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Sant’Ambrogio a Milano

La basilica di Sant’Ambrogio a Milano è considerata la madre del Romanico lombardo, fu costruita tra
l’undicesimo e il dodicesimo secolo, quando il libero comune di Milano si stava affermando politicamente
ed economicamente. La chiesa sorge sull’area di una precedente basilica paleocristiana fatta edificare dal
vescovo Ambrogio alla fine del 4 secolo. Dell’edificio primitivo rimangono poche tracce in quanto i
benedettini avevano iniziato la ricostruzione gia nel nono secolo. La chiesa affiancata da due campanili di
epoche diverse è preceduta da un quadriportico, il 4 lato è addossato alla facciata e funge da esonartece.
Nel vasto cortile porticato originariamente destinato ad accogliere i fedeli non ancora battezzati, durante il
Medioevo si svolgevano attività civili e commerciali. La basilica prova di transetto si sviluppa
longitudinalmente e presenta 3 navate terminanti in altrettante absidi semicilindriche. Sulle navate laterali
si imposta il matroneo che oltre a svolgere una funzione statica, spezza la continuità delle pareti,
affacciandosi sulla navata centrale per mezzo di archi a tutto sesto. Nel registro superiore della facciata
posto al livello del matroneo, gli archi a tutto sesto seguono con il loro andamento l’inclinazione delle falde
del tetto. Le navate si articolano in campate la cui superficie quadrata risponde a precisi rapporti
proporzionali, ciascuna delle campate minori che formano le navate laterali, presentano una superficie pari
a un quarto di quella coperta da una campata della navata centrale. La 4 campata della navata centrale a
ridosso del presbiterio rialzato è coperta da una cupola ottagonale. Esternamente la cupola è rivestita da un
tiburio circondato da un doppio ordine di loggette, queste richiamano la forma delle aperture che decorano
la sommità dell’abside alleggerendo il paramento murario.

San Geminiano a Modena

Il 9 giugno 1099 rappresenta una data importantissima per la città di Modena. In quel giorno venne posata
la prima pietra del Duomo di Modena, splendido esempio di arte romanica che stupì i contemporanei, e che
continua tuttora a sorprendere per la sua straordinaria bellezza e originalità. Una cronaca contemporanea,
la Relatio de innovatione ecclesiae Sancti Geminiani…, ci informa che la scelta dell’architetto avvenne per
miracolosa ispirazione divina: il clero e la cittadinanza modenesi affidarono l’incarico di progettare la
Cattedrale a Lanfranco, il quale diede vita a un’architettura nuova e ardita, che costituì un modello per
l’arte romanica fiorita dopo di lui. Per il rivestimento lapideo dell’edificio fu utilizzato materiale di
reimpiego proveniente da Mutina romana, come dimostrano le indagini scientifiche effettuate durante la
recente campagna di restauro iniziata nel 2006. Sulla struttura ideata da Lanfranco, una basilica suddivisa in
tre navate da un’alternanza di colonne e pilastri con presbiterio sopraelevato sulla cripta, si innestò, in uno
straordinario rapporto di armonia, la scultura di Wiligelmo. A lui e ad altri scultori attivi agli inizi del XII
secolo si deve la splendida decorazione che popola di motivi vegetali o di esseri fantastici ogni capitello
della loggia e delle semicolonne e ogni mensola dei sottostanti archetti, motivi architettonici che come un
ritmico contrappunto scandiscono l’intero perimetro del Duomo. All’officina di Wiligelmo si devono anche
la maggior parte delle sculture collocate sulla facciata, raffigurazioni sacre e profane, celestiali e mostruose:
riassumono l’intero mondo spirituale dell’uomo medievale, la fede, le speranze, i timori, le certezze e i
dubbi. Ma la grande arte di Wiligelmo si esplicitò nella decorazione del Portale Maggiore, dove, con
primitiva ma potente espressività, egli sintetizzò la visione del mondo dell’uomo del suo tempo. Fra intricati
viluppi vegetali che evocano il bosco, luogo considerato temibile ed insidioso che simboleggia la vita
umana, abitano esseri mostruosi di ogni genere, immagini del peccato che costantemente minacciano il
cammino spirituale dell’uomo. Di qui la lotta che oppone il credente a una folla selvaggia di leoni, draghi,
centauri: mostri desunti dai repertori dell’antichità e dai bestiari medievali. Ma se il viaggio della vita è un
difficile percorso, la meta èla Salvezza: scene liete di vendemmia evocano la “vigna del Signore”. All’interno
degli stipiti vi sono figure di Patriarchi e Profeti, che annunciano la venuta di Cristo, sottolineando il
significato simbolico della Porta della Chiesa, la quale è crinale tra due condizioni: quella dei fedeli radunati
all’interno, salvi, e quella di chi è fuori, possibile preda del demonio.
Rimane ancora ineguagliata, dopo nove secoli, la toccante espressività dei Rilievi della Genesi, scolpiti da
Wiligelmo su grandi lastre di pietra, anch’esse di reimpiego. Le vicende di Adamo ed Eva, di Caino ed Abele,
dell’arca di Noè conservano ancora oggi, intatte, una forte intensità, una inusuale carica espressiva e una
straordinaria capacità narrativa.

La storia della Basilica di San Marco iniziò nell’828 quando l’undicesimo doge, Giustiniano Partecipazio,
decise di far costruire una chiesa accanto al palazzo ducale, in onore di San Marco, in sostituzione della
capella palatina dedicata a San Teodoro. L’incendio provocato da alcuni rivoltosi nel 976, distrusse la
costruzione, per cui nel 978 fu riedificata per volontà del doge. La meravigliosa basilica che noi oggi
possiamo ammirare, non è quella del 978, risale invece all’XI secolo. Fu iniziata dal doge Domenico
Contarini nel 1063, continuata dal suo successore Domenico Selvo e terminata dal trentaduesimo doge
Vitale Falier. La basilica venne consacrata nel 1094. Nel 1231 fu danneggiata da un altro incendio e ne
seguirono tutta una serie di interventi atti a restaurare la struttura. Esternamente la basilica può essere
divisa in: piano inferiore, piano superiore e cupole.

ESTERNO

Nella facciata, realizzata in marmo nel XIII secolo, invece si distinguono un piano terra che presenta cinque
portali strombati e un piano superiore, nel quale si trova una terrazza. Il portale centrale, sulla cui lunetta
compare il Giudizio universale, è quello più grande ed anche quello maggiormente decorato, mentre il
portale di Sant’Alipio (il primo portale a sinistra) è l’unico che ha ancora il mosaico originale, raffigurante
l’ingresso del corpo di San Marco all’interno della basilica. Sopra il portale centrale sono sistemate le copie
dei quattro cavalli di bronzo presi a Costantinopoli dai Veneziani durante la IV crociata. Nella facciata, nel
corso dei secoli, è stata inserita una grande quantità di materiale di spoglio che ha reso questo luogo sacro
ancora più bello e particolare.

INTERNO

La Basilica è a croce greca, ma il braccio verticale della croce è più lungo di quello dei transetti. Sopra la
croce ci sono quattro cupole emisferiche ed una cupola centrale. La cupola dell’Ascensione si trova al
centro della chiesa, quella dei Profeti sopra il presbiterio, quella della Pentecoste in prossimità della navata,
mentre la cupola di San Giovanni e di San Leonardo, rispettivamente sul braccio nord e sul braccio sud del
transetto. Le navate sono tre per ogni braccio e sono separate da colonnati che si collegano ai pilastri, il cui
compito è di sopportare il peso delle cupole. Sia le pareti interne che quelle esterne sono piuttosto sottili
per non appesantire troppo l’intera struttura, dato che poggia su un terreno sabbioso. L’altare non
compare al centro della croce greca, come accadeva solitamente, è invece posto sotto la cupola del
presbiterio e custodisce i resti mortali di San Marco. Sotto il presbiterio c’è la cripta a tre navate absidate.
All’interno della basilica possiamo distinguere una zona terrena (rappresentata dal pavimento e dalle
pareti), in marmo, con disegni geometrici o figure di animali (create con le tecniche dell’opus sectile e
dell’opus tessellatum), ed una zona celeste (rappresentata dalle cupole e dalle volte) realizzata con tessere
di vetro colorate. Un’iconostasi (parete divisoria) realizzata in marmo, separa il presbiterio dal resto
dell’edificio sacro. Molti sono i mosaici presenti e tra quelli più antichi occorre ricordare i mosaici
dell’abside che mostrano il Cristo Pantocratore e quelli dell’ingresso che rappresentano gli Evangelisti,
entrambi realizzati alla fine del XI secolo da mosaicisti greci. La basilica custodisce opere di immenso valore,
tra le tante possiamo ricordare la Pala d’oro collocata sull’altare maggiore e il tesoro di San Marco.
Quest’ultimo è costituito da poco meno di trecento pezzi realizzati in oro e materiali preziosi, in parte,
almeno i più antichi, provenienti da Costantinopoli nel XIII secolo, in seguito alla conquista veneziana, altri
sono stati prodotti dalle abili mani degli artisti veneziani ed infine alcuni rappresentano doni di personaggi
illustri come i pontefici o gli stessi dogi. La Pala d’oro, che contiene le reliquie di San Marco, invece venne
fatta realizzare nel 1102 dal doge Ordelaffo Falier e poi, nei secoli, è stata modificata fino ad assumere
l’attuale conformazione.

Nel 1128 l’edificio diventò ufficialmente il battistero cittadino. Intorno alla metà dello stesso secolo si
eseguì il rivestimento esterno in marmo, successivamente completato anche all’interno. Il Battistero fu
progettato a pianta ottagonale, come dettava la tradizione tardoantica e bizantina, con un diametro di
25,60 metri (quasi la metà di quello della cupola del Duomo). È coperto da una cupola a spicchi, impostata
sui muri perimetrali e invisibile dall’esterno perché coperta da un attico e dal sovrastante tetto a piramide.
Le facciate sono idealmente divise in tre livelli ciascuna: quello inferiore con le porte (presenti solo su tre
lati), quello mediano con le finestre (alternativamente, ad arco e rettangolari, queste ultime sormontate da
piccoli timpani) e quello superiore dell’attico, decorato a lesene corinzie. La struttura dell’edificio è
irrobustita, agli angoli, da contrafforti decorati a bande orizzontali bianche e verdi, probabilmente di epoca
successiva. Anche ogni faccia del corpo prismatico è decorata a specchi marmorei, con limpide scansioni
geometriche in marmo bianco di Carrara e Verde di Prato, chiaramente debitrici della tradizione decorativa
antica. Le grandi arcate che si ripetono all’esterno non hanno alcuna funzione portante: i muri, solidi e
robusti, sostengono autonomamente il peso della cupola, sebbene le pareti appaiano leggere e snelle. Un
tempo, l’intero edificio era sopraelevato su un basamento a gradini, poi scomparso a seguito del graduale
innalzamento del pavimento della piazza. In tutte queste caratteristiche risiede l’essenza della classicità del
Battistero: in particolare, nella misura, nell’equilibrio, nella sua armonia. Tuttavia, e nonostante la presenza
delle colonne, dei capitelli corinzi, delle finestre timpanate, le sue forme non sono rigorosamente
“classiche”. Nel Medioevo fiorentino, infatti, la nozione di classicismo non va intesa in senso stretto: la
concezione architettonica romanica trova nella classicità, in questo caso, un fondamentale precedente e un
importante punto di riferimento ma non un modello da seguire alla lettera.

LE TRE PORTE

Il Battistero di Firenze è celebre per le sue tre bellissime porte in bronzo, capolavori della scultura gotica e
rinascimentale italiana. La prima, oggi detta Porta sud, venne realizzata su commissione dell’Arte di
Calimala (ossia dall’Arte dei Mercanti, la più potente corporazione fiorentina), responsabile
dell’abbellimento e manutenzione del Battistero. Venne fusa, tra il 1330 e il 1336, da Andrea Pisano, un
artista, allievo e collaboratore di Giotto, di cui abbiamo notizie fra il 1330 e il 1348. Questa porta presenta
24 formelle con le Storie di San Giovanni Battista e le Virtù cristiane. I suoi grandi battenti ispirarono la
seconda porta, oggi Porta nord, scolpita da Lorenzo Ghiberti (1378-1455) tra il 1401 e il 1424. Ghiberti ebbe
l’incarico dall’arte di Calimala, nuovamente committente, avendo vinto un concorso bandito nel 1401 cui
parteciparono altri grandissimi artisti, tra cui Filippo Brunelleschi e Jacopo della Quercia. Questa porta,
arricchita da dorature sulle figure in bassorilievo, presenta Storie del Nuovo Testamento, con i Quattro
Evangelisti e quattro Padri della Chiesa. La terza porta, quella est, venne realizzata, sempre dal Ghiberti, e
stavolta su assegnazione diretta da parte dell’Arte di Calimala, tra il 1425 e il 1452. Le sue dieci grandi
formelle, con Storie dell’Antico Testamento, furono interamente rivestite in oro. Fu Michelangelo a darle il
nome con cui oggi è conosciuta, ossia Porta del Paradiso.

INTERNO

L’interno del Battistero è decorato con cicli di magnifici mosaici, autentici capolavori dell’arte musiva gotica
in Italia. I mosaici più antichi si trovano sulla volta della scarsella e vennero realizzati, a partire dal 1225, da
un frate francescano, Fra’ Jacopo. Tali mosaici raffigurano l’Agnus Dei circondato dalla Madonna e da
Apostoli e Profeti e, ai due lati, San Giovanni Battista in trono (a sinistra) e la Madonna col Bambino in trono
(a destra). Su tre degli otto spicchi è invece raffigurato un grandioso Giudizio universale (1270-75),
dominato dalla grande figura del Cristo giudice (che da solo occupa uno spicchio) affiancato dalla Madonna,
da san Giovanni Battista e dai dodici Apostoli. Ai piedi del Cristo, il quale è seduto sui cerchi del Paradiso,
risorgono i morti; alla sua destra, che ha il palmo levato verso l’alto, i giusti sono accolti in cielo; alla sua
sinistra, il cui palmo è rivolto verso il basso, i dannati precipitano all’Inferno. I rimanenti cinque spicchi sono
suddivisi, ciascuno, in quattro registri, dove si dispiegano (dall’alto) le Storie della Genesi, le Storie di
Giuseppe, le Storie di Maria e di Cristo e le Storie di San Giovanni Battista. Colpisce, nella scena dell’Inferno,
la figura di Satana, mostrato con grandi orecchie d’asino dalle quali fuoriescono serpenti e con due grandi
corna sulla testa. Quest’essere mostruoso e famelico sta calpestando e ingoiando alcuni dannati, aiutato da
altri demoni e animali spaventosi. Gli altri dannati sono sottoposti a orribili torture: alcuni vengono
impiccati, altri mutilati, altri ancora sono arsi allo spiedo oppure obbligati a bere oro fuso.

San Miniato al Monte è una delle espressioni più alte dell’architettura romanica di Firenze. Dentro la chiesa
si viene subito catturati dalla sua atmosfera spirituale davvero unica. La chiesa è divisa in tre navate grazie a
due file di colonne monumentali. L’area dell’altare maggiore segue una struttura tipicamente romanica, con
una cripta che sorregge un presbiterio sopraelevato. Si può osservare un’organizzazione spaziale simile, ad
esempio, nella cattedrale romanica di Fiesole dedicata a San Romolo, costruzione iniziata nel 1028, dieci
anni dopo l’inizio dei lavori a San Miniato. La cripta di San Miniato ospita le reliquie del santo martire, che
furono sepolte sotto l’altare maggiore. La cripta è l’area più sacra e antica della Basilica. La volta a crociera
è decorata con gli affreschi di Taddeo Gaddi che rappresentano i santi e i martiri. Gaddi, allievo di Giotto,
dipinse questa decorazione nel 1342, pochi anni dopo la conclusione del suo lavoro più importante, gli
affreschi nella Cappella Baroncelli in Santa Croce. La volta della cripta è sorretta da sei file di colonne. Qui,
proprio come nella chiesa e nel presbiterio, i costruttori della basilica collocarono in cima alle colonne
capitelli prelevati da rovine romane, i cosiddetti spolia. Nell’intero edificio si possono notare trentotto
capitelli antichi provenienti da numerosi edifici antichi di Firenze e Roma. L’uso di spolia era molto comune
durante l’XI e XII secolo: Roma era una risorsa senza fine di materiale costruttivo già pronto per l’uso,
economico e facilmente disponibile. I templi pagani, i complessi termali, i fori, i teatri e le basiliche, già
abbandonati e in rovina, venivano tagliati in più pezzi e i marmi preziosi, un tempo gloria dell’Impero,
vennero poi usati per le costruzioni di templi cristiani in onore di santi e martiri. A Firenze possiamo trovare
altri spolia nel Battistero e nella Chiesa dei Santi Apostoli. A San Miniato, tuttavia, la quantità e la varietà di
capitelli romani è davvero impressionante. Se lasciamo la cripta e saliamo al presbiterio, la parte superiore
della chiesa ci sorprenderà con la sua decorazione romanica. L’area del presbiterio è dominata dal pulpito
romanico di marmo, un bell’esempio di scultura medievale. Il leggio di marmo è supportato dalla figura di
un’ aquila che simboleggia San Giovanni Evangelista. Il pulpito è addossato a un recinto di marmo che
divide il presbiterio dal resto della chiesa. Decorato con motivi geometrici e floreali, il recinto protegge
l’area più sacra della chiesa, nel passato accessibile solo al clero. In San Miniato i marmi non solo decorano
questi elementi scultorei, ma coprono anche l’intero pavimento della basilica. Le tarsie del pavimento sono
popolate da animali fantastici che proteggono la sacralità dello spazio liturgico e combattono contro le
forze del male.

Duomo di Pisa

La sua storia inizia nel 1064, in un momento in cui il prestigio e la ricchezza della Repubblica Marinara di
Pisa era al suo massimo. La zona scelta era già stata scelta come necropoli in epoca longobarda. Vi si
fondano elementi decorativi differenti lombardo-emiliani, classici, bizantini, romanici. La cattedrale venne
consacrata nel 1118. Uno dei primi ampliamenti avvenne nel XII secolo quando furono allungate le navate
con l’aggiunta di tre nuove campate. Oltre a un terribile incendio nel XVI secolo, l’edificio dovette fare i
conti con diverse depredazioni in periodo napoleonico.
Architettura

L’edificio che anticamente era a croce greca e presentava una grande cupola, oggi è a croce latina. È
suddivisa su 5 navate che si sviluppano su 10 campate. L’aspetto attuale è il risultato di diverse fasi di
ristrutturazione, la più importante delle quali dopo un terribile rogo nel 1595. Successivamente venne
rifatto il tetto e furono realizzate le tre porte in bronzo della facciata. A partire dal 1600 prese il via il
successivo rivestimento delle pareti interne. L’interno della cattedrale ha un aspetto orientale pieno di luce
con uno spazio che sembra moltiplicarsi grazie alla particolare disposizione delle colonne. La navata
centrale presenta un soffitto a cassettoni ed è ornato da vetrate che raccontano episodi del Vecchio
Testamento.

Duomo di Pisa

Fondata nel 1064 e consacrata con grande solennità il 26 settembre del 1118, la costruzione della
Cattedrale conobbe due fasi, legate rispettivamente agli architetti Buscheto, cui si deve l’impianto originario
con corpo basilicale a cinque navate, transetto a tre navate e cupola sulla crociera, e Rainaldo, responsabile
del prolungamento dell’edificio e della facciata. La costruzione fu definitivamente conclusa soltanto
nell’ultimo quarto del XII secolo, quando, nel portale centrale, furono collocati i battenti bronzei di
Bonanno, andati poi perduti nel devastante incendio del 1595, a seguito del quale furono effettuate
numerose sostituzioni di opere distrutte e avviato un vasto programma decorativo.

ESTERNO

La Cattedrale presenta nel suo paramento esterno contrastate cromie bianco-nere di matrice araba, sia a
zone sia a fasce, e un uso massiccio di materiali di reimpiego provenienti da monumenti d’età romana, allo
scopo di sottolineare la grandezza della città di Pisa altera Roma. Elementi decorativi quali losanghe, un
grifone bronzeo di manifattura islamica sul culmine del tetto, e altri orientalismi, come la cupola a pianta
ellittica, radicati nella cultura mediterranea della città e dell’architetto, danno forma e colore a un
monumento straordinariamente nuovo e antico al tempo stesso.

INTERNO

Delimitata da due file di colonne monolitiche in granito dell’Isola d’Elba, la navata centrale è fiancheggiata
da quattro navatelle spartite da colonnati di minori dimensioni, sopra le quali si estendono vasti matronei.
Copre la navata centrale un soffitto ligneo a cassettoni che nel XVII secolo sostituì le originarie capriate a
vista. Ricco e sontuoso è l’apparato decorativo della Cattedrale pisana, il cui sviluppo è legato a una storia
spesso tormentata, segnata da eventi talvolta calamitosi che culminarono nell’incendio del 1595. Delle
importanti commissioni che andarono a integrare l’arredo della Cattedrale nella prima metà del Trecento
restano così la decorazione musiva del catino absidale – di cui si deve a Cimabue la figura di San Giovanni
Evangelista (1302 ca.), il nuovo pulpito (1302-1310) di Giovanni Pisano e lo smembrato Monumento
sepolcrale dell’Imperatore Arrigo VII (1315).

RESTAURO DELLA CUPOLA E DEI PARAMENTI INTERNI DELLA CATTEDRALE

Il progetto ha avuto inizio a settembre 2015. Il restauro completato è stato presentato il 20 maggio 2018, in
occasione della celebrazione della messa di Pentecoste. I lavori hanno interessato la completa verifica dello
stato di manutenzione e conservazione degli intonaci della cupola e dei paramenti laterali del presbiterio e
del sottocupola. In particolare sono stati realizzati: il consolidamento degli intonaci distaccati, restauro degli
apparati pittorici della cupola del Riminaldi e dei paramenti laterali, l’intervento sul degrado degli intonaci
con decoro a finto marmo della navata centrale per porzioni successive. La chiesa è tornata così al suo
massimo splendore, in tempo per il 900° anniversario della consacrazione (26 settembre 2018).

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