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STORIA DELL'ARTE MEDIEVALE

( ARTE NEL TEMPO )

CAPITOLO 1

Il concetto di medioevo fu elaborato dagli umanisti nel 15 secolo, con una concezione negativa
come età oscura e inquietante. Il medioevo era considerato il tempo dei barbari. Barbaro significa
balbuziente, colui che non sa parlare, che è privo di educazione e di cultura. I BARBARI erano
popolazioni germaniche che vivevano al di fuori dell'impero ma che dal 3 secolo iniziarono a
varcare tali confini. Gli sconvolgimenti politici e sociali provocarono il declino di alcune tecniche
artistiche come l'architettura o la scultura monumentale e ne introdussero di nuove legate alla
lavorazione del legno, metalli o pelli. L'oreficeria si afferma come tecnica guida della produzione
artistica. Sin dai primi tempi si afferma nell'oreficeria lo stile policromo: pietre levigate vengono
incastonate nell'oro. Anche lo stile animalistico dell'oreficeria è molto diffuso soprattutto nei bronzi
con incisioni di animali stilizzati.
I LONGOBARDI penetrano in italia nel 568 invadendo diverse zone della penisola. Il loro regno
risulta cosi diviso in una parte più compatta a nord e una più frammentaria a sud. Solo nel 774, con
la sconfitta del re Desiderio, Carlo Magno porrà fine alla dominazione longobarda sull'italia
settentrionale. Anche per i longobardi, come è tipico delle popolazioni nomadi, l'espressione
artistica piu diffusa è quella legata all'oreficeria, manifestata soprattutto nelle crocette sbalzate in
lamina d'oro, ornamento tipico dei vestiti femminili decorati con la giustapposizione di figure di
animali stilizzati. Le testimonianze artistiche risalenti ai primi decenni della dominazione
longobarda sono rarissime ma eloquenti. L'oreficeria continua ad essere l'arte guida. Frequenti
sono le crocette mentre appaiono più rari ma molto importanti gli anelli-sigillo con lettere latine e
volti umani. Il vasellame trovato nelle tombe mostra forme rozze e modeste decorazioni. Accanto
alle crocette piu semplici, vengono prodotte le croci gemmate, che riprendono il motivo del
crocifisso come semplice IMAGO CHRISTI, un busto clipeato al centro della croce. Le pietr dure
vengono inserite a freddo in trafori appositamente preparati. Più raffinata è la tecnica che prevede
una fitta rete di alveoli in cui le pietre vengono inserite a caldo. In una posizione mediana tra
oreficeria e cultura materiale si colloca la produzione di armi, presenti tra i corredi funebri maschili.
Le impugnature presentano spesso una decorazione ottenuta con la tecnica dell'ageminatura
( sottili strisce d'argento martellate all'interno di solchi ricavati nel ferro ). Le lame sono invece
sottoposte alla tecnica della damaschinatura per risultare piu resistenti alla torsione: il ferro viene
battuto in modo tale da assumere una struttura a fasce intrecciate. Ma la parte piu spettacolare
dell'armatura sono gli scudi da parata, dischi di legno ricoperti di cuoio in cui vengono applicate
figure decorative in bronzo. Esempio importante è lo SCUDO DI STABIO. La lamina sbalzata in cui
si celebra il trionfo di Agiulfo, sembra un tipico prodotto di oreficeria barbarica, mentre lo schema
compositivo delle due Vittorie alate affianco al trono del re dimostrano una contaminazione dei
modelli classici. Per quanto riguarda la scultura dobbiamo ricordare la testina di Teodolinda, ma
rispetto alla tradizione bizantina viene meno ogni ricerca di modellazione, tendendo ad una
stilizzazione essenziale. Per l'architettura ricordiamo che Pavia è stata capitale del regno
longobardo e centro principale di committenze artistiche. La maggior parte degli edifici del 7 e 8
secolo sono stati distrutti o rimaneggiati radicalmente. Della chiesa suburbana di Santa Maria in
Pertica rimane un disegno settecentesco. Con pianta ottogonale e un deambulatorio anulare e un
giro interno di sei colonne. La chiesa di sant'Eusebio divenne fulcro della conversione dei
Longobardi al cattolicesimo. Dell'antica costruzione rimangono dei capitelli, importanti perchè
propongono una nuova tipologia basata sull'oreficeria. Probabilmente erano decorati con grosse
pietre colorate o paste vitree. Tra il 7 e 8 secolo si registrò una ripresa dell'interesse verso l'arte
classica. L'intrecciarsi di vari modelli e lo sviluppo di nuove tecniche costruttive ha il picco negli
edifici eretti durante il regno di Liutprando in particolare a Cividale del friuli. Particolare impulso
ricevette in quest'epoca la fondazione di monasteri. Il re Desiderio promosse numerose imprese
architettoniche in questo ambito. Se nella Longobardia Maior lo sviluppo autonomo dell'arte
longobarda conobbe una cesura nel 774 in seguito alla sconfitta di Desiderio a opera di Carlo
magno, nella longobardia Minor il percorso artistico potè continuare fino all'avvento dei Normanni
( 11 secolo ). La sostanziale unitarietà dell'architettura longobarda è pero testimoniata dalla chiesa
di S. Sofia a benevento: eretta nell'8 sec, segue il modello con corpo centrale slanciato di Santa
Maria in Pertica, ma integrato da elementi biziantini come l'articolazione dei volumi e la struttura
base che si ricollega alla basilica di Costantinopoli.

PERSISTENZA DI MODELLI CLASSICI NELL’ARTE ROMANA


(VI-IX SECOLO)

Dal 493 al 526 Roma attraversa un periodo di pace. Il re Teodorico affida l’amministrazione del
potere al cancelliere romano Cassiodoro e risiede preferibilmente a Ravenna. Si accentua il
processo di degrado di Roma.
Davanti allo sfaldamento fisico della città nasce il “mito” nostalgico dell’antica Roma. Papa Felice
IV fonda, all’interno del Foro romano, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Le grandi basiliche
paleocristiane erano fino ad allora sorte in quartieri periferici. Il senso di questa iniziativa è
sottolineato dal grande mosaico che decora l’abside della chiesa. La scena rappresenta Cristo tra i
SS. Cosma e Damiano E ha un preciso precedente iconografico nel mosaico absidale di Santa
Pudenziana. Ma mentre il mosaico di Santa Pudenziana offre un’immagine salda e concreta, il
Cristo dei Santi Cosma e Damiano appare librato nell’azzurro cupo del cielo nuvoloso. I
personaggi sono disposti secondo un rigido schema triangolare a intervalli scanditi.
La riduzione del numero delle figure intravede riflessi dell’arte bizantina. La conquista di Roma da
parte delle truppe dell’Imperatore Giustiniano avviene dopo lunghe campagne militari. Dopo una
prima vittoria del generale bizantino Belisario nel 536 la presa definitiva avviene nel 552 a opera
dello stratega Narsete.
I Bizantini si preoccupano innanzi tutto di restaurare le opere pubbliche di più immediata necessità.
Prosegue il processo di cristianizzazione del foro e delle zone centrali di Roma.
L’edificio su cui si concentra l’attenzione dei Bizantini a Roma è Santa Maria Antiqua. Interrata da
una frana nell’847, è stata riscoperta solo nel nostro secolo e presenta un ciclo di affreschi nel
quale sono state ravvisate quattro fasi successive d’intervento.
L’abside della chiesa è una vera “parete palinsesto”. L’immagine più antica, una Madonna col
Bambino tra due angeli, è stata dipinta subito dopo la conquista bizantina. Sono evidenti in questo
affresco i caratteri di frontalità iconica di origine costantinopolitana, mentre il secondo strato mostra
la mano di un artista più raffinato. Questo “secondo tempo” risale al 565-78. Il terzo momento della
decorazione di Santa Maria Antiqua risale agli anni intorno al 650. Nella scena meglio conservata,
con Salomone e i Maccabei, si notano scritte in greco e un abile uso delle ombre.
Gli anni del pontificato del greco Giovanni VII coincidono con il quarto strato della parete absidale.
La presenza di circoli culturali e di artisti orientali a Roma si fa manifesta. Accanto agli stimoli
ellenizzanti riemergono motivi dell’arte classica e si affermano modelli iconografici palestinesi.
Il mosaico absidale della basilica di Santa Agnese fuori le mura propone figure quasi immateriali di
sapiente sintesi simbolica. D’altra parte, l’importante ciclo di affreschi che decorano la cappella
dell’alto funzionario Teodoto in Santa Maria Antiqua mostra significative influenze orientali: ad
esempio nella scena della Crocifissione.
Un interessante scambio di esperienze figurative bizantine e romane è testimoniato dal gruppo di
icone tuttora conservate in alcune chiese.
Le icone romane trovano un vasto seguito popolare in processioni, feste, devozioni specifiche
registrate dalle antiche cronache. La più celebre tra le icone superstiti è la Madonna Theotokòs di
Santa Maria in Trastevere che per la sua rigorosa frontalità e gli smaglianti colori è paragonabile al
primo strato degli affreschi di Santa Maria Antiqua.
L’incoronazione di Carlo Magno da parte di papa Leone III, la notte di Natale dell’anno 800,
sancisce simbolicamente il decadere dell’influsso di Bisanzio su Roma e il deciso ritorno alla
tradizione paleocristiana e tardo-antica.
Il modello della chiesa ad aula rettangolare triabsidata vede il prepotente ritorno allo schema
spaziale delle basiliche paleocristiane: ne è un esempio la chiesa di Santa Prassede, in cui
ricompare il transetto.
La tecnica della decorazione musiva era stata abbandonata da circa un secolo.
Il rilancio del mosaico nell’età di Pasquale I propone, invece, il ritorno un gusto ricco e raffinato del
colore. Il modello cui rifarsi è la scena absidale dei santi Cosma e Damiano, anche se le forme
vengono ulteriormente ridotte all’essenziale e sfruttate soprattutto per ricavare ampie campiture
cromatiche e raggiungere effetti di espressiva vitalità.

LA RENOVATIO DELL’IMPERO
LA RINASCENZA CAROLINGIA
Tra l’VIII e il IX secolo la dinastia carolingia unificò quasi tutto il mondo occidentale in un impero.
La renovatio è lo stumento di Carlo Magno per dare forma unitaria a un insieme di aree
geografiche e di gruppi etnici diversi tra loro, sul modello dell’impero romano e in particolare di
quello di Costantino. Il sovrano carolingio afferma un potere unico e universale, fondato sulla legge
cristiana e su quella romana.
La dinastia carolingia lega a sé l’ordine benedettino favorendo l’attività delle grandi abbazie. Non
solo vengono istituite scuole, ma si rimodella la scrittura su esempi classici.
Ai modelli romani si accosta la tradizione irlandese e anglosassone, frutto della prima rinascita
umanistica dell’Alto Medioevo, mentre altri elementi derivano dalla cultura longobarda e da quella
bizantina.
L’attività architettonica
L’architettura è il campo privilegiato dei sovrani e gli edifici antichi presi a modello sono quelli della
Roma costantiniana. Il palazzo imperiale di Aquisgrana doveva evocare la residenza papale di San
Giovanni ed è caratterizzato dall’abbinamento tra il palazzo e la chiesa. Tuttora conservata è la
cappella palatina a forma poligonale e coperta a cupola, con una struttura derivata dalla chiesa di
San Lorenzo a Milano, da San Vitale a Ravenna e da quelle orientali. L’interno è arricchito da
marmi colorati che, secondo le fonti, Carlo Magno aveva fatto portare da Roma e da Ravenna,
mentre un grande mosaico raffigurante Cristo in trono decora la cupola e manifesta l’analogia tra il
Salvatore e l’imperatore. La chiesa dell’abbazia benedettina di Fulda doveva contenere le reliquie
di Bonifacio, apostolo della Germania e si ispira alla basilica vaticana di Costantino. All’Arco di
Costantino si riferisce, invece, la Torhalle,(imp) la porta di Lorsch: nella parte inferiore si apre una
loggia a tre fornici, mentre al piano superiore c’è un’aula che serviva all’imperatore come sala del
trono. Le due facciate sono decorate da semicolonne accostate ai pilastri degli archi, con capitelli
compositi e, al di sopra della fascia marcapiano, a araste ioniche scanalate che reggono una
cornice piegata ad angolo. Un paramento di pietre rosse e bianche disposte a comporre motivi
geometrici copre le murature. Nelle architetture di cui si è parlato il modello antico è un punto di
partenza obbligato, mentre nella progettazione dei grandi complessi monastici i costruttori carolingi
rispondevano con soluzioni originali, come nel caso del monastero di San Gallo. La chiesa ha una
struttura a doppia abside e tutt’intorno gli edifici si dispongono secondo una griglia regolare che
rispecchia quella delle città fondate da Carlo Magno.
L’invenzione che meglio rappresenta l’architettura carolingia è il Westwerk, un edificio a più piani
aggiunto all’ingresso della chiesa, come quello presente nell’abbazia di Corvey e costruito l’873 e
l’885. A pianta quadrata, comprende a piano terreno un basso atrio e una zona di passaggio che lo
raccorda alla navata della chiesa, mentre i due piani superiori sono occupati da una grande sala
decorata da affreschi, dove avevano luogo la liturgia del Salvatore e le cerimonie dell’imperatore.
Questa parte della chiesa alludeva all’Anastasis di Gerusalemme, cioè all’edificio sorto sul Santo
Sepolcro.

Pittura e miniatura
La pittura monumentale è andata perduta nella sua quasi totalità. Importanti sono gli affreschi della
cripta di Saint Germain d’Auxerre, databili tra l’841 e l’857. Lo spazio della cripta è esaltato da
un’intelaiatura di finti elementi architettonici, riccamente decorati, entro cui sono inquadrati gli
episodi narrativi. In questi ultimi l’attenzione del pittore si concentra sulla dinamica della scena,
mirando all’esatta definizione del movimento dei personaggi. Contrariamente alla pittura antica, si
adotta, però, una visione sintetica dello spazio. Nella “lapidazione di Santo Stefano”, la città e i
personaggi sono avvicinati nonostante appaiano incongruenti. La chiesa di San Giovanni a Mustair
fu completamente decorata nel IX secolo con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. I riquadri
narrativi sono incorniciati da fasce con ghirlande e nastri mentre il racconto ha un ritmo grandioso,
con una distribuzione dei personaggi attenta ad ottenere una composizione equilibrata e
simmetrica. A testimonianza della varietà culturale dell’area ci sono gli affreschi di Naturno che, per
il linearismo esasperato e per l’estrema sintesi degli elementi figurativi, rimandano ai rilievi
dell’altare del duca Ratchis a Cividale.L’attività dei miniatori raggiunge sotto i sovrani carolingi
risultati di straordinaria qualità e rilevanza. Lo stile decorativo rappresenta una svolta rispetto a
quello praticato durante l’VIII secolo negli scriptoria monastici continentali dei quali il Salterio 18
della Biblioteca di Amiens è il capolavoro, perché cerca una sintesi fortemente ornata di testo e
figurazione. Nel grande scriptorium di Corbie Carlo Magno reclutò i decoratori del primo codice da
lui ordinato, un evangelario. Se i modelli iconografici sono tutti bizantini, certi motivi decorativi a
intreccio e a volute, nonché le grandi iniziali, tradiscono la presenza di maestri educati a Corbie. La
nuova cultura figurativa giunge a esprimersi pienamente in un gruppo di evangelari tra i quali
quello di Ada e quello di Lorsch, dove lo stile bizantineggiante delle figure si coniuga con
un’impaginazione che ricorre a fondali architettonici ripresi dall’antico. Nelle parti decorative
ricorrono motivi derivati da cammei, monete e stoffe antiche.
Si deve alla committenza di Ludovico il Pio, figlio di Carlo, un secondo gruppo di manoscritti che si
ispirano a motivi antichi, cercando di penetrarne meglio i caratteri stilistici. Gli Evangeli
dell’Incoronazione (imp) imitano i modi pittorici ellenistici, con rinnovata vitalità.
L’interpretazione che artisti autoctoni danno di questo stile aulico porta alla produzione dei vangeli
di Ebbone e del Salterio di Utrecht, che sono tra le creazioni più straordinarie di tutta l’arte
carolingia. Le tavole dei canoni nei codici di Ebbone si popolano di figure di letterati, cacciatori,
scalpellini, nei più vari atteggiamenti, desunti dalle miniature orientali. Nel Salterio di Utrecht la
narrazione figurata, un’illustrazione ai salmi complementare al testo, si distingue in composizioni
complesse, che possiedono un respiro da pittura monumentale.
Una grande impresa, l’edizione illustrata della Bibbia, fu affrontata nell’officina di San Martino a
Tours. Il corredo figurativo di questi manoscritti è concepito non come una pura traduzione del
testo in immagini, ma come una sorta di compendio storico e dottrinale.
Nel sontuoso esemplare detto la Bibbia di Carlo il Calvo, le scene storiche che corredano il codice
si organizzano in una fascia continua da leggersi cambiando direzione a ogni riga, in cui la
narrazione si caratterizza per una grande precisione nei dettagli.
Diverso è il Sacramentario di Drogone, nel quale le scene sono incluse in iniziali classicamente
proporzionate, ma invase da un rigoglio di viticci e foglie di acanto, tra cui si fanno largo i
personaggi e le architetture.
Scultura e oreficeria
Segno inconfondibile dello splendore artistico raggiunto dalla corte di Aquisgrana sono le opere
bronzee, transenne e porte, della Cappella Palatina. A questa stessa rinascita del bronzo si deve
anche la piccola statua equestre di Carlo Magno.
Invece, del monumentale crocifisso argenteo donato da Carlo Magno a Papa Leone III rimane solo
il calco: il corpo del Cristo è concepito come una compatta architettura di volumi.
Sono, però, gli avori e le oreficerie, gli oggetti più importanti. Le grandi placche di avorio intagliato
formavano polittici preziosi o venivano incastrate nelle legature dei libri liturgici.
Lo stile della scuola di Reims impronta di sé una serie di importanti avori, tra i quali la coperta di un
salterio, del tempo di Carlo il Calvo, dove la scena è modellata nell’avorio come se fosse cera
molle e secondo lo stile del Salterio di Utrecht.
Un gusto più classicheggiante pervade la decorazione del Flabello di Tournus, grande ventaglio
liturgico eseguito a Tours verso la metà del IX secolo.
Il capolavoro dell’oreficeria carolingia è l’altare di Sant’Ambrogio a Milano, eseguito da Vuolvino.
L’Italia tra età longobarda ed età carolingia
Nel Tempietto regio di Cividale gli stucchi colorati e dorati, gli affreschi e i mosaici creavano uno
spazio simile a quello dei sacelli tardo antichi di Ravenna e di Milano. Al loro arrivo in Italia i
sovrani franchi trovarono corti non solo fortemente latinizzate e grecizzate, ma anche un diffuso
interesse per i modelli artistici dell’antichità. La politica culturale degli imperatori carolingi
sperimentò, però, una sistematicità nel progettare la rinascita dell’antico.
Il potere carolingio si fonda anche in Italia sull’appoggio di vescovi e abati. L’esempio meglio
conservato di sacello nell’Italia del Nord è quello milanese di San Satiro, dell’876.
Mentre il Nord Italia, oltre alla presenza carolingia subisce l’influsso veneziano, nel Centro Sud
l’influsso carolingio è più frammentario, a causa delle ultime resistenze longobarde.
L’interesse per l’epoca costantiniana, evidente nella ripresa dell’antico schema basilicale, vivo a
Roma, è analogo a quello imperiale ma di segno opposto. Serve, infatti, per riaffermare la
supremazia spirituale della Chiesa di Roma, nonché il suo diritto a conferire l’autorità imperiale.
Nel restauro di San Salvatore a Spoleto viene, tuttavia, raggiunto un risultato di grande coerenza
classicista, sia dal punto della struttura architettonica, sia come imitazione dei motivi decorativi
romani.
Legata per alcuni aspetti alla cultura figurativa lombarda è la decorazione della cripta dell’abbazia
di San Vincenzo al Volturno.

RINASCENZA OTTONIANA

Il lasso di tempo che intercorre tra il declino della dinastia carolingia e la svolta dell’anno Mille, è
classificato dagli storici come periodo di crisi, travagliato da nuove invasioni barbariche. Le grandi
famiglie di stirpe imperiale si combattono per raccogliere i resti del dominio carolingio quelle
dell’aristocrazia romana per il controllo del seggio papale.
Nonostante le difficoltà che attraversa l’Occidente, nel X secolo si ha una generale ripresa. Inizia a
consolidarsi il sistema feudale.
Le fondazioni monastiche consolidano la propria funzione sia economica sia culturale. Un esempio
è l’abazia borgognona di Cluny dove viene ricostruita più ampia.
Non minore è l’importanza del fitto tessuto di pievi e cappelle che segnano la presenza nella
pianura padana e nell’Italia centrale, di una comunità rurale e di un’organizzazione agricola ed
economica particolarmente evoluta.
Questo fervore edilizio va visto come segno e risultato della prima lenta ripresa economico-
demografica d’Europa. Quando, nel 962 Ottone I si fa incoronare imperatore a Roma, afferma la
volontà di rifondare il potere che Carlo Magno aveva esercitato sull’intera Europa. Questo progetto
non era destinato ad avere successo.
Le grandi formazioni imperiali e feudali
L’attività edilizia è interesse primario degli imperatori.
Il capolavoro dell’architettura ottoniana in Sassonia è la chiesa abbaziale di San Michele a
Hildesheim. La pianta di San Michele è tracciata entro uno schema geometrico di tre quadrati
uguali. Esso fu probabilmente suggerito dall’arcivescovo Bernoardo. Il corpo centrale a tre navate
termina a oriente in un transetto a tre absidi.
Le navate sono scandite da pilastri. I capitelli sono ottenuti dall’unione di forme geometriche
perfette e dovevano poi essere dorati e dipinti. L’esterno si presenta come un cristallino incastro di
solidi geometrici definiti da murature lisce e compatte.
La pagina di dedica dei Vangeli presenta il committente all’interno della chiesa e testimonia la
sontuosità della decorazione, delle pitture ornamentali, delle stoffe preziose. Per San Michele
furono fuse due enormi battenti bronzei con riquadri narrativi raffiguranti episodi dell’Antico e del
Nuovo Testamento.
La porta raffronta sui due battenti la storia della caduta con quella della salvazione. Sulla superficie
astratta del bronzo affiorano elementi architettonici e paesistici. Le figure emergono dal piano fino
ad avere il busto e la testa a tutto tondo. Il vigore plastico di questi personaggi e la nettezza dei
loro movimenti non ha più nulla in comune con l’atmosferica vibrazione degli sbalzi carolingi. La
stessa monumentalità si ritrova nell’anima lignea. Con quale disinvoltura si elaborassero modelli
antichi mostra la colonna bronzea. Lo schema della colonna coclide romana vuole celebrate il
trionfo di Cristo.
La capitale del basso Reno si presenta come un centro artistico di prima grandezza. Santa Maria
in Campidoglio viene iniziata dalla badessa Hilda e consacrata nel 1065. Un corpo longitudinale a
tre navate, precedute da un atrio. L’eccezionale risultato di Santa Maria in Campidoglio influenzerà
le scelte architettoniche della città renana per tutto il periodo romanico.
La cattedrale di Spira, nel Palatinato, è un edificio immenso sulla cui edificazione si concentrano gli
interessi di Corrado II. Si compone di un lungo copro longitudinale a tre navate, di un grande
transetto con profonda abside. Nella cripta le semicolonne accostate ai pilastri conferiscono
grande chiarezza strutturale alle volte. Le semicolonne infatti si allungano, oltre le arcate e le
finestre del cleristorio fino a reggere, subito sotto l’imposta del soffitto, una sequenza di archi. Nella
tradizione delle chiese paleocristiane il muro era concepito come una superficie adatta ad
accogliere grandi cicli narrativi ad affresco o a mosaico, a Spira invece la parete diviene un
elemento plastico che tutti gli elementi strutturali dell’edificio concorrono a formare.
Cicli di affreschi e codici miniati
Gli ultimi avanzi degli affreschi che un pittore italiano eseguì per Ottone III ad Acquisgrana sono
stati ricoperti di intonaco nell’Ottocento. È però molto significativo che il sovrano chiamasse un
artista italiano a decorare uno dei luoghi più rilevanti per la mitologia imperiale. Ancora una volta si
considerava la penisola come depositaria di una tradizione figurativa. Forti legami con l’area
lombarda mostra anche il maggior ciclo quello della chiesa di San Giorgio a Reichenau. La
decorazione riprende uno schema tardoantico e ravennate. Le grandi scene narrative si
dispiegano in un solo registro mentre tra le finestre del cleristorio grandeggiano figure di santi.
Gli episodi cristologici sono stati scelti per mettere in rilievo la dimensione eroica e gli aspetti
regalistici della vita del Salvatore. I miracoli sono rappresentati in ampie e variate composizioni.
L’ideatore del ciclo della Reichenau è un abilissimo disegnatore. I panneggi delle vesti si piegano
in avvolgimenti delicati, mentre gli atteggiamenti dei personaggi e i loro movimenti sono sintetizzati
in un contorno teso ed espressivo.
Tramite il ricchissimo patrimonio dei codici miniati possiamo studiare la cultura figurativa del X e
della prima metà dell’XI secolo fuori d’Italia. L’arcivescovo di Treviri Egberto commissiona ad un
maestro italiano due miniature a piena pagina per un codice contenente una raccolta di epistole di
Gregorio Magno (un Registrum Gregorii). L’anonimo artista era colto e conosceva il greco,
praticava diverse forme di scrittura e possedeva un vastissimo patrimonio figrativo. Le due
miniature raffigurano Ottone II in trono circondato dalle Province dell’Impero e san Gregorio
ispirato dalla colomba mentre detta allo scriba . L’assoluta centralità dell’imperatore e il tono
cerimoniale della composizione sono ottenuti mediante la salda intelaiatura geometrica.
Nella seconda miniatura più coerente è l’intelaiatura spaziale. L’architettura incornicia con assoluta
naturalezza i personaggi. In entrambe le scene la gamma cromatica studiatissima e l’uso di
delicate lumeggiature conferiscono un forte risalto plastico ai personaggi. Le stesse qualità
possiede una Vergine col Bambino, un avorio che ci tramanda il ricordo di un tipo monumentale
ripreso nell’XI e XII secolo.
Nell’immagine conserva alcuni elementi classicheggianti come il bordo di foglie di acanto, la
tridimensionalità dello spazio è suggerita solo dallo slancio dinamico della figura mentre gli effetti
plastici sono ridotti al contrasto violento delle ombre e delle lumeggia ture. Lo stile trova perfetta
espressione nei Vangeli decorati alla fine degli anni novanta per Ottone III. La rappresentazione
dell’imperatore deriva dal modello del Registrum Gregorii, ma il linguaggio figurativo è diverso.
L’unità della scena si divide in due momenti narrativi.
All’aulica compostezza della scena subentra l’incedere reverente delle Province.
Nell’inizio del vangelo secondo Luca viene raffigurato l’evangelista entro una mandorla di luce, si
staglia contro l’oro abbagliante del fondo. Intorno a lui, cerbiatti si abbeverano al suo verbo, mentre
egli regge una rappresentazione dell’epifania divina che contempla con sguardo estatico. In questa
miniatura è già presente la tendenza a tradurre l’immaginario religioso in forme simboliche,
fondendo un elemento “storico” con una rappresentazione astratta e allegorica.
Il confronto tra il San Gregorio del Maestro del Registrum Gregorii e uno degli evangelisti dei
vangeli eseguiti a Colonia è assolutamente eloquente.
Il prestigio dell’arte costantinopolitana rimarrà assai forte in area tedesca come modello insuperato
di ars sacra.
Durante le invasioni danesi del IX secolo, buona parte delle abbazie benedettine inglesi con il loro
ricco patrimonio librario era andata distrutta. Nella seconda metà del X secolo, in un momento di
generale ripresa del paese, Dunstano, arcivescovo di Canterbury ed Etelvoldo, vescovo di
Winchester, promossero la rifondazione e la riforma dell’ordine benedettino nell’isola. Molto forte
risulta l’influsso della tarda arte carolingia nei monasteri inglesi.
Il salterio eseguito a Winchester per Osvaldo prima del 992 contiene una Crocifissione disegnata
da un artista inglese che soggiornò e operò anche in Francia. Le figure si stagliano su di un fondo
pergamenaceo. La stessa relazione tra la monumentalità della croce e la fragilità della Vergine e di
san Giovanni è di tipo gerarchico e dottrinale. Il miniatore inglese si concentra sulla dinamica
emotiva. Di nuovo modelli carolingi forniscono elementi iconografici stilistici e decorativi: i fantastici
intrecci vegetali sono animati da una nuova e travolgente vitalità
Oreficerie e avori: Vastissima è la produzione di oreficerie e di oggetti liturgici e di culto durante i
secoli X e XI. Il meccanismo degli Ottoni è talora eguagliato da quello dei grandi arcivescovi-
feudatari. Entro le arcate di una loggia di limpida architettura, sono rappresentate tutte le figure di
Cristo come recita la scritta sulla ghiera dell’arco, adorato dai sovrani in atteggiamento di
proschynesis, di tre arcangeli e di san Benedetto.

I corpi emergono con forte risalto dalla superficie del fondo. La compostezza aulica dell’insieme
nonché vari elementi decorativi derivano da oreficerie di Bisanzio cui si ispira l’arte imperiale. A
questa corrente plastica si affiancano altri linguaggi figurativi come quello del Maestro di
Echternacht.
L’impostazione spaziale dell’incredulità di San Tommaso è, nella sua novità, radicalmente classica.
Il gesto del Cristo che alza il braccio lasciando scoperta la ferita del costato o lo slancio
dell’apostolo che rovescia la testa per arrivare sia materialmente che spiritualmente all’altezza del
Salvatore, sono di un “realismo” del tutto inedito.
Nel Crocifisso inciso sul retro della croce di Lotario l’uso sapiente della linea crea una figura di
grande intensità patetica.

I centri artistici della penisola


Nella miniatura del evangelario di Ottone I Roma è la prima e reca, le mani coperte da un drappo
in segno di rispetto.
Il dominio su Roma era d’altra parte per i sovrani un elemento di enorme importanza simbolica.
Nell’urbe avveniva la cerimonia ufficiale dell’incoronazione. Sul piano culturale gli scambi tra
l’Impero e la penisola coinvolgono soprattutto Milano.
Gotofredo, è il committente di una situla di avorio .

Il secchiello liturgico è dedicato a Ottone e veniva utilizzato nelle cerimonie imperiali. Entro una
serie di arcate, siedono la vergine col bambino tra due angeli e i quattro evangelisti. Alla fine del X
secolo, la stessa cultura artistica si esprime su scala monumentale nei nuovi stucchi che decorano
sant’Ambrogio. Nel grande vano l’abside della basilica ambrosiana,furono ricoperte di stucco le
colonne e decorate con foglie di acanto le ghiere degli archi. L’intero spazio destinato al clero
ricevette così un addobbo trionfale. Il lato verso la navata accolse la Traditio Legis ( Cristo che
consegna le chiavi a san Pietro ed il libro a san Paolo). È evidente che il programma iconografico
sottolinea l’origine divina dell’autorità episcopale e in particolare di quella di Ambrogio chiamato da
Dio stesso alla sua missione. Le grandi figure rammentano la produzione miniatoria e plastica del
Maestro del Registrum Gregorii. Nei manoscritti di Nivardova (altro artista lombardo) è la
raffigurazione della Consacrazione del crisma.
In Lombardia si conserva anche un prezioso gruppo di crocifissi monumentali in lamina metallica,
argentea o bronzea. Tra i più importanti ricordiamo quello del vescovo Ariberto a Milano. Nella
Croce di Ariberto come in quella di Gerone a Colonia, l’iconografia trionfale e l’aulica compostezza
della figura cede il posto alla rappresentazione del Cristo morto, sbalzato nel metallo.
Il modello dell’abside ambrosiana viene imitato in San Vincenzo in Prato.
La progressiva riorganizzazione delle campagne, favorita dalla costante crescita demografica, ha
nel sistema delle pievi una rete di punti di forza. La popolazione vi si raccoglie per soddisfare
necessità non solo spirituali ma anche culturali e sociali e mantiene il pievano con i propri contributi
(le decime).
La chiesa di solito è affiancata da un battistero, staccato e indipendente. La pieve e il battistero di
Galliano furono edificati per volere del potente Ariberto d’Intimiano. Il battistero a pianta quadriloba
con pilastri liberi trasformandolo in uno spazio monumentale.

Temi nuovi compaiono in Santa Maria Maggiore a Lomello, un edificio a tre navate con un transetto
più basso del corpo longitudinale. Il tema funzionale diviene elemento formale nei pilastri che
assumono struttura cruciforme. L’intera chiesa era decorata da affreschi e stucchi di cui restano
solo pochi frammenti.

Per quanto riguarda l’area adriatica questo momento di passaggio è ben rappresentato
dall’abbazia di Pomposa. La chiesa fu consacrata nel 1026 dall’abate Guido. Alla basilica viene
aggiunto un atrio. La grandiosità di questo ingresso si ritrova nella possente torre campanaria. A
Pomposa si ribadisce lo sviluppo verticale della torre attraverso la definizione di piani sovrapposti.
Dell’architettura civile adriatica può dare un’idea il palazzo della Ragione: l’edificio capitolare
annesso al convento, dove l’abate svolgeva le sue funzioni istituzionali e amministrative.

Ben inserita nella tradizione locale ma aperta anche a contatti con il settentrione ottoniano appare
la pittura monumentale in Lombardia. L’abside della chiesa di San Vincenzo a Galliano fu
affrescata per volontà di Ariberto di Intimiano. Nel catino è raffigurato Cristo in mandorla,
l’arcangelo Michele e Geremia a sinistra e l’arcangelo Gabriele ed Ezechiele a destra.
Tanto la grande visione ultraterrena quanto gli episodi storici sono impaginati con il sicuro senso
spaziale. Se alcuni elementi iconografici sono di origine bizantina, del tutto occidentale è il
vigoroso senso plastico.
Una cultura figurativa simile ma più robustamente plastica si ritrova negli affreschi di Sant’Ordo ad
Aosta, anch’essi databili all’inizio dell’XI secolo.
Verso la fine dell’XI secolo la nuova ondata di cultura bizantina inizia anche in Lombardia ad
acquistare un peso determinante come nel ciclo di San Pietro al Monte. La grande e bellissima
scena apocalittica in San Pietro è impaginata secondo un rigido sistema di corrispondenze
simmetriche.
Il linguaggio figurativo lombardo si diffonde anche verso Roma. Il generale movimento di riforma
della Chiesa e la progressiva ricerca di autonomia del potere religioso da quello laico coincide con
l’affermarsi di un linguaggio tipicamente romano. La base di questo stile non poteva che essere un
nuovo ritorno alla tradizione e alla cultura della Roma tardo-antica e costantiniana. Gli affreschi
della chiesa di San Clemente (fine dell’XI secolo) narrano la vita di sant’Alessio. La città è evocata
dai complessi fondali architettonici. Vi è il riuso di elementi decorativi come finte lastre e
incrostazioni marmoree. Il maestro tende a privilegiare l’elemento lineare che gli serve per
concatenare gesti e atteggiamenti in complesse composizioni. La volontà di comunicare con
immediatezza il senso della narrazione allo spettatore è evidente nella scelta di apporre alle
immagini didascalie in volgare.
Il meridione d’Italia è fortemente impregnato di cultura orientale. Nella seconda metà del X secolo
si trova in Campania e in Puglia un tipo particolare del testo liturgico, il rotulo, come molte
illustrazioni orientate in senso contrario a quello della scrittura. Questi rotuli venivano usati in
cerimonie particolarmente complesse.
Un importante scrittorio di cui provengono alcuni rotuli è quello della Benedictio fontis.
Gli Exultet pugliesi furono eseguiti sotto la diretta influenza della più aggiornata cultura figurativa
cosmopolitana.

LA MINIATURA MEDIEVALE ( non si fa )

Il libro miniato è un’invenzione che nasce col disfacimento della tradizione classica per estinguersi
con l’invenzione della stampa nel XV secolo. Anche nel mondo antico si usava illustrare alcuni
testi: si trattava soprattutto di trattati tecnico-scientifici e di opere letterarie come poemi epici di
Omero e Virigilio. Il libro antico aveva forma di rotolo e si leggeva svolgendolo a poco a poco: le
immagini sono soprattutto le colonne del testo ma modificare o condizionare l’impaginazione o la
struttura grafica della parte scritta. Le figurazioni antiche sono condotte in uno stile compendiario e
naturalistico, tipico della pittura tardo-ellenistica e romana.
Un cambiamento radicale si ebbe tra il I e il III secolo d.C. con il progressivo abbandono del rotolo
e l’affermazione del volumen, il libro formato da più fogli ripiegati. La nuova forma di libro era la
preferita dai circoli cristiani perché più economica e diversa dal rotolo. Vennero dunque copiati in
quella forma i testi sacri. Contemporaneamente al papiro si sostituì la pergamena. Benché costosa
e di complicata fabbricazione la pergamena è molto più resistente e duratura di qualunque
materiale cartaceo. La sopravvivenza della cultura antica si deve in gran parte alla copiatura dei
rotoli su questo nuovo supporto. In questa operazione di trasferimento prevalgono forme
decorative che uniscono testo e immagini come le iniziali figurate e quelle istoriate. Una
raffinatissima decorazione a intrecci di figure stilizzate e di racemi investe nei codici irlandesi tra il
VII e il IX secolo. Come esempio per tutti può valere il celebre Libro di Lindisfarne.
Bisogna pensare che nel Medioevo la fruizione del testo non era l’unica funzione del libro. In un
mondo quasi del tutto analfabeta il libro sacro acquistava un valore simbolico e quasi magico. La
mentalità medievale percepiva una forte continuità tra la sfera terrena e quella sovraterrena e
vedeva perciò nel libro l’incarnazione della parola divina.
Solo chi aveva un determinato livello culturale poteva capire le implicazioni simboliche delle
immagini e interprete il loro stretto rapporto con il testo i libri venivano prodotti quasi
esclusivamente nei monasteri dagli amanuensi.
Nel mondo antico la scrittura come lavoro materiale era considerata indegna di un letterato o di un
filosofo che dettava le sue opere a uno schiavo e a uno scriba di professione. Che il lavoro
dell’amanuense medievale fosse invece molto valutato è evidente.
L’EUROPA ROMANICA

Il periodo che copre gran parte del secolo XI è considerato dagli storici come un’epoca di radicale
trasformazione per l’Europa, in particolare per quanto riguarda l’agricoltura, lo sviluppo dei centri
urbani e le tecniche militari, con profonde ripercussioni sull’incremento demografico e sull’assetto
politico- sociale dell’intero continente come nel campo delle attività culturali e artistiche.
Uno dei segni più chiari del mutamento è fornito dall’aggressivo espansionismo militare nei
confronti dell’Islam, che si manifesta nel vigoroso avvio della reconquista di parte della penisola
iberica, a opera dei piccoli regni cristiani della Spagna settentrionale e quindi nella spedizione per
la liberazione della Terra Santa che prese il nome di prima Crociata.
I Normanni, invece, conquistarono l’Inghilterra e l’Italia meridionale.
Il progresso delle tecniche agricole, fondato sulla frequente applicazione di parti metalliche agli
attrezzi e sul perfezionamento e sulla diffusione dell’aratro fu evidente.
Con la crescita della produzione agricola e il rapido incremento della popolazione, mutano anche i
rapporti tra campagna e centri urbani.
I mutamenti economici coinvolgono tutte le categorie sociali. L’assetto rigorosamente gerarchico
dei rapporti sociali e gli estesissimi poteri della nobiltà favoriscono il lento sviluppo delle grandi
imprese militari e la ripresa dei commerci. Prima ancora dell’impulso espansionistico che diede
avvio alla riscossa militare dell’Occidente, gli investimenti artistici e la frenetica attività di
costruzione di edifici monumentali, secondo Raoul Glabro rivestì l’Europa cristiana di un “bianco
mantello di chiese”.
Caratteristica fondamentale dell’architettura della produzione artistica che si sviluppa in Europa a
partire dalla seconda metà dell’XI secolo appare la polarità tra aspetti che ne manifestano la
profonda omogeneità e la ricchezza e varietà dei risultati.
Tale polarità trova ampie analogie con la situazione politica e con la dinamica evoluzione delle
strutture sociali. Si acquista sempre più salda consapevolezza della propria identità spirituale e
unità materiale. Il fattore che maggiormente incise sul declino dell’unità del potere monarchico è
costituito dagli sviluppi del feudalesimo e delle autonomie cittadine, come in Francia, nella penisola
italiana e più tardi in Germania.
Uno dei protagonisti del tempo, l’abate Guglielmo da Volpiano scriveva: “il potere dell’imperatore
romano è oggi esercitato nelle diverse province da molti scettri, ma il potere di legare e sciogliere,
in cielo come in terra, appartiene per diritto incrollabile al magistero di Pietro”. Le parole di
Gugliemo da Volpiano suonano profetiche fino al concordato di Worms (1122), con la
contrapposizione del papato all’imperatore nella lotta per le investiture, conclusasi con la
sostanziale vittoria del papato e l’affermazione dell’autonomia della gerarchia ecclesiastica da ogni
ingerenza dell’imperatore, come di qualsiasi altro potere laico.
I tentativi di disporre liberamente della nomina di vescovo e abati da parte dei più potenti feudatari
non potevano essere tollerati dalla Chiesa e suscitarono una violentissima reazione che sfociò nei
movimenti di riforma tesi a ripristinare il rispetto e la severità della regola nei monasteri.
Importantissimi focolai di riforma furono in particolare i monasteri cluniacensi.
Il declino dei poteri centrali imperiali e monarchici ebbe conseguenze anche sulla ripresa e lo
sviluppo della produzione artistica.
Infatti, prima, con l’atto sacramentale della consacrazione il sovrano carolingio riceveva
direttamente il proprio carisma dal Dio dell’Antico Testamento. L’arte era divenuta una questione
essenzialmente regale verso una decisa ripresa di modelli aulici dell’antichità imperiale.
Nel corso dell’XI secolo il patrocinio delle costruzioni ecclesiastiche e il compito di provvedere alla
loro costruzione e decorazione passano in altre mani. Così non più il re di Franca ma il duca di
Normandia diviene il grande costruttore di chiese e abbazie.
I signori locali vengono quindi divisi in “signori della guerra e signori delle preghiere”.
Mentre i sovrani vengono spogliati di gran parte delle risorse indirizzate ad alimentarne le
magnificenza nei confronti della Chiesa, gli investimenti artistici aumentano.
I “signori della guerra” continuano a spogliarsi di una parte assai consistente delle loro ricchezze
che vanno ad aumentare i patrimoni di cattedrali e abbazie.
La grande arte assume sempre più come funzione primaria quella “espiatoria”.
I monasteri devono manifestare anche nella grandiosità degli edifici e attraverso la bellezza e lo
splendore della creazione artistica, la gloria dell’Onnipotente e l’immagine radiosa della città
celeste.
L’abbandono del lavoro manuale e le comodità concesse ai monaci di Cluny rispetto alla regola di
san Benedetto sono conseguenza dell’importanza attribuita alla celebrazione dell’ufficio liturgico
con grande sviluppo del canto corale.
Nel fasto e nella solennità delle celebrazioni liturgiche, come nella costruzione e decorazione della
terza immensa chiesa abbaziale a Cluny, trova piena espressione la tendenza a concepire la
magnificenza, la grandiosità e la ricchezza come elementi primari delle offerte rivolte a Dio.
Nelle nuove forme artistiche è, però, possibile riconoscere anche un’aspirazione profonda a
trascendere i limiti dei sensi e dell’intendimento umani con un linguaggio accessibile solo a pochi
iniziati.
LA “QUESTIONE” DEL ROMANICO

Il rinnovamento delle forme artistiche che ha luogo tra la seconda metà dell’XI secolo e i primi
decenni del XII investe principalmente l’architettura e la scultura monumentale. Per definire la
nuova civiltà figurativa è entrato in uso il termine romanico. Una delle caratteristiche fondamentali
della nuova civiltà figurativa è il riferimento a modelli e tecniche costruttive dell’antichità romana.
La storiografia artistica ha ricostruito lo sviluppo dell’architettura e della scultura romaniche come
una catena di innovazioni legate tra di loro.
Va attribuita una certa importanza alla mobilità di persone e merci preziose che è conseguenza
della ripresa dei commerci e anche dei pellegrinaggi. Sono importanti le opere di alcuni
protagonisti del movimento di riforma della vita monastica, tra le quali Guglielmo da Volpiano che
fece costruire la vasta rotonda a tre ordini dell’abbazia di Saint- Benigne a Digione.
È possibile definire i caratteri dell’architettura romanica, partendo da quegli edifici religiosi che
avevano valore monumentale, e svolgevano anche funzioni di carattere temporale. Tra gli elementi
tipici della costruzione romanica ci sono la riscoperta di una logica strutturale, basata nella
copertura a volte, in particolare a volte a crociera. La volta a crociera permette alla parete di
slanciarsi in altezza. In realtà alcuni degli edifici considerati tra le più importanti creazioni
dell’architettura romanica- come il duomo di Modena e San Miniato a Firenze - ricevettero in
origine una copertura a soffitto ligneo.
Un altro elemento caratteristico dell’arte romanica è la scansione delle murature esterne mediante
lesene e arcate cieche.
La medesima tendenza a una potente articolazione si manifesta negli elementi di sostegno come
nelle massicce pareti degli edifici romanici che sembrano concepite a più strati e svuotate da
corridoi e gallerie. Tale concezione della parete rimanda all’architettura tardo romana delle
province. Particolari esigenze di carattere liturgico e funzionale pongono le premesse per lo
sviluppo della zona presbiteriale, mentre si ampliano le cripte dove vengono custodite le reliquie.
All’interno come all’esterno, il gioco delle sequenze spaziali appare ritmato dalle cornici e dalle
lesene.
La scultura monumentale che si sviluppa a partire dagli ultimi decenni del secolo XI presenta
caratteri nuovi perché si aggiunge un ampio ventaglio di modelli che vengono liberamente
interpretati e si modifica la funzione delle immagini, destinate a un pubblico più vasto.
LE REGIONI DEL ROMANICO EUROPEO
Lo sviluppo dell’arte romanica costituì un fenomeno europeo, basato sull’omogeneità culturale
della classe dominante e sulla nuova mobilità che caratterizzò l’Occidente a partire dal secolo XI.
Nelle terre germaniche, dove l’autorità imperiale conserva il suo potere, risulta molto forte la
continuità con la tradizione artistica carolingia e ottoniana, mentre nella Pianura Padana e in
Toscana, l’affermarsi dei comuni pone le premesse per uno sviluppo più differenziato.

Germania e Paesi Bassi


Il rapporto di continuità tra l’architettura nella prima metà del secolo XI e quella dei decenni
seguenti si coglie facilmente nelle terre imperiali di Germania, come nelle chiese abbaziali di San
Michele a Hildesheim o in Santa Maria a Colonia, ma l’intreccio tra continuità e sviluppo si
manifesta soprattutto nella cattedrale di Spira. Fondata dall’imperatore Corrado II e consacrata nel
1061, la cattedrale presenta dimensioni monumentali. Una galleria continua di arcatelle all’esterno
e l’articolazione potente delle pareti all’interno creano la fusione perfetta tra le parti più antiche e
quelle più recenti dell’edificio.
Un altro esempio di sviluppo nella continuità è fornito dalla chiesa abaziale di Santa Maria Laach in
Renania che si presenta come un complesso unitario nella perfetta scansione dei volumi.
Trovò, invece, uno sviluppo limitato in Germania la scultura monumentale e architettonica.

Normandia e Inghilterra
Nella chiesa abaziale di Jumièges ci sono alcuni dei caratteri fondamentali della nuova
architettura, come l’altissima facciata inquadrata da due torri e il soffitto ligneo nella navata
centrale.
Alla vigilia della spedizione che portò i Normanni alla conquista dell’Inghilterra Guglielmo il
Conquistatore fondò due grandi abazie a Caen. In particolare in quella di Saint Etienne molti degli
elementi già presenti a Jumièges vengono riprese e perfezionati. In facciata le torri sono allineate
alla parte centrale e danno un effetto di grande slancio verticale, mentre il soffitto ligneo è sostituito
da volte costolonate.
La conquista normanna diede avvio in Inghilterra alla costruzione di molte abbazie e cattedrali,
accomunate da slancio verticale, come le cattedrali di Winchester e Ely.

Borgogna
Come in Germania anche in Borgogna lo sviluppo dell’architettura romanica è preceduto da
un’attività costruttiva di grande importanza di cui rimangono scarse tracce. Gli scarsi resti che ci
sono giunti dalla ricostruzione dell’abbazia di Cluny del 948 e di quella del 1088 mostrano la
presenza di una grande zona presbiteriale e consentono di farsi un’idea delle grandi dimensioni
dell’edificio.
Accanto alla diffusione del modello cluniacense, si afferma in Borgogna anche un altro tipo di
costruzione con limitato sviluppo verticale, come l’abbazia di Vezelay.
Anche la scultura monumentale conosce un grande sviluppo in Borgogna. Un forte arcaismo
caratterizza i capitelli della rotonda di Saint Benigne a Digione.
Precedente più diretto della cultura romanica appaiono invece i capitelli dell’abbazia benedettina di
Saint Benoit: decorati con foglie di acanto o con scene apocalittiche e figure di santi.
A Cluny su due capitelli sono raffigurati il peccato dei progenitori e il sacrificio di Isacco, mentre un
terzo riprende la decorazione del capitello corinzio ed altri recano figure di atleti, delle virtù
teologali e cardinali, dei fiumi del paradiso. I capitelli di Cluny, con le loro figure delicate e la loro
eleganza, pur appartenendo alla nuova arte romanica, risultano ancora collegati alla tradizione
ottoniana dell’oreficeria.
Analoga tecnica di intaglio si riconosce nel timpano della chiesa di Charlieu, raffigurante Cristo in
maestà tra due angeli. A partire da questo timpano è possibile seguire un evoluzione verso figure
più sciolte e in rapporto sempre più dinamico con il campo architettonico.
Tra il terzo e il quarto decennio del XII secolo la scultura romanica giunge a maturità in Borgogna,
con i cantieri di Autun e di Vezelay. Ad Autun il maestro Gislebertus firma il timpano del portale
occidentale che raffigura il giudizio finale, e lavora al portale settentrionale da cui proviene
l’immagine naturalistica di Eva.
A Vezelay nel grande timpano del portale è raffigurata la missione di Cristo agli Apostoli.
Linguadoca e Dordogne
Un precoce sviluppo dell’arte romanica contraddistingue anche la Linguadoca.
A Tolosa la ricostruzione della chiesa di pellegrinaggio di Saint Sernin ebbe inizio prima del 1080.
L’edificio presenta motivi di interesse per la grandiosità dell’impianto planimetrico e per
l’imponenza della navata centrale e della zona presbiteriale. I capitelli del deambulatorio
presentano un’elegante decorazione a fogliami, mentre quelli del transetto formano un organico
ciclo iconografico con le figure di Lazzaro e del ricco Epulone e scene di supplizio: sono scene di
grande semplicità.
La tavola dell’altare reca una decorazione scolpita sui lati con figure di Cristo tra la Vergine e San
Giovanni evangelista gli apostoli, l’episodio leggendario dell’ascensione di Alessandro Magno e
immagini di uccelli affrontati.
In una lunga iscrizione latina compare il nome dell’autore Berbardus Gelduinus. L’impronta dello
stile di Bernardus Geldunius appare evidente, anche in numerosi capitelli delle tribune del transetto
e soprattutto nelle sculture della porta di Miegeville.
Contemporaneamente a quella del cantiere di Saint Sernin a Tolosa si svolge l’attività di un altro
grande centro della scultura romanica europea, l’ abbazia cluniacense di Moissac, dove viene
costruito il chiostro con capitelli scolpiti e figure di apostoli a grandezza naturale. I particolari sono
sistematicamente subordinati a un complesso schema ritmico - decorativo che intensifica la
connessione e insieme la tensione tra figura e piano di fondo.
I capitelli sono modellati come sculture e il sistema delle volute e delle mensole rende ancor più
impercettibile la metamorfosi.
Al secondo decennio del XII secolo vengono fatti risalire i lavori per il portico della chiesa abbaziale
con l’immenso timpano raffigurante la Visione apocalittica di san Giovanni. Sugli stipiti sono
scolpite le figure di san Pietro e di un altro profeta oltre ad animali mostruosi affrontati.
All’assoluta immobilità e frontalità della figura di Cristo si contrappone la violenta animazione delle
immagini circostante e la resa reale dei particolari.
Ai cantieri di Moissac si collega anche lo sviluppo della scultura monumentale nella Dordogne, a
partire dalla cattedrale di Cahors, che presenta una particolare struttura architettonica con navata
unica coperta da cupole. Nel portale di Cahors lavorano scultori provenienti dal cantiere di
Moissac.
L’influsso della scultura di Moissac si manifesta nel portale meridionale della chiesa di Beaulieu,
con il giudizio finale nel timpano. A Beaulieu è evidente la ripresa del risalto plastico delle immagini
di Moissac.

Conques, l’Aquitania, l’Avernia e la Provenza


Uno dei santuari che richiamarono maggiori folle di pellegrini fu l’abbazia di Conques, la cui chiesa
presenta l’impianto caratteristico degli edifici di pellegrinaggio ed elevata altezza della navata
centrale, con due ordini di arcate e copertura a volte. All’interno la decorazione scultorea non è
ricca, ma nel timpano del portale c’è una rappresentazione del Giudizio finale molto interessante
dal punto di vista iconografico.
In Alvernia lo sviluppo dell’arte romanica è in rapporto con quello dei pellegrinaggi e molte chiese
manifestano caratteri di severa austerità. Tra gli edifici che risalgono alla prima metà de 1100
ricordiamo la chiesa abbaziale di Saint Nectaire.
La particolare ricchezza di monumenti che caratterizza la Provenza è decisiva per lo sviluppo del
romanico nella regione. A Saint Gilles du Gard, centro di partenza per Santiago di Compostela, la
chiesa del priorato è preceduta da un grandioso portale che riprende lo schema di un arco
trionfale.
In Aquitania si ricorda l’abbazia di Poitiers, decorata in tutta la sua superficie.

Spagna settentrionale
Stretti rapporti politici ed economici collegano i regni cristiani della Spagna settentrionale con il sud
della Francia. Tra i cantieri dove si verificò più precocemente il passaggio all’arte romanica c’è
quello di San Isidoro a Leon. Contiguo a san Isidoro sorge il Pantheon de los reies, la cui volta
venne decorata entro la fine del XII secolo con un ciclo di affreschi raffiguranti la Majestas Domini.
Edificio principe della regione è il santuario di Santiago di Compostela, ricostruito a partire dal
1075 sullo schema planimetrico delle grandi chiese di pellegrinaggio francesi, con lunghe e alte
navate, matronei e ampio transetto. I più antichi capitelli del deambulatorio presentano forti punti di
contatto con quelli di Saint Sernin a Tolosa. Al medesimo ambito culturale appartengono gli
eleganti capitelli della cattedrale di Jaca.
Più complessa appare la cultura figurativa dei maestri che scolpirono i capitelli del chiostro del
monastero di Santo Domingo de Silos vicino a Burgos. Questi capitelli sono decorati con motivi
vegetali e figure di animali con una esecuzione raffinatissima.

Catalogna Caratteri del tutto particolari manifesta lo sviluppo dell’arte romanica in Catalogna, dove
una fioritura precoce di edifici di ridotte dimensioni si prolunga per tutto il XII secolo. Assume
invece importanza la decorazione pittorica, con affreschi e pittura su tavola, che reinterpretano
lontani modelli bizantini.

La penisola italiana
La penisola italiana, all’interno del romanico europeo, presenta una varietà di aspetti che non trova
equivalenti.
La precoce crescita delle città in Sicilia al tempo della dominazione araba, l’affermarsi delle
repubbliche marinare, il consolidarsi dei comuni in pianura Padana: sono tutti fenomeni che
testimoniano una rapida crescita.
In un contesto variegato, con l’influenza bizantina nel meridione e quella d’oltralpe nel Nord,
assume rilevanza il fenomeno di resistenza all’assimilazione di alcuni elementi del romanico, in
favore di una ripresa di modelli paleocristiani, soprattutto a Roma, in Campania e Toscana.
Il vescovo di Arezzo, avendo deciso di ricostruire il duomo della città, invia l’architetto Maginardo a
Ravenna per studiare la chiesa di San Vitale. A Firenze il vescovo ricostruisce il battistero, che
consacra nel 1059. A Pisa la riedificazione della cattedrale prende avvio da un impianto basilicale a
cinque navate di impronta paleocristiana.
A Roma continua il legame con la tradizione dell’architettura cristiana tardo antica, mentre in
Campania, l’abbazia di Montecassino si ispira alla prima architettura cristiana e all’arte di Bisanzio.
La ricostruzione dell’antica basilica Martyrum, fondata da Sant’Ambrogio, coincide con la piena
affermazione dell’autonomia comunale di Milano. Nel nuovo edificio, che conserva l’impianto a tre
navate privo di transetto, il sistema di coperture con volte a crociera costolonate trova una delle
soluzione più organiche di tutto il romanico europeo. Ai grandi pilastri a fascio che sorreggono le
volte delle campate centrali si alternano pilastri minori, che ricevono le spinte di quelle laterali.
Del tutto in accordo con la tonalità dell’articolazione spaziale appare la facciata scandita da due
ordini di arcate: quelle inferiori collegate agli altri tre lati del quadriportico, mentre quelle superiori,
in rapporto con il profilo a capanna della copertura, appartengono a un loggiato che domina l’atrio
monumentale, concepito come luogo di riunione per assemblee religiose o civili.
Altro grande centro di diffusione dell’arte romanica nella pianura Padana è il duomo di Modena
fondato nel 1099 e voluto da tutto il popolo della città, con l’appoggio della contessa Matilde di
Canossa. Architetto e costruttore dell’opera fu Lanfranco, il cui nome compare in una lapide. I
lavori ebbero inizio quasi contemporaneamente dall’abside e dalla facciata, dove una seconda
lapide ricorda il nome dello scultore Wiligelmo.
Privo di transetto e a tre navate concluse da absidi nel presbiterio sopraelevato, l’edificio presenta
la scansione della navata centrale in quattro campate, sormontate da un loggiato con trifore. Più in
alto si aprono nelle pareti alte e strette finestre, mentre la copertura era in origine a capriate lignee.
L’articolazione spaziale si riflette all’esterno nelle scansioni delle pareti e della facciata, che
presentano arcate cieche in continuità. Le sculture partecipano all’articolazione della facciata. In
origine i quattro rilievi scolpiti da Wiligelmo con storie della Genesi erano probabilmente allineati ai
lati del portale centrale, con protiro a due piani, dove compaiono per la prima volta i leoni stilofori.
Il portale presenta una leggerissima strombatura e manca di timpano scolpito. Sono invece
decorate le fasce degli stipiti e dell’architrave con motivi a tralci di acanto e di vite, animati da
figurine di vendemmiatori, da animali favolosi e da esseri mostruosi. Il motivo dell’intreccio
vegetale evoca l’intrico della selva, mentre quello della vendemmia allude al paradiso. Dodici
profeti entro edicole sono raffigurati all’interno degli stipiti; sui capitelli sono scolpite invece figure
incurvate sotto il peso di massicce modanature. Altri rilievi, di cui non è certa l’originale
collocazione, sono murati nella facciata e nel protiro: due figure di genietti alati appoggiati a
fiaccole rovesciate, Sansone che vince il leone e altre immagini di animali.
Lo stile dei rilievi, come dei capitelli delle semicolonne e della galleria di facciata, manifesta
caratteri fortemente unitari, che si differenziano da quelli dei capitelli della cripta, opere di
maestranze lombarde.
Protagonista del rinnovamento del cantiere di scultura fu Wiligelmo, autore dei rilievi del portale e
delle storie della Genesi, la cui raffigurazione assume toni di grande intensità grazie alla
straordinaria varietà ed espressività dei gesti e delle figure. La ripresa di modelli antichi non si
risolve mai per Wiligelmo dell’adozione di stereotipi, ma appare arricchita da un’attenta resa dei
particolari. Nel nuovo repertorio gestuale e nella più sensibile modellazione dei volti, le immagini
trovano un’immediatezza e una forza espressiva che corrisponde alle esigenze di comunicazione a
tutto il popolo di fedeli, senza distinzione di cultura.

IL CANTIERE DELLA CHIESA ROMANICA

A partire dal VI secolo, al sensibile ridursi del numero di nuovi edifici di dimensioni grandiose si
accompagna il graduale abbandono della tecnica costruttiva delle volte in opus coementicum, con
il sempre più frequente impiego di coperture lignee. Mutano sia le dimensioni sia l’organizzazione
del cantiere: non più masse di manovali ma piccoli gruppi di magistri che lavorano a erigere un
settore della costruzione per volta.
La prima architettura non muta tale tipo di organizzazione. Tuttavia la necessità di accelerare i
tempi di costruzione e soprattutto la crescente complessità strutturale riconducono a tipi di cantiere
più simili a quelli della tarda antichità.
L’architetto Lanfranco è circondato da assistenti in atto di dirigere in un caso la posa delle
fondamenta dell’edificio, in un altro l’apparecchiatura dei muri, dando origini alle maestranze,
distinte in due categorie fondamentali: operarii e artificces. I primi appaiono impegnati nelle
mansioni più semplici, mentre i secondi sono addetti alla rifinitura del taglio delle pietre.
Accanto al vero e proprio cantiere architettonico doveva esistere poi quello degli scultori.
Inizialmente gli scultori non erano altro che un gruppo particolare di artifices ma nel corso
dell’affermarsi della scultura monumentale si è determinata una situazione di crescente autonomia
degli scultori che lavoravano il marmo.
Un capitello del portale meridionale di Santa Maria Maggiore a Bergamo pare confermare tale tipo
di organizzazione.

ARTE ROMANICA E VIE DI PELLEGRINAGGIO

Nel corso del secolo XI la pratica dei pellegrinaggi verso santuari che custodivano preziose reliquie
rifiorisce e si trasforma in un fenomeno sociale di vastissima portata.
Il pellegrinaggio costituisce per l’uomo medievale, oltre che un atto penitenziale ed espiatorio, lo
strumento più efficace per assicurarsi la benevolenza e la protezione della divinità e dei santi.
Le principali vie di pellegrinaggio conducevano al sepolcro di Cristo a Gerusalemme, alle tombe
degli apostoli Pietro e Paolo a Roma e a quella dell’apostolo Giacomo a Compostella, in Galizia.
Venezia e le città costiere della Puglia, porti di imbarco per la Terrasanta, dopo la conquista di
Gerusalemme da parte dei crociati, erano interessate dal primo di tali pellegrinaggi.
Le strade che dai passi alpini conducono a Roma sono costellate di importanti centri urbani che
andavano acquistando grande floridezza e relativa autonomia politica.
Tra i pellegrinaggi europei, tuttavia, quello che costituì il fenomeno di più vasta portata nel secolo
XI è il pellegrinaggio a Santiago di Compostella dove il vescovo Teodemiro, aveva
miracolosamente ritrovato in una deserta e misteriosa zona cimiteriale la sepoltura dell’apostolo
Giacomo. Giacomo che fu anche il primo degli apostoli a subire il martirio, secondo una tradizione
bizantina si sarebbe spinto “peregrinando” verso le estreme regioni d’Occidente, per evangelizzare
la penisola iberica, giungendo fino alle coste dell’Atlantico in Galizia.
Il pellegrinaggio a Compostela assume dimensioni impressionanti proprio a partire dal secolo XI
dando vita a una vera e propria rete di strade con luoghi di raccolta e ospizi per i pellegrini.
Documento importantissimo è la Guida del pellegrino scritta dal chierico Aymery Picaud dove
troviamo una puntuale descrizione delle diverse strade e delle tappe che conducono a Santiago. A
Puente la Reina, in Navarra, confluivano i quattro “cammini” francesi.
Per ciascuna delle quattro vie la Guida elenca con precisione tutti i santuari e le reliquie cui il
pellegrinaggio doveva rendere visita e omaggio.
Lo sviluppo della pratica del pellegrinaggio non mancò di dare grande slancio all’attività artistica. Il
fenomeno più interessante di circolazione di idee e modelli è costituito dall’imporsi di un particolare
tipo di pianta nelle grandi chiese di pellegrinaggio con eccezionale ampiezza del deambulatorio e
del transetto, dotandolo di navate laterali e di accessi indipendenti dall’esterno, con portali
monumentali.
IMMAGINI TEOFANICHE NEI TIMPANI

La decorazione dei timpani di portali con rilievi di carattere monumentale trova vasto sviluppo nelle
chiese abbaziali e nelle cattedrali di alcune regioni francesi (Borgogna, Linguadoca, Dordogne) e
della Spagna settentrionale.
L’immagine ha carattere teofanico e tende a farsi veicolo della soverchiante rivelazione della divina
onnipotenza.
Uno dei più antichi timpani borgognoni è quello di Montceaux –l’Etoile.
Lo stesso motivo riappare in Linguadoca nel portale della chiesa abbaziale di Moissac dove trionfa
la gigantesca rappresentazione della visione apocalittica di san Giovanni.
L’intonazione trionfale del timpano di Moissac trova eco in quello della chiesa abbaziale di
Beaulieu, dove il Giudizio finale si caratterizza per una interpretazione accentuatamente “positiva”
del tema: Cristo- giudice è immagine egloriosa e la grande croce disposta asimmetricamente alle
sue spalle diviene simbolo di vittoria e di trionfo sulla morte e sulle forze del male. È assente
qualsiasi accenno diretto all’inferno.
Il Giudizio trova a Beaulieu la sua più limpida rappresentazione.
Nel Giudizio di Autun l’iscrizione che tramanda il nome dello scultore Gislebertus ricorda
l’onnipotenza del giudice divino e ammonisce gravemente gli spettatori. Il Paradiso come “castello”
del signore giusto, è contrapposto all’Inferno- spelonca del malvagio. La figura frontale di Cristo-
giudice domina potentemente tutta la rappresentazione.
A Vezelay il portale reca nel timpano la rappresentazione di Cristo in atto di affidare agli apostoli la
missione di evangelizzare la terra. Lo stile “tragico e visionario” della scultura romanica
borgognona trova qui il suo culmine.
Nell’archivolto sono scolpiti i segni zodiacali e figurazioni dei lavori dei mesi.
Riprendendo una simbologia tardo antica, sulla soglia del santuario Cristo è presentato come
“consacratore” de i cicli naturali e delle opere dell’uomo, ma anche dei tempi e dei momenti
dell’anno liturgico e segnando il varco verso il tempo “sacro” dell’eternità.
Per la sua posizione al culmine del semicerchio della lunetta, il simbolo allude anche all’ora
meridiana come istante immobile della massima intensità luminosa, quella che consente appunto
la visione di Dio “faccia a faccia” nel giorno dell’eternità.

ARTE IN ITALIA TRA 11 E 12 SECOLO


LOMBARDIA. Nel corso del 12 secolo a Milano, la basilica ambrosiana si arricchisce del
campanile dei canonici. La cortina rossa del laterizio, materiale tipico della pianura, è interrotta da
inserti in pietra, con effetti di policromia. Il modello ambrosiano è ripreso anche in S. Sigismondo a
Rivolta d’Adda, che ne rispecchia la suddivisione in tre navate e le proporzioni interne. Anche
l’apparato decorativo di S. Sigismondo riprende quello ambrosiano, in particolare nei capitelli.
Apparato decorativo simile a quello di S.Michele a Pavia che presenta un repertorio che include
temi naturalistici e allegorici con caratteri stilistici orientali. S.Michele non passa inosservata nel
corso del 12 secolo grazie al gioco chiaroscurale che creano le finestre sulla facciata. Altro aspetto
del romanico lombardo è l’uso della pietra che, grezza o ben squadrata, viene impiegata sia nelle
grandi costruzioni urbane sia nelle chiesette rurali. Così avviene per le chiese di S.Abbondio e
S.Fedele, la prima a 5 navate e con copertura lignea a vista, la seconda a piante tricora. Per
quanto riguarda la scultura, qui ha funzione prettamente decorativa, con temi fantastici e con il
forte gusto per il mostruoso e il grottesco.
EMILIA. La scultura emiliana è segnata dall’attività di Wiligelmo, Niccolò e Benedetto Antelami.
Sopratutto nel cantiere della cattedrale di Modena si sviluppa un'intensa e precoce attività degli
scultori in rigorosa solidarietà con le strutture architettoniche dell’edificio eretto da Lanfranco, che
costituì un punto di riferimento per numerose costruzioni del 12 secolo. Suggestivo teatro delle
rappresentazioni scultoree di Wiligelmo, il duomo di Modena accoglie il contributo di numerosi
lapidiciche si alternano nell’arcadi tutto il secolo, aprendo il capitolo della scultura postwiligeliana.
Ancora nell’epoca del cantiere wiligelamico appartengono i rilievi nettamente definiti della Porta dei
Principi, mentre sono successivi quelli della Porta della Pescheria. Il repertorio di immagini poco
accessibile al pubblico, si tratta di favole di animali nell’architrave ed episodi della leggenda di re
Artù nell’archivolto, a testimonianza della vasta circolazione di cultura nell’Europa medievale. Tralci
vegetali, abitati da animali, uomini ed esseri mostruosi si intrecciano sulla fascia esterna degli
stipiti, che all’interno invece mostrano le allegorie dei Mesi. La vivacità narrativa e il morbido
modellato che raffigurano la Porta della Pescheria si ritrovano in un rilievo che raffigura la Verità
che strappa la lingua alla Frode. Ma sono le otto lastre scolpite collocate lungo i salienti muri che
attraversano il tetto della cattedrale a costituire un unicum. Il MAESTRO DELLE METOPE, come è
stato definito il oro autore anonimo per aver evocato memorie classiche nei rilievi stilizzando le
figure, è attivo nei cantieri del duomo di Modena decorando le lastre con figure fantastiche in
atteggiamenti inconsueti e acrobatici, a cui deve giungere il messaggio di evangelizzazione prima
della fine dei tempi. La stagione finale dell’attività scultore del cantiere di Modena spetta ad
Anselmo da Campione, che insieme ad alcuni collaboratori lascia nel pontile e nella sua
decorazione a rilievo l’opera di più alto magistero e di più grosso impegno. Unì altro protagonista
della scultura romanica è Niccolò. Egli lavorava nella cattedrale di Ferrara, San Zeno, duomo di
Verona e in S.Michele. Il duomo di Ferrara ci costringe a rintracciare gli elementi romanici
all’interno di contesti ormai trasformati in epoche successive. E’ il caso delle sculture del portale
maggiore dove nella lunetta è rappresentato un energico S.Giorgio che atterra il drago.
Successivamente a Ferrara, Niccolò fu attivo a S.Michele, dove scolpì un opera di grande
interesse iconografico nei rilievi del portale, con raffigurazioni dello Zodiaco e delle 12
Costellazioni. Sempre di Niccolò è la lunetta di S.Zeno che benedice le milizie cittadine, all’interno
della chiesa di S.Zeno, dove insieme al suo collaboratore Guglielmo ha raffigurato scene del
Vecchio e del Nuovo Testamento oltre ai Mesi e alle scene della leggenda di Teodorico.

ORIGINE DEL GOTICO IN FRANCIA E PRIMI RIFLESSI IN ITALIA

Il termine “gotico” passa nel XVI secolo ai trattati d’arte per definire, con accentuato disprezzo,
edifici di tipo nordico, lontani dai “modelli classici”, nei quali la struttura portante di decorazioni
apparentemente capricciose, prive della chiarezza di rapporti proporzionali e della razionalità
predilette dagli architetti del Rinascimento. L’abolizione dell’aura negativa del termine è merito
della rivalutazione operata dalla cultura europea in concomitanza con la diffusione di un vero e
proprio revival di quello stile, il Neogotico. Il pregiudizio negativo lascia allora posto a un’acritica
esaltazione. La cultura romantica riconosce, nel passato gotico, il primo formarsi di caratteristiche
tipiche dei popoli e delle nazioni moderne; non mancano inoltre motivazioni religiose. Lo stile
gotico infine, in quanto espressione delle nascenti monarchie nazionali, viene rivalutato dalle corti
europee dell’età della Restaurazione.
Il Gotico, come il Romanico, è un fenomeno di portata europea e riguarda tutti i settori della
produzione artistica. L’origine del nuovo stile viene in genere riconosciuta nel coro della chiesa
abbaziale di Saint-Denis in Francia. Apparentemente l’arte gotica esprime lo slancio mistico di
un’epoca ancora pervasa da una fortissima religiosità e che si avventura nei più complessi tentativi
di interpretazione dell’universo. “Gotici” sono tanto il più artificioso distacco dalle forme naturali.
L’architettura gotica può apparire il frutto di perfezionamenti tecnici già presenti nell’arte romanica.
Si apre però presto una frattura clamorosa tra i due “stili” per il mutare delle funzioni dell’arte e del
ruolo e del prestigio sociale degli artefici.
Attorno al 1380 si riconosce una fase stilistica unitaria a livello europeo denominata “Gotico
Internazionale”, o “Cortese”. A nord delle Alpi il Gotico si prolunga col “Tardo Gotico”, sino all’inizio
del XVI secolo. In Italia la diffusione del nuovo stile coincide con un momento storico di
straordinaria fioritura economica, culturale, civile. Dai primi anni del Duecento abbazie, basiliche,
palazzi e castelli cominciano a mostrare i segni inequivocabili del nuovo modo di costruire nato in
Francia nel secolo precedente.
In Italia risiedono l’imperatore e il papa, fioriscono i Comuni, si affermano le prime Signorie. Nasce
e si sviluppa la letteratura in vogare che si afferma pienamente in Toscana, con gli Stilnovisti.
IL GOTICO NELL’ILE-DE-FRANCE
L’architettura gotica ha origine in Francia, nella regione circostante Parigi, poco prima metà del XII
secolo.
La cattedrale o la chiesa abbaziale gotica francese è un edificio spesso di dimensioni colossali,
slanciato e luminoso: è un complesso organismo in cui ogni membratura ha una precisa funzione
statica. La cattedrale gotica richiama alla mente la costruzione teologica delle Summae della
filosofia scolastica. La summa è uno schema del pensiero che affida alla logica il compito di
organizzare i fenomeni in un sistema concettuale complesso. La prima affermazione
dell’architettura gotica coincide con le prime formulazioni della Scolastica, entro la metà del XII
secolo, con Gilbert de la Porrè e Abelardo. La massima fioritura del gotico nel XIII secolo è coeva
all’attività dei più celebri Guglielmo di Auvergne, San Bonaventura, San Tommaso d’Acquino. La
cattedrale gotica è una metafora del mondo: tende con una progressiva semplificazione a
slanciarsi verso il cielo, come esprimendo l’anelito dell’anima a ricongiungersi con Dio. Le navate
si innalzano ad altezze vertiginose sorrette da agili pilastri a fascio in cui si concentravano le
nervature delle volte sospese a decine di metri dal suolo.
L’arco a sesto acuto è la forma caratteristica dell’architettura gotica, ha un ruolo essenziale nel
ritmo verticale delle nuove costruzione e un’importantissima funzione statica.
A equilibrare le straordinarie spinte centrifughe delle volte provvedono, gli archi rampanti. Gli archi
rampanti si allineano lungo le fiancate delle cattedrali. Allo slancio verticale conferito dalle
proporzioni e dalle strutture dell’interno, corrisponde la forma esterna, coi tetti a ripidi spioventi, le
torri, le guglie.
Nella cattedrale gotica francese, le pareti sono sostituite da vetrate istroriate, che hanno la
funzione, assieme al rosone della facciata, di illuminare l’interno. La forte luminosità rientra nella
simbologia religiosa, come testimoniano gli scritti di Suger , abate di Saint-Denis che ristruttura la
sua chiesa abbaziale, proponendo col deambulatorio del coro la prima costruzione gotica francese.
Suger ritiene che un edificio ecclesiastico assolva meglio il compito di onorare la divinità se è
sontuoso e dotato di splendidi arredi. Il pensiero dell’abate si ricollega alle teorie dello pseudo
dionigi, che aveva descritto l’universo come propagazione di luce emanata da Dio verso il mondo e
la materia.
Il deambulatorio di Saint-Denis da accesso a cappelle. Del 1151, sono il coro, dominato dallo
slancio degli archi a sesto acuto e la più tarda navata centrale.
L’esempio di Saint Denis è presto seguito nel resto dell’Ile de France. Alla prima fase del gotico,
entro il 1200 appartiene Notre Dame a Parigi, a cinque navate con transetto e doppio
deambulatorio, dove sono sperimentate nuove soluzioni tecniche , come la copertura del
deambulatorio con volte a sezioni triangolari, all’esterno, l’introduzione degli archi rampanti a
contenere le spinte delle poderose volte. La prima metà del XIII secolo è ritenuta la fase “classica”
dell’architettura gotica francese, cui appartiene anche la cattedrale di Chartres, consacrata alla
vergine, tra il 1194 e il 1230; la pianta è a tre navate, con transetto, doppio deambulatorio e
cappelle radiali. La facciata è dominata dalle altissime torri e dai portali ornati da splendide
sculture. Le pareti della navata centrale, presentano archi e vetrate di identica forma e misura. La
massa muraria è eliminata a favore delle vetrate. Da Notre-Dame di Chartres discendono le
cattedrali di Reims e di Amiens. Un modello coevo ma alternativo è proposto dalla cattedrale di
Bourges, la cui pianta a cinque navate senza transetto e con doppio deambulatorio si ispira a
Notre Dame di Parigi . All’interno, i pilastri della navata centrale si innalzano assai più che a
Chartres lasciando spaziare lo sguardo verso le navate laterali. Ne risulta l’impressione di uno
spazio molto vasto.
Una tendenza a uno svuotamento ancora più radicale delle pareti si manifesta in Francia verso la
metà del Xlll sec., con la fase detta del “ Gotico Radiante”. Tale orientamento si afferma, oltre che
nelle testate dei transetti di Notre-Dame a Parigi con gli immani rosoni e le gallerie comunicanti
tramite vetrate con l’esterno, nella Sainte-Chapelle di Parigi fatta erigere da S. Luigi re di Francia
come santuario palatino e come contenitore do preziose reliquie giunte da Bisanzio. Le pareti sono
qui completamente abolite e sostituite da vetrate istoriate separate da sottili pilastri compositi: la
leggerezza e la luminosità dell’interno non lascia trasparire la so lida ingabbiatura esterna dei
possenti contrafforti.
Lo sviluppo della scultura gotica francese presenta almeno due fondamentali caratteristiche.
Anzitutto, al gusto enciclopedico delle summae, si collega la tendenza ad allestire degli schemi
dottrinari di incredibili complessità, nei quali le figure e le scene sacre si connettono a
personificazioni e allegorie riguardanti i più vari aspetti del pensiero della vita. Se la cattedrale è
una imago mundi do pietra, anche lo scultore deve esporre il messaggio religioso, come il teologo.
La decorazione del portale centrale della facciata occidentale di Notre-Dame a Parigi, che si
dispiega maestosamente attorno alla lunetta del Giudizio Universale rende bene l’idea di questa
tendenza enciclopedica spinta fino all’ossessione catalogatoria.
Parallelamente si assiste al trapasso dalla concezione romanica del rilievo come parte integrante
delle membrature architettoniche a una nuova concezione basata su una maggiore autonomia
delle figure plastiche rispetto all’architettura. La statua non fa più corpo con l’architettura, ma è
“sovrapposta” a essa: acquista una potenzialità inedita d’individuazione e di movimento.
Nella facciata della cattedrale di Chartres i Re e le Regine d’Israele di allungata forma cilindrica
sono colonne sagomate di aspetto antropomorfo da cui sporgono appena le braccia e i piedi. I
panneggi increspano appena le superfici.
Un’ottantina d’anni più tardi le statue disposte nello strombo del portale centrale della cattedrale di
Reims sono figure indipendenti, addossate alle colonne retrostanti ma di fatto distaccate da esse,
atteggiate con naturalezza bilanciate da armoniosi contraposti. I panneggi non mascherano, ma
rivelano le membra sottostanti. Si ha l’impressione di ammirare statue classiche.
La scultura francese si approssima lentamente a quella antica. Non si deve tuttavia definire
“classico”lo stile di queste statue. Sembra pertanto più corretto parlare di “classicismo”,
riconoscibile verso il 1220-50.

I CANTIERI ITALIANI NELLA PRIMA META’ DEL XIII SECOLO

In Italia l’architettura gotica stenta ad affermarsi.


La tradizione romanica è troppo forte e ben radicata per non opporre una forte resistenza alla
penetrazione di nuovi modelli. In penisola l’affermazione di coerenti principi architettonici gotici non
sarà disgiunta dal manifestarsi di ideologie aristocratiche. La penetrazione del Gotico dunque non
soltanto è lenta, ma dà luogo a formulazioni moderate o romantico-gotiche che rifiutano
l’esasperato slancio verticale.
Le prime chiese gotiche italiane nascono in contesti particolari come nel caso particolare delle
costruzioni cistercensi.
Con l’ordine erige le prime abbazie gotiche italiane, tra la fine del XII e il XIII secolo, nel Nord e
nell’Italia centrale.
Esemplare è il complesso di Fossanova nel Lazio, iniziato nel 1187 e consacrato nel 1206. La
chiesa è a croce latina, con corpo basilicale a tre navate, transetto e coro per i monaci a testata
rettilinea. All’esterno risaltano la compatta robustezza della costruzione intercalata dai contrafforti e
l’altro tiburio ottagonale ornato da due piani di bifore e rialzato nella torre campanaria. I muri
mantengono solidità e spessore; la navata centrale assume forte risalto: coperta da volte a
crociera. Una sottile cornice divide le arcate laterali dalle finestre soprastanti, smorzando l’effetto di
verticalità. L’edificio non ha né il dinamismo, né la luminosità delle grani cattedrali francesi. Una
concezione non dissimile si afferma. È la costruzione dell’abbazia do San Galgano presso Siena,
finanziata dall’imperatore Federico II, attualmente ridotta a un romantico rudere per il crollo delle
volte; ma che attesta un’evoluzione dei primi modelli cistercensi in una formulazione più leggera
per l’assottigliarsi dei pilastri e il moltiplicarsi delle fonti di luce.
Un caso precoce di committenza non cistercense è offerto dal Sant’Andrea di Vercelli, voluto e
finanziato dal cardinale Guala Bicchieri. Francesi sono i monaci Sanvittorini e tra essi è Tommaso
Gallo: rinomato maestro di teologia e filosofia, è celebrato anche come “ingegnere”. Forse è
proprio Tomaso il progettista dell’edificio. Fondata nel 1219, l’abbazia è consacrata nel 1224 e
conclusa nel 1227. Nella chiesa si armonizzano elementi gotici d’importazione e romanici italiani.
Romanica: è la facciata a capanna coi tre portali inquadrati ad archi a tutto sesto e fortemente
strombati e con la doppia galleria. Gotico è l’interno, a tre navate fiancheggiate da archi a sesto
acuto retti da pilastri circolari cui sono addossate esili colonne. Le campate della navata centrale
sono a pianta rettangolare; le volte a crociera scaricano il loro peso a terra tramite le lunghe
colonnette addossate alle pareti. Al fianco nord è adiacente un ampio chiostro. La decorazione è
completata dalle lunette a rilievo sopra i portali con la Crocifissione di sant’Andrea
Il precoce “goticismo”del battistero di Parma va visto in rapporto con le vicende personali e
l’originale cultura del suo artefice, Benedetto Antelami. Benedetto conosce bene la tradizione
romana padana. È già uno scultore di genio gli viene affidata l’erezione del battistero, dal 1196,
concepisce un’opera di straordinaria originalità. Il battistero è un edificio ottagonale ma è
sviluppato in altezza, come una torre tronca. Al piano terreno tre facce appaiono svuotare dai
profondi strombi dei portali a tutto sesto ornati da rilievi. Verticalità ritmo complesso, proporzioni
elaborate: sono tutte caratteristiche gotiche, ottenute tramite un repertorio di forme romaniche e
classicheggianti. L’ottagono esterno si trasforma all’interno in una struttura a sedici facce, con
nicchie al piano terreno e un’ampia cupola suddivisa a ombrello da nervature tubolari che si
prolungano sino a terra trasformandosi in colonne sovrapposte: è questo il solo esplicito richiamo
al gioco sottile delle membrature delle cattedrali transalpine.
La basilica di Sant’Antonio a Padova a tre navate, iniziata nel 1232 come monumentale custodia
della tomba del santo, combina motivi romanici e gotici con un’impronta bizantina derivata dalla
basilica di San Marco a Venezia. La facciata a capanna con galleria. All’esterno risaltano gli
sporgenti contrafforti sviluppati come archi rampanti lungo le fiancate.
A Bologna i Francescani affidano a Marco da Brescia l’erezione di un’importante chiesa dedicata a
san Francesco concepita a tre navate illuminata da strette finestre che ricordano quelle degli edifici
cistercensi.
Nel quadro della diffusione del Gotico in Italia, particolare rilievo assume la basilica di San
Francesco ad Assisi , centro irradiatore del francescanesimo, sia per le caratteristiche strutturali sia
per le decorazioni. La chiesa è in primo luogo sepoltura del fondatore dell’Ordine, san Francesco,
che si vuole diventi una meta di pellegrinaggio e un luogo di culto popolare. Per tradizione il
sepolcro di un santo era posto in una cripta, ma qui si vuole che essa sia ampia quanto una
chiesa: sono perciò costruite due chiese sovrapposte, la chiesa-cripta inferiore e la superiore
finalizzata alla predicazione. Fondata da Gregorio IX nel 1228 e consacrata da Innocenzo IV nel
1253. Terminata la fase di distacco della curia romana nei confronti di un Ordine sospetto di eresia,
il papato vede ormai nei francescani dei formidabili alleati religiosi e politici coi quali rinsaldare i
legami allentati con i ceti popolari urbani. La basilica è anche una cappella papale e come tale
riferibile ai modelli romantici.
Le due chiese di Assisi sono a una navata, all’esterno da lunghi contrafforti cilindrici e da archi
rampanti. Nella chiesa inferiore la limpida struttura è complicata dall’aggiunta di un secondo
transetto con funzioni di atrio e da cappelle. Nella chiesa superiore la navata è divisa in campate
quadrate coperte da volte ogivali rette da altri pilastri a fascio addossati alle pareti. Gli archi a sesto
acuto disposti attraverso la navata sono ortogonali agli arconi che scavano la fascia superiore,
mentre la fascia inferiore delle pareti presenta una cortina muraria continua, interrotta soltanto
dallo sporgere dei pilastri, pensato appositamente per essere ricoperta da decorazioni ad affresco.
La basilica superiore è un capolavoro del Gotico italiano, ma non è priva di legami con
l’architettura della Francia nord-occidentale, in particolare con la cattedrale di Angers.

BENEDETTO ANTELAMI E LA CULTURA FIGURATIVA IN ITALI SETTENTRIONALE

L’architetto del battistero di Parma Benedetto Antelami è il più importante scultore italiano attivo a
cavallo tra il XII e il XIII secolo. Ispirandosi alla viva tradizione del Romanico padano fondata da
Wiligelmo, ne riprende le fila e la rinnova.
La Deposizione di Antelami nella cattedrale di Parma datata 1178 attesta uno stacco decisivo per
stile, tecnica e sensibilità. La superficie appare geometricamente definita da un bordo floreale
realizzato niello rinforzato nel lato superiore dall’iscrizione con la data e la firma. La croce di Cristo
divide il rilievo in due metà esatte ma tale divisione ha ance un valore simbolico, poiché il legno
segna uno spartiacque tra i credenti e i non credenti.
Le figure non sono caratterizzate individualmente e i gesti sono convenzionali e ripetuti, ma i piedi
poggiano saldamente sulla stretta lastra di base. Le proporzioni delle figure sono assottigliate: le
capigliature, le barbe e i panneggi che accennano alla volumetria dei corpi sono definiti con fitti
solchi. Memorabile è il gruppo di destra, dei soldati intenti a dividere la veste di Cristo.
Una ventina d’anni più tardi Antelami decora il battistero di Parma con il più spettacolare 1200. Le
sculture rivestono gli stipiti e le lunghe degli ingressi, le pareti cieche esterne e nell’interno.
L’ampiezza del programma iconografico dichiara il debito contratto con le complesse summae in
immagini scolpite dei portali sono figurazioni della Leggenda di Baarlam. La figura issata su un
albero e insidiata da un drago (il peccato) è metafora della precaria condizione dell’uomo nel
mondo sottoposto ai ritmi del tempo, sull’albero è però un favo di miele, da cui il protagonista
sugge un nettare dolcissimo: la salvezza spirituale del battesimo secondo un’interpretazione.
Il ciclo dei Mesi e delle Stagioni all’interno descrive la vita dell’uomo nei diversi periodi dell’anno.
L’insistenza sulla raffigurazione del lavoro significa che esso non cade più sotto il segno della
maledizione divina. Il tema dei Mesi offrì all’Antelami e ai suoi seguaci l’occasione di descrivere
figure in atti quotidiani per illustrare la vita dell’uomo e il suo ambiente. Le figure di Antelami si
stagliano quasi a tutto tondo sul fondo liscio, realisticamente fissate nelle pose e nei gesti: si veda
con quanto vigore scultore descrive analiticamente. La sua scultura flette una rivoluzione del
mondo anche dal pensiero religioso.
Un’importante personalità autonoma è il cosiddetto Maestro dei Mesi, che scolpisce attorno al
1220 una lunetta con adorazione dei Magi in San Mercuriale a Forlì e poco dopo, il ciclo dei mesi
del museo della cattedrale di Ferrara. Si veda con quanta “verità” nel settembre sono illustrati i
sottili fusti, i tralci e le foglie dell’uva, le fitte striature del cesto di vimini in cui il vendemmiatore
raccoglie grappoli e con quanta solenne concentrazione questi esegue il suo lavoro. Nel Gennaio è
addirittura recuperata la personificazione eponima classica del mese, il dio Giano bicefalo,
raffigurato sulla scorta delle fonti antiche con un volto giovanile e l’altro senile e caratterizzato dalla
lunga barba. Un altro anonimo seguace maestro, risulta attivo a Venezia, dove orchestra per il
portale centrale della basilica di San Marco un complesso programma iconografico con i
vivacissimi rilievi dei mesi.
Le attività di queste maestranze antelamiche si inserisce in un non più generale rinnovamento
della basilica marciana. È questo il caso del mosaico Cristo sul monte degli ulivi, in cui la figura di
Cristo, è atteggiata con naturalezza e maestosità, mentre gli apostoli sono definiti con tipologie
diversificate e con espressive pose angolose riprese da prototipi gotici. Il paesaggio collinare,
costituisce una quinta scenica credibile e susciterebbe un impressione di profondità spaziale se
non fosse contraddetta dalla mancata diminuzione prospettica delle figure.

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