nel 113 d.C., con lestrazione regolare del materiale. Secondo testimoni dellepoca, la testa sarebbe stata rinvenuta durante scavi effettuati a Karnak nel XIX secolo e, quindi, esportata per la vendita in Inghilterra. Se questa notizia fosse confermata, saremmo in presenza di un reperto eccezionale per la sua antichit, in quanto i tratti stilistici riconducono allepoca del faraone Amenhotep III (1403-1365 a.C.). In Egitto il leone utilizzato abitualmente per le raffigurazioni di divinit come Sekhmet o Tefnut, ma questo tipo non trova l alcun riscontro. Sembra piuttosto un custode di tomba con la bocca aperta in atteggiamento minaccioso.

Tuttavia lopera sembra pi vicina allambito romano. Il retro non lavorato suggerisce lipotesi che la testa possa essere stata staccata dal trapezoforo di un sarcofago. In questa seconda ipotesi, appoggiata da De Marchi e Del Bufalo, il pezzo sarebbe databile al II secolo d.C. Francesca Licordari

II.51 Scultore romano della seconda met del I secolo d.C. (et flavia) Quadretto con maschere teatrali marmo pentelico, altezza 22,2 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 253c Il frammento di quadretto marmoreo (pinax) spezzato secondo linee di frattura irregolari. La faccia principale, lavorata ad altorilievo, molto danneggiata; essa esibisce una coppia di maschere teatrali maschili della tragedia greca su sfondo roccioso. Della prima maschera, in posizione frontale, si conserva solo lalta parrucca (onkos) a boccoli calamistrati ricadenti ai lati del volto, interamente perduto; la seconda maschera, di profilo a destra, di un personaggio barbato con capelli ricci e voluminosi, caratterizzato da unespressione collerica. La faccia secondaria del quadretto in discreto stato di conservazione , invece, scolpita a bassorilievo. Il campo figurato, delimitato da una semplice cornice a listello piatto, mostra una coppia di maschere sistemate su balze rocciose. In primo piano raffigurato Pan con chioma fluente, lunga barba trattata a ciuffi attorcigliati in boccoli alle estremit, naso camuso e labbra stirate in sorriso beffardo. Sulla fronte, aggrottata e attraversata in orizzontale da pieghe carnose, sporgono, formando un ciuffo ribelle, tre ciocche di capelli pettinate allins. La porzione centrale della barba e della capigliatura di Pan, comprese le corna, sono scheggiate. Il bastone nodoso e ricurvo (pedum), attributo del dio-caprone, poggia sulla porzione di cornice sottostante la maschera, restando appena visibile sullo sfondo del paesaggio roccioso. In secondo piano rappresentata la maschera di un giovane satiro imberbe, con bocca spalancata e volto accigliato; i capelli corti sono trattati a ciocche scomposte

Bibliografia: inedita.

con caratteristico ciuffo dritto sulla fronte. Si tratta di un rilievo destinato allornamento di un giardino annesso a unabitazione romana (sulla categoria fondamentale Cain 1988); il foro praticato sul margine inferiore della cornice ne consentiva il fissaggio a un supporto come una colonnina o un pilastrino. Luso moderato del trapano limitatamente alla faccia anteriore e lesistenza di esemplari analoghi indicano per il manufatto una probabile provenienza urbana e una datazione intorno agli anni 70 del I secolo d.C. Alessandra Avagliano

II.52 Scultore romano del III-IV secolo d.C. Disco centrale di labrum porfido egiziano, altezza 39 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 272c Si tratta del disco centrale, umbilicum, di un labrum, composto da un anello a tondino, che delimita lampia cupola emisferica con bottone nel mezzo, inscritto in due cerchi concentrici. Per labrum si intende una grande vasca dal fondo piatto, spesso con un labbro incurvato verso lesterno, poggiante su un supporto unico centrale. Normalmente questo tipo di bacini era utilizzato nei bagni privati e nelle terme pubbliche come contenitore di acqua, ma poteva anche essere inserito in fontane pubbliche. Nei cortili aveva funzione sia ornamentale che di utilit, come vasca di transito per lacqua di irrigazione. I bacini pi prestigiosi erano realizzati in porfido, dato il pregio e il valore del materiale, che era impiegato per opere di committenza imperiale. I labra porfiretici hanno normalmente grandi dimensioni con diametri superiori ai 2 metri, come quello del Museo Bardini di Firenze (inv. 242), la Tazza di Palazzo Pitti o quello del Museo Archeologico di Napoli, fino a casi eccezionali come la vasca della Sala Rotonda del Museo Pio-Clementino (inv. 261), che arriva a 4,76 metri. Dallesame dei labra conservati non si pu individuare una correlazione tra il diametro del disco centrale e quello complessivo della vasca. Il nostro frammento doveva appartenere a un bacino di almeno 2-3 metri di diametro. Per la presenza dellombelico il pezzo pu essere probabilmente assegnato al tipo I o al tipo VIII della classificazione Ambrogi ed databile al III-IV secolo d.C. (per la classificazione dei labra porfiretici vedi Ambrogi 2005, pp. 74-82). Francesca Licordari

II.53 Scultore romano del I-II secolo d.C. Frammento di vaso basanite (grovacca), altezza 29 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 272d Si tratta del frammento di un vaso, come ci indicano le ridotte dimensioni dello spessore. Sulla parete esterna visibile un motivo decorativo a rilievo dato da elementi fitomorfi, quali un ramo con foglie di quercia e ghiande. Sul lato destro conservato il ramo avvolto da un nastro con un grande fiocco. Sotto il ramo corre una decorazione costituita da due fasce ondulate, che si sovrappongono in alternanza. Il pezzo faceva parte del cratere conservato nei Musei Vaticani (Magazzino Ponteggi, inv. 10511) e deve essere collocato, sulla base dellandamento delle foglie di quercia, in corrispondenza dellansa mancante, come ha ipotizzato Dario Del Bufalo. Lopera realizzata in scisto verde del Wadi Hammamat. Si tratta di una grovacca o basanite, detta dagli egiziani pietra bekhen, proveniente dal deserto orientale egiziano, che si caratterizza per un colore scuro tendente al verde. Questo materiale era gi particolarmente pregiato e apprezzato dagli Egiziani, che lo utilizzavano quasi esclusivamente per le raffigurazioni di faraoni e divinit. Dopo un periodo di abbandono delle cave in et tolemaica, queste vengono riaperte dai Romani, che impiegano tale materiale soprattutto nella ritrattistica e nellarredo delle dimore. Sulla base di un confronto con un cratere analogo a Villa Adriana, lopera pu essere datata al I-II secolo d.C. Francesca Licordari

II.54 Scultore romano del II secolo d.C. Elemento di panneggio alabastro fiorito, altezza 30 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 272h Si tratta di un elemento orizzontale, che formava insieme ad altri elementi a fette una statua panneggiata femminile, realizzata in alabastro fiorito. Nella parte superiore visibile il foro per lalloggio del perno metallico, che la doveva tenere congiunta con un altro blocco di marmo. Questa tecnica utilizzata nella statuaria romana nel III secolo d.C. ed la stessa che si usava in architettura per tenere uniti i rocchi delle colonne doriche. Il panneggio del vestito presenta delle pieghe verticali profondamente incise, che consentono una datazione del pezzo al II secolo d.C. Lalabastro fiorito un materiale dal caratteristico colore giallo con macchie o striature di varie forme e di molteplici tonalit come il giallo, il bruno e il rosso corniola. Secondo Raniero Gnoli (1988, p. 225) questo materiale sarebbe da identificare con il marmo di Ierapoli in Frigia (nei pressi dellodierna Pamukkale in Turchia), che utilizzato in epoca romana dalla fine dellet repubblicana Strabone parla di una sua introduzione in et augustea fino al IV secolo d.C. La variet impiegata per questo pezzo presenta una banda orizzontale di colore pi scuro, motivo che si sarebbe probabilmente ripetuto parallelamente in tutta la statua, creando un vivace effetto cromatico. Il frammento presumibilmente uno di quelli citati da Gnoli, che afferma di aver visto un panneggio di statua fatto a tanti pezzi sovrapposti, s che gli strati venissero a formare tante bande orizzontali, saldati internamente da un perno di bronzo. Francesca Licordari

Bibliografia: Avagliano, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Rogers Jr. 1971, pp. 99, 210; Il conoscitore darte 1989, p. 78; La donazione Federico Zeri 2000, pp. 86-87.

Bibliografia: Gnoli 1988, p. 112, fig. 88; Grassinger 1991, p. 222, EI 5, M; Belli Pasqua 1995, p. 110, n. 71, tav. LXXV.

Bibliografia: Gnoli 1988, p. 225. Bibliografia: inedita.

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II.55 Scultore romano del II-III secolo d.C. Testa di Eros marmo giallo antico, altezza 14,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 16 La testa, ben scolpita e in buono stato di conservazione, faceva parte di una piccola erma. Gli occhi, piuttosto grandi, sono incavati per accogliere un riempimento di altro materiale. Ci mette in risalto le arcate sopracciliari e le palpebre inferiori. Il naso regolare. Le labbra socchiuse sono sottili e leggermente asimmetriche, atteggiate a un sorriso accentuato dalla fossetta sul mento tondeggiante. La fronte lievemente bombata e le guance sono paffute, a sottolineare la giovane et del personaggio. La capigliatura, spessa e ondulata, avvolta da una fascia ed raccolta sulla calotta cranica in una treccia, che parte dalla sommit della fronte e giunge sin quasi alloccipite. I capelli sono folti e disposti in numerosi ricci, evidenziati dalluso del trapano, che scendono lungo le tempie a coprire le orecchie. Il soggetto raffigurato un bambino e pu, quindi, essere identificato con Eros. Il tipo dellEros bambino stato elaborato in et ellenistica, soprattutto come figlio di Afrodite. A Roma il suo atteggiamento infantile si diffonde ampiamente, ma con un ruolo marginale e quasi decorativo, comunque lontano dalla concezione greca dellAmore. In questa nuova visione le sue raffigurazioni compaiono in numerosi ambiti e nel nostro caso in unerma. Si tratta di un lavoro di pregio per luso del giallo antico. Questo marmo, chiamato per la provenienza anche marmor numidicum, era estratto dalle cave imperiali della valle del Medjerda, vicino alla citt di Chemtou in Numidia (odierna Tunisia). Era uno dei pi apprezzati e costosi dellantichit, caratterizzato dal co-

lore giallo uniforme, talvolta venato di rosso. Dato luso del trapano e il materiale impiegato, che si diffonde nel mondo romano a partire gi dal I secolo a.C., lopera pu essere datata tra il II e il III secolo d.C. Francesca Licordari

II.56 Scultore romano dellinizio del II secolo d.C. Ritratto di neonato marmo a grana grossa con venature gialle, altezza 14 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 93 La testina di eccellente fattura ritrae un neonato dal viso tondo e dalle guance paffute; sottili arcate sopraccigliari inquadrano i globi oculari dalle sacche lacrimali in evidenza. Un tratto conservato al di sotto del collo suggerisce loriginaria appartenenza della testina a un busto. in buono stato di conservazione, a parte la perdita di gran parte del naso, di cui resta appena la narice sinistra, e del labbro superiore; presenta abrasioni specie sullocchio sinistro. Manca il padiglione auricolare dellorecchio sinistro. Una parte del dorso a destra spezzata con alcune tracce di bruciatura ai lati del bustino. Lopera, acquistata dalla Galerie Samarcande di Parigi nel 2001, di verosimile destinazione funeraria, rientra in un ristretto gruppo di ritratti di neonati, al momento composto di cinque esemplari (tra questi si pu annoverare un bustino con una tunica da una collezione privata berlinese edito da M. Flashar, in Rmische Bildnisse 2000, pp. 65-71, n. 6, figg. 38-41). La loro rappresentazione nellantichit, quando lelevato tasso di mortalit infantile tra zero e cinque anni si aggirava intorno al 50%, risulta perci sporadica; pi frequenti risultano invece i ritratti di bambini di unet leggermente superiore, tra i due e i dieci anni. Una probabile motivazione per la rarit di simili ritratti risiede nella tendenza a non riconoscere una vera e propria individualit ai bambini appena nati, fino al compimento del primo anno, come confermano le testimonianze di alcune fonti letterarie (per la rappresentazione degli infanti nel mondo romano vedi ad esempio Backe-Dahmen 2006 e Carroll 2011). I ritratti di neonati a tutto tondo

Bibliografia: inedita.

sinora noti sembrano concentrarsi nellet giulio-claudia, nel momento peraltro in cui nella famiglia imperiale si fece forte lesigenza di ribadire la continuazione dinastica attraverso la rappresentazione dei giovani discendenti. Tuttavia, il ritratto Santarelli non pare ascrivibile a tale orizzonte cronologico. In assenza della capigliatura, che di solito offre il pi prezioso appiglio per la definizione di una puntuale cronologia, lelemento datante va individuato nellanalisi dei globi oculari dellinfante: la caruncola ben evidenziata nellangolo interno dellocchio e il taglio netto delle palpebre richiamano da vicino diversi ritratti di et traianea, come ad esempio una testa di Traiano al Louvre nel tipo Parigi 1250Mariemont. Rosaria Perrella

II.57 Scultore romano del III secolo (oppure della fine del XVII secolo?) Busto di giovinetto marmo, altezza 19 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 84 Lopera entrata nella collezione Santarelli come scultura di scuola romana di fine XVII secolo. In realt sembra la replica di un modello antico romano. In quel mondo, busti di bambini di questa tipologia, con simili caratteristiche stilistiche e dettagli fisionomici, erano inseriti allinterno di clipei sulla fronte dei sarcofaghi funerari. Sono rilevabili affinit con esemplari tra III e IV secolo d.C. conservati nei musei romani (Museo Nazionale Romano e Museo Lateranense). Tuttavia A.G. De Marchi pensa si tratti proprio di un manufatto antico, come pure D. Del Bufalo, che segnala piccoli interventi successivi di lucidatura. La patina spessa potrebbe indicare, a loro avviso, una lunga storia collezionistica vissuta dal pezzo. Raffigura un bambino di non pi di quattro anni, di cui sono visibili il volto, dallo sguardo attonito, e una piccola parte dellaccollata tunica romana a pieghe. Il viso largo caratterizzato dalla fronte alta, con guance piene, mento tondeggiante e grandi orecchie. Il naso largo ha subito dei danni. Gli occhi sono ottenuti con cavit grandi come globi oculari. I capelli, con ciocche mosse e segnate dalle incisioni ondulate dello scalpello, incorniciano il volto. Sono marcate le sopracciglia, ottenute con piccoli tratti obliqui. Fori di trapano poco profondi indicano gli angoli degli occhi e della bocca e i timpani delle orecchie. Il lato posteriore appare solo sbozzato e presenta dei fori, praticati molto probabilmente per linserimento di grappe metalliche. Barbara Savina

II.58 Scultore romano dellinizio del XVI secolo Testa di fanciullo marmo, altezza 19 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 217 La scultura fu comprata come opera di scultore attivo a Firenze della prima met del XVI secolo. Ma questa Testa di fanciullo sembra piuttosto essere stata realizzata da uno scultore romano nei primissimi anni del Cinquecento. Il pezzo, seppur mancante di parte del labbro superiore, del naso e del mento, si presenta di buona fattura. Le guance leggermente paffute, la bocca piccola ma carnosa, le labbra appena socchiuse, le orecchie molto allungate, gli occhi un po incavati e iridati; una scriminatura che attraversa la chioma descritta ciocca per ciocca e terminante in morbidi riccioli che incorniciano il viso: tutti questi elementi nella resa fisiognomica del fanciullo fanno accostare indubbiamente la piccola scultura a uno dei tanti marmi antichi che si potevano ammirare nella Roma di primo Cinquecento. Lamore per lAntico notoriamente uno dei tratti principali del Rinascimento italiano che, se nel Quattrocento si ammantava di unaura quasi magica e di elementi eruditi e antiquari, nel secolo seguente acquista una connotazione diversa: lo studio ora funzionale a proporre una cultura fatta di forme e linguaggi rinnovati. Per questo motivo i modelli antichi vanno cercati, scavati, esaminati, misurati. La Testa di fanciullo in mostra sicuramente una testimonianza del rinnovato modo di guardare allantichit, che presuppone un pi maturo approccio filologico e unosservazione diretta che sfociano nella realizzazione di opere aprs lantique. Non da escludere che la testina possa essere stata scolpita per restaurare e reintegrare unopera antica, conferendole in questo modo valore e pregio artistico maggiori. Come ricorda Vasa-

ri, infatti, hanno molta pi grazia queste anticaglie in questa maniera restaurate, che non hanno que tronchi imperfetti e le membra senza capo o in altro modo difettose e manche (Vasari). Susanna Mastrofini

II.59 Scultore egizio del I secolo d.C. Urna cineraria alabastro melleo egiziano, altezza 39,4 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 137 Lurna, non caratterizzata da decorazioni, di forma tronco-conica con due manici conformati a mensola, peduccio e coperchio con presa piriforme terminante a punta. Poggia su un piede a campana, il cui motivo ripetuto sul coperchio. Il piede e limpugnatura sono stati lavorati a parte. Questi contenitori giungevano dallEgitto favoriti dallegittomania, nata a seguito della conquista dellEgitto da parte di Augusto dopo la battaglia dAzio (31 a.C.). Il vaso rientra in una ben conosciuta produzione egiziana di oggetti realizzati in marmi pregiati. A Roma urne di questo tipo sono state rinvenute soprattutto nei colombari del I secolo a.C. e dellinizio del I secolo d.C. La forma dellurna, infatti, ben si presta allinserimento allinterno delle piccole nicchie funerarie. Un rinvenimento consistente di vasi di questo materiale si ha nella necropoli della via Laurentina presso lAbbazia delle Tre Fontane (a questo proposito si veda S. Bruni in De Nuccio, Ungaro 2002, pp. 368-370) e nella Necropoli Vaticana. Se in origine i recipienti in alabastro erano stati creati come unguentari, a Roma vennero adottati in ambito funerario. Luso dellalabastro fa pensare a una clientela che, mediante la presenza di materiale di pregio nel suo sepolcro, si proponeva di segnalare la propria posizione sociale. Nel mondo romano lalabastro sar pure utilizzato per sepolture di alto livello come quella di Livilla, figlia di Germanico, e quella dellimperatore Settimio Severo. Si confronti per la forma lurna pertinente al mausoleo di P. Verginius Paetus a Sarsina e conservata nel Museo Archeologico

della stessa citt. Per limpugnatura e la forma del coperchio si vedano due urne nel Museo di Leptis Magna, datate al II secolo d.C. Francesca Licordari

Bibliografia: inedita.

II.60 Scultore di ambito federiciano del XIII secolo Testa di leone porfido rosso egiziano, altezza 20 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 288 La protome leonina risulta mancante della parte superiore della chioma, che sembra essere stata scalpellata; la superficie retrostante si presenta completamente piana e polita. La criniera stilizzata e delineata a grandi ciocche e pochi tratti definiscono gli occhi, le sopracciglia espressive, il naso antropomorfo e il muso. Nelle fauci visibile un foro passante, probabilmente realizzato in un momento successivo allesecuzione dellopera: serv di certo per inserirvi una cannella e riutilizzare la protome come mascherone di fontana, secondo una pratica piuttosto diffusa. Il pezzo risulta affine alle protomi leonine della Dumbarton Oaks Collection, Washington D.C. (invv. 53.6-53.6), anchesse in porfido e attraversate da un foro passante. In esse, inoltre, il naso, le guance e la criniera sono realizzati in modo molto simile e la caratteristica pi evidente laspetto antropomorfo. Questi leoni sono considerati opera di scuola normanna del secondo quarto del XII secolo, per confronto con il leone che si trova su una moneta di rame coniata sotto Guglielmo II (Der 1959, fig. 142) e con due leoni nella Cappella Palatina a Palermo: quello del pulpito per sopracciglia e guance e quello del clipeo a mosaico sopra il trono per il naso antropomorfo. Il confronto pi stringente, per fattura e morfologia, pu istituirsi con i leoni trapezofori della Tomba di Federico II nella stessa cappella; in particolare, il leone del lato sudest presenta le stesse sopracciglia aggrottate della nostra protome e il leone del lato nord-ovest simile per il rigonfiamento delle guance, che emergono dalle linee che segnano gli occhi, le aperture nasali e le fauci. Lipo-

Bibliografia: Vasari 1906, IV, pp. 579-580; Vlad Borrelli 2003, pp. 55-73.

Bibliografia: Perrella, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Bovini 1969, pp. 142, 159, 200; Faldi 1992.

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III. Ritratti

tesi pi probabile che la protome fosse parte di un leone trapezoforo realizzato nel XIII secolo da un artista di scuola normanna, in seguito riutilizzato come mascherone di fontana (com. orale D. del Bufalo). Susanna Mastrofini

II.61 Tommaso Fedeli (Fossombrone, 1599 Roma, 1658) Putto dormiente porfido, altezza 27 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 246 Il tema del putto dormiente, assai noto grazie ai numerosi prototipi antichi, qui rappresentato da un raro esempio in porfido rosso, attribuito, in base a un riscontro stilistico, alla cerchia di Tommaso Fedeli. Lo scultore, come riferisce il Bellori in una breve menzione nella Vita di Du Quesnoy, fu soprannominato Tommaso del Porfido per la sua abilit nella lavorazione di questo materiale (Bellori 1672, pp. 289-290). Tale pietra, simbolo fin dallantichit di potere e dignit regale, per la sua particolare durezza richiedeva strumenti e metodi del tutto esclusivi e divenne ben presto prerogativa di artisti specializzati, come gi riferiva il Vasari nella Introduzione alle tre arti del disegno (Vasari 1568, p. 35). Fedeli, originario di Fossombrone nelle Marche (Langedijk 19811987, I, p. 361), nacque nel 1599. Attivo tra Roma e Firenze, citato gi dal 1619 tra le carte Borghese (Faldi 1954, p. 17). Inoltre, nel 1624 riceveva un pagamento per un busto di Cosimo II oggi agli Uffizi, dove gli sono attribuiti anche i ritratti in porfido e marmo di Ferdinando I (Di Castro 1993, pp. 150-157) e Ferdinando II (Langedijk 1981-1987, I, p. 361). Nel 1627 lo scultore al servizio dei Barberini, compare infatti nei conti della famiglia per aver scolpito i rilievi in porfido con i Ritratti di Camilla e Antonio Barberini, posti nella chiesa di SantAndrea della Valle, e nel 1631 per un secondo rilievo, copia del Baccanale di putti di Du Quesnoy, appartenuto al cardinale Francesco Barberini e in seguito donato alle reali collezioni spagnole, oggi al Prado (cfr. Lidea del Bello 2000, II, p. 400). La composizione qui esposta generalmente datata intorno agli anni quaranta del Seicento. Lo-

Bibliografia: Der 1959, figg. 17, 18, 31, 32, 38, 50, 142, 162-171.

pera di poco successiva a unaltra versione del tema, scolpita in marmo nero da Alessandro Algardi nel 1635-1636 per Marcantonio Borghese, oggi conservata nella Galleria Borghese (inv. CLX) (Algardi 1999, p. 118). Come risulta dai Registri dei Morti della parrocchia di SantAndrea delle Fratte, lartista si spense a Roma il 24 novembre 1658 allet di quasi sessantanni (Bartoni 2012). Francesca Parrilla

II.62 Matteo Ferrucci (Fiesole, 1570 Firenze, 1651) Vergine Annunciata porfido, altezza 35 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 289 Matteo Ferrucci era nipote per via paterna dello scultore Francesco di Giovanni detto Del Tadda, protagonista del recupero della lavorazione del porfido che interess la Toscana alla fine del Cinquecento, in quanto ritenuto inventore duna certa acqua atta a temperare i ferri per lavorare la pietra () detta porfido (Baldinucci 1681-1728, p. 535). Alla morte del celebre nonno (1585), sotto la cui guida si era formato, allinterno dellattiva bottega famigliare in cui operavano anche il padre Giovan Battista e lo zio Romolo, eredit il segreto di quella difficile tecnica e si specializz nella sua applicazione, guadagnando nel tempo ampi consensi e commesse di prestigio. Molto apprezzato per i suoi ritratti in busto e a rilievo, fortemente debitori, anche sotto il profilo iconografico e stilistico, dei modelli portati al successo dalla bottega del nonno, Matteo non manc di utilizzare il porfido anche per dar vita a immagini sacre; tra esse le fonti ricordano un bassorilievo giovanile molto celebrato raffigurante il profilo del Cristo Salvatore, gi nella collezione Pasolini a Faenza e oggi purtroppo perduto, anchesso derivante da un prototipo del nonno e firmato dallartista. Reca incisa sul bordo inferiore la firma M ATTHIAS F ERREV CEVS F LOR . F. anche questo bel rilievo raffigurante il busto di profilo della Vergine Annunciata, il cui giovane volto abilmente restituito per tre quarti doveva rivolgersi a un Angelo perduto. La morbidezza di questa figura, anchessa recuperata nelle sue forme rinascimentali dal tradizionale repertorio famigliare, ben spiega la fama guadagnata dallartista nella rara arte della modellazione dellostica pietra purpurea.

La figura sagomata oggi applicata su un ovale di marmo grigio inserito in una cornice lignea. Carlo La Bella

Bibliografia: inedita.

II.63, 64 Vetrine con campionario di marmi antichi altezza circa 190 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli Le due vetrine contengono un campionario di marmi antichi, composto da circa 240 mattonelle di forma regolare e quadrata per ogni armadio. La raccolta stata costituita intorno al 1830 probabilmente a Roma, mettendo insieme materiali da collezioni minori e utilizzando due armadi del tardo XVIII secolo in legno laccato e dorato. Questi armadi, che dovevano far parte di un mobile pi grande mancano, infatti, della base e del coronamento sono stati riadattati per luso con laggiunta di ripiani intermedi, opportunamente inclinati e sagomati per facilitarne la visione. I frammenti della collezione si presentano non omogenei: sono stati individuati sei sottogruppi, accomunati o dalle dimensioni dei campioni o da elementi pi specifici come eventuali targhette col nome del marmo, resti di colla sul retro, tracce di doratura sullo spessore e presenza di supporti in ardesia. Date queste caratteristiche i marmi non sono stati collocati seguendo un criterio tipologico, ma attenendosi filologicamente ai sottogruppi individuati. L dove si conservano le targhette con la nomenclatura, sono fornite informazioni non solo sul nome del materiale, riportato in latino e in volgare, ma anche altri dettagli quali indicazioni relative alla provenienza del campione e, dove conosciuto, il nome di colui che ha donato gli esemplari al collezionista. La raccolta sinquadra nel gusto per la collezione di marmi antichi e pietre preziose che si diffonde a partire dal XVIII secolo, com attestato dai viaggiatori dellepoca. Inoltre le botteghe dei marmorari romani con i loro ampi e a volte esclusivi campionari rendevano possibile il collezionismo di marmi colorati a un sempre pi largo pubblico di turisti e viaggiatori stranieri, innamorati di queste preziose reliquie dellan-

Bibliografia: Algardi 1999, p. 118; Bacchi 1996, p. 801; Bartoni 2012; Bellori 1672, pp. 289290; Delbrck 1932, pp. 4-7; Di Castro 1993, pp.150-157; Faldi 1954, p.17; I marmi colorati 2003, pp. 233- 234; Langedijk 1981-1987, I, p. 361; Lidea del Bello 2000, II, p. 400; Old Master Paintings 2006, p. 297; Vasari 1568, p. 35.

tichit, che costituivano un ambito e costoso souvenir da Grand Tour. A Faustino Corsi, autore nel 1828 di un trattato fondamentale sulle pietre antiche, va il merito di aver diffuso la moda di questo tipo di collezionismo tra il pubblico colto. Le pietre erano abitualmente acquistate e fatte tagliare dagli scalpellini, in modo da disporre di mattonelle di forma regolare e di uguali dimensioni. I campionari erano spesso corredati di un catalogo ragionato e metodico. Lopera del Corsi sar poi corretta e integrata dai cataloghi di Francesco Belli che, insieme al fratello Tommaso, dar vita, a met dellOttocento, a una fortunata attivit di raccolta di marmi su commissione. Tali raccolte sono alla base di quelle conservate nelle pubbliche istituzioni. Francesca Licordari

III.65 Scultore romano degli anni trenta del II secolo d.C. (et tardo-adrianea) Busto-ritratto maschile marmo bianco a grana fine, altezza 51 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 235 Proveniente da Villa Lontana Accademia Nazionale delle Scienze, Roma (2000), il ritratto si rivela di grande interesse per la conservazione dellintero busto, comprensivo di cartiglio e base originali. La testa volta decisamente verso la propria sinistra. Luomo raffigurato appare di et avanzata e con tratti fisionomici individualizzati. Il volto magro si restringe nella parte inferiore. Gli occhi grandi sono infossati nelle orbite. I contorni appaiono segnati da occhiaie e pieghe agli angoli; le palpebre sono spesse. La bocca piuttosto larga, con il labbro superiore sottile. Pieghe profonde sono indicate ai lati del naso e della bocca. Il mento alto e sfuggente. I capelli corti sono pettinati in avanti a lunghe ciocche lisce, striate internamente da incisioni longitudinali. La fronte incorniciata da una breve frangia, con una forbice centrale, ai lati della quale le ciocche sono rivolte simmetricamente verso lesterno, con le punte sfrangiate. Si osserva uno stacco rispetto alla chioma sulle tempie, lavorata con maggior rilievo plastico: ciocche lunghe e sinuose sono condotte in avanti formando unampia banda quasi orizzontale al di sopra di ciascun orecchio. Il busto nudo e giovanile appare in netto contrasto con le fattezze realistiche del volto. Lintento eroizzante conviene a una destinazione funeraria. La pettinatura e lassenza di barba si collocano ancora nel solco della tradizione traianea (per la pettinatura cfr. tra gli altri P. Zanker, P. Cain, in Fittschen, Zanker, Cain 2010, p. 82, n. 77, tav. 91), ma le incisioni interne degli occhi e la lavorazione della chioma vivace e ben dettagliata inducono a sostenere una

Bibliografia: EAA 1971-1994, p. 550, fig. 684.

datazione nella piena et adrianea. Le dimensioni del busto, che supera il taglio ridotto delle sculture di epoca flavia e della prima et traianea, includendo le spalle e i pettorali, e la conformazione della base modanata larga e bassa si inseriscono nel clima di sperimentazione delle botteghe scultoree del periodo adrianeo, che d vita a esiti molto variati per forma, dimensioni e decorazione (per la forma del busto e la connotazione realistica del volto cfr. Goette 1989a, pp. 174, 176-178, tav. 13; per la foggia della base vedi P. Zanker, P. Cain, in Fittschen, Zanker, Cain 2010, pp. 7273, n. 67, tavv. 78-79). La resa della pupilla con un solo foro di trapano suggerisce lattribuzione del ritratto a una bottega greca, ipotesi sostenuta dalla foggia del sostegno sul retro del busto, con lati diritti e parte superiore ampiamente svasata. Il naso mancante; la superficie corrispondente colmata da una risarcitura in stucco; un tassello grigio inserito entro il sopracciglio destro. Il padiglione auricolare destro di restauro. Rotture visibili allangolo esterno dellocchio destro, sulla guancia destra, sulla parte anteriore della calotta cranica, sul labbro inferiore e sul mento e sul bordo inferiore della basetta. Locchio sinistro appare ritoccato in et moderna. La superficie del marmo consunta, in particolare la parte anteriore della chioma e le labbra. La parte posteriore della testa e il retro del busto sono ricoperti di incrostazioni calcaree. Laura Buccino

Bibliografia: Buccino, in Papini c.d.s.

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III.66 Scultore romano dellinizio del II secolo d.C. (et traianea) Altare-cinerario del veterinario A. Iulius Myrtilus marmo a grana fine, altezza 146 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. E.DO.3 Laltare-cinerario, proveniente dalla famiglia DOrazio, presenta sul lato anteriore entro una nicchia ovale un busto nudo con ritratto, con sotto uniscrizione in tre righe: Manibus A(uli) Iuli Myrt/[i]li medici primi factionis/ Venetae veterinari. Le superfici sono sfarinate; gravi lesioni interessano soprattutto il lato destro dellara, tanto da provocare la perdita quasi totale delle prime lettere delle prime due righe delliscrizione. Sulle facce laterali, a destra presente un contenitore adagiato su una breve mensola e suddiviso, per quanto ancora intuibile, in diversi scomparti, nei quali sono infilati gli strumenti distintivi dellattivit del personaggio; a sinistra campeggia un oggetto metallico a forma di morsetto, constante di due lunghe sbarre seghettate, collegate in alto da una cerniera, alla quale sono fissate mediante due perni; un laccio si attorciglia intorno a un anellino posto sulla sinistra, passa attraverso un foro ed tirato allaltra estremit, dove di nuovo scorre attraverso un foro; attraverso il laccio a sinistra scorre un elemento mobile (di nuovo in metallo o in legno?), in minima parte perduto e articolato con una sorta di occhielli su ambedue i lati. Sul retro si trova una cavit circolare, destinata a ospitare le ceneri del defunto e un tempo chiusa da una copertura fissata mediante perni in bronzo ancora visibili. Si tratta dellara funeraria di un veterinario specializzato nei cavalli da corsa, dal cognomen grecanico e forse di origine libertina, facente parte del personale della factio Veneta, una fazione del circo, in epoca traianea, come reso evidente dalle caratteristiche del ritratto somigliante nella chioma

e nel viso a quello di Traiano e di altri privati del tempo. Laltare rientra tra quei numerosi esempi che esibiscono un rimando alla professione delleffigiato: sul lato destro il kit contiene parecchi strumenti a prima vista chirurgici, dei quali molti purtroppo spezzati; a sinistra spicca lo strumento metallico, il quale trova dei corrispettivi nella documentazione archeologica. Affini esemplari in bronzo di varia forma sono stati rinvenuti sia in Italia (Pompei) sia nelle province dellimpero; per essi si di norma imposta lidentificazione con un attrezzo per la castrazione degli equini; eppure, pi logica lidentificazione con un torcinaso: questi stringe in una morsa il labbro superiore del cavallo, che, se sollecitato, produce il rilascio naturale di endorfine, i suoi rilassanti naturali, ossia sostanze con propriet analgesiche e sedative; strumento dunque adatto ad assurgere a emblema dellattivit di un veterinario. Massimiliano Papini

III.67 Scultore egizio del terzo quarto del I secolo a.C. Ritratto muliebre (Cleopatra VII?) marmo bianco a grana fine, altezza 42 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 125 un busto nudo femminile, dal taglio abbastanza scollato; il volto, sia pure idealizzato, presenta tratti individuali (gote carnose, leggere occhiaie, solchi labionasali e gli anelli di Venere sul collo) che vi fanno riconoscere un ritratto. La fronte piuttosto bassa, le sopracciglia arcuate; gli occhi, con palpebre rilevate, sono grandi e infossati; la bocca piccola e sottile e le orecchie, in gran parte libere dai capelli, hanno i lobi perforati da fori passanti da cui pendevano in origine gli orecchini. La pettinatura stata solo sbozzata e attendeva la rifinitura, forse in stucco: laspetto suggerisce che i capelli fossero prima raccolti allindietro in bande parallele e poi annodati nel piccolo chignon sulla nuca; sfuggivano i riccioletti a chiocciola che incorniciano la fronte. Una fascia bombata sembra inoltre girare intorno al cranio per ricongiungersi allo chignon: potrebbe trattarsi di una treccia, lasciata solo sbozzata e originata dallo chignon stesso, come nella testa gi Nahman, un bel ritratto proveniente dallEgitto in collezione privata e raffigurante forse Cleopatra VII (per cui vedi Kleopatra 2006, pp. 25, 250, n. 4). Lovale del volto ben conservato, ma il naso rotto e sono scheggiati la bocca e il mento e sulla fronte si notano i segni di alcuni colpi inferti al ritratto. Il ritratto Santarelli si inserisce in quella tendenza, tipica del I secolo a.C., che combina lacconciatura elaborata ed elegante con una marcata caratterizzazione dei lineamenti per suggerire cos la maturit delleffigiata e talora anche per esprimerne lauctoritas. La resa del volto (il taglio degli occhi, i riccioli frontali, la bocca), lu-

so della rifinitura in stucco, una tecnica tipicamente alessandrina, e la polimatericit conseguente, completata dagli orecchini, consentono di datare la testa intorno alla met del I secolo a.C. e di attribuirla a uno scultore formatosi in ambito tolemaico. Il confronto con la testa Nahman e il tipo di acconciatura suggeriscono unaffinit con i ritratti di Cleopatra VII (negli ultimi anni di regno), ma in assenza del diadema lidentificazione rimane incerta e si potrebbe pensare anche a una donna del suo entourage (sui ritratti di Cleopatra in generale vedi Higgs 2003). Matteo Cadario

III.68 Scultore romano del I-II secolo d.C. (tarda et flavia / prima et traianea) Busto-ritratto maschile marmo bianco a grana media, altezza 36 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 100 La testa si imposta con una decisa torsione verso la propria destra su un busto di formato ridotto, che tagliato obliquamente sul lato destro, mentre sul lato sinistro si estende fino allattacco della spalla; sul retro privo di incavo e conserva un residuo del sostegno centrale, che sembrerebbe essere stato asportato deliberatamente. La superficie si presenta rivestita da una patina ramificata e interessata da abrasioni. Manca buona parte del naso e dei padiglioni auricolari. Il busto fratturato lungo il margine inferiore sinistro; al centro, in corrispondenza dello sterno, presenta un incasso profondo, che si direbbe praticato volontariamente. Il ritratto riproduce con crudo realismo la fisionomia di un uomo di et avanzata, con volto squadrato, vistosamente segnato da pieghe per effetto del rilassamento dellepidermide; gli occhi sono piccoli e ravvicinati, la bocca serrata ha labbra sottili, la fronte alta percorsa da una rete di rughe. I capelli a massa compatta sono acconciati in ciocchette a fiammella, che da un vortice occipitale si dirigono con lievi ondulazioni verso le tempie e la fronte, dove spiovono con una corta frangia. La riproduzione oggettiva dei tratti fisionomici elemento peculiare della ritrattistica tardo-repubblicana, ma forme realistiche di rappresentazione riemergono in epoca flavia e continuano in et traianea, improntando tanto limmagine dellimperatore, quanto le effigi dei privati. La testa in esame denota una spiccata somiglianza con i ritratti di Vespasiano, rispetto ai quali mostra per una struttura meno massiccia del

Bibliografia: Cadario, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Papini c.d.s.a

cranio, una pinguedine meno accentuata e un maggiore volume dei capelli, che scendono sulla fronte con una frangia disordinata, la cui complessa articolazione prende a modello il ritratto di Domiziano del primo tipo (sui ritratti dei Flavi vedi Daltrop, Hausmann, Wegner 1966; sulla ritrattistica privata di epoca flavia vedi Cain 1993). La testa Santarelli offre quindi un esempio emblematico di quel fenomeno di assimilazione dellimmagine di un privato alleffigie dellimperatore, che ampiamente documentato dal periodo tardo-repubblicano a tutta let imperiale e che costituisce una manifestazione tangibile della devozione dei sudditi verso i detentori del potere. Il busto, abbigliato nei panni del cittadino romano, tunica e toga, risponde a una tipologia utilizzata di frequente per ritratti di esponenti della classe media. Per taglio e dimensioni si adegua alle tendenze dellepoca flavia, ma rivela alcune anomalie di carattere tecnico e formale; una scarsa coerenza formale si avverte del resto anche nella resa della testa, il che induce a sospettare dellautenticit della scultura. Elena Ghisellini

III.69 Scultore greco del 190-200 d.C. Ritratto imperiale laureato marmo bianco a grana fine, altezza 35 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 79 La testa spezzata alla base del collo e presenta sulla nuca un puntello verticale che ne dimostra loriginaria pertinenza a una statua. Il viso, caratterizzato da vistose asimmetrie imputabili al moto di torsione del capo, ha lineamenti maturi e regolari: fronte ampia, segnata da rughe; guance dai piani larghi e tesi, ombreggiati da una corta barba ricciuta; bocca breve, con labbra sottili e ben disegnate; grandi occhi a mandorla, dal peculiare taglio allingi. I capelli sono acconciati in una massa fitta di corposi riccioli, ricchi di colorismo per lesteso impiego del trapano; la chioma si gonfia nella regione parietale e compone sulla fronte una frangia dal profilo curvilineo, delimitata da pronunciate stempiature. La testa cinta da una corona di foglie di alloro, che risulta annodata sulla nuca. Presenta una superficie ben conservata, interessata da piccole scheggiature e abrasioni. Mancano buona parte del naso e le estremit delle bende che annodano la corona sulla nuca. Il ritratto rivela profondi legami tipologici e formali con la tradizione antoniniana, in particolare con le effigi di Antonino Pio, tuttavia la semplificazione dei piani facciali, la stilizzazione decorativa dei capelli e della barba e la tendenza alla geometrizzazione nella resa delle singole forme indirizzano verso una datazione nella prima et severiana. I confronti pi puntuali si individuano in opere uscite da officine localizzate nelle province orientali dellimpero, constatazione che invita ad ascrivere a tale area la testa in esame (sui ritratti di Antonino Pio vedi K. Fittschen, in Fittschen, Zanker 1985, pp. 63-66, n. 59; sulla ri-

trattistica dellAsia Minore vedi Inan, Rosenbaum 1966; Inan, Alfldi-Rosenbaum 1979). Lattribuzione pu essere corroborata da una serie di fattori, a cominciare dalla presenza del puntello verticale sulla nuca, espediente tecnico mirante a rafforzare il collo, che si incontra con notevole frequenza in teste dallAsia Minore. Indicativa poi la corona di foglie di alloro che cinge i capelli, in quanto i ritratti, sia maschili che femminili, con corona di foglie sono diffusi prevalentemente in Grecia, Cirenaica e Asia Minore. La corona solitamente interpretata come insegna sacerdotale, sicch potremmo scorgere nel personaggio effigiato un sacerdote, forse adibito al culto di Apollo, poich la corona di alloro un attributo tipico, anche se non esclusivo, del personale di culto del dio. Elena Ghisellini

III.70 Scultore romano dellinizio del II secolo d.C. Statua di fanciulla con testa ritratto marmo bianco a grana grossa, altezza 68,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 101 La fanciulla stante indossa un chitone di tessuto leggero fittamente pieghettato, con maniche corte chiuse da bottoncini e rimbocco sul busto cinto da una fascia sotto il seno. La gamba destra avanzata. Il braccio destro ornato da unarmilla appena sotto la manica ed piegato al gomito verso il petto e leggermente sollevato. La mano doveva reggere un attributo di cui rimane solo lattacco sul busto. Il braccio sinistro scende leggermente flesso lungo il fianco e tiene una pianta, il cui lungo stelo si appoggia sullavambraccio e sullesterno della spalla. Il polso fissato al fianco con un puntello. La testa volta leggermente verso destra risulta grande in proporzione alle dimensioni del corpo. Il volto ovale sfinato individualizzato nella conformazione triangolare, nel profilo diritto e fine del naso e nel bel disegno della bocca piccola, mentre i grandi occhi a mandorla contornati da palpebre spesse potrebbero essere un elemento di idealizzazione. La veste altocinta, il seno ancora piatto, la cosiddetta Melonenfrisur (la pettinatura con discriminatura mediana e calotta articolata in spicchi di melone) sono elementi distintivi della giovane et della fanciulla raffigurata. Il tipo iconografico risalente a statuette votive note in ambito greco dalla fine del IV secolo a.C. diffuso nel periodo ellenistico e romano (per il tipo iconografico vedi Vorster 2004, pp. 19-20, n. 2, tav. 3,2). Sono rotti il braccio destro, la mano sinistra, la massima parte dellattributo poggiato sul petto, la parte inferiore della pianta, alcune pieghe della veste, buona parte delle gambe, troncate da una rottura diagonale da sotto la co-

Bibliografia: Ghisellini, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Ghisellini, in Papini c.d.s.

scia destra fino a met della coscia sinistra. Nella superficie di rottura del braccio destro e in quella dellattributo un foro circolare indica forse un precedente restauro rimosso. Allesterno della spalla sinistra rimane un foro con piccolo perno per il fissaggio della terminazione metallica dellelemento vegetale. La statua, di probabile destinazione funeraria, si data in et traianea per lacconciatura sul retro della testa, con la crocchia formata da numerose trecce sovrapposte, per gli occhi lisci e la resa asciutta e lineare del panneggio (per lacconciatura vedi P. Zanker, in Fittschen, Zanker 1983, p. 52, n. 67, tav. 84). La testa cinta da una coroncina intrecciata di corimbi e foglie di edera, che rimanda al culto di Dioniso. Lattributo potrebbe costituire un augurio di vita futura e beatitudine nellaldil per la fanciulla morta prematuramente da parte dei genitori dedicanti, ma anche alludere a una cerimonia di iniziazione ai misteri dionisiaci, se non allidentificazione con una figura mitologica appartenente alla cerchia del dio (per la corona di edera e corimbi in ritratti di fanciulli vedi Raeder 2000, pp. 209-211, n. 79, tavv. 102,3-4; 104; S. Faralli, in Conticelli, Paolucci 2011, pp. 9495, n. II.21). Laura Buccino

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III.71 Scultore romano del 220-235 d.C. circa (ritratto), del II-III secolo d.C. (busto), il piedistallo moderno Busto in porfido con ritratto virile marmo bianco pentelico (testa) inserita in un busto in porfido con piedistallo modanato in serpentino, altezza 26 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 158 Il busto, un tempo a Tangeri, faceva parte in origine della collezione Klaus Otto Preis dove era entrato con indicazione di provenienza da Volubilis. Al momento del passaggio nella Collezione di Jacques Petithory (1929-1992) il busto fu completato con il ritratto. Busto e piedistallo sono in ottime condizioni, la testa, non pertinente, presenta invece alcune scalfitture sulla fronte e abrasioni nella zona dei baffi e sulle guance. Il naso e le orecchie sono di restauro, come gran parte del collo. Il busto loricato e indossa sulla corazza il mantello allacciato sulla spalla destra e una fila di pteryges a protezione delle spalle. La lavorazione grezza della parte posteriore e lassenza del piedistallo interno fanno sospettare che il busto sia in realt il frutto della riduzione di una vera e propria statua. Luso del porfido ne suggerisce comunque loriginaria pertinenza imperiale, e la resa coerente con una datazione compresa tra il II e il III secolo d.C. (per la scultura in porfido vedi Delbrck 1932). Il ritratto raffigura un uomo giovane con una accentuata torsione verso la propria destra che ne enfatizza lespressione concentrata; i capelli, corti e aderenti alla calotta cranica, formano unonda verso la tempia destra; sulle guance le basette si collegano alla barba leggera che scende fino al mento e al collo. La fronte alta, le arcate sopracciliari sono ampie, arcuate e con le sopracciglia graffite, mentre le cavit orbitali contengono occhi grandi e caratterizzati dallindicazione di palpebre, caruncole la-

crimali, iride e pupille a pelta. La bocca chiusa e carnosa. Alcuni dettagli (il vuoto che circonda lorecchio destro e i segni di accorciamento di basette e barba) segnalano la rilavorazione del ritratto, unazione che potrebbe dar conto anche dellincongruenza tra la resa di barba, baffi e sopracciglia, che in linea con la ritrattistica del tempo di Alessandro Severo e Gordiano III, e la disposizione delle ciocche sulla nuca e dietro le orecchie, che segue invece modelli derivanti dalla ritrattistica proto-imperiale e poi ripresi nellimmagine di Elagabalo (per il ritratto imperiale nel III secolo d.C. vedi Wood 1986). La testa Santarelli potrebbe quindi aver cambiato identit, e un ritratto di Elagabalo essersi trasformato in unimmagine di Alessandro Severo (cfr. per esempio un ritratto di Alessandro Severo al NelsonAtkins Museum of Art di Kansas City, per cui vedi E.R. Varner, in Tyranny & Transformation 2000, pp. 200-203, n. 52) oppure in quella di un privato cittadino, influenzata dalla ritrattistica imperiale del tempo. Matteo Cadario

III.72 Scultore romano dellinizio del III secolo d.C. (et severiana) Busto di Alessandro Magno marmo statuario pentelico, altezza 70 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 103 Si tratta di un torso virile in marmo con testa pertinente, spezzato sotto lombelico, mancante dellavambraccio destro e di tutto il braccio sinistro. Lovale del volto si contraddistingue per la triangolarit della fronte incorniciata dai riccioli, che creano un effetto di chiaroscuro. Gli occhi sono grandi, ben evidenziati dalle arcate sopracciliari, senza incisione delliride e della pupilla. Del naso spezzato si conserva soltanto la parte inferiore con le narici. La bocca dalle labbra carnose chiusa e forma due marcati solchi laterali, dallandamento parallelo a quelli ai lati del naso. Una piega orizzontale presente sul mento. I capelli sono resi con lunghe ciocche ondulate, che giungono a lambire le spalle e che coprono completamente le orecchie. Il collo corto. Il torso mette in evidenza una sviluppata muscolatura pettorale e addominale. Si tratta probabilmente di una raffigurazione di Alessandro Magno, derivata da un originale ellenistico, nellatteggiamento di Zeus in posa a torso nudo, con la spalla ricoperta da un mantello, realizzato a parte con materiale differente. Lipotesi dellidentificazione con il sovrano macedone avvalorata dalla presenza dellanastol nella capigliatura, cio un ciuffo di capelli rialzato in corrispondenza della fronte, che scende lungo la nuca. Il modello dellopera non da ritrovare nella tradizione lisippea Lisippo, celebre scultore del IV secolo a.C., stato il ritrattista ufficiale di Alessandro Magno perch i tratti del volto sono estremamente veristici. accentuata la rotondit del viso e sono evidenziate le pieghe della carne. Gli occhi, le spesse palpebre e la

bocca carnosa sono di proporzioni maggiori rispetto a quelle di Lisippo. Nellespressione rilassata si pu riconoscere la maniera di Prassitele. La capigliatura ricorda per certi versi quella delle raffigurazioni di Alessandro Helios, cio identificato come dio Sole, atteggiamento solitamente caratterizzato dagli occhi rivolti verso lalto; in questo caso, per, gli occhi sono indirizzati verso lo spettatore. Di conseguenza anche la posizione della testa, piegata normalmente di lato per mettere in risalto lo sguardo espediente utilizzato nella ritrattistica ufficiale per mascherare il difetto fisico della scoliosi viene qui a mancare. Lopera databile allet severiana, allinizio del III secolo d.C. Francesca Licordari

III.73 Scultore romano della met del III secolo d.C. Ritratto di Vibius Volutianus marmo bianco statuario, altezza 47 cm Roma, Acadmie de France Rome Villa Mdicis Propriet dellAcadmie des Beaux-Arts, Paris, inv. A.F.R. 1998-S-1 (lascito di Federico Zeri allInstitut de France) La testa sostanzialmente integra a parte lievi scheggiature sul lato sinistro della fronte, sotto locchio sinistro e sui margini delle orecchie. Manca anche la parte sinistra del busto. Gli occhi rivolti verso lalto presentano pupilla e iride incise, maggiormente accentuate dallutilizzo del trapano. Le arcate sopracciliari superiori sono prominenti, mentre le palpebre inferiori sono appena accennate. Il naso regolare, dallandamento rettilineo, di restauro. La bocca, leggermente dischiusa, mette in risalto la carnosit delle labbra. Sulle guance, intorno alla bocca e sul mento, presente una leggera barba resa con unincisione appena accennata. I capelli, tagliati corti e regolari, si articolano in piccole ciocche ondulate, che lasciano scoperte la fronte e le orecchie. Nel personaggio stato riconosciuto Vibio Volusiano, figlio di Treboniano Gallo, divenuto Cesare nel 251 d.C. e Augusto lanno seguente, quando il padre fu acclamato imperatore. Fu sconfitto nel corso della campagna contro il rivale Emiliano e ucciso dai propri soldati, insieme al padre, nellagosto del 253 d.C. a Interamna, lodierna Terni. Nelle monete emesse quando era Cesare, Volusiano raffigurato come un giovane imberbe intorno ai ventanni. La barba, invece, regolarmente presente nei tipi successivi alla sua ascesa ad Augusto. La breve durata del suo regno ha consentito la realizzazione di un solo tipo ufficiale di ritratto, da collocare, per la presenza della barba, al 252-253 d.C. I tratti ca-

Bibliografia: inedita.

ratteristici delle sue raffigurazioni sono, inoltre, il solco trasversale della fronte, le labbra vigorosamente disegnate e le palpebre eccessivamente accentuate. Il principe stato identificato da Jutta Meischner (1967, p. 220) in una scultura conservata allo Smith College Museum di Northampton (inv. SC1949:13-1) e nelle due repliche del Kunsthistorisches Museum di Vienna e del Museo Nazionale Romano (inv. 644), precedentemente ritenute ritratti di Gallieno giovane. Nel nostro caso lattribuzione stata effettuata sulla base delliscrizione incisa sul bordo destro del ritratto, da considerare di epoca moderna per il fraintendimento del cognome che, in realt, Volusianus. Per la presenza della barba la testa dovrebbe essere collocata nella ritrattistica dellimperatore ormai Augusto. Lopera, probabilmente proveniente dalla collezione Mazzarino, pass poi in Inghilterra a Wilton House nella collezione di Lord Pembroke. Da ultimo fu lasciata da Federico Zeri allAccademia di Francia. Francesca Licordari

III.74 Scultore di Palmira della seconda met del II secolo d.C. Frammento di rilievo funerario con testa di sacerdote calcare rosato, altezza 38 cm Citt del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Egizio, inv. 56599 (lascito Federico Zeri) Foto Musei Vaticani Gi in collezione privata, poi nella collezione Federico Zeri, la testa maschile, dalla rigida disposizione frontale, ieratica, tipica dellarte palmirena, frammentata alla base del collo e sormontata dal copricapo caratteristico dei sacerdoti (modius), pertinente a un rilievo funerario. Destinata a una visione frontale, come si evince dalla fattura del retro, lasciato grezzo, ma forse anche a una visione dal basso, data la scarsa lavorazione della sommit del copricapo, poteva costituire parte di un busto o di una rappresentazione pi complessa (ad esempio il personaggio di una scena di simposio). Il rilievo presenta numerose scheggiature, di cui particolarmente deturpanti quelle sul naso (quasi del tutto perduto) e sul mento, mentre di minore entit appaiono le lesioni del materiale calcareo in corrispondenza del copricapo e in alcune zone del volto (guance, labbra ma anche le orecchie). Il modius, elemento iconografico distintivo della casta sacerdotale locale (ma solo, come sembra, se portato da personaggi imberbi), si presenta qui nella versione suddivisa in tre larghe fasce per mezzo di profonde solcature verticali parallele, che scompaiono sotto la corona di alloro centrale per poi riapparire sul bordo inferiore del copricapo, che poggia basso a coprire la fronte. La corona di alloro, di derivazione greca, assente in altre raffigurazioni dello stesso tipo e originarie della tradizione siro-achemenide, si presenta come una ghirlanda dal rilievo aggettante e dalle foglie lanceolate. Essa attraversa il copricapo in tutta la sua lunghezza, in direzione

Bibliografia: Porphyre 2003, pp. 62-63, n. 13; Cadario, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Richardson 1795, p. 65.

del medaglione centrale, costituito qui da un busto maschile imberbe, vestito di tunica, dal volto ormai irriconoscibile. Come di consuetudine per la classe sacerdotale, il cranio del personaggio doveva essere ben rasato, a giudicare dalla totale assenza di elementi della capigliatura, non riscontrabili in prossimit della stessa fronte, sia lateralmente, sia vicino alle orecchie. Il volto del sacerdote, anchesso come di norma ben rasato, dallovale allungato, le guance assai rotonde e con il mento ben distaccato dal collo, si presenta piuttosto sproporzionato, soprattutto per le esigue dimensioni della bocca, del naso e degli occhi, oltre che per la rappresentazione delle orecchie, aggettanti e asimmetriche, con il padiglione auricolare di sinistra posto pi in basso rispetto al destro. Gli occhi hanno una forma alquanto ovaleggiante, con liride appena accennata da un leggero solco circolare, cos come le palpebre inferiori e le sopracciglia, stilizzate con una linea sottile. Le palpebre superiori, invece, presentano un maggiore rilievo, con quella di destra pi arcuata della sinistra, mentre le orbite, assai incavate, creano un certo chiaroscuro. Il naso, quasi completamente abraso, doveva essere del tipo schiacciato, dal rilievo poco aggettante, a forma triangolare, sottile nel profilo e largo alla base delle narici, profondamente incise. La bocca, dal profilo ondulato, assai sottile, con il labbro inferiore pi carnoso del superiore. Secondo le interpretazioni pi accreditate (cfr. bibliografia in Callieri 1986, p. 234), il tradizionale modius, del tipo qui raffigurato con ghirlanda alla greca, viene attribuito ai sacerdoti del culto di Bl, spesso abbinati nelle raffigurazioni pervenute a ulteriori personaggi, laici, interpretati quali simposiarchi del medesimo culto. Si ritiene altres che i busti raffigurati sui medaglioni dei copricapi e inquadrati dalle ghirlande rappresentino gli antenati eroizzati del defunto, piuttosto che

elementi dinastici o devozionali (quali imperatori o divinit), data lassenza di specifiche caratterizzazioni fisiognomiche. Secondo tale teoria, la presenza della ghirlanda indicherebbe che il sacerdote defunto viene eroizzato, mentre laggiunta del medaglione col busto (non sempre presente) implicherebbe una discendenza ancor pi illustre, cio da antenati a loro volta gi eroizzati. Alla luce dei soli elementi formali e di alcuni confronti con analoghe raffigurazioni palmirene, non sembra agevole proporre una datazione puntuale, n inquadrare con facilit il reperto in una delle classificazioni tipologiche del Colledge, anche se appare verosimile una datazione di massima alla seconda met del II secolo d.C. (cfr. Callieri 1986, p. 234). Claudio Noviello

III.75 Scultore di Palmira dellinizio del III secolo d.C. Ritratto di defunta con tavola scrittoria calcare grigio, altezza 45 cm Citt del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Egizio, inv. 56598 (lascito Federico Zeri) Foto Musei Vaticani La lastra, di forma quadrangolare, leggermente convessa sullasse centrale maggiore, appena concava sul lato posteriore e dai contorni frastagliati, appartiene, nellambito dei rilievi funerari palmireni, al tipo del lastrone in calcare con busto a rilievo aggettante, assai diffuso a partire dalla met del I secolo d.C. Nelle tombe di famiglia tali rilievi erano sovente ubicati allinterno di camere funerarie, disposti su pi lati e in pi file sovrapposte. Sotto linflusso romano questa tipologia funeraria soppianta gli originari NP (dal semitico io, anima, per traslato lastra sepolcrale, sepoltura, intesa quale residenza materiale e spirituale identificativa del defunto), le stele di tipo pi antico con coronamento centinato, nate quali elementi di chiusura dei loculi individuali ipogeici, di torri o di templi funerari. Il busto femminile, piuttosto largo e sproporzionato rispetto alla testa, disposto, secondo la consuetudine dellarte funeraria palmirena, in posizione rigidamente frontale, ieratica, ed inoltre caratterizzato dai tipici tratti linearistici nella resa del panneggio e dei contorni, dal rilievo piuttosto appiattito, oltre che dalla presenza di elementi veristici e naturalistici, come pu notarsi dalla trattazione analitica degli oggetti di ornamento, identici a quelli rinvenuti nei contesti funerari, e nella fisiognomica in genere. La mano sinistra, ripiegata pi in basso, regge una tavoletta scrittoria simile a una tabula ansata, con il pollice e lindice aperti. Il capo, scoperto, presenta unacconciatura del tipo a melone, con

Bibliografia: Callieri 1986, pp. 232234, n. 5, fig. 66,2, cfr. Colledge 1976, Parlaska 1985; Nigro 2000, p. 283; Nigro 2002.

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ciocche ondulate spartite da una riga centrale, crocchia circolare in posizione sommitale e ciuffo dalla forma lanceolata che scende verso il centro della fronte, confrontabile stilisticamente con alcune pettinature di et antonina (ad esempio di Faustina Minore), secondo una tipologia diffusa anche in altri ritratti palmireni della seconda met del II secolo d.C. (cfr. Callieri 1986, p. 232). I grandi occhi presentano incisioni stilizzate nella resa delliride, ottenuto con un solco globulare, e delle palpebre carnose, specialmente le superiori, oltre che nelle sopracciglia. Il naso si staglia sottile e in linea retta perpendicolarmente al profilo della fronte, molto bassa, per allargarsi in corrispondenza delle narici, anchesse stilizzate con unincisione. Assai analitica e realisticamente descrittiva, oltre la stessa coerenza formale dellinsieme, la trattazione degli elementi di ornamento, come si evince anche dallabbondanza dei dettagli. Delle due collane, la prima del tipo con elementi globulari a giro di perle, che cinge con regolarit la base del collo, la seconda, di poco pi ampia, posta appena sotto la precedente, del tipo liscio con pendente a bulla, il cui disco contorniato campeggia sulle pieghe centrali della tunica. Analogamente abbondano i particolari nella resa dei doppi orecchini, costituiti da due elementi globulari uniti da una barretta centrale, disposti a coppie sia sui lobi inferiori che nelle parti sommitali interne dei padiglioni auricolari. Inoltre, la mano destra presenta nel medio e allanulare due anellini lisci, la sinistra un anellino di simile fattura al mignolo. Entrambi i polsi sono ornati con bracciali del tipo a tortiglione, che alterna spire di filamenti, ora lisci ora granulati. Sia gli elementi formali e stilistici che, soprattutto, quelli ornamentali, inquadrano la stele, anche sulla base dei confronti con altri rilievi palmireni, nel secondo gruppo della classificazione di Colledge (gruppo II,V,b; cfr. Callieri 1986, p. 232, con biblio-

grafia), e consentono una datazione approssimativa compresa entro gli ultimi decenni del II secolo d.C. o, al massimo, gli inizi del III secolo d.C. Gi in collezione privata, lopera pass poi nella collezione Federico Zeri. Claudio Noviello

III.76 Scultore romano della prima met del I secolo d.C. (et proto-tiberiana?) Busto di giovane marmo pario, altezza 40 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 272a Il busto ritrae un fanciullo calvo con il cranio molto sviluppato, provvisto di un foro quadrangolare sulla sommit. Lo stato di conservazione discreto. Manca la narice sinistra di cui resta solo una breve estremit. Lorecchio destro spezzato nella parte superiore allaltezza del padiglione auricolare. Del busto, pertinente al ritratto, manca langolo destro. Il foro, a meno di non ricorrere alla scappatoia di una non meglio specificabile rilavorazione, pot servire allinserimento di un qualcosa realizzato a parte, in altro materiale; per la peculiare posizione viene da pensare a una ciocca di capelli, in marmo o in stucco, ma non in bronzo, poich manca ogni segno di corrosione, tanto pi che un inserto metallico non avrebbe necessitato di un foro del genere. Se cos, il busto pu essere avvicinato a un gruppo di ritratti di fanciulli (in una fascia di et compresa allincirca tra i 5 e i 14 anni) correlabili al culto della dea Iside, i quali presentano di norma una lunga ciocca, per scolpita (il ciuffo di Horus, figlio di Iside), che allincirca dalla sommit del capo ricade in varie direzioni (sul retro oppure sui lati, specie a destra): quei fanciulli, pur senza poter avere ancora assunto funzioni sacerdotali o avere conosciuto uniniziazione, vengono dedicati alla divinit, dalla quale sono come adottati quale garanzia per unesistenza nellaldil; la distribuzione geografica e temporale prevede attestazioni pi frequenti nellOriente greco e in Egitto nella prima et imperiale, mentre in Italia il loro numero aumenta nel II e specie nel III secolo d.C. (al proposito fondamentale Goette 1989). Su tali ritratti, destinati spesso (ma non solo) ad ambito

Bibliografia: Callieri 1986, pp. 231232, n. 4, fig. 63,2, cfr. Colledge 1976, Parlaska 1985; Nigro 2000, p. 283; Nigro 2002.

funerario, la capigliatura per appena accennata, pur dando talora limpressione di una testa quasi calva, il che li distingue dal particolare della testa del tutto nuda sul busto Santarelli (per un eventuale parallelo relativo alla funzione di un foro per linserzione di una ciocca isiaca su un ritratto per pi tardo vedi E. Fileri, in Giuliano 1988, pp. 367-368, R 277): la peculiare scelta pot servire a far risaltare ancora di pi leventuale elemento applicato? Il cranio rasato, tuttavia in abbinamento a una cicatrice di disparate forme, ricorre per ritratti di personaggi per lo pi maturi rappresentanti sacerdoti di Iside, in particolare in epoca tardo-repubblicana e proto-imperiale. Per la forma del busto lopera pu essere datata allinizio del I secolo d.C. (con maggior precisione, forse intorno agli anni venti del I secolo d.C.). Massimiliano Papini

III.77 Scultore romano di fine IV inizio V secolo d.C. Ritratto di giovane marmo bianco a grana finissima, altezza 21 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 140 Il ritratto virile raffigura un uomo giovane, pensato per una visione essenzialmente frontale, perch entrambi i punti di vista laterali avrebbero mostrato levidente sproporzione della testa, caratterizzata dalla deformit della mandibola e da diverse asimmetrie, effetto di una profonda rilavorazione che sembra aver modificato anche lasse centrale intorno a cui era stato costruito il ritratto originale. Il volto ha laspetto di un ovale allungato, i capelli formano una calotta molto compatta e, sebbene le ciocche siano state solo sommariamente sbozzate, vogliono dare limpressione di una massa densa e aderente al cranio. La fronte bassa, e le arcate sopracciliari a semicerchio sono molto sviluppate; gli occhi sono grandi e caratterizzati dalla curvatura delle pesanti palpebre, dallincisione di iridi semilunate con pupilla al centro e dallindicazione delle sacche lacrimali. La bocca piccola e serrata, il naso era abbastanza piccolo rispetto al viso, mentre il mento molto allungato e uniforme. Le orecchie, piuttosto piccole, sono solo sbozzate e asimmetriche. La forma del cranio molto compatta e appiattita sulla sommit ma con il collo particolarmente robusto; nella parte posteriore si nota quello che sembra la traccia di uno chignon in parte scalpellato, traccia che consente di riconoscere come femminile il ritratto originale che fu cos profondamente rilavorato. Lalto grado di stilizzazione dei lineamenti, linespressivit del volto, lassenza di intenti naturalistici e soprattutto le enormi arcate sopracciliari consentono di inquadrare la rilavorazione nel periodo compreso tra gli ultimi due decenni del IV e i primi del

V secolo d.C., ossia in et teodosiana o post-teodosiana. In questo periodo la ricerca di una totale astrazione del volto prevalse fino a sacrificare quasi ogni verosimiglianza della fisionomia, come si vede anche nel ritratto Santarelli nella trasformazione delle sopracciglia in un motivo ornamentale adatto a incorniciare e a evidenziare gli occhi (per il ritratto virile tra IV e V secolo d.C. vedi La Rocca 2000, pp. 26-31; Meischner 1990; Meischner 1991). Il naso rotto ed entrambe le orecchie sono danneggiate. Matteo Cadario

III.78 Scultore romano della prima met del III secolo d.C. Ritratto virile marmo bianco a grana fine, altezza 31 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 33b Ritratto virile forse preparato per essere inserito in un corpo lavorato a parte; raffigura un uomo giovane ed energico, con il volto a forma di ovale allungato, i capelli, cortissimi e aderenti alla calotta cranica e le guance coperte dalla barba. I capelli e la barba sono resi con la tecnica a penna, che offriva espressivit e semplicit al prezzo della perdita di plasticit di barba e pettinatura. La fronte ampia e alta, le arcate sopracciliari sono grandi e incurvate, le sopracciglia sono graffite, gli occhi sono stretti e allungati, con palpebre piuttosto grandi, caruncole lacrimali segnate dal trapano, iridi circolari e pupille a forma di pelta. La bocca doveva essere chiusa ed stata ripassata con il trapano. Lincarnato perfettamente levigato salvo che per alcuni segni dellet che rendevano il volto pi espressivo e concentrato (solchi labionasali, un solco leggero sulla fronte, uno pi marcato tra le sopracciglia e due sul limite inferiore delle cavit orbitali). Nellinsieme i muscoli del volto disegnano un motivo a X molto raffinato ed equilibrato tra parte superiore e inferiore. Il collo presenta una resa altrettanto dinamica della muscolatura, che suggerisce il girarsi della testa verso la propria destra. Il ritratto eccelle per laristocratica raffinatezza della concezione, per lattenzione alla plasticit e al vigore della resa dellincarnato e per levidenziazione della muscolatura in tensione sotto la pelle liscia del viso: si voleva rendere cos lespressivit del volto, comunicando anche lenergia delleffigiato. Ladozione della tecnica a penna consente di per s di datare la testa tra il 230 e il 250 d.C., ma il confronto con i ritratti di Philippus Minor e del padre Filippo lArabo

induce a precisare la cronologia intorno al 240 d.C. (per il ritratto virile nel III secolo d.C. vedi Wood 1986). La testa fa parte di un ristretto gruppo di ritratti di III secolo d.C. caratterizzati dalla stessa resa plastica del viso. Il naso rotto e sono danneggiati la bocca, il mento, le sopracciglia, le orecchie e la guancia sinistra. La zona occipitale del cranio stata restaurata. Matteo Cadario

III.79 Scultore attivo in ambito federiciano del XIII secolo Busto ritratto di Federico II marmo bianco lunense, altezza 44,5 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 30c Il busto maschile, proveniente dalla collezione Pico Cellini, presenta il capo cinto dalloro ed abbigliato con una tunica, fermata sulla spalla destra da un fermaglio; i capelli sono disposti a ciocche. Il retro sommariamente sbozzato e mostra una grappa metallica per lancoraggio a un supporto. Venne rinvenuto a Genova tra le macerie della vecchia zona portuale nel 1940. Gi riconosciuta da Pico Cellini come opera riferibile ad ambito federiciano e pubblicata da Quartino (1980), essa stata avvicinata ai cammei con il profilo dellimperatore Augusto e agli augustali, riconoscendo analoghi intenti propagandistici di immagine ufficiale e modelli ispiratori. Dal punto di vista tecnico viene messa in evidenza lestrema vicinanza con la trattazione dellavorio e delle pietre dure. Cellini nel 1980 ha messo in risalto che il busto doveva essere in origine completato da policromia e, a causa della mancata finitura del retro, destinato allesposizione in una nicchia. Successivamente Giuliano (1983) ha evidenziato come la scultura sia concepita per una visione di profilo e come, per le incongruit del volume e per la policromia, derivi dallamplificazione monumentale di unopera di glittica: in particolare ritiene che possa essere stata ispirata dal cammeo di Augusto inserito nella Croce di Lotario ad Aquisgrana, oggetto che doveva avere un forte carattere carismatico. Il busto potrebbe essere una delle repliche del ritratto di Federico a ventanni, in occasione dellincoronazione ad Aquisgrana nel 1215, e inviato a Genova, allora in ottimi rapporti con limperatore. Evidenziando anche la matrice classica del manufat-

Bibliografia: Cadario, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Cadario, in Papini c.d.s.

to, ne mette in evidenza la monumentalit inconsueta. La storiografia successiva si pi volte occupata del busto in esame, soffermandosi soprattutto sul gusto fortemente classicista e mettendone cos in dubbio la produzione in et federiciana (ad esempio Claussen 1995; Pace 1996). Quel che tuttavia risulta evidente che la trattazione corposa dei volumi, levigati fino allimitazione delloreficeria, limpianto stesso della figurazione, cos come particolari puntuali, la trattazione delle ciocche striate dei capelli (molto vicina ad altri ritratti come quello proveniente da Lanuvio, ora a Roma, Deutsches Archologisches Institut), rinviano puntualmente al gusto federiciano e alle rappresentazioni eroicizzate nellallusione alla ritrattistica imperiale antica. Daniela Ricci

Bibliografia: Perrella, in Papini c.d.s.

Bibliografia: Quartino 1980, pp. 289-299; Gelao 1982, pp. 29-36: 31; Giuliano 1983, pp. 63-70; Bologna 1989, pp. 159-189; Federico II 1995; Cal Mariani 1995, pp. 39-51; Castelnuovo 1995, pp. 63-67; Claussen 1995, pp. 69-81; Williamson 1995, p. 278, n. 52; Pace 1996, pp. 5-10.

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III.80 Scultore italiano a cavallo del 1250 Ritratto di nobildonna (o Madonna?) marmo, altezza 48 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 376 Catalogato come opera toscana del Trecento nel relativo catalogo dasta, questo volto femminile in realt non denota i caratteri gotici che, con declinazioni molto diverse, hanno comunque informato in quel secolo tutta la scultura della regione. Il modellato pieno e tondeggiante mostra lintenzione di un recupero classico, che fa pensare piuttosto a fenomeni di revival pi antichi. Vale a dire a un autore partecipe del mondo di Nicola Pisano o, magari, di quello federiciano. Il soggetto pu riferirsi a una Madonna, bench la coroncina autorizzi a ipotizzare anche leventualit che si tratti delleffige di una nobildonna. Va nel contempo osservato che simili accessori compaiono pure su varie figure di Nicola e della sua straordinaria bottega. Le proporzioni fanno supporre che il pezzo possa aver fatto parte di un altorilievo.

III.81 Nicolas Cordier (Lorena, 1567 circa Roma, 1612) Busto di papa Paolo V Borghese, 1605-1612 circa marmo, altezza 62 cm Bergamo, Accademia Carrara, inv. 98SCZR007 (lascito Federico Zeri) Probabilmente il pi significativo ritratto scultoreo dedicato a papa Borghese prima dei capolavori berniniani, questo piccolo busto marmoreo deve a Bacchi (1989) la sua introduzione nella letteratura specialistica e lattribuzione a Nicolas Cordier. Le capacit ritrattistiche dellaffermato scultore lorenese dovettero essere particolarmente apprezzate da Paolo V, se fu a lui che venne affidata la realizzazione della monumentale effigie pontificia in bronzo richiesta dalla citt di Rimini, di cui il maestro fece in tempo a eseguire solo il modello a grandezza naturale prima di morire nel 1612. O, ancor pi esplicitamente, in quanto fu sempre lui a ricevere lincarico di sostituire la testa della statua inginocchiata del papa impiantata da Silla Longhi di Viggi al centro del suo monumento funebre nella Cappella Paolina a Santa Maria Maggiore, un ritratto mai applicato sullinerte simulacro ancora integro in loco e forse da identificare con la perduta testa in marmo di papa Paolo menzionata nellinventario postumo dei beni dellartista. Capolavoro della maturit dello scultore, il busto ritrae vividamente il pontefice a capo scoperto, abbigliato con un prezioso camice dai bordi ricamati da cui emerge un morbido amitto, mentre un piviale analiticamente riprodotto con le sue figurazioni dei principi degli Apostoli, chiuso sul petto da un fermaglio con gemma centrale, ammanta ampiamente le spalle. Particolarmente significativa appare ladozione della linea arcuata per sagomare la base del busto, in sostituzione del netto taglio traversale al di sotto delle spalle che comunemente

fendeva i busti ritratto fin dai tempi dalla loro rinascita quattrocentesca. La ricerca di dinamismo e naturalezza manifestata con questa soluzione anticipata dal Cordier nei busti dei Santi Pietro e Paolo eseguiti su incarico del cardinale Scipione Borghese per San Sebastiano fuori le Mura (1608) confermata dal lieve moto magistralmente conferito alla testa delleffigiato e dalla vivezza della sua espressione. Lo scarto qualitativo riscontrabile tra questa effigie e altri esempi di ritrattistica pontificia coeva non dovettero sfuggire al giovane Bernini quando fu il suo turno di restituire nel marmo il volto di Paolo V; questo raffinato e a lungo negletto busto di Cordier apparso infatti come la pi diretta fonte di ispirazione del celebre busto da scrittoio conservato nella Galleria Borghese (inv. CCXLVIII), nel quale Gian Lorenzo Bernini, seppure in dimensioni ancora pi ridotte, recupera e approfondisce le potenzialit dinamiche e naturalistiche del ritratto oggi a Bergamo (Coliva 1998). Lopera proviene da Spoleto, dove fino al 1980 circa si trovava a palazzo Pucci della Genga. Carlo La Bella

III.82 Scultore romano della seconda met del XVII secolo Busto di magistrato? marmo, altezza 67 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 173 Luomo ritratto rivolge la testa da un lato. La sua fronte attraversata da rughe piuttosto profonde, con le sopracciglia aggrottate. I riccioli morbidi scendono sulla nuca e un paio di baffetti orna la bocca sottile, mentre la pelle delle gote e del mento tradisce unet avanzata. Una mano posata sul cuore in segno di devozione, laltra stringe i grani di un rosario non pi integro. Leffigiato, con un abito piuttosto sobrio, si appoggia su un cuscino realizzato in modo molto realistico, dal bordo ricamato e dagli angoli gi ornati da nappine. Di qui lidea corrente che possa trattarsi di un magistrato. Il busto in marmo bianco di pregevole fattura. certamente un ritratto funerario e probabilmente faceva parte di un monumento pi complesso, aderendo alla tipologia delle tombe con leffige del defunto in preghiera rivolto verso laltare, che divenne la pi comune nellet barocca. Solitamente il defunto rappresentato come se fosse inginocchiato, con i gomiti poggiati su un cuscino, le mani giunte in atto di preghiera, come il busto del cardinale Bellarmino nella Chiesa del Ges di Bernini (1622); oppure tiene la mano destra al petto e con laltra stringe un libro, come nel sepolcro di Girolamo Raimondi del Bolgi in San Pietro in Montorio (1647); in altri casi, come nella nostra opera e in quella di Bernini per Gabriele Fonseca in San Lorenzo in Lucina (1668), leffigiato ha in mano un rosario. Il movimento del busto segue quello della testa, perch le sculture erano concepite per essere collocate in nicchie da cui il defunto si sporgeva verso laltare e verso lo spettatore. Da un punto di vista stilistico, il busto presenta le caratteristiche tipiche del classicismo seicentesco di stampo algardiano: la naturalezza

espressiva delluomo, la meticolosa attenzione ai dettagli, le forme salde, la bocca chiusa, gli occhi che fissano lo spazio, tutto concorre alla rappresentazione sostanzialmente statica di una condizione esistenziale permanente. Susanna Mastrofini

III.83 Scultore romano del XVII secolo Busto di prelato o di procuratore marmo, altezza 60 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 261 Questa scultura entrata nella collezione Santarelli con acquisto da una raccolta privata fiorentina, insieme alla colonna che funge da suo piedistallo. Su basi stilistiche il busto databile al XVII secolo. Il personaggio ritratto identificabile con un prelato, come indica lo zucchetto posto sul capo, visibile solo dal lato posteriore, sbozzato e non rifinito, che segue un profilo circolare: la scultura era forse concepita per un oculo e destinata a un monumento funerario, genere diffuso nella ritrattistica romana seicentesca. Luomo ritratto frontalmente, in una posa convenzionale e celebrativa. Le pieghe angolose del manto, su cui sono incisi motivi floreali, conferiscono plasticit e un taglio dinamico al torso, dallaspetto massiccio. Una massa consistente di ciocche ondulate, eseguite con abilit virtuosistica anche col trapano, circondano il volto spazioso e dalla fronte larga. Sono rialzati i bordi degli occhi e leggermente sbozzate le linee delle sopracciglia e dei baffi, che danno un piglio dausterit e un tratto francesizzante alla figura. Secondo A.G. De Marchi potrebbe anche non trattarsi di un prelato ma di uneminente personalit della Repubblica di Venezia, visti alcuni caratteri dellabito. Lo scultore manifesta i segni della cultura romana del XVII secolo, rievocante la scultura antica, arricchita da tratti barocchi, evidenti soprattutto nella fisionomia e nellacconciatura pittoresca. Sono riscontrabili affinit con sculture che decorano alcuni monumenti funebri romani, come il busto del marchese Giovanni Paolo Ginetti, nella cappella di famiglia

di SantAndrea della Valle, opera di A. Rondone (messo in opera nel 1703), e i busti ai lati del sepolcro Millini, nella cappella omonima di Santa Maria del Popolo, scolpiti da P.E. Monnot, forse con lintervento della bottega (1703). Barbara Savina

III.84 Alessandro Rondone (documentato dal 1663 al 1710) Busto del cardinale Marzio Ginetti, 1673 circa porfido e marmo statuario, altezza 89 cm Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. 75 Il 4 agosto 1673 lo scultore Alessandro Rondone riceveva un acconto per la fornitura di un busto in porfido per il ritratto della fel. mem. del Cardinale Ginetti, opera che compare menzionata in un anonimo elenco di lavori gi eseguiti per la famiglia Ginetti databile agli inizi del 1675. Lidentificazione del pezzo col busto oggi alla collezione Santarelli si deve a Gonzlez-Palacios (2004), che per primo pubblica la scultura, rendendo note, contestualmente, le suddette carte. La fisionomia delleffigiato si lascia in effetti palesemente confrontare con quella del potente cardinale Marzio Ginetti (1585-1671), tramandata da diversi ritratti, quali un dipinto attribuito al Baciccio (gi New York, Galleria Piero Corsini), da cui deriva unincisione di Arnold van Westerhout edita nel 1687, la statua a figura intera inginocchiata per il monumento funebre eretto nella cappella gentilizia in SantAndrea della Valle, scolpita da Antonio Raggi, e un busto ritratto in marmo bianco nella sacrestia della chiesa dei Santi Leonardo ed Erasmo nel feudo familiare di Roccagorga, anchesso dovuto ad Alessandro Rondone. Lo scultore dovette venire particolarmente apprezzato dai Ginetti al servizio dei quali fu lungamente attivo, realizzando figure scolpite e restaurando sculture antiche anche in virt delle sue qualit ritrattistiche, se tra i lavori per la cappella in SantAndrea della Valle gli venne riservata la statua del cardinale Giovanni Francesco, nipote di Marzio, posta in loco nel 1703, e i busti dei suoi fratelli, il marchese Marzio e monsignor Giovanni Paolo Ginetti. Il citato busto di Roccagorga fa inoltre parte di una serie

Bibliografia: Wittkover 1993, pp. 267-269; Bacchi 1996, figg. 70, 412; Ferrari, Papaldo 1999, pp. XLIX, LVI, 112, 113, 186, 316, 374, 375, 412.

Bibliografia: Bacchi 1996; FerrariPapaldo 1999, pp. 37, 313-314.

di sei analoghe effigi marmoree in cui lartista eternava le fattezze dei pi eminenti membri della famiglia (1703). Il ritratto postumo del cardinal Marzio nella collezione Santarelli costituisce lunica testimonianza finora nota delladesione da parte del Rondone alla moda della scultura in porfido; secondo un uso antico, il marmo purpureo vi viene utilizzato per la sola resa del busto, abbigliato con una morbida mozzetta, mentre per il colletto del camice e la testa lartista ricorso al pi duttile marmo bianco. Carlo La Bella

III.85 Lorenzo Ottoni (Roma, 1648-1736) Busto di Clemente XI Albani marmo di Carrara, altezza 102,5 cm Roma, Collezione Federico Zeri Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli Questo monumentale busto ritratto, gi di propriet della famiglia Castelbarco Albani, deve a Zeri lattribuzione a Lorenzo Ottoni, scultore molto apprezzato da Clemente XI, che lo coinvolse nei suoi principali patronati artistici sia a Roma che nella natia Urbino. Compiuta la propria formazione presso Antonio Giorgetti e, in seguito, nello studio di Ercole Ferrata, Ottoni rivel presto le sue notevoli qualit di ritrattista, profondamente influenzate dai modelli berniniani, e pi volte si trov impegnato a scolpire busti marmorei su richiesta di alti esponenti della curia e dellaristocrazia. Lintervento del maestro anche nel campo della ritrattistica clementina attestato da Leone Pascoli, suo amico personale nonch unico biografo, il quale ricorda un busto non identificato di Clemente XI che Ottoni avrebbe scolpito su commissione del cardinale Pietro Ottoboni (Pascoli 1730-1736, p. 214), opera che si trova menzionata anche in un inventario dei beni del potente prelato veneziano (Napoleone 2010). I busti ritratto di papa Clemente XI, scolpiti in buon numero per essere esposti in diverse sedi pubbliche e private dello Stato Pontificio e ai cui esemplari conservati occorre affiancare diversi pezzi attestati da fonti e documenti ma finora non rintracciati attendono ancora, in molti casi, unanalisi attributiva circostanziata, da approntare in riferimento ai diversi scultori impegnati a vario titolo nellampio programma di committenze darte sostenuto dal papa. Clemente XI cur con attenzione la costruzione dellimmagine ufficiale della sua persona; affidando a Francesco Moratti la realizzazione del-

Bibliografia: Gonzlez-Palacios 2004.

Bibliografia: Il conoscitore darte 1989, pp. 28-29; Coliva 1998, pp.107-108; La Donazione Federico Zeri 2000, pp. 34-35; Bacchi 2009, p. 34.

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