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1.

LA RENOVATIO DELL’IMPERO
L'incoronazione di Carlo Magno sancisce simbolicamente il decadere dell'influsso
di Bisanzio su Roma e il deciso ritorno alla tradizione paleocristiana e tardo-
antica. I primi esempi in tal senso vengono dall'architettura: mentre nell'VIII
secolo si era affermato il modello della chiesa ad aula rettangolare tri absidata, il
IX secolo vede prepotente ritorno allo schema spaziale delle basiliche
paleocristiane e, in particolare, della Basilica Vaticana: ne è un esempio la chiesa
di Santa Prassede, in cui ricompare il transetto e i cui mosaici risalgono al
pontificato di Pasquale I. La tecnica della decorazione musiva era stata
abbandonata da circa un secolo, ma il rilancio del mosaico nell'età di Pasquale I
propone il ritorno a un gusto ricco e raffinato del colore. La renovatio è lo
strumento di Carlo Magno e dei suoi successori per dare forma unitaria e il più
possibile omogenea a un insieme di aree geografiche e di gruppi etnici diversi tra
loro. Il modello strutturale e ideologico indispensabile a tale renovatio non poteva
che essere l'impero romano, in particolare quello cristianizzato da Costantino.
Decisiva divenne allora l'alleanza con la Chiesa, non solo perché essa costituisce
lo strumento principale per attuare le riforme amministrative ma anche perché a
essa è affidata la conservazione della cultura. Il principale successi della renovatio
carolingia consiste nella grandissima qualità dei risultati culturali e artistici
raggiunti attraverso la sintesi di elementi romani, anglosassoni, classici, ellenistici
e ancora derivanti dalla cultura longobarda e araba.
CAPPELLA PALATINA: Carlo Magno nel
789 diede inizio alla costruzione della
propria residenza ad Aquisgrana, dotata
di un'Aula regia per le udienze, una
cappella poligonale, bagni termali e
scuderie. La cappella presenta una
caratteristica pianta centrale e ricorda
molto da vicino la basilica di San Vitale a
Ravenna. Un deambulatorio su due livelli
- coperto a crociera nella parte inferiore -
raccorda il perimetro esterno a sedici lati
con la struttura ottagonale centrale
coperta da una cupola a padiglione.
Massicci archi a tutto sesto su pilastri
mettono in comunicazione lo spazio
centrale e l'ambulacro inferiore. Otto alte
arcate delimitate verso l'interno da un
doppio ordine di decorative colonne
corinzie - sormontate da tre archetti le
inferiori, direttamente legate all'intradosso degli archi quelle superiori -
definiscono il piano superiore. L'ingresso, preceduto da un quadriportico, forma
un copro sporgente rinserrato tra due torri scalari e scavato esternamente da un
nicchione che inquadra una tribuna al di sopra del portale. Qui l'imperatore si
presentava ai sudditi per l'acclamazione. Le colonne in porfido rosso e le lastre di
rivestimento in marmo preziosi furono portate ad Aquisgrana prelevandole
direttamente dall'ex capitale Imperiale di Ravenna. Un grande mosaico
raffigurante Cristo in trono, in vesti purpuree e circondato dai Vegliardi
dell'Apocalisse, decorava la cupola e manifestava l'analogia tra il Salvatore e
l'imperatore, sua figura in terra. Nella cappella sono presenti anche manufatti
ispirati all'Antico eseguiti appositamente da numerosi artisti e tecnici chiamati
per l'occasione dall'Italia. Ne sono esempio notevole le inferriate in bronzo dorato
del primo ordine, decorate con motivi geometrici, pilastrini con capitelli corinzi e
fasce terminali con girali di acanto.
Carlo Magno favorisce la costruzione di numerose abbazie, che sancivano la
cristianizzazione e la definitiva conquista dei territori, rappresentando quindi
centri di potere e di diffusione dell'ideologia. Anche per i monasteri vennero
ripresi ed aggiornati modelli romani: per esempio la chiesa dell'Abbazia di Fulda
alla basilica di San Pietro in Vaticano dell'epoca di Costantino; nella Torhalle
(porta trionfale d'ingresso) dell'Abbazia di Lorsch invece ci si ispirò all'Arco di
Costantino.
ABBAZIA DI LORSCH (760-790): si trova al centro del grande cortile antistante;
ha, nonostante le piccole dimensioni, carattere monumentale: nella parte
inferiore si apre una loggia a tre fornici mentre al piano superiore è un'aula che
serviva all'imperatore come sala del trono e spazio per le complesse cerimonie
della liturgia imperiale. Le due facciate sono decorate da semicolonne accostate
ai pilastri degli archi, con capitelli compositi e, al di sopra della fascia marca piano,
da paraste ioniche scanalate che reggono una cornice piegata ad angolo. Pietre
rosse e bianche sono disposte a comporre motivi geometrici, coprendo le
murature.
WESTWERK: Il W. è una
delle creazioni più originali
dell’architettura carolingia
ed ebbe particolare
diffusione dalla seconda
metà del 9° al 10° secolo. Il
Westwerk si presenta
come un grande corpo a più
piani protetto ai fianchi da
due alte torri scalari. Il
complesso veniva aggiunto
sul lato ovest di basiliche e
cattedrali (spesso
superandole in altezza) e
fungeva esternamente da ingresso laterale e facciata. A pianta quadrata,
comprende a pian terreno un basso atrio a volte sorretto da colonne e una zona
di passaggio che lo raccordava alla navata della chiesa. I due piani superiori sono
occupati al centro da una grande sala che li comprende entrambi in altezza,
circondata da gallerie aperte sullo spazio interno. Il trattamento esterno del
westwerk imposta per la prima volta un problema tipico dell'architettura
occidentale: quello della facciata monumentale come elemento insieme autonomo
e coerente con il resto dell'edificio. Al suo interno si svolgevano la liturgia del
Salvatore e le cerimonie che coinvolgevano l'imperatore; si conservavano inoltre
le reliquie dei santi e dei martiri.
SAINT GERMAIN D'AUXERRE: La cripta è particolarmente importante sia per
l'originaria architettura carolingia, tra le meglio conservate di Francia, sia per il
ciclo di affreschi risalente al IX secolo, i più antichi del Paese, riscoperti nel 1927.
Da queste pitture si è potuto studiare l'aspetto delle arti figurative di quel tempo,
poiché altrove sono quasi completamente distrutte. Le pareti sono trattate con
decorazioni di finti elementi architettonici (volte a crociera, fregi e altro),
all'interno dei quali sono disegnate alcune lunette istoriate con scene di santi. Una
scena riporta la Lapidazione di Santo Stefano ed è interessante come il pittore sia
attento alla dinamica delle figure, ritraendo con verosimiglianza i gesti e le
espressioni facciali, ma lasci lo sfondo vagamente indeterminato, con una chiesa
dalla quale esce il santo, incongruente per dimensioni (la porta arriva appena alla
vita dei personaggi) e per prospettiva (un po' frontale, un po' a volo d'uccello).
SAN GIOVANNI A MUSTAIR: Il monastero di San Giovanni Battista è
un'antichissima abbazia benedettina situata a Müstair, Svizzera. Gli affreschi
carolingi si trovano nella chiesa abbaziale e raffigurano Storie dell'Antico e Nuovo
Testamento, dipinte verso l'830, molto danneggiate e giudicabili solo nell'insieme.
Una delle scene più integre è la Guarigione dell'Emorroissa, dove si nota un tratto
rapido, con pochi colori, che sovrappone le campiture ritoccando poi con
lumeggiature, le quali oggi sono quasi completamente invisibili. i riquadri
narrativi sono incorniciati da fasce con ghirlande e nastri e conclusi al di sopra fa
un cornicione in finta architettura.
MINIATURA: Per miniatura s’intende la decorazione di un manoscritto in una
straordinaria fusione di parole e immagini. La tecnica della miniatura nasce in
epoca antica, ma è soprattutto nel Medioevo che conosce un enorme successo,
legato ai processi di trascrizione e di produzione di testi nei grandi monasteri. La
parola miniatura deriva dal latino miniare, che vuol dire «scrivere in rosso le
lettere iniziali di una pagina»: i Romani chiamavano infatti minium il pigmento
rosso-arancio usato per delineare queste iniziali. La tecnica della decorazione
miniaturistica è affidata a colori ad acqua o a tempera e il supporto su cui
disegnare fu inizialmente il papiro, poi la pergamena, infine la carta. La miniatura
ha avuto grande rilievo nel 9° secolo con Carlomagno: l’imperatore infatti,
convinto dell’importanza della cultura sia antica sia religiosa, promosse in tutto il
suo impero la costruzione di una rete capillare di monasteri, con annesso
scriptorium. La nuova cultura figurativa Imperiale giunge a esprimersi
pienamente in un gruppo di evangelari tra i quali quello di Ada, di Saint Medard a
Soisson e quello di Lorsch. Nelle miniature che illustrano questi manoscritti lo
stile bizantineggiante, aulico e prezioso delle figure, si coniuga con
un'impaginazione che ricorre a fondali architettonici ripresi dall'antico e a
incorniciature di archi su colonne. La miniatura carolingia è vivace e narrativa;
nel Salterio di Utrecht, uno dei manoscritti più famosi, i 150 salmi trascritti sono
illustrati da miniature, quasi come un fumetto. Per esempio, nella scena in cui un
uomo annega e chiede invano l’aiuto di Dio, dicendo: «Dio mio, che fai dormi?», il
miniaturista disegna Dio addormentato in un letto a baldacchino.
Al loro arrivo in Italia i sovrani Franchi trovarono corti non solo fortemente
latinizzate e grecizzanti, ma anche un diffuso interesse per i modelli artistici
dell'antichità. La politica culturale degli imperatori carolingi, accentrata intorno
alle iniziative al gusto del sovrano e dei suoi intellettuali, sperimentò però una
coerenza e una sistematicità nel progettare la rinascita dell'antico che i ducati
Longobardi non avevano mai raggiunto. Se gli edifici dell'VIII secolo si rivestirono
di un'apparenza classica attraverso il riuso di marmi romani e vi era un frequente
ricorso a modelli tardi antichi orientali, essi non raggiunsero mai la coscienza
ripresa di Lorsch o Aquisgrana. Questa diffusione di tipologie architettoniche
greche e orientali dall'area Adriatica fino a Milano e oltre, segue il percorso delle
nuove vie di comunicazione che il dominio carolingio ha contribuito ad aprire
attraverso la pianura Padana. L'influsso bizantino mediato da Venezia,
attraverserà l'Italia del Nord in ondate successive per più secoli. Più complessa è
la situazione del centro-sud della penisola, dove, sia per la presenza del potere
papale sia soprattutto per le ultime resistenze longobarde, l'influsso carolingio
risulta notevolmente più frammentato.
SAN SATIRI A MILANO: La chiesa presenta una singolare pianta a croce commissa.
L'aula è divisa in tre navate, con la centrale più larga rispetto a quelle laterali,
mentre il transetto è diviso in due navate. Le navate maggiori presentano una
copertura a botte decorata con lacunari e rosoni dipinti. L'aula è scandita da tre
campate che poggiano su pilastri a croce con capitello corinzio. La struttura
esterna del sacello è composta da una costruzione cilindrica, che ingloba l'antica
struttura, in cui sono ricavate delle nicchie comprese tra lesene, coronata dal
fregio decorato con tondi in cotto raffiguranti Putti. Sovrapposta alla struttura
cilindrica vi è una costruzione a croce greca con le pareti traforate da oculi,
coronata da un tiburio ottagonale con lanternino a colonna. La cornice del tiburio
presenta una decorazione in cotto tipica del primo rinascimento lombardo.
SANTA MARIA FORIS PORTAS: La chiesa di
Santa Maria foris portas si trova su di
un'altura all'esterno della cinta muraria di
Castelseprio in provincia di Varese.
Appartiene dunque all'età carolingia per
epoca di costruzione, ma a quella
longobarda per concezione ideale e per
continuità architettonica, che rimanda
indietro fino alle basiliche paleocristiane di
Milano del IV-V secolo e che sarebbe
proseguita fino all'XI secolo. La chiesa si
presenta esternamente con una rustica
semplicità, preceduta da un atrio con un grande arco, mentre in pianta presenta
un'unica navata rettangolare, non molto lunga, con un'abside per ciascun lato
oltre quello d'ingresso. Le tre absidi sono tra loro uguali tranne che per la
disposizione delle finestre. Gli affreschi sono opera di un pittore anonimo indicato
come Maestro di Castelseprio, un artista probabilmente bizantino. Il ciclo di
affreschi, su due ordini, presenta l'iconografia delle Scene dell'Infanzia di Cristo:
gli episodi rappresentati si susseguono l'uno dopo l'altro senza alcuna cornice
divisoria. Nell'ordine, in alto:
- Annunciazione e Visitazione (due differenti episodi inseriti nella stessa
scena)
- Prova delle Acque amare (episodio raramente raffigurato, in cui si dà prova
della verginità di Maria)
- Apparizione dell'Angelo a Giuseppe
- Viaggio a Betlemme
Tra scena e scena, al di sopra delle finestre, sono dipinti dei medaglioni, dei quali
si è conservato solo quello centrale, con il Cristo Pantocratore la cui fisionomia
richiama lo stile presente nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Un secondo
ordine inferiore, intervallato dalle finestre, presenta:
- Adorazione dei Magi (situata sul risvolto dell'arco)
- Natività (che racchiude vari episodi: la Natività vera e propria, la Lavanda
del Bimbo e l'Annuncio ai Pastori)
- Presentazione di Gesù al Tempio
- Una scena perduta, di cui restano solo alcune tracce.
Nella parte retrostante dell'arco trionfale si trovano due Angeli in volo con lo
scettro e il globo, al di sopra dell'arco, che guardano al medaglione centrale
dell'etimasia (il trono vuoto di Cristo), al quale portano simbolicamente i doni.
Alcuni episodi, derivati dagli apocrifi, sono abbastanza inconsueti anche se
qualche volta inseriti nei cicli paleocristiani e orientali dell'infanzia di Cristo. Tale
è la prova delle acque amare. Questa scena raffigura il riconoscimento ufficiale
della verginità di Maria mediante la Prova delle Acque amare. Secondo questo rito,
il marito della presunta adultera presentava in offerta al tempio una focaccia
preparata senza olio e presentata senza incenso: il sacerdote toglieva il velo della
donna accusata e le porgeva da bere dell'acqua mista alla polvere dell'atrio del
tabernacolo dove si svolgeva il rito, pronunciando una maledizione. Si riteneva
che, nel caso la donna fosse colpevole, avrebbe dovuto essere presa da dolori
atroci così da morirne o da restare sterile. La sequenza narrativa fluisce continua
come nei rituali illustrati tardo-antichi, in cui le immagini sono accompagnate in
basso solo da brevi didascalie. Il Maestro di Castelseprio evita accuratamente di
farsi condizionare, nella distribuzione delle scene, dalla struttura architettonica
dell'ambiente imponendo invece il proprio spazio figurativo. La tecnica pittorica
alterna sapientemente rapide e precise pennellate ad ampie velature successive
dei pochissimi toni cromatici principali, per ottenere un effetto atmosferico di
soffusa luminosità.
ALTARE DI SANT'AMBROGIO: l’opera più importante realizzata in territorio
italiano durante il periodo carolingio è senza dubbio l’altare d’oro di
Sant’Ambrogio a Milano. Il manufatto, un prezioso e grande reliquiario a forma di
sarcofago che conteneva le spoglie di Sant’Ambrogio deposte accanto a quelle dei
martiri Gervasio e Protasio, venne realizzato tra gli anni 824 e 859 durante il
vescovato di Angilberto II. L’autore fu Vuolvino, un monaco orafo forse di origine
germanica, aiutato anche da altri artisti. Il grande altare è di legno rivestito da
lamine d’oro e d’argento dorato, separate da cornici in filigrana adorne di gemme
incastonate di chiara ascendenza barbarica, con smalti policromi i cui colori
creano un forte contrasto con i preziosi metalli. La parte anteriore è divisa in
riquadri con storie tratte dalla Vita di Cristo, secondo una narrazione che si svolge
dal basso verso l’alto e dall’esterno verso l’interno. La porzione centrale è
dominata dalla figura di Cristo in trono entro una mandorla, al entro di una grande
croce i cui bracci recano i simboli dei quattro Evangelisti, mentre gli sazi ai quattro
angoli sono occupati dalle figure degli Apostoli riuniti in gruppi di tre. La stessa
suddivisione, ma con episodi della vita di Sant’Ambrogio, è presente anche nel
fronte posteriore, che ha però la sezione centrale apribile attraverso due sportelli.
Su di essi, entro quattro tondi, sono raffigurati gli arcangeli Michele e Gabriele,
Sant’Ambrogio che incorona il vescovo Angilberto e sant’Ambrogio che incorona
Vuolvino. Se nell’impianto generale l’opera presenta una struttura unitaria nella
sequenza di formelle a sbalzo e cesello, nell’esecuzione intervengono sensibilità
artistiche diverse. Gli sconosciuti esecutori della parte anteriore dell’altare
utilizzano linee molto mosse, quasi tormentate, il che produce vivaci effetti di luce.
Nei singoli episodi della Vita di Cristo, i personaggi appaiono collocati in spazi
reali e ben riconoscibili e in essi è possibile riscontrare anche un forte gusto
narrativo. La nervosità di modellato e la drammaticità di intonazione generale
sono invece assolutamente assenti nelle formelle di Vuolvino, sul lato posteriore.
Esse, al contrario, suggeriscono un effetto più orientato verso la resa
monumentale delle figure, le quali, infatti, appaiono isolate, ben salde e
plasticamente sbalzate attraverso contorni netti e precisi, con rare notazioni
architettoniche o paesaggistiche. Di particolare importanza è il tondo con
Sant’Ambrogio che incorona Vuolvino. Il santo sta su una pedana e con gesto
benevolo della mano destra pone una corona sul capo dell’artista che accoglie il
dono inchinandosi. Nella scritta disposta attorno alla sua figura, Vuolvino si
proclama “maestro orafo” (magister phaber), il che ci dimostra come fosse
profondamente cosciente del proprio valore e del proprio ruolo. Dopo secoli di
arte anonima, Vuolvino afferma la propria dignità professionale. L’artista del IX
secolo quindi non è più soltanto un esecutore senza nome, ma ha una sua
personalità, una volontà indipendente e, soprattutto, ha già piena coscienza della
qualità artistica e dell’utilità sociale del proprio lavoro.
2. RINASCENZA OTTANIANA
Le aspirazioni della dinastia dei Carolingi vennero raccolte in eredità dalla casa
degli Ottoni, che le succedette nella conduzione dell’impero. Gli Ottoni
promossero un programma culturale, in cui il culto della romanità, spiritualità
paleocristiana e imitazione delle arti santuarie bizantine si compenetravano. È
per questi motivi che si parla di Rinascenza Carolingia e Ottoniana. In questo
senso infatti l’Antico viene riproposto come modello. L’attività edilizia, come già
in epoca carolingia, è interesse primario degli imperatori come della grande
aristocrazia. È in età ottoniana, tra l’altro, che si afferma sul piano architettonico
la cripta, l’ambiente sottostante al presbiterio, generalmente coperto da una volta
a crociera. I temi dell’architettura carolingia – quelli del westwerk, ad esempio –
sono continuamente ripresi in epoca ottoniana, ma sempre trasformati, spesso in
maniera radicale.
ABBAZIA DI CLUNY: L'abbazia di Cluny fu fondata nell'omonimo paese dell'allora
regione della Borgogna il 2 settembre 909 (o meno probabilmente nel 910),
quando il duca di Aquitania e conte d'Alvernia (nella Francia centrale), Guglielmo
I detto il Pio, fece dono di un grande possesso fondiario a un abate, Bernone, che
fu incaricato di costruirvi un monastero. Dopo la primitiva chiesa di medie
dimensioni (Cluny I), tra il 955 e il 1040 fu ricostruita la chiesa principale (Cluny
II), oggi conosciuta solo tramite scavi archeologici. Mostrava un ampio
presbiterio, con absidi anche sul transetto, e un coro allungato, tripartito e con
deambulatorio. Nel 1088 l'abate Ugo decise la costruzione della terza chiesa
abbaziale (chiesa di San Pietro e Paolo o "Cluny III"). L'edificio era di notevoli
dimensioni: lungo 187 metri, era dotato di un particolare tipo di nartece a
sviluppo longitudinale, chiamato «galilea», che in molte chiese conventuali
cluniacensi precedeva l'ingresso all'area liturgica vera e propria, con funzione di
filtro tra interno ed esterno. Aveva ben cinque navate, un coro allungato diviso
sempre in cinque navate con deambulatorio e cappelle radiali, un doppio
transetto e sette torri. La pianta complessiva del monastero, nei primi decenni
dell’XI secolo, con la nuova basilica, i chiostri, gli edifici monastici e le masserie,
supera per l’imponenza persino il progetto di San Gallo.
CHIESA DI SAN CIRIACO A GERNRODE: La chiesa di San Ciriaco a Gernrode è uno
dei pochi edifici religiosi superstiti del periodo dell'architettura ottoniana,
edificato tra il 960 e il 965, sebbene sia stata restaurata nel XIX secolo. Il corpo
centrale è composto da tre brevi navate, circondate dal transetto orientale e il
westwerk, al quale sono affiancate due torri scalari. A questi elementi tipicamente
carolingi si aggiungono varie novità soprattutto nell'alzato, come l'alternarsi di
pilastri e colonne (che sottolineano la singola campata invece che lo sviluppo
longitudinale della navata), le massicce murature ispessite, le arcate semicieche
all'interno di gallerie sulla navata centrale, la geometrica razionalità; nei capitelli
invece si contrappone una fantasiosa inventiva, dove tra le foglie scolpite di uno
stile corinzio stilizzato compaiono delle testine umane: tutti elementi strutturali
e decorativi che anticipano l'architettura romanica.
CHIESA DI SAN MICHELE A HILDESHEIM: La chiesa di San Michele, risalente
all'inizio dell'XI secolo, è uno dei migliori esempi di passaggio tra l'arte ottoniana
e l'arte romanica. L’edificio è costituito in pianta dallo schema geometrico con tre
quadrati: uno relativo al corpo centrale a tre navate, due simmetrici con transetti
e due cori, con una torre quadrata in ognuno dei punti d'intersezione. Il coro
occidentale è
enfatizzato da un
deambulatorio e dalla
cripta. Tutta la pianta
della costruzione
quindi segue rigorose
norme geometriche,
con rapporti ben
precisi fra le
dimensioni della
navata e dei transetti.
Anche l'alzato è
calcolato su
proporzioni
armoniche di tipo matematico (1/1, 1/2 o 1/3) e si ha una visione come di solidi
geometrici definiti dalle murature lisce e compatte che si intersecano in un gioco
di vuoti e pieni. Vi sono inoltre due ingressi in ogni abside e 4 ingressi sui lati
settentrionale e meridionale della chiesa. Le navate sono scandite da pilastri che
determinano un ritmo ripetuto di tre arcate mentre nelle logge all’estremità dei
bracci dei transetti, dette “cori degli angeli”, le aperture crescono di numero da
due a sei in progressione matematica, mentre decrescono in altezza secondo
rapporti armonici ricavati dalla teoria musicale. Per san Michele furono fuse, forse
sul modello delle porte tanto-antiche di Sant’Ambrogio a Milano e di Santa Sabina
a Roma, due enormi battenti bronzei con riquadri narrativi raffiguranti episodi
dell’antico e del nuovo testamento. Nella porta le figure sono ad alto rilievo,
emergono dal piano fino ad avere il busto e la testa a tutto tondo, proiettando
ombre nette e caricate.
CHIESA ABBAZIALE DELLA TRINITÀ A ESSEN: L’abside del Westwerk è una copia
fedele della cappella palatina di Aquisgrana, cui tuttavia il dimezzamento della
pianta e l’eliminazione della cupola ha tolto la caratteristica saliente: la centralità
dell’impianto. Le masse murarie sono forate da scarse e strette aperture, ma
sottolineate da una trama di lesene e di file di archetti ciechi.
LA CATTEDRALE DI SPIRA: Costruita fra il 1030 e il 1061 su ordine
dell'imperatore Corrado II, che l'aveva scelta come luogo per la sua sepoltura, in
essa vennero poste le spoglie di altri 8 imperatori e regnanti tedeschi, oltre che di
alcune delle loro consorti e di alcuni vescovi. Appena vent'anni dopo la
conclusione dei lavori, nel 1080, l'imperatore Enrico IV decise di ingrandirla,
affidandone la direzione dei lavori ad Ottone di Bamberga. Gran parte dell'edificio
venne demolito le fondamenta vennero rinforzate fino ad una profondità di otto
metri. Solo i piani inferiori e la cripta della chiesa precedente sono rimasti intatti.
La chiesa, in realtà, è priva di una vera e propria facciata, poiché, il corpo delle tre
navate è preceduto dal tipico westwerk. Esso è costituito da tre campate, ognuna
abbinata ad uno dei tre portali del tempio ed è possibile suddividerlo in tre piani
sovrapposti:
- piano inferiore: nartece;
- piano superiore: spazio interno illuminato da
un rosone (al centro) e da due monofore ai lati;
- galleria di archetti ciechi
L'aula della cattedrale di Spira è suddivisa in tre
navate – di cui le minori coperte a volta e quella
maggiore con soffitto piano – da una serie di
pilastri con semicolonne addossate. La navata
centrale, alta 33 metri, appare molto luminosa
grazie alle grandi monofore delle pareti laterali
e piuttosto slanciata grazie alla mancanza di
matroneo o del triforio. Lungo le pareti, al
disotto delle grandi monofore, vi sono 24
affreschi raffiguranti Storie della vita di Maria. La
parte absidale è composta dal coro a pianta
quadrangolare e coperto da tetto a spioventi, da
due campanili coperti da guglie che si trovano ai
suoi lati e, logicamente, dalla grande abside
semicircolare. Essa è decorata, nella parte
superiore, subito sotto il tetto, da una galleria di
archetti a tutto sesto sorretti da esili, ma robuste,
colonnine con capitelli romanici.
CHIESA DI SAN GIORGIO: L'interno della chiesa si articola in tre navate, con le due
laterali piuttosto strette, una crociera seguita da un coro sopraelevato, sotto la
bassa torre campanaria che ne emerge. Si accede alla navata centrale da un
portale preceduto da un corridoio, il quale si apre su un'abside affrescata con il
Giudizio universale. Il presbiterio, costituito dall'antica crociera, è rialzato
rispetto al resto della chiesa ed è coperto con volta a crociera; in luogo dell'antico
transetto, non più presente, vi sono due ambienti separati dall'area liturgica della
chiesa. L'abside orientale, a pianta quadrata, è coperta con soffitto piano in legno.
La cripta è situata sotto il presbiterio ed ha superficie quadrata e qui quattro
colonne circondano un altare. Il ciclo di affreschi che decora la chiesa di San
Giorgio ad Oberzell è l'unico ciclo completo giunto fino a noi fra tutte le
testimonianze pittoriche ottoniane d'oltralpe. La decorazione si dispiega su di un
unico registro, secondo uno schema tardoantico e ravennate, che si integra
organicamente con la struttura architettonica dell'edificio. Straordinarie cornici a
meandro circondano sulle pareti laterali nord e sud riquadri di grande formato
che raffigurano alcuni miracoli di Cristo. Sono rappresentate le seguenti scene:
- Guarigione dell'indemoniata di Gerasa;
- Guarigione dell'idropico;
- La tempesta sedata sul lago di Genezaret;
- Guarigione del cieco dalla nascita;
- Guarigione del lebbroso;
- Resurrezione del giovane di Nain;
- Resurrezione della figlioletta di Giairo;
- Resurrezione di Lazzaro;
Gli episodi cristologici sono stati scelti, come avviene spessissimo in epoca
ottoniana, per mettere in rilievo la dimensione eroica e gli aspetti regalistici
della vita del Salvatore. I miracoli, ambientati entro complessi scenari
architettonici, sono rappresentati in ampie a variate composizioni.
 Analogamente alla situazione carolingia ci
sono pervenuti un gran numero di codici miniati:
i più importanti sono quelli prodotti dallo
scriptorium di Reichenau, da dove proveniva
anche il maestro degli affreschi di Oberzell. Il
punto di partenza è sempre la miniatura
carolingia, anche perché in questo periodo si
assiste spesso al restauro degli antichi codici con
l'aggiunta di nuove scene, come nel Registrum
Gregorii, una raccolta delle epistole di Gregorio
Magno, fatto integrare con due miniature a piena
pagina, commissionate nel 983 dall'arcivescovo
di Treviri Egberto a un ignoto maestro italiano.
Queste due miniature raffigurano Ottone in trono
circondato dalle province dell'Impero e San
Gregorio ispirato dalla colomba mentre detta allo
scriba. Nella prima vi è la solenne frontalità
dell'imperatore che è movimentata
dall'architettura di sfondo che, intuitivamente,
crea un gioco di pieni e vuoti con un pacato
equilibrio classicheggiante. Nella seconda
scena le figure sono incorniciate anche qui da
un'architettura, con naturalezza e misura. In
entrambe, le figure possiedono una fisicità
realistica ed i colori sono scelti in maniera da
amalgamarsi gradevolmente (nella prima
prevalgono i toni rossi, nella seconda quelli
blu), con un ampio ricorso alle lumeggiature
per evidenziare i volumi.
Uno sviluppo rispetto al Registrum Gregorii è
dato dalle miniature della fine del X secolo,
come i Vangeli di Ottone III, dove la scena di
Ottone attorniato dai grandi dell'impero
richiama fortemente il modello precedente, ma se ne discosta per
l'architettura più stilizzata (da notare però le testine nei capitelli), con due
momenti narrativi da leggere in sequenza. Ottone è rappresentato seduto su
un trono sotto una tettoia sorretta da due colonne corinzie; all’aulica
compostezza della scena subentra l’incedere reverente delle province, o la
mimica pungente dei dignitari ecclesiastici e laici.
Fa parte dello stesso codice la visionaria miniatura con l'Evangelista Luca,
dove invece che seduto in cattedra intento a scrivere egli è rappresentato in
una sorta di trasfigurazione epifanica, con una serie di ruote di fuoco aperte
sopra di lui che emanano luce, drammaticamente evidenziati dall'oro di
sfondo, e che contengono la rappresentazione di Dio in gloria tra gli angeli e i
profeti. In basso i due cerbiatti si abbeverano alla fonte del sapere che sgorga
dall'evangelista stesso, rappresentato entro una mandorla di luce. Si riscontra
qui la tendenza all'allegoria che venne poi ulteriormente sviluppata in epoca
romanica.
Vastissima è la produzione
di oreficerie e di oggetti
liturgici e di culto durante i
secoli X e XI. La corrente più
"classicista" o "aulica" mostra
un pacato equilibrio, ma
anche una plasticità
verosimile. Lo si può notare
nell'Antependium di Basilea,
per esempio. Realizzato in
legno
ricoperto da oro sbalzato, pietre e perle, vi sono raffigurate
cinque arcate su colonne occupate da altrettante figure.
Quella centrale è più ampia e contiene il Cristo
pantocratore, con i piccolissimi sovrani prostrati ai piedi,
mentre nelle altre sono scolpiti tre arcangeli e San
Benedetto. L'insieme ha una compostezza aulica, con vari
stilemi che richiamano alle coeve esperienze a Bisanzio.
Più o meno contemporaneamente a questi lavori si faceva
strada una corrente più innovativa, che ebbe una profonda
influenza nella successiva scultura romanica. Una delle
opere più eloquenti di questo stile è la coperta eburnea
con l'Incredulità di San Tommaso, del cosiddetto Maestro
di Echternacht. Il gesto del Cristo che alza il braccio
lasciando scoperta la ferita del costato o lo slancio
dell’apostolo che, sulla punta dei piedi e rivolgendo le
spalle all’osservatore, rovescia la testa per arrivare sia
materialmente che spiritualmente all’altezza del
Salvatore, sono di un realismo del tutto inedito. L’intagliatore mostra di voler
sottoporre il naturalismo antico a una serrata critica per trarne solo quanto
potesse servire alla propria ricerca di intensità espressiva.
CROCE DI LOTARIO: è stata eseguita in una bottega di Colonia attorno al 1000,
molto probabilmente per essere donata alla Cappella Palatina di Aquisgrana,
dove si trova tutt’ora. Si tratta di una croce priva del crocifisso, perciò detta
aniconica, del tipo a capitello. Ma fra le tante pietre colorate, le perle, l’oro
impreziosito dalle filigrane, due elementi emergono: un cammeo e un sigillo.
All’incrocio dei bracci della Croce, infatti, risalta un cammeo augusteo con il
ritratto del primo imperatore, mentre al piede è stato inserito un sigillo di
Lotario II, con la scritta in latino che dice “Cristo aiuta il re Lotario”. Il prezioso
oggetto di oreficeria è trasformato, in tal modo, in uno strumento di
affermazione politica: è per volontà di Dio (croce) che il sacro romano Impero
(sigillo) regna, appoggiato dalla chiesa, egli è il successore degli antichi
imperatori (cammeo), la cui serie inizia con Augusto.
CIBORIO SANT’AMBROGIO: Il ciborio, che sovrasta l’altare d’oro opera di
Vuolvino, presenta una struttura a cuspide e cupola costruita secondo una
raffinata tecnica bizantina. La cupola risulta di fatto nascosta alla vista da
quattro alti timpani decorati a stucco con grandi figure. Nel complesso il
ciborio ha visto due fasi di costruzione: la struttura architettonica risale ai
lavori promossi dall’arcivescovo Angilberto verso la metà del IX secolo,
mentre la decorazione in stucco risale alla fine del X secolo. Il ciborio poggia
su quattro colonne in porfido rosso risalenti alla basilica paleocristiana e
presenta, sulle quattro facce, altorilievi in stucco raffiguranti:
 Cristo dà il mandato a Pietro e Paolo (lato anteriore),
 Sant'Ambrogio omaggiato da due monaci alla presenza dei santi Gervasio
e Protasio (lato posteriore),
 San Benedetto omaggiato da due monaci (lato sinistro) e
 Santa Scolastica omaggiata da due monache (lato destro).
Nonostante il fatto che il programma iconografico delle figurazioni non sia
stato ancora del tutto ricostruito, è evidente che esso sottolinea l’origine
divina dell’autorità episcopale e in particolare di quella di Ambrogio chiamato
da Dio stesso alla sua missione. Si tratta, in sostanza, di una precisa
dichiarazione di autonomia nei confronti del potere imperiale che, troppo
spesso, tendeva a prevaricare sull’autorità dei vescovi.
 In Lombardia si conserva anche un prezioso gruppo di crocifissi
monumentali in lamina metallica, argentea o bronzea: quello della Badessa
Raingarda a Pavia, quello del vescovo Leone a Vercelli e infine quello del
vescovo Ariberto a Milano. Le prime due croci sono tipologicamente affini a
una carolingia già conservata in Vaticano e mostrano uno stile legato da una
parte agli stucchi della basilica ambrosiana e dall’altra alle oreficerie orientali,
come l’altare di Basilea. Molto diversa è la croce di Ariberto, dove l’iconografia
trionfale e l’aulica compostezza della figura cede il posto alla
rappresentazione del cristo morto. Queste opere sono importanti anche
perché testimoniano un interesse crescente verso i problemi posti dalla resa
plastica di una figura tridimensionale di grandi dimensioni.
CHIESA SAN VINCENZO IN PRATO: Questa piccola basilica paleocristiana in
mattoni a vista e che misura 40 per 20 metri circa, è sopravvissuta con
l'originale struttura perché a ogni restauro non fu mai modificata
sostanzialmente ed è l'unica che rimane a testimoniare il più antico aspetto
della cristianità milanese. L’edificio, costruito secondo uno schema basilicale
tradizionale, ha però tre absidi di cui quella centrale adotta il motivo della
galleria di archetti ciechi sotto l’imposta del tetto, scanditi da lesene in un
ritmo triadico. Sull'altare maggiore è visibile un bell'affresco della
Crocifissione del XV secolo detto la Madonna del pianto proveniente dalla
vicina demolita chiesa di San Calocero e attribuito alla scuola degli Zavattari.
Nella navatella di destra è collocato un frammento di affresco sempre
proveniente da S. Calocero, la Madonna dell'aiuto; nella navatella sinistra una
colonna romana che sosteneva fino al 1885 la prima campata dell'arcata
sinistra. La cripta è, assieme alla cripta di San Giovanni in Conca, l'unica cripta
romanica originale rimasta a Milano. Il battistero è staccato e indipendente
rispetto alla struttura della chiesa.
SANTA MARIA MAGGIORE A LOMELLO: La basilica di Santa Maria Maggiore si
trova a Lomello, in provincia di Pavia, ed è una delle più interessanti
testimonianze architettoniche del cosiddetto romanico lombardo, segnato
profondamente dall'influenza oltralpina dell'architettura ottoniana. La
basilica è a tre navate con un transetto più basso del corpo longitudinale. La
particolare originalità risiede nei grandi archi diaframma che attraversano la
navata, alleggeriti a traforo da coppie di bifore. L'alternanza fra pilastri con
arco trasversale e pilastri semplici sembrerebbe prefigurare l'impiego di una
copertura a volta, ma in realtà non mancano esempi di archi diaframma senza
che fosse prevista una copertura in muratura. I pilastri che non sorreggono gli
archi diaframma sono continuati da lesene fino al claristorio, mentre gli archi
longitudinali (quelli che separano le navate) insistono su semicolonne che
insieme allo spessore della lesena, leggermente aggettante, formano il
pilastro. L’intera chiesa era decorata da affreschi e da un ricco partito di
stucchi di cui restano solo pochi frammenti. All’esterno le murature sono
animate da un sistema continuo di piatte lesene e di file di archetti ciechi.
ABBAZIA DI POMPOSA: Il nucleo più antico della basilica risale al VII-IX
secolo; nell'XI secolo venne allungata con l'aggiunta di due campate e
dell'atrio, e venne aggiunto l'atrio ornato di fregi in cotto, oculi, scodelle
maiolicate, vari animali dal valore simbolico-
religioso. L’atrio, con il motivo trionfale del triplice
arco e con le grandi patere rotonde nei peducci, si
rifà alla romana Porta Aurea di Ravenna. La
grandiosità di questo ingresso si ritrova nella
possente torre campanaria, esempio magnifico e
precoce di questa tipologia tipicamente italiana. Il
campanile è altissimo rispetto al resto
dell'edificato (48 metri). Procedendo dalla base
verso la sommità del campanile le finestre
aumentano di numero e diventano più ampie
seguendo una tendenza classica di quel periodo,
che serviva ad alleggerire il peso della torre e a
propagare meglio il suono delle campane. Dal
basso verso l'alto sono presenti monofore, bifore,
trifore e quadrifore.
SAN VINCENZO A GALLIANO: Il complesso monumentale di Galliano
comprende la basilica di San Vincenzo e il battistero di San Giovanni Battista
situati in cima ad un colle presente nell'area urbana di Cantù. La facciata della
chiesa si presenta molto semplice, priva di elementi decorativi, con la
muratura in grossi ciottoli a vista. Al centro si apre uno stretto portale
architravato con una lunetta a sesto acuto, mentre nella fronte della navata
settentrionale vi sono tracce di un portale più piccolo. Poche le finestre, poste
senza simmetria nella zona centrale; più in alto vi è un'apertura a croce e sotto
e a sinistra due monofore. La muratura dei fianchi è in ciottoli e pietre grezze,
con abbondante malta. Le finestre hanno una forma priva di strombo, con
spalle rette ed arco a tutto sesto. Sul lato meridionale le finestre sono solo
quattro e strombate verso l'interno ma la prima e la terza furono murate.
L'abside centrale si staglia nettamente dal corpo della chiesa e presenta
diverse particolarità costruttive. Esternamente è percorsa da una serie di
arcatelle cieche piuttosto larghe che nel disegno e nelle proporzioni ricordano
modelli arcaici. Il tema dell'arco cieco non ha ancora assunto valenza lineare
e decorativa e qui il motivo è colto in senso più volumetrico, di alleggerimento
verticale e di slancio impresso alla superficie: gli archi sono infatti isolati uno
dall'altro e poggiano ciascuno su due lesene che scendono fino a terra. Tre
sono le finestre, di tipo diverso da quelle della navata: presentano infatti un
leggero strombo verso l'interno; a poca distanza da terra stanno poi le
aperture, assai più strette e con doppio strombo pronunciato, che danno luce
alla cripta. L'affresco del catino absidale è incorniciato da due fasce a riquadri
con figurazioni animali e vegetali; presenta al centro una mandorla in cui
campeggia la figura di Cristo in gesto oratorio, con un libro aperto alla propria
sinistra. Cristo indossa i calzari. Ai lati della mandorla, in basso, vi sono due
figure anziane, Geremia ed Ezechiele, dietro le quali stanno rispettivamente
gli arcangeli Michele e Gabriele. Alle loro spalle, due gruppi di folla. La zona
inferiore dell'abside ospita, nei riquadri delimitati dalle tre finestre, un breve
ciclo di storie di San Vincenzo.

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