Sei sulla pagina 1di 49

STORIA DELL’ARCHITETTURA, FIRENZE MEDIEVALE

SANTA REPARATA Frattanto, nei primi decenni del VI secolo, o forse anche prima, viene eretta la
chiesa di Santa Reparata. La chiesa ebbe una impostazione basilicale, a tre navate spartite da una
successione continua di colonnati e concluse da una sola abside (simile a Cluny 2 e 3). La
pavimentazione, di cui rimane soltanto una parte, era composta da un insieme di ampi scomparti
rettangolari, con decorazioni a mosaico rappresentanti disegni ed intrecci geometrici e, al centro,
un riquadro con la figura del pavone, simbolo dell’immortalità, e il nome di uno dei donatori «
OBSEQUENTIUS FECIT PED. xxx ».
L’occasione del Concilio del 1055 con il papa Vittore II, Enrico III e 120 vescovi, sollecitò
l’ampliamento o la parziale ricostruzione della cattedrale di Santa Reparata. Come i recenti scavi
hanno dimostrato, la chiesa, nella sua stesura romanica, fu caratterizzata da una gravità tutta
lombarda nella successione dei poderosi pilastri quadrangolari che ne dividevano l’interno in tre
ampie navate. In prossimità del presbiterio, sopraelevato e con vasta cripta sottostante,
l’icnografia dell’antico duomo fiorentino si articolava: una grande abside centrale affiancata da
due absidiole concludeva le tre navate, mentre lateralmente si aprivano due bracci, anch’essi
absidati.
Nel 1296 venne iniziata la ricostruzione dell’antica cattedrale di Santa Reparata.
Il nuovo edificio, non più dedicato alla Santa palestinese, ma alla Madonna, a Santa Maria del
Fiore, sarà in parte alterato nelle dimensioni e nella planimetria nel corso della sua costruzione,
protrattasi per quasi un secolo. Rimase però sostanzialmente immutato l’audace progetto
arnolfiano, che prevedeva l’innesto allo schema longitudinale delle tre navate, di un corpo a pianta
centrale che riuniva in un unico organismo transetto e presbiterio, dando luogo a tre tribune
disposte a trifoglio attorno alla vastissima cupola ottagona. Planimetria 3 navate suddivise dai
pilastri compositi a sistema uniforme, 4 contare in navata laterale e centrale tutte coperte da volte
a crociere , su spigolo occidentale vediamo il cantiere della torre di Giotto ,poi abbiamo la grande
tribuna , le grandi absidi pentagonali che la dilatano verso est sud e nord. Quando viene riavviato il
cantiere della cattedrale esiste ancora santa separata e intorno c’erano edifici di vario tipo , case di
canonici , private c’era una chiesa. Vennero espropriati e demoliti. Nel 1294 delibera del comune
che ci fa sapere che si vuole avviare il cantiere di una nuova cattedrale , la prima pietra nel 1296
con la presenza del vescovo di Orvieto e viene affidata a Arnolfo di Cambio al quale viene concessa
una casa e un’agevolazione fiscale. Quello che crea problemi è la personalità di Arnolfo ( già
incontrato nel Duomo Di Siena dove a 20 anni fu assunto da Nicola Pisano che venne minacciato di
assumerlo e nelle fontane di Perugia) , la sua produzione crea parecchi problemi. Arnolfo si occupa
della facciata e anche la decorazione marmorea dovrebbe rimandare a lui (disegno di Poccetti,
1587) ma Arnolfo muore e la data di morte è controversa tra il 1302 e 1310. Il cantiere poi ha
momento di stasi. Arnolfo lavora alla facciata ma la facciata che adesso vediamo è 800ntesca ma
possiamo vedere la contro facciata , ci sono semi pilastri che sono di Francesco Talenti e tagliano la
loggietta cieca sulla controfacciata. Si ritrovano alcune reliquie nel 1331 di San Zanobi uno dei
primi vescovi di Firenze e risveglia la devozione del popolo , l’arte della lana ha il compito di
raccogliere le offerte per la costruzione della cattedrale. Arriva Giotto negli ultimi anni della sua
vita, si cimenta come architetto , conosceva già l’architettura in modo esaustivo. Gli viene affidato
il compito di iniziare i lavori , dal CAMPANILE Dopo l'alluvione del 1333 la Signoria fiorentina
1
richiamò Giotto da Napoli per affidargli, con la nomina a capomaestro della cattedral, la direzione
di tutti i cantieri architettonici della città. In particolare si deve a un suo progetto il campanile di
Santa Maria del Fiore, ancor oggi conosciuto come Campanile di Giotto. Iniziato nel 1334, è una
torre a pianta quadrata, staccata dall'edificio della cattedrale anche se in origine era collegata a
esso mediante un pontile all'altezza del secondo piano. La struttura si regge su quattro robusti
pilastri angolari ed è rivestita di marmi bianchi, rosa e verdi: le quattro facce presentano il
medesimo schema decorativo.
L'artista seguì la realizzazione del piano inferiore, decorato con formelle esagonali a bassorilievo.
Queste sculture sono opera di Andrea da Pontedera, detto Andrea Pisano, ma Giotto ne avrebbe
fornito i modelli. Dopo la morte dell'artista lo stesso Andrea Pisano proseguì la costruzione del
campanile, arricchito nei piani superiori da altri rilievi, da nicchie con statue e da grandi finestre
bifore e trifore, ma anche lesene a sezione trapezoidale e feritoie e piccole monofore schermate e
poi nicchie acute. Inoltre, fu necessario rinforzare la muratura del piano inferiore, troppo sottile,
per innalzare quelli superiori: è probabile che il grande pittore avesse sbagliato i calcoli statici. Una
leggenda vuole addirittura che la consapevolezza del proprio errore lo abbia portato alla morte.
La conclusione dei lavori avvenne solo tra il 1 357 e il 1360 sotto la guida di Francesco Talenti, che
come si è visto portò avanti anche la fabbrica del Duomo. [(Purtroppo la sua attività è poco
documentata: Cantiere con gestione laica. Francesco Talenti prende il sopravvento , ci sono
documenti riguardo Iacopo Talenti era un laico che aveva deciso di vivere in comunità e lo
svolgimento di attività nel convento erano probabilmente parenti , era una famiglia poco
documentata , Francesco è documentato nel cantiere della cattedrale di Orvieto 1290 con
obbiettivo di farne una copia di Santa Maria Maggiore di Roma. Talenti compare nel cantiere del
duomo nel 51 abbiamo buco di 10 anni , questo documento ci dice che c’erano due capomastri
uno Talenti l’altro non viene fatto il nome. Sappiamo che si sta lavorando al campanile , si parla di
fornitura di marmi da inserire nelle 4 finestre cioè le 4 trifore (dell’ultimo piano del campanile).
Antonio Pucci nel “il centiloquio” componimento poetico che ci dice che Andrea Pisano fu cacciato
per un lavoro fatto male. Il cantiere del campanile era a buon punto , durato 25 anni.)]. Rispetto al
progetto originario, che prevedeva un coronamento a cuspide, il campanile presenta
un’inconsueta terminazione orizzontale con balaustra: la scelta non è frutto di un'anticipazione del
gusto rinascimentale, ma di esigenze pratiche. Alcune strutture murarie del sottotetto, infatti,
fanno supporre che si fosse iniziato a costruire una cuspide, poi interrotta.
Ci sono altri problemi , Talenti deve ragionare sulle cappelle dietro e sul difetto delle finestre.
Abbiamo prima attestazione di un livello di volte , Arnolfo aveva previsto una chiesa coperta a
tetto. La prima colonna viene costruita dentro santa separata , verso il campanile , all’interno
troviamo pilastri cruciformi con riseghe pentagonali , in alto c’è il ballatoio ( già nel duomo di Siena
) , questo(pilastri) ci riporta a Orsanmichele convertita da loggia del grano in chiesa nel 1337 forse
è stato Andrea pisano forse talenti , alcune somiglianze tra i pilastri delle due chiese. Non sono
pilastri che sono destinati a sorreggere le pareti su cui si innesterà la copertura. Viene cacciato
Talenti , il capo mastro Giovanni Pelanonini? che lo affiancava ha il sopravvento quando si stanno
costruendo le grandi volte , ancora c’è Santa Reparata. La chiave delle arcate trasversali tocca il
ballatoio che comporta uno snellimento della parete sopra , oculi sulle pareti laterali poi vediamo
queste grandi volte costolonate Perché da tetto a voltato , Arnolfo aveva costruito la facciata ma
2
anche forse i primi tratti dei perimetrali dove si vedono lesene sottili che non erano adatte a
sorreggere volte cosi imponenti quindi forse copertura a tetto inoltre forse sistema alternato
perché abbiamo una coppia di bifore per ciascuna delle campate , Talenti cambia tutto abbiamo
un contrafforte molto più spesso non più lesene sottili , abbiamo gli accorgimenti necessari
affinché le volte siano rette e il loro peso scaricato. Talenti viene richiamato per il ballatoio 1366
forse il capomastro aveva tramato per farlo cacciare , nel 1366 perizia fondamentale , vengono
chiamati orafi e pittori. La chiesa è troppo bassa e ci vogliono una finestra per ogni campata non
più due e poi si devono fare 4 campate. Questa perizia ci dà informazioni su come le navate erano.
Nello stesso periodo si ha notizie di fratture nelle navate laterali , dovuto all’assestamento della
struttura , queste volte cosi grandi e impegnative come venivano sorrette ? I sottotetti del duomo
sono fondamentali , si vede ciò che non era destinato ad essere rifinito o a vista e molto spesso si
hanno informazioni dal punto di vista strutturale , la sistemazione sottotetto è stato l’esito di un
cambiamento in corso d’opera forse in origine l’intelaiatura era destinata a vedersi dall’esterno ma
dopo la perizia le navate laterali alzate e i contrafforti nascosti , viene costruito l’attico. Lesene nel
sottotetto perfettamente in asse con le lesene della fase arnolfiana perché in qualche modo si
voleva nascondere il disallinemento con la collocazione dell’arco trasverso. Probabilmente parto
da sud con le finestre , le bifore sono diverse anche sull’altro fianco con cuspide più slanciata. Non
solo nel proseguimento del cantiere vediamo anche una semplificazione del lavoro e l’uso dello
stesso motivo decorativo mentre nella fase di Arnolfo diverse.

Chiesa dei santi apostoli fine 11 secolo e famosa per aneddoto di Vasari su Brunelleschi che dice
ha proporzioni regolari , 3 navate suddivise da colonne no alternanza sassone , capitelli
corizieggianti , mostrano aderenza ai modi tardo antichi, le colonne reggono arcate. Esterno è
molto semplice, paramento murario a blocchetti piccoli e curato ma non c’è marmo che era un
tratto distintivo di quell’epoca, Sant’Andrea di Empoli, 1083 fu iniziato , la facciata deve risalire a
un po’ dopo , aldilà della precisa datazione è la somiglianza con i rivestimenti di marmo di San
Miniato e battistero , di novo arcate cieche e specchiature quadrangolari in alto. Badia Fiesolana a
Fiesole dove troviamo somiglianza con Empoli san miniato e il battistero.

Duomo di Firenze Sala capitolare , capellone degli spagnoli , abbiamo ciclo di affreschi di
Buonaiuti tra 66 e 68 , faceva parte della commissione rappresenta la cattedrale con una cupola
più bassa e la tribuna. 1378 ultima volta della navata centrale , talenti è morto 9 anni prima ,
ultima notizia su di lui è un salario. Alla morte di talenti finito il campanile e le 3 navate. Solo nel 73
vengono demoliti i famosi edifici ad est , per fare spazio alla tribuna , solo nel 1375 finalmente
santa separata viene demolita. Santa Maria Novella e Santa croce le chiese degli ordini mendicanti
Gli ordini mendicanti erano francescani e domenicani (controlla le domande del parziale) A Firenze
partiamo dai domenicani , negli ultimi anni c’è stata discussione su fasi costruttive di santa maria
novella ma anche sulle personalità coinvolte , è stata avviata nel 1269 orientata verso nord ( nel
1268 papa Clemente quarto decreta che i diversi conventi domenicani non devono essere distanti
più di 300m) , normalmente si indicava come architetti due frati domenicani : Fra Sisto e Fra
ristoro ma Fra Sisto non era esisto e fra ristoro non aveva avuto competenze architettoniche. 3
navate disposte a sistema uniforme , le campate delle navate laterali sono lunghe , abbiamo
3
transetto sporgente ma forse inizialmente aveva transetto che non sporgeva , il coro ha
terminazione piatta affiancato da cappelle con cori minori destinate a liturgie minori.Chiostro dei
morti a est a ovest chiostro dei venti. Vuole dare volto nuovo a spazio urbano in cui si trovava. I
sostegni cambiano da semicolonne a pilastri , le ultime campate più piccole destinate ai cori dei
frati ( chiesa interna e esterna rimembranza ) probabilmente c’era un sistema divisivo tramezzi che
era dotati di pulpito dove il predicatore poteva salire per parlare. Campate verso la facciata hanno
spazialità ariosa, bicromia tipicamente fiorentina all’interno confinata da dettagli molto precisi
come le costoloni delle volte. Nel 1333 ha luogo alluvione molto violenta , ponte alla carraia
distrutto , per la ricostruzione sono stati interpellati capomastri domenicani Jacopo talenti (forse
fratello maggiore di Francesco )diventa capomastro del cantiere , termina le 3 navate e si occupa
del rivestimento inferiore della facciata. Si occupa dei chiostri quello verde è opera sua , questi
pilastri da sezione ottagonale che sostengono la copertura, torna la bicromia. Costruisce anche il
Cappellone degli spagnoli , l’edificio in cui si trova il ciclo di affreschi di Bonaiuto dove troviamo
anche santa maria del fiore. Secondo il necrologio del convento domenicano di santa maria
novella riporta la data al 1362 e dice 60 anni , nato a Pozzano , ci dice che ha lavorato per il
comune di Firenze per famiglie private , il palazzo di Niccolò acciaiuoli e nel 56 il priore della
certosa incarica il priore di santa maria novella di progettare il palazzo egli sente Iacopo che
lavorerà al pian terreno e il primo piano. Santa Croce non possiede più documenti dell’evoluzione
del cantiere tra 200 e 300. Nel 1294 il comune di firenze decise di avviare la ricostruzione della
chiesa dei frati minori. 3 navate coperte a tetto. Nelle navate minori si vede proiezione degli archi
diaframma , non abbiamo abside maggiore a terminazione piatta è poligonale con 7 cappelle
minori. Invaso scandito da pilastri ottagonali che reggono parete molto sottile. Capitelli molto
semplici , dai capitelli si distaccano lesene sottili dopodiché abbiamo ballatoio Bracci del transetto
coperti a tetto. Archi diaframma dividono le diverse campate delle navate minori. Adesso vediamo
edificio a muratura a vista , sappiamo che era l’opera del duomo a procurare le opere di marmo
per santa croce. Cappelle laterali con terminazioni cuspidate SIMONE TALENTI Era figlio di
Francesco , tanto vero che inizialmente nei documenti trovato come Simone di Francesco , 1357
appare come garzone del padre , Francesco talenti muore in disgrazia aveva cercato di convincere
gli operai a lavorare a 1/3 del pattuito Loggia dei Priori , dei Lanzi 1376 e 1382 simone talenti e
benci di cione Archi a tutto sesto utilizzati per la prima volta dopo 2 secoli Pilastri santa maria del
fiore cruciforme , ripresi esattamente , ripropone molte caratteristiche di Francesco in contesti più
innovativi. Imposte pensili con capitelli con foglie accartocciate. Orsanmichele (cerca) Trifore

SAN MINIATO AL MONTE Ricostruzione della chiesa e del monastero di San Miniato al Monte,
iniziata nel 1013 dal vescovo Ildebrando, col favore e l’aiuto finanziario dell’imperatore Enrico II e
della sua sposa Cunegonda. La chiesa, espressione della devozione dei fiorentini per il loro Santo,
era di antica origine, e già in un documento del 30 aprile 783 si parla di essa come di una
importante abbazia, che l’imperatore Carlo Magno arricchisce di case e di terre in suffragio
dell’anima della sua dilettissima sposa lldegarde, morta a soli 26 anni. Sembra però che in seguito
sia la chiesa che il monastero andassero pressoché distrutti, per cui il vescovo Ildebrando il 27
aprile 1018 consacrò un edificio del tutto nuovo.
4
Risalgono alla seconda metà del XII secolo (o ai primi decenni del Duecento) le suppellettili sacre e
la maggior parte del rivestimento marmoreo esterno ed interno di San Miniato. La primitiva
costruzione consacrata dal vescovo Ildebrando fu radicalmente trasformata e si giunse così
all’attuale edificio che, nonostante le suggestioni lessicali lombarde, è espressione di una
concezione architettonica nuova, frutto di un originale ricongiungimento alla tradizione tardo-
antica. La chiesa è a tre ampie navate spartite da colonne che, ogni due, si alternano a pilastri
polistili (alternanza sassone) sui quali si impostano le arcate trasversali che suddividono la navata
centrale in tre campate, l’ultima delle quali costituisce il presbiterio absidato. Per una campata
centrale ne corrispondono 2 laterali. Sopraelevata rispetto al restante piano della chiesa e
recintata da transenne marmoree, l’area presbiteriale ha sotto di sé una cripta divisa in sette
navatelle con volticciole a crociera sostenute da colonnette marmoree. I capitelli delle colonne e
dei pilastri, per lo più corinzi, provengono in parte da monumenti antichi, altri sono invece di
fattura romanica, ma esemplati sull’antico. Alcuni tra questi ultimi sono realizzati in cotto, anziché
in marmo come gli altri: di tipo composito, col fiore e l’abaco in arenaria. La decorazione
marmorea delle parti interne è originale solo nella parete di fondo e nelle due pareti laterali del
presbiterio sino alla trabeazione; tutto il resto (compreso il rivestimento delle colonne in scagliola
policroma imitante il marmo) risale ai restauri integrativi dell’Ottocento. Lo spirito classico si
afferma in questa decorazione, dove l’alternanza dei marmi bianchi e verdescuri delimita
nettamente le superfici con tarsie geometriche frutto di precisi calcoli proporzionali. Nel
rivestimento della curvatura absidale, tuttavia, le archeggiature cieche che iscrivono le tre finestre-
nicchie chiuse da lastre di pietra rosa, seppur con uso di membrature classiche, riecheggiano un
motivo di provenienza oltralpina. L’apparato decorativo della facciata costituisce un armonico
completamento dell’architettura, specie nella parte inferiore, ove si realizza un perfetto equilibrio
tra le strutture architettoniche e le incrostazioni marmoree, secondo i parametri di quella cultura
artistica dominante nell’ambiente fiorentino del XII secolo, per la quale si è soliti usare l’aggettivo
« geometrica », sia nel senso « formale che operativo-deduttivo o razionale del termine ». Ogni
elemento della decorazione si pone così come una sorta di proiezione su piano delle strutture
architettoniche, iscrivendo i portali e le specchiature marmoree, e sembrano quasi ripetere le
cadenze di un porticato.
Come si distingue il romanico fiorentino? Cattedrale di Pisa costruita con il bottino vinto in
battaglia e si distingueva con marmi di due colori diversi con una specie di zebratura , qui la
bicromia serve per dare enfasi al dettaglio architettonico, in questo momento si fa in modo di
procurarsi i marmi più pregiati ; di Carrara e Prato.
Interno presenta una corrispondenza con la facciata per i rivestimenti in marmo alcuni pezzi di
marmo presi da monumenti dell’antica fiorentina. Il soffitto è a tetto.

BATTISTERO DI SAN GIOVANNI Il 6 novembre 1059 il vescovo Gerardo, divenuto papa col nome di
Niccolò II, riconsacrò l’antica chiesa battesimale della città, ricostruita in forme più grandiose,
pressappoco corrispondenti a quelle attuali. Il battistero di San Giovanni, era considerata una
chiesa, era un edificio polifunzionale , era un edificio molto importante per le assemblee dei
cittadini e per l’identità di essi dal punto di vista di appartenenza. Fino a non molto tempo fa si
riteneva che fosse un tempio dedicato a Marte di età romana che fu modificato con la scarsella e
5
la lanterna , altri hanno ripensato fosse tardo antico, altri paleocristiano. La datazione coincide con
quella di San Miniato. L’edificio, a pianta ottagona (inventata da Sant’Ambrogio, 8 è il numero
della salvezza e della rinascita), con abside semicircolare su un lato e tre porte di accesso, appare
sormontato da una cupola archiacuta a otto spicchi. All’esterno è ancora privo di quella preziosa
decorazione marmorea con la quale sarà poi rivestito, ma internamente è presumibile che già
possedesse, almeno in corrispondenza del primo ordine, la trabeazione che scandisce con ritmo
discreto le facce del poligono.
Questo edificio più d’ogni altro seppe esprimere questa preferenza per le forme geometrizzanti e
per la definitezza dei valori spaziali la cui importanza per la storia della civiltà figurativa di Firenze
sarà enorme, rappresentando il San Giovanni una sorta di paradigmatica esposizione della
concezione architettonica fiorentina, per tanti versi ancorata ad un’idea classica dello spazio,
inteso come forma piuttosto che come forza.
(Nel 1112 Ranieri un vescovo decise di farsi seppellire nel battistero quindi una parte fu costruito
una parte, nel 1128 il fonte battesimale fu spostato da Santa Reparata al battistero.)
Nel XII secolo si ebbe anche l’affidamento dell’amministrazione del il Battistero e San Miniato al
Monte ai Consoli della più ricca tra le Arti fiorentine; l’Arte di Calimala. Ne conseguirono
numerose trasformazioni ed abbellimenti che fecero assumere ai due edifici quell’aspetto che
tuttora li caratterizza. Con ogni probabilità è infatti alla seconda metà del XII secolo che risalgono
le incrostazioni marmoree dei primi due ordini all’esterno del Battistero. I disegni del paramento
dicromo a tarsie di serpentina verde su marmi bianchi, talora di recupero, si adeguarono
mirabilmente alla nitidezza delle strutture dell’edificio. Ciascuna faccia dell’ottagono fu spartita da
lesene sormontate da una trabeazione in basso e scandite in alto da arcate cieche iscriventi
finestre a edicola con frontoni triangolari o curvilinei. Queste ultime si rifanno chiaramente a
modelli classici, reinterpretati però con una originalità che si esprime in termini di aggraziata
eleganza. Soprattutto il motivo della finestra rettangolare sormontata dal triangolo del timpano
rappresenterà in seguito per la cultura architettonica fiorentina un modello che incontrerà grande
fortuna. Tra le arcate cieche e le lesene trabeate della parte basamentale fu inserita una
successione di stilizzate loggette di reminiscenza lombarda, anch’esse però realizzate
semplicemente con le tarsie. All’interno invece il Battistero conservò il sobrio e severo partito
ornamentale, nato probabilmente assieme all’edificio, che chiude lo spazio come in una gabbia
formata da due trabeazioni tra le quali si eleva il sistema dei pilastri, delle colonne e delle lesene
che scandiscono le facce dell’ottagono.
Nel corso del Duecento fu anche attuata tutta una serie di trasformazioni ed abbellimenti per i
quali il Battistero si avvicinò ulteriormente all’immagine odierna. Nel 1202 l’abside semicircolare
venne sostituita con l’attuale scarsella a pianta rettangolare. Pochi anni dopo (1225) la nuova
tribuna fu decorata con mosaici, ad opera di Fra’ Jacopo , e alcuni anni più tardi iniziò la grandiosa
decorazione musiva della cupola, per la quale collaborarono anche artisti locali, quali Cimabue e
Gaddo Gaddi. Sempre nel Duecento, nella seconda metà del secolo, venne aggiunto l’ultimo
ordine della decorazione marmorea esterna, nonché il tetto a piramide che nasconde la cupola,
innestandosi felicemente al prisma ottagono di base. La nuova fascia decorativa si caratterizzerà
per le sobrie tarsie geometriche a due colori e per i deboli rilievi delle lesene, che si distaccano dal
fondo quasi soltanto per contrasto cromatico. A loro volta le candide lastre di marmo della
6
copertura piramidale, perfettamente liscia, evidenzieranno al massimo la volumetria dell’edificio,
che nella parte superiore tenderà ad apparire come una sorta di templum cristallinum. La
leggerezza dell’apparato decorativo esterno doveva risaltare maggiormente prima che gli spigoli
venissero rafforzati con l’infelice soluzione dei sodi angolari, aggiunti nel 1293, la cui dicromia
contrasta, sia con l’andamento dei pilastri che sorreggono le arcate cieche, sia con la funzione
stessa degli spigoli, che dovrebbe essere di delimitazione delle facce e non di scorrimento.

RINASCIMENTO E PROSPETTIVA I caratteri distintivi del Rinascimento furono l’amore e i


l’interesse per o gni manifestazione culturale del mondo antico e la consapevolezza della centralità
e del valore dell’uomo, capace, con la propria intelligenza, di creare e promuovere il proprio
destino.
È con il cosiddetto Umanesimo che comincia il Rinascimento, cioè con lo studio dei testi letterari
(in latino Humànae litterae).
La lingua latina riprende vigore, come pure lo studio di quella greca. Gli artisti rinascimentali
sentirono di dover competere con gli antichi di raggiungerli nella grandezza e anche di superarli. È
questa fiducia che viene espressa da Leon Battista Alberti nella lettera con cui dedicava a
Brunelleschi il suo trattato sulla pittura.
E lì scrive, infatti, che la fama dei suoi contemporanei è necessariamente superiore a quella degli
antichi poiché senza maestri sono riusciti a trovare «arti e scienze non udite e mai vedute». Dallo
studio della civiltà classica si deduce che l’arte dei Greci e dei Romani è naturalistica. Da ciò
consegue che lo scopo dell’arte è l’imitazione della natura o mimesi. Una natura che gli uomini del
Rinascimento indagheranno scientificamente al fine di poterne carpire ogni segreto. Principale
strumento per tale indagine sarà la prospettiva.
È Firenze la città in cui inizialmente la nuova arte rinascimentale si manifesta.

La prospettiva Almeno fino agli anni del Quattrocento, si trattava di una prospettiva intuitiva e,
certamente, non scientifìca, quindi non basata su precise regole geometriche e matematiche.
Con prospettiva, termine che deriva dal latino perspìcere, cioè «vedere distamente», si indica
comunque un insieme di proiezioni di oggetti su un piano , tale che quanto è stato disegnato
corrisponda agli oggetti reali come noi li vediamo nello spazio. ll piano, però, ha due dimensioni
(lunghezza e altezza ) ma gli oggetti ne hanno tre (lunghezza, altezza e profondità) . Questo vuol
dire allora, che, tramite un procedimento grafico, è possibile rappresentare qualunque oggetto o
insieme di più oggetti su un foglio, in modo che l’immagine disegnata su quanto più simile a ciò
che noi vediamo realmente. Per far questo è necessario che si verifichino le seguenti condizioni:
-che casta un qualcosa da rappresentare (l’oggetto);
-che qualcuno lo stia guardando (l’osservatore);
-che si conosca la posizione esatta dell’osservatore rispetto all’oggetto (ci si accorge, infatti, che
cambiando posizione quello che vediamo ci appare in modo diverso, per aspetto o per
dimensione);
-che ci sia un supporto su cui disegnare. Il foglio di carta (o la tavola o il muro) cioè il supporto -
deve essere immaginato come una pellicola trasparente posta fra l’oggetto da rappresentare e chi
guarda. Si suppone, allora, che dall’occhio dell’osservatore partano dei raggi che vanno a
7
circondare l’oggetto (piramide visiva). Tali raggi intèrsecano ' la pellicola trasparente (quadro
prospèttico) e questa intersezione, che individua un’immagine simile, ma più piccola dell’oggetto,
ne costituisce appunto la rappresentazione prospettica.

La visione è monoculàre. Se ne deduce che la prospettiva non consente di realizzare una visione
stereoscòpica dovuta cioè all’esistenza di due occhi.
In una prospettiva:
- l’occhio dell’osservatore si chiama punto di vista.
- la posizione dell’osservatore rispetto all’oggetto si dice punto di stazione [V,],rispetto al quadro
prospettico essa definisce la distanza dal quadro;
- tutte le linee perpendicolari al quadro prospettico convergono convenzionalmente in un unico
punto detto punta di fuga [P] (corrispondente alla proiezione sul quadro del punto di vista);
- per questo punto passa la linea dell ’orizzonte [L0] parallela alla linea di terra [LT](intersezione fra
il piano terra e il piano prospettico) ;
-tutte le linee orizzontali parallele al quadro e fra loro equidistanti restano fra loro parallele, ma la
loro distanza reciproca diminuisce all’aumentare della loro distanza dal quadro (scorciatura);
- tutte le linee verticali parallele al quadro restano verticali, fra loro parallele e mantengono
invariate le loro distanze reciproche se giacciono su un piano parallelo al quadro. Se invece
giacciono su un piano perpendicolare o obliquo rispetto al quadro diminuiscono la loro distanza
reciproca e si avvicinano con progressione al loro punto di fuga.

Fu Filippo Brunelleschi, agli inizi del secondo decennio del Quattrocento (nel 1413 circa), a scoprire
le regole geometriche della rappresentazione prospettica. Egli dette prova delle sue scoperte
realizzando due celebri tavolette prospettiche, purtroppo perdute. In una di esse era
rappresentato il Battistero di Firenze come visto dal portale centrale della Cattedrale di Santa
Maria del Fiore; nell’altra, invece, erano raffigurati Palazzo Vechio e la Loggia de’ Lanzi visti da un
punto situato lì dove l’attuale via dei Calzaiuoli si immette in piazza della Signoria.
Due modi diversi per dimostrate l’esattezza e la scientificità del disegno prospettico, in base al
quale, dato un punto di vista, esiste una e una sola possibilità di rappresentare la realtà che da
quel punto si osserva.
Le lunghe operazioni grafiche e di calcolo necessarie per l’esecuzione di una prospettiva per mezzo
della costruzione brunelleschiana vennero successivamente molto semplificate e ridotte di
numero a opera di Leon Battista Alberti, il grande umanista, pittore e architetto a cui si deve il
procedimento prospettico che divenne noto con il nome di costruzione abbreviata, proprio per
sottolinearne la maggiore celerità d’esecuzione. Nel 1435 Alberti ultimò la stesura volgare del
primo trattato di prospettiva, il De pictura.
Ma fu soltanto con Piero della Francesca che, attorno al 1475, il Rinascimento ebbe il suo primo
trattato di prospettiva interamente illustrate: il De prospectiva pingendi.
Alla fine del Quattrocento Leonardo da Vinci aggiunse un tocco di vita a questa scienza che può
apparire fredda nel suo rigore geometrico. Si tratta della teorizzazione della prospettiva aerea.

La Prospettiva influenzò molto anche il disegno architettonico.


8
Il metodo delle proiezioni ortogonali, pratica assai diffusa nei cantieri gotici, cedette rapidamente il
passo alla nuova scoperta che dette la possibilità di disegnare scientificamente tipi di
rappresentazioni architettoniche in uso almeno sin dalla seconda metà del Trecento.
Il disegno d’architettura quattrocentesca farà largo uso della prospettiva sia per evidenziare o
suggerire gli spessori dei vari elementi Strutturali di un’architettura, sia per mostrare,
contemporaneamente, gli interni e le sezioni dei muri.

La riscoperta del mondo classico e lo studio del trattato di architettura di Vitruvio fornirono le basi
per una nuova certezza rinascimentale, quella derivante dalla teoria delle proporzioni.
Proporzione viene dal latino pro portione, che vuol dire «secondo la porzione» e indica la
corrispondenza di misure fra due o più parti in stretta relazione fra proprie. Queste corrispondenze
di misure sono quindi rapporti matematici.
La disciplina a cui le proporzioni sono applicate con maggior frequenza è l’architettura. Le opere
non solo armoniose e belle a vedersi, ma anche resistenti.
Nel Medioevo le proporzioni derivavano direttamente dalla geometria, nel senso che ogni
costruzione era regolata da schemi geometrici sia in alzato sia in pianta. Nel Rinascimento, invece,
le proporzioni sono quasi essenzialmente numeriche. Ma non solo, prevalentemente i rapporti
numerici rispecchiano quelli esistenti fra le varie note musicali.
Per primi i Greci avevano notato che se si fanno vibrare due corde tese, una delle quali è lunga il
doppio dell’altra, il suono di quella più corta sarà di un’ottava più alto di quella più lunga. Tale
rapporto numerico, detto in greco diàpason, si scrive 1:2. Le proporzioni, allora, fanno in modo che
l’armonia udibile generata da un insieme di note ben congegnato si trasformi, in un edificio,
nell’armonia visibile.
I rapporti numerici più usati sono l’unìsono (121); il diapason (1:2), il diapènte (2:3), il diatèssaron
(3:4). Ciò vuol dire, ad esempio, che disegnando o realizzando la facciata di un edificio in modo che
la sua altezza sia doppia della sua larghezza si sarà dato vita a una costruzione armoniosa che
rende visibile l’armonia musicale del diapason.
Ma cosa avrebbe dovuto rispecchiare un edificio sacro una volta che le sue parti fossero state
dimensionate armoniosamente? Il corpo umano, era stata la risposta suggerita dal De architectura
di Vitruvio.
Secondo l’antico scrittore latino, infatti, la natura stessa aveva fatto sì che il corpo dell’uomo fosse
ben proporzionato. Era logico, pertanto, che anche nella progettazione architettonica ci si
attenesse alle simmetrie e ai rapporti esistenti fra le varie parti del corpo umana.

Uno dei caratteri più significativi del Rinascimento italiano fu, sin dalle origini, la curiosità e la
passione per l’Antico.
Le rovine e le vestigia dell’Antichità, in particolare quelle di Roma, sono ora guardate con occhi
nuovi. Esse, infatti, non stupiscono più solo per la loro magnificenza, ma costituiscono motivo di
studio, di ricerca, di ispirazione e di confronto.
Il soggiorno a Roma diventa momento importante nella formazione degli artisti. Essi annotano le
misure, precisando tecniche costruttive e copiando motivi decorativi.

9
BRUNELLESCHI Giorgio Vasari attribuisce a Filippo Brunelleschi (Firenze, 1377-1446) l’onore di
aver dato inizio alla nuova architettura del Rinascimento. Figlio del notaio ser Brunellesco Lippi,
Filippo dovette avere una formazione che comprendeva anche lo studio della lingua latina. Erano
tuttavia le scienze esatte quelle che più lo appassionavano e in modo particolare la matematica.
Ma soprattutto egli prediligeva il disegno, la pittura, la scultura e l’architettura.
Dopo aver iniziato la propria attività artistica in qualità di orafo ed essersi poi affermato
pubblicamente nel 1401 al concorso per la Porta Nord (non sarà Filippo come orafo a vincere ma
Ghiberti. Nel suo progetto sistema i personaggi in modo da affollare anche i luoghi esterni ed
occupare molto di già dello spazio assegnato. Ghiberti vince perché più tradizionale) del battistero
fiorentinono, Brunelleschi dedicò tutta la sua vita all’architettura. Alcuni soggiorni di studio a Roma
-i primi da collocarsi attorno al 1404-1409, assieme al giovane amico Donatello- e un successivo
nel 1417-1418 permisero a Filippo di avere una profonda conoscenza dell’architettura degli
antichi. 1472-1480 Pergamena del Massaio ci mostra edifici fatti da Brunelleschi : Ospedale degli
innocenti Basilica di san Lorenzo con vecchia sagrestia chiesa di santo spirito , la cupola di santa
Maria del fiore con lanterna terminata e la zona dove stanno costruendo santa mari degli angeli.

CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE: Forte di queste conoscenze, Filippo, che già era stato
consultato dall’Opera di Santa Maria del Fiore per questioni inerenti al completamento delle tre
tribune (1404) e alla sopraelevazione del tamburo (1410) della cattedrale fiorentina, partecipò al
concorso (bandito nel 1418 dalla potente Arte della Lana) per la realizzazione della cupola, che
ancora mancava per la conclusione della fabbrica.
In quegli anni la cattedrale della città toscana era ancora senza copertura nella zona del coro e
l’immane spazio ottagonale su cui era stata prevista una cupola aveva il considerevole diametro di
ben 78 braccia fiorentine, cioè circa 46 metri. Se mettiamo in conto anche lo spessore del tamburo
arriviamo a 92 braccia (pari a circa 54 metri).
Brunelleschi propose di costruire una cupola che noi oggi chiamiamo autoportante, cioè capace di
sostenersi (reggersi) da sé durante la costruzione, senza richiedere l’aiuto delle armature di legno.
La loro realizzazione, peraltro, sarebbe stata improponibile per l’altezza dell’imposta della cupola
(circa 50 metri da terra), per la quantità di materiale necessario e per l’incapacità di una
qualunque armatura lignea a sostenere il grande peso della struttura durante l’esecuzione.
La proposta sembrò folle: Filippo fu oggetto di scherno e per ben due volte fu portato via di peso
dalla sala dove alla presenza dei massimi esponenti dell’Arte della Lana maestri toscani, italiani e
stranieri presentavano le loro proposte e discutevano su come voltare' la cupola fiorentina. Alla
fine, però, il suo progetto ebbe la meglio su quelli, spesso anche stravaganti, degli altri concorrenti.
Nel 1420, dunque, egli poté iniziare la costruzione della «grande macchina» come Michelangelo
definì la cupola della cattedrale di Firenze.
A Filippo venne dato per compagno nell’impresa Lorenzo Ghiberti, che pure aveva presentato un
suo progetto; ma questi, già dal 1425, non ebbe più una parte di rilievo nella costruzione. Con
Brunelleschi nasce una nuova figura di moderno architetto: un artefice geloso delle proprie
invenzioni e orgoglioso del proprio ruolo intellettuale, tanto da richiedere per sé solo il controllo
dell’intera opera, dall’ideazione all’esecuzione finale.

10
La cupola si erge su un tamburo ottagonale forato da otto grandi finestre circolari (òculi) che
danno luce all’interno. Vista dall’esterno essa appare come una rossa collina segnata da otto
bianche nervature marmoree che convergono verso un ripiano ottagonale. Su questo poggia una
leggera lanterna cuspidata stretta da otto contrafforti a volùte (le prime volute del Quattrocento),
simile a un isolato tempietto a pianta centrale.

La cupola è talmente alta e maestosa che, come scrisse il Vasari, «i monti intorno a Fiorenza
paiono simili a lei». L’Alberti, sottolineandone il valore tecnico e, per riflesso, la fama che essa
dava a Firenze che poteva, perciò, primeggiare sulle altre città toscane, la descrisse
suggestivamente come «struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra
tutti e’ popoli toscani». La grande struttura è costituita da due calotte distinte, una interna (di
grande spessore) e l’altra esterna (più sottile). Fu Filippo Brunelleschi a volerla così «per
conservalla dallo umido e perché la torni più magnifica e gonfiata». Tra l‘una e l’altra calotta esiste,
quindi, un’intercapèdine, cioè uno spazio che rende possibile la presenza di scale e corridoi,
percorrendo i quali si giunge sino al piano su cui si imposta la lanterna.
Le due calotte ogivali sono collegate da otto grandi costoloni d’angolo, i soli che si vedono anche
dall’esterno perché rivestiti di creste di marmo bianco, e da sedici costole intermedie disposte
lungo le facce delle vele.
Costoloni e costole intermedie sono anch’essi uniti per mezzo di 9 anelli in muratura.
Contrariamente a quanto avviene per le volte gotiche, che prevedono che i costoloni (struttura
portante) siano costruiti per primi e poi si proceda con le vele (elementi di semplice
tamponamento, perciò portati), la cupola fiorentina è costruita tirando su contemporaneamente e
con omogeneità costruttiva tutte le parti, strettamente connesse le une alle altre e tutte portanti.
Dovettero essere adoperate solo delle centine mobili in corrispondenza degli angoli dell’edificio,
per guidarne correttamente il tracciato a quinto acuto. La possibilità di costruire l’immensa mole di
mattoni è dovuta a due fattori: all’impiego della muratura a spinapesce e all’aver costruito una
cupola di rotazione e non una semplice volta a padiglione. La spinapesce è una tecnica, dedotta
dall’opus spicatum romano, che consiste nel disporre dei ricorsi di mattoni verticalmente, di
seguito ad altri collocati di piatto. In tal modo l’intera doppia cupola è attraversata, da parte a
parte, da un insieme di «eliche murarie» che stringono la muratura raccogliendosi alla base della
lanterna Filippo Brunelleschi trattò la cupola (che ha l’aspetto di un padiglione a pianta ottagonale)
come una cupola di rotazione. Infatti i mattoni non sono disposti su piani orizzontali, ma risultano
inclinati verso i loro centri di curvatura e giacciono su superfici coniche. Che tale fosse la tecnica
adottata da Filippo lo si può riscontrare anche salendo sulla cupola stessa: i mattoni di ciascuna
vela risultano tutti inclinati secondo una curva che ha il massimo della sua concavità proprio nel
centro di ogni vela.

11
Se proviamo a ragionare in termini geometrici, non è difficile capire come una semisfera possa
essere descritta dalla rotazione nello spazio di un raggio (raggio di curvatura). Ad una certa
altezza, quindi, il raggio che ruota disegna la figura di un cono che a sua volta determina la
giacitura dei mattoni in una cupola reale. Possiamo anche dire che le tante possibili intersezioni tra
i vari coni aventi lo stesso vertice e la semisfera sono delle circonferenze. Nel caso di una cupola di
rotazione a pianta ottagonale -per di più a sesto acuto - che implica l‘esistenza di più coni, tutti con
il vertice sull'asse centrale della cupola, ciascuna intersezione, livello per livello, si legge come un
insieme di otto curve.
Le cùspidi in corrispondenza di ciascuno spigolo non devono trarre in inganno: non c‘è
discontinuità nella muratura della cupola. [Infatti, com’è stato felicemente suggerito, ciascuno può
avere esperienza sia della continuità sia delle curve di intersezione se solo sostituisce al padiglione
ottagonale il prisma sfaccettato di una matita e alla superficie conica generata dal raggio di
curvatura il cono di un temperamatite dotato di una lama. Facendo la punta alla matita si modella
un cono che interseca le facce della matita secondo linee curve.]
Alla base della cupola e del tamburo sono presenti delle TRIBUNE (“TRIBUNE MORTE”), le quali
hanno la funzione di scaricare meglio le spinte orizzontali e verticali date dalla cupola soprastante.
La costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore, con i problemi che essa comportava (scelta
delle tecniche costruttive, organizzazione del cantiere, invenzione di macchine per sollevare i pesi
e per risparmiare fatica) tenne occupato Brunelleschi per tutta la vita. Ci vollero, infatti, ben sedici
anni dal 1420 al 1436 per poter concludere la struttura con l’anello di chiusura (l’apertura, o
occhio, sommitale a pianta ottagonale) sul quale avrebbe dovuto essere edificata la lanterna. Per
quest’ultima, inoltre, Filippo dovette affrontare un nuovo concorso che pure vinse: alla sua morte
(1446), però, la lanterna era ancora in costruzione.
Tuttavia, non appena ultimata (o forse anche prima), la «grande macchina» cominciò a lesionarsi.
Le lesioni (profonde rotture della muratura che vanno dalla lanterna fin oltre il tamburo)
interessano soprattutto quattro delle otto vele, quelle che non hanno il contrasto di parti della

12
fabbrica che si comportano come grandi contrafforti. Per il loro studio fu creata un‘apposita
commissione granducale già a partire dal 1695 e venne persino progettato di circondare
(cerchiare) la cupola e il tamburo con quattro grandi catene di ferro che si opponessero alla
dilatazione e al propagarsi delle fratture, progetto che non andò in porto. Dal 1988, poi, è in
funzione un sistema automatico di monitoraggio elettronico mediante il quale è possibile il
controllo continuo dello stato delle fessure.

Il linguaggio Brunelleschiano: L‘architettura brunelleschiana si svolge sempre alla luce della


ricerca e della sperimentazione. Le forme architettoniche del Brunelleschi, infatti, sono
dimensionate in modo che chiunque possa trovarsi a proprio agio fra strutture che non vogliono
né opprimere né annientare. Tale condizione si realizza tramite l’impiego di forme geometriche
semplici.
Il linguaggio brunelleschiano si caratterizza per la ripresa della sintassi classica (soprattutto
romana) che si basa sugli ordini architettonici e sull’arco a tutto sesto , che è esattamente un
semicerchio. Usa anche volte a vela , comunque le sezioniamo otteniamo sempre una semi
circonferenza , mezzo cerchio.
La loro fusione, che può dar luogo all’arco inquadrato dall’ordine o all’arco sovrapposto all’ordine,
genera le membrature architettoniche che qualificano e definiscono gli spazi brunelleschiani. In
particolare l’impiego, più volte ripetuto, dell’arco sostenuto dall’ordine e inquadrato da un ordine
maggiore riesce a controllare e a determinare la crescita spaziale delle architetture del
Brunelleschi.
Solitamente (SOLO dice la prof) Filippo fa uso di capitelli corinzi che rinviano all'ordine mediano
interno del Battistero, e di colonne dal fusto liscio. Le paraste (o le lesene) sono sempre scanalate
e le scanalature sono sei: ciò perché Filippo immagina la parasta come la quarta parte di un
pilastro, a sua volta una sorta di “colonna quadrangolare" che, per essere corinzia, è dotata di 24
scanalature.
Filippo farà ricorso all’abaco sormontato da un segmento di trabeazione, chiamato «dado
brunelleschiano»). Architettura ripetitiva modulare: Filippo parte dall’imoscapo che è pari ad un
braccio fiorentino , l’altezza della colonna con capitello sarà 10 moduli , l’intercolumnio 10
moduli , la profondità da colonna 10 moduli. Si crea cubo ripetuto 9 volte , l’arco è meta dei 10
moduli. L’ordine architettonico serve per progettare come modulo proporzionale.

SPEDALE DEGLI INNOCENTI Filippo pensa alla piazza di sant’annunziata come foro all’antico ,
borda uno dei lati con portico poi san gallo metterà portico dal lato opposto. Iniziato a partire dal
1419 nei pressi degli innocenti della Chiesa dei Servi di Maria, lo Spedale degli Innocenti pose le
premesse per la creazione della piazza porticata della Santissima Annunziata, forse l‘esempio più
riuscito e noto di piazza rinascimentale.
L‘edificio, al quale Brunelleschi si dedicò con continuità fino al 1423 e che fu concluso da altri, si
articola attorno a un chiostro centrale che è affiancato da due grandi ambienti: la chiesa e il
dormitorio per gli orfani. Esso si innalza su un ripiano quasi come sullo stilobate di un antico
tempio a cui si sale per mezzo di nove gradini. Nove sono anche le arcate del porticato, nella
porzione inferiore dell’edificio, e altrettante sono le campate coperte da volte a vela. E nove,
13
infine, sono le finestre di forma classica che ricordano quelle del battistero fiorentino di San
Giovanni. Sormontate da un timpano, esse poggiano direttamente sulla cornice dell’alta
trabeazione, che, tangente al cervello degli archi, è sostenuta da un ordine maggiore di paraste
situate alle estremità della fabbrica. Tali paraste sono a loro volta affiancate da colonne libere, che
ispireranno poi Masaccio nell’affresco della Trinità.
Nei timpani Filippo aveva progettato dei tondi concavi, a scodella, tangenti a due archi contigui e al
sovrastante architrave. Solo nel 1487 essi furono sostituiti da ceramiche invetriate di Andrea Della
Robbia.
L’architrave a tre fasce di uguale altezza gira alle estremità, piegandosi ad angolo retto e volgendo
verso il basso: secondo il biografo Manetti si tratterebbe di un errore dei continuatori di
Brunelleschi. Il fregio, inoltre, presenta un motivo strigilato derivato da sarcofagi romani.
La sintassi di ordine e archi, invece, dipende certamente dall’esempio romanico della navata
centrale della Basilica di San Miniato nella quale, visivamente, le fasce di marmo verde e bianco,
all’altezza dei capitelli delle alte semicolonne, simulano una trabeazione che corre
ininterrottamente al di sopra sia degli archi sostenuti dalle colonne che dividono le navate, sia al di
sopra degli archi sostenuti dalle semicolonne dell’abside. Abbiamo bicromia brunelleschiana
alternanza di grigio e bianco ma anche apparenza costruttiva , lui distingue da ciò da ciò che è
portante la pietra serena da ciò che è portato l’intonaco.
Dai capitelli di San Miniato, infine, Filippo riprende il pulvino modanato a gola dritta che pone al di
sopra degli abachi dei capitelli corinzi dalle grandi volute dello Spedale.
L’intercolumnio è pari all’altezza delle colonne e alla profondità del porticato. La campata, allora,
risulta di forma cubica. Lo spazio del loggiato, quindi, può definirsi modulare. Ciò significa che nella
sua realizzazione Brunelleschi utilizza ripetutamente la stessa misura (mòdulo) al fine di meglio
scandire lo spazio.
Inoltre, la distanza fra il pavimento e l’estradosso della cornice della trabeazione equivale al
doppio dell’altezza della colonna. A tale altezza è pari anche la distanza fra l’estradosso
dell’architrave e l’intradosso della cornice di sottogronda, mentre metà altezza della colonna
costituisce la dimensione complessiva delle finestre, dal davanzale al vertice del timpano
triangolare.
Nel progetto brunelleschiano, modificato dai continuatori di Filippo, il loggiato avrebbe dovuto
essere delimitato, alle estremità, da due campate chiuse. Altre paraste più piccole, in
corrispondenza di quelle maggiori, avrebbero segnalato il diverso valore assunto dal muro del
secondo ordine. Quando deve chiudere lateralmente il portico , Francesco della luna
dell’architrave ripartito non sa che farsene pensa sia cornice lo rigira in verticale e lo ribatte sotto
la base della colonna.

SAGRESTIA VECCHIA La composizione modulare diventa oggetto di ulteriore studio e


approfondimento anche nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo (1422-1428), così detta per
distinguerla dalla Nuova, edificata nel secolo successivo da Michelangelo.
L’incarico a Brunelleschi venne dato da Giovanni di Averàrdo de’ Medici (detto Giovanni di Bicci),
padre di Cosimo il Vecchio, il creatore della fortuna medicea, forse nel 1419, anche se i lavori

14
iniziarono solo attorno al 1422. Il nuovo edificio avrebbe dovuto servire anche da cappella
funeraria di famiglia.
La Sagrestia Vecchia è un ambiente al quale si accede dal braccio sinistro del transetto della
Basilica di San Lorenzo ed è composto da uno spazio pressoché cubico al quale è sovrapposta una
cupola emisferica ombrelliforme.
Tale cupola, raccordata da quattro pennacchi sferici alle murature sottostanti, ha all’imposta
dodici finestre circolari ed è rafforzata da altrettante nervature che le conferiscono, appunto,
l’aspetto di un ombrello aperto. Le nervature sono solo la parte in vista di lame murarie
dall’intradosso ad arco di circonferenza e l’estradosso rettilineo e inclinato, al pari di un arco
rampante. Tra due lame murarie contigue si impostano delle volte unghiate che seguono una
doppia curvatura: quella delle nervature e quelle dei muri verticali del tamburo a terminazione ad
arco. Esternamente la cupola è coperta da una superficie tronco-conica, protetta da squame di
laterizio. La sormonta una lanterna su sei colonnine coronata a sua volta da un cupolino convesso-
concavo percorso da scanalature che si avvolgono a elica. Tale motivo decorativo è un’evidente
suggestione derivante dalle eliche delle spinapesce della cupola di Santa Maria del Fiore.
Sul lato opposto all’ingresso si apre la scarsèlla, un piccolo ambiente anch’esso a pianta quadrata,
ma composto, in alzato, dal sovrapporsi di due cubi uguali coperti da una cupoletta emisferica su
pennacchi con ornamentazione a conchiglia. La cupoletta è affrescata a imitazione di un cielo
stellato recante le figurazioni dello zodiaco. Non a caso la cornice alla base della cupoletta imita un
velario arrotolato e legato: la cupola, allora è come se perdesse illusoriamente di consistenza e
attraverso un’apertura circolare, allontanando una vela di stoffa, si potesse vedere il cielo.
Tutte le pareti della Sagrestia sono scandite dalle paraste, dalla trabeazione e dagli archi in pietra
serena che risaltano contro il bianco dell’intonaco.
Le paraste assumono diverse forme in base alla collocazione alla quale sono destinate. Le quattro
degli angoli del vano maggiore sono piegate simmetricamente ad angolo retto, allo stesso modo di
quelle nelle nicchie del Pantheon. Nei due angoli di fondo della scarsella, invece, esse sono
filiformi: si presentano, cioè, come se fossero lo spigolo sporgente di un pilastro quasi
completamente affogato nella muratura. Infine, quelle che introducono alla scarsella costituiscono
le due facce visibili di una «colonna quadrangolare», avvolgendo lo spigolo «convesso».
La trabeazione, con la cornice decorata da cherubini rossi e blu (ripresi da quelli del Battistero di
San Giovanni), corre senza interruzione in ambedue gli ambienti dal piano di calpestio e
dall’altezza diversi dando in tal modo la sensazione di un’assoluta unità spaziale.

CAPPELLA DE’ PAZZI. Costruita all’interno del chiostro della Basilica di Santa Croce, su
commissione di Andrea de’ Pazzi, esponente di spicco di una delle più potenti famiglie di mercanti
e banchieri fiorentini, la Cappella de’ Pazzi rivela una ricerca spaziale e planimetria interpretabile
come meditazione sulla Sagrestia Vecchia, sulla quale si modella complicandone la geometria.
Tradizionalmente attribuito a Filippo Brunelleschi l’edificio dovette essere iniziato attorno ai primi
degli anni Trenta del Quattrocento. La cappella, ai tempi del soggiorno fiorentino di papa Eugenio
IV, ebbe la copertura maggiore conclusa nel 1459/1460 e la cupoletta del portico chiusa nel 1461.
Evidentemente essa fu costruita in gran parte dopo la morte del Brunelleschi, ma, forse, su un
progetto risalente agli anni Venti.
15
L’ambiente principale, basato sulla forma quadrata, si dilata in un rettangolo la cui copertura
comprende una cupoletta emisferica centrale affiancata da due volte a botte. La scarsella ripete lo
schema della Sagrestia Vecchia, mentre la copertura del porticato antistante la cappella replica
quello del vano interno di maggiori dimensioni.
Il problema delle paraste di diversa altezza presente nella Sagrestia Vecchia, viene risolto nella
Cappella de’ Pazzi con una panca in muratura che, correndo tutt’attorno al perimetro
dell’ambiente maggiore alla stessa quota del pavimento della scarsella, consente paraste di avere
un’altezza costante.
Tuttavia, su tutte le pareti, benché ridotto a semplice motivo decorativo, viene comunque ripetuto
il tema delle quattro paraste sormontate dalla trabeazione sulla quale poggiano due archi
concentrici, che nella Sagrestia Vecchia costituiva la complessa organizzazione geometrica della
sola parete con l’accesso alla scarsella. A tale parete erano subordinate le altre tre pareti lasciate
nude.
La facciata, non conclusa, è divisa in due parti: quella inferiore comprende un portico con colonne
corinzie trabeate, quella superiore, invece, è costituita da una parete piena, ornata a riquadri,
scandita da coppie di parastine che sostengono una trabeazione con un fregio strigilato. Nel suo
complesso la facciata si esprime secondo i modi dell’architettura fiorentina del secondo ‘400.
Sulla fabbrica spicca la copertura della cupola centrale che segue la stessa tecnica costruttiva di
quella della Sagrestia Vecchia, della quale ripropone anche la soluzione esterna costituita da una
superficie conica sormontata da una piccola lanterna (quest’ultima di restauro).
La scarsa accuratezza nell’esecuzione dei particolari, le soluzioni distributive e il linguaggio
architettonico degli interni, a volte ingegnosi, a volte ripetitivi, così come la mancanza di certezze
quanto a datazione e a commissione, hanno portato a dubitare della paternità brunelleschiana
della fabbrica e a proporre un diverso progettista: l’architetto Michelozzo di Bartolomeo.

BASILICA DI SAN LORENZO Il progetto per la Basilica di San Lorenzo risale a circa il 1418, ma
Filippo viene coinvolto nella costruzione forse solo nel 1421. Il Brunelleschi aveva progettato un
edificio a tre navate con cappelle laterali, ma, a motivo dei costi, fu costretto a ripiegare su una
soluzione che escludeva le cappelle. I lavori, iniziati nel 1425, furono ripresi, dopo una lunga
interruzione, solo nel 1442 e poi conclusi da Antonio Manetti Ciàccheri dopo la morte di
Brunelleschi, ma solo negli anni Settanta del Quattrocento vennero aggiunte le cappelle delle
navate laterali.
L’esterno dell’edificio mostra, con molta chiarezza, il compenetrarsi di solidi geometrici puri.
L’arco che introduce alle cappelle laterali, è inquadrato dall’ordine costituito da paraste sulle quali
corre una trabeazione. Quest’ultima si specchia nel segmento (o porzione) di trabeazione che
sovrasta i capitelli delle colonne che dividono la navata centrale (con copertura piana) dalle laterali
(con una successione di volte a vela) e che diventa anche il sostegno per gli archi gettati tra una
colonna e l’altra. Questi archi, a loro volta, sono tangenti alla trabeazione dell’ordine maggiore su
pilastri che inquadrano il sistema delle arcate. Infine, al di sopra di questa seconda trabeazione si
collocano gli arconi che sostengono la cupola, che si innalza all’incrocio del transetto con la navata
centrale.

16
Filippo seguì certamente i lavori delle cappelle che affiancano l’abside e di quelle delle due fra loro
comunicanti e adiacenti alla Sagrestia Vecchia. In tal modo entrambe le testate dei bracci del
transetto si presentano con grandi arcate su due pilastri, affiancati da paraste, definendo, con la
trabeazione che corre sugli elementi verticali vicini, il primo schema rinascimentale cosiddetto a
«serliana».
Dopo la scomparsa di Filippo e senza la sua supervisione il proseguimento della costruzione si rese
difficile. Particolarmente problematico risultò l’inserimento del transetto nel corpo longitudinale,
dove un sistema di pilastri cruciformi, definiti da un insieme di paraste, di cui due maggiori e due
minori, doveva reggere i quattro grandi arconi per il sostegno della cupola. Sulle paraste minori si
impostano i primi archi longitudinali e trasversali delle navate laterali. Un’incongruenza
compositiva fa affiorare al di sopra di tali archi delle porzioni di parasta, come se il loro fusto non
in vista fosse inglobato nella muratura stessa. Tuttavia esse hanno una scarsa relazione con le
paraste minori di cui sono, invece, l’effettivo il prolungamento. La porzione di parasta al di sopra
degli archi non era, però, del tutto inedita per Firenze. Una soluzione simile, infatti, era stata già
adottata nel Battistero, in corrispondenza del grande arco che immette alla scarsella orientale.

BASILICA DI SANTO SPIRITO: Nella Basilica di Santo Spirito l’organismo architettonico diviene
ancora più articolato e complesso. In esso la linea curva modella l’intero edificio che ha una
perfetta forma basilicale, con la navata centrale dotata di un soffitto piano e le navate laterali con
campate coperte a vela.
Progettata tra il 1428 e il 1434, ma iniziata solo nel 1444, la basilica venne condotta a termine
dopo la morte di Brunelleschi con numerose e, spesso, arbitrarie varianti rispetto al progetto
originario. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un edificio a croce latina, ma le navate
laterali non si concludono in corrispondenza dell’innesto del transetto. Le campate, infatti,
proseguono tutt’attorno al perimetro della basilica a esclusione della sola controfacciata,
determinando un forte addensamento di colonne nella zona del presbiterio.
Le cappelle laterali sono semicircolari e sono introdotte da archi che hanno la stessa dimensione di
quelli della navata centrale. Le paraste che erano state utilizzate in San Lorenzo qui sono sostituite
da semicolonne, tre quarti di colonna o un quarto di colonna a seconda della collocazione, aventi
la stessa altezza delle colonne libere e che costituiscono anche la massima convessità fra due
concavità contigue (le porzioni di colonna, infatti, sono collocate fra una cappella e l’altra). C’è
dunque un perfetto equilibrio dimensionale nell’edificio e un’inarrestabile continuità tra i vari
elementi architettonici e la struttura muraria perimetrale.
Nelle intenzioni di Filippo, inoltre, la basilica avrebbe dovuto mostrare anche esternamente la
forma convessa delle cappelle. Questa particolarissima conformazione, pur anticipata dalle
cappelle laterali della Cattedrale di Orvieto, oltre a irrigidire la struttura, avrebbe conferito alla
chiesa un aspetto assolutamente inusuale e inedito nel panorama archi tettonico fiorentino, quasi
da edificio orientale o esotico.
I successori di Brunelleschi preferirono però procedere secondo le norme consuete delle superfici
piane evitando, così, ogni problema.
Anche la facciata subì la stessa sorte. Infatti, non furono costruiti i quattro semicilindri che, invece,
sono presenti nel capocroce e nelle testate del transetto, perchè avrebbero determinato la
17
realizzazione di quattro portali, soluzione atipica in quanto non simmetrica. Di conseguenza non fu
posta in opera neppure la terza colonna di controfacciata, quella centrale, che, permettendo la
costruzione di altre due arcate, avrebbe consentito la continuità del perimetro colonnato interno.
L’insieme delle cappelle che circondano l’edificio non costituisce una novità solo nell’ambito della
composizione architettonica; esso, infatti, ha anche un’evidente funzione statica, poiché irrigidisce
i muri perimetrali.

ALBERTI Se Filippo Brunelleschi, Masaccio e Donatello furono i protagonisti indiscussi del primo
Rinascimento fìorentino e coloro ai quali si deve, anzi, l’esistenza stessa del Rinascimento
figurativo, spetta invece a Leon Battista Alberti il merito di aver dato una sistemazione teorica alle
scoperte, alle innovazioni e agli ideali artistici di quei primi anni del Quattrocento.
Leon Battista, fìglio naturale di Lorenzo Alberti, nacque a Genova il 18 febbraio 1404 da una ricca
famiglia fiorentina in esilio dal 1401. Dalla città ligure si trasferì dapprima a Venezia e quindi a
Padova. Dopo la morte prematura del padre (1421) il giovane Alberti si ritrovò, al pari del fratello
Carlo, anch’egli figlio naturale, in ristrettezze economiche, ma riuscì comunque a laurearsi in
Diritto a Bologna nel 1428, anno della rèvoca del bando con il quale la sua famiglia era stata
esiliata. Solo dopo tale data Leon Battista poté vedere per la prima volta Firenze, la città degli avi.
Dal 1432 divenne abbreviatore apostolico e cominciò il suo soggiorno romano. Gli ordini sacri -
presi solo per speciale permesso papale, in quanto allora erano vietati ai figli illegittimi- gli
permisero, successivamente, di godere di una rendita decorosa (ebbe, infatti, il titolo di priore di
San Martino a Gangalàndi, presso Firenze). Egli era senz’altro a Firenze nel 1434 al seguito di papa
Eugenio IV e si spostò quindi a Ferrara e ancora a Firenze per il Concilio (1438-1439) che avrebbe
dovuto stabilire la riunificazione della Chiesa d’Occidente (latina) con quella d’Oriente (greca) e
che perciò fu detto «Concilio dei Greci». Nel 1443 tornò definitivamente a Roma, città in cui morì
nell’aprile del 1472.
L’Alberti fu uno dei più colti e raffìnati umanisti, ma, contrario di altri, non si dedicò alla ricerca di
codici di opere classiche, non ne preparò mai edizioni, né studiò gli scritti degli antichi per puro
piacere letterario. Per lui, al contrario l‘antichità era fonte inesauribile di insegnamento: era il
passato che giustificava il presente, un qualcosa che doveva essere continuato, con il quale
confrontarsi e che, dunque, poteva anche essere superato. Secondo quest’ottica fece proprie le
forme letterarie degli antichi e le attualizzò, modificandole e adattandole al proprio pensiero.
Opere teoriche sulle arti Autore di opere poetiche e morali, scrisse anche di geometria, topografia
e meccanica. Fu architetto e pittore e, in veste di artista e letterato, compose i primi tre grandi
trattati dell’età moderna sulla pittura (De pictura, 1435), sull’architettura (De re aedificatoria,
1447-1452) e sulla scultura (De statua, ca 1450).
Nel De pictura, come si è visto, vengono esposti i principi della prospettiva. In esso viene data
anche la definizione di disegno, si tratta dell’importanza della composizione e si dice delle relazioni
tra luce e colore. L’Alberti ritiene che scopo della pittura sia, oltre che l’imitazione della natura, la
ricerca della bellezza intesa come ciò che dà piacere all’occhio e come qualcosa di riconoscibile in
base a una facoltà che ciascun uomo possiede. Rifacendosi al pensiero degli antichi e, in special
modo, agli scritti di Vitruvio.

18
«La bellezza è accordo e armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate
secondo un determinato numero, delimitazione e collocazione, così come esige la concinnitas,
cioè la legge fondamentale e più esatta della natura» (De re aedificatoria, Libro IX, cap. V).
È però nel De re aedifìcatoria che le conoscenze tecniche e letterarie di Leon Battista si fondono
armoniosamente in una trattazione completa dell’arte di edificare. Alla sua redazione influirono
enormemente la presenza dell’Alberti a Roma, la conoscenza profonda delle architetture antiche,
puntualmente rilevate dal vero, il loro studio.
Il trattato, verosimilmente compiuto nel 1452, prende come esempio quello di Vitruvio, persino
nella suddivisione in dieci libri. Vi si discorre del disegno, dei materiali da costruzione, dei
procedimenti costruttivi, degli edifici pubblici e privati, di strade, ponti, fortezze,
dell’organizzazione della città, delle acque e della loro canalizzazione, dell’ornamento e, quindi,
degli ordini architettonici. Vengono infine trattate, e per la prima volta, le cause delle rotture dei
muri e le opere di prevenzione e di restauro degli edifici.
È nel De re aedifìcatoria che si precisano le differenze tra l’operare di Brunelleschi e le concezioni
dell’Alberti in relazione agli ordini architettonici. Leon Battista, infatti, con maggiore aderenza
all’architettura antica, ritiene che la colonna debba essere sovrastata dalla trabeazione, mentre
l’arco debba essere costruito al di sopra di pilastri. Inoltre alla colonna egli attribuisce anche la
funzione di sommo ornamento per le fabbriche.
L‘importanza del trattato e, conseguentemente, la grandezza dell‘autore, sono ricordate anche da
Agnolo Poliziano nella lettera dedicatoria a Lorenzo il Magnifico, che precede il testo della prima
edizione fiorentina del 1485.

TEMPIO MALATESTIANO Il primo intervento architettonico attuato dall’Alberti, ormai più che
quarantenne, è costituito dal rifacimento della chiesa gotica di San Francesco a Rimini. Nota anche
come Tempio Malatestiano, secondo la volontà del committente, Sigismondo Pandolfo Malatesta,
signore della città, essa avrebbe dovuto trasformarsi in un monumento celebrativo della memoria
di lui e dell’amante (poi moglie), Isotta degli Atti, nonché di quella dei più importanti umanisti della
corte riminese. l lavori di rifacimento cominciarono nel 1447, quando Isotta fece decorare la
Cappella degli Angeli (ora di San Michele Arcangelo). L’anno successivo Sigismondo si occupò della
Cappella di San Sigismondo, ma il completo mutamento dell‘interno dovette iniziare solo attorno
al 1450. I lavori all’esterno, invece, presero l’avvio circa nel 1453, mentre un cambiamento di
progetto intervenne nel 1454.
La trasformazione dell’interno, tradizionalmente riferita a Matteo de’Pasti, viene considerata, da
qualche tempo, come possibile intervento dovuto allo stesso Alberti. Infatti, l’unica navata,
affiancata da cappelle introdotte da grandi arcate a sesto acuto, presenta una soluzione
ornamentale che ben corrisponde alle concezioni albertiane. Tale concetto esprime bene anche
l’intervento all’interno del Tempio Malatestiano, in cui un doppio ordine di paraste su piedistalli
inquadra gli archi acuti e dove il secondo ordine, su mensole, prosegue lungo le pareti formandone
il coronamento. Il linguaggio classico, infatti, aiuta l’interno gotico ad avvicinarsi all’innovativa
lingua che caratterizza l’esterno, senza che questo, a sua volta, debba essere in alcun modo
influenzato dalla preesistenza architettonica medioevale. L’Alberti, per conseguenza, incapsula
l’edifìcio in un moderno involucro in pietra d’Istria senza curarsi molto di quanto già esisteva. Ne
19
sono prova le grandi arcate laterali che l’artista ha progettato strutturalmente indipendenti dalla
fabbrica retrostante e senza tener conto che fossero in asse con le finestre gotiche.

L’Alberti ritiene che l’attività dell’architetto debba essere puramente «mentale», cioè teorica,
perciò egli non si occupa personalmente della direzione dei lavori. L’esecuzione del Tempio
Malatestiano fu affidata,infatti, al veronese Matteo de’ Pasti. A lui si deve anche l’unica
testimonianza visiva del progetto originario dal momento che l’opera rimase incompiuta, prima
per il rovesciamento delle fortune di Sigismondo Pandolfo (a partire dal 1462), che non ebbe più i
fondi necessari per la prosecuzione dell’opera, poi per la morte dello stesso committente.
Dalla medaglia commemorativa per la consacrazione della Chiesa che Matteo dovette coniare
attorno al 1453, ma che, al pari dell‘iscrizione che corre nel fregio esterno, reca la data I450,
possiamo vedere che la parte superiore della facciata avrebbe dovuto essere coronata da un
fastigio nella porzione centrale. Dei semitimpani ad andamento curvilineo I‘avrebbero raccordata
con la cornice sottostante (i semitimpani furono modificati nel 1454 in modo da presentare
spioventi rettilinei sormontati da coppie di volute affrontate). Infine, una grande cupola emisferica,
a somiglianza di quella del Pantheon, avrebbe completato l’edificio divenendone l‘elemento
unificante.
La medaglia, però, di soli 4 centimetri di diametro, non consente di capire quale forma dovesse
avere il tamburo (se cilindrico o a più facce), ne’ quale la cupola (numerose sono le possibilità che
consentono un alzato come quello proposto nella medaglia). È probabile, infine, che la crociera
dovesse presentare anche un corto transetto.
Nel Tempio Malatestiano l’Alberti creò la prima facciata di chiesa rinascimentale e lo fece
riferendosi all’antichità romana. Contrariamente a quanto potrebbe apparirci logico egli non imitò
le forme del tempio classico, ma e qui sta la sua non comune capacità inventiva ebbe come esempi
gli archi di trionfo. Primo fra tutti l’Arco di Augusto, che è appunto a Rimini e poi il romano Arco di
Costantino. Nei fianchi, invece, le grandi arcate a tutto sesto sorrette da pilastri ricordano gli
antichi acquedotti, ma derivano, nel disegno, sia dalle arcate interne del Colosseo sia da quelle
della porzione inferiore del Mausoleo di Teodorico della vicina Ravenna.
Le diverse fonti di ispirazione trovano un accordo nell’alto basamento che, a somiglianza di un
podio o di un crepidoma, sostiene sia i pilastri sia le semicolonne. Queste, dal fusto scanalato,
hanno un plinto molto alto, come nelle basiliche ravennati; inoltre sono coronate da capitelli
compositi con teste di cherubino. Le semicolonne dividono la superficie della porzione inferiore
della facciata in tre parti. Quella centrale più ampia delle laterali accoglie il portale timpanato, che
è all’interno di un’ampia e profonda arcata, circondato da festoni e da un ornamento geometrico
di marmi antichi prelevati da edifici di Ravenna. Le laterali ripropongono il motivo delle arcate dei
fianchi. Esse, però, sono cieche e poco profonde mentre come appare nella medaglia di Matteo
de‘ Pasti avrebbero dovuto avere la profondità necessaria per poter accogliere i sarcofagi di Isotta
e Sigismondo.
L’edificio riminese non parla solo il linguaggio dell’architettura, esso dà voce anche alle aspirazioni
del suo committente. Il riferimento architettonico e ornamentale all’Arco di Augusto è segno,
infatti, della volontà del Malatesta di essere considerato al pari del primo imperatore romano. Ma
la chiesa riminese rivela analogie anche con la Colonna Traiana. I due edifici presentano una simile
20
ornamentazione conclusiva del basamento e identiche dimensioni. Inoltre entrambe le costruzioni
sono caratterizzate dalle stesse funzioni celebrative e di mausoleo. Il signore di Rimini, allora,
desiderava essere identificato non solo con Augusto, ma anche con Traiano, l’«Ottimo Principe», il
migliore degli imperatori. In tal modo le pietre del Tempio Malatestiano, in eterno, avrebbero
ripetuto la formula d’augurio che, a Roma, negli ultimi secoli dell’impero, veniva indirizzata dal
Senato ai nuovi imperatori: «Felicior Augusto, melior Traiano!» (Che tu possa essere più felice di
Augusto e migliore di Traiano!).

PALAZZO RUCELLAI Con la facciata del fiorentino Palazzo Rucellai Leon Battista offrì, invece, lo
schema per un rinnovato palazzo urbano basato sulla sovrapposizione degli ordini, caratteristica
dell’antica architettura romana. La facciata del palazzo, infatti, è una traduzione, in termini di
superficie piana, del fronte curvilineo del Colosseo (ma non è da escludere come possibile fonte
anche il Battistero di Firenze, dove è presente una simile soluzione architettonica).
Ristrutturato l’interno tra il 1446 e il 1452, l’architetto Bernardo Rossellino iniziò subito dopo, su
disegno di Leon Battista Alberti, i lavori per la facciata.
Per Giovanni Rucellai, uno dei più ricchi mercanti fiorentini del tempo, l’Alberti progetta un fronte
di cinque campate, poi esteso a sette. Ma era desiderio del committente far crescere ancora la sua
dimora, come si giudica dall’incompiutezza del paramento esterno sulla destra.
Le campate sono tutte uguali, ad eccezione di quelle, più grandi, corrispondenti agli ingressi. In
questo caso, proprio per la variazione regolare della scansione metrica, che definisce un ritmo, si
parla di “travata ritmica”.
Al piano terreno si hanno lesene con capitello tuscanico, appena aggettanti rispetto alla facciata,
che reggono una trabeazione a fregio continuo, senza metope né triglifi (come nel Colosseo), sulla
quale si impostano le lesene del primo piano. Queste sono coronate da ricchi capitelli ionici, di un
tipo speciale a volute ricurve verso l’alto, analoghi a quelli antichi del Mausoleo di Adriano (oggi
Castel Sant’Angelo). Sull’elaborata trabeazione del primo piano si impostano le ultime lesene con
capitelli corinzi dal disegno semplificato. Questo perché la loro posizione elevata non ne avrebbe
reso apprezzabile dal basso la raffinata esecuzione. Infine, come è dato di vedere nell’attico
dell’anfiteatro romano, le mensole che sorreggono la cornice che corona l’edificio sono ospitate
nel fregio.
Il lieve sfalsamento di piani esistente tra le lesene dal fusto liscio e la restante superficie muraria,
nella quale il bugnato è stato quasi smaterializzato e ridotto a puro disegno, conferisce alla
facciata un estremo rigore geometrico.
Il basamento, che ricorda nelle piccole aperture la situazione compositiva dell’attico del Colosseo,
è ornato dalla cosiddetta «panca di via» in pietra il cui schienale imita l’opus reticulatum.
Gli architravi dei portali che, debordando lateralmente rispetto alla larghezza della campata,
vanno a sovrapporsi alle lesene vicine sono, infine, una ripresa diretta dal secondo ordine
dell’interno del Pantheon.

FACCIATA DI SANTA MARIA NOVELLA Rucellai commissiona ad Alberti la sua cappella funeraria,
ma non sa se porla dentro la chiesa di Santa Maria Novella o San Pancrazio. Rucellai aveva
intestato i propri beni all’arte del cambio, la quale destina i soldi perla facciata di Santa Maria
21
Novella. Per lo stesso committente del palazzo, attorno al 1458/1460 l’Alberti progettò anche la
facciata della basilica fiorentina di Santa Maria Novella. La costruzione della chiesa avviene a fine
del tredicesimo secolo, nel 1319 i lavori sono diretti da Giovanni Campi, noto per aver costruito il
ponte alla Carrai precedentemente distrutto da un’alluvione e si avvale della collaborazione di
Jacopo Talenti. Dopo la sua morte subentra Talenti che comincia a lavorare alla facciata,
cominciandola con il marmo verde di prato e quello bianco di Carrara.
Quindi, contrariamente al Tempio Malatestiano, la cui facciata poté essere creata ex nòvo ', in
quest’occasione l’architetto si trovò di fronte a una parziale realizzazione trecentesca. La porzione
inferiore, infatti, aveva già i portali laterali, i profondi archi acuti con le tombe gotiche e le alte
arcate cieche. L’Alberti fu quindi costretto ad armonizzare il “vecchio” con il “nuovo”. In questa
parte inferiore egli limitò, allora, il suo intervento al portale centrale che inserì all’interno di un
arco a tutto sesto incorniciato da due semicolonne corinzie su alti piedistalli. L’arco introduce a
una breve volta a botte cassettonata che poggia su superflci murarie scandite da coppie di lesene
corinzie scanalate, a imitazione dell’ingresso del Pantheon. Le semicolonne vennero riproposte,
nelle due estremità della facciata, affiancate alle paraste d’angolo, secondo uno schema ripreso
dalla Basilica Emilia nel Foro Romano. Rivestite con fasce orizzontali di marmo alternativamente
verde e bianco, le paraste rinviano ai pilastri angolari del romanico battistero fiorentino di San
Giovanni.
Un alto attico fra l’ordine inferiore e quello superiore segna l’inizio della realizzazione tutta
quattrocentesca. Per l’intera altezza della navata centrale e oltre, la porzione superiore della
facciata venne organizzata come un tempio classico tetrastilo che ricorda, allo stesso tempo, la
soluzione già adottata nella basilica fiorentina di San Miniato. Quattro paraste corinzie, dalla tipica
zebratura marmorea, sorreggono una trabeazione al di sopra della quale poggia un timpano. Due
ampie volute riccamente e minutamente ornate raccordano l’ordine superiore all’attico
nascondendo gli spioventi del tetto delle navate laterali.
Quanto alle proporzioni (argomento di cui l’Alberti si era occupato nel suo trattato d’architettura),
è stato verificato come l’intera facciata di Santa Maria Novella sia inscrivibile in un quadrato,
mentre due quadrati minori - di lato pari a metà di quello maggiore - circoscrivano la parte
inferiore e uno di questi, ancora, quella superiore. Altri significativi rapporti proporzionali si
possono riscontrare in questa facciata in base ai sottomoduli, cioè ad elementi quadrati che sono
sottomultipli di altri più grandi. In tal modo l’architettura dell’Alberti rivela come tutte le sue
componenti siano in stretta relazione le une con le altre e come assieme obbediscano a ferree
leggi geometriche.

CHIESA DI SAN SEBASTIANO E CHIESA DI SANT’ANDREA Il tema del tempio classico rivisitato in
chiave moderna, ritorna e viene ulteriormente sviluppato anche nelle due chiese che l’Alberti
progettò per Mantova: San Sebastiano e Sant’Andrea.
Le due costruzioni si inseriscono in una logica di rinnovamento urbano voluto dal marchese
Ludovico II Gonzaga che, in occasione dei preparativi per la Dieta del 1459, aveva potuto
constatare l’inadeguatezza delle strutture della città lombarda.

22
Nella Chiesa di San Sebastiano, uno dei primi esempi di chiesa rinascimentale a pianta centrale,
progettata nel 1460 e i cui lavori furono condotti dall’architetto toscano Luca Fancèlli, l’Alberti
rivolge l’attenzione a una pianta a croce greca preceduta, in uno solo dei bracci, da un pronao con
cinque aperture in facciata. Il portale al centro è sormontato da un architrave ornato, sostenuto da
due mensole a voluta, che, come in Palazzo Rucellai, rimonta anche sulle due lesene vicine. Le due
rampe di scale d’accesso frontali sono state realizzate solo nel 1925, ma l’Alberti doveva averle
previste laterali, sull’esempio del tempietto del Clitumno.
La chiesa ha sotto di sé una cripta a cui si accede dall’esterno, al livello del terreno, tramite ampie
arcate. La cripta ricalca la pianta del piano superiore, ma risulta coperta da un gran numero di
volte a crociera su robusti e tozzi pilastri senza base. In tal modo l’edificio non viene aggredito
dall’umidità e al tempo stesso risulta sopraelevato, in adesione al pensiero dell’Alberti
relativamente agli edifici sacri.
I quattro bracci della croce sono coperti da volte a botte che, per la loro resistenza, ben si
sarebbero prestate a contrastare la cupola emisferica (sostituita, però, in fase di realizzazione da
una più semplice e leggera volta a crociera) che Leon Battista aveva previsto sullo spazio centrale.
La facciata è solcata da quattro alte e snelle lesene fortemente schiacciate contro il muro, a
somiglianza del fronte di un tempio tetrastilo. Al di sopra di tali lesene, terminanti con capitelli
molto semplificati, è posta un’alta e massiccia trabeazione che sorregge a sua volta un frontone
spezzato con incluso un arco. Questo motivo architettonico è stato ripreso molto probabilmente,
dell’Arco di Orange in Provenza, o, ancora più verosimilmente, dalla conformazione interna
dell'abside del Tempietto del Clitunno.

CHIESA DI SANT’ANDREA Nella Chiesa di Sant’Andrea a Mantova, progettata nel 1470 e iniziata
dal Fancelli circa due anni dopo, l’Alberti ricorre alla pianta longitudinale con transetto e fonde
nella facciata il tema dell’arco di trionfo con quello del fronte di un tempio classico.
Tre sono le aperture frontali che immettono nel pronao coperto da un sistema di volte a botte
cassettonate. Quella centrale, amplissima, è costituita da una grande arcata; le altre due, più
piccole, sono architravate. Le lesene corinzie su alti piedistalli sorreggono, invece, una bassa
trabeazione al di sopra della quale si imposta un timpano. Al di sopra di esso, infine, si erge una
struttura coperta a botte (il cosiddetto <<ombrellone») che, oltre a convogliare la luce nel grande
oculo che illumina l’interno dell’edificio, svolgeva anche le funzioni di “cripta soprelevata”, dal
momento che in essa veniva esposta in particolari occasioni la celebre reliquia del Sangue di
Cristo, che ancora si conserva nella chiesa. A tale cripta superiore si sarebbe potuto accedere da
due scale a chiocciola, ciascuna a doppia rampa (una per la salita, l’altra per la discesa), collocate
in posizione arretrata rispetto alla facciata, ma ai suoi fianchi destro e sinistro. Tali rampe, se il
progetto fosse stato portato a compimento, avrebbero comportato che la facciata attuale si
sarebbe stagliata contro una grande superficie piana arretrata.
All‘interno un’unica, grandiosa navata utile ad accogliere le grandi masse di pellegrini che si
radunavano in chiesa per venerare la reliquia del Sangue di Cristo è affiancata da tre grandi
cappelle coperte da volte a botte cassettonate su ciascun lato. Fra esse piccole cappelle sono
ricavate all’interno dei potenti pilastri che sorreggono la grande volta a botte che copre l’aula.

23
II motivo dell’apertura sormontata in successione da una nicchia e da una finestra, tipico della
facciata, ricorre anche nei pilastri dell’interno (nei quali alla nicchia è sostituita la parete piana
racchiusa da una cornice).
Se all’esterno l’ispirazione albertiana fonde la facciata di un tempio con un arco trionfale in un
sistema a ordini intrecciati, all’interno il ciclo della sperimentazione del grande architetto prosegue
e volge al termine. Esso, infatti, si conclude con il riferimento all’imponenza imperiale sia degli
edifici termali sia della Basilica di Massenzio. È a questa, infatti, interpretata quale «tempio
etrusco» (l’etrùscum sàcrum del De re aedifìcicatoria)» che rinvia la grande aula affìancata da tre
cappelle per lato.

LE CITTÀ RINASCIMENTALI
PIENZA Nel 1459 il papa Pio II Piccolomini incaricò l’architetto Bernardo Rossellino, collaboratore
dell’Alberti, di ristrutturare il piccolo borgo natio di Corsignano in modo che potesse essere una
delle residenze della corte pontificia. La cittadina diventò sede episcopale e mutò il suo nome in
“Pienza” (città di Pio). L’intervento si concentra però sull’organizzazione della piazza principale
dove, fin dal medioevo, sorgevano la sede del potere civile e religioso. In corrispondenza di una
lieve curva della strada (corso Rossellino) vengono costruiti la nuova Cattedrale, il palazzo
Piccolomini, il palazzo del cardinale Borgia e quello pretorio, nonché la Canonica. Per la
costruzione di tali edifici viene aperta la piazza del mercato (alle spalle del palazzo pretorio, e si
costruiscono anche un ostello per i visitatori, oltre a un ospedale e a delle case a schiera per i
cittadini più poveri. L’intervento diventa progettazione della città ideale e perfetta. La piazza, di
forma trapezoidale, è divisa in riquadri pavimentati con mattoni disposti a lisca di pesce tramite
fasce bianche di travertino.

CATTEDRALE Di fronte al lato minore si erge la Cattedrale che ripete forme gotiche, soprattutto
nella zona absidale. Nei fìanchi, invece, il linguaggio gotico si fa più morbido e dalle trifore
archiacute dell’abside, lentamente, si passa a bifore a tutto sesto. Nella facciata tripartita, inoltre, i
problemi rimasti irrisolti nel Tempio Malatestiano dell’Alberti (mancanza di corrispondenza fra
l’ordine inferiore e quello superiore, organizzazione del coronamento) sono condotti felicemente a
soluzione.
I due ordini di colonnine, infatti, risultano uniti dalle alte paraste che proseguono anche nel
coronamento (e la cornice stessa sporge in corrispondenza dei risalti sia delle paraste interne sia
nelle brevi porzioni poste negli angoli). Tale coronamento è costituito da un timpano, la cui
porzione centrale è occupata da un tondo a rilievo con le insegne papali.
L’interno, diviso in tre navate, ha un’altezza costante a similitudine delle Hallenkirchen (chiese ad
aula) tedesche che Pio II aveva conosciuto durante la sua permanenza in Germania. In tal modo
l’edificio è inondato di luce.
Inoltre, in ossequio alle prescrizioni contenute nel De re aedificatoria dell’Alberti, originate dalla
meditazione sui testi di Cicerone, l’interno della chiesa ha le pareti candide poiché solo il bianco si
addice alla divinità.

24
PALAZZO PICCOLOMINI: Dall’albertiano Palazzo Rucellai il Rossellino deriva le forme del Palazzo
Piccolomini. Contrariamente all’edificio fiorentino le paraste del piano terreno non sono lisce,
bensì bugnate, al pari del paramento di rivestimento dell’intero edificio. In tal modo il piano
terreno appare come un blocco compatto, benché ingentilito dalla scansione delle paraste. Il
Rossellino, non fece ricorso alla travata ritmica, ma rese progressivamente più larghe le campate
centrali, per motivi ottici. Il Palazzo Piccolomini ha un impianto parallelepipedo, i suoi vari
ambienti si organizzano attorno a un cortile centrale. Al cortile si accede sia dal portale principale,
sia da quello laterale che si apre sulla piazza e che immette in uno dei bracci del portico.
L’eccezionalità della dimora di Pio II risiede, però, soprattutto nel fronte posteriore, che affaccia
sul giardino e risulta composto da un triplice loggiato (con colonne sormontate da archi al piano
terreno, con colonne gravate da archi sbarrati' di tipo senese al primo piano, con colonnine
trabeate al secondo piano).
È la prima volta, dall’Età classica, che un edificio viene costruito con l’intento dichiarato di
compenetrare lo spazio naturale ed è anche la prima volta che l’interesse di un committente si
sposta dall’edificio al paesaggio e che, anzi, proprio questo ne condiziona le scelte architettoniche.
La morte improvvisa di Pio II e del Rossellino nello stesso anno, il 1464, interruppe il compimento
dell’impresa.

URBINO (PALAZZO DUCALE) la stabilità del potere politico, assicurata dal lungo governo di
Federico da Montefeltro (dal 1444 al 1482), signore della città, e la presenza alla sua corte di
grandi artisti quali Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Luciano Lauràna, Francesco di
Giorgio Martini (1439-1502), interagiscono nell’esperienza di ristrutturazione urbana che lì si
sperimenta. L’intervento interessa peraltro il solo palazzo di Federico.
L‘edificio, frutto di aggregazione e trasformazioni di palazzotti preesistenti, nonché di nuove
edificazioni, fu iniziato attorno al 1463/1464, ma i lavori subirono una svolta decisiva con l’arrivo a
Urbino del dàlmata Luciano Laurana. Il Conte (duca dal 1474) Federico Il 10 giugno 1468 conferì il
titolo di «Ingegniero et Capo di tutti li maestri». Laurana lasciò la cittadina marchigiana nel 1472,
ma nel 1476 il suo posto fu preso dal senese Francesco di Giorgio Martini, che portò la fabbrica a
definitivo compimento. Il palazzo è in laterizi e ha forme articolate che ben si adattano alla
conformazione naturale della collina e alla funzione per cui sono state progettate.
I fronti tra loro ortogonali che prospettano sulla piazza non si discostano da quelli del tipico
palazzo quattrocentesco, con porte e finestre architravate e bugne in pietra che rivestono parte
delle facciate. Il lato sinistro assieme al lungo blocco che esso chiude e al cortile è attribuito al
Laurana, quello frontale oltre il quale prospera un giardino pensile si deve invece al disegno di
Francesco di Giorgio.
Le differenti concezioni allo stesso tempo architettoniche e strutturali dei due architetti sono rese
immediatamente evidenti dal diverso modo di distribuire le aperture. In maniera del tutto
inconsueta, Laurana accosta tre portali sovrastati da quattro finestre, senza che le aperture siano
sullo stesso asse. Francesco di Giorgio, invece, ripristina il ritmo della fabbrica con la regola del
pieno su pieno e vuoto su vuoto.

25
ll fronte che guarda verso valle, disteso lungo una linea Spezzata, ha l’aspetto di mura urbane
dominate da due torri: quelle della cosiddetta Facciata dei torricini. Essa sottolinea l’importanza
assunta dal nuovo orientamento della città.
Due torri cilindriche (dotate di beccatelli e terminanti in guglie con copertura conica) serrano la
facciata, dalla quale sporge un triplice loggiato sostenuto da un arco dai piedritti scarpati che
contribuisce non poco a ingentilirla e a sottolineare l’aspetto inoffensivo delle torri stesse.
Il motivo architettonico delle logge sovrapposte, una sorta di arco di trionfo moltiplicato in
verticale, non è ripetitivo, perché ogni livello, in particolare il secondo e il terzo, si differenzia dagli
altri nel trattamento degli ordini architettonici e nel cassettonato delle profonde volte a botte.
Si dubita che tale facciata possa essere del Laurana (o tutta sua). È forse più probabile pensarla
frutto di riflessioni e contributi non solo dell’architetto dalmata, ma anche di Francesco di Giorgio,
di Piero della Francesca e, soprattutto, di Leon Battista Alberti.
ll grande cortile d’onore la cui parte inferiore fu costruita durante la permanenza del Laurana a
Urbino, ma del quale Francesco di Giorgio edificò le soprallogge -presenta slanciate colonne dal
fusto liscio, ornate di capitelli compositi all’antica, sui quali poggiano archi a tutto sesto.
Contrariamente al fiorentino Palazzo Medici, che reca colonne agli angoli, a Urbino il cortile
presenta una soluzione angolare più complessa. Infatti al piano terreno l’angolo è conformato a
«L», con coppie di paraste e semicolonne addossate. Al secondo ordine, invece, scandito da
paraste, in angolo sono collocate paraste e controparaste.
Una strada, che corre ripida lungo il fronte posteriore del palazzo, conduce al possente torrione
della Data. Percorribile anche a cavallo, la rampa elicoidale che essa ospita sfocia sul Mercatale,
immensa e ingegnòsa piazza nel fondovalle, ultima propaggine edificata a servizio dell‘immenso
palazzo.
Per Pienza, piccola località di provincia a cui la mente di un papa colto e letterato aveva voluto
forzatamente attribuire un ruolo di protagonista difficile da recitare, la sola morte di Pio II fu
sufficiente a interromperne di colpo e per sempre lo sviluppo. A Urbino, invece, fu proprio la
piccola dimensione dell’abitato a far sì che si compisse il miracolo, irripetibile, della fusione fra la
città e il Palazzo Ducale tanto che, addirittura, negli osservatori acuti e raffinati del tempo si formò
la convinzione della coincidenza fra l’una e l’altro. E tale ancora ci appare in quanto la
straordinaria emergenza architettonica ha condizionato, di fatto, anche lo sviluppo successivo
dell’intera cittadina. Le necessità di costruzione, prima, e di servizio e manutenzione, dopo,
finivano per assorbire l’intera manodopera maschile e femminile dell’allora piccolo borgo di
Urbino, determinandone l’economia, gli equilibri sociali e persino i ritmi della vita quotidiana.
L’unicità dell’esperienza urbinate non poteva quindi essere esportata in altre situazioni territoriali
o socio-politiche.

FERRARA Già dal Trecento Ferrara era una delle città più importanti della Pianura Padana. Nel
Quattrocento poteva vantare una situazione economica florida ed era sede di una corte -quella
degli Estensi -colta e raffinata, che ospitava l’Alberti, Piero della Francesca e Andrea Mantegna.
Nel 1492 il duca Ercole I d’Este (1431-1505) dette il via ai lavori per l’ampliamento della città
affidandone la progettazione e l’esecuzione all’architetto ferrarese Biagio Rossetti (1447-1516).

26
L’ampliamento, noto come «addizione ercùlea» (dal nome del duca), è giustificato essenzialmente
da motivazioni d’ordine militare, economico e demografico.
Nel 1484, infatti, Ferrara aveva sperimentato l’inadeguatezza delle proprie fortificazioni nella
disastrosa guerra contro Venezia. Si rendevano pertanto necessarie nuove cinte murarie
fortificate, tali da resistere a un esercito equipaggiato modernamente e aggiornate in base alle più
recenti tecniche belliche, basate soprattutto sull’uso di potenti armi da fuoco a lunga gittata. Gli
abitanti, inoltre, erano in aumento e gli alloggi scarseggiavano.
Le aree di proprietà ducale che sarebbero state inglobate dalle nuove mura, passando da una
destinazione agricola (quindi scarsamente redditizia) a quella urbana, sarebbero aumentate di
valore grazie alla possibilità di essere edificate. Ciò avrebbe portato notevoli benefìci alle casse
ducali innescando un processo che oggi definiremmo di speculazione edilizia, in quanto nella
stessa persona del duca erano riunite sia la figura del proprietario terriero sia quella del legislatore
che legifera a proprio esclusivo vantaggio.
Il piano di ampliamento è innanzitutto progettazione dei tracciati stradali. Infatti, come in
un'antica città romana, l'intero sistema viario si organizza secondo uno schema cardo-decumanico
parallelamente a due assi ortogonali: via degli Angeli (da Nord a Sud) e via dei Prioni (da Ovest ad
Est). La prima (ora corso Ercole I d‘Este) congiungeva il Castello Estense - centro del potere- con il
Castello di Belfìore; la seconda (ora corso Porta Po, corso Rossetti e corso Porta Mare) attraversava
interamente la città mettendo in comunicazione due porte aperte nello spessore delle nuove
mura.
La piazza venne realizzata, invece, in posizione decentrata lungo via dei Prioni (la piazza Nuova, ora
piazza Ariostea). Sono le strade che vengono costruite per prime, si tratta allora di un vero e
proprio “piano regolatore”, per cioè di un progetto che individua secondo determinati criteri la
localizzazione delle varie attività produttive, residenziali e di servizio, prendendo in considerazione,
in particolare, le ipotesi o le tendenze di sviluppo futuro.
Le strade impongono una visione prospettica di scorcio degli edifici che via via si costruiscono
lungo di esse e non sono studiate in modo da avere come sfondo un edificio monumentale.
Biagio Rossetti curò in modo particolare l’incrocio delle strade privilegiando le cantonate dei
palazzi che risultano particolarmente elaborate e ornate. Sono allora la strada e la città la
dimensione dell’intervento progettuale e non più il singolo edificio. Ne è un esempio l’incrocio di
via degli Angeli con via dei Prioni con la presenza del rossettiano Palazzo dei Diamanti (cosi detto
per la forma a punta di diamante delle bugne che lo rivestono) e dei Palazzi Prosperi-Sacrati e
Turchi-Di Bagno.
I lavori di ampliamento si protrassero per tutto il Cinquecento, ma le previsioni di piano non si
realizzarono. La popolazione smise di crescere e molte aree rimasero inedificate. Una profonda
crisi economica iniziata sotto Ercole II rallentò i lavori e il passaggio della città sotto il governo
diretto della Chiesa, nel 1598, ne bloccò definitivamente il processo di sviluppo. Da capitale di un
piccolo e fiorente ducato Ferrara venne così ridotta al rango di cittadina provinciale di scarsa
importanza, posta com’era agli estremi confini settentrionali del dominio pontificio.

ADDIZIONE ERCULEA – QUADRIVIO DEGLI ANGELI è un'opera urbanistica iniziata a Ferrara alla fine
del XV secolo per iniziativa del duca Ercole I d'Este e realizzata grazie al suo architetto di corte
27
Biagio Rossetti. Fu la prima nel suo genere per estensione e organicità, tale da renderla, secondo
Bruno Zevi la prima città moderna europea. Si concluse agli inizi del XVI secolo, con la morte del
duca, ma l'impianto della città nato in quel periodo rimase inalterato per i secoli successivi.

Un vero e proprio raddoppio della città fondato su principi razionali.


Viene affidata la realizzazione all'architetto Biagio Rossetti. I progetti si avviarono nel 1484 in
seguito all'assedio di Ferrara da parte della Repubblica di Venezia. Le prime motivazioni quindi
erano essenzialmente difensive, espandendo l'area cittadina compresa entro le mura (Il Baluardo
del Barco è fra i più arcaici esempi di fortificazione alla moderna) ma nel progetto non mancò una
visione urbanistica legata al concetto di città ideale ed una realizzazione delle aspirazioni di Ercole,
legate alla sua formazione alla corte di Napoli, dove aveva imparato ad amare l'architettura classica
e l'arte.
L'opera, che fu realizzata tra il 1492 e il 1510, esaltava il prestigio della corte estense e la metteva
in competizione con le più importanti corti europee.
Innanzitutto fu interrato il fosso della Giovecca, facendone una larga strada che facesse da cerniera
con la parte antica della città: in corrispondenza degli sbocchi delle vie medievali fece infatti
prolungamenti regolari, fondendo organicamente il vecchio e il nuovo. La nuova parte, rifacendosi
all'urbanistica romana nelle descrizioni di Vitruvio, aveva una rete viaria ortogonale che si
articolava su due assi principali:
-Un lungo viale, che per un certo periodo fu chiamato via degli Angeli, che correva da Sud verso
Nord e collegava il Castello Estense con la Porta degli Angeli, sulle mura verso rampari di Belfiore,
(l'attuale corso Ercole I d'Este).
-Una via lunghissima che correva da Est a Ovest collegando Porta Po e Porta a Mare presso i
bastioni delle mura, chiamata via dei Prioni e via degli Equinozi (oggi divisa, da ovest ad est, corso
Porta Po, corso Biagio Rossetti e corso Porta Mare).
Il secondo asse, in particolare, era completamente nuovo e dal sapore pienamente "pubblico" (a
fronte dell'altro asse che restava legato al passaggio dei duchi) e venne particolarmente enfatizzato
con una grande piazza alberata, l'attuale piazza Ariostea.
La parte "nuova" della città venne (ed è) chiamata Arianuova.
Per integrare l'addizione con il resto della città e stemperarne la possibile rigidità dello schema,
Rossetti lasciò zone verdi che fungessero da "pausa" nel tessuto edilizio e, per gli edifici da lui
progettati, continuò ad usare il tradizionale cotto.
Andrea Bolzoni, per produrre la sua pianta piano-prospettica della città di Ferrara, partì dal periodo
dell'Addizione Erculea. Seguendo un modello di città ideale integrò l'esistente secondo il suo
giudizio, aggiungendo edifici e coprendo spazi vuoti che, a suo giudizio, andavano utilizzati.
Ottenne così un progetto, più che una vera pianta di Ferrara, una prefigurazione di quella che
avrebbe dovuto diventare, un vero e proprio piano regolatore utilizzato sino alla metà del secolo
scorso.
Nel Quadrivio degli Angeli si incrociano due assi fondamentali dell'addizione e vi si affacciano il
Palazzo dei Diamanti, il Palazzo Turchi di Bagno e il Palazzo Prosperi-Sacrati. Qui è evidente la scelta

28
di Rossetti di non caricare questo spazio cruciale con un elemento statico come una piazza, né di
caratterizzarlo con vedute monumentali, preferendo vedute di scorcio delle architetture.
L'edificio di maggior pregio è il palazzo dei Diamanti, che deve il nome all'impresa di Ercole I e della
casata estense ed è caratterizzato da un rivestimento a bugne appuntite che creano un suggestivo
effetto di chiaroscuro. Il palazzo presenta lastre decorate da candelabre in corrispondenza
dell'angolo sul quadrivio, dove si imposta anche un balcone. Gli altri edifici sul quadrivio non ne
eguagliarono l'imponenza, concentrandosi piuttosto sulla ricerca di effetti di variazione, con grandi
portali o pilastrate d'angolo (rivestimenti marmorei decorati, posti sugli spigoli degli edifici).
Il risultato urbanistico, una struttura ortogonale composta da angoli retti e linee dritte, è rimasto
ad oggi intoccato nella sua logistica e razionalità moderna. La nuova situazione urbanistica
ferrarese fu infatti, nel panorama italiano ed europeo del tempo, la più moderna e anche la più
duratura. Spariva la netta divisione tra città dei signori e città dei sudditi (come avveniva
a Mantova) ed il rapporto di sudditanza tra le due (come nell'urbanistica di Pienza) ed era presente
un'integrazione armonica tra le parti, ciascuna con la propria caratterizzazione. Un completo
sviluppo dell'Addizione avrebbe dovuto essere completato in tempi successivi ma la ridotta crescita
demografica e la successiva devoluzione di Ferrara bloccarono il progetto.

VILLA NEL RINASCIMENTO Definire la villa Sono i romani a costruire le ville per primi , si parte
da teoria ; che cosa è la villa ? Da J.S.Ackermann : la villa è un edificio progettato per essere in
campagna e finalizzato a soddisfare l’esigenza di svago e di riposo del suo proprietario. Può essere
a capo di un centro agricolo ma è destinato a serenità e riposo del proprietario. Ciò che la
distingue dagli edifici agricoli è che è l’edificio residenziale del proprietario , gli edifici agricoli
possono avere usi diversi. La villa deve essere il risultato sempre il progetto di un architetto , è il
risultato di un pensiero progettuale. La villa è il prodotto tipico della capacita creativa di un
architetto. La villa risponde ad un’idea specifica , la villa è il prodotto di una confluenza di volontà
quelle del committente e architetto , serve a esaudire il desiderio del riposo, isolamento e
rappresenta il committente. Non ci sono ville uguali , le persone sono tutte diverse tra loro.
Rappresenta e ospita un benessere psicologico che solo in lei può avvenire , la villa da 2000 anni ,
da quando è stata messo a punto l’idea della villa è sempre posta all’idee del proprietario di riposo
, isolamento , rilassamento. Nel de aedificatoria di Alberti racconta abbondantemente della villa ;
più si è benestanti si costruisce in campagna con più vastezza , grandezza laddove non ci sono
limiti di spazio , qui gli spazi sono tutti liberi , tutti i desideri possono essere esauditi e questi
desideri partono da un istanza psicologica che portano i desideri ad essere di tipo individuale ,
specifici per ognuno. Sempre alberti dice che la villa è un luogo di piacere ma inizialmente no ,
ventilazione , panorama , esposizione al sole saranno piacevolezze necessarie per la locazione
della villa. Dovrà essere bene in vista e godrà della vista sulla città, su forti, su mare… Laddove si
trova la villa intorno il territorio non importa sia fertile ma che sia utilizzato per la caccia e per la
pesca che sono delle attività nobili che spesso i proprietari praticano.

VILLE ROMANE Partendo dal mondo romano dipinti del primo secolo avanti cristo con soggetti di
villa , corpo centrale con 2 ali simmetriche , quello che viene sempre rappresentato
29
nell’iconografia della villa. La villa è straordinariamente decorata , lussuosa e interno dipinto ,
mosaicato , decorato. I principali trattatisti Catone , Varrone e Columella trattano di agronomia
come vivere in campagna , nei quali si discute sul modello di villa-fattoria romana Sia Catone che
Varrone descrivono villa rustica , edificio essenziale , comodo per svolgimento di attività di signore
del luogo, signore capo della sua tenuta agricola e lavora personalmente la terra. È un signore che
segue il motto latino mens sano in corpore sane. La casa è bella comoda ma è rustica , è un luogo
di lavoro. Columella descrive una villa divisa in rustica quella già descritta prima e destinata per
contadini e urbana perché è il luogo di residenza del proprietario, elegante con alloggi per le
diverse stagioni. Infine descrive la villa marittima, priva di finalità agricole, edificata sui litorali e
protesa sull’acqua. OTIUM - NEGOTIUM Mentre prima si pensava che la villa fosse luogo di lavoro
dal primo secolo a.c diventa luogo di otium , opposto al negotium (occupazione urbana , li
chiunque può disturbarlo, creagli preoccupazioni) , l’otium che raggiunge nella residenza di
campagna è il tempo libero dalle occupazioni e preoccupazioni , può finalmente pensare alle cose
che ama e lo deliziano, odio intellettuale che permette di parlare con gli amici di economia,
commerci , futuro, qualsiasi cosa consenta al proprietario di stare bene.

VILLA DI SAN ROCCO A FRANCOLISE Due parti , una urbana , una rustica , le ville vengono iniziate
in una data e costruite in molto tempo. Vengono a volte ampliate diverse zone e questa gestazione
vede nuove trasformazioni dovute all’aggiunta di nuovi poderi da parte del proprietario. A sinistra
la villa urbana con forma planimetrica che riprende la domus urbana , vede la sua origine li. Come
tale la villa viene costruita con spazio di accesso che si apre su vestibolo per poi aprirsi su cortile a
peristilio, nella villa extraurbana le cose possono ripetersi come in città ma non è detto che i vani
rimangono uguali, possono essere invertite le posizioni. Attorno al peristilio le camere da letto ,alla
fine di esso si apre loggiato che da accesso alla strada che divide la parte rustica da urbana , nella
parte rustica c’è altro portico e cisterna di acqua dolce. La villa viene costruita su sorta di
basamento che ne regolarizza la forma. Spesso la villa è posta su terreno scosceso che viene
regolarizzato , questo fenomeno porta gli studiosi a parlare di base svenile , una struttura su cui si
costruisce la villa vera e propria , un basamento, un podio su cui viene poggiata la struttura.

VILLA DI SETTEFINESTRE Vicino a Capalbio, ha un impianto simmetrico c’è vestibolo , un impluvio


di raccolta acqua , un taglino e poi il peristilio un impianto simmetrico , a sinistra sala corinzia a
destra le terme. Un impianto gigantesco che prevede anche un impianto termale. Dalla parte in
basso a sinistra si vede loggiato che si apre su una corte. Al di sotto del loggiato una muraglia che
ci fa capire che probabilmente anche questa villa è posta su podio. C’è una struttura difensiva della
villa , un architetto del 400 con un disegno ha tratteggiato il rudere dove vediamo una muraglia
con torricine e un cripto portico. È un passaggio libero sotterraneo , talvolta sottoterra ed è una
delle caratteristiche più diffuse nelle ville più antiche. Si costruisce il podio che non viene lasciato
liscio ma viene realizzato CriptoPortico.

VILLA DEI MISTERI Pompei Villa dedicata ai misteri dionisiaci. Affaccia sulla baia di Napoli , ha
impianto simmetrico.Asse verticale che va da nord a sud e dalla via pubblica si può entrare nel

30
peristilio. L’esedra è una parte di edificio che guarda sulla baia di napoli. C’è simmetria assoluta ,
c’è giardino pensile che poggia su cripto portico.

VILLA DI OPLONTIS Villa che affaccia su baia di Napoli , non ha impianto completamente
simmetrico, si inizia a sentire stretta la simmetria assoluta Prevede parte composta da atrio su
esterno , tablino, un giardino. A sinistra quartiere termale, sulla destra insieme di quartieri attorno
ad un peristilio che tramite un corridoio portano ad un ampliamento della villa. La villa comincia il
bisogno di non essere completamente simmetrica ma di disporsi in maniera più complessa nel
territorio. Dentro troviamo affreschi del quarto stile pompeiano, affreschi in
prospettiva.LAURENTINUM e TUSCI ville di Plinio il giovane, console avvocato e letterato, vive tra
61-114 d.c nipote di Plinio il vecchio è colui che ci ha lasciato descrizione dell’eruzione del Vesuvio.
Il nipote viene educato dallo zio ad essere grande studioso. La prima in foto vediamo
ricostruzione , è rimasto poco e nulla , no criterio simmetrico, non abbiamo riferimenti assoluti Le
ville di Plinio sono interessanti perché si sviluppano le esigenze di lusso e rappresentatività che
ormai sono affermate nel primo secolo dopo cristo.Ci sono molte ricostruzioni ma la cosa
fondamentale è che in ognuna di queste residenze sono sempre presenti elementi fondamentali
della composizione della villa ; è composta in vani , ha sale di ricevimento , ha parte per impianti
termali, ha grande giardino e in esso si sviluppa una serie di piccole architetture che servono a
svolgere momenti di piccola ospitalità. TUSCIS Impianto apparentemente simmetrico in realtà non
simmetrico visibile dalla pianta anche per questa ci sono varie ipotesi e ricostruzioni. Si vede
ippodromo , spazio allungato con lato curvato e sorge inizialmente come giardino anche destinato
a corse di cavallo inseguito perde la funzione e rimane a svolgere il ruolo di giardino , Plinio lo
descrive come uno spazio specializzato dove ci sono rilievi marmorei , fontane , piante e piatti che
scivolano sull’acqua. Un luogo di benessere assoluto.

VILLA DI VAL CATERA, ISOLE BRIONI Troviamo una villa rustica, urbana , un’area sacra con templi,
biblioteca , ginnasio , bagni , portici. Aveva un numero straordinario di poderi e i principali
commerci si effettuavano tramite il porto.Ci fa vedere come ormai gli impianti simmetrici vengono
parzialmente accostati e vengono ora sviluppati in base alla spazio

VILLE MEDICEE Ville protorinascimentali , le più antiche ville medicee sono il modello per le nuove
idee di ville del rinascimento. Villani diceva che coloro che investivano nelle residenze fuori città
erano ritenuti matti , gli stranieri non si trovavano di fronte a muraglia urbana ma si trovavano di
fronte a miriade di ville che punteggiavano il territorio extraurbano fiorentino. Edifici turriti , ma
anche dotati di grandi logge erano al primo posto tra gli edifici che si trovano nelle campagne
vicino a Firenze, spesso questi edifici erano chiusi con coronamento merlato appoggiato su
mensoloni che ospita fessure tipiche di questo periodo. TREBBIO IN MUGELLO Villa acquisita dai
Medici che confluisce nelle proprietà di Cosimo il vecchio. La villa del trebbio è residenza che la
famiglia acquista e che verrà completamente ricostruita e trasformata tra 1427 e 33. Corpo basso
con cortile , corpo alto turrito , beccatelli sostengono un camminamento. Abbiamo finestre grandi
che somigliano a finestre del palazzo urbano , la torre rimane chiusa ed è lo strumento che serve
per riaffermare i loro valori.CAFAGGIOLO Anch’essa acquisita dai medici e rielaborata da
31
Michelozzo , c’è muraglia difensiva , due torri e int teoria anche un fossato circostante. Certa
rusticità , merli e carattere fortilizio , tutte le tenute avevano poderi intorno. I medici amano
svolgere la loro attività di mercanti in città ma anche diversificare gli investimenti con ville di
campagna.

VILLA DI CAREGGI Villa che sarà particolarmente amata da Lorenzo il magnifico, già dal 1417 in
proprietà dei medici , Michelozzo avrà relazione solida con i medici. Ennesimo fortilizio,
Michelozzo crea un cortile loggiato su due fronti e altre due loggie con due corpi. Importante il
sostegno del camminamento e le finestre grosse. Due loggie parallele sopra il quale passa un
passetto un corridoio chiuso appoggiato su setti murari che terminano a sostegno di un enorme
mensolone. Abbiamo pilastri a forma ottagonale con capitelli a foglie d’acqua che reggono arcate a
tutto sesto.

VILLA MEDICEA DI FIESOLE La villa insieme alle altre ville è un punto di riferimento , viene
costruito su commissione di Cosimo per il figlio Giovanni , non possiede nessun podere circostante
È priva di legami agricolo , è una villa con cui il proprietario ha rapporto di benessere assoluto ,
circondata da giardini e vicino alla città , stabilisce un aspetto fondamentale : la non esigenza di
una tenuta agricola in associazione all’idea di villa. La villa costruita sotto progetto di michelozzo e
appoggiata su costone roccioso e si presenta come un volume cristallino , intonacato , un rifugio e
che Vasari ci racconta che fu costretto l’architetto perché lavorare su questo costone non è stato
semplice. La pianta è molto semplice , fatta con due loggiati opposti , una grande sala e altri vani. È
una villa priva di una corte centrale, silum cuore della casa.

RESIDENZA DI POGGIO A CAIANO Realizzata su progetto di giuliano da sangallo per volere di


Lorenzo il magnifico come si differenzia ?Prima di tutto la villa è preceduta da grande cascina che
vengono costruite a poggio a calano , già dal 1477 , Dosio ci testimonia anche una protezione , un
bastione a circondare la cascina di poggio. Lorenzo fantastica di realizzare la fattoria ideale grazie
alle numerose acquisizioni di poderi e terreni. Vi erano edifici per controllo dei poderi , per
l’agricoltura e uno grande per ospitare i contadini. Quando Lorenzo vuole sostituire il palagio che
c’era con una vera e propria villa , il progetto a giuliano da San Gallo (autore di diversi palazzi) , la
villa si compone di forma quadrangolare appoggiata su larga base raggiungibile da coppia di scale ,
si arriva in loggia si sbarca su vestibolo e una volta attraversato si arriva a grande sala , è il silum il
cuore della casa , spazio coperto, il luogo in cui la famiglia si incontra e si svolgono i maggiori
momenti delle situazioni familiari. 4 appartamenti con 4/3 stanze agli angoli della villa , è
famosissima per la facciata di tempio , realizzata perché si segue un punto albertiano (nel de re
edificatoria), trasferire il timpano del tempio sulla facciata di un tempio. È proprio Lorenzo de
medici che farà pubblicare il de re aedificatoria di Alberti. La villa deve essere ammirata , nei
dintorni abbiamo poderi vengono posti molti animali (anche esotici —> giraffe , cervi) l’idea è
quella di realizzare la villa degli antichi.Loggiato in Base sfille È qui che giuliano realizza due soffici
voltati , uno parallelo alla facciata e un altro voltato a botte (inventata dai romani) quello nella sala
principale.

32
VILLA DI POGGIO REALE (1475-1554)
uno degli edifici più importanti del panorama rinascimentale napoletano. ubicata a Poggioreale
(fuori le mura di Napoli) - compresa in un'area tra le attuali via del Campo, via Santa Maria del
Pianto e le vie nuova e vecchia Poggioreale.
Nel 1487, il Duca di Calabria e futuro re Alfonso II, acquistando una masseria al "Dogliolo", decise
di realizzare una residenza reale extra moenia (fuori dalle mura). Il progetto della residenza venne
affidato all'architetto fiorentino Giuliano da Maiano che, giunto in città nel 1487 con il modello
della villa elaborato a Firenze, iniziò i lavori e continuò a dirigere il cantiere fino alla sua morte,
avvenuta nel 1490, quando l'edificio era sostanzialmente completato ed in parte utilizzato.
L'opera, fu poi continuata, forse da Francesco di Giorgio e allievi del Da Maiano, diventando il
luogo privilegiato per i ricevimenti della corte.
Il disegno della villa ebbe notevole successo, tanto che la struttura venne citata anche nel Libro III
del trattato di architettura cinquecentesco di Sebastiano Serlio e, grazie a questa pubblicazione, ci
si può ancora fare un'idea dell'aspetto della villa:
L'edificio principale era caratterizzato da un impianto molto originale, con richiami all'antico
adattati alle esigenze contemporanee. La tipologia di base era infatti la villa antica con peristilium,
contaminata con esigenze difensive da un castello medievale e con quelle di residenza, svago e
rappresentanza legate alle necessità di una corte di fine secolo.
Ne nacque un edificio di dimensioni relativamente contenute, caratterizzato da un corpo
principale a base quadrangolare, con quattro ali sporgenti agli angoli, simili a torri angolari, ma di
altezza uguale al resto del fabbricato. L'edificio era porticato sia sul lato interno, intorno ad un
cortile quadrato, pavimentato con mattonelle di ceramica invetriata, infossato per cinque gradini,
che richiamava modelli antichi, quali i teatri e le vasche termali. Il cortile, secondo un modello di
Vitruvio, poteva essere coperto con un solaio ligneo per essere sfruttato per feste e
rappresentazioni, oppure essere allagato come effetto scenico. L'edificio principale affacciava su
un giardino quadrato antistante e su un grande cortile laterale con edifici di servizio. Il complesso
continuava con una loggia su due piani, una peschiera ed aree a giardino, sempre lateralmente
rispetto all'edificio principale Nell'interno vi erano numerosi affreschi.
Il complesso era completato da un grande parco, adibito a bandita di caccia, che arrivava al mare.
La villa, a causa di nuomerose vicissitudini belliche, andò in malora. Nel 1604 cominciò la rinascita
del complesso.

NAPOLI, ROMA Negli stessi anni a Napoli viene costruita la villa di Poggioreale , forma
quadrangolare con 4 prospicenze agli angoli. Visibile nel trattato di Sebastiano Serlio , non più
visibile materialmente. Alfonso II d’Aragona chiede aiuto a Lorenzo che invia giuliano da Maiano.
La villa presenta spazio vuoto centrale e scoperto. , cortile in fossato , svolge funzione di sala
all’aperto che serve per svolgere attività in momenti divertenti, estivi. Agli angoli abbiamo 4
appartamenti collegati da ulteriori loggiati. È architettura aerea , più di parti aperte che chiuse.
Forse questo cortile è il proscenio , e tutto lo spazio circostante ospita gli ospiti di Aragona , i
piccoli appartamenti sono cosi piccoli che ospitano con difficoltà la corte di affonso.

33
VILLA DEL BELVEDERE A ROMA Dalla fine del 400 , belvedere di Innocenzo 8 , è una via di fuga per
il papa per scappare dai doveri papali , edificio a due piani con base inferiore solida e appare idea
del cripto portico , la villa all’antica deve avere caratteristiche come il cripto portico. Due corpi
quasi simmetrici e nonostante la villa si apra sul paesaggio sulla sommità di questo manufatto
vediamo i merli. La villa per tutto il 400 afferma questo dualismo ma ora a Roma finirà il
dualismo.La villa subirà trasformazione quando verrà a far parte dei musei vaticani. La villa si
trovava aldilà di una piccola valletta a 300m dai palazzi vaticani , piccola ma utile al suo benessere ,
gli permette di allontanarsi e immergersi nelle opere d’arte che ripone all’interno della villa. Ecco
che il belvedere ospiterà tutte le stanze del papa ma anche la sua collezione di opere d’arte. Giulio
secondo inviterà bramante a realizzare un giardino per collegare il belvedere e la sede papale.

VILLA CHIGI DETTA LA FARNESINA Viene realizzata residenza vicino al Tevere in una zona che non
aveva dato nell’occhio a nessuno. Baldassare Peruzzio progetta la villa. Si realizza residenza
extraurbana , ha pianta ad U con due protuberanze che non sono poggiate ma ospitano al centro
una parte loggiata , e un’altra importante facciata poggiata viene disposta sul fronte Tevere. La
situazione non è bucolica come in campagna ma il territorio poco edificato lo rende un posto
perfetto per una residenza urbana che riprende le caratteristiche di quella di campagna.

VILLA LE VOLTE Pianta a u , in molte parti della villa i dipinti coprono molte superfici e in molte
delle ville di questo periodo si adottano le grottesche.

VILLA MADAMA A ROMA Villa non terminata , a partire da 1518 per volere di Leone X quando
morirà il progetto passerà a clemente 7. Disegnato da giovanfrancesco da Sangallo , doveva essere
un progetto grandioso e posizionato su monte Mario, ora sede del governo degli esteri. Si progetta
impianto quasi simmetrico , si vuole realizzare recinto in parte fortificato, la corte circolare dava
accesso a sud ad un teatro dall’altra parte dava accesso ai principali appartamenti. Troviamo
anche uno Xystus (giardino) sotto di esso si trova una peschiera , un vivaio. Proprio Raffaello nel
descrivere la villa parla di edificio all’antica.Viene realizzata una porzione della corte centrale e
degli appartamenti , non fu completata. Nel 900 ha subito delle trasformazioni.

PALAZZO MEDICI RICCARDI Capolavoro di Michelozzo resta il Palazzo Medici: (1444-1464), il


capostipite dei palazzi fiorentini «alla moderna». Fu Cosimo il Vecchio a volerlo e ad affidargliene
la costruzione, dopo aver rinunciato a un progetto presentatogli dallo stesso Filippo Brunelleschi.
Fondamentale e strategica è la posizione del palazzo all’interno del tessuto urbano di Firenze.
Situato all’incrocio di due strade, lì dove l’attuale via Martelli piega verso Nord-Ovest
restringendosi a formare la via Larga. In tal modo esso si impone alla vista di chi proviene dalla
cattedrale o dal battistero, rivelando, così, la sua collocazione nei piani più alti della gerarchia
politico-architettonica della città toscana.
Il grandioso palazzo (giunto a noi dopo i rimaneggiamenti cinquecenteschi e le massicce aggiunte
dei nuovi proprietari -i Riccardi- negli anni 1670-1720) aveva una forma originariamente cubica.
Come in una domus romana i vari ambienti si articolano attorno a un cortile centrale al quale si
perviene attraverso un vestibolo coperto da una volta a botte. Alla sinistra il portico introduceva
34
alle scale che conducevano ai piani superiori e alla cappella di famiglia. Oltre il cortile, infine, si
apriva un giardino chiuso da alti muri.
Esternamente l’edificio si presentava con un bugnato rustico assai pronunciato al piano terreno,
meno accentuato e molto più regolare al piano primo e con conci appena rilevati al piano secondo.
Tale differenziazione di trattamento si accompagna alla progressiva diminuzione d’altezza dei piani
e all’imponente cornicione all’antica (con modiglioni preceduti nella sottocornice da motivi a
dentelli e a ovoli e dardi), che sostiene il forte aggetto del tetto e chiude, superiormente, il blocco
compatto del palazzo. In luogo degli attuali finestroni michelangioleschi, in origine l’angolo sinistro
dell’edificio presentava due grandi arcate che consentivano l’accesso a un’imponente loggia
aperta .
La differenziazione dei bugnati che Michelozzo applica qui per la prima volta sarà destinata a
diventare il riferimento d’obbligo per l’esecuzione del paramento murario esterno di ogni
successivo palazzo rinascimentale fiorentino. Anche il cortile centrale, porticato con archi e
colonne al piano terreno, chiuso con finestre a bifora al piano primo e coronato da una loggia
architravata al piano secondo, diventerà uno degli elementi più ricorrenti e caratterizzanti della
nuova tipologia edilizia privata tra Quattro e Cinquecento. In esso la scelta delle sole colonne (con
capitello sormontato da una cimasa a gola), l’architrave tangente alle ghiere degli archi, l’alto
fregio, la cornice su cui poggiano direttamente le bifore rivelano la dipendenza dal brunelleschiana
Spedale degli Innocenti. La colonna d’angolo, vera cerniera della fabbrica, dà luogo alla poco felice
posizione delle finestre del primo piano, più vicine all’angolo stesso. Esse sono estremamente
ravvicinate, rompendo, così, il ritmo dimensionale del cortile.

Dal soffitto della cappella dei magi si ricava dalla pianta quadrata , scarsella quadrata poi c’è taglio
non previsto inizialmente , impianto è brunelleschiano. La datazione del nuovo palazzo è 1444 e
1464 perché i primi acquisti risalgono al 1444 , secondo Vasari abbiamo voce che anche
Brunelleschi ha fatto parte del progetto. Una studiosa America ha dimostrato come l’edificio vada
assegnato a Brunelleschi ma ancora è assegnato a Michelozzo. Ma qualora la caratteristica del
palazzo? Era quella di essere situato in angolo , lungo un percorso cerimoniale , i percorsi
cerimoniali si erano ormai consolidati , partivano da Piazza Duomo proseguivano per via larga poi
piazza san marco poi Santissima Annunziata (dove si svolgevano le feste dedicate
all’annunciazione) poi il corteo ritornava verso il duomo e verso la cupola. Dalla metà del 600 si è
esteso , ha estensione maggiore sulla via larga mentre su via dei fori l’estensione rimasta invariata.
La processione si imbatteva in questo palazzo di spigolo, d’angolo perché accanto al palazzo non
c’era ancora la chiesa di san Giovannino ma c’era un piccolo oratorio dunque la processione si
imbatteva in questo palazzo cogliendolo d’angolo. Il palazzo è stato a lungo il luogo dove si sono
svolti eventi molto importanti per la città di Firenze , è stato il luogo dell’episodio (1494) “voi date
fiato alle vostre tombe noi suoneremo le nostre campane“ significava che Carlo 8 minacciava
firenze allora i fiorentini avrebbero suonato la campana della martinella che avrebbe radunato i
fiorentini. Appena costruito il palazzo , esso trova nell’iconografia del Massaio una
rappresentazione , il palazzo era un edificio cubico dove all’interno trovavano spazio non solo
stanze nuove in modo tale che ad ogni stanza una sola funzione ma si trovavano anche spazi
aperti, il palazzo aveva un ampio giardino anch’esso racchiuso da mura , in questo modo si poteva
35
accedere al giardino senza passare dall’interno. Se noi guardiamo la pianta notiamo come il
palazzo è in sequenza vestibolo - cortile - giardino. Michelozzo riprende una consolidata tradizione
della domus romana con la sua consequenzialità e la ripropone in un ambiente moderno. Però
siccome il committente mette sempre bocca sulla realizzazione ; qui troviamo la loggia d’angolo
(tra via cavour e gori ) serviva per svolgere i commerci come banchieri. Al piano terra c’era il
cortile , la loggia nel giardino , la scala d’accesso , una sala grande , una camera , uno scrittoio , la
camera di Lorenzo il magnifico. Al piano superiore c’era la cappella , la sagrestia , la sala grande. Le
planimetrie furono desunte da von Stegman e Geymuller. Nel 1990 un altro studioso Bulst ha
scoperto in un fondo della guardaroba medicea erano finite delle piante di palazzo medici del 1650
quando ghirardo girdani realizza le piante. Prima che i riccardi realizzino i lavori nel palazzo
vengono realizzate queste piante. Dalla pianta del primo piano ci rendiamo conto come la sala
grande era questo spazio grandissimo ad angolo. La sala grande era utilizzata anche come teatro
per mettere in scena spettacoli teatrali (si vedono le quinte sceniche). Dopo la pubblicazione di
queste piante un nuovo interesse è affiorato , emerso. Al centro del palazzo c’era il cortile che
dava luce alle stanze ma aveva qualcosa che ben presto diventerà un motivo ricorrente ,
sovrapposizione di arcate di tipo brunelleschiane sovrapposte a bifore e all’ultimo livello una
loggia aperta che poi verrà chiusa. Le bifore che Michelozzo aveva voluto all’esterno diviene ben
presto uno strumento di diffusione del messaggio architettonico. L’altra loggia quella all’angolo tra
via cavour e dei gori era inizialmente aperta e serviva per i banchi dei commerci dei Medici, la
loggia viene poi successivamente chiusa da un intervento di Michelangelo Buonarroti , si
realizzano finestre inginocchiate (per la forma delle mensole). La caratteristica del palazzo è il
bugnato , un sistema di trattamento superficiale della pietra. Che cosa pensa Michelozzo? Bugnato
decrescente dall’basso all’alto , al piano terra un bugnato rustico, al primo livello un pochino più
liscio e infine all’ultimo livello un bugnato inesistente. I portali sono a tutto sesto con attorno una
ghiera dell’arco lavorata mentre le finestre sono caratterizzate dalla partitura a s delle bifore che
utilizzano archi a tutto sesto. Tornando a palazzo medici , a cosa potrebbe aver guardato
Michelozzo ? Palazzo vecchio , il bugnato del palazzo dei Priori era un esempio che michelozzo ha
seguito. Per le bifore ? Quelle di palazzo vecchio hanno caratteristiche del 300 fiorentino. E anche
orsamichele. Il cuore del palazzo il cortile inondato di luce , opta per una semplice colonna
nell’angolo con il cortile, se noi ingrandiamo il punto dell’angolo le finestre slittano si allontanano ,
ed è buona soluzione ingrossare il punto d’angolo in modo da allontanarci dall’angolo e non avere
bifore concentrate nella parte superiore. Infine il giardino nella parte retrostante era utilizzato per
uso della famiglia medici perché raggiungibile tramite il palazzo e chiuso nelle pareti del
perimetro.

DONATO BRAMANTE, figlio di Angelo di Antonio di Renzo da Farnéta e di Vittoria di Pascuccio


da Monte Asdruàldo, detto Bramante dal soprannome paterno, nacque a Monte Asdruàldo (oggi
Fermignano), presso Urbino, nel 1444 e si formò alla significativa scuola del cantiere urbinate.
Dopo un probabile viaggio a Mantova, dal 1478 era già attivo a Milano dove, dall’inizio degli anni
Ottanta, fu in rapporti strettissimi con Leonardo.
Dal confronto con il grande maestro di Vinci e dall’esperienza milanese, alla corte di Ludovico
Sforza (1452-1508), ebbe inizio quella riflessione sull’architettura che dette i suoi frutti migliori a
36
Roma, dove Bramante si recò nel 1499, poco prima dell’occupazione francese di Milano (6
settembre 1499). Fu proprio a Roma, in particolare durante il pontificato di Giulio II, che Donato
poté iniziare quelle grandi imprese architettoniche che avrebbero cambiato il volto della Città
Eterna e dato l’avvio all’architettura del Cinquecento.
Ben si accorse di ciò il Vasari, che paragonò l’attività di Bramante a quella di Brunelleschi.
Donato Bramante morì a Roma 1’11 aprile 1514.

CHIESA DI SANTA MARIA PRESSO SAN SATIRO E ancora prospettica, anzi illusionistica, è
l’architettura del finto coro della chiesa milanese di Santa Maria presso San Satiro, alla cui
ricostruzione Bramante lavorò dal 1482 al 1486, anche se quasi certamente vi era attivo già dal
1480. L’edificio si compone di un corpo longitudinale a tre navate e di un transetto. La navata
centrale e il transetto hanno una monumentale copertura a botte, memore di quella albertiana del
Sant’Andrea di Mantova. Alla cripta della Chiesa di San Sebastiano dell’Alberti rinviano, invece, i
pilastri della navata che sono privi di base. Una cupola emisferica cassettonata (sull’esempio di
quella del Pantheon) inserita all’interno di un tiburio copre la crociera all’intersezione del corpo
longitudinale con il transetto. Quest’ultimo, con la cupola affiancata da volte a botte, rinvia allo
schema della Cappella de’ Pazzi, che qui si presenta dilatato. Alla brunelleschiana Basilica di Santo
Spirito, invece, fanno riferimento le navate laterali proseguite su un lato dei bracci del transetto e
illusionisticamente suggerite, anche sul lato opposto e sulle testate, dalla profondità delle arcate
nonché dalla lieve concavità della superficie muraria loro corrispondente. La mancanza di spazio,
dovuta alla presenza di una strada -via del Falcone- lungo il fianco del transetto e la conseguente
impossibilità di sfondare in quella direzione costrinsero Bramante a inventare un finto coro che
razionalizzasse l’intera struttura. Esso quindi si pone come una sorta di supporto psicologico
all’equilibrio della cupola, che altrimenti sarebbe apparso precario. Infatti, secondo le normali
regole costruttive, una cupola ha bisogno di ampie strutture (navate, transetti, cori, absidi,
absidìole) tutt’attorno, affinché le tensioni che essa genera possano essere efficacemente
contrastate. Allo stesso tempo, il finto coro ricompone visivamente quel senso di dilatazione
spaziale di cui la cupola è il centro e che il muro pieno, invece, avrebbe arrestato troppo
bruscamente. In uno spazio esiguo, profondo circa 90 centimetri, Donato, servendosi dell’illusione
prospettica, ricavò un coro a tre arcate che suggeriscono l’esistenza di altri spazi al di là di esse con
un’ampia volta a botte che richiama l’architettura dipinta nella Sacra conversazione di Piero della
Francesca. A conferire una maggiore “realtà” alla finzione contribuiscono anche gli effetti degli ori
luminosi, dei fregi azzurri, del cotto,’ della ricchezza e varietà degli ornamenti. Ciò mostra che in
questa fase del proprio percorso artistico Bramante vede ancora l’architettura soprattutto con gli
occhi del pittore.

TRIBUNA DELLA CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE A orientare l’architetto verso l’impiego di
forme architettoniche possenti e classiche e verso una concezione organica delle masse strutturali
contribuirono lo studio sia del trattato di Vitruvio sia degli edifici dell’Antichità classica e tardo-
antichi milanesi. Di sicuro effetto furono senza dubbio anche le discussioni con Leonardo che, tra
gli anni Ottanta e Novanta del Quattrocento, aveva maturato uno spiccato interesse per
l’architettura -in particolare per quella a pianta centrale e per la resistenza delle strutture-.
37
Un esempio del mutamento d’indirizzo nel senso che abbiamo detto è costituito dalla Tribuna
della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Milano. Secondo le intenzioni di Ludovico Sforza la
chiesa domenicana, edificata in prossimità del Castello di Porta Giovia, avrebbe dovuto assumere
anche le funzioni di chiesa palatina, mentre la sua tribuna -e in specie il coro- quelle di mausoleo
dinastico della famiglia Sforza.
Realizzata tra il 1492 e il 1497 la tribuna riflette le idee bramantesche sulla pianta centrale. Infatti
le sue absidi si dispongono ordinatamente e per corpi decrescenti attorno al tiburio.
La nitidezza geometrica della costruzione è solo leggermente offuscata dalla tradizione decorativa
e coloristica dei maestri lombardi.
Lo schema planimetrico rinvia alla Sagrestia Vécchia di San Lorenzo, con la successione di due
ambienti a pianta quadrata di dimensioni diverse. Tuttavia Donato dilatò lo spazio della tribuna
trasversalmente, con l’aggiunta di due ampie esedre, e prolungò quello del coro facendolo seguire
da un’abside. Allo stesso tempo l’architetto differenziò le coperture secondo la successione in
senso longitudinale di cupola, volta unghiata ribassata, catino a semicupola. La scansione delle
membrature architettoniche interne ripete quella della parete che nella sagrestia brunelleschiana
introduce alla scarsella, ma la pluralità delle fonti di luce ( dalle finestre sulle pareti agli oculi della
volta del coro e della cupola), il basso tamburo sottostante la cupola e le decorazioni graffite
suggeriscono una nuova e diversa concezione degli spazi interni e della loro percezione visiva.

CHIOSTRI DI SANT’AMBROGIO - TRASFORMAZIONE DI SANT'AMBROGIO seconda grande opera


milanese di Bramante, commissionata da Ludovico il Moro e dal fratello Ascanio Sforza, che
chiedono due distinti interventi:
una canonica per il clero secolare posta a nord della basilica e due chiostri per il monastero dei
Cistercensi posto a sud, modificando complessivamente anche gli spazi annessi della stessa
basilica.
La Canonica fu progettata intorno ad un portico quadrato con quattro archi trionfali a doppia
altezza sugli assi, in cui è stato visto un richiamo vitruviano ad un foro romano antico.
Bramante riuscì a costruire, tra il 1492 e il 1499, solo uno dei quattro lati previsti e ad impostare le
colonne per il secondo, che non verrà mai completato, lasciando per sempre una costruzione
incompiuta.
Il portico rivela influenze brunelleschiane e si presenta come una successione di archi in cotto su
colonne, con capitelli compositi e pulvino ed è interrotto dall'arco di ingresso. Il portico presenta
anche quattro colonne "laboratas ad tronchonos", il cui aspetto dovrebbe richiamare un tronco
d'albero.
Lo spazio tra il portico e la chiesa dette modo a Bramante di ricavare nuove cappelle tra i
contrafforti di Sant'Ambrogio, avviando anche la costruzione di una sagrestia nella parte absidale.
Anche sul lato sud Bramante, demolendo parti annesse della chiesa romanica, realizzò altre
cappelle. Per il monastero cistercense, Bramante progettò due nuovi chiostri, iniziati intorno al
1497 ma completati dopo la sua partenza per Roma, secondo un modello ligneo da lui lasciato.
Caratterizzati da una grandiosità d'impianto che verrà imitato per tutto il Cinquecento.
I due chiostri caratterizzati rispettivamente dall'ordine dorico e dall'ordine ionico, presentano
arcate insolitamente alte 7,5 metri. Tale soluzione avrà successo come tipologia in quanto si rivelò
particolarmente adatta ad ospitare sia grandi stanze a doppia altezza, come mense e biblioteche,
sia celle per i monaci su due piani. Nel corpo di spina tra i due chiostri, nel corso del XVI secolo fu
realizzato un grande refettorio. Il complesso oggi è sede dell'Università Cattolica.
38
CHIOSTRO DELLA CHIESA DI SANRA MARIA DELLA PACE Dopo il suo arrivo a Roma Bramante,
cominciò a rilevare i monumenti antichi della città e dei dintorni spingendosi, in questa sua fame di
conoscenza, «dovunque e’ sapeva che fossero cose antiche». Nel frattempo maturava un nuovo
stile più solenne e potente all’interno di una visione grandiosa dell’architettura capace di misurarsi
con quella nobile degli Antichi.
Il Chiostro della Chiesa di Santa Maria della Pace, realizzato tra il 1500 e il 1504 su commissione
del cardinale di Napoli Oliviero Carafa, segna il momento di passaggio tra gli ultimi lavori lombardi
e le prime, autonome novità romane.
Il chiostro si compone di sei campate con relative quattro arcate su pilastri per ciascuno dei lati. In
tal modo lungo i due assi di simmetria ortogonali si dispongono i “pieni” di quattro pilastri,
piuttosto che i consueti varchi degli archi, sottolineando il valore del vuoto interno del chiostro.
Questo, allora, si qualifica come involucro che racchiude lo spazio libero. Essendo l’edificio di cui il
chiostro è parte dedicato Maria della Pace, Bramante ritiene di dover dare l’importanza maggiore
all‘ordine ionico, che caratterizza le paraste addossate ai pilastri. Per rispettare lo schema della
sovrapposizione degli ordini, però, l’architetto colloca le paraste al di sopra di piedistalli: in tal
modo esse hanno la base a una quota superiore a quella dei pilastri che Bramante suggerisce
come “dorici”, modellando le imposte degli archi in modo che simulino dei capitelli con echino e
abaco.
Una loggia trabeata corona l’intero chiostro. La trabeazione (con le mensole nel fregio, come nel
Colosseo e nel fiorentino Palazzo Rucellai) è sostenuta da pilastri, in asse con quelli sottostanti,
intercalati da colonnine Corinzie, collocate in corrispondenza del cervello degli archi. I pilastri sono
di ordine composito e verso lo spazio interno del chiostro le loro facce si trasformano in paraste su
piedistallo, riprendendo quelle del registro inferiore. In tal modo Bramante riesce a far ricorso a
tutti e quattro gli ordini architettonici (dorico, ionico, corinzio e composito), pur forzando le regole
rigide degli ordini: infatti, al piano terreno il dorico è solo simulato, lo ionico è sollevato e
non sovrapposto e nella loggia due ordini diversi ( composito e corinzio) sostengono lo stesso
architrave. L’architetto è come se continuamente volesse allo stesso tempo rispettare e violare le
regole, esercitandosi nell’inventare problemi diffìcili ( qui, ad esempio, usare quattro ordini in due
soli piani) offrendo soluzioni ingegnose, pur se rigorose nei principi.

TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO Lo studio fu messo a frutto nell’opera che è da


considerare come la più rappresentativa dell’inizio del nuovo secolo, il Tempietto di San Pietro in
Montòrio che, commissionato nel 1502 dal re di Spagna per ricordare il luogo del martirio
dell’Apostolo, dovette subire cambiamenti dopo l’esecuzione della cripta e venne concluso,
probabilmente, attorno al 1508/ 1509.
Il tempietto, da poco restaurato, è di piccole dimensioni, sopraelevato rispetto al piano del cortile
in cui è situato. Esso ricalca la forma degli antichi templi peripteri circolari e lo stesso nome -come
nell’albertiano Tempio Malatestiano di Rimini - è un evidente riferimento alla classicità. Attorno a
un corpo centrale cilindrico, scavato da nicchie con catino a conchiglia e sormontato da una
cupola, corre un peristilio circolare, coperto a lacunari, delimitato da 16 colonne tuscaniche
trabeate, prelevate da un ignoto monumento antico. Le metope del fregio uno dei primi esempi
39
rinascimentali di fregio dorico con metope e triglifi presentano decorazioni a tema liturgico che
rinviano a San Pietro e alla Chiesa secondo una tipologia già impiegata nel fregio del Tempio di
Vespasiano nel Foro Romano. Al di sopra della cornice anulare, infine, corre una balconata con
balaustra.
Alle colonne corrispondono delle paraste addossate sulla superficie convessa del cilindro della
cella. La rastremazione verso l’alto consente loro di non occupare troppo spazio. Stanti le piccole
dimensioni della costruzione, all’interno le paraste si dimezzano, diventando otto, e si
raggruppano a coppie attorno alle quattro piccole finestre lungo due assi ortogonali, lasciando cosi
una maggiore superficie parietale per le porte.
Secondo Sebastiano Sèrlio il progetto di Bramante prevedeva una diversa realizzazione dello
spazio circostante al piccolo edificio, tale da esaltarne l’idea di centralità. Il cortile, infatti, avrebbe
dovuto avere una forma circolare, con muri dotati di nicchie e preceduti da un portico su colonne
di numero uguale a quello del tempietto. Una soluzione che, come in uno specchio concavo e
avvolgente, rifletteva la struttura convessa della porzione inferiore di San Pietro in Montorio.
La realizzazione fu immediatamente interpretata come il ritorno in vita dell’arte classica. Il
tempietto divenne esempio a cui guardare e solo meno di quarant’anni Serlio ne inseriva pianta,
prospetto e sezione fra gli edifici antichi nel Terzo Libro del suo trattato d’architettura. Lo stesso
fece anche Andrea Pallàdio nel 1570, giustificando la presenza del «Tempio di Bramante» fra quelli
antichi nel suo “I quattro libri dell’architettura” perché Donato era «stato il primo a metter in luce
la buona, e bella Architettura, che da gli Antichi fin’a quel tempo era stata nascosta».

BELVEDERE VATICANO Dall’elezione di papa Giulio II Bramante diventa il miglior interprete delle
esigenze di rinnovamento architettonico e urbano volute dal pontefice (la cosiddetta «instaumtio
Romae»). L’architettura diviene pertanto uno strumento di propaganda visivo, quindi tangibile, di
un grandioso concetto e progetto politico per una renovatio imperii (rinascita dell’impero) che
vede il pontefice come imperatore, con la conseguente esaltazione della funzione del papato. In
tale ottica dal 1504 al 1512 Bramante è impegnato nella sistemazione della zona posta fra i Palazzi
Vaticani e la villa di Innocenzo VIII sulla collina del Belvedere, purtroppo molto alterata nel corso
dei secolI.
La progettazione, in questo caso, consiste essenzialmente nella razionalizzazione di uno spazio
vuoto, non edificato, dalle dimensioni di circa 100 metri per 300, che l’architetto circonda di
edifici. Alla base dell’intervento c’è la volontà di restituzione della villa antica, interpretata sulla
scorta della lettura delle epistole di Plinio il Giovane '. L’organizzazione scenografica e grandiosa,
invece, è debitrice anche della suggestione esercitata sull’architetto dall’impianto del Santuario
della Fortuna Prenestina e dal Circo Massimo. La realizzazione, infine, è sempre governata dall’uso
rigoroso della prospettiva.

Donato Bramante, infatti, organizza lo spazio in modo che possa essere goduto essenzialmente dal
papa quando questi si trova nel suo studio privato, la Stanza della Segnatura.
L‘ampia superficie viene divisa in tre porzioni di diverso livello; di conseguenza il loggiato che la
stringe sui lati maggiori ha altezze decrescenti, passando via via da tre piani a uno solo. Il livello più
basso, contiguo ai Palazzi Vaticani, avrebbe dovuto ospitare rappresentazioni teatrali e tornei
40
godibili dalle gradinate che costituivano la parte più avanzata dello spazio mediano. Organizzato a
giardino, questo secondo livello introdotto da due torri laterali che, restringendo la visione,
mettevano meglio a fuoco gli spazi retrostanti ospitava anche una doppia scala a due rampe che si
snodavano ai lati di un ninfeo centrale. Le scale conducevano al terzo e più alto livello l’attuale
Cortile della Pigna -tenuto a giardino e con il piano di calpestio in salita, al fine di dilatarne
scenograficamente le dimensioni. All’illusione di allontanamento dei piani contribuiva anche
l’adozione della travata ritmica per le membrature architettoniche del loggiato a un solo ordine.
L’alternato avvicinarsi e allontanarsi delle paraste, infatti, non era percepibile dagli appartamenti
pontifici e veniva interpretato dall’occhio dell’osservatore come regolarità, perciò come sequenza
continua di campate uguali, del tutto simili a quelle del loggiato ai lati del livello inferiore. Altri
accorgimenti costruttivi si aggiungevano a quelli ricordati per caratterizzare prospetticamente lo
spazio del giardino superiore che, in adiacenza al cortile ottagono della villa di Innocenzo VIII, si
concludeva con una maestosa esedra introdotta da una spettacolare scala convesso-concava.

LA NUOVA BASILICA DI SAN PIETRO A cominciare dal 1505, Bramante pone anche le basi per
l’edificazione della nuova Basilica di San Pietro (costruzione che, iniziata il 18 aprile 1506, si
sarebbe protratta per oltre un secolo), avendo papa Giulio II deciso di demolire il venerando
edificio costantiniano del IV secolo. Se in San Pietro in Montorio l’architetto si era mostrato capace
di realizzare un piccolissimo edificio dall’aspetto imponente, per la basilica vaticana, invece, si
cimenta nella progettazione di un’immane struttura che sarebbe diventata il simbolo di tutta la
cristianità. Dai non molti disegni autografi di Bramante che ci sono pervenuti è possibile dedurre
che Donato dovette progettare un edificio a pianta longitudinale. In particolare sono fondamentali
per tale ricostruzione due fogli che si conservano agli ‘ Uffizi, universalmente noti come fogli 20Ar
e 1A, dalla loro collocazione nella collezione fiorentina.
Nel primo di essi, un vero e proprio foglio di lavoro, possiamo seguire il vero e proprio percorso
progettuale dell’architetto. In esso, infatti, si riscontrano due distinte idee e la prima genera la
seconda schizzate al di sopra di una base costituita dalla sovrapposizione della pianta della basilica
costantiniana e del progetto di ristrutturazione e ampliamento del tempo di papa Niccolò V.
Nel quadrante inferiore destro si vede come Donato intendesse rispettare, in un certo qual modo,
il tracciato delle navate dell’antica basilica, ma già includendo una grande cupola centrale e
quattro cupole perimetrali secondo lo schema a quincunx. Uno dei piloni che avrebbero dovuto
sostenere la cupola è disegnato nelle sue vicinanze e nello spazio delle due navate laterali di
destra. Queste, inoltre, includono anche due coppie di pilastri del corpo longitudinale.
L’irrobustimento del pilone e la sua definizione planimetrica (con l’ampia faccia rettilinea verso la
navata, vera novità nel panorama architettonico relativo ai sostegni delle cupole), la creazione di
tre ampie esedre con deambulatorio e l’ampliamento delle dimensioni della navata, costituiscono
il cosiddetto secondo progetto (quasi definitivo) per la nuova Basilica di San Pietro. Questa, dopo
ulteriori studi per una migliore connessione tra corpo accentrato e corpo longitudinale, assumerà
l’aspetto trasmessoci dal trattato di Sebastiano Serlio.
Il primo progetto, invece, è tracciato nel «piano di pergamena», cosiddetto perché disegnato su
quel tipo di supporto. Si tratta di un disegno in bella copia eseguito per soddisfare il desiderio di

41
Giulio 11 di essere continuamente messo al corrente di ogni variazione al progetto o, forse, per
convincere il papa della bontà del progetto stesso.
Il fatto che venga mostrata solo una parte della nuova basilica quella corrispondente all’esedra
absidale e a metà di quelle laterali e non l’intero edificio ha dato luogo, sin dal XIX secolo, all’idea
che la parte mancante dovesse essere speculare a quella trasmessaci. Bramante, cioè, avrebbe
progettato un edificio a pianta centrale caratterizzata da uno schema quadrato a croce inclusa.
Tuttavia il taglio del foglio (di cui non conosciamo le misure originarie) passa proprio per le due
aperture disegnate sulle due tribune opposte e nulla autorizza a credere che la parte mancante
fosse perfettamente identica a quella superstite.
Sia nel «piano di pergamena» sia nei grafici tracciati sul foglio 20Ar possiamo notare come
l’architetto abbia tenuto conto del progetto del tempo di papa Niccolò V. Ciò dimostra che Donato
aveva in animo di servirsi delle fondamenta già realizzate nel Quattrocento per l’ampliamento
allora ipotizzato e comunque mai portato a conclusione.

MICHELANGELO BUONARROTI nacque il 6 marzo 1475 a Caprése, cittadina dell’aretino di cui


il padre Ludovico cittadino fìorentino era podestà. Per Giorgio Vasari si trattò di una benedizione di
Dio, abile in ogni arte e perfetto nel disegno.
A Firenze, dove ben presto rientrò la famiglia, Michelangelo compì i suoi primi studi finché,
nonostante l’opposizione del padre, andò a bottega da Domenico Ghirlandaio.
Il giovane artista, però, si formò soprattutto copiando gli affreschi di Giotto e di Masaccio
rispettivamente in Santa Croce e al Carmine. Egli si applicò molto nello studio della scultura degli
Antichi, frequentando l’ampia collezione medicea forse sotto la guida di Bertòldo di Giovanni,
discepolo diretto di Donatello e non trascurò quella dei grandi Nicola e Giovanni Pisano né, infine,
quella dello stesso Donatello.
Dopo le prime esperienze fiorentine come scultore si trasferì a Roma nel 1496 per far ritorno nella
città toscana nel 1501, ormai famoso. Nel 1505 papa Giulio II lo invitò di nuovo a Roma e, fino al
1536, anno del suo definitivo trasferimento nella città dei papi, Michelangelo si dedicò a imprese
artistiche che lo videro spostarsi spesso a Firenze. Morì il 18 febbraio 1564, all’età di ottantanove
anni, mentre lavorava alla Pietà Rondanini.
Celebre frase “per imparare a fare l’arte bisogna avere le seste negli occhi” , l’occhio deve
controllare gli aspetti competitivi del progetto. Oggi abbiamo tanti modi per verificare la
realizzabilità effettiva dei nostri progetti, Michelangelo è spesso stato definito un anti classico ,
oblitera il dialogo con il mondo antico , è un’affermazione elaborata dalla critica della fine del
800/900 che cercava di individuare in Michelangelo i prodomi del futuro periodo baracco ma in
realtà il rapporto con il mondo classico è viscerale , è più libero. Brucia in punto di morte gran
parte dei propri disegni lasciando inerti quelli che ritiene rappresentativi per la propria fama ,
infatti egli è il primo artista celebrato in vita , già famoso. Se noi volessimo trovare delle linee guida
l’attività di Michelangelo potremmo trovare queste strutture tematiche , provenendo dalla
scultura ha conoscenza del marmo e la sua conoscenza è cosi approfondita che un architetto del
900 descrivendo l’operato di Michelangelo ha parlato di matematica del marmo (Michelangelo
cerca la perfezione materica , un marmo che non abbia venature, osserva e capisce i materiali)
conosce sia il marmo di Carrara (utilizzato per le sculture) , quello versiliese e poi conosce il
42
travertino ( ha caratteristiche sia mineralogiche che di lavorazione diverse, Vasari dice che
Michelangelo sa lavorare il travertino come il marmo , nonostante il travertino tenda a
scheggiarsi). Michelangelo dipinge metri quadri e metri quadri di affresco da solo.
1497 Michelangelo , Bacco ebbro. Stenta sulle sue gambe , sta per cadere , fa un gesto molto
naturalistico ma da tradurre nel marmo complesso , il braccio che tiene la coppa si alza
(pericolosamente perché crea problemi di staticità). Ci interessa vedere come il personaggio ha
una posa che da dinamismo alla figura , riesce a imporre la vita , queste figure sono dinamiche , il
gesto del braccio staccato dal corpo dimostra una grossa consapevolezza di Michelangelo nella
lavorazione del marmo , dimostra arditezza tecnica compositiva che viene bilanciata da una figura
nella parte opposta che tiene la gamba. L’ambiente dove viene concepito il bacco è quello di Riario
(ambiente romano) , entra in contatto con figure di primo piano dove il classicismo è una figura
importante. Torna poi a Firenze , realizza il David che gli da importanza , è un blocco di 9 m che
giaceva nei magazzini dell’opera del duomo dal 1475 che non riusciva ad essere modellato ma il
giovane Buonarroti in soli due anni riesce a trarne fuori il David il quale secondo Michelangelo
doveva essere inserito infondo alla loggia dei Lanzi , altri voci si alzano contro questa assurda
collocazione e viene scelta la collocazione più in vista davanti all’ingresso di Palazzo Vecchio. La
fama del David è cosi dilagante che il giovane Michelangelo viene incaricato di realizzare la tomba
di Giulio II dove incontra Bramante (incaricato di realizzare la nuova san Pietro) che fa di tutto per
mettere in cattiva luce Michelangelo che ci ha lasciato alcuni progetti per la realizzazione dove
vediamo come la scultura sia ancora protagonista. Si muove tra Roma e Carrara ma dissapori con il
pontefice faranno si che questo progetto si prolunghi nel 1543 che nella versione finale è molto
ridotta rispetto al progetto iniziale che comprendeva 35 sculture. Michelangelo quando parla della
tomba , parla di tragedia della sepoltura perché è un opera che lo ha perseguitato molti anni.
Quando si diceva che Michelangelo ha forte rapporto con cantiere e cave , ci sono disegni di
blocchi (inventario dei blocchi) in parte già tagliati per essere lavorati. Sui disegni troviamo alcuni
elementi come i tre cerchi che rappresentano il simbolo di Michelangelo, le tre arti , L il nome
dello scalpellino, il tridente simboleggia il verso del taglio.
1507 progetto per il completamento del tamburo della cupola di Santa Maria del fiore, quando
Brunelleschi muore la cupola è completata ma non il tamburo , si promuove un concorso per
completare il passaggio tra la cupola e il tamburo , Michelangelo viene indicato a presentare una
proposta che ci dice tanto su qual è la sua idea di architettura. Crea una trabeazione e paraste
gigantesche , un gigantismo e sopratutto una scelta molto precisa di accentuare gli aspetti plastici
dell’architettura. Il progetto di Michelangelo anche se non realizzato poiché si colloca in una data
precoce ci mostra quali sono le scelte che Michelangelo farà di li in poco. 1508 inizia la Sistina , è
certamente un’opera pittorica ma se analizziamo il telaio prospettico che fa da sistema
concettuale visivo delle figure vediamo come l’architettura prospettica ha un ruolo fondamentale.
Arriviamo a Palazzo medici , quando sul figlio di Lorenzo magnifico diventa Leone X papa, il palazzo
deve cambiare forma per dimostrare l’importanza della famiglia. La loggia viene chiusa perché qui
era luogo di commerci e usura, per cancellare la storia. Si crea un tamponamento ma si deve dare
luce alla loggia chiusa , quindi Michelangelo deve realizzare le finestre che diventerà il prototipo
delle finestre. Finestre inginocchiate nome che deriva dalle mensole che vengono allungate. Mette
appunto un oggetto che coniuga scultura e architettura 1517 Facciata incompiuta di san Lorenzo ,
43
vince un concorso, nel 1513 il figlio di Lorenzo magnifico diventa papa , nel 1515 entra
trionfalmente in città e decide che la chiesa di san Lorenzo non può stare senza facciata.
Partecipano al concorso Leonardo, Raffaello, Michelangelo , Giuliano da San Gallo. Michelangelo
vince il concorso nonostante non avesse ancora costruito nulla ma è all’apice della sua carriera. Si
mette a studiare la sintassi e la grammatica dell’architettura antica. In una slide vediamo disegni di
capitello dorico, Michelangelo non è attento ai singoli elementi ma è interessato alla sintassi
dell’ordine architettonico. Attraverso questa geometria dell’ordine deve organizzare questa
facciata, è una grande cornice dove inserire le sculture (1516-19) subisce modifiche il progetto ,
scegli i marmi ancora. Inizialmente facciata a lastra con membrature architettonica e molto
bidimensionale, con bassorilievi e sculture, si ispira a Leon Battista Alberti con la facciata di Santa
Maria Novella, dopodiché cambia il progetto e si va ad una facciata che sembra un piccolo edificio
che conosciamo attraverso un piccolo disegno e un modello ligneo. La facciata non è più a lastra ,
ha una sua autonomia. Piano attico ripreso da Santa Maria Novella. Il progetto fallisce perché al
papa muoiono i congiunti , il nipote Lorenzo e il fratello Giuliano quindi c’è bisogno di una nuova
cappella in sagrestia vecchia allora la cappella è dal punto di vista dimensionale e morfologico a
quella di Brunelleschi. Michelangelo inserisce lunette e un piano , paraste corinzie e ordine di
colonne maggiore corinzie, troviamo i timpani che si incastrano nelle specchiature marmoree e
anche soluzioni come le finestre rastremate (realizzate per aumentare il senso di verticismo)
copiate dal tempio di Vesta a Tivoli. Citazione all’antico : cassettoni del pantheon. Ci dovevano
essere anche gli stucchi colorati che dovevano decorare la cupola e affreschi che dovevano essere
in lunette ma no perché Giorgio Vasari poi ci ha messo mano. Michelangelo fa fare modelli del
telaio architettonico vicino alle statue ad 1:1 in legno e le ha discusse a lungo con il pontefice e
solo dopo lo realizza Il modello è strumento di verifica. Biblioteca Laurenziana incompiuta. Scala
realizzata su indicazione Michelangelo ma da Bartolomeo Ammannati, viene mandato un piccolo
modello in creta. Ambiente interno lavorato come se fosse esterno , colonne sostenute da
mensole , è un rivolgimento di uno dei criteri più importanti dell’ordine architettonico. Qui si
ribalta questo assioma perché sono colonne ornamentali non hanno funzione strutturale. Palazzo
Farnese Già inviato , già registro inferiore e piano nobile e la facciata fino al secondo livello. Il
progettista era Antonio da San Gallo , ha una passione per Vitruvio , lo studia è stato allievo di
Raffaello ma è totalmente distante da Michelangelo.Quando nel 1546 muore Antonio da san
gallo , subentra michelangelo che deve combattere contro i collaboratori di San Gallo che vengono
descritti da Vasari malamente. Michelangelo riesce a convincere il papa a seguire la sua linea ,
rialzando di almeno 3 metri il palazzo in modo da non avere un equarazione altimetrica tra i piani e
scardina i rapporti tra le finestre tramite una trabeazione sostenuta da colonne in serpentino, crea
un partito dove trova luogo il portale. Il cornicione è la parte più importante , prende un
frammento della trabeazione del foro di Traiano e lo ripropone spudoratamente , fa di più , per
convincere il papa di rialzare il palazzo costruisce un modello al vero di una volta di circa 3 metri e
mezzo in legno , costruisce la porzione d’angolo e lo mostra al papa chiedendo la sua approvazione
per la costruzione. Anche internamente rialza il piano nobile e costruisce ex novo la facies
dell’ultimo livello. Fregio ionico nella trabeazione Cupola di San Pietro Arriva in sostituzione di San
Gallo e ha l’ardire di distruggere il deambulatorio di sinistra , san gallo non costruisce tanto a san
Pietro perché si concentra sul modello ligneo. Michelangelo torna alla purezza delle forme
44
bramantesche, tornando ad un impianto che valorizza la presenza della cupola a 2 calotte
realizzata da Dalla Porta e di cui abbiamo il modello ligneo. Abbiamo colonne rinate costruite su
elementi trapezoidali, ci sono questi setti in travertino uno sopra l’alto e questa parte di
tamponamento ci sono le finestre. Quindi se noi dovessimo ricordarci San Gallo , Michelangelo ,
Peruzzi , Bramante e Raffaello.

Il pensiero artistico Al pari degli altri artisti del Rinascimento e dei Fiorentini in particolare,
Michelangelo riteneva che scopo dell‘arte fosse l’imitazione della natura, solo indagando la quale
si poteva arrivare alla bellezza. Strumento principale di conoscenza per i pittori del tempo era la
prospettiva. Michelangelo credeva, inoltre, che dalla natura occorresse scegliere i particolari
migliori ma anche che con la fantasia l’artista fosse capace di dare vita a una bellezza superiore a
quella esistente in natura. C’è, dunque, per lui un modello di bellezza che ogni artefice concepisce
nella propria mente, cioè un modello ideale al quale conformare ogni propria creazione.
Il perfetto corpo umano, in quanto specchio della bellezza divina, è ora per Michelangelo la cosa
più bella del creato. Divenuto più profondamente religioso con la caduta dei
tradizionali valori cristiani (a causa della Riforma protestante e del sacco di Roma) e sotto la spinta
dei gruppi riformisti, che volevano un cambiamento dall’interno della Chiesa cattolica,
Michelangelo cominciò a ritenere del tutto secondaria la bellezza fìsica rispetto a quella spirituale.
Essa non era altro che un mezzo per rendere evidente proprio la bellezza interiore e condurre alla
contemplazione di quella divina. È così che Michelangelo comincia a intendere l’attività dell’artista
al servizio della Chiesa. Non basta più che l’artista sia padrone del proprio mestiere, egli deve
anche essere particolarmente pio: quanto più lo è, tanto più riuscirà a infondere credibilità e fede
alle proprie figure che, solo così, sapranno commuovere e ispirare reverenza.
Avvicinandosi alla fine della propria esistenza Michelangelo si convince anche che la bellezza
esteriore distolga addirittura l’uomo dalla spiritualità. Anch’egli, dunque, ormai coinvolto (come
molti altri artisti) nel clima controriformistico, teme che la propria arte e la propria fantasia
possano averlo condotto addirittura verso la dannazione dell’anima, meritandogli il castigo eterno.

SAGRESTIA NUOVA Fra il primo e il secondo affresco della Sistina (fra il 1519 e il 1534),
Michelangelo progettò -e in parte realizzò- la Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a
Firenze, destinata ad accogliere le tombe dei Medici, e la Biblioteca Laurenziana, sorta di fianco
alla basilica con lo scopo di conservarne i libri. [Infatti, cacciati nel 1494, già nel 1512 i Medici
avevano ricostituito la loro signoria su Firenze, potere che avrebbero mantenuto fino al 1527. In
quell’anno, per l’ultima volta, la città riuscì a dotarsi di un sistema di governo repubblicano in cui lo
stesso Michelangelo ebbe parte attiva. La Repubblica, comunque, finì miseramente nel 1530
quando l’alleanza fra papa Clemente VII (l’ex cardinale Giulio de’ Medici) e l’imperatore Carlo V
riportò nella città i Medici e dette luogo alla fondazione del Ducato di Firenze.]
La Sagrestia Nuova, cosiddetta per distinguerla da quella edificata da Filippo Brunelleschi circa un
secolo prima, ha, come la Vecchia, una pianta composta da due quadrati adiacenti di cui uno
maggiore e l’altro decisamente più piccolo. Ambedue gli spazi sono coperti da cupole emisferiche
su pennacchi. La più grande, sormontata da una lanterna, prende come esempio il Pantheon,
presentando l’intradosso scavato da cinque anelli concentrici di lacunari. L’estradosso, invece, è
45
rivestito di squame di terracotta contro le quali spicca il bianco della lanterna. Dotata di ampie
superfici vetrate, essa è circondata da colonnine composite trabeate, sormontate da volute, e
conclusa da una superficie conica dal profilo concavo e rigonfìa (quindi convessa) alla base, come
se non di dura pietra fosse la sua sostanza, ma di materia morbida e plasmabile, quasi liquida.
Se i materiali impiegati da Michelangelo sono quelli della tradizione fiorentina quattrocentesca il
bianco dell’intonaco per le pareti e il grigio della pietra serena per le membrature architettoniche
l’uso che ne viene fatto non coincide più con la sobrietà brunelleschiana. La continuità verticale
dell’intelaiatura di lesene, trabeazioni e archi lapidei, infatti, viene interrotta dal fregio del primo
ordine che, per essere semplicemente intonacato e perché continuo lungo le quattro pareti,
sembra dividere in due lo spazio, tanto che quello superiore (a partire dalla cornice) pare quasi
fluttuare nell’aria, non avendo appoggi visibili.
Le proporzioni della Sagrestia brunelleschiana vengono alterate, a favore di un maggiore slancio
verso l’alto, con l’introduzione di un attico fra l’ordine inferiore e le grandi lunette sottostanti alla
cupola. Tale spinta verticale è sottolineata dalla rastrematura verso l’alto dei finestroni entro le
lunette, geniale intuizione architettonica della quale Michelangelo fece qui uso per la prima volta.
Dei sepolcri previsti nella Sagrestia Nuova solo due vennero realizzati dopo l’ultimazione del
contenitore strutturale (1524) quelli di Lorenzo duca d’Urbino (1492-1519) e di Giuliano duca di
Nemours ( 1479-1516) rispettivamente nipote e fratello di papa Leone X.
Le architetture delle tombe sono distinte da quella della Sagrestia. Per esse, infatti, Michelangelo
sceglie il marmo bianco e volutamente le stringe in uno spazio poco ampio e non profondo, dove
appaiono quasi compresse e come premute dal rivestimento murario in pietra serena che si
interpone tra esse e le paraste che le affiancano. Tale rivestimento, non caratterizzato come
membratura, assume pertanto la funzione di superficie neutra di passaggio.
Contro l’organismo architettonico di pilastri, nicchie, cornici e decorazioni a festoni, si stagliano i
plastici sarcofagi dai coperchi ellittici sui quali giacciono le allegorie del Giorno e della Notte
(tomba di Giuliano), dell’Auròra e del Crepuscolo (tomba di Lorenzo). All’interno delle nicchie, al
centro della composizione architettonica, sono poste, infine, le statue idealizzate dei due Medici.
Il Giorno, un nudo virile dalla corporatura possente, ha molte parti lasciate allo stato di abbozzo,
specie la testa. Non si tratta di abbandono, o rinuncia, da parte dell’ artista, ma della la precisa
volontà di lasciarla in tale condizione. ll cosiddetto «non finito», riscontrabile anche in numerose
altre opere scultoree di Michelangelo, è dunque un mezzo di cui l’artista volontariamente si serve
perché proprio dal contrasto tra parti finite scaturiscano il fascino e l’intensità espressiva delle sue
realizzazioni. Attorno al 1524 dovettero essere progettate le edicole che sovrastano le porte della
Sagrestia. Esse appaiono fuori scala se commisurate al contesto, dal momento che sono più alte
sia delle porte sottostanti, che sembrano opprimere, sia delle edicole delle tombe ducali. Segno,
questo, che furono progettate quando Michelangelo stava riflettendo su problemi diversi da quelli
posti dalla Sagrestia Nuova.
Il timpano spezzato nella parte inferiore, ma in aggetto nella porzione centrale della sua
centinatura, l’invaso della nicchia che penetra in profondità e che, allo stesso tempo, si espande
entro il timpano e verso le basi delle parastine, il blocco parallelepipedo del basamento che,
invece, si spinge quanto più può in fuori, sono motivi nuovi nel panorama architettonico. Tagliati i

46
legami con le regole vitruviane degli ordini architettonici come ebbe fra i primi a notare il Vasari
con esse Michelangelo proclama la sua grande inventiva e la sua piena libertà compositiva.

BIBLIOTECA LAURENZIANA Gli anni di progettazione delle edicole della Sagrestia sono gli stessi del
vestibolo della Biblioteca Laurenziana, uno spazio esiguo che, tramite una scalinata, immette
nell’ampio salone coevo della Biblioteca. Quest’ultima ha pareti di scarso spessore, contraffortate
esternamente per gravare poco sulle murature sottostanti. Si tratta di un vasto spazio a pianta
rettangolare, ritmato da paraste e finestre, avente una copertura piana di legno il cui cassettonato
suggerisce una continuità strutturale fra le paraste stesse e le travature orizzontali. Michelangelo
provvide anche ai disegni dei cassettoni e del pavimento, nonché alla progettazione dei sedili e dei
tavoli di lettura, tenendo conto della corretta postura di un uomo che legge. La sala avrebbe
dovuto concludersi con un ambiente trapezoidale mai costruito e destinato alla conservazione dei
libri rari caratterizzato da muri scanditi da nicchie e colonne.
Anche nel vestibolo (o ricètto, dal latino recìpere, accogliere), come già nella Sagrestia Nuova,
Michelangelo divide le pareti in due ordini sovrapposti tramite cornici orizzontali. Alle colonne
binate incassate nella muratura (colonne innicchiate o alveolate) corrispondono superiormente
delle coppie di paraste. Le colonne (strette fra paraste disposte ai lati della nicchia nel senso dello
spessore murario) sembrano poggiare su dei mensoloni accoppiati la cui funzione, invece, è
puramente decorativa. Essi, nel medesimo tempo, suggeriscono una maggiore altezza delle
colonne stesse. Fra le coppie di colonne sono collocate delle finestre cieche dagli stipiti rastremati
verso il basso. L’effetto complessivo che ne consegue è quello di trovarsi in un cortile su cui
prospettano quattro imponenti facciate di edifici.
Quasi tutto lo spazio interno però è occupato dalla monumentale scalinata il cui aspetto definitivo
è l’ultimo di una serie di tentativi grafici di avvicinamento che si trova a essere stretta fra pareti
molto alte. Michelangelo ne dette il disegno e ne realizzò un piccolo modello a Roma, città dove
stabilmente viveva dal 1536, anno in cui aveva definitivamente abbandonato Firenze lasciando
incompiuta la biblioteca. L’artista l’avrebbe desiderata di legno, ma il duca Cosimo I impose a
Bartolomeo Ammannati, l’esecutore del progetto, l’uso della pietra serena.
È forse questa, fra tutte, l’invenzione più stupefacente dell’intero complesso, presentandosi come
la massa di un fiume in piena che, superata la soglia del salone della biblioteca, straripa e si allarga
dando vita a tre vie. Le due laterali, con i gradini squadrati e senza balaustra (con l’alternarsi di
gradini rettangolari e di altri a «L» che avvolgono i primi), si raccordano per mezzo di due volute
ellittiche a quella centrale, dove domina invece il tema della curva, lo stesso che ricorre anche
nelle vicine tombe medicee. Al pari di una «colata lavica». come è stata felicemente descritta la
rampa centrale, i gradini avanzano nella porzione mediana, mentre, come ritardati nel movimento
dall’attrito delle sponde laterali, arretrano arricciolandosi in prossimità delle sponde stesse.

PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO Nel 1537, come primo atto ufficiale della volontà di sistemare la piazza
del Campidoglio, papa Paolo III decide di trasferirvi il Monumento equestre di Marco Aurelio dalla
sua antica collocazione in Laterano. La traslazione viene eseguita nel 1538.
Il colle capitolino in quegli anni non aveva un accesso diretto e dignitoso dalla città. Su di esso, che
dal Duecento ospitava la sede del governo cittadino, erano presenti due edifici collocati lungo
47
direttrici che formavano un angolo acuto: a Est il medioevale e merlato Palazzo Senatorio
(costruito nel XIII secolo al di sopra dell’antico Tabularium) -alle cui spalle si stendeva il Foro
Romano -, a Sud il Palazzo dei Conservatori (costruito nel 1450 sotto papa Niccolò V) a ridosso
della Rupe Tarpèa.
Nel 1539 Michelangelo è incaricato di realizzare il piedistallo del Monumento di Marco Aurelio e,
con suoi interventi successivi, il Campidoglio si trasforma nella più spettacolare piazza che Roma
abbia mai avuto, arricchendosi di suggestivi ed evocativi reperti che la legano alla gloriosa storia
della città. Ai due edifici esistenti dopo la scomparsa di Michelangelo, per suggerimento di
Tommaso de’ Cavalieri, deputato ai lavori, ne fu aggiunto un terzo a Nord, il Palazzo Nuovo,
simmetrico rispetto a quello dei Conservatori, ma privo di una consistente profondità, posto
contro la vetta collinare do.minata dalla Chiesa di Santa Maria Ara Coeli. In tal modo si veniva a
formare una piazza trapezoidale al centro della quale era collocato il Marco Aurelio.
I lavori si protrassero fino alla metà del secolo successivo, ma il disegno stellare a intreccio entro
un ovale, che si irradia dal monumento equestre, fu eseguito addirittura nel 1940. Tale ovale, con
l’asse maggiore perpendicolare alla facciata del Palazzo Senatorio, riconduce lo spazio trapezoidale
indifferenziato e pluridirezionale a una geometria accentrata, unidirezionale e più intima.
La ristrutturazione dei due edifici esistenti e la successiva costruzione ex novo del terzo
enfatizzano lo spazio della piazza che si pone allo stesso tempo come esterno e come interno,
tanto che le fabbriche sembrano pensate come facciate. Dalla piazza, infine, si dipartono cinque
strade: due scendono al Foro, due si dirigono all’Ara Coeli e alla Rupe Tarpea, la quinta unisce la
piazza con la città, verso la quale sono pure rivolti i gruppi scultorei d’ età imperiale che
sormontano una balaustrata che delimita il trapezio a Ovest.
Michelangelo interviene nel Palazzo Senatorio a partire dal 1546, progettando una grande scala a
due rampe contrapposte, il cui arrivo coincide con il primo piano. Solo nel 1702 la parte inferiore
dell’edificio viene rivestita in bugnato di stucco, mentre, conclusa la scala, nel 1549 Michelangelo
non si occupa più dell’edificio, il cui complemento è affidato ad altri. Tuttavia, la realizzazione in
facciata delle paraste di ordine gigante rinvia a quelle del Palazzo dei Conservatori rendendo i due
edifici congruenti, pur nella loro diversa altezza. lnfatti, nel Palazzo dei Conservatori, progettato da
Michelangelo a partire dal 1562 (e condotto fino all’anno della morte avvenuta nel 1564) viene
anteposto un avancorpo porticato, di 7 campate, con un simile ordine gigante di paraste corinzie,
addossate a robustissimi pilastri. A tale schema Michelangelo ne somma un altro costituito da un
ordine minore di colonne ioniche. Disposte a coppie in ciascuna campata, su di esse grava una
trabeazione che sostiene la porzione di muro di competenza, alleggerita da ampie finestre. Altre
colonne ioniche, inalveolate perché incluse nella muratura che Michelangelo fece realizzare in
aderenza a quella di facciata del vecchio edificio, sostengono delle travi trasversali. Un unico
lacunare (in getto di calcestruzzo e ornato con motivi a stucco) funge da copertura per ogni singola
campata del portico. In tal modo l’architettura del palazzo funziona staticamente come una
moderna struttura di pilastri e travi.
Se i capitelli corinzi delle paraste sono realizzati secondo la tradizione dell’ordine architettonico,
altro mostrano i capitelli ionici. Da capitelli bifacciali, infatti, essi si trasformano in capitelli a
quattro facce curvilinee (e sono sormontati, pertanto, da abachi mistilinei), mantenendo, però, la
doppia distinzione di volute e di balaustro con balteo. Le campane del balaustro, infatti, sono
48
modellate come se fossero di cera, piegandosi sui fianchi e aprendosi verso l’esterno lungo due
direzioni fra loro ortogonali. Una balaustra ornata di statue, infine, corona i tre edifici il Palazzo
Senatorio, il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo unendoli ancor più e procurando loro
leggerezza.

PALAZZO FARNESE Già inviato , già registro inferiore e piano nobile e la facciata fino al secondo
livello. Il progettista era Antonio da San Gallo , ha una passione per Vitruvio , lo studia è stato
allievo di Raffaello ma è totalmente distante da Michelangelo.Quando nel 1546 muore Antonio da
San Gallo , subentra Michelangelo che deve combattere contro i collaboratori di San Gallo che
vengono descritti da Vasari malamente. Michelangelo riesce a convincere il papa a seguire la sua
linea , rialzando di almeno 3 metri il palazzo in modo da non avere un equarazione altimetrica tra i
piani e scardina i rapporti tra le finestre tramite una trabeazione sostenuta da colonne in
serpentino, crea un partito dove trova luogo il portale. Il cornicione è la parte più importante ,
prende un frammento della trabeazione del foro di Traiano e lo ripropone spudoratamente , fa di
più , per convincere il papa di rialzare il palazzo costruisce un modello al vero di una volta di circa 3
metri e mezzo in legno , costruisce la porzione d’angolo e lo mostra al papa chiedendo la sua
approvazione per la costruzione. Anche internamente rialza il piano nobile e costruisce ex novo la
facies dell’ultimo livello. Fregio ionico nella trabeazione

BASILICA DI SAN PIETRO Scomparso Bramante fu Raffaello a succedergli in qualità di architetto


della Basilica di San Pietro. Dopo di lui altri si avvicendarono alla direzione della costruzione,
ognuno apportando varianti ai progetti. Il primo gennaio 1547, infine, Paolo III affida l’incarico a
Michelangelo. Questi ridimensiona l‘intervento, abbatte le aggiunte di Antonio da Sangallo il
Giovane, elimina dal progetto i deambulatori e compatta le strutture proponendo una pianta
centrale, limpida nella concezione e dall’interno luminoso. In essa, infatti, trovano spazio solo i
quattro pilastroni già costruiti da Bramante. Michelangelo interviene nella zona absidale con una
struttura muraria che si avvale dell’uso delle paraste di ordine gigante alle quali sovrappone
un’alta cornice. Tale organizzazione delle superfici esterne ha la sua logica prosecuzione nell’alto
tamburo anulare e nei costoloni della cupola. Alla morte dell’artista si era giunti con la costruzione
proprio all’imposta della cupola a pianta circolare che Michelangelo progettò ma che,
probabilmente, fu modificata durante la realizzazione. In ogni modo essa rispecchia nelle sue linee
essenziali il disegno michelangiolesco.
Il tamburo è ritmato da colonne binate, terminazioni di potenti contrafforti che irrigidiscono la
struttura e che affiancano immensi finestroni alternativamente timpanati o centinati.
Costruita in soli 22 mesi, dal luglio 1588 al maggio 1590 da Giacomo della Porta affiancato da
Domenico Fontana, la grande cupola, come già quella fiorentina della Cattedrale di Santa Maria
del Fiore, è a doppia calotta ed è conclusa da una lanterna (costruita tra il 1590 e il 1593) dove si
ripete il motivo delle colonne binate del tamburo.

49

Potrebbero piacerti anche