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GLI INTARSI MARMOREI DELLA BASILICA DI GIUNIO BASSO

Protagonisti del nostro studio sono i pannelli in opus sectile provenienti dalla basilica di Giunio Basso
sull’Esquilino datati attorno al IV-V sec. d.C. . Tale edificio era ricco di preziosissime decorazioni pavimentali
e parietali, vi erano ornati profani con scene di mitologia greca, simboli e riti di culto egizio, iconografie e
rappresentazioni di soggetti storici romani di età imperiale. Ciò che rimane di tale ricchezza sono quattro
pannelli realizzati con la tecnica dell’opus sectile che consiste nell’incastro di intarsi composti da tessere
irregolari di marmi policromi (in questo caso porfido di due tipi,alabastro, madreperla e pasta vitrea) di
grande vivacità che vengono accostati secondo le tonalità dei marmi creando anche l’effetto del
chiaroscuro.

Due dei quattro pannelli decorativi si trovano all’interno di un disimpiego dei Musei Capitolini (Palazzo dei
Conservatori), ciascuno dei quali raffigurano una tigre che attacca un bovino (l’uno una giovenca e l’altro un
piccolo toro) . A nostro avviso l’attuale collocazione è sfavorevole in quanto si presentano in un luogo di
passaggio del museo ovvero alla sommità di una scalinata e per questo motivo essi vengono ignorati da un
gran numero di visitatori nonostante la loro importanza e preziosità. Gli altri due pannelli provenienti dalla
medesima basilica sono conservati al museo nazionale romano, si tratta di un’altra coppia di incrostazioni
marmoree questa volta con soggetti differenti: il mito di Hylas rapito dalle Ninfe mentre attinge acqua alla
fonte per rinfrescare gli Argonauti (Apollonia Rodio, Argonautica, I, 1207-1270) e una rappresentazione di
una cerimonia circensis dove al centro troviamo il patrono dei giochi (forse lo stesso Giunio Basso) e alle
sue spalle, vestiti con tuniche di colore diverso vi sono quattro aurighi rappresentanti delle quattro fazioni:
la rossa (russata), l’azzurra (veneta), la verde (prasina) e la bianca (albata).

Il pannello di Hylas rapito dalle ninfe è il più prezioso sia per i materiali utilizzati, sia per l’accuratezza e la
quantità di dettagli che presenta. Inoltre nella parte inferiore troviamo l’illusione della presenza di un velo
simile ai “vela alexandrina” molto diffusi nella Roma dell’epoca. Essi erano importati dall’Egitto ed è
evidente dal motivo decorativo del velo preso in considerazione in quanto presenta una serie paratattica di
figure appartenenti al mondo mitologico dell’antico Egitto. Il velo si interpone fisicamente tra colui che
osserva e la scena mitologica di Hylas forse per metterla ancora più in risalto attraverso questo connubio
tra il patrimonio ellenistico e quello egizio. Anche la scena rappresentante il patrono dei giochi doveva
presentare un velo sottostante che purtroppo è andato perduto negli anni.

Da questi frammenti si può dedurre che i temi che Giunio Basso fece rappresentare nella basilica, oltre a
dimostrare la sua ricchezza e il suo potere, evidenziano, con la simbologia della lotta tra ragione e passioni,
il suo neoplatonismo.

”Tali monumenti sono tipiche manifestazioni di alto livello dell’arte del quarto secolo in cui confluiscono e
convivono correnti orientali e occidentali, in cui sopravvivono la tradizione classica accanto a iconografie
nuove, il patrimonio ellenistico e il gusto tardo-antico, essi sono una significativa espressione di quel
fermentante e complesso mondo spirituale che vede le ultime colte e illuminate affermazioni del
paganesimo accanto al trionfante verbo cristiano.” Così disse Becatti a proposito delle intarsie nei suoi studi
sui pannelli simili ritrovati a Porta Marina attorno al 1968. E queste sono le ragioni per cui frammenti di
storia così importanti dovrebbero essere esibite al più ampio pubblico possibile.
È importante ricordare anche il percorso che ha condotto questi ultimi due pannelli dal loro luogo d’origine
al Palazzo Massimo.I pannelli prima di essere aquistati dallo stato erano proprietà della famiglia Del Drago.
Verso la metà degli anni sessanta, il pannello di Ila rapito dalle ninfe insieme ad altre decorazioni della
basilica di Giunio Basso e altri importanti bassorilievi tutti di proprietà Del Drago, venne coinvolto in un
tentativo illegale di esportazione. Dopo poco scoppiò uno scandalo in quanto gli intarsi invece che trovarsi a
Roma nel Palazzo Albani erano in Svizzera.

Fu incaricato del recupero l’ambasciatore a Berna che ottenne una risposta negativa dal ministero degli
esteri svizzero, in seguito ad un altro tentativo fallimentare da parte della magistratura italiana, il caso fu
affidato all’ufficio della delegazione per le restituzioni con a capo Rodolfo Siviero. La delegazione, grazie
all’astuzia di Siviero che intuì che i pannelli non fossero ancora arrivate in svizzera ma si trovassero in un
edificio del porto franco, riuscì a riportare in italia i preziosi pannelli. A causa del viaggio gli intarsi
tornarono completmente scollati e subirono importanti mutilazioni e a questo punto, la sopracitata
delegazione finanziò il restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

Il restauro dei due opus sectile consistette nella ricostruzione e riafforzamento del supporto di lavagna
originale, al reincollaggio delle lastre marmoree attraverso la fusione e all’utilizzo dello stucco originario e
ricreato.

Nel 1965 i pannelli passarono in proprietà dello stato.

In seguito al restauro attorno al 1960, i due pannelli non ripresero l’aspetto originale ma quello che
avevano in seguito al restauro che subirono nel XVIII secolo. Tali restauri furono lievi nel pannello di Ila ma
molto pesanti nell’altro: tale restaurò conferì alle tarsie un valore bel lontano da quello che avrebbero
avuto se si fossero conservate intatte. La squadratura odierna del ratto di Ila, risultante dal troncamento
dei lati e della parte inferiore, non lascia percepire nella sua interezza il pannello pendulo che integrava il
valore decorativo del pannello stesso. Più grave è il caso dell’altro pannello (il console sulla biga), avulso dal
suo apparato decorativo che consisteva in un panneggio egittizzante come quello di Ila, esso manca di
buona parte della zona inferiore e precisamente di 4 figure cioè 2 coppie di combattenti. Il pannello non fu
solamente mutilato ma anche alterato in almeno una figura dal resturo del XVIII secolo. Al posto dei
lottatori, ora sono visibili, anche per la gigante appezzatura, grosse scaglie di gabbro che senza riuscirvi
vorrebbero armonizzare col verde del serpentino che funge da sfondo. Questo materiale non adatto alla
levigatezza appare in stridente contrasto con la lucentezza del marmo. Il gabbro venne utilizzato in tutte le
lacune e li dove non fu possibile fu adottata una banale qualità di mastice. Almeno il 20 % del pannello non
è originale.

Sull’Esquilino nei pressi di santa Maria Maggiore, dove ora si trova via Napoleone III, si trovava fino ad età
rinascimentale, la chiesa di sant’Andrea in Catabarbara. La chiesa era in realtà la trasformazione di
un’antica aula basilicale a uso civile del IV secolo. La chiesa fu poi demolita nel finire del XVII secolo.

Parliamo qui di un edificio non più esistente fondato nel IV secolo e distrutto sul finire del XVII. Che ebbe
quindi una vita assai lunga, rispetto ad altri edifici pagani. Sopravvissuto e documentato grazie alla sua
importanza storico-artistica. La basilica fu ammirata e studiata da molti archeologi, architetti e artisti nei
secoli. Grazie ai documenti collezionati che vanno dal finire del V secolo al finire del XIX, si può oggi
ricostruire gran parte della basilica e ricostruire la sua storia dalla sua fondazione alla sua distruzione.

Secondo l’iscrizione conservata nelle sillogi di Pietro Sabino la basilica sarebbe stata edificata a spese del
console Giunio Basso nel IV secolo, 317 per l’esattezza. Come si può vedere nella scritta absidale riportata
dal Sabino e ritrovata dall’archeologo de Rossi, (IVUNIOVS BASSVS V C CONSVL ORDINARIVS PROPRIA
IMPENSA A SOLO FECIT ET DEDICAVIT FELICITER). Il secondo pezzo di informazione ci viene dato dal libro
pontifico, anno 468-85, dove viene documentato che Papa Simplicio ereditando la chiesa dal generale
barbaro Valila la battezzò cristiana e la dedicò all’apostolo Andrea. Possiamo quindi constatare che la
basilica conservò il suo primitivo utilizzo a basilica civile fino all’anno 470 quando venne poi consacrata al
culto cristiano da Papa Simplicio. La basilica fu quindi donata dal generale barbaro dell’esercito romano
Valila, da qui ne venne il nome, catabarbara patricia. La basilica consolare veniva probabilmente utilizzata
nei suoi primi anni di vita come luogo pubblico, utilizzata per l’accoglienza e luogo di riunioni e simposi
filosofici.

Papa Simplicio entrato in possesso dell’edificio pagano, lasciò intatte le decorazioni parietali e
l’iscrizione dell’abside riconoscendo l’enorme bellezza della basilica, aggiungendo solamente un lavoro a
mosaico, raffigurante il Cristo con sei apostoli. Lavoro che giunge a noi grazie al disegno di G.G. Ciampini sul
finire del XVII secolo. Va sottolineato che la basilica fu lasciata quasi completamente intatta fino alla sua
distruzione e che quindi i disegni collezionati che ritraggono la basilica Esquilina anche se eseguiti più di
mille anni dopo la sua costruzione, documentano la basilica quasi interamente nella sua forma antica .

L’edificio come documentato nei libri vaticani fu ristrutturato da Papa Leone III che né riconsolidò il tetto
murando le sei finestre e affrescando le murature con le vite dei sei apostoli già presenti nel mosaico
dell’abside, affreschi che giungono a nostra conoscenza grazie agli scritti dell’Ugonio e il Severiano 1558 e
riportati in parte da G.G. Ciampini.

Altro documento importantissimo per la ricostruzione della basilica è il disegno del Sangallo eseguito nella
seconda meta del XV secolo conservato nella biblioteca Barberini, oggi nella biblioteca di Windsor Castle in
Inghilterra. Il Sangallo ne ritrasse metà di una navata. Di questi disegni né die nota il Pavino descrivendo
essi e la basilica sull’Esquilino, sappiamo quindi che i disegni del Sangallo ritraggono la basilica Esquilina,
disegni che combaciano con altri disegni che ritraggono la chiesa di sant’Andrea in catabarbara, quelli del
Ciampini nella collezione Vetera Monimenta. Il Ciampini nella grande opera sulle chiese romane,
documenta la Basilica di Giunio Basso e ce né da la maggior parte delle informazioni sull’edificio che
abbiamo oggi, disegnando la sua pianta, la sua struttura esterna e buona parte delle decorazioni interne;
due terzi di una parete, e molti particolari decorativi come il mosaico e l’affresco sopra citati.

La basilica civile, citata innumerevoli volte da architetti artisti e archeologi viene descritta come una
bellissima sala dove pavimento e pareti erano tutti decorati con intarsiature marmoree.

Oggi grazie ai disegni e agli scritti sappiamo che la basilica era lunga 22m e larga 12 con un altezza poco
superiore ai 14m. tutte le pareti erano rivestite da pregiati lavori in opus sectile con diverse narrazioni.

Analizzando i disegni del Sangallo si può ricostruire la basilica completa. Nelle due pareti laterali dovevano
esserci otto ritratti di imperatori. Otto arazzi figurati e otto scene quadrilunghe di soggetto storico. Dodici
quadretti con combattimenti di animali e altre simili rappresentanze. In fine otto maschere, più un incerto
numero di opere iconografiche.

Molti quadri alludono agli spettacoli anfiteatrali, come nel riquadro, dove appare un gladiator alle prese con
un cavaliere, seguito da un carro guidato de leoni, e quella collocata nell’interno fra le due luci, con un
cocchiere vincitore con una palma in mano. Il quadro più interessante da analizzare è senza dubbio quello
in basso a sinistra dove un imperatore in piedi su di un seggesto riceve le acclamazioni dei soldati che
alzano in alto le lance. Tale scena fu interpretata dagli archeologi come la vittoria di Costantino sopra
Massenzio. Infatti la vittoria di ponte Milvio accadde nell’ottobre dell’anno 312 d.C., l’arco trionfale di
Costantino fu eretto nel 315 d.C. e la basilica Esquilina nell’anno 317 d.C. ed è naturalissimo che il console
Giunio Basso dedicando in quest’anno un edificio eretto a sue spese ad uso pubblico, vi ricordasse il grande
avvenimento accaduto solo pochi anni prima.

Si crede quindi che grazie a tutte le informazioni ricavate si possa ricostruire la basilica tutta, ricollocando al
suo interno, tramite video mapping, gli opus sectile superstiti.
Il primo passo per la valorizzazione dei due opus sectile della basilica di Giunio Basso è quello di ricollocare
le opere, in questo momento esposte in un disimpegno al secondo piano, nascoste all’occhio disattento. Le
opere sono messe a un’altezza non comune per l’esposizione, e dopo l’ingresso alle sale dei dipinti
manieristici e barocchi, quindi non vista dal maggior numero di visitatori dei Musei Capitoli, malgrado sia
una delle opere più importanti del museo stesso. L’idea è quindi quella di ricollocare l’opera nelle sale del
palazzo dei conservatori, dove sono le sale degli Horti Lamiani ed opere di epoca più vicine all’opus sectile
stesso (IV secolo) quindi riproporlo in un contesto a lui più adatto. La sala identificata per ricollocare l’opera
è la prima sala degli Horti Lamiani, che già presenta una finissima pavimentazione in alabastro della domus,
anch’esso opus sectile, ritrovato da Lanciani nell’875, rinvenuta anch’essa all’Esquilino e di età III/IV secolo
d.C. come l’opus sectile capitolino; quindi rinvenuti nella stessa zona, negli stessi anni, di epoche vicine e
composti dagli stessi materiali. Nella sala vi sono altre opere non in comunanza tra loro e che quindi
andrebbero ricollocate a loro volta per essere meglio valorizzate. In oltre si propone di esporre in questa
sala anche gli altri due lavori di opus sectile sopravvissuti della basilica Giunio Basso ora esposti a palazzo
massimo, per ricreare una sala che dia maggiormente un’idea dell’antica basilica che mostri tutti i suoi
lavori, ricreare una sala come è già stato fatto per i lavori di mosaico di epoca romana a palazzo Massimo.
Dando più spettacolarità.

Avremmo quindi una sala con quattro lavori in opus sectile dalla basilica Giunio Basso ed una
pavimentazione in alabastro anch’essa in opus sectile della villa Horti Lamiani, creando una vera e propria
sala a tema che già così di perse valorizza di molto il lavori ora esposti in angoli di musei separatamente.

Si pensa che un allestimento tipo Carlo Scarpa a sfondo grigio, come nelle altre sale del museo dedicate alle
opere di epoca romana, sia più idonea per un opus sectile del IV secolo invece che una cornice salvador
rosa seicentesca in muratura.

La sala verrà cosi decorata; in una parete laterale verrà esposta la pavimentazione in alabastro. Nell’altra
navata laterale verranno esposti i lavori in opus sectile capitolini, mentre nella navata centrale andranno i
due opus sectile ora al Palazzo Massimo, verrà posizionato al centro della navata centrale, tra i due pannelli
in opus sectile, uno schermo, che proietterà la ricostruzione della basilica di Giunio Basso in base ai
documenti degli scavi archeologici e i disegni del Sangallo e G.G. Ciampini. Verranno inoltre collocati dei
“totem” interattivi ai piedi delle opere d’arte che permetteranno al pubblico di avere più informazioni dui
pannelli e anche di conoscere tutte le tipologie di marmi impiegati di cui sarà indicato il tipo, la provenienza
e l’impiego generale.

Si intende quindi intervenire con la ricollocazione e la spiegazione funzionale alla fruizione dell’opera in
maniera permanente ma si considera che per rendere tali opere oggetto d’interesse, siano necessari
interventi temporanei come convegni, campagne pubblicitarie ed eventi interattivi per mezzo delle nuove
tecnologie.

Si ipotizza l’utilizzo del “light mapping” all’interno di una sala che sia consona alla proiezione in cui grazie ai
dati da noi ricavati, si mostri visivamente come appariva la basilica nel corso degli anni, a partire dalla sua
edificazione passando per la cristianizzazione per poi finire con la demolizione dell’edificio. Inoltre si
prevede una voce registrata che traduce oralmente le immagini proiettate.

Così facendo, intendiamo far rivivere lo splendore della basilica di Giunio Basso e valorizzare i preziosi
intarsi marmorei riportandoli ad un ricreato contesto originale, dando importanza anche al prezioso lavoro
di storici, archeologi e artisti che hanno riportato e documentato l’edificio di cui non si hanno altre tracce.

Elena Stefania Baciu e Valerio D’Angelo


Bibliografia:

F.M. Apopolloni Ghetti, Strenna dei Romanisti Natale di Roma MDCCXLIII, Roma, Gruppo dei Romanisti,
1990;

G.G. Ciampini, Vetera Monimenta, Roma, Cicognara, 1690;

G.B. de Rossi, La basilica profana di Giunio Basso sull’Esquilino: dedicata poi a S. Andrea ed appellata
catabarbara patricia, Bullettino di Archeologia Cristiana, pag. 5-29, 1871;

G.B. de Rossi, Della Basilica di Giunio Basso console: sull’Esquilino, Bullettino di Archeologia Cristiana, pag.
41-64, 1871;

S. Ensoli, E. La Rocca, Aurea Roma: dalla città pagana alla città cristiana, Roma, L’Erma di Bretschneider,
2000 ;

O. Marcucci, I lavori ad intarsio della Basilica di Giunio basso, Bullettino della Commissione Archeologica
Comunale di Roma, pag. 89-104, 1893;

M. Martinelli. Cronaca di un Restauro dimenticato: i pannelli di opus sectile della Basilica di Giunio Basso
all’Opificio delle Pietre Dure, OPD Restauro, pag. 308-326, n20, 2008 .

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