Planimetria
E’ divisa all’interno da quattro colonne in nove spazi uguali di m. 1,90 di lato: il quadrato centrale e
quelli angolari sono coperti con cupole su tamburi cilindrici di diametro uguale. Solo la cupola
mediana, che è leggermente più alta, ha un diametro maggiore di appena 15 cm., inavvertibile in
una visione d’insieme dell’edificio, a meno che non si osservino con attenzione le forme di apertura
e lo sviluppo decorativo dell’elemento centrale e il posizionamento delle testate delle volte a botte.
Le strutture murarie della chiesetta si adagiano per buona parte sulla nuda roccia, mentre il peso
dell’altra metà di levante (che ha una terminazione triabsidata) è sopportato da tre contrafforti
costruiti in pietra e materiale laterizio. L’edificio ha la forma di un cubo e risulta realizzato con un
particolare intreccio lavorativo di grossi mattoni irregolari, uniti da abbondanti letti di malta. L’uso
del materiale laterizio – molto costoso rispetto al materiale calcareo, ma di facile messa in opera – e
la tecnica usata dai costruttori non trovarono consenziente Paolo Orsi, che avrebbe preferito fare
ricorso alle “cortine di laterizi della buona età imperiale”, sottovalutando quindi l’intento dei
costruttori, rivolto, dicono Bozzoni e Taverniti (cfr. La Cattolica di Stilo, op. cit.) “ a disciogliere la
plasticità della parete nell’accentuazione della grana e del colore del materiale”.
Materiali impiegati
A proposito del materiale utilizzato nella costruzione della chiesetta e, in particolare di quello
laterizio, Francesco A. Cuteri nella ricerca indicata in precedenza e pubblicata su Vivarium
Scyllacense, VIII/2, 1997 ( e per la prima volta, in una monografia riguardante la Cattolica, cioè in
questa sede) evidenzia la presenza, nel lato esterno della parete occidentale, di un mattone con bollo
recante la sigla RCM (un altro bollo, non leggibile, è presente nella parte alta della muratura
meridionale dell’edificio). “Questo, riferibile a botteghe operanti nel III secolo d. C. nell’area di
pertinenza della città romana di Scolacium (odierna Squillace) – scrive Cuteri – avvalora l’ipotesi
che la stragrande maggioranza dei laterizi impiegati proviene da una struttura di età tardo – antica
non lontana: forse una villa” (cfr. per quel che riguarda l’uso del bollo, A. Ruga, Monumenti
funerari di Scolacium. Tipi, modelli, tecnologia e committenza. Uno studio preliminare, in “Notizie
dal Chiostro del Monastero Maggiore”, 57, 1996. L’autore precisa che la sigla RCM era attestata
unicamente sui laterizi di forma rettangolare di probabile derivazione dal modello lydio databili al
III sec. d. C.).
La Cattolica, all’esterno, è quasi priva di articolazioni e decorazioni, che si riscontrano invece nelle
cupolette. Queste, infatti, al fine di dare vita e movimento al corpo di fabbrica, sono rivestite di
mattonelle quadre di cotto (a losanga) e di due cornici con mattoni disposti a denti di sega, che
seguono l’andamento delle ghiere delle finestre e dei coronamenti dei tamburi. Le due cupolette lato
monte sono rese dinamiche dall’apertura di due finestre, mentre su quelle rivolte ad oriente fa bella
mostra di sé una coppia di monofore: solo la cupola centrale – forse per rimarcare la centralità della
pianta – è intervallata, sul tamburo, da quattro bifore, che non si discostano dalla disposizione dei
bracci della croce. La costruzione sembra, all’apparenza, seria, posata, quasi fredda, ed è
all’esterno, come si accennava, quasi priva di articolazioni e decorazioni. Questa divisione di
funzioni (vistoso cromatismo nella parte superiore ed evidente linearità della facciata vera e propria,
che appare “nuda”) induce ad affermare che, effettivamente, non vi è nulla di superfluo nella
chiesetta, nella cui globalità sono stati concepiti tutti quegli elementi architettonici destinati ad
apportare movimento nel corpo di fabbrica.
All’interno della piccola chiesa bizantina la particolare collocazione delle fonti di luce (che sono,
per la maggior parte, installate in direzione della linea di gronda esterna) mette in risalto la
direzione dello spazio, dando maggiore slancio alla proiezione illimitata delle calotte, mediante un
sottile richiamo al meccanismo simbolico della gerarchia e della scala umana. La dilatazione dello
spazio era assegnata in origine, quando l’edificio era interamente affrescato, alla decorazione
pittorica, a cui “era affidato il compito di smaterializzare la superficie muraria” (cfr. Luoghi e
monumenti della Calabria testi di Francesca Martorano, Giuseppe Pontari editore, Reggio Calabria,
1993, p. 98; R, Farioli Campanati, La cultura artistica nell’Italia meridionale, in I Bizantini in
Italia, a cura di G. Pugliese – Carratelli, Milano, 1982). Il ristretto ambiente del tempietto è munito
di tre absidette poste ad oriente: quella centrale (corrispondente al bema) era destinata a ricevere
l’altarino, l’abside a nord (prothesis) era titolata ad accogliere il rito preparatorio del pane e del
vino, mentre quella a sud (diakonikon) era programmata per la custodia degli arredi sacri e la
vestizione dei sacerdoti e dei diaconi prima dei riti liturgici.
I restauri
La Cattolica ha subito nel corso della sua storia vari restauri e trasformazioni, pur rimanendo
inalterato il suo ruolo di custode “della rupestre cittadina, su cui sembra sovrastare umile e benefica,
tutelare e benedicente”. I primi rifacimenti e restauri risalgono probabilmente alla fine del XVII
secolo, allorquando sul vano di accesso della costruzione venne creata un’apertura trilobata con un
arco tondo. A quell’epoca (o agli inizi del XVIII sec.) risale pure la sistemazione dei coppi sulla
copertura.
Non è dato sapere (almeno con certezza) se la chiesetta abbia subito successivamente altri lavori di
restauro o se le descrizioni dello Schulz – che, in un disegno, evidenzia una transenna bizantina e, in
uno scritto, insiste sull’esistenza nella Cattolica di quattro colonne tutte di marmo – corrispondano
al vero. Altro mistero è l’allungamento fino alla base (piano terra) delle due absidette laterali: in
quale periodo sono state modificate la prothesis e il diakonikon, che in precedenza, erano state
rialzate? Sarà comunque l’archeologo Paolo Orsi a far ritornare al suo antico splendore il tempietto
bizantino, anche se precedentemente al suo intervento il Governo italiano, sulla scia della notorietà
acquisita all’improvviso dalla Cattolica (resa celebre da articoli, monografie, enciclopedie e volumi
sulla storia dell’arte), era stato costretto a “concedere generosamente un sussidio di lire trecento per
i primi e più immediati restauri” (G. Incorpora, Effemeridi sulla Cattolica, op. cit., p. 16).
E’ stato lo Schulz, nel 1860, a dare l’abbrivo agli studi sulla Cattolica, che ben presto entrò tra gli
interessi scientifici di un professore dell’Università di Lione: E’mile Bertaux, il primo ad orientarsi
tra le costruzioni chiesastiche della penisola greca al fine di ricercare i modelli più vicini al
tempietto bizantino, che definì “la più sorprendente delle cappelle greche esiliate in Italia”. Fu
Paolo Orsi, in seguito, ad assumersi il compito di attuare una ricerca seria ed organica sull’edificio,
ponendo subito a se stesso un interrogativo: l’opera è da ritenere genuinamente bizantina, in quanto
sorta in età bizantina, oppure bizantina soltanto nello spirito che tutta la pervade, ma eretta dopo la
conquista normanna (che, a Stilo, coincide con l’anno 1071)? “Tale inchiesta – rileva lo studioso –
si presenta in condizioni essenzialmente diverse da quella riguardante alcune chiese bizantine o
bizantineggianti della Sicilia, per cui è facile cadere in equivoci o meglio in errori. In Sicilia, infatti,
tra il dominio bizantino e quello normanno intercorre la voragine di due secoli circa; in Calabria,
invece, il passaggio è avvenuto nel giro di pochissimi anni, per non dire di mesi”.
A distanza di oltre mille anni, nulla si conosce relativamente all’origine della Cattolica e alle
funzioni da essa svolte, anche perché “il genuino significato originario andò smarrito”. E’mile
Bertaux identificò la Cattolica nella cattedrale (Katholikè) di Stilo, contrariamente a quanto ritiene
l’Orsi secondo il quale il nome di Cattolica, a Stilo, indicò una chiesetta eremitica, officiata da
qualche solitario basiliano, che qui viveva in preghiera e qui moriva in solitudine e povertà e qui si
faceva seppellire”, anche se, a parere dell’archeologo, nei grandi centri, specialmente in Grecia,
poteva riferirsi ad una Cattedrale e nelle località minori alla chiesa parrocchiale, che si differenziava
così dai piccoli oratori e dalle chiese monastiche.
Decorazioni e affreschi
La presenza di affreschi nella Cattolica è una piena conferma di come la costruzione chiesastica sia
stata parte integrante del cosiddetto Commonwealth bizantino e di quel grande fermento artistico e
culturale, che, iniziato sotto il periodo della seconda colonizzazione greca, oltrepassò l’epoca
angioina, per raggiungere, con influssi e adattamenti locali, gli inizi del XV secolo. Prestigiose
testimonianze della storia della pittura arcaica calabrese, vera irruzione del mondo celeste in quello
terrestre che viene così “trasfigurato e inserito nella realtà invisibile ed eterna”, essi costituiscono,
per Giorgio Leone, elementi indispensabili “per la conoscenza di forme e modelli dell’iconografia
greca nella Calabria medievale”. Precisa derivazione dai tipi fissi, cristallizzati, che, mediante i
cartoni di modello, si propagavano dall’Oriente all’Occidente (cfr. P. Orsi, op. cit.), gli intonaci
figurati dell’edificio sono un vero e proprio rompicapo per gli studiosi, che non dispongono di
idonea documentazione storica e il cui unico sostegno è rappresentato dai raffronti stilistici-
specialmente con quella ricca miniera di iconografie bizantine, che è S. Maria Antiqua in Roma e
con i programmi di costruzioni siciliane o di ambito pugliese- e dal vaglio della stratigrafia.
Il lato meridionale costituisce la facciata della chiesa in quanto presenta l'unica porta di accesso esistente
Il portale è costituito da una semplice apertura rettangolare con architrave e archivolto a conci radiali
sormontato da una ghiera a dente di sega.La facciata ha una decorazione semplice se confrontata con
quella delle torricine.
Il tamburo centrale è decorato di tre fasce di elementi laterizi disposte obliquamente a formare delle
losanghe intervallate da una fascia a dente di sega che circonda gli archivolti della bifora e da due filari di
mattoni piatti
I tamburi angolari, aperti da monofore, mantengono lo stesso schema ma hanno due sole fasce a losanghe.