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Tardo antico e cristianesimo.

IV secolo

-Arco di Costantino: (voluto dal senato) opera composta da 3 età differenti (adriana, traiana,
aureliana) con altorilievi costantinopolitani. Eretto nel 315 per celebrare la vittoria di
Costantino su Massenzio. L’arco è a 3 fornici, e presentano già degli elementi di spoglio ricavati
da altri monumenti romanici che celebravano, a loro volta, precedenti trionfi imperiali di
Marco Aurelio, Adriano e Traiano. I bassorilievi realizzati appositamente per quest’arco cono
quelli a nastro orizzontale che lo attraversano a mezza altezza, più o meno a livello dell’occhio
dell’osservatore, e narrano sui 4 lati tutte le fasi della guerra: la partenza da Milani, l’assedio di
Verona, la battaglia di Ponte Milvio, l’arrivo a Roma, l’oratio nel foro e la distribuzione de
denaro al popolo. Quest’opera rappresenta tradizionalmente il passaggio dall’arte classica a
quella medievale, è visibile la differenza tra gli elementi di spoglio e quelli del tempo. I pezzi di
spoglio anche se appartenenti a età diverse si rifanno a una concezione greco-romana
dell’arte. (composizione naturalistica, le figure sono rappresentate realisticamente, c’è il senso
di prospettiva data dagli archi, es: “presentazione dei capi barbari, rilievo del tempo di Marco
Aurelio, fine II secolo c’è dialogo tra i soggetti senza coinvolgere che osserva)

I pezzi di epoca costantiniana sono popolati da personaggi che differiscono dalla maniera
classica di concepire e strutturare lo spazio. Il fregio costantiniano, da leggere secondo
narrazione continua, marcata dalla successione dei singoli episodi, prosegue in questo senso la
tradizione romana del rilievo storico ma si distacca nettamente dal punto di vista stilistico,
segnando l’abbandono del naturalismo di origine ellenistica a favore di più marcato carattere
simbolico. Le figure sono più tozze con la testa leggermente sproporzionate rispetto ai corpi. Le
scene sono di massa affollate di personaggi e denotano una perdita di interesse verso la figura
individuale isolata tipica della visione artistica greca in crescita rispetto alla tradizione
precedente è il ricorso al trapano che crea scavature più profonde, quindi ombre più scure in
netto contrasto con le zone illuminate. Le scene sono più schiacciate, semplificate e stilizzate
rispetto alle altre dove si notano vesti svolazzanti, fisici ben definiti.

Questo è il primo passo per quello che diventerà una consuetudine cioè quella di riutilizzare
materiale di spoglio, dovuto alla difficoltà di avere materiale e alla disponibilità limitata di
denaro.

Tetrarchi, fine III secolo (da Costantinopoli). Venezia, piazza san marco: parte del bottino
accumulato da Venezia con la quarta crociata del 1204. Due augusti e due cesari, simbolo della
teoria Diocleziana , cioè la frammentazione dove con la riforma voluta da lui non esisteva più
un imperatore per tutto l’impero ma 4 i quali gestivano ognuno una parte. Questo è dovuto
alla vastità dell’impero. Questa può essere una possibile causa dei cambiamenti, dividendo
l’impero Roma perde la sua centralità e viene data importanza a zone provinciali che fino a
quel momento sono rimaste ai margini. Questa apertura verso la periferia ha portato ad
assorbire nuove forme di rappresentazione. Importanti esempi di scultura tardoantica per
l’essenzialità, il simbolismo e la stilizzazione. Fatta con il porfido (pietra), unica cava in Egitto.
Materiale raro e difficile da lavorare, utilizzato quasi esclusivamente per celebrare gli
imperatori. È un’immagine di unione e compostezza.

-L’abbraccio nella pietra intaccabile del porfido simbolo dell’inscalfibile potere dell’unita di
questi imperatori.

-Voluta assoluta mancanza di narrazione.

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- Istituzione di un potere più articolato ma più solido.

Costantino supera da un punto di vista politico la tetrarchia e eredità da questa immagine


quelle che sono le caratteristiche che pone l’imperatore a un’immagine assoluta,
irraggiungibile.

Cristianesimo: gli viene dato lustro da Costantino. Idea di un singolo dio (non più dei come nel
paganesimo), irraggiungibile, divino, unico e assoluto, pone un distanziamento tra lui e il
fedele.

Testa di Costantino IV secolo dalla basilica di Massenzio: parte di una colossale statua bronzea
raffigurante l’imperatore. Apparenza naturale nella resa delle carni e delle rughe del viso, ma
forte astrazione nella severità marcata dei tratti. Occhi sgranati che stabiliscono un rapporto
ma che fanno anche notare la grandezza dell’imperatore e la piccolezza dell’uomo osservatore.
Dettaglio: il dito alzato al cielo, contribuisce a rappresentare una personalità irraggiungibile.
Diventa dio in terra. Il papato in quel momento non ha la stessa valenza che poi avrà.

Luoghi di culto:

Paganesimo: spazi aperti in cui al centro si trovava il luogo sacro richiuso da un recinto.

Cristianesimo quando si afferma durante il IV secolo con Costantino e poi con Teodosio.
Prende il sopravento, rivoluzione graduale (200anni) compiuta dall’interno. Nato il problema di
trovare un luogo di culto per la religione cristiana in seguito all’editto di Milano. Non si
ritrovavo nelle catacombe come si pensa ma i cristiani prima del 200 non avevano luoghi di
culto specifici, non esistevano immagini della divinità. La prima fase del cristianesimo e di
iconoclastia, non si adoravano le immagini. Si ritrovavano nella casa, anche nella nobiltà. Si
infiltra nel mondo politico e culturale molto forte, caratteristica condivisa da molte religioni.
Dopo l’editto c’è una crescita della chiesa, di questo gruppo. Già la fine del IV secolo sarà il
gruppo di potere egemone sugli altri. Es: Milano (una delle capitali dell’impero perché Roma
perde la centralità e nascono varie capitali) controllata da Sant’Ambrogio, vescovo di ricca
famiglia di tradizione classica, colto. Fu potentissimo lungo tutta la seconda metà del IV secolo
e sempre più importante il ruolo dei vescovi (eminenza del potere politico della città).
Conseguenza della crescita di questo potere c’è la fioritura degli edifici ecclesiastici. Passano
dal ritrovo nelle case (luoghi chiusi perché il cristianesimo era un culto misterioso) alle
basiliche, che erano degli edifici che obbedivano a questi criteri (di essere chiusi, grandi ecc.)
spesso vicini a mercati, o ai fori e in essi venivano praticate diverse attività come giustizia e
riparo per ogni genere di incontri. Grandi aule che permettevano la riunione di una folla.

Basilica di Massenzio: costruita all’inizio del IV secolo, esempio di una basilica. Ambiente
costituito da una parte centrale più alta rispetto alle due laterali più piccole. Ingresso situato
nella parte lunga, non ha un’asse longitudinale ma trasversale, questa differenza è quella che
più risalta dal confronto.

Chiesa costantiniana di San Giovanni in Laterano 313 circa: per trovare un esempio di edilizia
costantiniana. Una delle basiliche maggiori di Roma, sede del vescovo di Roma. Costruita su un
terreno che Costantino dono alla chiesa. Si deducono le sue forme da documenti. Parte
centrale più alta. Illuminata da un sistema di finestroni che occupano la parte alta delle pareti,
il tetto è a capriate. Letteralmente si sviluppano le navate laterali che possono essere due o
quattro, le navate sono ottenuto dal sistema di colonne, che suddividono questo spazio di più

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navate. Non si entra più dal lato lungo ma dal lato breve, dà al edifico un cannocchiale
prospettico verso la zona più importante, cioè la parte dedicata all’altare maggiore, spesso
circondato da un’abside che può essere circolare o quadrangolare. Sfruttamento delle finestre
dona alla parte centrale una grande luminosità che viene meno via via che ci si pone al di sotto
delle navate laterali, dove le finestre sono più piccole quindi meno luce. Nella parte finale
spesso si possono incontrare parti aggiuntive dell’edificio stesso che possono fungere da
battistero e che comunque saranno portanti perché creeranno quello che diventerà il transetto
(cioè il corpo trasversale che donerà alla basilica la forma a croce latina. Già in quel periodo
durante l’editto di Milano la basilica viene costruita con caratteristiche che avranno una
tradizione lunga. Aspetto di profondità e spazio luminoso e prezioso tipico di queste chiese.
L’aspetto esterno di queste chiese per i primi anni è completamente spoglio, mattoni a vista o
intonacati. Colpisce l’aspetto a contrasto con l’interno dove fiorisce una decorazione molto
abbondante legata alla preziosità dei materiali come le lastre di marmo con le quali si
pannellavano tutte le pareti. Poi prenderà il sopravento per le superfici affrescate o mosaicate.
Che interessavano le parti più illuminate e più visibili come la parte del arcone principale o la
parte della parete che stava tra le colone e finestre, con una ricchezza di colore che fa di questi
edifici uno shock per gli occhi.

Si ufficializzano durante il IV secolo la liturgia (prima le riunioni erano più libere) come ad
esempio il battesimo a quei tempi veniva fatto per immersione e c’era la necessità di vere
piscine e anche ambienti strutturali che permettessero questo aspetto. Un altro aspetto
importante e che questi edifici potevano nascere per queste riunioni, per il battesimo (che
avranno un andamento edilizio particolare), nascono anche su luoghi dove erano stati
martorizzati gli appostoli come San Pietro e San Paolo fuori le mura. L’edilizia sotto Costantino
è molto varia, cambia a seconda delle funzioni che l’edificio religioso, sarà diversa a seconda
che sia costruito su luogo di sepoltura o che sia del battistero che avrà una pianta circolare che
rispecchia la vasca.

Treviri: centro politico e culturale molto importante nella prima parte del IV secolo dove si
conserva un grande aula, basilica che ha delle caratteristiche diverse, forma legata alla
tradizione pagana fosse assunta anche dall’edilizia cristiana. Aula palatina che si trovava
accanto al palazzo, nasce con intenti laici e trasformata in basilica religiosa. Non ha la
suddivisione in navate però ha l’importanza data alla parte finale con l’arcone centrale, apside,
apside che incorniciava la parte più importante su quale sedeva la magistratura o l’imperatore
e che sarà il posto più importante cioè l’altare maggiore.

Mausoleo di Costantina 350: chiesa di santa Costanza, Roma, conservava il sarcofago della
figlia di Costantino, Costantina. Edificio completamente diverso da San Giovanni in Laterano
per il semplice fatto che aveva una funzione diversa. Pianta centrale, dove un vano e
circondato da un ambulacro costituito da un doppio di registro di colonne. La parte centrale
illuminata dalle finestre. Lungo l’ambulacro c’è una serie ricchissima di mosaici a fondo d’oro.
La grande massa di luce è come riflessa da questo fondo d’oro. Era un luogo illuminato da
candele e che aveva bisogno di riflettere attraverso l’uso dell’oro. Caratteristica del mosaico:
ambiente sacro, religioso dove si vuole dare magnificenza alla sepoltura della figlia
dell’imperatore. Il sarcofago è fatto di porfido, con rappresentazione della parabola del
vangelo come se fosse un’esplosione di un mondo classico, pagano, con queste figure nude (io
sono la vite e voi i tralci, rappresentati come se fosse un’esplosione di un mondo classico).
Segno che mondo cristiano si appropria del linguaggio del mondo classico. Questa decorazione

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e della seconda metà del IV e le cose cambieranno non sarà più il mondo austero, rude del
mondo di Costantino ma ci sarà un’evoluzione.

San Pietro primitivo 313-333: è stato per più di 1000 anni e ha le caratteristiche simili a san
Giovanni in Laterano, 5 navate, la navata centrale è la somma delle due navate laterali, con un
sistema di illuminazione che colpisce la parte centrale e si attenua nelle navate laterali. A San
Pietro c’è il transetto. (chiostro davanti alla chiesa) Presenza di un quadriportico, in cui era
permesso anche ai non credenti l’accesso. Ambiente che sarà molto importante quando
l’edificio assumerà la funzione di edificio più importante. Dove le persone si radunavano per
vari motivi. San Pietro nasce come luogo di accoglienza dei pellegrini che venivano a pregare
sul posto dove era stato martorizzato Pietro, fondatore della chiesa, era oggetto di una
particolare devozione. Intorno a questo luogo viene costruito un piccolo tabernacolo poi
l’intera basilica, in una zona cimiteriale. Per San Pietro furono fatti dei lavori molto imponenti,
fu costruita una superficie che mirava a ripianare una zona collinare, intervento pesante e
lungo. C’è un transetto che aveva la funzione di permettere una circolazione di fronte al luogo
di sepoltura del santo, portico molto complesso e strutturato, nascita di varie strutture intorno
che sono adibiti a battesimo o cappelle.

Basilica di San Lorenzo, Milano 380: nella seconda metà del IV secolo era una capitale
importante dell’impero gestita da Sant’Ambrogio (persona che muoveva le folle, anche gli
imperatori lo temevano). Tra i resti, quello che si è conservato meglio è la B. di San Lorenzo,
dove colpisce molto l’articolazione dell’interno. Testimonianza della grande varietà di quel
tempo. Utilizza una pianta paragonabile ad un mausoleo, pianta centrale articolata all’interno
in maniera sontuosa e monumentale grazie a questi pilastri centrali che organizzano lo spazio
intorno al quale si organizza l’intero edificio. Al centro ha l’altare maggiore, caratteristica di
questa struttura è la fioritura di edifici che si accostano alla struttura centrale con funzioni
liturgiche particolari battistero, cappelle ecc, idea di assemblamento continuo. Al tempo non
c’è un’architettura di stato spesso si faceva riferimento a elementi locali, di tecniche
costruttive e di modo di costruire (parcellizzazione).

Basilica di San Paolo fuori le Mura 384-392 Roma: dove è stato martirizzato il santo. Questi
edifici costruite sotto Costantino sono stati costruiti in zone periferiche. (perché erano sepolti
o martorizzati li) e anche perché non era facile trovare un posto dove costruire dentro Roma
vista la sua urbanizzazione. Interno molto alterato dal tempo. Nell’arco centrale c’è la
decorazione originale ma restaurata.

Scultura del IV secolo

Si fa riferimento in particolare osservando i sarcofagi.

Sarcofago con i miracoli di Cristo e scene della vita di Pietro, inizio IV secolo: tutto è
compresso, non c’è spazio narrativo, ogni gruppo di figure è un capito delle scene. È
organizzato in maniera continua, come se fosse una folla unica. Somiglianza stilistica molto
forte, visibile nei panneggi fatti con scavi rudi e violenti senza grande necessità di creare
qualcosa di elegante, simili anche le fisionomie e i gesti meccanici, probabilmente è la stessa
bottega.

Confronto sarcofago e liberalitas di Costantino (315): c’è una differenza della narrazione nella
liberalitas si tratta di un’apparizione, dove l’imperatore si presenta, e la sua importanza è data

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anche dalla sua figura visibilmente più grande rispetto alle altre, ha una posa centrale con la
testa e intorno a lui è organizzato il tutto. Nel sarcofago si vuole dare forma a eventi narratici
diversi, e si fa condensando nello spazio personaggi diversi e scene diverse perché si ha la
necessità di porre davanti all’osservatore questi eventi, che non è i racconti ma come se fosse
una serie di flash su quei miracoli. Nella liberalitas riguarda tutto quella rappresentazione. Nel
sarcofago vengono messi insieme diversi eventi senza sceglierne uno in particolare, dare
immagine a più eventi possibile, funzione simbolica del sarcofago. Tutte le scene senza
sceglierne una, privilegiando un aspetto simbolico, anche le proporzioni non hanno più bisogno
di essere rispettate. Si sceglie la funzione simbolica, primo aspetto dell’importanza con cui la
cultura cristiana utilizza le forme lontanamente classiche cioè l’aspetto simbolico.
Comunicazione facile, immediata

Sarcofago “dogmatico” 320-330 Roma: storie del vecchio e del nuovo testamento, al centro
nel medaglione l’immagine dei defunti. Presenza di scavo nel rilievo, figure quasi a tutto tondo,
spazi più liberi, respiro maggiore per le diverse figure. Scene che si susseguono ( dio padre,
creazione di Eva, peccato originale, Daniele nella fossa dei leoni, i magi), panneggio più
delicato, proporzioni più rispettate, stile più classico. Dalla meta del 300 si assiste a Roma a un
tentativo di riportare in auge il mondo classico, che non può fare a meno della scultura che si è
diffusa con Costantino.

Sarcofago di Giunio Basso 359 Roma: separazione archittetonica, forme eleganti naturali,
realistiche, ogni storia ha una porzione. Un rifiorire delle caratteristiche dell’arte classica.

Dittico dei Simmachi e dei Nicomachi fine IV secolo, Parigi e Londra: sono sacerdotesse
pagane rese con forme pagane, recupero strettissimo della classicità, lo stesso artista cerca di
recuperare il ondo classico, eleganza dei panneggi, la resa spaziale si è completamente persa.
Spazio astratto. Si cerca di riprendere le caratteristiche del mondo pagano mantenendo pero la
visione iniziato sotto Costantino.

Dittico in avorio di Simmaco, fine IV secolo, Londra: L’autore ignora volutamente le misure
realistiche per evitare equivoci e che questo rileva va interpretato in un certo modo, e che
deve arrivare immediatamente all’osservatore. Non è importante la storia ma quello che riceve
l’osservatore. Non c’è un discorso che lega le varie scene anzi sono piccole scene singole.
Presenza delle creature celesti che portano l’impero nel cielo. “si potrebbe notare che la svolta
decisiva ebbe luogo in un momento in cui l’arte cristiana era ancora scarsamente diffusa, l’arte
classica divenne arte medievale prima di diventare cristiana” queste caratteristiche si ritrovano
in contesti che non sono ancora cristiani. Il nuovo credo non fu la prima causa del
cambiamento.

Base dell’obelisco di Teodosio 379-395 Istambul: Nuovo Mondo protagonista dell’arte


medievale. Protagonista di questo mondo Bizantino sarà Teodosio. Sotto Teodosio I c’è un
recupero della tradizione pagana, però si recuperano le forme classiche in un contesto
cristiano.

Piatto di Teodosio I 387-388 Madrid: presenza di un edificio classico, sproporzione tra le


figure, la donna è l’immagine della terra che ha connotazioni classiche, tradizionali negli
atteggiamenti, nei vestiti e nella posa. Teodosio al centro più grande rispetto agli altri due
imperatori ai suoi lati circondati da soldati. Si iniziano ad intravedere elementi del
cristianesimo come i vestiti e la corono che ha l’imperatore che è testimonianza della sacralità

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dell’imperatore. C’è un tentativo di inserire le figure su piani diversi. In questo piatto abbiamo
sotto la donna che rappresenta la terra quindi una ripresa dell’arte classica, sopra invece
l’impero assume una posizione di qualcosa di fisso. Imperatore rigido e solenne quasi
inarrivabile, e la corona dà ancora più mistero e splendore. Nel periodo di Teodosio si ha
questo doppio linguaggio. Si vede ancora meglio nell’obelisco di Teodosio. Dove le figure sono
frontali e statiche rispetto al piatto. Considerando il materiale (oggetto di oreficeria e
lavorazione su pietra) e lo stato di conservazione (uno è rimasto all’aperto e questo ha
influenzato molto sul suo aspetto). Le figure della parte alta sono raffinate e studiate.
L’imperatore è intento nel premiare il vincitore (ippodromo). In questa immagine c’è una
volontà di alludere a uno spazio architettonico maggiore che non nei rilievi costantiniani,
l’imperatore e della sua corte stanno sotto un baldacchino indicato da delle colonne al lato del
quale stanno altri militari e corte, le lance e gli archi sono un altro tentativo di alludere allo
spazio che non era presenti nei rilievi Costantiniani. C’è una volontà di recuperare certe
caratteristiche del mondo classico, raffinatezza, morbidezza come il modo di risolvere le
singole teste, che è molto diverso dal modo violento, sommario che c’è nei rilievi Costantiniani.
È tipicamente medievale questo rivolgere ad uno spettatore.

Ritratto di Arcadio 387-390: uno dei due figli di Teodosio a cui viene lasciato una parte
dell’impero. Arcadio, oriente con capitale Costantinopoli e Onorio impero di occidente con
capitale Milano e poi Ravenna. A confronto con il ritratto di Costantino, quello di Costantino ha
una forza, una vitalità, elemento che viene ancora ripreso dal secolo precedente, è un ritratto
gigantesco e certi caratteri come gli occhi giganteschi sono attribuibili alla grandezza della
statua e la sua difficolta a vederli. Il ritratto di Arcadio è un ovale perfetto, e gli occhi sgranati
sono l’unico momento di partecipazione emotiva per il resto e come una figura astratta, non
c’è più niente di realistico, anche la frangia cosi perfetta che sembra una figura geometrica
come la corona che gli attribuiscono questo carattere astratto che non percepiamo nel ritratto
di Costantino. Arcadio immagine elegante, astratta quasi circondata da una geometria pure
che non ha niente a che fare con la vita che si può vedere nel ritratto di Costantino.

L’arte bizantina arte di corte, ufficiale che farà dell’eleganza il suo punto focale ma sarà
un’eleganza molto astratta e che non ha niente a che fare il naturalismo che caratterizza l’arte
classica.

V SECOLO

402 Onorio sposta la capitale dell’impero d’occidente da Milano a Ravenna e inizia la stagione
dell’arte ravennate che ebbe una grande importanza. Ravenna una città che fino ad allora non
ebbe grande importanza che assumerà in questi anni all’interno dell’impero. La ragione
principale è che rispetto a Milano aveva più legami con la parte restante dell’impero orientale
tramite l’Adriatico. Personaggio principale è Galla Placidia, persona curiosa e potentissima ai
sui tempi, figlia dell’imperatore e sorella di due imperatori, sposo un imperatore, la persona
più nobile, figlia di Teodosio. Governi sull’impero d’occidente come reggente del figlio. Figura
centrale per questa prima metà del secolo a lei si deve la maggior parte delle decorazioni le
quali per la maggior parte non ci sono più.

Mausoleo di Galla Placidia V secolo, Ravenna: piccolo edificio a croce greca era collegato a una
basilica tramite uno spazio semicoperto che non esiste più. Grande semplicità all’esterno,

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caratteristica del mondo tardo antico degli edifici religiosi che crea un contrasto con la
sfarzosità degli interni, creando un effetto dualistico.

La parte bassa ricoperta da lastre di marmo (costi molto elevati). Il mosaico è una tecnica che
prende il sopravento in questo periodo per dare più lustro e magnificenza specialmente agli
edifici ecclesiastici. L’interno, decorato con mosaici e marmi secondo un sistema di immagini
molto ricco, si presenta decisamente sfarzoso. Le tessere dei mosaici ne aumentano la
lucentezza e la loro disposizione sfalsata esalta la pittoricità della composizione.

Perno del sistema decorativo è la cupola all’incrocio del transetto, con un tetraforo ai lati e
una croce dorata nel centro, circondata da stelle che sembrano decrescere verso una
dimensione infinita. Priva di decorazioni di immagini umani. Un cielo stellato ospita la croce al
centro e ai lati le immagini i simboli degli evangelisti; aquila- S. Giovanni, bue-s. Luca, leone-s.
Marco, angelo- s. Matteo.

Attorno alla cupola 4 lunette con 8 apostoli togati sovrastati da una valva di conchiglia. Due di
questi sono San Pietro e San paolo gli altri sono più difficili da riconoscere. Le figure
rappresentate in gestualità solenni, poggiano su parallelepipedi non ben definiti, in uno spazio
altrettanto impreciso da collocare. Il gioco delle simbologie è imperniato sul binomio acqua /
luce, come si vede in una lunetta del tiburio, dove due colombe si abbeverano alla fonte; o in
una lunetta del transetto, dove un cervo beve. Nel primo caso, le colombe sono simbolo di
purezza delle anime cristiane che si nutrono di fede (l’acqua della fonte).

Nella lunetta della porta d’ingresso si trova il mosaico del Cristo Buon Pastore. Cristo, in
un’interessante torsione del busto si trova in un paesaggio in mezzo ad un gregge di pecore. La
sua veste cerimoniale di corte (è vestito da imperatore) è tessuta di tessere musive dorate
miste a marroni, siede tra alcune pecore. Priva di confronti, se non con tessuti orientali, la
decorazione della volta di fronte al Buon Pastore su un fondo blu si distende una sequenza di
pattern, motivi decorativi replicati che ricordano la forma dei cristalli di neve.
L’ornamentazione tardoantica tendente all’astrazione convive dunque con quella di tradizione
classica, legata alle forme della natura. C’è una nuova attenzione naturalistica, gli animali
rappresentati creano quasi una simmetria perfetta rotta solo dal gesto di Cristo che accarezza
l’animale. Da un punto di vista della composizione, questa immagine è come se sfondasse una
parete, come se fosse una finestra su un qualcosa fuori e ci si arriva passando attraverso dà un
elemento bidimensionalmente decorativo e astratto che caratterizza la porta, fatto
importantissimo per la gestione visiva delle rappresentazioni. Importanza di rappresentare il
cielo (non come nel mondo bizantino che è oro).

Nei bracci laterali, dentro a ornamenti vegetali e foglie d’acanto, due cervi che si abbeverano,
ed è un richiamo al Salmo 42” come una cerva anela ai corsi d’acqua, cosi l’anima mia anela a
te, o Dio” La scansione spaziale e la plasticità delle figure tradiscono il rapporto con l’arte
classica tipico del primo periodo ravennate. I sottarchi e le volte sono rivestiti da
un’impressionante serie di motivi decorativi, elaborate variazioni di forme vegetali o
geometriche, raramente presenti nel mondo antico ci è dato vedere cosi chiaramente le
funzioni fondamentali dell’ornamentazione artistica, che ha il compito di abbellire attribuendo
speciale importanza ai bordi, ai margini, ai rivestimenti, ai collegamenti tra una parete e l’altra
dell’opera.

Nella lunetta della parete di fondo San Lorenzo che sceglie il martirio in testimonianza della
fede. La scena è narrativa. Ma allegorica. Il santo, nelle sue vesti svolazzante, sceglie il martirio
su di una grata rovente. Le fiamme sono molte vive.

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I mosaici del Mausoleo accostano dunque immagini di senso e di tono differenti, ma del tutto
adatte alla destinazione funeraria dell’edificio. Cristo è una rappresentazione classica perché
ha l’aspetto romano.

Non ci sono prove che le stesse maestranze abbiano lavorato a Roma e Ravenna ma le
caratteristiche, elementi della prima arte ravennate si trovano identici a Roma negli stessi anni.

Santa Maria Maggiore 422-432, Roma: la committenza di queste chiese non è più attribuibile
agli imperatori ma ai papi, massima espressione del potere spirituale. Il papato inizia a essere
visto come al vero erede dell’imperatore della parte divina. Questa basilica è la prima che è
stata commissionata dal papa da Sisto III. In questa basilica si sono conservate abbastanza
bene la decorazione tardoantica dei mosaici. All’origine non era fatta cosi, dove c’è l’arco
trionfale prima non c’era il transetto di mezzo, l’arcone faceva da cornice all’apside che era
attaccata. 25/40 ne sopravvivono sulla parete inferiore. Nell’arcone centrale ci sono scene
dell’infanzia di cristo quindi nuovo testamento e scene del vecchio testamento nelle due pareti
della navata, da una parte della genesi e dell’esodo e dall’altra parte di Abramo Isacco ecc.

Incontro tra Abramo e Melchisedec e storie della vita di Gesù, particolare della navata:
presenza dell’oro a confronto con i mosaici di Galla Placidia, dovuto forse anche per soluzioni
tecniche, ad esempio per riflettere la luce fiocca. Si percepisce il passaggio verso una
rappresentazione più simbolica, che lascerà sempre meno spazio alle proporzioni, abbiamo
ancora degli elementi che ci riportano alla realtà come il movimento delle vesti. Qui però c’è
ancora un po’ di realismo come si vede dalle ombre del primo mosaico. Ripresa delle scene
classiche, la sua rinascita. I critici d’arte sono ormai d’accordo che per questi mosaici si prese
spunto dalle miniature dell’Eneide di Virgilio e si nota dai colori, le misure delle città e degli
uomini, e simile la scena. In questi mosaici ci sono differenze stilistiche ma non sono tali da
farci pensare a mani di botteghe differenti.

Il signore appare ad Abramo in forma di tre angeli, particolare dei mosaici della navata
trionfale 432-440: scena con un prima e un dopo. Arcangeli che appaiono ad Adamo e poi sono
seduti a pranzo con Adamo. Compositivamente la struttura è simile all’incontro tra Abramo e
Melchisedec vedi; striscia oro, cielo con le stesse nuvolette rossastre. Spazialità presenti vedi;
casa, arcangeli in profondità diverso dai tavoli. Abiti romani, classici che hanno a che fare con
la verosimiglianza storica,

Scene della vita di Cristo, particolare dei mosaici dell’arco trionfale 432-440 molti elementi
sono in comune con i mosaici dei lati come il tramonto, la citta, l’oro cresce sempre di piè e
indica la sacralità, è una scelta di presentazione e non narrativa. Non ci sono le ombre, però c’è
l’allusione alla città. Le figure sono molto più alte che si avvicinano al cielo e che occupano gran
parte dello spazio, figure che vanno al di sopra della striscia d’orata assumono un aspetto di
monumentalità, gli abiti anche se sono gli stessi sono più stilizzati, non accompagnano i gesti. si
presuppone siano botteghe diverse che lavorano contemporaneamente.

Battistero degli Ortodossi: detto anche “Neoniano” da Neone il vescovo che fece realizzare la
decorazione interna. struttura ottagonale come frequente in età paleocristiana, veniva
somministrato il sacramento del battesimo. I riti venivano praticati attorno al recinto che
contiene il fonte battesimale in marmo e che è provvisto di un piccolo ambone, per la lettura
dei testi sacri. Esterno semplice come quello di Galla Placidia, presenza solo di alcuni archetti
che modellano la facciata. La zona più bassa delle pareti è rivestita da marmi intarsiati, il livello
delle finestre è caratterizzato da una serie di arcatelle con decorazioni a stucco, realizzate con
impasto di acqua e gesso, perché in questo modo si poteva ottenere un effetto simile alla

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scultura. I mosaici sono leggermente successivi, in particolare la cupola costruita nella metà del
secolo. L’edificio era accanto alla cattedrale di Ravenna la e stata distrutta e ricostruita e non
ha più le forme del mondo tardo antico. L’edifico è chiuso da una cupola e al suo centro c’è un
mosaico del Battesimo di Cristo da parte di San Giovanni Battista. A destra un uomo seminudo
e barbato con una canna palustre in mano è la personificazione del fiume Giordano. Come gli
artisti classici avevano indicato gli elementi del paesaggio naturale con le figure umane cosi
hanno fatto anche gli artisti tardo antichi. Tutto attorno al cerchio con il battesimo i dodici
appostoli in toga stringono, con mani velate in segno di riguardo, una corona come simbolo del
raggiungimento della vita eterna I mosaici inoltre hanno cercato di dare il senso di movimento
con un leggero con una diversificazione tra le vesti bianche e dorate le strutture
architettoniche semicircolari vengono affiancate da colonne e ospiti hanno alternato
alternativamente altari o troni vuoti quest'ultima figura il simbolo della preparazione cioè il
trono di cristo e vuoto in attesa del suo ritorno alla fine del tempo per il giudizio finale.si nota
ancora un legame con la tradizione classica attraverso l'uso dei cespi foglie e fiori d’acanto. I
candelabri delle due fasce non corrispondono e questo ci testimonia un’autonomia spaziale
delle due che implica una debolezza spaziale, cioè la parte bassa è archittetonica chiusa, la
parte alta è una pergola ideale caratterizzata da un blu scuro (cielo) contrapposto a un terreno
su cui stanno gli apostoli, visione di un ambiente aperto ottenuto con una serie di tendaggi,
candelabri che suggeriscono un pergolato aperto. (la vicinanza è questa bidimensionalità dove
la fascia esterna si può accostare alla volta a botte e quelli più interna al “Buon Pastore” , cioè
lo spazio aperto dove si trovava. Lì il contrasto era ben visibile, era lampante, qui invece si
intersecano, non siamo più un mondo realistico, è una rappresentazione più simbolica, gli
apostoli sono lì per essere guardati, non c’è una narrazione, sono lì per il loro ruolo religioso.
sono uno sviluppo triangolare, seguono uno schema ben definito.)

Battistero degli Ariani, Ravenna 500 circa: I Goti aderivano a credo di Ariano da loro vennero
ereditati una cattedrale e un Battistero appositamente per questo culto il Battistero degli ariani
e simile nella struttura ottagonale e nella decorazione quella degli ortodossi il mosaico della
cupola dipende infatti il tema del battesimo di Gesù nel fiume Giordano vieni altrettanto
accolta e persino enfatizzata l'idea di personificare il fiume secondo una tradizione
ampiamente attestata nell’arte greca e romana. Anche la processione degli apostoli in Tom e
con corone nelle mani ma qui lo sfondo è d'oro e non più blu. C'è un passaggio definito al
mondo figurativo scompare appunto il cielo e diventa tutto d'oro, c'è la presenza di una sola
banda dove ci sono per gli apostoli. Il contesto architettonico ormai è superfluo inoltre non ci
sono candelabri, non c'è più il tentativo di creare uno spazio ci sono solo palme che
rappresentano la processione degli apostoli verso il trono. Si è compiuto il passaggio a un
mondo figurativo. È finito un mondo quello classo che è quello della raffigurazione e che
obbediva a certe regole classiche e ora si privilegiano altre regole, quelle della simbologia,
rappresentazione fissa come un’apparizione più che della narrazione. L’aspetto simbolico è il
protagonista.

VI Secolo

494- 526 a Ravenna regno di Teodorico, re degli ostrogoti.

527- 565 Giustiniano è imperatore. Riunificazione dell’Impero (ultimo grande imperatore che
permise la riunificazione dell’impero, impero d’oriente che riuscì a riconquistare anche la parte
occidentale. Questo per la maggior parte del secolo. Sotto Giustiniano ci furono tante,
importanti riforme come codice giustinianeo)

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529 Emanazione del codice giustinianeo (codice di legge che avrà tanta importanza nella
società medievale). San Benedetto fonda il monastero di Montecassino e le dice la regola.

537 consacrazione della chiesa di Haghia Sophia (Santa Sofia) a Costantinopoli. Giustiniano
riconquista l'Italia.

547 e 549 A Ravenna vengono consacrate prima la basilica di San Vitale e poi quella di
sant’Apollinare in classe

568 i Lombardi invadono l'Italia guidati da Alboino

570 nascita di Maometto

584 I Franchi in Italia

590-604 pontificato di Gregorio Magno.

591-616 il lombardo Agilulfo regna in Italia.

Basilica di sant’Apollinare nuovo, Ravenna, inizi VI secolo: Per tutto il secolo Ravenna rimane
la capitale più importante, diventa capitale della sua posizione migliore avendo il collegamento
con il mare. A Ravenna si sono conservate molto bene poi le tracce di questo periodo. Al
contrario di Costantinopoli che ha subito le devastazioni in seguito. Ravenna viene
abbandonata successivamente dalle grandi evoluzioni storiche successive e quindi molti
monumenti sono conservati per come è quel tempio una delle chiese più importanti che si
possono ancora oggi vedere e la basilica di sant’Apollinare nuovo. Era la chiesa costruita
adiacente al palazzo di Teodorico che era il governante di questo periodo e Ravenna in mano
agli ostrogoti lui era il re degli ostrogoti. Il suo palazzo non si è conservato. L'impianto è quello
originale cioè quello a tre navate, con quella centrale più grande rispetto alle altre due, una
sequenza di colonne e archi, e in alto nella navata centrale un insediamento di finestre da cui
filtra la luce , l’apside e stata ricostruita, ci doveva essere un grande mosaico che
rappresentava probabilmente una visione paradisiaca di Cristo , lo immaginiamo soprattutto
perché a quella parte tende tutta la processione di figure da una parte femminile una parte
maschile. Nell'arte ravennate i grandi protagonisti saranno i mosaici ci sarà però anche la
scultura in pietra, oppure scultura in avorio. Questa scultura in pietra si può notare nei capitelli
che non hanno più una struttura antichizzante, Avevano queste fioriture di cespi molto
naturalistiche nell'architettura ravennate che riprende quella bizantina questi capitelli ci
appaiono semplificati. Il pulvino cioè la struttura fra l’impostazione degli archi e del capitello
stesso, funziona da raccordo. Un elemento nuovo della struttura ravennate. Le forme
esuberanti dei capitelli antico, naturalistiche sono stata trasformata in forma essenziale in
stilizzazione di quello che era grande cespo vegetale. negli anni successivi quando si affermerà
il potere di Giustiniano questi capitelli assumeranno un aspetto sempre stilizzato però con
eleganza, finezza di intaglio che ci faranno pensare a delle prime astratte, raffinatissimi da un
punto di vista dell'esecuzione.

Navata destra in basso, Raffigurazione del palazzo di Teodorico il quale non è arrivato ai nostri
tempi. All'estrema sinistra inizia la processione degli uomini verso il suo punto focale che deve
essere l'immagine della divinità. Nella fascia superiore fra le finestre ci sono le immagini di
uomini che si pensa siano dei profeti o personalità della chiesa. Sopra ancora ci sono delle
ulteriori decorazioni. I profeti sono inseriti come dentro a delle come dentro a delle nicchie
ognuno dei quali corrisponde ha una nicchia che è che suggerita dalla l'elemento a conchiglia
della stessa nicchia in alto. Quando i Goti vennero sconfitti dall'esercito bizantino il mosaico

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della Reggia subì la sorte che spesso nella storia è riservata alle immagini degli sconfitti cioè la
cancellazione della memoria, le figure di Teodorico e dei suoi dignitari in piedi sotto le arcate
del palazzo furono distrutte e al loro posto vennero realizzate delle tende bianche. Lo si nota
dalle piccole mani che ancora si scorgono su alcune delle colonne della Reggia tracce che i
mosaicisti lasciarono in quanto ben poco visibili dal basso. Guardando le figure si può
osservare che i vestiti sono quelli ufficiali, c'è una grande presenza dell'oro e non c'è più traccia
di un cielo vagamente atmosferico che abbiamo continuato ad avere nei mosaici di Galla
Placidia. L'unica parte di cielo che possiamo notare e quella sopra le nicchie dove ci sono i due
uccellini però non è così immediato riconoscerlo come cielo. Qui prevale l’oro non soltanto dal
punto di vista della quantità ma anche da un punto di vista figurativo tant'è che anche le parti
di cielo, di azzurro che rimangono quasi non si osservano. Si tratta di uno spazio che rinuncia
ad uno sfondamento perché si vuole deliberatamente affermare l’unicità di uno spazio
bidimensionale che non ci introduce verso qualcos’altro. Anche se ci sono le conchiglie che
vorrebbero scavare in questa profondità, abbiamo il risultato di una rappresentazione di un
ricordo dove il maestro non ci crede più e anzi sottolinea l'importanza di questa
bidimensionalità. Importanza di un’apparenza statica, solenne, preziosa ma che non vuole
andare al di là.

Tra le conchiglie ci sono altre scene e sono quelle del nuovo testamento, è importante questo
ciclo perché è il più antico che abbiamo di storie della vita di Cristo. Le storie che sono
rappresentate nel Santa Maria Maggiore sono scene del vecchio testamento, una narrazione
propedeutica all’evento.

Cristo separa le pecore dai capretti e Ultima cena, inizio VI secolo: Presenza dello sfondo
dorato, molta simmetria, immagini di Cristo nella seconda scena non è al centro come siamo
abituati a vederla in seguito, la figura di Cristo rispetta uno schema come ad esempio avere un
aspetto simile, con la mano sempre alzata, accompagnato da qualcuno, semplificazione della
scena. Le scene sono essenziali dal punto di vista narrativo (assenza di cielo, gestualità)
Questo è dovuto dal fatto che i fedeli per molti secoli non leggeranno la Bibbia quindi questo
serve per far arrivare subito il messaggio. Si semplificano la narrazione perché sia capibile
immediatamente e riconoscibile.

Cristo in trono, VI secolo, verso la fine della processione; immagine più particolareggiata, cristo
centrale, maggiore monumentalità, non è una storia narrata, cristo ci appare come una visione
improvvisa, splendida, di fronte ad essa ci si può solo rimanere stupiti, in adorazione. E qui che
troviamo alcune tra le più antiche attestazioni del volto di Cristo con barba e capelli lunghi,
un'immagine destinata a imporsi definitivamente nell’arte al soggetto cristiano, ma che ancora
per un certo periodo sarebbe convissuta con quella giovanile e imberbe.

Il palazzo di Teodorico e Il porto di Classe, inizi VI secolo. Sono le due parti più famose sono
vicino all'entrata un appunto rappresenta il palazzo e l'altra e il porto di Ravenna.

L’arte sotto Teodorico principali caratteristiche: battistero degli ariani, assenza totale di cielo,
l’oro che prenda il sopravvento, le palme che sostituiscono i candelabri e che danno a tutta
l’immagine un aspetto più astratto, da grande cerimonia, tutte le figure portano una corona
verso la grande immagine di cristo e si chiudeva con la grande immagine di paradiso
nell’abside centrale. Sant’Apollinare nuovo, distaccamento dalla parte naturalistica, figure
stilizzate, storie asciugate per essere di facile comprensione, trasmettere un’immagine.
Un’immagine elementare e per questo più solenne.

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Mausoleo di Teodorico; Edificio poco fuori Ravenna. ha un raffinato farà paramento in grandi
blocchi di pietra provenienti da cave della Dalmazia, è a due piani è a pianta decagonale. E più
monumentale rispetto a quello di Galla Placidia. La struttura è più evoluta artisticamente e
appare più monumentale grazie ai suoi dettagli, è rivestita di marmo. Sopra è collocata una
pietra unica che ci testimonia un modo monumentale di costruire. la struttura e le tecniche
costruttive sono sostanzialmente romane, l'unico elemento riferibile alle forme artistiche e
predilette dai Goti e il fregio “a tenaglia “.

Basilica San Vitale, VI secolo, (Giustiniano non è mai stato a Ravenna) Ravenna; 10 anni dopo
la morte di Teodorico avvenuta nel 526, l’esercito di Giustiniano riconquisto Ravenna. Non ha
una struttura solita Basilicale cioè quella longitudinale ma è a pianta centrale (come san
Lorenzo a Milano). In entrambe si ricorre a una tecnica e stretti legati da un alto strato di calce.
Attestata soprattutto nella parte orientale dell’impero. L'edificio è a pianta ottagonale,
preceduto da un lungo atrio, un nartece, appoggiato a uno degli angoli del poligono in questo
modo l'architetto poté ricavare nello spazio tra il nartece il corpo della chiesa, due piccole torri
che contengono le scale per salire ai matronei. Come accade negli edifici a pianta centrale
l'interno non suggerisce un'unica direzione visiva ma ho una pluralità di punti di vista. Il
presbiterio cioè la zona destinata ai sacerdoti e particolarmente marcato dalla ricchezza dei
mosaici. La luce proveniente dalla cupola in alto, il rivestimento di marmi dalle venature
colorate sulle pareti, gli stucchi di volte e sottarchi, le transenne traforate e i mosaici
compongono uno spazio animato e multiforme del tutto inedito in occidente. Anche i capitelli
a piramide tronca rovesciata non appartengono alla tradizione occidentale ma trovano precisi
confronti in edifici sacri del medesimo periodo a Costantinopoli. Il raffinatissimo traforo che
assomiglia a un tessuto lavorato a merletto E la conferma di una visione artistica che preferisce
la bidimensionalità e la leggerezza delle forme, quasi a voler annullare la consistenza del
marmo.

Tutte le pareti attorno all'altare, la volta sovrastante e l’apside sono rivestiti di mosaici, i colori
squillanti e l'abbondanza dei motivi decorativi servivano a suggerire al fedele di allora un
ambiente paradisiaco.

La volta: si nota un’esuberanza decorativa, impressione di una magnificenza decorativa quasi


di oro vacui, modo di dire che caratterizza un’esuberanza decorativa dove ogni minimo spazio
e riempito per la paura del vuoto. Al centro della calotta dell’apside centrale del presbiterio c’è
questa immagine paradisiaca. Nella conca absidale, San Vitale a cui è dedicata la chiesa, viene
presentato da un angelo a Gesù, il quale giovane e imberbe, è seduto su un globo azzurro
rappresentate l’universo; delle rocce più sotto escono i quattro fiumi del paradiso descritte
nella genesi, il primo libro della Bibbia. Gesù allunga la mano per consegnare a San Vitale la
corona del martire che è un simbolo della vita eterna. A destra un altro angelo presenta a Gesù
Ecclesio che era il vescovo in carica l'inizio dei lavori e perché e per questo tiene in mano una
chiesa in miniatura come segno di offerta addio. La parte che sta al di sotto della volta
rappresentano tutte scene bibliche con un elemento comune cioè scene che alludono al
sacrificio.

Figure di Mosè; c’è un cielo, c’è la voglia di introdurre un elemento spaziale, naturale che però
non è paragonabile con quello del V secolo. Mosè pastore che non ha bisogno di movimento,
nel periodo di Teodorico sarebbe stata un’immagine statica, non ci sarebbe stata nessuna
scelta di movimento, qui invece con la gamba alzata e appoggiando il codice sul ginocchio è
una testimonianza di vivacità, di volontà di rappresentare qualcosa di più mosso. Mosè che si
slaccia i calzini di fronte al rovente ardente.

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San Luca, metà VI secolo confronto con Il buon Pastore del mausoleo di Galla Placidia; in San
Luca abbiamo un paesaggio e una figura centrale senza tridimensionalità, non c’è contrasto
con le cornici, si mescolano. Il buon Pastore, c’è il contrasto spaziale tra l’immagine e cornice.

Storie di Abramo metà VI secolo, scena di sacrificio. Assomiglia più al buon pastore, perché
anche c’è una cornice e dentro una rappresentazione, non allo stesso livello, l’artista ha voluto
riprende quel sistema decorativo prestigioso rappresentato nel mausoleo di Galla Placidia, ha
un sistema decorativo spazialmente più credibile per dare il senso di un rapporto con tutta la
struttura, però non ci riesce e non sappiamo se è per incapacità o perché non ci vuole arrivare.

Corteo di Giustiniano e Teodora (moglie dell’imperatore) stanno sotto immediatamente della


figurazione dell’apside. Non si tratta della descrizione di una cerimonia effettivamente
accaduta Giustiniano non viene mai a Ravenna ma la sua immagine serviva a rendere visibile il
recentissimo cambiamento dello scenario politico che aveva riportato la città nella sfera di
Costantinopoli. Nei due mosaici convivono perciò elementi simbolici ed elementi realistici in
combinazione che raramente è dato osservare tanto nell’arte antica quanto in quella
medievale. Nel riquadro con l'imperatore vediamo a sinistra 5 soldati della guardia del corpo
con il monogramma di Cristo sui loro scudi a seguire i due dignitari che indossano un mantello
lungo fino ai piedi bianca e bruna poi Giustiniano in uno sfarzoso abito da cerimonia con un
grande bacile d’ora nelle mani, il diadema, la fibula sulle spalle e persino i calzini sono
trapuntati di gemme. Il cerchio dorato che fa da contorno alla testa dell’imperatore un è un
motivo glorificante che era già stato adottato per gli imperatori e nel medioevo e in seguito
diventerà attributo tipico dei santi. Accanto a Giustiniano c'è un altro dignitario e poi tre
membri del clero tra cui spicca il vescovo Massimiano l'unico indicato da un’iscrizione in
quanto primo a Ravenna a fregiarsi del titolo di arcivescovo che lo innalzava quasi al rango del
papà a seguire un diacono che tiene in mano un libro dei Vangeli con la copertina rivestita di
gemme e un altro diacono che regge il turibolo e cui viene bruciato il incenso, un profumo che
da secoli si usa nelle cerimonie delle chiese cristiane. Il mosaico di fronte mostra 7 dame
riccamente vestiti al seguito dell’imperatrice Teodora che ha sul capo il chiama camaleuco , un
copricapo a forma di cesta coi gioielli e perle per trattenere in modo ordinato i capelli. Sul
manto sono ricamate le figure dei Magi in evidente parallelismo, come i Magi in corteo
offrivano i doni a Gesù bambino così fanno ora in un nuovo corteo i due imperatori. Infatti
Teodora ha in mano un calice tempestato di gemme e sembra dirigersi verso due dignitari uno
dei quali sta scostando una tenda. Proprio questo gesto come la direzione delle braccia di
Teodora indica che il gruppo si sta muovendo. La presenza della fontanella rende certi che i 10
personaggi non sono ancora in chiesa ma nell'atrio antistante. I due mosaici mostrano quindi
una doppia processione che nella liturgia bizantina del tempo costituiva il cosiddetto primo
ingresso, i fedeli entravano in chiesa seguendo solennemente i sacerdoti con il libro sacro e a
questo punto iniziava la messa. La singolarità di questi due mosaici sta nel fatto che gli artisti
hanno voluto descrivere una processione quasi disinteressandosi all’effetto di movimento, i
personaggi si sono girati verso lo spettatore e fissandolo cercano di comunicare il proprio
grado attraverso gli abiti, i volti, la rispettiva posizione nell'ordine del corteo. In questo
spettacolo del potere diventa secondaria la descrizione dei dettagli persino la
rappresentazione dello spazio. I mosaicisti hanno posto grandissima attenzione al volto
dell'imperatore e dei personaggi che lo circondano raramente possiamo osservare i ritratti di
questa intensità nell’età tardoantica e medievale. L'operazione che inizia Giustiniano è molto
simile a quella che cercavo di fare i mosaicisti nelle opere cioè cercare di conciliare due aspetti,
l'arte classica e il nuovo modo di decorazione bizantina il problema di questa conciliazione è
che tra i due è passato troppo tempo e esperienze. Si nota appunto questa doppia natura degli

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artisti che cercavano di ricostruire un ordine ma dovevano tener conto di tutto quello che è
successo. Le figure inoltre sono sistemate a forma di “V” dove al centro ci sono gli imperatori.
Nel soffitto si vede benissimo, lussureggiante, presenza di oro vacue, chiasmo tra sfondo oro e
azzurro. Due vele hanno lo sfondo azzurro/verde e due lo hanno oro. I raccenni sono verdi
dove lo sfondo è oro e oro dove è azzurro e questo usando un repertorio che ci richiama quello
classico. Non sono come quelli nel mausoleo di Galla Placidia che ricordano i tessuti, questi
sono decorazioni vegetali come erano nei capitelli classici, risolti con questa lussuosa. Non c’è
lo sfondamento spaziale ma un recupero della classicità. Anche nelle cornici, costoloni di frutta
che è il più naturalistico. Pergolato riempito in forma astratta, pergolato idealmente chiuso da
questa fioritura straordinaria come se fosse un tappeto.

Santa Sofia, Istanbul, 537 consacrazione: Santa Sofia una chiesa a Istanbul che anticamente era
Costantinopoli. attualmente l'esterno è segnato dalla presenza di grandi torri aggiunte quando
la chiesa viene trasformata in moschea dopò la conquista da parte dei turchi nel 1453.in quella
occasione i mosaici che si trovavano all’interno vennero ricoperti da intonaci e sulle pareti
furono collocati versi del Corano. Anche la crea chiesa precedente a quella attuale si chiamava
Sofia cioè La Sapienza di Dio, e che venne distrutta durante la cosiddetta “rivolta di nika”, nello
stesso anno l'imperatore Giustiniano fece ricostruire l'edificio. Il movente che spinse
l'imperatore e questo gesto e attribuibile al voler mostrare pubblicamente la propria religiosità
e la propria generosità verso gli altri. Giustiniano infatti fece costruire oltre a Santa Sofia altre
32 chiese. I tempi stretti che probabilmente furono imposti dall’imperatore spiegano come mai
si fece ricorso a materiale di spoglio come le colonne di porfido egiziano delle esedre interne.
La rapidità con cui viene costruita Santa Sofia e molto probabilmente all'origine delle
irregolarità e delle disomogeneità nella struttura dell'edificio e forse anche nella debolezza
della cupola virgola che infatti crollo nel 558, dopò soli vent'anni. Sin dall'esterno la nuova
cupola ci appare come il centro e l'elemento dominante di tutto l'edificio e già da fuori ci
accorgiamo che l'intera struttura, massiccia e solenne, è pensata proprio per sostenerla.
All’interno constatiamo che il compito di sostenere la cupola è affidato ai quattro enormi
pilastri che occupano lo spazio centrale del rettangolo. I pilastri sono costruiti in pietra e non i
mattoni ma abbiamo l’impressione che lo sforzo sia compiuto dai pennacchi, quei tre angui
curvilinei che dalla base alla cupola vanno assottigliandosi verso il basso, la sensazione che si
ha è come se la cupola fosse sospesa in aria. Questo effetto di affascinante in stabilità è
aumentato dalla luce e dalle diverse direzioni da cui proviene appunto non è tanto la quantità
della luce quanto il suo vibrare sulle superficie multicolori dei mosaici e degli altri materiali
d'arredo della chiesa, la luce interagisce con lo spazio e modificando la percezione degli
elementi strutturali.

Sant’Apollinare in Classe; Poco a sud di Ravenna sorge la basilica di Sant’Apollinare in classe


centro portuale di Classe. Fu il vescovo Massimiano a consacrare questa chiesa nel 549. La sua
lunghezza è di 5 5,5 m è preceduto da un atrio ed è costruita con i mattoni stretti e lunghi.
Accanto alla chiesa sorge il campanile cilindrico, realizzato forse nel decimo secolo. La
dimensione delle aperture aumenta man mano che si sale verso l'alto si e per alleggerire il
peso della struttura si e per offrire meno resistenza e 20 punto la navata maggiore larga il
doppio delle due laterali con 20 quattro colonne di marmo greco dalle grandi venature grigio
azzurre, i capitelli dello stesso materiale hanno foglie d'acanto mosse e ripiegate su sé stesse.
Le colonne EI capitelli giunsero a Ravenna dalle cave in Asia minore già lavorati e decorati. La
decorazione a mosaico si concentrano nella zona attorno all'altare in particolare nel catino
absidale dove ci sono due scene contigue ma ben distinte. In basso Sant’Apollinare è
raffigurato in piedi vestito degli abiti sacerdotali e nell'atto di fregiare con le braccia aperte

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come si faceva nel mondo pagano e nella prima età cristiana. Si dirigono verso di lui da una
parte e dall'altra 12 pecorelle simbolo dei fedeli affidati al vascolo vescovo come a un pastore.
Il Prato verde e fiorito in cui si trovano le pecore e prosegue alle spalle del Santo vescovo e fa
da sfondo alla scena della trasfigurazione virgola narrata nei vangeli in cui Pietro, giacomo e
giovani qui simboleggiati da tre pecorelle accompagnano Gesù su monte dove accade un fatto
miracoloso: Gesù muta il proprio aspetto e rispondendo di luce nel momento in cui appaiono
anche i profeti Mosè ed Elia. La difficoltà di questo episodio viene risolta sostituendo la figura
di Gesù con una grande croce gemmata inserita, insieme a 99 stelle in un disco a sfondo
azzurro punto in questo modo si introduceva un particolare assente nel passo evangelico (la
croce) Manda il tutto coerente con la celebrazione della morte di Gesù a cui erano destinati
l'altare sottostante e l'area del presbiterio. C'è un continuo del paesaggio costituito da grandini
rocciosi, alberi, cespugli e fiori, elementi che sono descritti uno per uno come dettagli separati
e non parti di un unico ambiente naturale. In quest’ultima grande opera si osserva facilmente
quanto latte bizantina si sia distaccata dalla tradizione classica che aveva fatto della fedeltà alla
visione ottica il cardine del proprio linguaggio.

Avorio Barberini, secondo quarto del VI secolo: Di questo si conserva solo una parte, Al centro
una figura che probabilmente potrebbe essere Giustiniano (perché ha la corona in testa) alla
sua sinistra un soldato che porta una corona in mano che segno della vittoria. Sotto altre figure
che mi portano qualcosa tra le braccia, sopra invece la figura della divinità che si riconosce
dalla mano destra alzata e circondato da due angeli. Nel riquadro centrale abbiamo
Giustiniano con il cavallo sotto adesso c'è una donna che la rappresentazione della terra,
quella in alto a destra rappresenta la vittoria, e dietro a lui un servitore. Nella rappresentazione
c'è più movimento specialmente nel riquadro centrale e quello in basso quello centrale inoltre
è quasi a tutto tondo. Anche in questo dittico si cerca di far proprie I vocaboli dell'arte antica.
Questo lo possiamo capire dal riquadro principale dove appunto c'è questo movimento del
cavallo che ci può ricordare la colonna traiana. Ma in tutto il dittico c'è la presenza della
simbologia, Opzione non rispettate vedi imperatore grande quanto il cavallo, molto più grande
delle altre immagini. Tentativo di riempire tutto.

Cattedra di Massimiano, metà VI secolo, Ravenna: Il seggio da cui il vescovo presiedeva le


cerimonie. Il committente fu Massimiano, lo sappiamo grazie alla presenza del suo
monogramma era frequente imbattersi in monogramma scolpiti nel marmo. Realizzato in
materiale raro e prezioso come l’avorio, sui piccoli rilievi, opera di maestri diversi alcuni dei
quali ben aggiornati sulla cultura artistica di Costantinopoli sono intagliate scene dell’antico
testamento come (storia di Giuseppe) e dei Vangeli. Le immagini servono a ricordare che la
autorevolezza del vescovo si fonda proprio su quella delle sacre scritture. Le varie scene sono
inquadrate da cornici con tralci di vite entra in cui si muovono uccellini, pavoni, cervi, leoni,
orsi, conigli; anche qui come nei mosaici di sant’Apollinare in Classe e di San Vitale, gli artisti
sono riusciti a tenere assieme narrazione e ornamento, equilibrando ne gli spazi rispettivi e
armonizzandone i temi. L'horror vacui e dominante.

I Longobardi 568-774

le prime ondate di una nuova immigrazione furono verso il 568,3 anni dopo la morte di
Giustiniano punto i Longobardi non furono il primo popolo a scendere nell’Italia di allora prima
di loro ci furono i Goti con Teodorico, che fu capace di riconoscere la grandezza dell'impero
romano e la sua eredità culturale e artistica. Egli aveva tentato con un atteggiamento di

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dialogo nei confronti delle aristocrazie di conservare le istituzioni romane e quanto rimaneva
dei monumenti antichi. I Longobardi non riuscirono a unificare il territorio della penisola che
rimase frammentato, Ravenna e la sua area restarono nell’orizzonte politico bizantino fino al
751. Per un certo tempo la popolazione romana e i longobardi vissero l'uno accanto agli altri
nelle città e nelle campagne ciascuno con le proprie abitudini culturali e i propri ordinamenti
giuridici. È l’impressione di una convivenza. I Longobardi si erano infatti convertiti alla fede
cristiana, aderendo però alla predicazione di ario che credeva nella sola natura umana di Gesù.
Una coesistenza dunque difficile e instabile, in un primo tempo i Longobardi mantennero la
consuetudine del semi nomadismo. Con l’aggravarsi della crisi economica e un generale
degrado delle condizioni di vita. La diversità culturale dei Longobardi e ben leggibile attraverso
le testimonianze che riguardano le loro sepolture. Se i romani seppellivano i loro defunti nelle
antiche necropoli per un certo periodo i Longobardi seppellirono invece in campo aperto. I
corredi funerali dei Longobardi rispecchiano in linea di massima il genere dei defunti e il loro
rango sociale. La presenza delle armi è una novità assoluta. nei Longobardi sorse ben presto il
desiderio di assorbire la cultura del popolo romano. le arti figurative offrono anche da questo
punto di vista preziose indicazioni sulla complessità delle relazioni intercorse tra i due popoli e
sulla progressiva integrazione culturale dei nuovi arrivati un po'. L'impero romano in
precedenza serviva queste tribù dando loro un posto nel regno, questo fu possibile più da
quando l'impero fu un impero forte e unito.

Lamina di Agidulfo, VI-VII secolo: E una mina in origine montata sulla parte frontale di un elmo
, al centro c'è Agilulfo re dei Longobardi , siede sul trono affiancato da due guardie armate di
lancia e di scudo appunto una minuscola scritta lo identifica con certezza il sovrano tiene una
spada con la sinistra e porta la destra all'altezza del petto , nel gesto che per tutto il medioevo
indicherà una persona nell'atto di parlare punto due figure alate gli sei vicino con le gambe a
compasso, nel faticoso tentativo di indicare che stanno volando: sono due victorie che
reggiano una cornucopia cioè un corno colmo di fiori e frutti simbolo di abbondanza e un
labaro insegna usata dall'esercito romano su cui è scritto Victoria. seguono a destra EA sinistra
due coppie di offerenti che portano corone sormontate da croce. Chiudono la cena due torri
che simboleggiano il palazzo o la città in cui si svolge l'evento. Pur nella semplicità delle forme
la lamina e anche la prova dell'interesse che è Longobardi nutrivano per le iconografie di età
classica virgola e qui infatti che è trovavano il repertorio adatto per celebrare il potere e la
guerra, anche a costo di assorbire motivi artistici del tutto estranea la loro cultura, come
appunto le due vittorie. In questa lamina c'è la simmetria tra due parti, dipende la spazialità
nel senso che non c'è un qualcosa che ricorda uno spazio e ci sono pochissimi dettagli solo
quelli indispensabili per rappresentare o una persona il suo rango.

Legatura dell’evangeliario di Teodolinda, inizio VII secolo: Questo oggetto si deve alla moglie
di Agilulfo, Teodolinda la e la copertina che rivestiva una copia lussuosa dei Vangeli ed è uno
dei doni preziosi che Teodolinda fece alla basilica di San Giovanni Battista a Monza. I due lati
della copertina presentano un’elaborata cornice costituita da alveoli che contengono granati,
entro la cornice si trova una croce a bracci espansi cioè si allargano alle estremità fittamente
punteggiato di pietre preziose e smalti virgola in parallelo al braccio orizzontale sono poi
inserite mele con un'iscrizione che ricorda la Fondazione della basilica di San Giovanni Battista.
Nei quattro spazi accanto i bracci della croce sono incastonati in altrettanti camei, allora volta
bordate da cornicette a squadra. L'oro e le gemme servono a esaltare il tema della Croce, la
loro preziosità circonda di luce il segno cristiano per eccellenza. c'è la mancanza di
intenzionalità di narrare una storia o un episodio ma solo rappresentare la loro ricchezza e
quindi il loro potere.

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Confronto tra la lamina di Agilulfo e piatto di Teodosio I: rappresentano la stessa scena ma
nel piatto di Teodosio la scena sembra un'immagine reale nella lamina di Agilulfo la
composizione dell'immagine è molto lontano dalla realtà mancanza delle proporzioni, pose
delle figure poco probabili, sono quasi imbambolati.

Fibula a disco VII secolo: E una fibula gradisco scoperta una tomba femminile a Parma
caratterizzata da una decorazione chiamata cloisonné, Lo rufo ha realizzato una serie di
minutissimi alloggiamenti in oro, entro cui ha inserito pietre di un vivace colore rosso cioè
almandini punto la decorazione si sviluppa lungo 3 corone attorno al tondo centrale subito la
forma degli alveoli cambia in ciascuna corona, la seconda più stretta è arricchita anche da
laminette d'oro con un motivo a intreccio punto è un lavoro elaborato dal punto di vista
tecnico. Gli studiosi ritengono che sia opera di orafi bizantini che cercavano di soddisfare il
gusto dei nuovi arrivati imitando oreficerie della tradizione tardo antica e barbarica.

Dal punto di vista architettonico i Longobardi costruivano dove esistevano già degli edifici
virgola non avendo una tradizione come quella romana hanno una maggiore libertà di forme
ed i contenuti. La loro principale caratteristica è la grande varietà nel. Nelle città che erano di
origine antica e avevano questa struttura romana molto forte, verranno trasformate, il VII
secolo specialmente la seconda metà sarà di crisi economica e saranno numerose le pesti che
decimeranno la popolazione. Le città e gli edifici si svuoteranno. Il Colosseo e altri edifici
saranno riutilizzati per fini privati o verranno aperte botteghe, verranno spolpati del loro
significato e utilizzati in altro modo. La tendenza a risiedere nelle città fortificate, esigenza di
proteggersi meglio e quindi costruire castelli. Un processo che porterà a un paesaggio tipico
medievale caratterizzato da castelli sulle rupi.

Pavia cripta della chiesa di Sant’Eusebio, meta VII secolo: presenza di colonne diverse dovuto
al fatto che sono di riuso. I capitelli, integrati con molti colori che poi hanno perso l’esuberanza
dei colori. Avevano un’immagine molto diversa da quella di oggi.

Pluteo con i pavoni, dall’oratorio di San Michele alla Pusterla, VII secolo: sicuramente era
colorata, Horror vacui cool fiori, oggetti anche non funzionale con una rappresentazione. C'è il
tentativo di simmetria dato dalla volontà di rifarsi a una tradizione, le proporzioni dei pavoni
nello spazio però sono sbagliate quindi sulla destra si aggiunge una fantasia per riempire lo
spazio vuoto. Non c'è figura umana e semplice decorazione, l’l'aspetto decorativo prende il
sopravvento, assume un’importanza sempre maggiore. Anche la simbologia diventa molto
importante ad esempio i pavoni sono il simbolo della rinascita.

Altare del duca di Ratchis, 734-744: Per entrare in Italia i Longobardi valicano le Alpi orientali
del Friuli e Cividale (Udine) che fu uno dei primi centri in cui essi si stabilirono. Cividale è stata
inserita nella lista nel patrimonio dell'umanità dell’UNESCO. Ratchis duca del Friuli tra il 737 e il
744 fece realizzare per la chiesa di San Giovanni Battista un altare facendo decorare le lastre
che ne rivestivano tutti e quattro i lati. L’iscrizione che corre in alto lungo i bordi ricorda che il
duca aveva adornato l'altare con un coronamento marmoreo che doveva essere simile a quello
del fonte battesimale di Calisto sempre Cividale. Sulla fronte dell’altare è scolpita la scena della
Maestà del Signore, quattro angeli con ali provvisti di occhi e perciò riconoscibili come
cherubini sorreggono una mandorla, una sorta di aureola di forma ovale che nell'iconografia
cristiana serve a glorificare il personaggio che ne è circondato. Dentro la mandorla ci sono altri
due cherubini e un Cristo imberbe in atteggiamento benedicente, sopra il suo capo si stende la
mano destra di Dio. Sui lati dell'altare sono raffigurati la Visitazione cioè l'incontro e l'abbraccio
tra Maria e Santa Elisabetta e l'adorazione dei Magi; La Vergine è contraddistinta in entrambe

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le scene da un piccolo segno di croce incisa sulla fronte. Sul lato posteriore due croci gemmate,
a braccio espanse affiancano un’apertura per le reliquie dei santi. in tutte le scene quello che
colpisce è l'assenza di proporzioni, l'estrema semplificazione dei volti, i gesti scoordinati e
improbabili. Nello stesso tempo i soggetti scelti sono tutt'altro che semplici a cominciare dalla
scena frontale. C'è un sorprendente dislivello tra gli schemi compositivi e la loro resa formale il
duca Rachis ha chiesto di adottare iconografie schiettamente bizantine a uno scultore dotato di
una cultura artistica del tutto diversa. L'autore dell'altare concepiva la scultura soprattutto
come decorazione è infatti e perfettamente a suo agio nel lato posteriore dove motivi
ornamentali anche quelli di origine antica come le fuseruole alternate a doppie perle vengono
usati con ordine, poi tutte le volte che può riempie gli spazi vuoti l'aspetto attuale dell’altare
non è quello originario come accadeva nell’antichità e come accadrà per tutto il medioevo in
marmi erano rivestite vivaci colori. C’è una storia ma le figure umane sono qualcosa di
completamente diverso dalle figure umane dell’arte classica. Rinuncia al naturalismo e siamo
davanti uno degli oggetti più preziosi.

Fonte Battesimale di Callisto, 730-740, Cividale: Ci vai con un'altra parte Italia fammi ascoltare
immagini ma di abolire quelle parti della chiesa che servono alla vita liturgica appunto una
conferma viene da fonte battesimale fatto eseguire per la chiesa di San Giovanni Battista, da
Calisto che fu il capo del patriarcato di Aquileia lui aveva poteri come vescovo e come duca allo
stesso tempo. Cristo trasferire la sede del patriarcato a Cividale. La fonte è a pianta ottagonale,
come già i battisteri paleocristiani e ravennati il coronamento consiste in 8 archetti sostenuti
da colonnine e capitelli. Manca la copertura del fronte e uno degli archetti è stato sostituito da
un'iscrizione che ricorda il restauro dell’opera da parte un altro padre Arca. I 7 archetti rimasti
nel tugurio presentare una finissima ornamentazione con pavoni, griffe e altri animali
affrontati secondo schemi ricorrenti anche nella decorazione dei tessuti, non mancano motivi
di derivazione classica quello cosiddetto a “ovoli e darti”, fuseruole alternate a doppie perle ,
girale con foglie e fiori. La struttura è funzionale alla liturgia. Nei capitelli c'è maggiore
sofisticazione e ci conferma l'estrema varietà della cultura longobarda.

Tempietto di Santa Maria in Valle, secondo quarto dell’VIII secolo, Cividale: Edificio sorgeva
dentro la gastaldaga, cioè l'area residenziale del gastaldo, il rappresentante del re. Il tempietto
è costituito da un’aula alta circa 10 m, è coperta da una volta a crociera, il presbiterio più basso
è invece coperta da tre volte a botte che all’interno sono sorretti da architravi da coppie di
colonne. In origine era un edificio ricco e sontuoso, noi abbiamo la testimonianza grazie alle
tracce dei mosaici, dei preziosi frammenti di affreschi ma soprattutto dalla serie di stucchi che
in origine decoravano tutte le pareti. Quella dello stucco e una tecnica testimoniata più volte
durante l'alto medioevo, con una miscela di gesso calce e acqua si otteneva una pasta che
poteva essere facilmente lavorata con stecche o sagomata con coltelli. Nella zona alta della
parete nordoccidentale corrono due fregi paralleli in stucco. I due fregi inquadrano, al centro
una finestra con semicolonne, capitelli corinzi e un archetto sempre in stucco. E sulla spalla di
questa finestra che è inciso il nome di Paganus uno dei maestri che eseguiranno i lavori in
stucco. Tra i due fregi sono raffigurati in auto rilievo 6 sante in piedi. Quelle più vicine alla
finestra indossano una tunica e un velo sul capo, sono leggermente girate con le mani in segno
di devozione volte verso il centro della parete. Le altre quattro sono ritratte frontalmente e
indossano abiti estremamente raffinati, con diadema sul capo e stringono nelle mani una croce
e 1 corona. Una larga aureola circonda il capo di tutte le sue figure femminili. Anche questi
rilievi oggi bianchi dovevano essere rivestiti di colori, in modo da aiutare il fedele nel
riconoscimento delle Sante. Più in basso sopra la porta d'ingresso un elaborato archivolto
ancora in stucco alterna con cornici con fiorellini a un raffinatissimo fregio con grappoli e foglie

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di vite. Fiori stilizzati, scavo in profondità, quelli visti fino ad ora era legati alla superficie,
qualcosa di simile possiamo trovarlo a Bisanzio. Queste sculture sono pressoché prive dei
confronti, figure tanto imponenti ed il rilievo da esser quasi paragonabili a statue, da secoli non
si scorgevano tratti così finì nei volti atteggiamenti così eleganti. È stato un luogo chiuso e
protetto dal tempo. Clima più secco la conservazione più forte della tecnica la scultura in
stucco.

Benevento, interno della chiesa di Santa Sofia, fondata nel 760: longobardo che fa riferimento
all’arte bizantina di qualche secolo prima.

Castelseprio (Varese) Santa Maria Foris Porta: ci sono affreschi non datati. Naturali, capacità
di spazialità, tecnica rapida di pittura. Tracce di una tecnica raffigurativa diversa da quel
periodo, può essere estera. Vedi Viaggio a Betlemme, Natività, Adorazione dei Magi, prova
dell’acque. Sono molto realistici, presenza dello spazio e proporzioni rispettate. Non si riesce a
stabilire un periodo esatto, l’unico punto fermo è la provenienza bizantina del pittore. Grande
qualità pittorica, nelle figure tratteggiate con rapida sicurezza, nel dosaggio raffinato dei
chiaroscuri, nelle studiate gradazioni di luce, nella capacità di are una struttura chiara alle
scene senza rinunciare a singoli dettagli. L’aspetto che colpisce di più è la volontà di collocare
gli episodi in uno spazio ben leggibile e coerente con i fatti narrati come per esempio l’arco dal
quale passano Maria e Giuseppe. Ma al pittore interessano anche gli spazi lontani e così si
sofferma su alberi isolati, rocce e città che si intravedono. Spazi ben costruiti, movimenti sciolti
e pose naturali. Le tre figure dei Magi ad esempio non ripetono le stesse posture come
succede molte volte nell’arte paleocristiana. Nell’intero ciclo non c’è figura paragonabile alla
Vergine nella Natività, per la convincente naturalezza con cui viene presentata. Maria è distesa
su un giaciglio, si appoggia agli avambracci e la mano sinistra che ricade verso terra rende la
stanchezza successiva al parto. La cultura del pittore è sicuramente ellenistico-bizantina.

L’impero Carolingio

I Franchi si potenziano intorno all’VIII secolo essi vengono sostenuti dal papato. Pipino il breve
padre di Carlo Magno sconfisse i Lombardi. Alla morte di Peppino gli succede il figlio Carlo che
si fece incoronare da Leone III imperatore il 25 dicembre dell’800. con Carlo Magno inizia la
renovatio carolingia (rinnovamento dell’impero), un fenomeno più ampio rispetto a quello del
rinascimento che è un concetto solo in ambito artistico. egli lavoro in maniera programmatica
vuole spogliare il concetto di impero cioè un governo ben strutturato con un governo centrale
che faceva da faro per il papato, per la cultura e per la politica. Crea un sistema di scuola legata
alle corti per far sì che il patrimonio culturale antico non andasse perduto attraverso
manoscritti. Grande alleato di questa politica fu la chiesa attraverso la fioritura dei manoscritti i
conventi, le abbazie, c'è una riforma della chiesa non convenzionali. Vescovi monaci eletti da
Carlo Magno costituiscono l'esercito riformistico di Carlo. in tutto questo l’impero bizantino
non cessò totalmente di esistere ma vi fu un rapporto continuo con l'impero carolingio.

Statuetta equestre di Carlomagno, 840 circa:Il continuo richiamo alla memoria di Roma fu
prima di tutto uno strumento di propaganda politica immagini di Carlo Magno guadagnava con
autorevolezza quanto io faccio Milano a quella dell' imperatore anticipo. si può ben vedere un
riferimento al mondo classico.

Ricostruzione del palazzo di Aquisgrana: Resta solo la cappella. Vi era probabilmente un


quadriportico, è un preciso riferimento a San Vitale. Offre una chiara prova di quanto fosse

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importante il modello di Ravenna. La struttura archittetonica della cappella è ottagonale,
preceduta da due torri scalari che conducono ai matronei, a loro volta caratterizzati da logge
trifore.

Trono di Carlo Magno, fine VIII secolo, Aquisgrana, cappella palatina: caratteristica principale è
la semplicità e essenzialità.

Pianta dell’abbazia di San Gallo, 829: estrema razionalità e ordine. Intorno all’abbazia vi erano
dei terreni gestiti dall’abbazia stessa, erano delle cittadelle. L’abate aveva un ruolo
importantissimo. Non vi è una facciata, vi è un altro corpo estraneo, frutto della fantasia
carolingia, tedesco e franco, questo elemento si chiama WESTWERK.

L’abbazia di Fulda in una stampa del 1655: di epoca carolingia è circondata da mura come una
cittadella.

Porta trionfale dell’abbazia di Lorsch, fine VIII secolo: l’architettura riprende quella dell’arco
trionfale ma vi è comunque un’esigenza nordica, qui la trabeazione è data dalla divisione tra la
parte inferiore e superiore. Il repertorio figurativo nordico con tracce di architettura classica.

Abbazia di Corvey, esterno e interno del Westwerk, 873-885: la volontà costante di riesumare
l’architettura classica si scontra con una novità senza paragone nel mondo classico e
tardoantico. Non siamo certi della funzione del Westwerk, forse era riservata all’imperatore
(contrapposto all’abside dove stava l’abate) il Westwerk era rialzato rispetto all’ingresso
dell’imperatore.

Cripta chiesa di Saint-Germain: le cripte erano piene di reliquie donate dal papa alle abbazie.
Dentro abbiamo la Lapidazione di Santo Stefano 840-860, città stilizzata, gestualità ed
espressività molto vigorose. Santo Stefano fu il primo martire della chiesa carolingia. In questo
periodo molte tombe di Santi furono smantellate e le reliquie distrutte.

Chiesa di San Benedetto, Malles: il collegamento Germania-Italia fu importantissimo, lungo la


strada vi sono molte chiese ben conservate, espressionismo e vivacità degli affreschi.

Due donatori, IX secolo Malles, San Benedetto: si esce da un periodo in cui la figura era sparita
dalla raffigurazione.

Chiesa di San Giovanni circa 830: struttura narrativa, aspetto mostruoso, ambientazione in cui
la terza dimensione torna ad affacciarsi.

San Procolo fugge da Verona VIII-IX secolo: il santo si cala dalle mura a cavalcioni di una specie
di altalena, mentre tre personaggi si sporgono a guardarlo. Il pittore riesce a dare l’idea di una
fuga precipitosa con quelle gambe aperte e con il suo sguardo obliquo. I capelli e la barba sono
del tutto semplificati, le pieghe della tunica si riducono a motivi curvilinei che sulle ginocchia
diventano circolari. Un linguaggio sintetico e ingenuo ma immediato ed efficace. Non c’è alcun
ricordo dell’arte classica basta vedere il disinteresse per la descrizione dei luoghi e degli edifici,
una scelta consapevole; più in alto una larga cornice ospita un elaborato meandro prospettico,
motivo ereditato proprio dal mondo antico. Cercano dunque un nuovo modo di narrare le
storie sacre. Non si dilungano in accurate descrizioni ma scelgono un momento chiave del
racconto, presentandolo con un linguaggio schietto e diretto.

Vuolvinio, Altare d’oro 830-840; dall’età tardoantica antica l’oreficeria occupa un ruolo
centrale nella scena artistica, in particolare nella realizzazione di guarnizioni di armi e
ornamenti del vestiario, rivestimenti di libri sacri e di altri oggetti liturgici. Raggiunse l’apice

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quando all’oreficeria fu affidato un nuovo compito cioè quello di narrare storie. Questo
avviene nel pieno IX secolo. L’altare di Vuolvinio nella Basilica di Sant’Ambrogio è la più
importante opera di oreficeria arrivata fino a noi.

La fronte, il lato anteriore è divisa in tre scomparti, in quello centrale le cornici formano una
croce che contiene la figura di Cristo trionfante e i quattro esseri viventi dell’apocalisse di san
Giovanni (aquila, uomo, toro e leone), che simboleggino gli evangelisti, iconografia già
presente nell’arte del V secolo. Negli spazi fuori dalla croce si raggruppano a tre a tre i dodici
apostoli. Nei due compartimenti laterali, dodici formelle raccontano episodi della vita di Cristo.
Anche il retro dell’altare è suddiviso in tre scompartimenti, in quelli laterali 12 formelle
d'argento dorato raffigurano episodi della vita di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano dal 374-
397. C'è una decisa differenza tra il linguaggio delle scene nel lato anteriore e del lato
posteriore. Il primo vediamo scene più fitte con figure delineate con stile veloce dai movimenti
animati sul lato posteriore il linguaggio si fa più pacato e solenne, mentre i corpi e oggetti
acquistano un risalto maggiore. Non mancano gli episodi più vivaci come ad esempio la fuga e
il ritorno di Sant'Ambrogio a Milano, il Santo sconcertato dall’improvvisa, inattesa
acclamazione a vescovo da parte del popolo fugge dalla città e viene persuaso dallo Spirito
Santo che è rappresentato a sinistra dalla mano destra di Dio a tornare. L’orafo cerca di
rendere il ripensamento di Ambrogio con il brusco movimento all'indietro del suo corpo
totalmente rapido da coinvolgere anche il cavallo. L'azione si concentrano nello scarto
improvviso e drammatico dell’animale, il resto della scena viene riassunto brevemente, la città
con le mura e le torri, la campagna con un solo albero che è provvisto di un'unica ma elegante
foglia. L'artista conosce bene gli schemi del linguaggio bizantino e le iconografie paleocristiane
ma sai inserire spunti del tutto originale come ad esempio il fulmineo voltarsi indietro di
Ambrogio. Il compartimento centrale del lato posteriore e uno dei punti più importanti e la
finestrella formata dalle due piccole ante che si aprivano per consentire il controllo delle
reliquie. Le due ante presentano quattro tondi, in alto gli arcangeli Michele e Gabriele e sotto a
sinistra Sant’Ambrogio vestito con i paramenti vescovili incorona L'arcivescovo Angilberto che
si piega leggermente offrendo al Santo un modellino dell’altare. la testa di Angilberto e
circondata da un'aureola di forma quadrata soluzioni usate nell’alto medioevo per indicare che
il personaggio in questione era ancora vivo. Nel tondo accanto a quello di Angilberto a destra,
il Santo protettore di Milano incorona questa volta un personaggio che si china in
atteggiamento di riverenza e apre entrambe le mani in segno di devozione l'iscrizione: vuolvino
maestro orafo, vuolvino fu l'artista che assunse la direzione dell’impresa e riservo per sé il lato
posteriore. vuolvino non ha un'aureola come Angilberto ma riceve pur sempre una simbolica
corona e indossa un abito nobile e soprattutto viene lodato da una scritta che ne sottolinea le
qualità cioè che possiede perizia tecnica e manuale quindi competenze artistiche e può
insegnarle.

Cristo, vangelo di Godescovo 783 circa: in epoca carolingia si sviluppa la miniatura, qui ci è una
forte carica espressiva associata a quella decorativa, bidimensionalità. La miniatura si diffuse
soprattutto in Irlanda. Questo Vangelo è il primo codice in ambito di Carlo Magno ed è stato
fatto da un artista molto vicino a lui. Caratterizzato dalla fioritura olandese punto e tutto
astratto, cornice nella parte interna ed esterna e le fasce orizzontali sono elementi a se.
Miniatura insulare.

San Giovanni 810 circa: non è una figura che si staglia al di qua di un parapetto. La figura
occupa uno spazio in profondità, come nel mondo dell’arte ravennate. Rimangono delle cornici

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ma c'è un ulteriore splendore delle colonne appunto è una rappresentazione più realistica
dove abbiamo il paesaggio e il cielo.

San Matteo e San Marco, vangelo di Ebbone: Ebbone era fratello di lotta di Ludovico il Pio.
Infatti fu nominato vescovo di Reims. Egli fu abate di una scuola di miniature. C’è una grande
differenza dal passato. Con la morte di Carlo Magno c'è un improvviso cambiamento ci sono
opere dove si perde completamente il riferimento a pittore ravennate o Longobardi. Hanno un
aspetto stilistico quasi a bozzato come se fosse uno schizzo fatte con rapidità e fischietta. È una
pittura fluida sembrano quasi acquarelli. L’evangelista non è statico, è messo di profilo e si
rivolge verso il leone che gli detta il vangelo.

Salterio di Utrecht: la parte schizzata, storie bibliche fatte con immediatezza, poche pennellate
e molta rapidità, pose traballanti, anche il paesaggio è schizzato, appena accennato lo evoca e
basta. Segno di trovarsi di fronte a un artista che si rifà a una tradizione che i storici presumono
sia medio orientale.

Prima Bibbia di Carlo il Calvo 870: donata al papa, ben visibile la differenza con il salterio di
Utrecht. Preferenza accordata alla narrazione, si privilegia una struttura più chiara e senza la
narrazione apparentemente caotica. Mondo legato ancora alla miniatura insulare.

Coperta di Salterio di Carlo il Calvo 870 circa: similarità con il salterio di Utrecht dovuta alle
figure mosse.

La rinascita ottoniana

Grande crisi economica/ culturale fino a quando non arriva a prendere il potere la famiglia
Ottone. Lotte continue che fanno perdere il senso di vero e proprio intero, invasioni degli
arabi, invasione degli ungari, dei Normanni ed e danesi appunto questa situazione di crisi dura
circa un secolo. Ottone primo ferma le invasioni degli arabi acquista una notorietà riconosciuta
anche dal Papa punto di affermazione dell’idea di impero e un momento dove acquistano
importanza certe idee dei carolingi. Come nel periodo carolingio anche in questo si dà molta
importanza ai rapporti con la chiesa abbiamo dunque la fioritura dei monasteri e delle abbazie
e delle cattedre vescovi di chi assumeranno sempre più importanza.

Hildesheim, chiesa di San Michele: una delle prime chiese di questa cultura su iniziativa di
Bernoardo. 1033 consacrazione ufficiale. I volumi massicci e all’alternanza di pilastri e colonne
dell’interno anticipa soluzioni dell'architettura romanica appunto le 2:00 coppie di torri e le
solite strutture che li affiancano all'esterno ricordano il westwerk letteralmente opera a ovest.
Apside molto piccola a confronto con il resto. C’è un transetto che corrisponde a un altro
transetto e sono divisi in tre parti uguali. La struttura della navata e organizzata attraverso la
rigidità delle formule matematiche, si ha la sensazione di stare in spazi separati, tre sale che si
affiancano i volumi si vedono anche all'esterno. Frammentazione degli spazi. Bernoardo fece
eseguire una porta bronzea per la stessa chiesa. ci sono particolari, la reazione molto forte
anche se le figure sono e sommaria in uno spazio non rese ma che fa risaltare la narrazione.

La cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, particolare della porta bronzea 1015: I
cespugli sono spogli e rendono il paradiso terrestre, c'è una mancanza di ambientazione
spaziale ma la ricerca di espressività. La concentrazione si limita su poche figure.

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Il peccato originale, particolare della porta bronzea, 1015 predominano le figure, espressività
e dinamicità.

La colonna Bronzea: Committente sempre Bernoardo, doveva servire da sostegno per il cero
pasquale, alta quasi 4 m, La colonna è avvolta da un bassorilievo a spirale che racconta 20
quattro episodi della vita di Gesù. Non c'è dubbio che Bernoardo vuole riprendere il modello
delle colonne come la colonna traiana, rilanciando la modalità narrativa del fregio a spirale.
Poche opere come questa colonna mostrano l'amore e la reverenza con cui l'uomo medievale
guardò a volte all'arte classica.

Limburg an der Haardt, resti dell’abbazia benedettina, 1025 circa: Ai piedi del Reno, differenza
tra la navata centrale chi è più grande stato a quelle laterali, monumentalità il senso di
proporzione perché si vuole dare risalto ad essa questa battaglia sei vicina molto
all'architettura romanica.

Spira, cattedrale dei santi Maria e Stefano, consacrata nel 1061: monumentalità, carattere
delle chiese ottoniana, struttura tipica rimangiano si archetti, gli archi della navata arrivano
fino al suo e comprendere le finestre, senso di spazio e di ricerca tecnica e tecnologica nuova.

Isola di Reichenau (lago di Costanza) fine IX inizio X: Centro religioso intorno si è sviluppato un
centro artistico di grande importanza soprattutto per la miniatura ottoniana; le dimensioni
sono contenute ha mantenuto molto bene gli affreschi , i migliori conservati di questo periodo;
ciclo molto ricco , cornici geometriche che non dialogano con l'interno; cornice non piatte,
tridimensionali; c'è un' influenza bizantina perché i carolingi e gli ottoni anni guardano sempre
verso l'interno bizantino.

La guarigione dell’idropico, ultimo quarto del decimo secolo, Reichenau: espressività; saldezza
geometrica quasi dei movimenti impacciati, vivacità narrativa, funzione educativa perché non
sapeva leggere.

Codex Egberti, Egberti tra i monaci Kerald e Heribert e La strage degli innocenti ultimo quarto
X:intorno a Egberto Nasce questa scuola di miniature ;aureola quadrata simbolo che è ancora
in vita; i monaci sono il creatore di questo codice nell'immagine donano il co dice al
arcivescovo; proporzioni, rigidità, monumentalità; assenza di sfondo ; cornice che si rifà ai
miniature carolinge che a loro volta faceva riferimento al movimento irlandesi; figure semplici
per cercare di arrivare in maniera più incisiva lo sfondo quasi inesistente.

Maestro del Registrum Gregori, ottone II in trono e San Gregorio ispirato dalla colomba:
bottone secondo in trono e circondato dalle immagini delle province dell’impero; una
mentalità che ricorda le abbazie dove la struttura è molto schematica. architettura e pittura
erano dunque collegiate perché c'è un richiamo continuo tra le due. affermazione di un certo
potere politico. San Gregorio, altra faccia dove troviamo la narrazione figurativa comunicativa;
Gregorio gigante comunica un potere, considerazione religiosa molto importante.

Ottone III Circondato dai grandi dell'impero e l'evangelista Luca: l'architettura è puramente
decorativa, ottone simbolo del grande potere politico. nel l'evangelista Luca, fantasie
sublimati; l'evangelista e quasi sovrastato dalle figure degli angeli.

Apocalisse di Enrico secondo 1020 circa: immagini quasi caricaturali, aspetto fantasioso del
drago; striscia che funge da separatore, parla aperto dal quale due si affacciano virgola non c'è
la volontà di creare uno spazio. si tratta di un linguaggio figurativo che rinuncia

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volontariamente ha una resa realistica e convincente perché sceglie di raffigurare le attraverso
queste visioni, scene immaginarie.

Antependium di Basilea, ante 1024: La cornice sottolinea la preziosità dell’oggetto, la


decorazione è ispirata all'arte bizantina; figure con la stessa orchestra azione, una figura
centrale più grande che è Cristo circondato dal santi, monumentalità data anche dall’assenza
di sfondo; tutte caratteristiche formali, pregio le sacre; un piccolo accenno di drappeggio ;
carattere mutuo e sontuoso non rinunciano però ha un’espressività.

L’arte romanica

Con romanico si indica la produzione artistica compresa tra XI secolo e il XIII secolo circa. Non
esiste uno stile romanico ma esiste un repertorio romanico c'è un vocabolario artistico nelle
cui pagine si possono individuare idee derivate dal mondo classico, ma anche da quello
bizantino e da quello ottoniano appunto a questo vocabolario architetti e scultori attinsero
elementi e modelli dando forma al loro stile. Ciò che A comune i fenomeni artistici e il contesto
storico, la nuova situazione sociale ed economica trasforma il paesaggio delle campagne e
delle città. Fu nelle città che avendo dei cambiamenti più profondi, Siri popolarono. Aumento
della popolazione si traduce in un maggior peso politico dei centri urbani nei confronti
dell'autorità imperiale punto e due case del duomo di Pisa e di Modena sono emblematici,
entrambe queste cattedrali sorsero all’interno del grande feudo dei Canossa. Elementi
ricorrenti l’architettura romanica sono monofora, bifora, trifola, rosone, archetti ciechi, galleria
cieca, portale strombato, protiro.

Architettura: Nel XIX secolo la scuola positivista volle riconoscere come elemento qualificante
dell'architettura romanica l'uso delle coperture a volta, in particolare delle volte a crociera, una
semplificazione forse un po' forzata dal voler vedere un'evoluzione lineare tra arte alto
medievale e arte gotica, che non corrisponde pienamente alla realtà. Se da un lato infatti
edifici chiave dell'architettura romanica quali il Duomo di Modena o San Miniato al Monte di
Firenze o la chiesa Abbaziale di Saint-Etienne a Caen furono inizialmente coperti con capriate,
solo in seguito sostitute da volte, dall'altro lato l'uso delle volte a crociera, sebbene su zone più
piccole, era già presente fin dall'inizio dell'XI secolo in area germanica e lombarda, come nella
chiesa di Santa Maria Maggiore a Lomello. Anche la caratteristica dell'uso di arcate cieche sulle
pareti esterne è un motivo tipico sì del romanico, ma in uso senza soluzione di continuità in
certe zone europee sin dall'epoca paleocristiana. L'impianto planimetrico più frequente delle
chiese romaniche era la croce latina; la navata veniva scandita in campate ritmiche: alla
campata quadrata della navata centrale in genere corrispondevano nelle navate laterali due
campate pur esse quadrate ma di lato dimezzato. La cripta originariamente era limitata alla
zona sottostante il coro, poi venne estesa come cripta a sala, quasi a creare una seconda chiesa
inferiore. Nelle coperture delle cripte si trovano i primi tentativi di volte a crociera, che intorno
all'XI secolo vennero impiegati anche nelle navate laterali. A partire dal 1080 fanno la loro
comparsa nuovi tipi di copertura: volta a botte in Spagna e in Francia, spesso a sesto acuto
(Borgogna, Poitou); cupole (Aquitania), volta a costoloni in Lombardia e a Durham; volta
reticolare in Germania. Per quanto riguarda le aperture e la luce, in un primo momento le
chiese romaniche erano senz'altro più buie di quelle paleocristiane, per la minore presenza di
finestre e la loro dimensione più piccola, retaggio dell'architettura dell'alto cane, che non era
in grado di costruire palazzi di grandi dimensioni. A volte le pareti esterne erano scandite da

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arcate cieche; mentre come entrata si utilizzavano portali a strombo, arricchiti con figurazioni
scultoree ricavate nello strombo stesso.

Scultura: La scultura romanica nacque in stretto rapporto con l'architettura, decorando


capitelli, architravi e archivolti di finestre e portali. In particolare cambiò anche il pubblico che
fruiva delle rappresentazioni, non essendo più una ristretta élite ecclesiastica o imperiale, ma
un ben più ampio bacino di persone di strati sociali e culturali diversi. I temi, tratti dal Vecchio
e Nuovo Testamento, raffigurati su portali di chiese e cattedrali con funzione didattica,
dovevano essere soprattutto chiari ed efficaci.

Duomo di Modena: La strada che intraprese il romanico a nel duomo di Modena uno degli
esempi più precoci e rappresentativi. In questo Duomo tutto è proiettato all'esterno, con
sculture che punteggiano ogni zona dell'edificio e si congiungono saldamente con le strutture
architettoniche. C'è un documento che descrive lo scenario entro cui sorse l'attuale cattedrale
modenese, si tratta della relazione sulla ricostruzione della chiesa di San Gimignano e sul
trasporto delle sue santissime reliquie, un testo anonimo che racconta in che modo i modenesi
procurarono una nuova collocazione alle reliquie del Santo protettore. La ricostruzione della
cattedrale fu del tutto legata al corpo del Santo; mentre ai nostri occhi e chiese medievali sono
testimonianze storiche e artistiche. Per gli uomini di età romanica esse erano il luogo del sacro,
dove l'esperienza religiosa si realizzava pienamente. L'intensità della devozione del culto che
induceva ad affidare ad artisti della miglior qualità il compito di costruire le chiese e di
decorarle. La relazione è corredata di quattro miniature che illustrano la costruzione
dell'edificio. tre di queste immagini mostrano il protagonista dell’impresa cioè l'architetto
Lanfranco descritto come meraviglioso artista e stupefacente e costruttore. La decisione di
costruire il Duomo fu presa da diversi gruppi sociali che stavano per formare il comune
modenese. La quarta miniatura è interessante perché mette in evidenza la grande
autorevolezza che l'architetto si era guadagnato, ma soprattutto perché raffigura i protagonisti
della scena politica e religiosa, la contessa Matilde di Canossa, i monaci di Nonantola, Dodone
vescovo di Modena e Bonsignore il vescovo di Reggio Emilia, e soprattutto i cittadini
sorvegliano in armi di sarcofago con le reliquie del Santo protettore. Lanfranco fu capace di
creare un edificio che da una parte si rifà la tradizione paleocristiana e altomedievale e
dall'altra è aggiornato secondo gli schemi tipici della nuova architettura del XI Secolo. Navate
interne sono i mattoni e in origine coperte con grandi travi in legno, mentre l'esterno è
totalmente rivestito da conci di pietra. Grazie la pietra risalto rispetto agli edifici circostanti per
il suo colore prevalentemente bianco. Lanfranco era riuscito a recuperare i marmi dalle rovine
sepolte negli strati romani della città, ma aveva anche fatto venire una grande quantità di
blocchi di pietra dalle Prealpi venete. Fu un enorme sforzo economico e tecnico. I materiali
vengono lavorati con estrema cura con gli strumenti a disposizione in età medievale.
All’interno il Duomo è a tre navate, in cui pilastri quadrilobati si alternano a colonne con
capitelli di tipo Corinzio. Il presbiterio è sopraelevato a causa della presenza della cripta,
destinata appunto alle reliquie del Santo protettore. Le attuali volte in mattoni vennero
aggiunte nel XV secolo a causa dell'acqua mentre il progetto originale prevedeva un tetto
sostenuto da travi in legno. Sopra ciascun’arcata della navata maggiore troviamo il motivo
della trifora, una finestra suddivisa in tre aperture mediante due colonnine. Questo motivo fu
uno degli elementi che permisero a Lanfranco di dare unità di forme all'edificio. Le trifore
tornano infatti lungo tutto l'esterno forse sotto arcate a loro volta sostenuti da semicolonne
una dopo l'altra, formano un loggiato che gira attorno all’edificio in certi punti come ad
esempio la facciata è accessibile e praticabile. La copia di semicolonne, l'arcata, la trifola e la
sottostante cornice di archetti formano un modello che si ripete, con un ritmo regolare e

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armonico lungo tutte le facciate esterne del Duomo. Lanfranco decise che la scultura dovesse
avere un ruolo di primo piano all'esterno. I grandi capitelli delle semicolonne e dovevano
essere il più possibile i vari e non solo di tipo Corinzio.

Epigrafie presente a sinistra della porta centrale, in una posizione ben visibile da giù. Il
patriarca Enoch e il profeta Elia reggono una lastra su cui è incisa un’elaborata iscrizione in
latino, che riporta la data di fondazione del duomo, una seconda scritta più piccola che celebra
l’autore delle sculture della facciata.

Facciata è da attribuire a Wiligelmo per intero. Volontà di trasformare la chiesa in


un’enciclopedia parlante per la popolazione che non aveva modo di attingere in altro modo a
questa sapienza. Sculture con le storie del primo libro della Bibbia, la Genesi. In origine i rilievi
erano alla medesima altezza, più tardi, nuovi lavori affidati ai Campionesi, aprirono un grande
rosone e due porti laterali. Fu allora che il primo e il quarto bassorilievo vennero collocati su un
livello più alto. I quattro rilievi ospitano in tutto tredici scene, Che si incentrano prima su
Adamo ed Eva, poi sui figli Caino e Abele e infine su Noè e il diluvio universale. Cominciando
dalla prima a sinistra abbiamo 1 Dio in mandorla all'inizio della creazione del mondo con in
mano il Vangelo di San Giovanni;

2 Creazione di Gesù, c'è un’attenzione al panneggio, voleva mettere in evidenza la sacralità del
personaggio, attenzione narrativa e particolari dove Dio è sacro e Adamo è una forma che si
sta facendo e quindi non ha caratteristiche umane, ad esempio mancano gli organi sessuali; 3
Adamo fatto ancora privo degli attributi e come lui anche Eva qui siamo nel paradiso, possiamo
notare come non ci sia il seno. 4 Scena del peccato, gli organi si sviluppano segna il punto del
peccato virgola e due assumono un atteggiamento preoccupato e si coprono. Anche le colonne
e gli archi inseguono in seguito perdono la loro purezza diventando più spogli gli archi
forniscono uno sfondo alcune colonne ci sono altre no e sono i personaggi che fanno da
colonna questo riferimento al mondo classico. per Wiligelmo un classicismo quasi ironico non è
una forma da prendere e usare ma una forma sulla quale lavorarci sopra.

1Adamo Eva rimproverati, Dio camminando incontro ai due che sono sbigottiti e poi vengono
cacciati punto2 la cacciata qui abbiamo quattro lastre che corrispondono a tre scene punto3
lavoro dei progenitori hanno vestiti, popolare. Arrivati a questo punto hanno usato materiale
di spoglio perché non ne avevano e hanno trovato un giacimento.

le lastre sono 5 e sono rappresentate tre scene; uno storia Caino e Abele sacrificio al signore;
Dio è piccolo perché non è più protagonista. 2 Omicidio di Abele che contorto e sgraziato. 3
maledizione di Dio. La differenza nelle pietre si può osservare nel loro mantenimento.

1Caino viene ucciso da un cacciatore per sbaglio. 2 diluvio universale virgola non c'era più uno
giusto sulla terra, dall’arca si affacciano Noè e la moglie. 3 Noè e i suoi figli i panneggi qui sono
più morbidi, le forme più tonde e avvolgenti, più classico.

Il portale centrale: L’Antico e il nuovo testamento si congiungono nel portale centrale,


preceduto da un protiro, una sorta di piccolo portico che culmina con una casa ed è sostenuto
da due colonne, si tratta di una novità assoluta. Sugli stipiti interno del portale troviamo 12
profeti. All’esterno degli stipiti Wiligelmo prende dalla grammatica ornamentale classica un
motivo destinato a sua volta essere spesso ripreso nel corso del XII-XIII secolo cioè quello del
traccio abitato. Wiligelmo abolisce ogni secchezza, rianima la vegetazione, inserisce animaletti,
essere fantastici e piccoli uomini che si fanno strada tra il fogliame fittissimo. Alla base degli
stipiti esterni c'è una figura che in Wiligelmo diventa un tema ricorrente cioè il telamone o

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Atlantia, un personaggio che sorregge una struttura architettonica ancora una volta è un
motivo attestato nell'arte classica. Il telamone e un corpo umano che si salda le strutture
inanimate dell'edificio la figura in cui si realizza perfettamente la fusione tra architettura e
scultura voluto sin dall’inizio da Lanfranco e che caratterizzerà poi le chiese romaniche.

Lato destro cioè fianco meridionale abbiamo porta principi che è originale e portare reggia è
stata fatta dopò in marmo di Verona, è stata aggiunta dai maestri campionesi. Sulla parte
finale troviamo il punto di incontro dove non c'è la galleria ma c'è una finestra. Porta principe e
originale ci sono le storie della vita di San Gimignano. Ci hanno lavorato due scultori diversi tra
sopra e sotto ma lavorano nell'area di Wiligelmo.

Sul retro troviamo un'altra epigrafe che ricorda Lanfranco.

Porta della pescheria. i temi scolpiti sul lato settentrionale sono alquanto vari, ancora il tralcio
abitato e i telamoni, alcune favole antiche come il lupo e la gru la volpe l'aquila , i lavori dei
mesi dell'anno. Ciò che colpisce di più e sull’archivolto, la scena in cui alcuni cavalieri e
assaltano un castello dove è rinchiusa una donna. Una scritta accanto a uno dei cavalieri toglie
ogni dubbio, si tratta di Artù e dei cavalieri della tavola rotonda. Una leggenda che non era
ancora stata fissata per iscritto nella letteratura europea e che quindi ero arrivata qui a
Modena grazie ai racconti dei pellegrini in viaggio. È possibile che siano stati i nobili a volere il
portare della pescheria e i temi della scultura che lo rivestono.

Gislebertus, giudizio finale, 1130-1140:7 Horror vacui , decorazione anche all'esterno delle
chiese perché le chiese essendo un edificio sacro avevano un ruolo centrale politico e sociale
aveva una funzione di educare e rivelare un messaggio allo spettatore, cioè i pellegrini questa
apertura verso i pellegrini porta ad un allargamento della struttura , molte cappelle che
permettono più riti contemporaneamente , Gesù dimensioni gigantesche ; culto delle reliquie
ogni chiesa ha una reliquia di un Santo.

Cluny abbazia aveva il controllo su altre chiese tra cui la chiesa di San Lazzaro. si comincia ad
uscire dall' anonimato gli artisti lasciano le firme sotto forma di epigrafi dunque c'è
un’importanza maggiore degli artisti. C'è un dialogo tra struttura e scultura.

Gislebertus, tentazione di Eva 1130 circa: gli spazi si riempiono di storie sacre ma anche dei
mostri in questo caso abbiamo un'immagine bizzarra ma elegante.

Gislebertus , capitelli fuga in Egitto e sogno dei Magi , 1130 circa: fioritura del capitello
decorato, la notazione trova forza spazio , intorno alla scena sacra decorazioni bizzarre ma
funzionali alla struttura.

Missione di Cristo agli apostoli, 1125 - 1130: Chris centrale grande intorno a lui apostoli che
assumono le varie missioni, e una visione quasi enciclopedica.

Tentazione di Eva e morte del ricco epulone, seconda metà del 12º secolo: immagini
sorprendenti (il mostro) giusto nel racconto drammatico e comico. Grande ricchezza narrativa.

Tolose Saint Sernin: la basilica si presenta come un compendio di tutte le espressioni dell’arte
romanica, grazie alle imponenti strutture architettoniche, all’apparato scultoreo e a quello che
resta degli affreschi all’interno del tempio. La chiesa ha pianta a croce latina, è preceduta da un
nartece all’estremità ovest ed è dotata di ampio transetto e di abside semicircolare orientata.

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Per la sua edificazione vennero utilizzati mattoni di cotto e pietra calcarea chiara, che
conferiscono all’edificio la particolare bicromia che lo caratterizza.

Mossaic Saint Pierre: Ricca di sculture sia il portale che il chiostro , i pilastri angolari sono fatti
di santi e apostoli , i capitelli hanno la stessa vena nella narrativa. Sul portale troviamo Isaia e
San Paolo, Le figure sono eleganti ma esageratamente grandi , la barba e capelli di Isaia
accompagnano i drappeggi.

L’arte romanica in Italia

Milano, basilica di Sant’Ambrogio fine XI secolo: Italia non è ancora uno stato, il nord guarda
verso l'Europa e il sud guarda verso altri modelli come Bisanzio e gli arabi che si sono infiltrati
in Sicilia e Spagna. Ci sono differenze regionali. In Italia persiste da sempre una cultura classica,
un esempio è la pianta della basilica di Sant’Ambrogio. Inizialmente fu una chiesa costruita da
Ambrogio vescovo di Milano intitolata ai martiri Gervasio e Protasio. in seguito presso la chiesa
venne fondato un monastero benedettino e si insediò una comunità di sacerdoti. Le diverse
esigenze liturgiche costringono ad adattare la chiesa alle nuove funzioni e l'area presbiteriale
fu sistemata anche per raccogliere lo splendido altare realizzato da Vulvinio e della sua
bottega. Ma fu soprattutto nel 11º secolo che iniziano i lavori destinati a trasformare l’interno
e l’esterno. La chiesa priva di transetto è preceduta da un grande quadriportico su pilastri, di
eccezionali dimensioni, il colore dominante è il rosso dei mattoni che si combina con la pietra
grigiastro dei pilastri. La facciata a campana si innesta su un lato corto del quadriportico così
che sull'ingresso si formi un atrio e al di sopra un loggiato in alto lungo il bordo degli scriventi
corre una cornice di archetti pensili che si trovano anche nel quadriportico e nella navata
interna , si tratta di un motivo decorativo tipico dell’architettura romanica in tutta Europa, da
una parte all'altra della facciata si innalzano due campanili a pianta quadrata a destra quello
dei monaci e a sinistra quello dei canonici . All’interno grandi novità, con l'architettura
ottoniano come l'adozione dei pilastri e volte a crociera. Scompaiono le colonne per lasciare il
posto a una serie di massicci pilastri che si alternano a pilastri minori. questi grandi supporti
servono a sostenere le ampie volte a crociera costolonata, che copre la navata maggiore, a
ognuna di esse corrispondono due volte a crociera nelle navatelle. Sulla navata maggiore, al di
sopra delle navate minori si affacciano infine i matronei. Troviamo uno spazio suddiviso in
grandi volumi accostati l'uno all'altro, definiti dai pilastri maggiori e, in alto, delle volte: le
campate. A questa nuova scansione dell’interno si aggiungono anche i capitelli il cui schema
complesso deriva dalla struttura articolata dei pilastri su di essi scorre un repertorio
iconografico variegato di animali, intrecci, motivi vegetali.

Niccolò, particolare del portale maggiore 1135 Ferrara, duomo: La facciata conserva in gran
parte la struttura e le decorazioni di età romanica, a cominciare dal portale maggiore firmato
da Niccolò, uno degli scultori di età romanica. La differenza di quanto aveva fatto Wiligelmo nel
portale del duomo di Modena, Nicolò non lascia vuota la lunetta ma anzi vi colloca le imprese
più importante del Santo titolare della chiesa cioè, la lotta di San Giorgio con il drago nel suo
momento culminante. Dopo aver confiscato una lancia tra le fauci del mostro il Santo ha girato
il cavallo e agita la spada per finire l'animale. In questo modo si mostra le due armi per
eccellenza cioè la lancia e la spada gliela un aumento dei cavalieri, Come anche la maglia
metallica, lo scooter, i finimenti della cavalcatura. Descrivendo questi dettagli lo scultore
sottolinea di fatto l'importanza dei cavalieri, una delle classiche componevano la comunità
civica. Sotto la lunetta ci sono episodi della vita di Gesù come la visitazione, la Natività,

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annuncio ai pastori, l'adorazione dei Magi, la presentazione al tempio, la fuga in Egitto, il
battesimo di Gesù. L’Annunciazione trova invece posto sulla strombatura del portale in questo
modo acquista risalto maggiore, a sinistra l'arcangelo Gabriele che tiene una scritta in cui si
legge “Ave Maria” e destra la Vergine che risponde” ecco la serva del Signore”. Nicolò lasciò
grande spazio alla scrittura. Le strombature accolgono anche le creature che popolano
l’immaginario dell’uomo dell’epoca romanica.

Verona, chiesa di San Zeno: Nicolò fu lo scultore della facciata ma in questo caso forse anche
l'architetto.

Rilievi della facciata dove sono compresi ancora la genesi sei scene sul lato a destra del
portane e 12 scene del Vangelo sulla parte destra. Wiligelmo scelse una narrazione distesa
lungo un fregio Nicolò invece immagino le scene isolate l'1:00 dall'altra, su due registri che
vanno letti dal basso verso l'alto. Dirigemmo ha tenuto ben distinte le scene accessori mentre
Nicolò le ha collegate le une alle altre, nella parte più bassa della parete di destra dedica
addirittura due di quadri a un episodio la leggenda di Teodorico. Tre versi latini spiegano che
cosa accade, mentre faceva un bagno il re goto vide passare un cervo e lo insegui a cavallo,
senza accorgersi che l'animale era stato mandato dal demonio per trascinarlo fino all'inferno. è
un perfetto esempio della tendenza degli uomini al peccato. Gli altri riquadri salendo verso
l'alto raccontano una storia della creazione dell'uomo del suo primo peccato davanti a Dio e
quello di Adamo Eva. è proprio sulla scena della creazione di Adamo che Nicolò incisa la
propria firma confermando così di esserne particolarmente soddisfatto. A differenza di quanto
aveva fatto Wiligelmo, Nicolò ha raffigurato Adamo ancora priva di vita, L’Eterno, avvolto in un
abito dalle fitte pieghe, gli sta di fronte e con un gesto benedicente dà la vita. Adamo e
circondato da una decorazione vegetale a sua volta compresa entro una delicata cornice a
ricordare che l'episodio si svolgeva nel giardino.

La lunetta è il Santo patrono San Zeno benedice le milizie cittadine 1138 circa Verona San
Zeno: nella lunetta al di sopra della porta d’ingresso, a sinistra è rappresentato un gruppo di
Fanti mentre a destra un gruppo di cavalieri si raccoglie attorno alla figura di San Zeno che sta
in piedi. Zeno è ben riconoscibile come vescovo attraverso la mitra sul capo e il bastone
pastorale in mano e come Santo sta schiacciando il demonio. la scritta che gira intorno alla
scena è esplicita, si parla proprio della bandiera che sta sventolando in mezzo al popolo tra le
lance. In questo bassorilievo le contrapposizioni politiche passano in secondo piano e i diversi
ceti sociali della città stanno tutti insieme e sono stretti attorno alla figura del loro Santo
patrono.

Niccolò, adorazione del bambino, lunetta del portale, 1139 circa Verona, Duomo: Lo scultore
ripropose con alcune varianti lo schema già sperimentato dei portali Di Ferrara e di San Zeno. I
soggetti furono adeguati al nuovo contesto, nella lunetta ora è protagonista la Virginia a cui è
intitolata la chiesa accanto alla vergine con il bambino in trono sono scolpiti l'annuncio e
pastori e l'adorazione dei Magi. Anche in questo portale lo scultore cercò delicate disarmonie,
al centro una vergine rigida e rigorosamente frontale, ai lati di l’agitarsi delle mani e delle
gambe dei pastori dei Magi. Ancora una volta è affidato a una scritta il compito di spiegare il
senso dell'immagine cioè qui il signore il grande leone Cristo, appare come un agnello, non si
vedono né l'uno né l'altro animale e così il fedele e invitato a cogliere il senso simbolico del
testo come delle immagini. L'architrave ospita tre medaglioni con la personificazione della fede
della carità e della speranza, virtù cristiane per eccellenza.

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Piazza dei miracoli: I miracoli di Pisa sono i monumenti come il Duomo, la torre pendente, il
Battistero il Camposanto. Quattro edifici medievali, nonostante i danni del tempo si
conservano splendidamente e ci pongono davanti alla storia civile, culturale e artistica di quella
che fu una delle più importanti potenze commerciale, militari nel Mediterraneo durante il
medioevo.

Il progetto di Buscheto: la grandiosa cattedrale dedicata a Maria Assunta divenne espressione


visibile della imponente espansione politica e mercantile della città. La celebrazione delle
imprese militari e l'esaltazione delle imprese architettonica sono perciò tutt’uno, per questo le
iscrizioni vengono concentrate nella zona sinistra della facciata del duomo nel punto in cui la
città espone e conserva la propria memoria. e qui anche l'epigrafe, in ricordo del vescovo
Guido, sotto il quale iniziò la costruzione. ma soprattutto troviamo l'incisione in onore di un
artista medievale, quella per Buscheto, il primo architetto della cattedrale. Il progetto è del
tutto originale ma egli fece proprie soluzioni architettoniche che avevano una storia e una
geografia molto variegate. L’idea di avvolgere il corpo della chiesa con un paramento di pietra
in cui si alternano fasce di colori e dimensioni, calcare bianco e calcare grigio, sono simili
all’esterni delle moschee in oriente e in Spagna. Uno dei segni più impressionanti di questo
sguardo rivolto verso l’oriente e il grifone bronzeo, già posto al culmine dell’abside maggiore.
Si trattava in origine di un getto di fontana, operata realizzata nella Spagna araba. Collocare in
un punto cosi visibile, un oggetto tanto singolare era forse un modo per richiamare le vittorie
sulle flotte saracene ma era certamente una maniera per rendere omaggio a un linguaggio
artistico del tutto diverso da quello romanico. L’attenzione di Buscheto è tutta per la struttura
architettonica e la scultura finisce per avere un ruolo marginale. Attorno al XII secolo iniziò una
nuova campagna di lavori e la cattedrale venne allargata verso ovest. Sul fianco meridionale si
riconosce facilmente per il cambio di colore delle pietre. Rainaldo è il nuovo direttore. Grazie a
un’epigrafe sulla facciata conosciamo il suo nome. Fu realizzata in un raffinatissimo intarsio di
marmi colorati del resto tutta la facciata è un susseguirsi di decorazioni in pietra composite, di
colonnine multicolori, di capitelli squisitamente lavorate, di cornici sottilmente rifinite.
Rainaldo ha preso dall'altro artista dell’apside le arcate cieche in basso e le loggette in alto e ha
interpretato questa idea nel segno della preziosità.

L'interno: Per il primo artista dunque era una chiesa a 5 navate sorrette da gigantesche
colonne, alcune vennero eseguiti appositamente altre erano di spoglio. Un grande transetto a
sua volta costituito da tre navate e con absidi sulle due testate, interrompi le 5 navate,
all'incrocio tra quella maggiore e il transetto sorge una cupola a spicchi impostata su un
ottagono e di profilo ovoidale. Alla fine delle navate più piccole, due scale monumentali
conducono ai matronei, una vera e propria chiesa superiore. Adottare i colonnati, una
copertura con travi lignee significava andare in una direzione diversa rispetto a quella
dell’architettura romanica in Europa. Anzi significava collocarsi nella scia delle grandi
architetture paleocristiane.

Diotisalvi, Battistero, inizio nel 1153: e di fronte alla facciata del Duomo. Il Battistero primitivo
era di forma ottagonale. la nuova costruzione abbandonò del tutto questa pianta per
adottarne una completamente diversa. È a pianta circolare con una serie di colonne che
formano un di ambulatorio e una cupola. Pisa che da decenni e protesa verso l’oriente, dovete
essere quasi naturale scegliere come modello una chiesa di Gerusalemme. Diotisalvi, un artista
romanico ancora una volta noto grazie alle firme. Feci arrivare 8 colonne. Cercò di armonizzare
interno ed esterno del Battistero con il Duomo di Rainaldo sia per il rivestimento in blocchi di
marmo di due colori sia per le sequenze di arcate cieche. Rispetto al tempio di Diotisalvi

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l'aspetto esteriore del Battistero e in gran parte mutato a causa della loggetta esterna, i cui
capitelli e sculture vennero eseguiti dalla bottega di Nicola Pisano.

Bonanno, Torre campanaria, iniziata nel 1173: la città ha il suo simbolo nella torre
campanaria. La sua fama è dovuta alla pendenza, ma la torre è unica nel suo genere. Quando i
pisani ne gettarono le fondamenta non sapevano che in quell’area scorreva fino a pochi secoli
prima un fiume che gettava nell’Arno. Il sottosuolo, una pianura alluvionale, è composto da
strati di sabbia e argilla, e tende a cedere sotto il grande peso della Torre. Dei suoi 8 ordini, o
piani, i primi 4 sono stati edificati in soli 5 anni, ma la Torre si inclino verso nord in direzione
opposta alla pendenza naturale, e il cantiere fu interrotto per quasi un secolo. Nella seconda
fase 1272-1278 si innalzarono i tre ordini dal quinto al settimo, spostando abilmente il peso
per compensare la pendenza, ma l’effetto fu di inclinare la torre verso sud e il cantiere fu
interrotto di nuovo. Infine dal 1361 al 1370 fu edificata la cella campanaria, decentrandola in
modo da ridurre la pendenza. In questo lungo periodo il progetto iniziale si Bonanno rimase
sempre lo stesso, con misure rigorosamente calcolate. La pendenza della torre si accentuò nel
tempo e l’allarme per un possibile crollo nomino un comitato internazionale di esperti che in
undici anni dal 1990-2001 risolse il problema con una tecnica avanzatissima e senza alterare la
struttura del monumento. Si provvide a estrarre gradualmente piccole quantità di terreno dal
sottosuolo sul lato nord, si creavano cosi minuscole cavità che la torre chiudeva con il suo
stesso peso, riducendo la propria inclinazione. La torre di Pisa fa dialogare arte e scienza.
Vasari i lavori furono iniziati da Bonanno Pisano. La tesi del Vasari, ritenuta priva di
fondamento, fu invece ritenuta valida soprattutto dopo il ritrovamento nelle vicinanze del
campanile di una pietra tombale col nome del Bonanno, murata nell'atrio dell'edificio; inoltre
nell'Ottocento fu rinvenuto sempre nei dintorni un frammento epigrafico di materiale rosa,
probabilmente un calco su cui venne fusa una lastra metallica, che trova collocazione sullo
stipite della porta di ingresso dell'edificio. Su tale frammento si legge, rovesciato: "cittadino
pisano di nome Bonanno". Tale calco con tutta probabilità era relativo alla porta regia del
Duomo, distrutta durante l'incendio del 1595.

Giovanni di Simone, Camposanto, 1278. Il Campo Santo, noto anche come Camposanto
monumentale o Camposanto vecchio, è un cimitero storico monumentale di Pisa, che chiude il
lato nord di piazza del Duomo. Il cimitero fu iniziato nel 1277 da Giovanni di Simone, come
ricorda l'iscrizione latina posta al lato del portale destro. Secondo la tradizione l'occasione fu
data dall'arrivo di "terra santa" proveniente dal Golgota, portata dalle navi pisane di ritorno
dalla quarta crociata. Nella realtà fu più semplicemente creato per raccogliere tutti quei
sarcofagi e le varie sepolture che si andavano affollando attorno alla cattedrale.
Architettonicamente il Camposanto è composto da un alto muro di forma rettangolare, con il
lato verso il Duomo e il battistero più allungato. All'esterno è in semplice marmo bianco, con
43 arcate cieche con testine umane sugli attacchi degli archi, e due porte sul lato meridionale.
L'accesso principale è quello che dà sulla piazza, a est, ed è decorato da un ricco tabernacolo
gotico sopra il portale di accesso, opera della seconda metà del XIV secolo, contenente statue
della Vergine col Bambino e quattro santi di un seguace di Giovanni Pisano, e Angeli di Tino di
Camaino. La semplicità della struttura esterna forma un'ideale quinta al complesso
monumentale della piazza, particolarmente azzeccata anche perché poggia su un asse inclinato
rispetto a quello Duomo-Battistero, facendo sì che la piazza sembri ancora più grande
guardandola dalle estremità, per un gioco ottico della prospettiva.

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Bonanno pisano, porta di San Ranieri, 1190 circa: sul fianco meridionale del Duomo
incontriamo un'altra figura di artista. L'opera non è firmata ma le analogie tecniche strutturali
e stilistiche con quella firmata e datata 1186 del duomo di Monreale rendono sicura la sua
attribuzione. Alla base dei battenti sono raffigurati i 12 profeti, ciascuno separato da una
palma, albero dal valore simbolico. Al di sopra l'artista ha disposto il 20 formelle, ciascuna con
un episodio del Vangelo, impaginati dal basso verso l'altro. Nella parte superiore infine vi sono
due riquadri uno con Cristo l'altro con la Vergine in trono tra gli angeli. Le formelle e riquadri
furono fissati tramite chiodi che a loro volta furono coperti da rosette. Uno dei momenti in cui
risulta più chiaro il modo di procedere dell’artista e quello della natività. In essa compaiono
tutti i protagonisti che da secoli l'arte bizantina aveva previsto per questa scena cioè Maria
distesa su un giaciglio, Giuseppe in disparte, le serve affaccendate con un bacile, la mangiatoia
con il bambino in fasce riscaldato da bue e asinello e virgola un altro due pastori che
continuano zufolare con le loro fiaschette e le borse a tracolla, mentre gli angeli li avvisano
della nascita di Gesù e 5 pecorelle orlano il bordo della grotta. insomma la stessa scena di
Castelseprio ma rovesciata poiché Gesù e come un puntino là in fondo alla grotta e i pastori gli
angeli gli attori principali. La prima impressione che la scena sia scombinata. In realtà la l'artista
cerca di rendere la diversità delle collocazioni dei personaggi Gesù piccolissimo perché è là in
fondo alla grotta. quindi esiste lo spazio, c'è il desiderio di restituire l'effetto tridimensionale.
Dunque questo artista è uno dei primi che si pone un nuovo problema.

Battistero di Firenze, terminato prima del 1128: tutt'oggi mancano punti di riferimento
cronologici affidabili. Stupisce il carattere così marcatamente classico del Battistero. Ma le
indagini recenti hanno tolto ogni dubbio, si tratta di un edificio medievale. Un documento
riferisce che nel 1128 le funzioni battesimali vennero spostate dalla primitiva cattedrale
Fiorentina di Santa Reparata al Battistero. Attorno a questa data quindi la costruzione doveva
essere in buona misura completata. la pianta dell'edificio è ottagonale a cioè quella forma che
dall'età paleocristiana gli diviene canonica per i battisteri. L'esterno è ovunque rivestito di
pietra vennero usati serpentino verde di Prato e il bianco di Carrara. il punto di riferimento e il
Duomo di Pisa. Se diverse pietre vennero tagliate e congiunte in modo tale da formare
compartimenti geometrici sempre varianti per profilo e misura. Nella zona più bassa due
lesene dividono il lato in tre campi entro cui si dispongono delle serie di rettangoli di altezza
diversa anche in quella mediana viene ripreso la scansione ternaria ma questa volta le lesene
sostengono tre arcate cieche a tutto sesto su ogni lato, a loro volta le arcate accolgono una
finestra ciascuna , finestre che con un andamento alternato ora sono ricavate sotto una
arcatella ora sono un architrave e un frontoncino . Infine nella zona più alta appena sotto la
cupola e verde di Prato disegna specchiature rettangolari. Regna dappertutto un ordine
misurato, un ritmo regolare di superfici scanditi da pochissimi elementi scultori. Desiderio di
esattezza, di precisione nelle cornici che separano gradatamente ma con chiarezza una zona
dall’altra, nei profili minuziosamente scolpiti delle finestre. L’architetto sembra affermare che
la specificità dell’architettura classica non consiste tanto nella grandiosità quanto all’attenzione
al dettaglio: la giunzione dei blocchi, la lisciatura delle pietre, la millimetrica definizione delle
cornici. Sono proprio questi elementi che caratterizzano il Romanico fiorentino li ritroviamo
anche nella facciata della chiesa di San Miniato al Monte. La metrica severa all’esterno prepara
per lo spettacolo omaggio all’architettura degli antichi che c’è all’interno. Con ogni probabilità
l’artista pensava al Pantheon, come ad esempio la coppia di colonne che reggono un architrave
nella zona inferiore poi la soluzione del rivestimento in marmi policromi. Le combinazioni di
marmi verdi e bianchi nella zona bassa sono ancora semplici come all’esterno ma si fanno
sempre più complessi a mano a mano che si sale a livello dei matronei, dove diventano vere e

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proprie tarsie; poi si semplificano di nuovo a livello del tamburo della cupola, dove si sussegue
una sequenza si compartimenti quadrati. Anche all’interno la scultura sottolinea i passaggi
architettonici con scansioni sottili quanto nette; le lesene sono scalate e rudentate, cioè con
sottili cilindri all’interno delle scanalature come nell’architettura antica, e sui modelli antichi
sono pensati i capitelli e i semi capitelli delle lesene. Nell’interno l’architetto romanico si affidò
solamente alle partiture marmoree e al repertorio ornamentale classico, ritenendo questo il
modo migliore per rendere grandioso il luogo del battesimo e per onorare san Giovanni
Battista. Tra il XII-XIII secolo la gestione dell’edificio passo nelle mani dell’Arte di Calimala, la
potente corporazione che riuniva i mercanti di stoffe. Una delle iniziative è la decorazione del
pavimento, in cui si attenua il rigore del progetto iniziale del Battistero. Ai marmi chiari e scuri
si aggiungono anche altri colori. Si lascia più libero sfogo al piacere della decorazione. La
superficie ottagonale viene suddivisa in tanti settori, triangolari, quadrati o rettangolari, in
alcuni gli artigiani hanno rinnovato l’opus tessellatum romano in altri hanno creato partiture
ornamentali del tutto assenti nell’arte classica. L’area in prossimità della porta orientale in
direzione della facciata delle Cattedrale è sovrabbondante di motivi e soluzioni nuove. C’è
anche il grande Riquadro dello Zodiaco, con figure bianche sul fondo scuro. Il quadrato
contiene un doppio rosone, nel primo i dodici tondi con i segni zodiacali che sono separati da
colonnine e circondati da vegetazione; al centro del secondo rosone si riconosce l’immagine
del sole, circondato da una frase, avvitandomi su me stesso compio dei cicli e ruoto con il
fuoco. È una scritta palindroma, leggibile in due direzioni. Gli artigiani presero a modello stoffe
e tessuti in particolare quelli del mondo arabo.

San Miniato al Monte, Firenze 1018-1063. La facciata di San Miniato è uno dei capolavori
dell'architettura romanica fiorentina, ispirata a un classicismo solido e geometrico ripreso dalle
tarsie marmoree degli edifici monumentali romani. Venne iniziata nell'XI secolo ed è divisa in
due fasce principali: quella inferiore è caratterizzata da cinque archi a tutto sesto sorretti da
colonne in serpentino verde con basi e capitelli corinzi in marmo bianco, richiamo alle prime
basiliche paleocristiane a cinque navate (in realtà la chiesa fiorentina di navate ne ha solo tre);
la parte superiore mette in evidenza la struttura della chiesa, con le due falde simmetriche
delle navate laterali che ci fanno percepire la presenza delle tre navate. I due frontoni
simmetrici delle navate laterali sono decorati con una bicromia di marmo bianco e serpentino
verde di Prato, che tramite forme geometriche ricostruiscono l'opus reticulatum romano. La
parte centrale del secondo livello è caratterizzata da un ideale loggiato tetrastilo sorretto da
quattro pilastri, che la dividono in tre parti. Al centro del loggiato è presente una finestra
incorniciata da due colonne, sorrette da teste di leone marmoree, che sono sormontate da un
timpano al cui centro è presente un intarsio di un vaso tra due colombe. Nel riquadro
superiore si trova il mosaico di Cristo tra la Vergine e san Miniato, che fu composto nel 1260. Il
frontone infine riprende lo stile del primo ordine con una serie di nove archi bianchi e verdi
sormontati da una croce e da candelabre. Le parti superiori risalgono almeno al XII secolo e
furono finanziate dall'Arte di Calimala (corporazione dei mercanti di lana), che fu responsabile
del mantenimento della chiesa dal 1288 (l'aquila di rame che corona la facciata era il loro
simbolo). L'interno della chiesa è alquanto inusuale, col presbiterio e il coro rialzati su una
piattaforma sopra la grande cripta, ed è cambiato di poco dalla prima costruzione dell'edificio.
Si accede alla parte superiore da due scalinate laterali, che sono in collegamento con le due
navate laterali, mentre dalla navata centrale, dietro l'altare inferiore, si diparte la più breve
scalinata per discendere alla cripta. Un arcone decorato da tarsie marmoree si erge al centro
della navata (all'altezza delle scalinate) e richiama quello retrostante dell'abside, nelle stesse
forme. Il pavimento intarsiato risale al 1207 e, con quello del Battistero è tra i migliori della

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città, soprattutto riguardo al pannello dedicato allo zodiaco, che ha una precisa corrispondenza
con quello di San Giovanni.

Roma, San Clemente interno 1099-1125. Sotto l chiesa si trova una complessa stratificazione
archeologica che va dai primi secoli dell’impero romano fino al medioevo inoltrato. Negli strati
più bassi troviamo resti di edifici residenziali. L'interno della basilica è suddiviso in tre navate,
senza transetto, con un'abside semicircolare; le navate sono separate da colonne romane di
spoglio. Nell'abside centrale è conservato il meraviglioso mosaico, realizzato poco dopo il
1100, con al centro Cristo crocifisso tra la Vergine e San Giovanni Evangelista.

Roma, San Clemente, abside, 1128. Un grande mosaico realizzato intorno al 1120, ricco di
immagini. Il tema principale è quello della crocifissione di Gesù al centro con Maria e san
Giovanni evangelista sotto la croce, sul cui legno si sono appoggiate 12 colombe bianche. A
parte questo ultimo dettaglio è uno schema consuete nell’arte bizantina, come lo è anche la
mano destra di Dio che appare tra le nuvole al di sopra della croce. Sotto la crocefissione c’è un
grande cespo d’acanto da cui escono girali che riempiono ordinatamente quasi tutta la
superficie del mosaico. Gli spazi tra un girale e l’altro sono occupati da figure di piccole
dimensioni, uomini in abiti militari, monaci e 4 santi, (Girolamo, agostino Gregorio e
Ambrogio), amorini alati, una civetta, e altri uccelli. L’affollamento variopinto aumenta nella
zona bassa; due cervi al centro si abbeverano a un terrente ma ci sono anche uccelli in gabbia,
una gru, dei pavoni, un’anatra, un gallo, dei rapaci, una lucertola, una donna che dà il mangime
alle galline, dei pulcini, alcuni pastori con il gregge. I due cervi che si abbeverano traducono in
immagini le parole del Salmo 42 (come una cerva anela ai corsi d’acqua, cosi l’anima mia anela
a te, Dio). Le figure degli animali non sono semplici motivi decorativi, ne offrono un’altra
conferma le pecorelle che circondano poco più in basso, L’agnello di Dio posto sotto la croce,
lo abbiamo già incontrato nell’arte ravennate. La scelta tecnica come il mosaico non è casuale:
come la chiesa riformata da papa Gregorio VII riscopre la purezza, l’autenticità e lo slancio
spirituale della chiesa delle origini cosi le nuove immagini richiamano alla mente le antiche,
riproponendo tecniche, il mosaico appunto, schemi compositivi, la decorazione di un catino
absidale, forme il fondo aureo, l’acanto e iconografie. Una studiata operazione di recupero
dove ci sono anche scene nuove come la presenza degli animali e uccelletti segno di chiassoso
della bellezza del creato, nuove sono anche la donna che da il mangime o l’uccello in gabbia,
sono come aneddoti che hanno la capacità di rivolgersi direttamente all’esperienza personale
di chi guarda.

(Roma fa storia a se, è ancora viva la pittura paleocristiana esempio la basilica di an Clemente.
Il papato vuole affermare il suo storico potere e lo fa riprendendo la lingua che considera
propria quella delle basiliche palio- cristiane. L’idea alla quale si voleva fare riferimento era San
Pietro che era ancora molto presente. Navate tripartite, navate centrali più grande, senza
transetto, l’abside decorata, suddivisioni da archi sorretti da colonne, colonne di riutilizzo,
colonna del cero pasquale. Abside che ci riporta indietro, recupero consapevole di quella
tradizione.)

Cristo e la Vergine, 1130-1143, Roma Santa Maria in Trastevere, abside Nella conca
dell'abside si può ammirare un mosaico raffigurante la Vergine e Cristo assisi sullo stesso trono
(XII secolo), ornato, nella parte inferiore, da Storie della Vergine, sempre a mosaico, opera di
Pietro Cavallini (1291). Nella curva dell’abside vi è espresso nel mezzo Gesù e Maria seduti su
di un nobile trono e riccamente vestiti in atto di divina concordia aventi nelle mani in due
aperti volumi parole tratte dalla Cantica (il Cantico dei Cantici): dal lato di Gesù in vari
atteggiamenti sono i Santi Pietro, Cornelio, Giulio e Calepodio; dal lato di Maria i santi Calisto,

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Lorenzo e la effigie d’Innocenzo II che tiene nelle mani la basilica da lui riedificata. Occorre non
di rado, che in siffatta guisa vengano indicate nelle antiche pitture i fondatori, o i ristauratori
delle chiese. Nella fascia sottoposta leggonsi i seguenti versi: Haec in onore tuo praefulgida
Mater honoris – Regia dinivi rutilat fulgore decoris – In qua Christo sedes, manet ultra saecula
sedes – Digna tuis dextris est quam tegit aurea vestis – Cum moles ruitura vetus firet, hinc
oriundus – Innocentius hanc renovavit Papa secundus – Termina il grandioso musaico con la
solita apparente grandezza dell’Agnello di Dio in mezzo alle sue pecorelle: ed in alto presso la
Testa del Salvatore viene figurata una mano tra nubi stringente una corona, per imporglierla.
Siamo di fronte, probabilmente, al mosaico più dorato di Roma. Con quelli di Santa Francesca
Romana (o Santa Maria Nova) e di San Clemente sono gli ultimi della loro specie legati ai
canoni bizantini. Ironia della sorte, proprio alla base del mosaico in questione troviamo le
Storie della Vergine di Pietro Cavallini: il vecchio a confronto con il nuovo. Bisanzio a confronto
con la nascente arte italiana. Siamo però, innegabilmente (e, direi, finalmente) al termine di
un’epoca. Dunque, il mosaico dell’abside di Santa Maria in Trastevere è come il prodotto di
uno schema che sopravvive a se stesso senza riuscire a rinnovarsi ormai da troppi secoli. Nella
stessa Roma, almeno dal VII.

Benedetto Antelami, deposizione della croce, 1178. Parma, Cattedrale si situa bene tra il
mondo romanico e quello che in Italia sarà il gotico. Antelami, maestranze che provenivano da
una valle tra il lago di Como. Gli abitanti vengono chiamati Antelami. La Deposizione dalla
croce è una scultura marmorea (110x230 cm) di Benedetto Antelami, databile al 1178 e
conservata nel transetto destro della cattedrale di Parma. Tutta la scena è contenuta in una
cornice decorata formata da viticci che si avvolgono geometricamente. Numerose iscrizioni
aiutano l'osservatore a capire la scena. L'altorilievo, basato sul solo Vangelo di Giovanni,
raffigura il momento nel quale il corpo di Cristo viene calato dalla croce, con vari elementi
tratti dall'iconografia canonica della Crocifissione (i soldati romani che maneggiano la veste di
Cristo, le personificazione dell'Ecclesia e della Sinagoga, ecc.) e della Resurrezione (le tre
Marie), mentre di origine classica sono la personificazione del sole e della luna (due teste
umane inserite in ghirlande) e le rosette che ornano il bordo superiore. Classico è anche
l'ornato a racemi della fascia che orla la composizione, ma la tecnica orientale della niellatura e
la bidimensionalità dell'ornato dimostrano che il portato antico è filtrato dalla tradizione
bizantina. Al centro della composizione la figura inerte di Cristo è piegata verso sinistra,
sorretta da Giuseppe di Arimatea, che secondo un'iconografia nuova gli bacia il costato. Un
braccio di Gesù è sorretto amorevolmente dalla Vergine e dall'arcangelo Gabriele, giunto
amorevolmente in volo. Dietro stanno l'Ecclesia vincente, in dalmatica e alba, che tiene lo
stendardo crociato sventolante e il calice col sangue di Gesù, san Giovanni nel gesto del dolore
(una mano che tiene l'altra), Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Maria Salomè. Queste
ultime due fanno il gesto della testimonianza, con la mano aperta accostata al petto, come a
dire che l'uomo crocifisso è veramente il messia. Cristo rompe il rigore geometrico creando
una diagonale, ma tutti questi elementi sono incastrati perfettamente. La scultura risale a un
periodo di transizione tra l'arte romanica e quella gotica. Il risultato nella modellazione dei
corpi umani appare meno tozzo delle figure di Wiligelmo, ma la dinamica della scena è meno
vivace, con le figure ferme in pose espressive. L'impressione di spazialità data dai due piani
sovrapposti sui quali sono posti i soldati che tirano a sorte le vesti è il primo esempio del
genere in Italia.

Parma, Battistero, iniziato nel 1196 su progetti di Benedetto Antelami. Egli adotto la pianta
ottagonale, tradizione che risaliva ai primi secoli della chiesa. La scelta di uno schema così
carico di storia non impedì ad Antelami di escogitare soluzioni del tutto nuove, come le logge

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esterne architravate invece delle più prevedibili arcate. La forma circolare rimanda ai luoghi di
sepoltura che nascono con il paleo- cristiano. Caratterizzazione orizzontale fuori,
caratterizzazione verticale dentro. è considerato come il punto di giunzione tra l'architettura
romanica e l'architettura gotica. L'esterno, costruito in marmo rosa di Verona, è ottagonale.
L'ottagono è simbolo di eternità. Senza precedenti è lo sviluppo in altezza, come se si trattasse
di una torre tronca. La superficie esterna è decorata da un complesso schema, con pieni e
vuoti che ritmano effetti chiaroscurali. Al pian terreno su tre facciate si aprono portali
strombati con archi a tutto sesto, mentre sugli altri lati si trovano degli archi ciechi, grandi
quanto un portale, con al centro delle colonnine, in una collocazione insolita. I portali sono
decorati da vari rilievi, tra i quali spiccano le lunette probabilmente di mano dell'Antelami
stesso. Al livello inferiore del paramento marmoreo troviamo lo Zooforo, una serie di
settantacinque formelle scolpite a bassorilievo dall'Antelami e dalla sua bottega ed incastonate
a mo' di fregio pressoché continuo. Gli elementi che lo compongono sono tutti ancora
romanici, ma la loro disposizione è completamente originale: sviluppo verticale, senso del
ritmo, elaborate proporzioni, sono infatti tutte caratteristiche tipicamente "gotiche". L'interno
è costituito da sedici arcate che compongono delle nicchie, ciascuna delle quali contiene una
scena dipinta. Tutti questi affreschi e dipinti risalgono al XIII e XIV secolo. I sedici lati della
conformazione interna, che duplicano l'ottagono esterno (simbolo di eternità), evocano la
cerchia dei dodici apostoli abbinata al quattro che è il numero dei punti cardinali, degli
evangelisti e delle stagioni.

Antelami, Salomone e la regina si Saba: statue in origine in due nicchie esterne, al di sopra del
portale settentrionale e altre due nicchie ospitavano gli arcangeli Michele e Gabriele. Anche
qui a Parma come in alcune cattedrali gotiche francesi, statue di profeti e di re biblici
accoglievano solennemente i fedeli che si avvicinavano all’edificio.

Antelami, i lavori dell’anno: lo stesso realismo viene adottato da Antelami nella serie si rilievi
con i dodici mesi e le quattro stagioni. Un linguaggio attento agli abiti e ai gesti del lavoro in
campagna, il contadino che simboleggia agosto per esempio impegna entrambe le mani con
martelli di foggia diversa, colpendo doghe e cerchi metallici per adattar gli uni alle altre. Il
mietitore impugna il falcetto e taglia le spighe del grano verso la metà dello stelo e non in
basso, è una tecnica attestata nel Medioevo che serviva per recuperare come paglia ciò che
restava sul terreno. Una sequenza di gesti che accompagna il calendario liturgico
intrecciandolo con i ritmi della vita quotidiana.

I battisteri normalmente sono dedicati a Giovanni Battista il santo che nei Vangeli battezzò
Gesù. Per essere ammessi alla pienezza della vita comunitaria occorreva passare prima
attraverso il sacramento battesimale. Gli stretti legami teologici e liturgici spiegano anche la
grande fortuna della pianta ottagonale che nell’Italia del IV secolo aveva avuto un modello
fondamentale nel battistero delle fonti a Milano. Il numero sette simboleggia l’Antico
Testamento, l’otto era il simbolo della resurrezione di Cristo e del Nuovo Testamento. Questo
schema è presente in diversi luoghi lungo tutti i secoli del Medioevo, fino al trecento.

Benedetto Antelami, La leggenda di Barlaam, portale sud, 1210 circa Parma, Battistero.
Secondo alcuni studiosi il portale meridionale serviva per l’ingresso dei bambini e dei loro
padrini durante il rito battesimale. Il soggetto appare qui per la prima volta in Europa. Un
ragazzo è salito su un albero e non si accorge che sotto due animali stanno rosicchiando il
tronco e cosa ancora peggiore è che è sopraggiunto un drago, ai due lati del tronco due tondi
ospitano il carro del sole, a sinistra e il carro della luna a destra. Tondi più piccoli al di sopra
ripetono le personificazioni degli astri. L’immagine centrale deriva direttamente dal Romanzo

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di Barlaam. Un testo diffuso agli inizi del Duecento dove un principe indiano veniva convertito
al cristianesimo dall’eremita Barlaam. Il ragazzo seduto tranquillo simboleggia l’uomo che si
gode i piaceri della vita senza rendersi conto degli inganni e dei pericoli del mondo. Il sole e la
luna derivati sicuramente da manoscritti che tramandano il sapere astrologico classico,
indicano l’inesorabile succedersi del giorni e della notte, lo scorrere veloce del tempo.

Benedetto Antelami e le figure: statue a tutto tondo del Re Davide e del profeta Ezechiele
vengono poste entro nicchie accanto al portale centrale: questa ripresa della scultura a tutto
tondo entro nicchie non ha precedenti immediati e giunge direttamente dall'epoca
tardoantica.

Arte romanica in Italia. 2. La Sicilia (metà dell’XI-XII secolo)

I re normanni che alla fine dell’XI secolo avevano conquistato Palermo e il resto dell’isola
strappandola agli arabi fondarono un regno dove in cui riuscirono a convivere elementi
culturali bizantini, arabi e occidentale. Non furono cancellate le tracce della dominazione araba
che aveva assicurato all’isola una felice stagione culturale. La popolazione di Palermo era
estremamente composita dal punto di vista sociale e culturale lo dimostra la presenza di
almeno quattro lingue diverse la situazione era simile anche a livello religioso accanto la
comunità cristiana di rito latino aveva un grande peso anche quella di rito greco.

Palermo, La Zisa, 1160. Il palazzo della Zisa, concepito come dimora estiva dei re, rappresenta
uno dei migliori esempi del connubio di arte e architettura normanna con ambienti tipici della
casa normanna (compresa la doppia torre cuspidata) e decorazioni e ingegnerie arabe per il
ricambio d'aria negli ambienti. La stereometria e la simmetria del palazzo sono assolute. Esso è
orizzontalmente distribuito in tre ordini, il primo dei quali al piano terra è completamente
chiuso all'esterno, fatta eccezione per i tre grandi fornici d'accesso. Il secondo ordine è segnato
da una cornice marcapiano che delinea anche i vani delle finestre, mentre il terzo, quello più
alto, presenta una serie continua di arcate cieche.

Palermo, la Cuba, 1180. Gli Emiri, portatori di una cultura evolutissima resero la loro capitale,
Palermo, una delle più belle città del Mediterraneo, arricchendola di palazzi, giardini e
moschee. Resero floridi i commerci, crearono un apparato statale molto efficiente, e si
circondarono di poeti, architetti, filosofi, e matematici. I re normanni, provenendo da una
regione sino ad allora culturalmente ai margini dell'Europa, ebbero l'apertura e l'intelligenza di
assorbire, quanto più possibile i costumi ed il sapere della civiltà araba di Sicilia, depositaria del
sapere cumulatosi grazie al contatto con le civiltà asiatiche e africane sottomesse fin da VII
secolo. Nasce allora uno splendido stile architettonico, l'Arabo-Normanno, che coniuga
elementi del romanico nord-europeo, con elementi bizantini, e la tradizione costruttiva ed
ornamentale di una civiltà, quella araba, insuperata per le costruzioni nei paesi caldi.
Dall'esterno, l'edificio si presenta in forma rettangolare, lungo 31,15 metri e largo 16,80. Al
centro di ogni lato sporgono quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente costituiva
l'unico accesso al palazzo dalla terraferma. I muri esterni sono ornati con arcate ogivali. Nella
parte inferiore si aprono alcune finestre separate da pilastrini in muratura. I muri spessi e le
poche finestre erano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al calore del
sole. Inoltre, la maggior superficie di finestre aperte era sul lato nord-orientale, perché meglio
disposta a ricevere i venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle
acque del bacino circostante. L'interno della Cuba era divisa in tre ambienti allineati e
comunicanti tra loro. Al centro dell'ambiente interno si vedono i resti di una splendida fontana
in marmo, tipico elemento delle costruzioni arabe necessario per rinfrescare l'aria. La sala

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centrale era abbellita da muqarnas, soluzione architettonica ed ornamentale simile ad una
mezza cupola.

Palazzo dei Normanni, Palermo. L'aggregato degli edifici assume la forma di una forcella
capovolta, i due bracci meridionali della biforcazione intersecano i manufatti della Cappella
Palatina che originano due grandi cortili interni. Molteplici stili si fondono sui svariati ordini e
sulle numerose sfaccettature delle varie prospettive. Gli stili romanico, bizantino, arabo,
normanno, neogotico, chiaramontano, rinascimentale, barocco, miscelano elementi come
strombature, nervature, oculi, rilievi, archi, ogive, bugnato, monofore e finte bifore, tufo
combinato con tarsie di lava, intrecci, pietra viva, modanature, merlature, marcapiani, archi,
timpani dal forte impatto sensoriale ed emotivo.

Sala di Ruggero,1170 circa: Voluta da Ruggero II d'Altavilla fu ricavata nella Torre Pisana, l'ala
più antica del palazzo con accesso dalla Sala dei Venti. I mosaici delle stupende decorazioni
parietali furono commissionati dal figlio Guglielmo I d'Altavilla detto il Malo. Verosimilmente
coeve agli ornamenti delle navate laterali della Cappella Palatina, sono improntate allo stesso
stile riscontrabile nei cicli musivi della chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio detta «la
Martorana» e della cattedrale di Santa Maria Nuova di Monreale, ma se ne discostano come
temi. Colonnine angolari delimitano alti rivestimenti in marmo sovrastati da ampie superfici a
mosaico di grande pregio raffiguranti elementi vegetali (palme e banani) e scene di carattere
aulico e venatorio, simboli del potere normanno. Sono raccontate con grande dedizione
nell'esecuzione battute di caccia con arcieri e cervi, rappresentati pavoni, cigni, oltre i
mitologici centauri, grifi e altri animali esotici tra cui leopardi e tigri fra lussureggiante
vegetazione, sottile allusione al Parco del Genoardo, tutto nel tentativo di mostrare
un'allegoria della corte normanna. Caratteristica le figure a coppie simmetriche e speculari,
arabeschi e girali dall'effetto caleidoscopico immersi in motivi fitomorfi e zoomorfi. Le raffinate
rappresentazioni dai canoni sontuosi ma con accenti di rigidità, delineano la chiarissima
matrice greco-bizantina dell'opera combinata con l'influenza pittorica dell'Oriente persiano.

Palermo, San Cataldo. La chiesa di San Cataldo è un luogo di culto cattolico di Palermo, eretto
nell'XII secolo. L'esterno presenta un compatto paramento murario in arenaria addolcito da
intagli di arcate cieche e ghiere traforate, di influenza islamica. In alto s'impongono i profili
solenni di tre cupole rosse (con calotta liscia, emisferica e rialzata) poste in felice contrasto
cromatico con la severa monocromia delle pareti. L'interno presenta tre corte navate - di cui
quella centrale è scandita dalla sequenza ritmica delle tre cupolette - separate da colonne.

Palermo, interno della Cappella Palatina nel Palazzo dei Normanni, 1132-1143. A
caratterizzare la cappella palatina è pronta la molteplicità di culture che spiega come mai in
essa possono convivere aspetti artistici così eterogeni a cominciare dalla pianta dell’edificio in
cui si fondono lo schema a croce greca e la cupola tipicamente bizantini e lo schema basilicale
a tre navate tipico dell’Occidente. parallelamente le iscrizioni che commentano i mosaici sono
a volte in greco a volte in latino e talora le stesse scene hanno addirittura una didascalia
bilingue. L’arte bizantina però ha il sopravvento se guardiamo la decorazione a mosaico che
riveste tutte le pareti interne. La decorazione musi Iva a fondo aureo avvolge tutto l’interno
dell’edificio in una serrata sequenza di scene e di figure singole. Al centro della cupola che
sopraffà il presbiterio si trova Gesù raffigurata mezzobusto con il libro del Vangelo nella sinistra
e con la destra benedicente, attorno a lui corre un’iscrizione greca. Questa iconografia del
Cristo e l’immagine che ti ciglia Harry troveremo in altri a mosaico realizzate da maestri
bizantini, a Cefalù e a Mont reale. Il tondo che contiene l’immagine di Cristo e circondato da
angeli e arcangeli mentre più in basso vi sono 12 profeti a figura intera e a mezzobusto, nei

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pennacchi trovano posto I quattro evangelisti. Al di sotto della cupola non c’è spazio che non si
è riempito di figure di santi o da episodi della vita di Gesù, lo stesso avviene nei due ambienti
del presbiterio che affiancano la cupola, nelle cui apsidi campeggiano le figure di San Pietro e
San Paolo a cui era dedicata la cappella. Una speciale importanza ebbe la parete occidentale
che si trovava di fronte alla tribuna reale cioè al palco da cui il sovrano seguiva le cerimonie. Su
questa parete trovano posto su più registri episodi dei Vangeli come la Natività, la fuga in
Egitto, il battesimo di Gesù, la trasfigurazione, la resurrezione di Lazzaro, e l’entrata di Gesù in
Gerusalemme. Quest’ultima scena segue uno schema che risale almeno al VI secolo E che
continuerà essere adottato fino al 14 VII secolo. Gesù in groppa a un asinello si dirige verso la
città dalle quel porte escono uomini e donne, lo accompagnano a piedi i discepoli mentre
alcuni fanciulli stendono i loro vestiti sulla strada e altri spargono rami di palma per festeggiare
l’evento. In piedi accanto a Gesù, Pietro ha capelli e barba bianchi cosa del tutto in naturale
per l’età che l’apostolo aveva in quel momento, l’artista propone infatti il santo nelle sua
consueta iconografia da anziano perché venga facilmente riconosciuto in un edificio e che gli
era dedicato.

Secondo alcuni studiosi la Chiesa nel XII secolo servi anche come sala del trono questa ipotesi
spiegherebbe come mai sul soffitto decorato a muqarnas troviamo soggetti del tutto diversi
rispetto ai mosaici appena descritti. Il muqarnas È un tipo di decorazione geometrica
tridimensionale già applicata in moschea arrabbiare inizio del secolo. Un complicato sistema di
incastro di tavolette lignee, si otteneva un fitto reticolo geometrico ora in piano ora in rilievo,
quest’ultimo veniva a sua volta rivestito da un’ornamentazione pittorica con decine e decine di
figure. In questo caso si vedono intrecci e animali fantastici, persone che conversano altri che
bevono, giocatore di scacchi, cacciatori, danzatrici, Suonatori e suonatrice, cavalieri. Sono i
piaceri e gli sbagli del re.

Monreale, Cattedrale, abside. Anche questo straordinario edificio connesso a un monastero e


al Palazzo Reale venne fondato da un re normanno, Guglielmo II. Ogni dettaglio serve ad
accrescere splendore della Chiesa. Sono soprattutto i mosaici a rendere imparagonabile il
duomo di Monreale. I maestri mosaicisti bizantini hanno saputo adattarsi a una struttura
architettonica a loro estranea, la pianta basilicale a tre navate, tre apsidi e transetto. Il
programma iconografico si svolge a partire dalla navata maggiore e dalla controfacciata con
l’antico testamento, seguire nel transetto con il nuovo testamento e nelle navatelle altri
episodi della vita di Gesù. Strettamente concatenati l’uno all’altra le scene trova il loro culmine
nella conca absidale dove ancora una volta è raffigurato un maestoso Cristo. Nell’arco di circa
quarant’anni i mosaicisti usarono uno schema identico, il Cristo guarda verso i fedeli
stringendo nella sinistra un libro aperto in cui si legge un passo del Vangelo di Giovanni sia in
greco che latino, la mano destra invece benedice secondo la maniera che era in uso nella
Chiesa orientale cioè congiungendo il pollice e l’anulare. La barba, l’acconciatura e colore e la
disposizione delle vesti, minimi dettagli come la forma della barba si ripetono quasi uguale in
tutte e tre i mosaici. Gli artisti dunque hanno usato un medesimo modello. Questo avviene
perché nella cultura bizantina seguire uno schema già fissato dalla tradizione era la garanzia
che la santità di un’immagine veniva rispettata e rese efficaci. Ogni esecuzione offre la
possibilità di sottili e pure significative variazioni.

Il Duecento. La cultura gotica.

In Francia nasce il nuovo sistema costruttivo che non conosciamo come gotico. Questa grande
stagione architettonica si sviluppo grazie al nuovo clima assicurato alla nazione dai re
Capetingi, in particolare Luigi VI, Luigi VII e Filippo II, sovrani che favoriscono l’unificazione e il

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rafforzamento del Paese a tutti i livelli, compreso quello culturale. Il nuovo sistema costruttivo
accoglieva alcuni aspetti dell’architettura che chiamiamo romanica. Il gotico non si sviluppa
dopo il romanico ma in parallelo a esso. La vera, grande novità è l’importanza attribuita alla
luce. Esiste una luce reale e una luce simbolica, l’una e l’altra segno della presenza di Dio. Le
idee degli architetti gotici erano molto simili a quelli degli uomini di cultura della stessa epoca.
Nei libri, nei trattati, nei manuali tra XII-XIII secolo osserviamo la stessa ricerca dell’ordine,
della logica, di un’articolazione sistematica del pensiero, come l’obiettivo di svolgere un
discorso metodico, chiaro, il più possibile preciso, principio di trasparenza. La maggior parte di
essa si trova in Francia in particolare nella regione che circonda Parigi. Ci sono un gran numero
di chiese cattedrali ma anche abbazie. Nata nella Francia Settentrionale all’incirca intorno alla
metà del secolo XII, l’arte gotica si diffuse ben presto in tutta Europa e divenne la corrente
artistica predominante fino circa al XV secolo, eccezion fatta per le regioni bizantine dove non
trovò terreno fertile. Nel 1400-1500 dovette poi soccombere di fronte all’irradiarsi di un nuovo
linguaggio artistico, di ispirazione classica, che aveva nell’Italia il proprio epicentro ma che si
irradiò ben presto in tutto il continente: il Rinascimento. L’arte gotica fu, in ogni caso, una
corrente artistica di grandissima diffusione: così denominata – con intento dispregiativo – dagli
artisti del Rinascimento, questa tendenza interessò tutti i settori della produzione artistica e, in
particolar modo, l’architettura. A livello di caratteristiche, l’arte gotica si distaccò in maniera
decisa dall’arte romanica: utilizzando in maniera intensiva tecniche già note, come quella
dell’arco a sesto acuto e della volta a crociera, questo nuovo stile tentò di immetterle in un
nuovo sistema ideologico, che si proponeva obiettivi estetici decisamente diversi. La maggiore
differenza tra arte romanica e arte gotica fu, a livello architettonico, il progressivo
alleggerimento delle masse murarie: lo spessore della struttura andò via via snellendosi e
sviluppandosi verso l’alto, celando – a livello puramente ideologico – uno slancio tutto teso a
raggiungere Dio. Questo fu possibile grazie ad un sapiente uso di pilastri, archi rampanti e
contrafforti sui quali veniva distribuito il peso delle costruzioni; in questo modo le pareti, via
via più sottili, poterono accogliere ampie vetrate deliziosamente decorate che permettevano
l’ingresso della luce nella struttura. Alleggerite le masse murarie, le costruzioni si svilupparono
quindi in altezza, raggiungendo quote impressionanti. Altre caratteristiche architettoniche
dell’arte gotica furono l’uso sistematico dell’arco a sesto acuto invece di quello a tutto sesto,
l’introduzione della volta ogivale o a costoloni, il ricorso agli archi rampanti innestati su
contrafforti esterni per sostenere le volte della navata centrale, il predominio delle linee
verticali e la preferenza della volta a crociera.

e è vero che l’arte gotica toccò soprattutto il settore architettonico, non si può però evitare di
fare menzione alle ripercussioni che questo stile ebbe anche su scultura e pittura. Nella
scultura ci fu un recuperò della plasticità e del senso del volume delle figure umane: apparvero
le prime statue a tutto tondo, anche se quasi esclusivamente volte alla decorazione delle
costruzioni architettoniche. Il tema predominante fu ancora quello religioso, ma ci si indirizzò
verso un maggiore realismo e un timido tentativo di ritorno ai modelli classici.

L’arte gotica trovò in Italia una pressoché diffusa resistenza. Per questo motivo i caratteri di
questa corrente si distinsero, nella nostra penisola, da quelli degli altri Paesi e in particolar
modo della Francia. Lo sviluppo verticale e lo snellimento delle masse murarie trovarono poca
approvazione in Italia. Si realizzarono quindi costruzioni imponenti e massicce, come il duomo
di Firenze e la chiesa di San Francesco a Bologna, nelle quali di tanto in tanto veniva introdotto
qualche elemento tipico dell’arte gotica come gli archi a sesto acuto e le volte a crociera. A
livello architettonico, i maggiori esempi dell’influsso gotico possono essere identificati nel
Duomo di Milano, nel Duomo di Siena e nel Duomo di Orvieto. Per quanto riguarda scultura e

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pittura gotica, i due maggiori esponenti italiani si possono rispettivamente ritrovare in Nicola
Pisano e Giotto.

Parigi, abbazia di Saint Denis.1144 Saint- Denis un monastero che oggi si trova alla periferia di
Parigi, ma che nel medioevo era del tutto fuori città. Questa abazia era diventata
particolarmente importante da un lato per la presenza delle venerate reliquie di San Dionigi,
dall’altra perché vi venivano sepolti i re di Francia. Poco prima del 1140 l’abate Suger Fece
ampliare verso ovest la chiesa abbaziale presi stenti e fece aggiungere due tuorli, un rosone è
un triplo portale. E qui, nelle strombature del portale che compare è vero, e è una tra le prime
occasioni, 20 statue -colonna cioè figure in piedi saldate alle colonne, addirittura lavorate nel
medesimo blocco di pietra. Queste 20 statue raffiguravano re e regine patriarchi e profeti
dell’antico testamento, avevano lo scopo di mostrare la lunga storia della redenzione cristiana.
La sua importanza e comunque indiscutibile perché di lì a pochi anni delle statue colonna fuori
prese in altre cattedrali. Nel 1140 invece iniziarono i lavori a est per un nuovo coro. L’anonimo
architetto realizzò un doppio deambulatorio in cui le cappelle erano collegate l’una all’altra
senza amore divisori. Le intenzioni dell’abate erano evidenti, con l’apertura di grandi finestre
entrava nella navata una grande quantità di luce, quella luce che Suger metteva in relazione
con Dio. Insistenza sulla luminosità e per dichiarare apertamente la propria idea cioè che la
luce a una natura spirituale, proviene da Dio e conduce a lui. Con coerenza tra il 1140 e il 1141
l’abate arricchì le finestre del deambulatorio del coro e delle cappelle con grandi vetrate.
Nonostante i danni subiti dalla Chiesa in particolare durante la rivoluzione francese e oggi
possibile analizzare il complesso delle vetrate voluta dall’abate e di collegarle suoi scritti. Nella
scena dell’annunciazione Ho il compare l’abate stesso in ambiti monastici e prostrato uno in
mente ai piedi della vergine. Il desiderio di far entrare una quantità sempre maggiore di luce
modifico completamente la forma delle chiese e cambio l’idea stessa di edificio sacro. Perché
potesse aumentare la luce interna c’era un solo mezzo allargare le finestre ma in questo modo
se indebolivano i muri in cui era affidato il compito di sostenere le pesanti volta in pietra. Gli
architetti gotici e loro committenti infatti non voler rinunciare alle volte S anzi divennero più
grandi rispetto a quelle delle chiese romaniche sempre più proiettate verso l’alto grazie
all’impiego di foto dell’acqua acuto e a ogiva. La soluzione escogitata degli architetti gotici fu
straordinariamente efficace a livello funzionale, per mezzo dei grandi archi o archi rampanti il
peso delle volte e del tetto sovrastante venne trasferito all’esterno su enormi pilastri i
cosiddetti contrafforti fuori dal perimetro dell’edificio. L’obiettivo di aprire enormi finestre era
così raggiunto senza mettere in pericolo la stabilità delle costruzioni. Questo insieme di
soluzioni tecniche ebbe altrettante ripercussioni a livello estetico poiché l’aspetto delle chiese
muto radicalmente, tanto all’interno quanto all’esterno. L’ingrandimento delle finestre stimolò
la produzione di grandi vetrate istoriate con episodio delle scritture, figure di profeti o di santi,
si trattava di una tecnica complessa e delicata visto la fragilità dei materiali che consentiva di
realizzare grandi superfici multicolori. Le lastre di vetro venivano ritagliate secondo il disegno
prestabilito a questo punto si poteva ridurre l’uniformità dei colori ottenere effetti di
chiaroscuro con la pittura a grisaille, Tecnica basata sull’uso di una vernice grigia Astra ricavata
dalla macinazione del vetro che veniva temprata fuoco per farla aderire all’interno delle
vetrate stesse. Le diverse porzioni di vetro erano poi congiunte le une alle altre con listelli di
piombo quindi venivano inserite entro armature metalliche e a loro volta montate nel vano
della finestra. Le vetrate gotiche ebbero il ruolo di raccontare la storia della salvezza ma anche
quello di mostrare, attraverso la bellezza dei colori e il loro continuo mutare nel corso della
giornata la multiforme viva città della luce simbolo della luce divina.

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Abbazia di Fontenay, 1139. Nel 1098 del monaco benedettino Roberto di Molesme fondo un
nuovo monastero a Citeaux in Borgogna, segui le regole dei benedettini ma la sottopose a una
revisione profonda. La vita quotidiana dei monaci divenne più austera sia nel liturgie comuni
sia nella preghiera individuale nel lavoro così nacque un nuovo ordine monastico i cistercense
e tra le abbazie fondate dai monaci di Citeaux ci fu anche quella di Clairvaux (Chiaravalle) Che
ebbe come abate San Bernardo di Chiaravalle. Il ruolo di San Bernardo fu fondamentale non
solo nella storia e nella vita religiosa dell’ordine Theatre gente ma anche nella storia dell’arte.
A suo giudizio nelle une negli altri di rischio era che edifici fossero spettacolari ma
caratterizzare una bellezza vuota o peggio finalizzata a sollecitare offerte di denaro. Il
linguaggio artistico adottato nelle cattedrali nelle altre chiese della città poteva anche andare
incontro al voto popolare male opere Darte all’interno dei monasteri dovevano essere
caratterizzate da una più forte impronta spirituale. Perché si vede una varietà di forme tanto
numerose strabilianti e diventa più piacevole leggere i marmi che i libri. San Bernardo quindi
guardava con molte perplessità le opere d’arte , Sospettoso che potessero distrarre i monaci e
rovinare l’atmosfera di concentrazione preghiera che caratterizzava i monasteri. Il rigore delle
riflessioni di Bernardo ci aiuta a capire il carattere austero dell’architettura cistercense. Tutte le
abbazie dipendenti da Chiaravalle avevano strutture architettoniche quasi identiche questo fa
pensare che egli avesse scelto un modello di base, quello della casa madre. Applicato alle
abbazie che dipendevano, di forma quadrata, si dispongono i vari ambienti conventuali e
seguendo lo stesso rigoroso schema. Fontenay in Borgogna fondata da Bernardo di Chiaravalle
nel 1118 è terminata pochi anni prima della sua morte è una delle migliori testimonianze della
forma di monastero voluta dal santo.

Cattedrale di Chartres, post 1194 Chartres nel XII secolo esisteva già una cattedrale, di quella
chiesa rimangono sulla facciata affiancata da due enormi torri. In un incendio rimase distrutto
gran parte dell’edificio così si diede il via a nuovo progetto di un architetto anonima che viene
completata attorno al 1221. All’interno le tre navate vennero interrotte da un transetto, anche
esso a tre navate a sua volta il transetto si raccordo con le navatelle che volta nel quattro
campate del coro, per poi saldarsi con il doppio deambulatorio dell’abside coronata da
cappelle radiali. La navata centrale è spettacolare per l’altezza, in atto le volte costolonate più
sotto le grandi finestre a due a due ogni coppia sormontata da un rosone quindi una sequenza
continua di piccole arcate infine grandi archi della navata sostenuto dei pilastri. Uno sopra
l’altro come i pentagrammi di una partitura musicale i diversi livelli dell’interno appaiono nella
loro veste funzionale fanno sembrare naturale un sistema architettonico quanto mai
complesso sia sotto il profilo della progettazione sia sotto quello della realizzazione tecnica.

In facciata le sculture del triplice ingresso già nel 1000 avevo chiamato portale dei re, non ho
ancora la ricchissima varietà iconografica del romanico, nei tre timpani sono scolpite la vergine
in trono con il bambino e altre scene dell’incarnazione a sud, Cristo come giudice al centro e
ascensione di Cristo Nord. Nei 24 capitelli che si susseguono nelle strombature e ci sono storie
della vita di Cristo. La decorazione degli archivolti e fittissima i 24 anziani della apocalisse, le
sette arti liberali, i segni zodiacali e i mesi dell’anno. Le arti liberali sono affiancate da scrittori
scienziati antichi, gli stessi che venivano studiati nella vivacissima Università attiva presso la
cattedrale, Aristotele, Cicerone, Euclide, Pitagora, Boezio, Tolomeo, Donato. Ma l’aspetto più
straordinario del portale del resto nelle 24 statue colonna, personaggi dell’antico testamento ti
rispondo nelle strombature e assecondando la lunghezza delle colonne quasi assumendo la
sottigliezza dei fusti, I volti guardano in avanti le braccia non fuoriescono dal contorno dei

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corpi, le pieghe degli abiti sono finissime e sottili. Il fedele che entrava in chiesa veniva accolto
da questo impressionante coro di figure saldata edificio figure dei tratti umani ma
caratterizzate dalla solenne mobilità delle cose sacre.

La cattedrale di Reims, 1211-1275La cattedrale di Reims era un logo del tutto speciale perché
qui si incoronavano il re di Francia. I grandi cantieri si aprì nel 1211 i lavori proseguirono fino a
metà del secolo.In cantieri come questo che durano decenni succede molto spesso che
vengano utilizzati diversi artigiani e diversi architetti così accade che nel portale centrale uno
dei punti cruciali della decorazione della chiesa furono montati e statue realizzate anche negli
anni precedenti. Qui come in altre zone Dell’edificio e facile osservare l’attività di maestri
diversi per cultura e, sensibilità e tecnica. questa varietà di stili e merge chiarissima nelle figure
che compongono l’annunciazione e la visita azione cioè l’incontro fra Maria e la cugina
Elisabetta, luna incinta di Gesù e l’altra di Giovanni battista. Le figure si sono per così dire
liberate e si stagliano sulla parete del tutto autonomi. Ma se confrontiamo tra loro le quattro
statue restiamo stupiti per la differenza stilistica che le caratterizza. Si tratta di due scultori
diversi con visioni artistiche ben distinti. L’autore della Visitazione ha compiuto una scelta
senza incertezza, a cioè a preso a modello Stato e femminili di età romana, lo scultore gotico
hai imparato il modo di rendere le pieghe degli abiti, ciascuna descritta assi e senza ripetizione,
ciascuna capace di assecondare i movimenti del corpo sottostante. Lo scultore della visitazione
adunque imparato dall’arte antica a prestare attenzione al volume dei corpi, a rendere il loro
peso a imprimere hai panneggi una marcata valenza espressiva e. Il problema era però che
questi modelli antichi erano del tutto statici mentre l’incontro fra Maria ed Elisabetta e
animato da un colloquio vivace ecco allora che lo scultore alza il braccio destro di Elisabetta
motivo del tutto assente nelle statue classiche che poteva aver visto, per rendere l’idea delle
sue parole secondo il Vangelo di Luca. È del tutto diverso lo stile dell’autore
dell’annunciazione, un angelo elegantissimo nei movimenti da notare il gesto della mano
sinistra che solleva un lembo del vestito, guarda sorridendo verso la virgy, il viso di
quest’ultima e quanto mai diverso nei suoi tratti semplici da quello dell’altro maestro.
Altrettanto Diversa è la resa delle pieghe dell’abito qui ridotti all’essenziale, appena
sottolineate per indicare i seni. La vergine della visitazione è una matrona ben consapevole
della propria bellezza, perciò capace di assumere una posa graziata come la gamba un po’
piegata in avanti invece quella dell’annunciazione è una ragazzina tanto intimidita da guardare
fisso davanti a sé ed a irrigidirsi su entrambe le gambe. Questi due gruppi mostrano con
Eloquenza che era possibile intorno al 1230 scegliere il proprio linguaggio espressivo.

Sainte Chapelle, 1241-1248Luigi IX re di Francia dal 1226 al 1270 fece costruire decorare la
sainte chapelle, La cappella del palazzo reale, ospitare e venerare la preziosissima reliquie della
passione di Cristo. Qui siamo davanti a quella fase del gotico attorno a metà del XIII secolo che
è stata definita radiante. Le proporzioni delle chiese se esasperano in lunghezza e in altezza di
conseguenza anche le due tratte subiscono un processo di assottigliamento e allungamento
dirti C.A.L.E. in questa cappella le vetrate diventano le protagoniste principali dello spazio
architettonico tanto da sostituire quasi del tutto le pareti in pietra. Le chiese medievali e
romani che erano concepiti al loro interno come aule rivestiti quando possibile di immagini
dipinte o a mosaico ora invece le chiese gotiche concentra la decorazione solo in alcuni punti
chiavi. All’esterno i portali, all’interno le vetrate delle grandi finestre. La conseguenza chi sono
le stesse strutture architettoniche diventare protagonisti, una nuova grandiosità in cui svettano
torri pinnacoli guglie archi rampanti, all’interno i pilastri e le pareti le volte le nervature
vengono realizzati con estrema precisione segno di una efficientissima organizzazione del

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cantiere, tutte le strutture ora acquistano visibilità risaltano nella loro perfezione si mostrano
come parti di un magnifico organismo vivente che il tempio del signore.

Abbazia benedettina di Santo Stefano a Fossanova 1187-1206 Lo schema di Fontenay si


ritrova anche nelle abbazie italiane, alcune delle quali ebbero non a caso il nome della casa
madre. Le tradizioni costruttive locali vennero spesso mantenute ma le forme delle chiese e
dei vari ambienti conventuali seguirono in tutto e per tutto e modelli provenienti dalla Francia.
La stessa cosa accade per la decorazione, in generale estremamente sobria gli spazi destinati ai
monaci dovevano presentare quella stessa semplicità e purezza che si richiedeva alla loro vita
spirituale. Anche in Italia l’interno e l’esterno delle abbazie cistercense a ornamentazioni sobri
elementi figurativi, le figure umane sono quasi assenti solo ogni tanto degli animali compaiono
tra i fogli di qualche capitello. Nello stesso tempo i cistercensi si mostrano quanto mai
aggiornati sulle novità architettoniche che stavano prendendo piede in Francia infatti i loro
edifici assorbirono ben presto le nuove soluzioni del gotico adattandole rendendole funzionali
alle esigenze spirituali e pratiche del nuovo ordine monastico. il senso Dell’ordine si manifesta
in un altro modo, le chiese e gli edifici conventuali non svettano in altezza con torri e pinnacoli
non hanno portali affollati di statue e bassorilievi ma sono costruiti su schemi razionali e sono
regolati da studiate proporzioni metriche.

San Francesco ad Assisi 1228-1253 La chiesa, che fu uno dei capisaldi della diffusione del
gotico in Italia, aveva molteplici finalità. Prima di tutto era il luogo di sepoltura del fondatore
dell'ordine, che già dopo due anni dalla sua morte veniva considerato una delle figure più
significative della storia del Cristianesimo: per questo si predispose una dimensione adeguata
ad una meta di pellegrinaggio e devozione popolare. Un secondo ordine di interessi era più
strettamente legato al papato, che vedeva ormai nei francescani, dopo la diffidenza iniziale, gli
alleati per rinsaldare i legami con i ceti più umili e popolari. Per questo nella basilica si fusero
esigenze legate ai flussi di pellegrini (ampiezza, corredo di rappresentazioni didascaliche) con
lo schema di una cappella palatina (la basilica era infatti Cappella pontificia) secondo i più
aggiornati influssi gotici, come la Sainte-Chapelle di Parigi, dove pure sono presenti due chiese
sovrapposte ad aula unica. All'inizio la basilica (inferiore) doveva corrispondere alle attuali
campate dalla seconda alla quarta, di forma rettangolare in pianta e di una semplicità vicina al
modello francescano. La struttura abbastanza semplice venne presto modificata secondo linee
più maestose, ispirandosi in parte all'architettura romanica lombarda, con nuove suggestioni
gotiche legate agli edifici costruiti dall'ordine cistercense.

La chiesa inferiore fu iniziata sotto la soprintendenza di frate Elia nel luglio del 1228. I lavori
dovevano essere terminati nel 1230 quando vi fu traslato il corpo del santo deposto in un
sarcofago sotto l'altare maggiore, dov'è tuttora conservato in una piccola cripta. La chiesa
inferiore ha la funzione di chiesa sepolcrale, sottolineata anche dalla presenza della cripta.
Appare ancora quasi romanica: è priva di elevazione, le crociere sono larghe, i costoloni hanno
una sezione quadrangolare, i pilastri sono bassi e grossi per sostenere il grave peso della chiesa
superiore. Ma che siamo ormai in un periodo gotico è reso palese dal forte distacco dei
costoloni dalle vele, che fa risaltare l'ossatura in maniera più sentita che nel romanico.

La chiesa superiore presenta una facciata semplice a "capanna". La parte alta è decorata con
un rosone centrale, con ai lati i simboli degli Evangelisti in rilievo. La parte bassa è arricchita dal
maestoso portale strombato. L'architettura interna mostra invece i caratteri più tipici del
gotico italiano: archi a sesto acuto che attraversano la navata, poggianti su semipilastri a
fascio, dai quali si diramano costolature delle volte a crociera ogivali e degli arconi laterali che

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incorniciano le finestre. La fascia inferiore è invece liscia, e venne predisposta fin dall'inizio per
la creazione di una bibbia per i poveri, rappresentata dalla decorazione didascalica ad affresco.

Federico II di Svevia. Si mostrò sensibile alla pluralità delle culture rappresentate in Italia
meridionale. Grandi furono i segni che egli lascio nel panorama culturale della prima metà del
XIII secolo. In campo artistico, il tatto distintivo dell’età di Federico II e senz’altro la rinnovata
importanza dei modelli classici. Le ragioni che spinsero Federico in questa direzione, prima di
tutto per mostrare e legittimare l’origine del suo potere imperiale e dunque sostenere il
proprio prestigio e il proprio progetto politico. De arte venandi cum avibus ("Sull'arte di
cacciare con gli uccelli") è un trattato dell'imperatore Federico II di Svevia sull'attività
venatoria. Il manoscritto conservato alla Biblioteca Vaticana (codice Pal. Lat. 1071) è la
redazione più nota per le illustrazioni, ma contiene solo i primi due libri: si tratta di un codice di
111 fogli di pergamena. L'opera consiste in un trattato di falconeria, cioè sui sistemi di
allevamento, addestramento e impiego di uccelli rapaci (propriamente falchi) nella caccia
(soprattutto ad altri uccelli, tutti accuratamente descritti nell'opera)

Castel del Monte (andria) 1240-1246. Il castello sorge su un’altura del tutto isolata nelle
campagne d Andria in Puglia, l’assenza di edifici circostanti mette ancora più in evidenza la
purezza delle forme geometriche che fa di quello un caso pressoché unico nel panorama
dell’architettura medioevale europea. La pianta è costituita da un ottagono regolare che ha al
centro un cortile che a sua volta è ottagonale, sugli spigoli dell’ottagono principale si innestano
altrettante torri, anche esse a pianta ottagonale. All’interno sono otto anche le sale del piano
terra e otto quelle del piano superiore. Ricerca di geometrie perfette. La copertura di ogni sala
infatti è suddivisa in due triangoli e un quadrato sovrastato da una volta a crociera costolonata.
La decorazione non è particolarmente ricca ma molto raffinata nei capitelli e nelle cornici delle
sale interne, nelle mensole con telamoni o teste di fauno e nelle chiavi di volta. Spicca in una
delle sale al piano terreno la testa di Sileno è evidentissimo il desiderio di riprodurre un
modello antico. L’attenzione alle proporzioni delle strutture e le misurate decorazioni degli
interni ricordano soluzioni architettoniche gotiche in particolare cistercensi. Federico II fece
edificare e ricostruire molti edifici in particolare in Sicilia e in Puglia. Presentano soluzioni
architettoniche simili il che gli rende ben distinguibili, la più tipica fu l’adozione di forme
geometriche, regolari nelle planimetrie e negli alzati.

Il Duecento. Nicola e Giovanni Pisano.

Nicola Pisano. è stato uno scultore e architetto italiano, tra i principali maestri della scultura
gotica a livello europeo, che contribuì in maniera determinante alla formazione di un
linguaggio figurativo "italiano". è probabile che Pisa non fosse la sua città natale ma fosse di
origine pugliese, dato che alcuni documenti lo indicano come "de Apulia", ossia proveniente
dall'Italia meridionale.

Nicola Pisano, Deposizione, ante 1260 circa Lucca, San Martino.

Nicola Pisano; Pulpito, terminato nel 1260 Pisa, Battistero. Nel Duecento agli scultori era
affidato il compito di abbellire l’arredamento liturgico cioè quegli elementi in pietra che
servivano allo svolgimento delle cerimonie all’interno delle chiese. All’interno di questo arredo
liturgico, gli amboni ebbero un ruolo di grande rilievo. Su di essi saliva il lettore, che dall’alto
proclamava al popolo le Sacre Scritture. L’opera è firmata e datata Nicola Pisano 1260. Nicola
ha immaginato una piattaforma esagonale sostenuta da sette colonne e altrettanti capitelli; tre

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di esse poggiano sul dorso di leoni, quella centrale invece sulla schiena di tre telamoni, un
motivo antico ampiamente usato in età romanica.

Natività, particolare del Pulpito, 1260 Battistero, Pisa. I cinque parapetti che bordano l’esagono
presentano episodi dell’infanzia di Gesù. La Natività, L’adorazione dei Magi, la presentazione al
tempio la crocefissione e il giudizio universale. Nella natività si coglie immediatamente la
grande capacità dello scultore di organizzare il racconto. In uno spazio relativamente modesto,
infatti egli ha inserito anche l’Annunciazione, in alto aa sinistra, l’annuncio ai pastori, in alto a
destra, san Giuseppe è seduto in basso mentre accanto a lui due serve stanno lavando il
bambino. Al centro, ancora distesa su un giaciglio dopo le fatiche del parto, c’è la Vergine.
Tutta la scena sembra ruotare intorno a lei, che guarda immobile davanti a sé. Ben altra
vivacità ha Maria nella scena dell’Annunciazione, poco sopra davanti all’angelo, la Vergine si
ritrae puntando la destra sul petto quasi a dirgli “ il signore ha scelto proprio me?”.

Giudizio universale: accalcate attorno alla figura di Cristo giudice e ai simboli degli evangelisti,
sono scolpite decine di personaggi. Alcuni con toghe e abiti da cerimonia assistono pacati alla
scena, mentre sulla destra angeli e demoni si contengono le anime, più in basso alcuni dannati
vengono spinti verso un Lucifero dalle mostruose sembianze animali. Efficace descrizione del
corpo in movimento. Uomini in diverse posizioni che quasi mai vengono inquadrati di fronte
ma descritti nei loro piegarsi, torcersi, chinarsi. L’anatomia e dei movimenti del corpo umano
era al centro degli interessi di Nicola Pisano.

Adorazione dei Magi: Il rilievo fa parte dell'ornamentazione del Pulpito del Battistero di Pisa di
Nicola Pisano. Ordine e solennità classici determinano una composizione unitaria ed
essenziale. La scena infatti è composta da poche figure, disposte secondo una griglia
ortogonale e di grandi dimensioni. Le forme essenziali, i volumi ampi e gli atteggiamenti
composti ed eleganti conferiscono un senso di grande solennità. La tipologia della Madonna, si
ispira all'immagine scolpita su un sarcofago ellenistico del II secolo d.C., oggi conservato nel
Camposanto di Pisa, ma al tempo di Nicola posto nella Piazza dei Miracoli. La gestualità
misurata e attenta, ma al tempo stesso chiara delle figure realizza un perfetto equilibrio tra
una grazia naturale e la circostanza della cerimonia sacra. Accanto agli influssi classicheggianti,
lo stile di Nicola presenta raffinati spunti naturalistici d'impronta gotica. Da notare i tre cavalli
disposti in scorcio che suggeriscono la profondità e introducono nella scena una nota di più
accentuato dinamismo.

Presentazione al tempio: La scena, ordinata e composta, presenta una ricca ambientazione con
lo sfondo urbanistico e un effetto di profondità dovuto ai piani sovrapposti dello schieramento
delle figure. Alle spalle dei personaggi si notano templi e palazzi in cui si rintracciano spunti
classici e motivi orientaleggianti. Una citazione dell'antico si ritrova nella figurina del fanciullo
che sorregge il vecchio sacerdote, all'estrema destra del pannello, rinvia a un'analoga scena in
cui compare un piccolo satiro che sorregge Bacco scolpita su un vaso greco del II-I sec. a.C.,
oggi conservato presso il Camposanto di Pisa. La componente più gotica è nella ricchezza delle
chiome e delle barbe, e nella vivissima animazione dei personaggi, piuttosto irrequieti. Ognuno
di loro è caratterizzato singolarmente, sia nelle fisionomie diversificate e sia negli
atteggiamenti, anch'essi differenziati. I personaggi sacri si distinguono per un atteggiamento
più solenne e composto e per i tratti "nobilitati" dalle fisionomie classicheggianti. Ma
partecipano all'evento con espressioni intense, che tradiscono un'emozione: vengono
presentati per la prima volta in senso umano.

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Crocefissione: Nella Crocifissione prevale l'indagine psicologica dei personaggi e la loro
reazione di fronte al sacrificio di Gesù Cristo. Si notano qui alcuni elementi iconografici di
notevole novità introdotti dallo scultore, quali: Gesù Cristo morto, con un vigore corporale che
ne sottolinea sia la natura umana, sia divina; Maria che sviene, con il corpo schiacciato dal
dolore; San Giovanni apostolo con un'espressione dolorosa, che propone una precoce indagine
del pathos; Giudei, impauriti e sconfitti, quali: l'ebreo, sulla destra, con un'espressione
dubbiosa che si tocca pensoso la barba, vicino ad un compagno che alza il pugno minaccioso.
Tra loro sembrano risuonare le parole pronunciate dal centurione: "Veramente quest'uomo
era giusto" (Lc 23,47), come dimostra l'ultimo personaggio, che si sbilancia verso l'esterno,
mentre sta andando via, si volta e si batte il petto per esprimere il suo pentimento.

Non c’è dubbio che i nudi di Nicola abbiano un sapore antico, per ritrovare forme paragonabili
bisogna risalire alla scultura dieta imperiale. Nel corso del medioevo le famiglie nobili e pisane
avevano L’impiegato sarcofagi classici come sepolture per i propri congiunti e le avevano
disposti all’esterno delle cattedrali. Il primo esempio di questa consuetudine poco dopo la
fondazione del Duomo di Pisa va attribuito a Matilde di Canossa che aveva fatto seppellire la
madre Beatrice in un bel sarcofago di età imperiale su cui è raffigurato il mito di Fedra e
Ippolito. La figura di Fedra e non ogni suo dettaglio l’acconciatura, l’abito e alla postura, è il
modello per quella di Maria rappresentata da Nicola nella Natività dell’ambone di Pisa. Nicola
pisano ebbe dunque una speciale confidenza con l’arte degli antichi che fosse gli derivo dalle
sue origini meridionali. nel giudizio universale una figura tarchiata di demone con un enorme
testa minaccia un dannato si tratta di un motivo ben testimoniato nell’arte classica quello del
putto ho dell’amorino che gioca con altri indossando per spaventarli una di quelle maschere
che si usavano nel teatro antico. Nicola e dunque riuscito a trasformare uno spuntino come
con il suo contrario. Il sistema culturale a cui Nicole appartiene e ancora del tutto medievale
ebbe schiettamente medievale il suo pensiero artistico come dimostra il suo disinteresse per le
proporzioni. Dicono grafia della Natività, Maria distesa su un giaciglio e levatrici alle prese con
il bambino, San Giuseppe in disparte e pienamente bizantina, lo schema è identico a quello
benché antico di Castel Seprio. Nicola riprende dunque iconografie orientali, egli ha capito che
l’arte bizantina e quella classica non erano mondo estranei l’uno all’altro che era anzi possibile
riallacciare i nodi che legame all’una all’altra. Nicola pisano cerca di recuperare nell’arte degli
antichi l’etimologia ormai smarrita nei secoli, e le forme artistiche bizantini ecco di nuovo
allora la solidità dei corpi la forza persuasiva dei gesti, la tensione del racconto.

Nicola Pisano, Fortezza, Carità e San Giovanni Battita: Ma l'erudizione del programma
iconografico non limitò l'arte di Nicola, che anzi diede un possente realismo ai rilievi, con
grandi vertici nelle figure quasi a tutto tondo sopra i capitelli. La Carità per esempio presenta
un panneggio morbido e realistico e intreccia con un puttino un tenero contatto delle mani; la
Fortezza poi è uno dei primi nudi ripresi da modelli dall'antichità classica, con un'evidentissima
citazione dell'iconografia di Ercole, con tanto di pelle.

Nicola Pisano e bottega, Pulpito, 1265-1269. Siena, Duomo. ed è stato realizzato da Nicola
Pisano con la collaborazione dei suoi allievi, tra cui il figlio Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio.
Nell'insieme ricorda il Pulpito del Battistero di Pisa, ma rispetto ad esso mostra un'importante
evoluzione stilistica. La pianta è ottagonale e sugli spigoli della cassa presenta figure scolpite ad
altorilievo anziché colonnine. Nelle sette lastre della cassa, i rilievi ripropongono gli stessi temi
dell'altro pulpito ma con composizioni più ricche e animate. La mutazione stilistica di Nicola
comporta: figure di minori proporzioni, più fitte e numerose, non più idealizzate, ma
caratterizzate, con una più libera espressione delle emozioni e movimenti più decisi; I volumi e

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le masse si sciolgono nel ritmo incalzante dei gesti concatenati in un maggiore dinamismo. una
più decisa insistenza sugli accenti patetici o drammatici; un approfondimento e una chiara
padronanza delle componenti culturali: quella classica-ellenistica che lo porta a composizioni
più affollate e con effetti coloristici, e quella gotica attraverso l'accentuazione espressionistica,
l'asprezza drammatica, un più forte dinamismo e una più profonda indagine delle esperienze e
sentimenti umani. L'insieme della composizione è più unitaria e anche nella disposizione dei
temi comprende più episodi idealmente collegati: Visitazione, Annunciazione, Natività,
Presentazione al Tempio, Fuga in Egitto, Crocifissione, Giudizio Universale. La linea si fa più
energica, dinamica e continuamente mossa e spezzata sottolinea lo scatto dei movimenti,
aumenta la forza espressiva dei visi. Il Giudizio ha un'importanza maggiore rispetto alle altre
scene: occupa due lati con la figura di Cristo Giudice al centro, che separa gli eletti dai dannati.
Non c'è più separazione architettonica tra le storie, le colonnine separatrici sono sostituite da
figure di Evangelisti, Dottori della Chiesa, la Madonna col Bambino, Cristo Giudice. In questo
pannello è probabile un intervento di Giovanni per via delle figure molto studiate
nell'espressione individuale. La scena della Crocifissione rivela un maggiore effetto drammatico
rispetto a quella pisana, specialmente nel gruppo delle Tre Marie, attribuite ad Arnolfo.

L’ambone di Siena non è più esagonale come quello pisano ma ottagonale per questo viene
aggiunto un nuovo tema, la strage degli innocenti E la scena del giudizio universale si distende
su due parapetti. Questi ultimi adesso sono separati da figure ad alto rilievo angeli, santi,
Cristo, la virgy. Nella strage degli innocenti Nicola pisano e i suoi collaboratori si sforzarono di
restituire la violenza della vicenda, i soldati di Erode tutti in uniforme all’antica si avventano
sulla madre per strappare loro i figli, in basso al centro due uomini di Erode calpestando
letteralmente altri piccoli cadaveri stanno trafiggendo due fanciulli.Nicola evita il più possibile
le ripetizioni, variando continuamente le pause e scegliendo più di una volta di inquadrare la
schiena dei personaggi, in questo turbinio di brutalità lo scultore riesce a trovare anche pausa
improvvisi come nella madre in primo piano che quasi una piccola pietà piange sul figlio e
disteso sulle ginocchia. Non è minore la tensione drammatica della scena adiacente, la
crocifissione nella struttura generale e persino nei minimi particolari e impressionante la
sicurezza con cui Nicola e il suoi collaboratori si allontanano dagli schemi bizantini, è nuovo il
modo in cui ricade verso terra la figura di Cristo sulla croce, lo è altrettanto l’assieparsi degli
uomini attorno alla croce e il dolente disporsi delle donne accanto alla Vergine svenuta. Il
gruppo di ebrei sura destra sembra investito da una raffica di vento tanto il loro sconcerto li
porta a piegarsi, inchinarsi quasi a cadere a terra. C’è sicuramente un’atmosfera nuova rispetto
all’ambone di Pisa e alcune figure come anche San Giovanni piangente a sinistra della croce
fanno pensare che Nicola pisano abbia sentito in maniera speciale l’influenza delle forme
gotiche. La bottega di Nicola pisano riesce a proporre qui a Siena come già Pisa un linguaggio
completamente nuovo per il panorama artistico italiano e non c’è dubbio che in questo
momento ancora negli anni 60 del 200 il gruppo di artisti sia decisamente all’avanguardia. La
strada del rinnovamento delle arti italiana del 200 passo prima di tutto per il campo della
scultura. Fu l’arte guida del momento.

Giovanni Pisano 1248 circa-ante 1319

1278-1284 primo periodo pisano

1284-1297 periodo senese

1297-1319 secondo periodo pisano

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Nicola Pisano e bottega, Fontana maggiore, terminata nel 1278. Perugia, Piazza Duomo. Con
l’andar del tempo il figlio di Nicola pisano, Giovanni si mise sempre più in vista. E nella lunga
iscrizione in versi latini sulla fontana maggiore di Perugia ci si rende conto che ore sono in due
a rivendicare la paternità dell’opera. Giovanni appose anche un’altra firma su uno dei rilievi.
L’iniziativa fu quantomai complessa sotto il profilo tecnico e per questo che ci sono
competenze diverse coinvolte Nell’impresa. Prima di tutto ingegneristico e idraulico,
l’acquedotto che portava l’acqua nel centro della città. La collocazione dell’opera deriva
proprio da questo suo ruolo pubblico, nella piazza principale tra la sede del Comune e il
Duomo. La fontana è formata da due vasche poligonali E da una conca bronzea da cui scorga
l’acqua. La vasca più bassa quella con il diametro maggiore presenta 25 lati, separati fra loro da
fasci di colonnine, ogni lato ospita una coppia di bassorilievi. La vasca superiore presenta
invece 12 lati nessuno dei quali figurato, 24 piccole statue sono distribuiti lungo gli spigoli e a
metà di ciascun lato. la conca Bronzea ha al centro tre figure femminili, forse le virtù saldate
l’una all’altra. Il complesso delle sculture e notevole per la quantità e ancor di più per la varietà
dei temi proposti. I temi infatti vanno dall’antico testamento alla leggenda della fondazione di
Roma, del lavoro e dei mesi alla personificazione delle arti liberali, dalle favole di Fedro
all’animale simbolo della città cioè il Grifo e il leone. Quanto mai eterogenea la sfilata dei
personaggi raffigurati nelle statuette del bacino superiore: Profeti biblici, santi, personificazioni
di Roma di Perugia e del lago Trasimeno, esponenti politici in carica. Viene persino Eoliste
mitico eroe antico considerato il fondatore di Perugia. È un programma del tutto coerente con
la visione enciclopedica del sapere tipica dell’età gotica ma nello stesso tempo attento a
esaltare Perugia con continui richiami alla sua storia quella di Roma antica. Agli occhi dei
contemporanei i vari aspetti pratico, simbolico ed estetico convivevano in modo del tutto
armonioso.

Facciata del Duomo di Siena La facciata inferiore fu realizzata da Giovanni Pisano ed è riferibile
a uno stile romanico-gotico di transizione. Questi vi lavorò tra il 1284 e il 1297, prima di
allontanarsi improvvisamente da Siena, probabilmente per le critiche mossegli dal comune per
gli sprechi e la disorganizzazione.[11] A questa fase risalgono i tre portali (con strombo, lunette
e ghimberghe) e i due torrioni laterali.[1] Il portale centrale ha un arco a tutto sesto, quelli
laterali leggermente ogivali; gli sguanci sono decorati da sottili colonne ritorte, con capitelli
scolpiti a fogliame. Esse sorreggono gli archivolti, anch'essi ritorti, aventi come chiavi di volta
teste di satiri. Tre ghimberghe sormontano gli archi. Esse sono decorate da foglie rampanti e al
centro recano dei busti, aggiunti però solo nel XVII secolo. Sulla sommità sono presenti delle
statue, rappresentanti Angeli e una statua della Vergine, alla quale il grande oculo sembra fare
da aureola. I torrioni laterali esterni sono tozzi e robusti, alleggeriti solo da slanciate finestre,
che si aprono negli incassi, e da edicole cuspidate con statue, doccioni e coronamenti gotici.

Giovanni Pisano curò anche la decorazione scultorea, e corredò la facciata di un sorprendente


ciclo di statue gotiche.[1][12] Quelle a figura umana sono in totale quattordici, di cui otto in
facciata, tre sul lato sinistro della facciata e tre su quello destro. Queste hanno come soggetto
Profeti, Patriarchi, Filosofi pagani e Profetesse e rappresenta un unicum nella scultura gotica
italiana in quanto hanno un programma iconografico preciso dove tutte le figure,
volontariamente o involontariamente, annunciano la Venuta di Cristo.[12] In facciata troviamo,
da sinistra a destra, il Filosofo Platone, il Profeta Abacuc, una Sibilla, Re David, Re Salomone,
Mosè e Gesù di Sirach. Sul lato sinistro troviamo una figura non ben identificabile, il Profeta
Isaia, e l'Indovino (e profeta involontario) Balaam. Sul lato destro troviamo infine Simeone, la
Profetessa Maria di Mosè e il Filosofo Aristotele. Al di sotto di queste statue troviamo figure di
animali, mentre più in alto, tra la Madonna e gli Angeli e appoggiate sull'architrave, troviamo le

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rappresentazioni antropomorfe dei Quattro Evangelisti. Tutte le statue sono copie di originali
conservati al Museo dell'Opera del Duomo. Di Giovanni Pisano o della sua bottega sono anche
le statue dei torrioni laterali, fino alla sommità.

Giovanni Pisano, scultore e architetto, nasce a Pisa tra il 1240 e il 1248. Scarse sono le notizie
biografiche, ma sono più documentate la formazione e la prima attività, che si sono svolte
presso il padre Nicola Pisano. Nonostante ciò il percorso artistico di Giovanni si discosta presto
da quello di Nicola e assume un carattere personalissimo. Il gusto per la forma delicata e
aggraziata, per la decorazione accurata e l'esecuzione rifinita nei minimi dettagli non
appartengono all'opera di Giovanni. Egli porta avanti un dinamismo espressivo e impetuoso,
pieno di energia, di enfasi drammatica. Non è affatto chiaro quale sia stata la fonte di
ispirazione. Sono state ipotizzate influenze dirette di Giovanni da artisti del Nord-Europa (ma
non in Francia), ma anche, come pare più probabile, potrebbe essere stata molto incisiva per la
sua formazione la conoscenza delle opere in avorio circolanti in Italia, arte da lui stesso
praticata. La forza drammatica del suo stile è comunque veramente particolare, va molto oltre
ogni altra testimonianza rintracciabile all'interno dell'area nordica. Per quanto riguarda la sua
produzione, sappiamo che tra il 1266 e il 1284 collabora con il padre Nicola ad importanti
opere.Tra il 1266 e il '68 è tra gli aiuti di Nicola per il Pulpito nel Duomo di Siena. Circa dieci
anni dopo è con il padre a Perugia, per collaborare ai lavori della Fonte Maggiore, nello stesso
periodo è presente anche tra gli artefici impegnati nella decorazione esterna del Battistero di
Pisa, sempre sotto la direzione di Nicola. Nel 1284 realizza la Madonna col Bambino in marmo,
attualmente conservata nel Museo del Duomo di Pisa. A partire dal 1285 Giovanni incomincia a
lavorare autonomamente. Dopo la morte di Nicola, si trasferisce a Siena, dove ottiene
importanti incarichi. Nominato capomastro dell'Opera del Duomo di Siena, è impegnato ai
lavori tra il 1285 e il 1296. Si occupa della facciata della cattedrale e scolpisce sei grandi statue
di Profeti e filosofi, poi per motivi non ancora chiari, abbandona improvvisamente il cantiere.
Nel 1297 ottiene l'incarico di capomastro alla Cattedrale di Pisa. Esiste un documento del 1298
in cui risulta che Giovanni in questa data ha eseguito la statua in avorio della Madonna, ora
conservata al Museo del Duomo di Pisa. Nello stesso anno lavora al Pulpito della chiesa di
Sant'Andrea a Pistoia, finito nel 1301. Dal 1301 al 1310 esegue il Pulpito del Duomo di Pisa.
Durante i suoi ultimi anni di attività Giovanni si sposta anche in Italia settentrionale. Nel 1305-6
è a Padova per realizzare la Madonna col Bambino della Cappella Scrovegni. La sua presenza è
documentata anche a Genova. L'ultima opera documentata del grande artista è il Sepolcro di
Margherita Brabante, moglie di Arrigo VII di Lussemburgo, eseguita per il Duomo di Genova. Di
essa rimangono solo alcune parti, conservate alla Galleria di Palazzo Bianco a Genova.

Il Pulpito del Duomo di Pisa, eseguito tra il 1302 e il 1310 è il più grande e il più complesso tra
quelli realizzati da Giovanni Pisano. L'energia dinamica già manifestata nel precedente Pulpito
di Pistoia, qui giunge al limite dell'esasperazione formale. All'esuberanza della decorazione
scultorea si aggiunge anche quella delle forme architettoniche. I riquadri della cassa hanno
forma convessa e sembrano gonfiarsi verso l'esterno. Le colonne di sostegno sono sostituite da
cariatidi, agli archi dell'esempio di Pistoia si sostituiscono le mensole a ricciolo. Tutta la
struttura è caratterizzata da una sorta di espansione dinamica. Le singole scene sono
composizioni complesse, affollatissime da figure concitate, e sono sviluppate in rapide
successioni di pieni e di vuoti con effetto di ritmo convulso e forte tensione drammatica. Le
figure emergono improvvisamente da cavità e ombre profonde, si agitano con movimenti
energici ed espressioni forti, esprimono ciascuna un proprio dramma individuale, senza mai
confondersi nel ritmo d'insieme.

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Il Pulpito della cattedrale di Sant'Andrea a Pistoia è stato realizzato da Giovanni Pisano tra il
1297 e il 1301. Sebbene Giovanni abbia ripreso nell'insieme lo schema che il padre, Nicola
Pisano, aveva usato per il Pulpito del Duomo di Siena, esistono importanti differenze rispetto
all'opera di Nicola. Da un confronto tra i due capolavori si nota lo stile decisamente più gotico
di Giovanni. Lo slancio delle colonne e degli archi a tutto sesto conferisce all'architettura un
aspetto agile e leggero. La decorazione scultorea, ricchissima, riveste interamente e senza
interruzioni le strutture, sovrapponendosi e quasi soverchiando l'esile architettura.
Continuando il confronto, é interessante notare come la divergenza tra Giovanni e Nicola sia
giocata interamente sul piano interpretativo ed espressivo, poiché schemi e temi iconografici si
equivalgono. Sulla cassa esagonale compaiono infatti gli stessi cinque soggetti presenti nel
Pulpito di Nicola: La Natività, l'Adorazione dei Magi, la Strage degli innocenti, la Crocifissione e
il Giudizio. Ognuna delle scene é arricchita da episodi secondari in cui vengono mantenuti gli
stessi rapporti dimensionali e proporzionali secondo un principio di unitarietà. Le scene si
collegano mediante gruppi angolari in modo da creare una sequenza ininterrotta, senza
respiro, di figurazioni, sostenute da vivace animazione. Il ritmo sostenuto che pervade le
singole scene é dovuto all'uso di forme tese e vibranti, ombre profonde e scatti di volumi in
aggetto, violenti contrasti chiaroscurali. Le figure, piene di movimento sembrano investite da
un'agitazione fisica e interiore, scosse da emozioni violente, rese con un espressionismo che
stravolge e spesso deforma i corpi e i volti. Quella di Giovanni Pisano è un'energia drammatica
e travolgente, che non trova confronti nella scultura gotica né in Italia né in Europa. Questi
effetti "forti" Giovanni li ottiene sviluppando una tecnica tutta personale. Usa una
modellazione abbreviata, sintetica, con note rapide e sommarie. Scolpisce con molta efficacia
solo i tratti essenziali delle figure, accentuando sempre le linee di movimento, sia nei gesti che
nei panneggi, accennati con pieghe profonde e scomposte. La superba compiutezza dello stile
di Nicola, il senso di armonia ed equilibrio, sono assenti. La visione di Giovanni respinge
l'immagine serena e l'accuratezza della definizione nei particolari: i bordi delle vesti, le
capigliature, le barbe, sono accennate e sommarie. La forza incredibile del suo linguaggio sta
nel cogliere con pochi tratti l'intensità di una situazione, di un gesto, di un'emozione, privilegia
un linguaggio diretto e conciso, eliminando, rigorosamente, ogni inflessione decorativa.

Giotto

Le notizie sulla giovinezza e la formazione di Giotto sono molto poche, sappiamo che nacque
da una famiglia di contadini, nel 1267 circa, a Colle di Vespignano non lontano da Firenze. E'
noto che il suo maestro fu Cimabue, con il quale Giotto collaborò in alcune sue opere, anche se
il racconto, secondo cui, Cimabue si accorse dell'abilità di Giotto vedendolo disegnare su un
sasso una delle pecore che portava al pascolo, è inverosimile. Altrettanto importante per la sua
formazione fu il viaggio a Roma che intraprese prima di entrare a far parte del cantiere di
Assisi. A Roma si sviluppava a quel tempo un'importante scuola pittorica, quella di cui facevano
parte Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti, i quali rappresentano in pittura la tipica
monumentalità dell'arte classica.Basilica di San Francesco d'Assisi. Dopo quest'esperienza
Giotto lavorò al cantiere di Assisi. La basilica di San Francesco d'Assisi è costituita da 2 chiese
sovrapposte, la basilica inferiore ha una pianta articolata e presenta una serie di cappelle
affrescate da diversi artisti, mentre la chiesa superiore ha un programma iconografico unitario
e chiaramente leggibile: le Storie dell'antico e del nuovo testamento sono collegate dalle
illustrazioni della vita di San Francesco secondo il racconto di San Bonaventura composto nel

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1260 circa. Tra il 1277-80 Cimabue iniziò la decorazione del transetto sinistro della chiesa
superiore, successivamente l'esecuzione degli affreschi passa ai suoi collaboratori, tra i quali
Jacopo Torriti e Duccio da Boninsegna, iniziando a decorare gli spazi tra le finestre della navata
con storie dell'antico e del nuovo testamento; alcuni di questi episodi sono attribuiti alla mano
di Giotto avvertibile soprattutto nelle due Storie di Isacco e nella frammentaria Deposizione nel
sepolcro.

Cimabue Maestà 1280 circa, Parigi, Louvre. Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai 1285
circa Firenze, Uffizi. Il motivo della testa di Maria non colcemente inclinata verso il bambino,
espressione sentimentale simbolica insieme, è costante delle pale d’altare che Cimabue
dipinge. Una è la gran tavola destinata alla chiesa di Santa trinità Firenze e l’altra è la maestà
della madonna, Maria è seduta con il bambino in braccio su un grande trono, elegantissimo per
le decorazioni che lo rivestono in ogni punto, otto angeli dalle ali variopinte affiancano il trono
da una parte e dall’altra. Come si trattasse di una grande, il trono in basso ospita tre arcate, in
cui si affacciano quattro profeti (Geremia, Abramo, Davide, Isaia), ciascuno con in mano un
cartiglio su cui si leggono frasi dell’Antico Testamento che annunciano l'incarnazione di Gesù. Il
linguaggio bizantino è sempre sullo sfondo (in particolare nelle striature dorate sul manto della
Vergine), ma si fa avanti un’animazione nuova, È una Maestà anche quella del Louvre : la pala
è più alta di quella fiorentina, ma il trono si è fatto più piccolo, e infatti ora a sostenerlo
servono solo sei angeli; in compenso sono aumentate le dimensioni di tutte le figure, compresa
quella del Bambino, e lo spazio dell'oro si è andato riducendo, con il risultato di una maggiore
sobrietà nei colori. Il manto della Vergine, che si è chiuso e non lascia più intravedere la tunica
rossa, non è più segnato dalle solite linee dorate e l’alternarsi delle pieghe riesce a dare il
senso dei volumi, in particolare nella gamba e nel braccio destro. L'effetto complessivo è di una
grande, solenne monumentalità. Gli studiosi hanno molto dibattuto e discutono tuttora sulle
datazioni delle opere di Cimabue e sulla loro successione cronologica: il percorso del pittore
non è affatto lineare, poiché a volte avanza con decisione, altre volte sembra indietreggiare,
Prendiamo Der esempio la Madonna di Santa Trinita 21. Le figure degli angeli non sono più in
miniatura come in Coppo, ma presidiano con sicurezza il trono; esso ha un'imponente struttura
architettonica e non c'è dubbio che il pittore abbia tentato di renderne dimensioni e volume,
ma questa chiarezza diminuisce nella zona inferiore, tanto che non comprendiamo quale sia
l'esatta posizione dei profeti e ci chiediamo se si trovino in un altro ambiente sotto il livello del
trono, La Vergine poi ha abbandonato la posizione frontale tipica di opere precedenti, quali,
per esempio, la Madonna di Margarito [→ FIG. 13, P. 277]; così allunga sul gradino più basso la
gamba destra, che pure dovrebbe essere ben più in alto per sostenere il Bambino, come
effettivamente avviene nella Madonna del Louvre. Quello di Cimabue, insomma, è un faticoso,
lungo addio alla pittura bizantina, fatto appunto di passi in avanti, di revisioni, di tentativi
riusciti o meno; è la difficile ricerca di una coerenza tra il messaggio spirituale, le azioni degli
uomini e lo spazio in cui esse avvengono. Come i pittori suoi contemporanei, anch'egli non può
fare a meno di confrontarsi con una storia artistica che rappresentava l'autorevole sicurezza
della tradizione, ma nello stesso tempo ne avverte i limiti, prima di tutto l’incapacità di
rispondere alla nuova sensibilità affermatasi per merito degli ordini mendicanti. La fedeltà al
repertorio bizantino si scontra con le nuove esigenze.

Il percorso di Cimabue dovette colpire un pittore di Siena che incontreremo di nuovo agli inizi
del Trecento, Duccio di Buoninsegna (ca. 1255-1319). Probabilmente i due si erano conosciuti
sul cantiere di Assisi, dove Cimabue e la sua bottega erano impegnati nella decorazione del
transetto della Basilica superiore. La cosiddetta Madonna Rucellai è una prova del fascino che il
pittore fiorentino esercitava sul più giovane artista senese, anche se quest'ultimo non è affatto

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insensibile all’eleganza delle forme gotiche, come possiamo vedere nel velario del trono, che
ha la trasparenza di una vetrata. Ad Assisi il pittore aveva senz'altro incontrato artisti
d’Oltralpe, in particolare le maestranze inglesi attive nel transetto della Basilica superiore. La
consonanza di idee tra Cimabue e Duccio è talmente forte che per secoli la Madonna Rucellai
venne considerata da tutti (Giorgio Vasari compreso) un’opera di Cimabue e si continuò a
riferirla a lui anche quando, alla fine del Settecento, un erudito scoprì documenti che
smentivano questa tradizionale attribuzione.

Cimabue Maestà e Giotto Madonna di ognissanti 1303-1305. Prima di Giotto la pittura era
ancora legata allo stile bizantino e ai suoi schematismi. Le figure erano spesso rigide,
bidimensionali e prive di partecipazione affettiva. Giotto rompe proprio con questa tradizione
rivoluzionando il modo di dipingere e di rappresentare gli uomini. Senza Giotto non sarebbe
potuto nascere quel movimento culturale, filosofico ed artistico che oggi noi tutti chiamiamo
Rinascimento. Per la prima volta nella storia la Madonna e il bambino appaiono inseriti in uno
spazio ben definito. Maria è seduta su un trono prospetticamente ben concepito, che rende
bene l’idea di un ambiente reale. Le pieghe delle vesti delineano il volume del corpo
sottostante. Le figure sono più verosimili, più umane, non più rappresentate in maniera piatta
come fossero dei bambolotti. Basti guardare agli angeli in primo piano che cantano in maniera
così realistica o alla mano della Vergine che stringe il Bambino come una vera madre. Lo stile di
Giotto rappresenta quindi un vero superamento della vecchia maniera di dipingere.
Nonostante alcuni elementi che riportano ancora alla tradizione, come il fondo oro o la
gerarchia delle figure (più grandi la Madonna con il Bambino, più piccoli gli angeli), il nuovo
valore dato alla figura umana e al suo rapporto con lo spazio circostante, rendono quest’opera
un esempio importantissimo del nuovo corso della pittura trecentesca.

I due crocefissi di Cimabue. Crocefisso 1280 circa Firenze, Museo dell’opera di Santa Croce.
(Arezzo e Firenze) due crocifissi, si notano profondi cambiamenti. In quello di Arezzo, il corpo
di Cristo ha come una durezza metallica; nel crocifisso di Santa Croce assume invece toni più
delicati, mentre il colorito diviene grigiastro, più adatto a restituire l’idea della sofferenza e
della morte. Ad Arezzo il drappo rosso che copre la nudità di Cristo è percorso da striature
dorate (soluzione frequentissima per indicare il panneggio nella pittura bizantina); nel
crocifisso di Firenze il drappo ha perso invece ogni colore ed è una stoffa quasi trasparente,
che lascia intravedere corpo. Anche nelle due figure a mezzo busto della Vergine e di san
Giovanni, sulla stessa linea del volto di Gesù, i colori vanno spegnendosi, in un'atmosfera di
maggiore solennità davanti al dramma in atto.

Giotto, Crocifisso, 1290 circa Firenze, Santa Maria Novella. Le due opere erano destinate a
chiese dei Domenicani e Francescani. Il nuovo linguaggio di Giotto si coniuga dunque con la
nuova visione religiosa proposta ai fedeli dagli ordini mendicanti: Gesù an- dava adorato come
Figlio di Dio, ma andava nello stesso tempo pianto nella sua sofferenza di uomo. Su questa
idea convergevano sia le riflessioni teologiche dei seguaci di san Domenico sia le esperienze di
fraternità messe in pratica dai seguaci di san Francesco. Giotto infatti abbandonò l'iconografia
del Cristo inarcato a sinistra, per dipingerlo in una posa più naturalistica, con l'intera figura che
sprofonda verso il basso e piega il dorso e la testa in avanti, gravata dal suo stesso peso. I bordi
del braccio longitudinale della croce sono decorati da motivi geometrici che ricordano una
stoffa, mentre ai lati del braccio trasversale troviamo, come di consueto, i mezzibusti dei due
dolenti, la Vergine e Giovanni Evangelista. In basso, sulla base trapezoidale, le rocce in
prospettiva formano una base naturalistica di rocce aride, alludente al monte Calvario, su cui è
conficcata la croce. Secondo la tradizione medioevale sul monte Calvario era collocata la

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tomba di Adamo il primo uomo. Il sangue di Cristo scende in rivoli dalla croce e si infiltra tra le
rocce, per poi arrivare alla cavità che contiene le ossa di Adamo, come simbolo della
redenzione dell'uomo dal peccato, grazie al sacrificio di Cristo. La testa ciondola in avanti
anziché essere appoggiata sulla spalla e anche il busto sporge in avanti rispetto al ventre e al
bacino in un doloroso abbandono. Le ginocchia sono piegate in avanti sotto il peso del corpo,
seguendo un'ispirazione legata alla tradizione scultorea (di Giovanni Pisano ad esempio),
piuttosto che quella tradizionalmente legata alla pittura bizantina. Giotto dispose le gambe
incrociate e bloccate da un solo chiodo sui piedi, in una maniera già usata da Nicola Pisano
nella lunetta della Deposizione nel portale sinistro del Duomo di Lucca (1270 circa). Colpiscono
anche i dettagli delle mani che, ormai prive di forza, hanno le dita mollemente proiettate in
avanti rispetto ai palmi inchiodati alla croce, con un'illusione prospettica mai vista prima. Il
Cristo di Giotto è più tridimensionale ed occupa uno spazio più voluminoso rispetto a quelli
precedenti di Cimabue.

Il cantiere di Assisi: La basilica venne costruita su due livelli poiché essa non servi solo come
chiesa conventuale ma anche come una sorta di reliquiario, quella inferiore è intesa come una
grande cripta ospita infatti la tomba di San Francesco. Ci sono due ingressi differenti per le due
chiese. Nella struttura architettonica è evidente la volontà di rifarsi ai modelli architettonici
gotici per quante le forme siano piuttosto pesanti e non abbiano quello slancio e quella
leggerezza che caratterizza le cattedrali del Nord Europa. Consacrata nel 1253 la decorazione
interna diventa un vero e proprio cantiere artistico. La basilica Francesca divenne equazione
per contatti diretti con il mondo gotico transalpino. La prima fase decorativa si svolge
anteriormente al 1260, viene dipinto il primo ciclo monumentale con storie di San Francesco.
L’anno animo pittore ha dipinto le storie Di San Francesco sulla parete di sinistra in quella di
fronte a dipinto invece episodi della passione di Gesù una impaginazione che celebrava il santo
di Assisi mettendolo in parallelo addirittura con la figura di Cristo. Nella basilica superiore la
vicenda della decorazione quantomai complessa prima di tutto perché non coinvolge solo gli
affreschi ma si estende anche alle vetrate dell’Up side del transetto della navata. Cimabue con
la sua bottega fu attivo nel transetto dove dipinse due grandiosi crocifissioni. La scelta di
raddoppiare la scena e apparentemente strana ma spiegabile con il desiderio di offrire a tutti i
frati la visione del momento cruciale della storia della salvezza cristiana. L’immagine a un ruolo
che va bene aldilà della pura ornamentazione. La scelta iniziale era stata quella di costruire una
navata unica, un vasto spazio unitario articolato in quattro grandi campate, allora volta
contraddistinte da elementi architettonici schiettamente gotici. Sotto le grandi volte si aprono
quindi da una parte dall’altra grandi finestre archi acuti provviste di vetrate, fianco di queste
finestre due per ogni campata sono dipinte storie dell’antico testamento a destra guardando
verso l’altare e del nuovo testamento a sinistra. Appena sotto il livello delle finestre c’è un
camminamento orizzontale che corre lungo le pareti e addirittura il giro dietro i pilastri questo
passaggio segna una netta separazione tra la parte alta della navata è la parte più bassa dove
troveremo le storie della vita di San Francesco. Sulla parete destra la prima se mi lunetta che si
incontra venendo dal transetto presente alla creazione del mondo un affresco attribuito a
Jacopo Torriti. La fissa solennità delle icone, l’eterno tra i cieli raffigurati come cerchi
concentrici si congiunge alla pulsante viva città del mondo creato, i pesci, gli animali sulla riva
del mare, gli uccelli sugli alberi. Due affreschi della terza campata della parete destra raffigura
una storia della Bibbia tra le più celebri, la storia di Isacco e dei figli Esaù e Giacobbe. Isacco,
vecchissimo e cieco viene ingannato dal figlio minori Giacobbe che fingendo di essere Esaù
ricevere la benedizione del padre e tutti i diritti della primogenitura. Esaù si avvicina al padre
con la pietanza richiesta del vecchio ma il gesto di quest’ultimo non lascia dubbi il figlio

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maggiore viene respinto. Le due scene vengono in un nobile difficili qui vediamo all’interno
all’esterno, abbellito da quelle decorazioni cosmatesche così diffusa Roma. Isacco e disteso sul
letto dotato di una base con colonnette lignee, Mentre personaggi si muovono accanto a lui
circondati da tendaggi Rosa s’tre. Il pittore riesce a farci percepire lo spazio che separa e
personaggi tra loro. Lo stesso vale per gli oggetti. Interesse per lo spazio comporta una speciale
attenzione per i volumi, per esempio i piedi di Isacco ben evidenziati sotto le lenzuola, i
panneggi che rivestono i personaggi sono privi di quelli chiarimenti provvidi che da secoli
caratterizzavano la pittura bizantina. L’artista ha collegato lo spazio e due interni allo spazio
reale della basilica perché e come se la luce, dipinta che illumina Esaco e gli altri prof
provenisse dalla finestra al centro.

Giotto, Dono del mantello 1290-1291 e omaggio dell’uomo semplice 1292 Assisi, Basilica
superiore di San Francesco. La scena di Francesco che dona il mantello a un povero o
Elemosina del mantello è una delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san
Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il
1296 e il 1299 in misura 230x270 cm. La critica è concorde nell'individuare in questa scena la
prima ad essere dipinta nel ciclo. In primo piano si trovano San Francesco col suo cavallo e il
mendicante, che in realtà è però un nobile caduto in miseria. Sullo sfondo si notano le mura
della città di Assisi e un monastero nel quale aveva soggiornato San Benedetto. Il paesaggio è
aspro, con montagne senza grande vegetazione e con la linea delle due valli che si incontra in
corrispondenza della testa di San Francesco. n questa scena non è rappresentato uno sfondo
architettonico ma paesaggistico. La rappresentazione del paesaggio è ancora arcaica, con la
convenzione tipicamente bizantina delle rocce scheggiate a distanza indefinita. Ai lati, come
due quinte, si vedono dei gruppi di edifici: una sorta di eremo e una città murata, forse Assisi
stessa. Sapiente è invece la costruzione delle linee principali oblique che si incrociano in
corrispondenza della testa del santo convergendo l'attenzione dello spettatore: i due profili
delle montagne si prolungano a sinistra, mentre a destra trovano un continuamento nel
braccio del santo nell'atto di donare il mantello. Lo schema apparirebbe un po' rigido se non
fosse bilanciato dalla linea del collo del cavallo che serra armoniosamente con una
perpendicolare. Volti e gesti appaiono innovativamente sciolti, all'insegna di un naturalismo
fino ad allora inedito. Attenta è anche la descrizione dei dettagli, con notazioni di costume
contemporanee, come i berretti, i drappi e gli abiti; il panneggio del mantello è privo di
schematismo e sapientemente chiaroscurato. L'uso di tempera a secco nel cavallo e nella veste
di Francesco ha causato cadute di colore: l'animale ad esempio era bianco in origine ed è
diventato nero.

L'Omaggio dell'uomo semplice è la prima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie
di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente
tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm. La pittura di questa scena è dovuta in gran parte ad
aiuti, ma straordinaria è l'organizzazione della scena, in un'ambientazione senza precedenti: gli
spettatori vi potevano facilmente riconoscere la piazza di Assisi tra il Palazzo comunale (con la
torre) e il tempio di Minerva, con gli edifici che creano un fondale realistico, costruito secondo
precise misure secondo una coerente visione laterale e dal basso. La rappresentazione dei lati
degli edifici in una sorta di assonometria intuitiva scorciata permette di creare anche la
sensazione di sporgenza, come nel ballatorio dell'edificio sulla destra. La narrazione è concisa
ed efficace: il santo passa e un concittadino stende un mantello al suo passaggio, con una
mimica credibile e chiarissima. Il santo non è raffigurato con deformazioni gerarchiche o con
una sacrale posa frontale, ma è dipinto come le altre persone, con il solo riconoscimento
dell'aureola (particolarmente elaborata), ed è calato completamente nella scena, di profilo. Gli

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altri personaggi sono figure di cittadini casualmente di passaggio, vestite secondo la moda
dell'epoca, che commentano il fatto con naturalezza: non hanno una funzione specifica se non
quella di facilitare l'immedesimazione dello spettatore in essi, come se chi osserva fosse
davanti a un fatto reale. Si assiste quindi già da questa scena a un tentativo di annullare, con
vari artifici stilistici e narrativi, la distanza tra ciò che è raffigurato e il mondo reale
dell'osservatore. Su questo affresco e su quello sul lato opposto (San Francesco libera l'eretico
Pietro di Alife) si trova una mensola lignea che sporge al centro, dove anticamente si
appoggiava la trave dell'iconostasi: tale ingombro fu all'origine della pittura della scena tra le
ultime, quando si decise di decorare comunque il riquadro facendo però sì che la trave finisse
in una zona neutra del cielo. La datazione più avanzata della scena si intuisce semplicemente
confrontandola con quella vicina di San Francesco dona il mantello a un povero: in
quest'ultima si notano ancora riflessi metallici e spigoli ruvidi, mentre nell'Omaggio la stesura
pittorica è già ammorbidita e sfumata, con le vesti dalla consistenza più soffice che preludono
ormai al ciclo di Padova.

Giotto apparizione al capitolo di Arles, 1290-1292 assisi. San Francesco appare al Capitolo di
Arles è la diciottesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco
della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il
1299 e misura 230x270 cm. Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (IV,10)
di san Francesco: "Predicando il beato Antonio in capitolo ad Arles sul titolo della Croce, il
beato Francesco, benché corporalmente assente, apparve; e stese le mani, benedisse i frati,
così come poté vedere il frate Monaldo; e gli altri frati ne ebbero una grande consolazione." Si
tratta di una delle scene più efficaci di tutto il ciclo, con la realistica architettura gotica (si noti il
virtuosismo della tettoia esterna inclinata che si intravede dalle finestre) e l'apparizione del
santo al centro della scena con le braccia platealmente alzate. Non tutti gli astanti però hanno
la visione, infatti sono girati verso di lui solo Monaldo e il frate predicatore, sant'Antonio da
Padova. Come le vicine scene della Morte del cavaliere di Celano e della Predica dinanzi a
Onorio III, la stesura dell'affresco è da riferire a un aiuto del capobottega, a parte la figura di
Antonio da Padova che è riferita a Giotto. I fautori delle ipotesi del "non Giotto" però
riconoscono nel particolare modo di trattare l'incarnato la figura del "secondo capobottega",
forse il romano Pietro Cavallini. La descrizione dei restauri del 1798 del Fea (pubblicata nel
1820) ricorda come all'epoca questa fosse una delle scene più compromesse e meno leggibili e
che all'epoca ne esisteva un bozzetto in possesso dell'arcivescovo di Siena, opera grafica di cui
si sono perse le tracce.

Giotto, Funerali di san Francesco. La Morte di san Francesco è un dipinto murale, eseguito tra
il 1290 e il 1295 circa, ad affresco, attribuito a Giotto di Bondone (1267 ca. - 1337), ubicato
nella parete meridionale della navata nella Basilica Superiore di San Francesco in Assisi
(Perugia). Il dipinto murale è la ventesima delle ventotto scene del ciclo. San Francesco
sentendosi avvicinarsi la morte si fece portare alla Porziuncola, dove spirò in presenza dei suoi
confratelli. La morte del santo, la messa funebre e l'ascesa al cielo della sua anima sono qui
riunite a formare un'unica rappresentazione solenne e corale. La scena è una vera e propria
apoteosi, organizzata in tre fasce orizzontali, dove compaiono: in basso: Frati, disperati,
vegliano accanto al corpo di san Francesco d'Assisi. al centro: Clero, con indosso paramenti
sacri, celebra il funerale. in alto: Angeli volano in cielo, reggendo un clipeo con il Santo che si
trova già in Paradiso. (vero nome sarebbe Girolamo esamina le stimmate : "Nella Porziuncola
giacendo morto il beato Francesco, messer Geronimo, celebre dottore e letterato, moveva i
chiodi, e le mani, i piedi, il costato del santo con le proprie mani frugava." Nell'ambito delle
esequie del santo furono infatti in molti, sia religiosi che laici, a voler controllare la veridicità

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del miracolo, incaricandone appositamente un noto medico. La scena, molto affollata, è la
diretta prosecuzione di quella della Morte di san Francesco (intervallata dalla Visione di frate
Agostino e del Vescovo di Assisi), con Girolamo che solleva con un gesto molto naturale il
vestito del santo alla presenza dei frati e degli ecclesiastici. Nella parte più alta è riprodotto
l'interno di una chiesa (la stessa Basilica superiore), dove sporgono un Crocifisso sagomato ed
una Maestà appese, per questo inclinate (anche se la loro disposizione è un po' forzata),
mentre a destra appare un angelo. Si tratta più o meno della stessa ambientazione della scena
del Presepe di Greccio, vista però dal lato opposto, quello dell'ipotetica navata della basilica. A
destra si trovava anche un'abside, oggetto di pentimento.)

Giotto, prese di greggio. Il Presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di
affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu
dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm. La scena, oltre che una delle
più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto
realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un
ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività
le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che
ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto,
un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro,
con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata. Una folla
di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani
(provvisto pure lui di aureola) posto accanto ad una mangiatoia affiancata dal bue e l'asino, ma
le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei
personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o
di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati
sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un
piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo
sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica. nell'intero
ciclo di Assisi non c'è forse una composizione così complessa come quella del presepe di
Greccio non c'è una scena altrettanto capace di mostrare la libertà con cui Giotto interpreta il
compito che gli è stato affidato. nella leggenda si dice che quando San Francesco si recò a
Greccio dopo aver ricevuto il permesso papale decisi di celebrare la nascita di Gesù e allestire
quello che oggi chiameremo un presepe vivente la celebrazione si svolge all'aperto con animali
veri ma Giotto ribaltare situazione il presepe viene allestito all'interno di una chiesa e gli
animali non sono altro che statuette. gatto immagine l'evento nel presbiterio. al centro il
grande leggio per i cantori più a destra l'altare il Ciborio soprastante È qui che il santo con i
paramenti liturgici si è inginocchiato per riporre Gesù bambino nella culla. i confratelli cantano
a voce spiegata, in silenzio Ma devotamente attenti, alcuni cittadini in abiti eleganti Assistono
da vicino. alle loro spalle Ecco lo sbarramento dell'iconostasi a sinistra l'ambone e un tratto
delle scale per salirvi punto da l'unica apertura dell'incontro Stasi si affaccia in gruppo di donne
di loro prende una grande Croce come quella dipinta da Giunta Pisano o Cimabue. Ma se ne
vede solo il lato posteriore punto Mai un pittore medievale avrebbe concepito così
un'immagine sacra, ma e avrebbe accettato di raffigurarla solo come oggetto punto per Giotto
invece è possibile perché ritiene la coerenza spaziale un valore che si può accordare con la
narrazione religiosa, descrivendo la croce da dietro Riesci a darci l'impressione dello spazio che
prosegue nella navata Al di là dell’iconostasi. Giotto e attento definire gli spazi in cui si
muovono gli uomini, così interessa la consistenza delle cose, il candelabro sono in buone il
tappeto sotto i piedi del celebrante la tovaglia sull'altare gli abiti dei presenti. descrivere

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realisticamente Francesco e il suo modo diviene così il mezzo per celebrare la santità e
affermare attraverso le immagini che la sua predicazione è ancora valida.

Giotto miracolo della sorgente 1290-1292 Nell'affresco è presente la caratteristica


composizione a diagonale di Giotto, che fa ricadere lo sguardo su Francesco, posto al centro e
fulcro del dipinto. La luce argentata lunare unifica umanità e natura, producendo un tono
poetico sull'affresco. La presenza divina non è manifestata direttamente, con simboli o
apparizioni, ma è nascosta nella natura, secondo una concezione simile a quella francescana.
Lo spazio dove sono poste le persone è valorizzato, non basato sulla simmetria, ma su un
ordine logico e naturalezza. Giotto costruisce la scena su una composizione caratterizzata da
essenzialità, come richiedeva l'ordine francescano. La composizione dell'opera è basata sulla
geometria (è infatti costruita su due diagonali), ma viene liberata dalla rigidità dell'arte
bizantina e romanica e dagli schemi astratti diffusi in quelle tipologie di arte.

Giotto apparizione a Gregorio IX San Francesco appare a Gregorio IX è la venticinquesima


delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore
di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270
cm. "Dubitando alquanto il santo papa Gregorio della piaga del costato, gli disse in sogno il
beato Francesco: «Dammi una fiala vuota». E, come gliela diede, la si vide riempire dal sangue
del costato." La scena del sogno si svolge in una stanza verosimile, coperta da preziosi
apparati. La costruzione spaziale non è perfettamente centrata, un dettaglio che venne poi
sviluppato in opere giottesche successive. Il santo, con un gesto molto eloquente, appare a
Gregorio IX dormiente, ne prende la mano e lo invita a toccare le stimmate sul costato che
scopre con l'altra mano. Molto realistico è il baldacchino teso da corde e precisa è la resa dei
cassettoni del soffitto. L'esecuzione pittorica è quasi interamente riferita ad aiuti del
capobottega, forse con un intervento consistente del Maestro della Santa Cecilia, autore delle
ultime tre scene del ciclo.

Giotto predica ad Onorio III La Predica davanti a Onorio III è la diciassettesima delle ventotto
scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi,
attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230 Notevolissima,
per l'epoca, è l'ambientazione architettonica di una stanza illusionisticamente aperta nella
parete, che scandisce con le esili colonne la scena in tre gruppi di personaggi. Un virtuosismo è
la rappresentazione in prospettiva intuitiva delle volte a crociera. Eloquente e realistico è il
gesto del papa Onorio III che ascolta con attenzione san Francesco appoggiando il mento sul
dorso della mano che calza un guanto bianco, così come quello di Francesco, che indica col
pollice teso, un gesto ripreso ad esempio anche da Pietro Lorenzetti nella Madonna col
Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Evangelista nella Basilica inferiore. I gesti di
meditazione e meraviglia dei prelati sono un'altra felice invenzione, che divenne poi comune
nel Trecento. Infine è particolare la posizione dei personaggi, secondo una linea curva, che dà il
senso di profondità. La stanza è arredata sontuosamente, con drappi appesi alle pareti e il
trono papale con decori cosmateschi. Sciolta è la posizione in tralice del trono, a differenza
della visione frontale dell'architettura, in modo da evidenziare maggiormente tale elemento
figurale. L'ornamento della parte superiore, coi vasi di fiori, venne aggiunto dopo l'esecuzione
delle arcate, forse in un'epoca successiva al completamento del ciclo.

Giotto crocifisso 1295-1300 circa Rimini Tempio Malatestiano Cristo è raffigurato sulla croce
sagomata abbandonato al peso del corpo, con il capo reclinato, gli occhi chiusi, l'espressione
affaticata e sofferente ma dignitosa, il corpo magro, le gambe protese in avanti con le
ginocchia e i piedi inchiodati a un unico chiodo. I tabelloni ai lati di Cristo sono occupati da

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decorazioni geometriche che simulano preziosi tessuti mentre in alto, su sfondo rosso, si trova
un'iscrizione estesa dell'INRI. Gocce e rivoli di sangue escono dalle ferite, stimolando la
partecipazione del fedele alle sofferenze di Cristo. L'aureola sporgente non appare al di sotto
delle spalle, creando una curiosa mezzaluna. La figura, restaurata più volte, presenta una
stesura pittorica più dolce e modulata della Croce di Santa Maria Novella, con passaggi di
colore più fusi, che verranno ripresi dalla scuola locale. Forte è la luce, che stacca nettamente
la figura dallo sfondo piatto, evidente soprattutto nelle braccia, di straordinaria resa
anatomica, e nel busto, mentre più scolorite sono le gambe, coperte per metà da un perizoma
trasparente, come già aveva fatto Cimabue.

Giotto, Cappella degli Scrovegni, 1303-1305. Giotto viene chiamato a Padova da Enrico
Scrovegni. Giotto dipinse l'intera superficie interna dell'oratorio con un progetto iconografico e
decorativo unitario. L'aula si presenta interamente affrescata su tutte e quattro le pareti.
Giotto stese gli affreschi su tutta la superficie, organizzati in quattro fasce dove sono composti i
pannelli con le storie vere e proprie dei personaggi principali divisi da cornici geometriche. La
forma asimmetrica della cappella, con sei finestre solo su un lato, determinò il modulo della
decorazione: una volta scelto di inserire due riquadri negli spazi tra le finestre, si calcolò poi
l'ampiezza delle fasce ornamentali per inserirne altrettanti di eguale misura sull'altra parete[6].
Il ciclo pittorico, incentrato sul tema della salvezza, ha inizio dalla lunetta in alto sull'Arco
Trionfale, quando Dio decide la riconciliazione con l'umanità affidando all'arcangelo Gabriele il
compito di cancellare la colpa di Adamo con il sacrificio di suo figlio fatto uomo. Prosegue con
le Storie di Gioacchino ed Anna (primo registro, parete sud), le Storie di Maria (primo registro,
parete nord), ripassa sull'Arco Trionfale con le scene dell'Annunciazione e della Visitazione, cui
seguono le Storie di Cristo (secondo registro, pareti sud e nord), che continuano, dopo un
passaggio sull'Arco Trionfale (Tradimento di Giuda), sul terzo registro, pareti sud e nord.
L'ultimo riquadro della Storia Sacra è la Pentecoste. Subito sotto si apre il quarto registro con i
monocromi dei vizi (parete nord) e i monocromi delle virtù (parete sud). La parete ovest (o
controfacciata) reca il grandioso Giudizio Universale. Questo il dettaglio delle varie scene:

Il Giudizio universale è un affresco di Giotto, databile al 1306 circa e facente parte del ciclo
della Cappella degli Scrovegni a Padova. Occupa l'intera parete di fondo e conclude idealmente
le Storie. Viene di solito riferito all'ultima fase della decorazione della cappella e vi è stato
riscontrato un ampio ricorso di aiuti, sebbene il disegno generale sia riferito concordemente al
maestro. rappresentazione di Enrico degli Scrovegni e di un altro personaggio (forse il canonico
e arciprete del Duomo di Padova Altegrado de' Cattanei) che offrono un modello della cappella
a Maria accompagnata da san Giovanni e santa Caterina d'Alessandria. Maria è mediatrice tra
la fragilità umana e la misericordiosa giustizia divina. La forma dell'edificio è fedele a quella
esistente, anche se l'abside mostra un ampio giro di cappelle mai realizzato. Secondo la
tradizione, con tale offerta Enrico lava il peccato di usura della sua famiglia, così noto che
anche Dante Alighieri aveva indicato suo padre tra i peccatori nel girone degli usurai
dell'Inferno. La fisionomia di Enrico è giovanile e riproduce fedelmente le fattezze che,
invecchiate, si vedono anche nella sua tomba marmorea presente nella cappella: per questo la
rappresentazione di Giotto viene indicata come il primo ritratto dell'arte occidentale post-
classico. Un raggio di luce ogni 25 marzo (anniversario della consacrazione della cappella)
passa tra la mano di Enrico e quella della Madonna.

Le serie delle Virtù (parete destra) e dei Vizi (parete sinistra) decorano la fascia inferiore delle
pareti, situate in corrispondenza delle fasce ornamentali a sinistra e in posizione sfasata
rispetto alle scene figurate a destra, per via della presenza delle finestre. Precise rispondenze

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collegano le scene opposte nelle pareti e in generale simboleggiano, per chi entra nella
cappella, il percorso nella vita reale verso le beatitudine, aiutati dalle Virtù contro i pericoli dei
vizi. L'Ingiustizia è una figura maschile anziana, seduta come in un trono sotto un arco oscuro,
l'entrata di un castello circondato da rupi rocciose. L'accesso è ostacolato da una siepe d'alberi
e arbusti, a riprova della sua inaccessibilità. Esso tiene in mano una spada e nell'altra un
arpione, armi di rapina e violenza. Come un feudatario ribelle o un magistrato corrotto, al
quale assomiglia nella posa e nell'abbigliamento, guarda orgogliosamente verso l'esterno con
mento alto, non comunica con lo spettatore ed è indifferente alle scene di violenza ai suoi
piedi; le sue unghie lunghe ricordano gli artigli degli animali e dei demoni. Ai suoi piedi corre
un fregio, che mostra i fatti che avvengono sotto il suo dominio: in un finto rilievo i cavalli
vengono rubati e imbizzarriscono, la gente è rapinata di tutto per strada e i guerrieri circolano
armati seminando distruzione. Questa rappresentazione simbolica è opposta alla Giustizia sulla
parete opposta, che presenta una analogo fregio alla base. La coppia costituisce quindi
un'anticipazione in piccolo, nel tema e nello svolgimento, dell'Allegoria del Buon Governo di
Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena. Le figure negative, sia nel volto del
personaggio principale che nei personaggi del fregio, sono rovinate dai graffi dei pellegrini
antichi, che così intendevano esorcizzare il Maligno.

La Giustizia è l'unica Virtù in trono, perché per Aristotele non era semplicemente una delle
virtù ma la Virtù per eccellenza, da cui discendono tutte le altre. È raffigurata come una
solenne figura femminile coronata e seduta su un trono, che nella forma traforata delle cuspidi
sui braccioli e nella prospettiva intuitiva della rappresentazione costituisce un'anticipazione
della Maestà di Ognissanti. Nelle mani regge i due piatti di una bilancia in cui si trovano a
destra un angelo con la spada sguainata in atto di colpire dei malfattori e a sinistra un altro
angelo che incorona invece un uomo seduto ad un banco (quasi illeggibile). Sono simboli dei
due rami della giustizia secondo Aristotele: la giustizia distributiva e la giustizia commutativa; la
prima regola i rapporti pubblici (distribuzione di onori e pubbliche ricchezze), l'altra i rapporti
privati, tra cui le punizioni dei reati (scambio di cose). Alla base si trova un fregio in cui sono
rappresentate scene di caccia col falcone, di danza e pellegrini o mercanti in viaggio,
simboleggianti i piaceri e i vantaggi della vita che l'uomo può concedersi in una società
ordinata e ben governata.

Annuncio a sant’Anna 1303-1305Le Storie di Gioacchino e Anna si ispirano al Protovangelo di


san Giacomo e allo Pseudo Matteo (in latino) e al De Nativitate Mariae, che si ritrovano poi
anche, rielaborati, nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Modelli iconografici furono poi
manoscritti miniati di origine bizantina, magari attraverso le derivazioni occidentali, anche se
l'artista rinnovò profondamente tali modelli applicando la sua sensibilità moderna, in linea con
i principi degli ordini mendicanti. La scena raffigura sant'Anna, donna di mezza età, mentre
prega nella sua stanza e un angelo le porta l'annuncio della sua prossima maternità: la coppia,
ormai avanti con gli anni, non aveva infatti avuto figli e ciò, secondo la tradizione ebraica, era
segno di ignominia e di inimicizia con Dio, fatto che aveva causato a suo marito, Gioacchino, la
cacciata dal Tempio di Gerusalemme. L'angelo, secondo lo Pseudo Matteo (2, 3-4), le dice:
«Non temere Anna. Dio ha stabilito di esaudire la tua preghiera. Chi nascerà da te sarà di
ammirazione per tutti i secoli». L'iconografia si rifà a quella classica dell'Annunciazione, qui
calata in un contesto domestico e quotidiano rappresentato con amorevole cura del dettaglio.
Dentro una scatola prospettica, composta da una stanza senza una parete per permettere di
vedere l'interno, si vede infatti Anna nella sua stanza con un letto ben rifatto con coperta a
righe, disposto tra due cortine appese a stanghe rette da lacci appesi a soffitto a cassettoni,
una mensolina, un forziere, una cassapanca, un soffietto e qualche altra suppellettile appesa a

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chiodi sul muro. La stessa stanza ricompare poi anche nella scena della Natività di Maria.
L'angelo si affaccia a una finestrella verso la quale la santa inginocchiata rivolge la sua
preghiera. L'ambiente è di una semplicità borghese, che contrasta con la decorazione esterna
dell'edificio e con la ricchezza della veste di Anna, di un vivace arancione con bordature dorate.
La stanza ha una decorazione di tipo classicheggiante, con fregi scolpiti, tetto a spioventi e
timpani, di cui quello frontale ha un bassorilievo che mostra un busto di Isaia entro un clipeo a
forma di conchiglia portato da due angeli in volo (motivo ripreso dai sarcofagi romani con
ritratto del defunto e genietti alati). A sinistra si trova la porta di ingresso e un portico con una
scala che porta a una terrazza soprastante. Sotto il portico si trova una nota quotidiana, una
serva che fila la lana, impugnando una spola e un rocchetto. Questa figura, trattata quasi a
monocromo, ha un fortissimo rilievo scultoreo e una forma dilatata sotto il panneggio che
sembra anticipare capolavori come la Madonna di Ognissanti. La sua presenza è concretizzata
infatti dall'articolazione della veste, con le pieghe tenute in tirare dall'articolazione del
ginocchio sinistro. La stesura è morbida con un uso intenso dei colori e un sapiente uso delle
luci e delle ombre per creare sia la plasticità delle figure, sia la profondità spaziale (si veda
l'oscurità nel portico). Paradigmatico è poi, in questa come in altre scene, il rapporto organico
tra architettura e figure, ottenendo un risultato unitario.

Natività della Vergine La dedica della cappella alla Vergine della Carità spiega la presenza del
ciclo di storie mariane che, sommate a quelle dei genitori Gioacchino e Anna, costituiscono la
più estesa rappresentazione fino ad allora dipinta in Italia. Le Storie di Maria, dalla nascita allo
sposalizio, si ispirano alla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Ambientata nella stessa
identica abitazione di sant'Anna che appare nell'Annuncio, la scena mostra l'anziana donna che
sdraiata nel proprio letto (uguale è anche la coperta a righe), ha appena partorito e riceve la
figlia fasciata da una levatrice, mentre una seconda le sta per porgere qualcosa da mangiare.
La scena mostra inoltre altri due episodi: in basso due aiutanti hanno appena fatto il primo
bagnetto alla neonata e l'hanno fasciata (una tiene ancora in grembo un rotolo di stoffa),
mentre all'ingresso dell'abitazione un'altra fantesca riceve da una donna vestita di bianco un
pacchetto di panni. Le figure hanno un carattere scultoreo, ispirato forse ai pulpiti di Giovanni
Pisano, con allungamenti ed eleganze derivate dal gotico francese. Per accentuare
maggiormente la profondità prospettica, Giotto dipinse il sostegno delle cortine che
circondano il letto con stanghe che formano un rettangolo, appropriatamente scorciato. È
stato ipotizzato che la donna che porge la bambina, dall'elegante vestito azzurro con bordature
dorate, possa essere la moglie di Enrico degli Scrovegni.

Incontro alla porta aurea 1303-1205 Le Storie di Gioacchino e Anna si ispirano al Protovangelo
di san Giacomo e allo Pseudo Matteo (in latino) e al De Nativitate Mariae, che si ritrovano poi
anche, rielaborati, nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Modelli iconografici furono poi
manoscritti miniati di origine bizantina, magari attraverso le derivazioni occidentali, anche se
l'artista rinnovò profondamente tali modelli applicando la sua sensibilità moderna, in linea con
i principi degli ordini mendicanti. Dopo essere stato cacciato dal Tempio di Gerusalemme per
essere ritenuto sterile (e quindi non benedetto da Dio), Gioacchino si rifugiò in ritiro presso i
pastori delle montagne. Nel frattempo Anna, convinta di essere rimasta vedova, aveva avuto
un miracoloso annuncio da un angelo che le aveva rivelato che presto avrebbe avuto un
bambino. Nel frattempo anche Gioacchino aveva sognato un angelo, che lo confortava come
Dio avesse ascoltato le sue preghiere e dovesse tornare a casa dalla moglie. La scena mostra
dunque l'incontro tra i due, che secondo lo Pseudo Matteo (3,5), avvenne davanti alla Porta
d'Oro o Porta Aurea (She'ar Harahamim) di Gerusalemme, dopo che entrambi erano stati
avvisati da messaggeri divini. Da sinistra proviene infatti Gioacchino, seguito da un pastore, e

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da destra Anna, seguita da un gruppo di donne diversificate per classe sociale, studiate
accuratamente nelle acconciature e negli abiti. I due consorti vanno incontro l'uno all'altro e,
subito fuori dalla porta, su un ponticello, si scambiano un affettuoso bacio, che allude alla
procreazione (senza macchia): infatti Anna rimase subito dopo incinta. L'architettura della
porta ricorda l'arco di Augusto di Rimini ed è uno degli indizi che collocano il soggiorno del
pittore nella città romagnola prima di arrivare a Padova. Celebre è la naturalezza della scena,
col pastore che incede per metà tagliato fuori dalla scena (a sottintendere uno spazio più
grande di quello dipinto), o col bacio e l'abbraccio reciproco della coppia, sicuramente il più
realistico dipinto fino ad allora e che rimarrà tale per quasi due secoli. Molto lodata dalla
critica è stata la scelta di disegnare la coppia come una "piramide plastica" dalla grande forza
espressiva. Emblematica è la figura vestita di nero, colore raro in Giotto, che si copre metà del
volto col mantello: forse un'allusione allo stato di vedovanza tenuto fino ad allora da Anna. La
luce ha un ruolo chiave nella composizione, definendo il volume delle figure e anche la
profondità spaziale, come mostrano i pilastri posteriori delle altane nelle torri, dipinti in
ombra. Prevalgono le tinte pastello e molto curati sono i dettagli, soprattutto nel gruppo delle
ricche donne. Bilanciato con sapienza è il rapporto tra figure e architettura, che non è un
semplice sfondo, ma il vero palcoscenico dell'azione, abitato dai personaggi.

Cacciata di Gioacchino dal tempio .. Le Storie di Gioacchino e Anna si ispirano al Protovangelo


di san Giacomo e allo Pseudo Matteo (in latino) e al De Nativitate Mariae, che si ritrovano poi
anche, rielaborati, nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Modelli iconografici furono poi
manoscritti miniati di origine bizantina, magari attraverso le derivazioni occidentali, anche se
l'artista rinnovò profondamente tali modelli applicando la sua sensibilità moderna, in linea con
i principi degli ordini mendicanti. Una consuetudine ebraica riteneva le coppie sterili
ignominiose poiché non benedette da Dio e quindi indegne di sacrificare nel Tempio. L'anziano
Gioacchino, che non ha avuto figli, si era infatti recato per portare un agnello e ne viene
scacciato da un sacerdote (riconoscibile per il particolare copricapo arrotolato). All'interno del
Tempio, dall'architettura che ricorda le basiliche romane, un altro sacerdote sta invece
benedicendo un giovane, per contrasto con la vicenda di Gioacchino: il dramma psicologico e
umano dell'anziano è così evidenziato più che mai, nell'eloquenza di gesti e espressioni. Il
Tempio di Gerusalemme è rappresentato come un'architettura aperta circondata da un alto
parapetto con specchiature marmoree, dal quale si levano un ciborio arnolfiano e una sorta di
pulpito con una scaletta che lo raggiunge. Vi sono presenti linee di forza che guidano l'occhio
dell'osservatore verso i fulcri narrativi. L'artista dispose l'architettura con uno scorcio sfasato
orientando l'azione verso destra, in modo da assecondare la lettura delle storie: la scena si
trova infatti nel registro superiore della parete destra in angolo con l'arcone della parete
dell'altare e la scena successiva si sviluppa appunto verso destra. La stessa architettura, ma con
un punto di vista diverso, ricompare anche nell'affresco della Presentazione di Maria al
Tempio. La stesura è morbida con un uso intenso dei colori e un sapiente uso delle luci e delle
ombre per creare sia la plasticità delle figure, sia la profondità spaziale (si veda la colonnina
tortile in ombra del ciborio). Come sottolineò Luciano Bellosi, straordinario è l'equilibrio tra la
classicità composta derivata dall'esempio dell'antico e l'eleganza raffinata ispirata al gotico
francese, con un tono della narrazione "solenne e alto, ma disteso e sereno". Paradigmatico è
poi, in questa come in altre scene, il rapporto organico tra architettura e figure, ottenendo il
risultato di un complesso unitario.

Presentazione della vergine al tempio…La dedica della cappella alla Vergine della Carità spiega
la presenza del ciclo di storie mariane che, sommate a quelle dei genitori Gioacchino e Anna,
costituiscono la più estesa rappresentazione fino ad allora dipinta in Italia. Le Storie di Maria,

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dalla nascita allo sposalizio, si ispirano alla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Il Tempio di
Gerusalemme è lo stesso rappresentato nella prima scena, quella della Cacciata di Gioacchino,
ma qui visto da un punto diverso. Siamo infatti all'entrata, dove fronteggia il pulpito
raggiungibile dalla scala marmorea, col ciborio dalle colonnette tortili più arretrato. Maria
adolescente sale i gradini del Tempio accompagnata dalla madre (indossante un mantello di un
rosso inteso da cui sporge la sua solita veste arancio), seguita da un servo che tiene sulla
schiena un cesto pieno di panni e dallo sguardo del padre Gioacchino. Essa viene accolta dal
sacerdote che le tende le braccia e da una serie di ragazze vestite come suore: il periodo
trascorso al Tempio di Gerusalemme per le fanciulle era infatti simile a un ritiro monastico e
nelle storie mariane sottolinea il suo restare vergine, uscendovi solo per sposare l'anziano
Giuseppe, che quindi (è sottinteso) non la possederà. Un tocco di quotidianità è offerto dai
passanti, come quelli di schiena a destra che osservano indicando e chiacchierando tra di loro.
La scena ha un suo fulcro evidenziato anche dall'architettura, evitando le rigidità della
simmetria, con una semplificazione delle superfici di grande efficacia, con un rapporto
calibrato tra architettura e figure che la popolano. La gestualità è lenta e calcolata, i colori sono
chiari, intrisi di luce, la plasticità delle figure è accentuata dal chiaroscuro e dal disegno
robusto.

Fuga in Egitto…Un angelo appare in cielo e con gesto eloquente invita la Sacra Famiglia alla
fuga, per scampare alla futura strage degli innocenti. La scena mostra Maria al centro seduta
su un asino e reggente il figlio in grembo grazie a una sciarpa rigata annodata al collo. Indossa
la veste rossa e un manto che, originariamente, era blu oltremare, di cui restano solo poche
tracce. Un inserviente, munito di borraccia alla cintura, guida l'animale conversando
amorevolmente con Giuseppe, che regge un cesto o una sorta di fiasco e porta un bastone in
spalla. Chiudono il corteo tre aiutanti di Maria, che conversano con naturalezza tra di loro. La
scena è racchiusa da una piramide evidenziata dallo sperone roccioso sullo sfondo,
punteggiato qua e là da alberelli che simboleggiano le "lande desolate e aride" di cui parlano i
testi apocrifi. Delicate sono le tonalità dei colori, che spiccano sull'azzurro del cielo (in questo
caso danneggiato), armonizzandosi con le altre scene della cappella. Le figure appaiono come
scolpite per blocchi di colore dai contorni taglienti.

Resurrezione di Lazzaro 1301-1305La composizione è tradizionale, riscontrabile in miniature


già a partire dal VI secolo. Gesù a sinistra incede e leva il braccio per benedire Lazzaro, già
fuoriuscito dalla tomba, che viene aiutato a sbendarsi dai discepoli; uno si copre il viso per
evitare i cattivi odori mentre una donna solleva il velo in modo che scopra solo gli occhi. In
basso due servitori appoggiano il coperchio marmoreo della tomba che Cristo ha chiesto di
rimuovere. Alla vista del miracolo gli astanti sono colti dalla sorpresa, alzando le mani al cielo,
mentre Marta e Maria si prostrano ai piedi di Gesù. La figura al centro, che solleva un braccio,
è stata giudicata come una delle più sciolte e realistiche dipinte dall'artista nel ciclo (Gnudi);
anche l'uomo dietro di lui, vestito di rosso e che solleva entrambe le mani, è vivo e credibile. Il
cadavere è molto realistico, con le labbra e le palpebre semichiuse, e un'innaturale magrezza.
Anche in questo caso, come in altre scene, lo sfondo roccioso crea uno sfondo diversificato che
aiuta a dividere i gruppi di personaggi e quindi a leggere la scena. Intense sono le espressioni
dei personaggi, di grande vivacità. Il colore è più che mai luminoso e trasparente.

Bacio di Giuda 1302-1305La scena, una delle più note dell'intero ciclo, è ambientata all'aperto.
Nonostante la cospicua partecipazione di personaggi, il nucleo centrale è perfettamente
individuabile grazie all'uso delle linee di forza (come Caifa a destra che indica) e dell'ampia
campitura di colore giallo della veste di Giuda, che si sporge in avanti, al centro, per baciare

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Gesù in modo da permettere alle guardie di riconoscerlo e catturarlo. Il volto di Giuda, giovane
e pacato nelle scene precedenti, è qui ormai trasfigurato in una maschera bestiale, ed ha perso
definitivamente l'aureola. All'immoto e intenso contatto visivo tra Gesù e il suo traditore si
contrappone l'agitazione delle turbe di armati tutto intorno, generando un effetto di violenta
drammaticità. Solo osservando un secondo momento ci si accorge delle altre scene di corredo,
come quella di Pietro che taglia l'orecchio a Malco, un servitore del Sommo Sacerdote, con un
coltello, afferrato per il mantello da un uomo curvo e di spalle, col capo coperto da un
mantello grigio. Ben orchestrati sono i gruppi di armigeri, composti affastellando le teste (un
tempo con colori metallici negli elmi, oggi anneriti) e soprattutto intuibili dal numero di lance,
alabarde, bastoni e fiaccole che si levano in aria. Un po' più scandite sono le figure del gruppo
di destra, tra cui si vede un uomo che suona il corno. Sebbene l'iconografia risulti tradizionale,
in questa scena Giotto ne rinnovò profondamente il contenuto, immettendovi una
straordinaria tensione psicologica e drammatica.

Compianto 1303-1305La scena, la più drammatica dell'intero ciclo è una delle più celebri,
mostra una spiccata conoscenza delle regole della pittura fin dalla composizione. Gesù è
adagiato in basso a sinistra, stretto dalla madre che, in maniera toccante, avvicina il proprio
viso a quello del figlio. Tutta una serie di linee di sguardi e di forza dirigono immediatamente
l'attenzione dello spettatore su questo angolo, a partire dall'andamento della roccia dello
sfondo che digrada verso il basso. Le pie donne reggono le mani di Cristo e la Maddalena
gemente ne raccoglie i piedi. Sciolta e naturalistica è la posa di san Giovanni, che si piega
distendendo le braccia indietro, derivata forse dal Sarcofago di Meleagro che era a Padova.
Dietro a destra stanno le figure di Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, mentre a sinistra, in
basso, una figura seduta di spalle crea una massa scultorea. A sinistra accorrono altre donne in
lacrime, dalle pose studiate e drammatiche. In alto gli angeli accorrono con altre pose di
disperazione, scorciati con grande varietà di pose, partecipando a una sorta di drammaticità
cosmica che investe anche la natura: l'alberello in alto a destra è infatti secco, ma così come la
natura sembra morire d'inverno ed in primavera risorgerà, Cristo sembra morto e dopo tre
giorni risorgerà. Dall'albero scheletrico in alto a destra il taglio in diagonale del nudo profilo
roccioso scende accompagnando il ritmo in caduta delle figure verso il centro emotivo della
scena rappresentato dall'abbraccio della madre al figlio morto. Espediente inedito sono i due
personaggi di spalle in primo piano, raffigurati come grosse masse a dimostrazione che Giotto
ha saputo conquistare uno spazio reale in cui tutte le figure si dispongono liberamente in ogni
direttrice spaziale. L'unico addolcimento è dato dal concerto di colori pastello, estremamente
raffinato, che orchestra i toni delle vesti, con una diversa incidenza luminosa che arriva, negli
esempi più eclatanti, ad effetti di cangiantismo cromatico: tali finezze testimoniano come
questa scena, pressoché al centro della parete, fosse una delle più curate del ciclo,
sicuramente autografa e realizzata in modo da catturare l'attenzione del pubblico. Liberata
dalle rigidità bizantine, la scena fu presa a modello per intere generazioni di artisti successivi.

Giotto e bottega, La Maddalena e il vescovo Tebaldo Pontano, 1308 circa Assisi, Basilica
inferiore, , Le scene, diversamente dalle Storie di san Francesco o dal ciclo pittorico della
Cappella degli Scrovegni, non presentano l'idea della "scatola spaziale". Sono più ampie grazie
anche alle maggiori superfici a disposizione, che consentono scene più grandiose e dilatate. La
Resurrezione di Lazzaro ad esempio, se paragonata a quella della Cappella degli Scrovegni,
mostra più o meno gli stessi attori e gesti simili, ma qui ha un respiro più monumentale, con
pause calibrate che si creano tra il gesto eloquente di Cristo, le Marie inginocchiate e il gruppo

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attorno al risorto, ancora bendato e maleodorante, come indica l'uomo che si copre il naso col
mantello. Diverse sono le fisionomie rispetto a Padova: i tipi fisici mediterranei hanno qui
capelli più chiari, di un biondo-rossiccio, e occhi spesso azzurri.La scena della Maddalena che
riceve la veste da Zosimo, nella lunetta, è dominata dall'ampia forma piramidale e luminosa
della roccia bianca, soffice quasi come nuvola. Il profilo barbuto del monaco è indagato con
grande sottigliezza, arrivando ad anticipare il naturalismo di artisti successivi come Giottino. La
pittura appare più intensa nei colori quasi pastosi, come si vede bene ad esempio nelle rocce
degli sfondi, ormai lontane dalla petrosità delle Storie di san Francesco in cui si trovavano
ancora convenzioni bizantine. Le ombre nel chiaroscuro sono spesso intrise di colore. Più
ampia e sfaccettata appare la gamma di espressioni usate nei volti, talvolta più enigmatici.
Come a Padova la descrizione dei dettagli è amorevolmente curata, come nello sgabello tornito
su cui si siede Cristo nella Cena in casa del Fariseo.

La cappella Bardi è la prima a destra della Cappella Maggiore della basilica di Santa Croce a
Firenze. Contiene un ciclo di pitture a secco su parete di Giotto, databile al 1325 circa e
dedicato a San Francesco d'Assisi. Vi sono rappresentati in sei scene Episodi della vita di San
Francesco e figure di santi francescani, che riprendono aggiornandoli in senso più espressivo gli
stessi temi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi. Ciascuna parete
mostra tre scomparti, divisi nella lunetta e due riquadri sui registri sottostanti. La lettura salta
da una parete all'altra, dall'alto al basso.

Conferma della regola. 1325 In un edificio classicheggiante, decorato da un timpano su chi si


trova un medaglione scolpito con san Pietro (quindi in Vaticano, alla corte del papa), san
Francesco e i suoi compagni ricevono l'approvazione della Regola da parte di Innocenzo III.
Accanto al papa siedono due cardinali vestiti riccamente di bianco, mentre in due ali laterali,
che ricordano due navate monri, si trovano personaggi in piedi. Rispetto alla versione ad Assisi
i gruppi di personaggi sono invertiti e diversa è l'ambientazione architettonica, più espansa in
larghezza per meglio sfruttare il formato rettangolare.

Rinuncia agli averi 1325 I personaggi appaiono disposti come nella scena di Assisi, ma
dall'espressività ormai molto più matura, con i due gruppi contrapposti di Francesco in
preghiera seminudo, coperto dal vescovo e seguito da altre figure di religiosi, e quello del
padre Bernardone che, infuriato, viene trattenuto da un uomo. Alle estremità due monellacci,
con cestini in mano, tirano sassi al "pazzo" e vengono ripresi dalle madri che li prendono per i
capelli e li fanno piangere. Molto più interessante appare lo sfondo, dove gli edifici di matrice
gotica hanno lasciato lo spazio a una grande palazzo classico, scorciato di lato in maniera da
assecondare il punto di vista ideale, al centro della cappella, dello spettatore. Oltre un'alta
fascia a bugnato si aprono una serie di ambienti finestrati e logge che mostrano, al centro, un
peristilio, di sorprendente modernità protorinascimentale. Lo spigolo dell'edificio cade in
corrispondenza di Francesco, pietra d'angolo del nuovo ordine e della riforma della Chiesa, con
le due pareti di scorcio che acuizzano il distacco e l'incomunicabilità tra i due gruppi, quasi
fossero nascosti l'uno all'altro ai lati dell'edificio. Si viene e a generare inoltre una forma
triangolare che riempie la lunetta con grande efficacia. La scena farà da spunto per Taddeo
Gaddi e i suoi edifici in tralice, che verranno sviluppati in scene come la Presentazione della
Vergine al Tempio nella vicina Cappella Baroncelli.

Prova del fuoco 1325La scena della Prova del fuoco è sostanzialmente diversa da quella ad
Assisi. Il sultano si trova al centro assiso su un trono in posizione frontale, con alle spalle un
alto muro, decorato da parati tessili, che compone, con le pareti in scorcio ai lati, una stanza
quadrangolare aperta al cielo, con tanto di palmette che spuntano in alto. A destra Francesco,

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vicino a un compagno, si mostra disponibile a subire la prova del fuoco per dimostrare la
veridicità della fede cristiana, mentre a sinistra i dotti musulmani, nonostante l'invito del
sultano, si rifiutano allontanandosi impauriti. La scena si svolge quindi tutta sul primo piano
con i personaggi molto variati nelle attitudini e nei gesti. Il ritmo disteso ma eloquente, così
come il rigoroso impianto, sembrano preannunciare certe sacre conversazioni del
Quattrocento fiorentino, dove il motivo della parete di sfondo che copre un giardino divenne
tra i più usati. Per la qualità pittorica del rimanente e le novità iconografiche la scena è
interamente riferita alla mano del maestro.

Giotto preferì dare maggiore importanza alla figura umana, accentuandone i valori espressivi,
probabilmente, per assecondare la svolta in senso pauperistico dei Conventuali operata in
quegli anni. I colori sono più cinerini e si assiste a una maggiore sobrietà. Anche la resa è più
sommaria, con pennellate più veloci, ma molto espressive. Il santo appare insolitamente
imberbe in tutte le storie. Le composizioni sono molto semplificate (c'è chi parla di "stasi
inventiva" del maestro) ed è la disposizione delle figure a dare il senso della profondità spaziale
come nel caso delle Esequie di san Francesco. Rispetto alle Storie di san Francesco assisiati, i
fondali non sono più scatole chiuse, ma seguono un ordinamento spaziale più aperto e dagli
affetti grandiosi. Accentuata è inoltre la resa delle emozioni con gesti eloquenti, come quelli
dei confratelli che si disperano davanti alla salma distesa, con gesti ed espressioni
incredibilmente realistici, ma di drammaticità pacata. Un'altra novità, già in uso nella Cappella
Peruzzi, è l'uso di panneggi larghi e gonfi, che accentuano la presenza volumetrica e plastica
dei corpi che avvolgono. Svanita è invece la vivacità delle scene assisiati, sacrificata ad una
maggiore sacralità aulica. Decisamente proto-rinascimentale è la composizione nella scena
della Prova del fuoco, dove il sultano è assiso su un trono al centro della scena, e ricorda
alcune solenni Maestà di artisti quattrocenteschi.

Cappella Peruzzi La cappella Peruzzi è la seconda cappella a destra del coro nella basilica di
Santa Croce a Firenze. Contiene un ciclo di pitture a secco su parete di Giotto, databile al 1318-
1322 circa e dedicato ai santi Giovanni Evangelista e Giovanni Battista.

Resurrezione di Drusiana Ritornando da Efeso, Giovanni si trova incontro il corteo funebre di


Drusiana, morta anzitempo nel desiderio di rivederlo. Egli allora la fa risorgere. La scena è
ambientata fuori dalle mura di una poderosa città, in cui si riconosce una porta urbica tra due
torrette con copertira a piramide e il retro di una grande basilica, con absidi, rosoni e archetti
pensili che decorano le superfici murarie e tre grandi cupole costolonate sui corpi di fabbrica. A
sinistra Giovanni, con un gesto eloquente del braccio, fa risorgere la donna sul cataletto, che si
leva inginocchiandosi e pregandolo. La stessa azione è compiuta da tre donne ai piedi del
santo. Completano la scena numerosi spettatori, soprattutto nel corteo funebre, talvolta
sorpresi (come quello che solleva i palmi delle mani), talvolta colti in preghiera, talvolta
apparentemente impassibili. All'estrema sinistra si fa avanti uno storpio sulle stampelle,
desideroso di essere a sua volta miracolato. La mano di san Giovanni è indicata come il brano
di pittura originale meglio conservato dell'intera cappella, che dimostra l'incisività espressiva
della pittura di Giotto in questa fase della sua carriera.

Ascensione di san Giovanni Conclude nel registro inferiore la scena dell'Ascensione di san
Giovanni, un episodio presente nella Leggenda Aurea derivato da fonti incerte, che oggi è
escluso dall'agiografia ufficiale del santo. Nella sua abitazione di Efeso Giovanni è trascinato in
cielo da Gesù, comparso tra gli angeli in un'emanazione luminosa e aiutato da san Pietro,
primo apostolo. Giovanni si leva in obliquo passando da un'apertura nel soffitto e scivolando
fuori dalla fossa che si era fatto scavare quando, ormai prossimo a morire, aveva ricevuto

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l'annuncio della sua dipartita da Dio. Il santo ha il corpo inclinato e le braccia levate, nella tipica
iconografia dell'ascensione in generale, presente anche, ad esempio, nella scena
dell'Ascensione di Cristo della Cappella degli Scrovegni. Giustamente nota è l'invenzione
architettonica della scena, con l'edificio che assomiglia a una basilica finemente decorata (ad
esempio dai fregi cosmateschi), per metà coperto da volta a botte e per metà, oltre l'apertura,
coperto da una sorta di terrazza con parapetto. In basso sta una serie di testimoni, colti dalla
sorpresa: c'è chi guarda incredulo la fossa vuota, chi solleva le braccia per lo stupore, chi alza il
berretto per vedere la prodigiosa dipartita. Una figura vestita di rosso sta sdraiata in terra.

In questi affreschi si nota un'evoluzione dello stile di Giotto, con panneggi ampi e debordanti
come mai visto prima che esaltano la monumentalità delle figure. Le architetture sono inoltre
disposte in maniera più espressiva, con vivi spigoli che forzano alcune caratteristiche delle
scene; dilatandosi in prospettiva che continuano oltre le cornici delle scene fornendo
un'istantanea dello stile urbanistico del tempo di Giotto. Questa scelta è anche funzionale alla
ristrettezza della cappella, alta e profonda ma piuttosto stretta, che così viene dilatata dallo
spazio dipinto e si perfeziona per una veduta non tanto dal centro, ma dalla soglia. All'interno
di queste quinte prospettiche, si sviluppano le storie sacre composte in maniera calibrata nel
numero e nel movimento dei personaggi.

La controfacciata della cappella come accade frequentemente ospita il Giudizio Universale del
tutto inusuale invece è l’offerta del modello della cappella. La presenza di sei finestre fa si che
le due pareti abbiano un ritmo diverso per il numero degli episodi. In ogni punto degli affreschi
padovani il pittore raffina la resa dello spazio e la resa dei volumi. Si direbbe che tutto per lui è
misurabile in termini di volume e di spazio. Il vertice di questa piena padronanza prospettica
dell’artista si raggiunge nei cosiddetti “corretti”, gli affreschi che suggeriscono illusivamente
l’esistenza di due piccoli ambienti. Rientra in questa attenzione di Giotto alla resa prospettica
dello spazio il ricorso delle figure di spalle (esempio resurrezione di Lazzaro e il bacio di Giuda)
che da un lato consentono allo spettatore di misurare le distanze tra i personaggi di un
medesimo ambiente dall’altro lo invitano ad entrare nell’avvenimento narrato. chi guarda
infatti viene a trovarsi rispetto ai personaggi principali nella stessa posizione di quelli visti da
dietro. Giotto espone con evidenza i fatti, la maestria nella resa dei movimenti, delle fisionomie
anche a seconda delle diverse età, delle espressioni. In ogni scena c’è una salda aderenza alla
realtà anche a costo di ribaltare o modificare convenzioni iconografiche. Nel bacio di Giuda,
Giotto rompe lo schema tradizionale che prevedeva Gesù di fronte e Giuda di profilo. Gesù
guarda negli occhi colui che lo tradisce. Un altro esempio nella Resurrezione di Lazzaro, mentre
tutti si stringono attorno a Lazzaro e Gesù, due manovali sistemano la lastra in marmo venato
che copriva il sepolcro; accanto a loro si sta svolgendo il più impressionante dei miracoli di
Gesù ma le cose nella loro concretezza richiedono la monotona fatica di tutti i giorni. C’è una
scena in cui Giotto manifesta in modo speciale la sua presa sulle voci, il Compianto sul corpo di
Cristo. Qui il problema non è di rispettare un passo delle scritture ma di coinvolgere l’emozione
dello spettatore. Giotto usa diversi strumenti. Il centro del riquadro è occupato dalla figura di
san Giovanni, mentre il corpo di Gesù e tutto a sinistra, ed è il suo volto che ci indirizza, come
se fosse un indice puntato. Due donne di spalle ci separano dal corpo disteso, ma nel
medesimo tempo ci avvicinano ad esso. Carezze, colti contratti nel pianto, mani sollevate.
Anche qui Giotto sa calibrare la resa dei differenti stati d’animo, gli angeli amplificano in coro la
gestualità del dolore. L’apice di questi movimenti è sicuramente quello di san Giovanni, che
Giotto ha osservato nel gesto di una madre nella Strage degli innocenti sull’ambone senese di
Nicola Pisano.

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Duccio e il Trecento a Siena.

Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai 1285 circa. Firenze, Uffizi. La tavola è la più grande
che ci sia pervenuta riguardo al Duecento e venne dipinta dal pittore senese, allora giovane e
in patria straniera (Firenze e Siena erano due repubbliche diverse). L'opera si ispira alla Maestà
del Louvre di Cimabue, dipinta circa cinque anni prima, con la stessa disposizione del trono in
tralice, la stessa inclinazione dei volti, i medesimi gesti della madre col figlio, la stessa
impostazione della cornice. Il tema però è qui rappresentato con una nuova sensibilità, più
"gotica", carico di ancora maggiore dolcezza nei volti e nella dolente umanità che supera i rigidi
schematismi bizantini, facendo eco all'importanza tributata nel Duecento ai culti mariani. La
Madonna Rucellai di Duccio è più aristocratica e raffinata. I volti di tutti i personaggi, sebbene
ancora enigmatici, sono più dolci e gentili, secondo un distacco dall'opera di Cimabue che non
era ancora evidente nell'antica Madonna Gualino di Duccio (1280-1283), divenendo
percettibile nella Madonna di Crevole (1283-1284) e che in questa opera del 1285 diventa più
evidente: la Vergine sembra quasi abbozzare un sorriso[2]. Ciò dà all'immagine un senso di
maggiore aristocraticità, innestata sulla solida maestosità e l'umana rappresentazione di
Cimabue. Con tutta probabilità Duccio ebbe come ispirazione anche gli oggetti quali smalti,
miniature e avori provenienti dalla Francia, di sapore innovativamente gotico. Sono molti
infatti gli elementi di stile gotico presenti nell'opera: mancano le lumeggiature dorate
dell'agemina, sostituite da delicate modulazioni di colore e pieghettature spesso cadenti che
danno sostanza alle figure. Inoltre Duccio vi immise un nervoso ritmo lineare, come
sottolineato dal capriccioso orlo dorato della veste di Maria, che disegna una complessa linea
arabescata che va dal petto fino ai piedi, in opposizione alle rigide e astratte pieghe a zig zag
della pittura bizantina. La gamma cromatica è ricca e varia, come già andava conquistando la
scuola senese, e conta colori che si esaltano a vicenda come il rosa smalto, il rosso vinato e il
blu chiaro. Le aureole della Madonna e del Bambino sono decorate da raffinati motivi che
creano un'aura di impalpabile trasparenza. I sei angeli che circondano la Madonna sono
perfettamente simmetrici (forse dipinti tramite sagome cartonate, i cosiddetti "patroni") e
stanno irrealisticamente inginocchiati uno sopra l'altro ai lati del trono, senza una minima
sensazione di piani in profondità, come in Cimabue. Del resto anche nel trono sono più curati i
decori preziosi, con bifore e trifore gotiche e con il sontuoso drappo di seta sullo schienale. La
cornice modanata ha un ruolo fondamentale nella composizione, ribadito dal recente restauro.
Essa è in parte d'oro e in parte dipinta, con una fascia interrotta da clipei con busti di profeti
biblici e santi domenicani, tra i quali il fondatore dei Laudesi san Pietro Martire. Queste figure,
pur nelle dimensioni ridotte, presentano una notevole distinzione nelle singole fisionomie.

Crocifisso odescalchi, 1280-1285 circa Asciano, collezione privata. L'arte di Duccio aveva in
origine una solida componente bizantina, legata in particolare alla cultura più recente del
periodo paleologo, e una notevole conoscenza di Cimabue (quasi sicuramente il suo maestro
nei primi anni di attività), alle quali aggiunse una rielaborazione personale in senso gotico,
inteso come linearismo ed eleganza transalpini, una linea morbida e una raffinata gamma
cromatica. Col tempo lo stile di Duccio raggiunse esiti di sempre maggiore naturalezza e
morbidezza e seppe anche aggiornarsi alle innovazioni introdotte da Giotto, quali la resa dei
chiaroscuri secondo una o poche fonti di luce, la volumetria delle figure e del panneggio, la
resa prospettica.

Duccio, Madonna di Crevole 1280-1285 circa Siena, Pinacoteca Nazionale La tavola raffigura la
Madonna con la testa reclinata a tre quarti e un Bambino che allunga il braccio destro per

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toccare teneramente il velo della madre. Due piccoli angeli compaiono negli angoli superiori
della tavola. L'impostazione è quella della Madonna Odigitria della tradizione bizantina, con la
variante del tenero gesto del figlio che accarezza la madre, la cui espressione triste è dovuta
alla premonizione del destino di sacrificio e morte di Gesù, simboleggiata dall'apparizione degli
angeli. La tavola è molto simile, nell'impostazione generale, alla Madonna esposta nel Museo
di Santa Verdiana a Castelfiorentino (Firenze) ed attribuita a Cimabue. Tale somiglianza
suffraga la teoria, formulata anche sulla base di altri indizi ben più solidi, che il giovane Duccio
di questi anni fosse un allievo del più anziano Cimabue. Al di là di questa somiglianza, i volti
della Madonna e del Bambino sono molto più delicati ed umanizzati nella tavola di Duccio. Il
volto di Maria è più allungato e ha gli occhi più vicini tra loro, ma è anche la maggior
delicatezza pittorica a fare la differenza (si confrontino le fossette sopra la bocca e i dorsi dei
due nasi). Anche il volto di Gesù è più morbido e meno spigoloso, con un caratteristico naso a
patatina. La velata trasparenza della sua veste e l'intimo gesto con il braccio destro verso la
madre, ben diverso dallo sgarbato smanacciare di quello di Cimabue, contribuiscono a rendere
la sua figura più delicata. Questa percettibili differenze mostrano il progressivo distacco dello
stile di Duccio da quello di Cimabue in questi anni, distacco che appariva quasi impercettibile
nella precedente Madonna Gualino di Duccio (1280-1283) di carattere decisamente
cimabuesco. Un ulteriore distacco dal maestro Cimabue avverrà con la successiva Madonna
Rucellai (1285) dove Duccio introdurrà elementi gotici che mai caratterizzeranno invece l'opera
di Cimabue. Tornando alla Madonna di Crevole, le sfumature chiaroscurali dei volti hanno
invece risultati analoghi a quelli raggiunti da Cimabue, anche se l'esecuzione basata sui sottili
filamenti cimabueschi è qui di una finezza tale da far apparire una patinatura omogenea sulla
pelle dei due personaggi. Se questa raffinatezza figurativa esalta l'opera di Duccio, ben diverso
è il discorso se si valuta il panneggio, che appare qui meno curato. Se da una parte i manti di
Maria sono identici, tale da far supporre che l'allievo Duccio sia intervenuto per dipingere
anche quello di Cimabue, il confronto tra i panneggi di Gesù pone gli autori molto più in
contrasto. Le numerosissime pieghe sono qui rese senza alcuna attenzione per la provenienza
delle fonti di luce e conseguentemente la figura ha una minore rotondità volumetrica. Come
nella Madonna Gualino dello stesso Duccio, gli angeli negli angoli superiori della tavola sono
minuscoli, sproporzionatamente piccoli e senza corrispondenza spaziale rispetto alle due figure
centrali. Ben diverso era il discorso per gli angeli di Cimabue, quando presenti, come nella
Maestà del Louvre del 1280 circa. La ricerca di un'adeguata volumetria delle figure e di una
profondità spaziale non erano ancora caratteristiche di Duccio. Ma è piuttosto la sua dolcezza
figurativa che stava emergendo in questi anni. Duccio stava ancora seguendo gli insegnamenti
del maestro, ma il suo stile andava ormai diversificandosi, acquisendo una raffinatezza unica
nel panorama artistico del tempo e che contraddistinguerà sempre Duccio rispetto ai suoi
contemporanei.

Madonna dei francescani 1280-1285 circa Siena Pinacoteca Nazionale.

Duccio, Vetrata con storie della Vergine 1287-1288 Siena, Duomo La vetrata raffigura la Morte
della Vergine (in basso) la sua Assunzione (al centro) e Incoronazione (in alto). Queste scene
rispondono alla dedicazione della Cattedrale di Siena alla Madonna Assunta. Ai due lati della
Vergine Assunta sono raffigurati i 4 santi protettori della città di Siena, ovvero san Bartolomeo
e sant'Ansano a sinistra e san Crescenzio e san Savino a destra. Ai 4 angoli della vetrata sono
invece raffigurati i 4 evangelisti seduti in trono e i loro simboli (l'aquila per san Giovanni, il toro
alato per san Luca, il leone alato per san Marco e l'angelo per san Matteo). Nella scena della
Morte della Vergine riportata in basso, dove sono ancora ravvisabili i contorni originali, è
evidente la pittura di Duccio a grisaglia in punta di pennello a mettere in evidenza particolari

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quali i singoli ciuffi di barba o capelli. Nella stessa scena emerge la drammaticità ed emotività
dei personaggi, una drammaticità che è forse ripetitiva e meno espressiva rispetto a quella che
esprimeranno nel secolo successivo Giotto e Simone Martini, ma che comunque è intensa per
un pittore di questo tempo. Nella scena in alto dell'Incoronazione della Vergine i volti della
Madonna e del Cristo hanno la raffinatezza del miglior Duccio. Sebbene la realizzazione delle
figure in una vetrata non consentisse a Duccio di esprimere tutto il suo repertorio di dettagli
gotici, quali le variazioni cromatiche e il tremolio del bordo dorato della Vergine che possiamo
ammirare nella Madonna Rucellai, non mancano comunque virtuosismi di origine gotica, quali
ad esempio le cornici dei 4 santi protettori di Siena e il linearismo delle sagome nella scena
dell’Incoronazione. Una delle caratteristiche più importanti ed innovative della vetrata sono
comunque i troni architettonici marmorei, evidenti nella stessa scena dell’Incoronazione così
come ai 4 angoli dove siedono i 4 evangelisti. Fino a questo momento il trono era stato ligneo,
non solo per Duccio, ma anche per Cimabue e per altri pittori indipendentemente dal luogo di
provenienza. Il trono marmoreo che vediamo qui è il primo dipinto da un pittore duecentesco
ed avrà larga diffusione in tutto il trecento non solo presso Duccio e la sua cerchia, ma anche
presso altri pittori. La vetrata è singolare anche per essere l'unica opera di questo tipo
attribuita a Duccio e una delle poche realizzate dai pittori di scuola senese.

Anche in Duccio le figure acquistano volume e agiscono in uno spazio sempre più credibile.
Come ad esempio un apostolo tra i più distanti alla vergine (Dormitio Virginis) si gira verso un
compagno vicino interrogandolo con lo sguardo e portando ansiosamente la mano alla bocca.

Trittico della Crocifissione inizi XIV secolo Londra, Collezioni.

Madonna con il bambino inizi del XIV Con le opere dei primi anni del nuovo secolo Duccio di
Buoninsegna approda al suo stile maturo e autonomo, ormai dissociato da quello di Cimabue. I
volti delle figure diventano più allungati, i lineamenti del viso si fanno più morbidi, complice
una pennellata più fusa che permette di smussare i tratti spigolosi del viso. Nelle numerose
tavole col bambino dipinte in questi anni la Madonna e il piccolo hanno fisionomie proprie,
ben distinte da quelli della Madonna Rucellai o anche della Madonna di Crevole che erano di
impronta ancora cimabuesca. Anche il panneggio si arricchisce di pieghe naturali e morbide.
Prevale un realismo figurativo senza precedenti che permette a Duccio di acquisire la
reputazione di miglior artista della città di Siena. Il polittico n. 28 proveniente forse dalla Chiesa
di San Domenico a Siena e conservato oggi nella Pinacoteca Nazionale di Siena fornisce un
esempio di questo stile maturo. La tavola ha anche il primato di essere il primo polittico
architettonico a scomparti indipendenti, un prototipo che diventerà sempre più usato. A
questo periodo risalgono anche il Trittico a sportelli di proprietà della dinastia reale inglese e il
Trittico a sportelli raffigurante la Madonna col Bambino tra san Domenico e sant'Aurea di
Ostia, conservato alla National Gallery di Londra. In tutti questi dipinti si può apprezzare il
realismo figurativo e l'aristocraticità dei volti, propri dell'arte di Duccio e ineguagliati agli inizi
del Trecento in Italia. Si possono ammirare anche le ricche volumetrie delle vesti, tratti ormai
del tutto acquisiti dalla scuola fiorentina, che fu la prima fonte di apprendimenti e ispirazione
per Duccio. Fu così che Duccio diventò l'artista più accreditato a Siena, l'unico a cui il governo
della città potesse pensare di affidare il compito di realizzare un'opera così grandiosa e
dispendiosa quale la Maestà da collocare sull'altare principale del Duomo di Siena, senza
dubbio il capolavoro dell'artista.

Duccio, Maestà 1308-1311 Siena Museo dell’Opera del Duomo Si tratta di una grande tavola
(425x212 cm.) a due facce, anche se oggi si presenta tagliata lungo lo spessore secondo il
discutibile intervento del 1711 che non mancò di creare alcuni danni. Il lato principale, quello

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originariamente rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in
trono, circondata da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro. Tra questi si riconoscono
inginocchiati in primo piano i quattro santi protettori di Siena (Sant'Ansano, San Savino, San
Crescenzio e San Vittore), mentre ai due lati sono raffigurate le due sante protettrici in piedi
(Sant'Agnese e Santa Caterina d'Alessandria), avvolte da manti con un panneggio di linee
nervosamente spezzate, che ricordano i goticismi della Madonna Rucellai. Altri quattro santi
stanno in secondo piano (San Paolo e San Giovanni evangelista a sinistra, San Giovanni Battista
e San Pietro a destra), mentre tutto intorno si dispone con rigida simmetria un appiattito coro
di venti angeli alati. Più in alto altre figure di santi più piccoli a mezzo busto (gli altri dieci
apostoli) sono opere di bottega. La predella da questo lato presentava alcune storie
dell'infanzia di Cristo, nelle quali la protagonista è Maria, alternate a figure di Profeti (Isaia,
Ezechiele, Salomone, Malachia, Geremia, Osea). Queste le sette tavolette conservate:

Annunciazione (Londra, National Gallery);

Natività (Washington, National Gallery of Art);

Adorazione dei Magi (Siena, Museo dell'Opera del Duomo);

Presentazione al tempio (Siena, Museo dell'Opera del Duomo);

Strage degli innocenti (Siena, Museo dell'Opera del Duomo);

Fuga in Egitto (Siena, Museo dell'Opera del Duomo);

Disputa con i dottori del tempio (Siena, Museo dell'Opera del Duomo)

Descrizione

Al centro della facciata rivolta verso i fedeli della pala di Duccio di Buoninsegna si trova la
Madonna con in braccio il Bambino. La Vergine è seduta su un trono marmoreo molto
elaborato e strutturato come un edificio gotico. Sul gradino in basso è presente un’iscrizione
“Santa Madre di Dio dona a Siena la Pace, conserva a Duccio la vita perché così ti ha dipinto”.
Ai lati di Maria vi sono schiere di religiosi e angeli. In primo piano vi sono i Santi Patroni di
Siena che si inchinano di fronte alla Vergine. Sant’Ansano, San Savino, San Crescenzio e San
Vittore, i protettori di Siena, sono inginocchiati in primo piano. Sant’Agnese e Santa Caterina
d’Alessandria, anche loro protettrici, si trovano ai lati, in piedi e avvolte da ampi mantelli. In
secondo piano si notano San Paolo e San Giovanni evangelista a sinistra, San Giovanni Battista
e San Pietro a destra. A sinistra e a destra venti angeli formano una schiera corale. Santi e
Apostoli sono in alto, di dimensioni più piccole e raffigurati a mezza figura.

Interpretazioni e simbologia

Le figure della Vergine e del Bambino sono decisamente più grandi di quelle di Santi e Angeli.
Questa differenza non è dovuta però alla distanza dei personaggi da Maria e il Bambino.
Duccio utilizzò infatti la prospettiva gerarchica. In tal modo le figure più importanti hanno
dimensioni maggiori.Il fondo in oro simboleggia la sacralità del momento. Lo stesso fondo,
invece, nei riquadri posteriori, rappresenta la luce solare. La scritta posta ai piedi della Vergine
segna una importante novità rispetto al ruolo dell’artista. La prima parte indica la funzione
civica e il voto fatto dalla città nei confronti della Vergine. La seconda parte della scritta invece
segnala il ruolo importante dell’artista che ormai assume nel contesto cittadino.

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La Maestà realizzata per l'altare principale del Duomo di Siena risale al 1308-1311, come
testimoniato dalla documentazione scritta che ha permesso di risalire al contratto (1308) ed
una cronaca locale che testimonia il passaggio dell'opera dalla bottega del maestro al Duomo
(1311). La Maestà è il capolavoro di Duccio, nonché una delle opere più emblematiche dell'arte
italiana. Restò esposta nel Duomo, anche se fra vari spostamenti, fino al 1878, mentre oggi è
conservata presso il Museo dell'Opera metropolitana del Duomo. Finita nel giugno del 1311,
era tale la sua fama già prima del completamento, che il giorno 9, dalla bottega di Duccio in
contrada Stalloreggi, fu portata in Duomo con una festa popolare con tanto di processione: a
capo di questa, il vescovo e le massime autorità cittadine, mentre il popolo, portando candele
accese, cantava ed elargiva elemosine. Si tratta di una grande tavola (425x212 cm) a due facce,
anche se oggi si presenta tagliata lungo lo spessore secondo un discutibile intervento
ottocentesco che non mancò di creare alcuni danni. Il lato principale, quello originariamente
rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in trono, circondata
da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro. La Madonna è seduta su un ampio e
sfarzoso trono, che accenna ad una spazialità tridimensionale secondo le novità già praticate
da Cimabue e Giotto, ed è dipinta con una cromia morbida, che dà naturalezza al dolce
incarnato. Anche il bambino esprime una profonda tenerezza, ma il suo corpo non sembra
generare peso e le mani di Maria che lo reggono sono piuttosto innaturali. Alla base del trono,
sta la preghiera-firma in versi latini: "MATER S(AN)CTA DEI/SIS CAUSA SENIS REQUIEI/SIS
DUCIO VITA/TE QUIA PINXIT ITA" (trad.:"Madre Santa di Dio, sii causa di pace per Siena, sii vita
per Duccio, poiché ti ha dipinta così"). Il retro era invece destinato alla visione del clero, e vi
sono rappresentate 26 Storie della Passione di Cristo, divise in formelle più piccole, uno dei più
ampli cicli dedicati a questo tema in Italia. Il posto d'onore, al centro è dato dalla Crocifissione,
di larghezza maggiore e altezza doppia, come anche la formella doppia nell'angolo in basso a
sinistra con l' Entrata a Gerusalemme. In varie scene Duccio diede prova di essere aggiornato
rispetto alle "prospettive" dei fondali architettonici di Giotto, ma in altre deroga
volontariamente alla raffigurazione spaziale per mettere in risalto particolari che gli premono,
come la tavola apparecchiata nella scena dell' Ultima cena (troppo inclinata rispetto al soffitto)
o come il gesto di Ponzio Pilato nella Flagellazione, che è in primo piano rispetto a una colonna
nonostante i suoi piedi poggino su un piedistallo che è collocato dietro. Duccio non sembra
quindi interessato a complicare eccessivamente le scene con regole spaziali assolute, anzi
talvolta la narrazione è più efficace proprio in quelle scene dove un generico paesaggio
roccioso tradizionale lo libera dalla costrizione della rappresentazione tridimensionale. La pala
aveva anche una predella dipinta su tutti i lati (la prima conosciuta nell'arte italiana) e a
coronamento dei pannelli cuspidati con Scene della vita di Maria (fronte) e Episodi post-
mortem di Cristo (retro): queste parti non sono più a Siena ed alcune di esse si trovano in
collezioni e musei esteri. Nella Maestà si ravvisa tutto il realismo dei volti dei personaggi di cui
era capace Duccio, nonché l'orma acquisita capacità di disegnare cose e personaggi secondo i
canoni giotteschi della prospettiva diretta (non più l'antiquata prospettiva inversa di Cimabue
ripresa da Duccio fino a fine 1200). Le vesti hanno un panneggio voluminoso, i chiaroscuri sono
resi con un'attenzione per la provenienza delle fonti di luce, tendenze anch'esse ereditate da
Giotto. L'opera spicca anche per la profusione di dettagli e decorazioni: dagli intarsi marmorei
dei trono alla fantasia fine del drappo sullo schienale dello stesso trono, dalla capigliatura degli
angeli agli ornamenti delle sante. La coesione di elementi di matrice fiorentina con il realismo
figurativo propri di Duccio, il tutto impreziosito da una cura estrema per il particolare, fanno di
quest'opera uno dei capolavori del Trecento italiano.

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Nella grande tavola principale il posto d'onore, al centro, è dato dalla Crocefissione, di
larghezza maggiore e altezza doppia, come anche la formella doppia nell'angolo in basso a
sinistra con l'Entrata a Gerusalemme (da dove inizia la lettura), dove forse il tiburio gotico che
sporge dalle mura è una citazione fantasiosa della cupola del Duomo di Siena. Le scene si
leggono dall'angolo sinistro procedendo nella fascia inferiore verso destra dal basso verso
l'alto. Dopo il pannello centrale (Preghiera nel Getsemani e Bacio di Giuda) la narrazione
riprende nell'angolo in basso opposto, procedendo verso sinistra, sempre dal basso verso
l'alto. Questo espediente, già usato da secoli, serve per convogliare la lettura verso la scena
centrale della Crocefissione. La fascia superiore invece si legge da sinistra verso destra, sempre
dal basso verso l'alto fino alla Crocefissione. L'ultimo riquadro è più complesso: a sinistra in
basso la Deposizione dalla Croce sovrastata dalla Sepoltura, poi si prosegue per due riquadri a
sinistra, poi in basso, infine a destra dove è presente il Ritorno di Cristo che resuscita i morti e
sconfigge il demonio. In varie scene Duccio diede prova di essere aggiornato rispetto alle
"prospettive" dei fondali architettonici di Giotto. Uno dei più notevoli esempi si ha nella scena
di Gesù davanti al Sommo sacerdote, dove è rappresentato un edificio che continua nella
formella inferiore, il Tradimento di Pietro, collegato da una verosimile scalinata con tanto di
pianerottolo tra le due scene, ravvivato da un'elegante bifora. Lo spazio però per Duccio non è
mai condizione sine qua non, anzi in talune scene deroga volontariamente alla raffigurazione
spaziale per mettere in risalto particolari che gli premono, come la tavola apparecchiata nella
scena dell' Ultima cena (troppo inclinata rispetto al soffitto) o come il gesto di Ponzio Pilato
nella Flagellazione, che è in primo piano rispetto a una colonna nonostante i suoi piedi poggino
su un piedistallo che è collocato dietro. Duccio non sembra quindi interessato a complicare
eccessivamente le scene con regole spaziali assolute, anzi talvolta la narrazione è più efficace
proprio in quelle scene dove un generico paesaggio roccioso tradizionale lo libera dalla
costrizione della rappresentazione tridimensionale.

Lettura delle scene nel lato delle Storie della Passione e Resurrezione

Flagellazione , Museo dell'Opera del Duomo, Siena Sul retro della Maestà, destinato alla
visione del clero, erano rappresentate 26 Storie della Passione e Resurrezione di Cristo, divise
in formelle più piccole, uno dei più ampli cicli dedicati a questo tema in Italia. Le Storie
cominciavano dalla predella, poi smembrata, nella quale erano rappresentati alcuni episodi
della vita pubblica di Cristo Duccio di Buoninsegna, Maestà, Tentazione sul monte, Frick
Collection, New York La Natività tra i profeti Isaia ed Ezechiele è un dipinto tempera e oro su
tavola (43,8x77,5 cm il pannello centrale, 43,8x16,5 quelli laterali) di Duccio di Buoninsegna,
databile al 1308-1311 circa e conservato nella National Gallery of Art di Washington. L'opera
faceva parte della predella anteriore con Storie dell'infanzia di Cristo alternate a figure di
Profeti della Maestà del Duomo di Siena, destinata alla visione dei fedeli. In questa
composizione il Brandi mette in evidenza il rinnovamento del modello bizantino in una
dimensione certamente superiore all'intento narrativo, mentre il Carli sottolinea la presenza di
puntuali citazioni derivate dal pulpito del duomo di Siena di Nicola Pisano. La Maestà di Duccio,
posta sull'altare maggiore del Duomo di Siena con una solenne processione il 9 giugno 1311,
venne rimossa dalla sua prestigiosa collocazione nel 1506, per il mutato gusto in fatto d'arte
sacra. Nel 1771 la grandiosa pala venne trasferita alla chiesa di Sant'Ansano in località
Castelvecchio di Siena, dove venne smontata e segata in più porzioni: in quell'occasione
numerosi pannelli andarono perduti. Mentre i pannelli più grandi tornarono in Duomo nel
1795 e da lì vennero musealizzati nel 1878, molti altri, appartenenti soprattutto alle parti
accessorie come le predelle e le cuspidi, vennero dispersi. Il pannello della Natività finì nel
1884 nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino e nel 1937 venne scambiato con un'opera dei

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mercanti d'arte della Duveen Brothers Inc., il Ritratto d'uomo con liuto di Hans Holbein.
Immesso nel mercato d'arte, fu acquistato il 26 aprile 1937 dal Trust di Andrew Mellon,
finendo nel nucleo originario della galleria statunitense con la sua donazione del 1937.

Qui l’opera svolse le funzioni proprie della pala d’altare, fu sfondo solenne alle cerimonie
pubbliche, punto di riferimento per la devozione dei fedeli. Questa triplice funzione è alla base
della ricchezza dell’iconografie e spiega come mai la tavola è dipinta anche sul retro, in questo
modo il clero che sedeva nel presbiterio dietro l’altare poteva avere immagini sacre davanti a
se.

Simone Martini, Maestà ante 1315 Siena Palazzo Pubblico. La Maestà fu commissionata a
Simone Martini dal governo della città di Siena (Governo dei Nove). Non si conoscono le
circostanze di questo incarico, ma è probabile che Simone Martini avesse già acquisito una
reputazione di tutto rispetto se il governo della città di Siena gli affidò un'opera così
importante per la sala principale del Palazzo Pubblico. Simone Martini lavorò all'affresco in più
fasi: iniziò presumibilmente nel 1312, continuò il lavoro fino a circa due terzi della superficie
prima di abbandonarla per recarsi ad Assisi, dove lo attendeva la Cappella di san Martino. Ma
anche i lavori della cappella di San Martino furono interrotti e Simone tornò a Siena per
completare quindi la parte inferiore della Maestà, oggi assai deteriorata a causa della tecnica
adottata (principalmente pittura a secco). L'opera fu terminata nel giugno del 1315, come
risulta dalla firma apposta dallo stesso Simone Martini. L'affresco raffigura la Madonna in trono
col Bambino circondata da Angeli e Santi. Una Madonna che volge lo sguardo lontano sia
dall'osservatore che da suo figlio, in un punto imprecisato nel vuoto, siede su un ampio trono
con i due fianchi laterali aperti e adornato con i motivi dello stile gotico raggiante. Con la mano
sinistra regge il bambino, mentre con la destra tocca il piedino destro del piccolo. Il Bambino
tiene un cartiglio in cui si legge: «DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM» (abbiate
giustizia, voi che giudicate la Terra). La particolarità di questo affresco è la laicità della scena:
nonostante le figure siano di carattere religioso, la Vergine viene rappresentata come una
principessa, e gli angeli e i santi formano la sua corte. Altra conferma di questa affermazione è
il luogo in cui si trova l'opera, ovvero lo stesso luogo per il quale l'opera è stata creata: il
Palazzo Comunale (Siena), cioè un luogo tipicamente laico. Ai lati del trono, in posizione
inginocchiata, troviamo i quattro santi protettori della città di Siena e due angeli. Più
precisamente, da sinistra a destra troviamo sant'Ansano, san Savino, un angelo, ancora un
angelo, san Crescenzo e san Vittore. Subito dietro di loro, ancora da sinistra verso destra,
troviamo in posizione astante San Paolo, l'arcangelo Michele, san Giovanni Evangelista, san
Giovanni Battista, l'arcangelo Gabriele e san Pietro. Ancora più indietro abbiamo una terza fila
con l'arcangelo Uriel, Santa Maria Maddalena, Sant'Orsola, Santa Caterina, sant'Agnese e
l'arcangelo Raffaele. La quarta fila vede i santi Bartolomeo, Matteo, Giacomo Minore, Giacomo
Maggiore, Andrea e Simone. Infine, nella quinta ed ultima fila troviamo i santi Filippo,
Tommaso, un angelo, ancora un angelo, Mattia e Taddeo. La rappresentazione è sotto un
ampio baldacchino i cui pali sono retti dai santi stessi. L'affresco è racchiuso da una cornice che
corre su tutti e quattro i lati esterni. Qui sono presenti venti oculi al cui interno troviamo
altrettante figure. I quattro oculi agli angoli raffigurano i Quattro Evangelisti. I due oculi centrali
dei margini superiore e inferiore raffigurano il Redentore (in alto) e una figura doppia
raffigurante il Vecchio e Nuovo Testamento (in basso). Le altre figure in alto e ai due margini
laterali sono Profeti, mentre le restanti quattro figure nel margine inferiore sono Dottori della
Chiesa. Negli spazi tra i vari oculi troviamo motivi vegetali quali cardi con foglie e, talvolta, fiori.
Al centro di questi spazi troviamo, alternati i simboli della balzana (lo scudo bianco e nero
simbolo della città di Siena) e del capitano del Popolo (il leone rampante su sfondo rosso).

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Questi simboli si trovano, ancora alternati, sui lati di stoffa del baldacchino che simboleggia la
Gerusalemme Celeste.

La Maestà di Duccio di Buoninsegna, realizzata nel 1308-1311 per l'Altare Centrale del Duomo
di Siena ed oggi spostata nell'adiacente Museo dell'Opera del Duomo, fu sicuramente il
modello a cui Simone si rifece per la sua Maestà. Lo sviluppo laterale dei registri dei personaggi
è chiaramente ispirato a quell'opera, così come la loro identità. I quattro santi protettori di
Siena che sono inginocchiati ai piedi del trono sono gli stessi della Maestà di Duccio. Anche
molte delle figure in piedi nella Maestà di Simone sono presenti nella Maestà di Duccio, in
piedi o nelle lunette. La derivazione duccesca di questa Maestà non riguarda solo le identità
dei vari santi, ma anche le loro fisionomie. Il San Pietro di quest'opera assomiglia a quella di
Duccio e lo stesso dicasi per i quattro santi inginocchiati, per i due San Giovanni, per
Sant'Agnese e molti altri. Le figure di Simone Martini sono tutte reali e raffinate al tempo
stesso, dipinte secondo un'unica fonte di luce e il trono è riportato in prospettiva diretta e con i
fianchi aperti a libro, caratteristiche che di nuovo rimandano all'opera di Duccio (e che
quest'ultimo aveva ripreso da Giotto).

Ma nonostante le numerose derivazioni dalla Maestà di Duccio, quest'opera presenta


numerosi tratti nuovi.

1. L'affresco non è a totale superficie piana e furono utilizzati stampini per realizzare
decorazioni in rilievo sulle superfici dorate (l'equivalente della punzonatura per le
opere su tavola). Queste sono particolarmente evidenti nelle areole della Madonna,
del Bambino, di tutti i santi a sinistra e di tutti quelli inginocchiati. Questa decorazione
rimanda all'oreficeria senese del XIV secolo, uno dei campi artistici più vicini alla
cultura gotica francese dell'epoca. Il trono inoltre è ricco di decorazioni in stile gotico
raggiante, contro un trono ad intarsi marmorei nella Maestà di Duccio. Le cuspidi del
trono sono inoltre addobbate con intarsi di vetro. Il manto della Vergine è legato da
una vera pietra di cristallo di rocca. La pergamena del bambino è di materiale
ricercato. Tutte queste caratteristiche derivano dalla forte influenza che l'arte gotica
transalpina esercitava su Simone. Ma la ricca decoratività non si ferma a questi
elementi. Il manto della Vergine ha una stoffa orientale, quello di Santa Caterina è
broccato oro e simile doveva apparire quello di Sant'Orsola, oggi consunto.

2. Il volto di Maria non guarda più l'osservatore, ma è ieratico essendo indirizzato in un


punto indeterminato nel vuoto.

3. Il volto di Maria è ingentilito e quello del Bambino è più paffuto; entrambi hanno una
nuova fisionomia, mai vista prima, neppure nelle opere dello stesso Simone. È
presente un certo realismo fisionomico anche in altre figure. Molte di queste
fisionomie rimandano di nuovo all'arte gotica francese, come è evidente per le figure
severe dei santi dalle lunghe barbe bianche.

4. Le mani hanno una raffinatezza ed una delicatezza mai vista prima. Questo grazie al
fatto che le dita non sono più parallele come nell'opera di Duccio, ma differenziate.

5. La disposizione dei santi non segue una successione paratattica come in Duccio, ma
corre invece lungo delle linee diagonali parallele che convergono in profondità dando
un'illusione spaziale in prospettiva di sapore giottesco. Inoltre le figure non sono
stipate entro uno spazio ristretto, ma si affollano attorno al trono in uno spazio che

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appare più ampio, alto e profondo, uno spazio che le aste ed il telone del baldacchino
aiutano ad articolare.

6. La gamma cromatica di Simone, affascinato dagli smalti e dalle oreficerie d'oltralpe, è


più ampia e dotata di velature e passaggi più morbidi. Soprattutto sono innovative le
tinte azzurre e alcuni passaggi del giallo sfavillante delle aureole.

7. Diverso è anche il carattere delle due Maestà: eminentemente religiosa quella di


Duccio, carica di significati morali e civici quella di Simone, come si evince anche dai
versi che sono stati ritrovati in varie porzioni dell'opera.

Oltre ad influenze duccesche ci furono senza dubbio anche influenze di Giotto. Questo
sicuramente nella misura in cui la stessa Maestà di Duccio fu influenzata da Giotto (vedi sopra).
Le influenze di Giotto riguardano la prospettiva del trono, la Vergine, che volge lo sguardo
lontano sia dall'osservatore che da suo figlio, in un punto imprecisato nel vuoto, i chiaroscuri,
resi secondo un'unica fonte di luce, le angolazioni dei personaggi, che passano da raffigurazioni
frontali (come i due arcangeli in piedi in seconda fila) ed altamente profilate (come per i due
angeli ai piedi del trono o il San Vittore inginocchiato all'estrema destra), e infine il panneggio,
talvolta ricco di morbide pieghettature volumetriche, come i veli intorno ai volti della
Madonna, di Maria Maddalena o di sant'Agnese. Ma Simone Martini si è lasciato influenzare da
Giotto in misura ancora maggiore rispetto a Duccio di Buoninsegna. Il trono, per quanto
ricreato di oreficeria gotica transalpina, non può non richiamare alla mente il trono di Giotto
della Maestà di Ognissanti. Il baldacchino, con il suo telone pesante, ricorda l'utilizzo che
Giotto faceva di tendoni simili per dare profondità allo spazio. Ma c'è un elemento ancora più
straordinario che testimonia quanto Giotto fosse fonte d'ispirazione per Simone Martini. Come
già detto, Simone Martini realizzò la sua Maestà in due momenti diversi, intervallati da un
periodo in cui andò a lavorare nella Basilica Inferiore di San Francesco d'Assisi e dove ebbe
occasione di entrare in contatto con Giotto. Tutti gli oculi della cornice inferiore, realizzati dopo
la visita ad Assisi, hanno figure più dolci, quasi sorridenti, rispetto a quelle degli oculi più
antichi. Le figure inoltre debordano dai confini dell'oculo e spesso mostrano particolari in
profondità o in posizione avanzata. I cardi della cornice inferiore sono più gonfi e spesso fioriti,
le foglie sono volumetriche piuttosto che schiacciate. È una distinzione che mostra l'evoluzione
di Simone in senso giottesco addirittura all'interno di una stessa opera.

Guccio di Mannaia, Calice di Niccolò IV, 1290 circa. Assisi, Museo della Basilica di San
Francesco La sua sola opera accertata è il calice (in argento dorato e smalto traslucido, alto 220
mm) conservato del Museo del Tesoro della basilica di San Francesco ad Assisi, realizzato tra il
1288 e il 1292 per papa Niccolò IV e donato a San Francesco di Assisi. Sul gambo c'è scritto:
NICCHOLAVS PAPA QUARTVS / GVCCIVS MANAIE DE SENIS FECIT. Il calice è il più antico
esempio di "Basse taille" in Europa, precedendo il primo esempio francese di 30 anni. Il calice è
decorato con 80 smalti di cui due mancano,[7] ordinati dalla base al gambo per formare un
programma iconografico relativo all'eucaristia. La base è decorata con 32 placche, ciascuna
incorniciata da una fascia di perle, attraverso cui sono lavorate foglie battute. La più bassa
delle placche quadrilobi rappresenta la Crocifissione e alcuni mezzi busti della Vergine, San
Giovanni Battista, San Francesco, Santa Chiara, Sant'Antonio da Padova la Vergine e il Bimbo e
un Papa (Nicola IV). Le placche più piccole rappresentano i simboli dell'Evangelista e vari
animali. Il bocciolo otto volte sfaccettato ha medaglioni di smalto circolari di Cristo il Redentore
e sette mezzi busti degli apostoli. Il calice era senza precedenti immediati e non è mai stato
superato tecnicamente. Le linee fluide degli smalti ricordano le "illuminazioni" del Maestro
Honoré e dei suoi apprendisti sui manoscritti francesi contemporanei.

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Simone Martini, Madonna con il Bambino 1305-1310 Siena, Pinacoteca Nazionale. La forte
somiglianza tra questa tavola e le tavole di Duccio di Buoninsegna raffiguranti lo stesso
soggetto del 1300-1305 (quali il pannello centrale del Polittico n. 28 della Pinacoteca Nazionale
di Siena o la Madonna col Bambino della Galleria Nazionale dell'Umbria) induce a pensare che
Simone Martini si formò nella bottega di Duccio, che nella peggiore delle ipotesi fu comunque
la personalità ispiratrice. L'impostazione è chiaramente duccesca. La somiglianza riguarda la
fisionomia dei volti, le vesti dei due personaggi, le tinte chiaroscurali, l'espressione di Maria
(rivolta verso lo spettatore con l'inclinazione della testa a “tre quarti”). Persino alcuni dettagli
come la trasparenza della sottoveste del Bambino o le pieghe del velo bianco intorno alla testa
di Maria derivano dal Duccio dei primi 5 anni del Trecento. Ma già in questa primissima opera
giovanile di Simone Martini è ravvisabile una certa originalità, soprattutto nella figura del
bambino. La caratterizzazione somatica è più accurata, nel mento, nel naso, nelle guance, negli
occhi, persino nell'orecchio e trae vantaggio anche dalla resa di zone chiare, quasi di
lucentezza metallica, che sono ben contrastate con le zone d'ombra. Questo bambino ha una
fisionomia propria, che lo rende riconoscibile rispetto ad altri bambini. Simone è inoltre
prodigo di particolari. L'orecchio rivela i dettagli delle sue volute cartilaginee, la capigliatura
degli accuratissimi riccioli serpentini. La bocca è aperta e le labbra sono ben delineate, rosse e
arricciate. L'aureola rivela un'incastonatura di piccole pietre rosse sferiche e di altre grigie e
prismatiche, ma anche pazienti incisioni a rivelare motivi floreali, una vera e propria opera di
oreficeria. Infine sorprende la muscolatura del Bambino sotto il vestitino trasparente, con in
evidenza i muscoli pettorali e addominali. Nei dettagli di questo bambino si riconosce il
potenziale di questo giovane artista: un'abilità pittorica senza precedenti che per adesso
trovava la sua attuazione nella resa del particolare e in un arricchimento somatico, ma che
offrirà molto di più in seguito.

Simone Martini, Investitura di san Martino a cavaliere, 1315-1317. Assisi, Basilica inferiore,
cappella di San MartinoLo stile di Simone Martini in questi anni è realistico e oltretutto
raffinato nei modi con cui vengono raffigurati i personaggi, i loro volti, le loro posture, il tocco
delle loro mani. Simone è estremamente abile nella resa di linee fisionomiche dei volti a dare
personaggi naturalistici, veri, tutt'altro che stereotipati. Ciò si nota proprio nei volti dei
personaggi secondari degli affreschi quali i musici di corte nella scena dell'Investitura del santo
a cavaliere o della guardia che svetta tra l'imperatore e il santo nella scena della Rinuncia alle
armi o ancora nel volto del personaggio perplesso nella scena del Miracolo del fanciullo
risuscitato. Il realismo lo si nota anche dalla cura con cui sono raffigurati tessuti e oggetti.
Simone è un pittore cortese, laico anche nella rappresentazione di soggetti religiosi, quasi
cavalleresco.

In questi affreschi Simone mostra anche di ricevere l'influenza di Giotto, che proprio in questi
anni stava affrescando il transetto destro della stessa basilica. Risultati di quest'influenza sono
la collocazione delle scene in contesti architettonici resi con un'opportuna resa prospettica e
una maggiore attenzione per le vere fonti di luce nella resa dei chiaroscuri. Le volumetrie dei
santi a figura intera del sottarco di ingresso, gli ultimi affreschi realizzati da Simone in ordine
cronologico in questa cappella, sono un ulteriore avvicinamento allo stile di Giotto. Tuttavia
Simone non si adeguò passivamente alla scuola fiorentina, anzi è chiara una divaricazione tra il
suo modo di dipingere e quello giottesco a partire dallo stesso tema dei dipinti: non le storie di
un santo popolare come san Francesco, ma un raffinato santo cavaliere, del quale Simone
sottolineò alcuni aspetti cortesi della leggenda. Per esempio nella famosa scena dell'Investitura

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di san Martino, l'azione è ambientata in un palazzo, con i musici di corte magnificamente
abbigliati e con un servitore con tanto di falcone da caccia in mano. Il contesto di Simone è più
fiabesco e assolutamente notevole è lo studio realistico dei costumi e delle pose;
l'individuazione fisionomica nei volti non ha pari in tutta la pittura dell'epoca, Giotto compreso.
Anche la resa cromatica beneficia di un maggior repertorio di tinte.

In sintesi, con questi affreschi Simone si confermò come pittore laico, cortese, raffinato. Fu in
questi anni che si concretizzò la sua capacità di ritrarre fisionomie naturali, gettando le basi per
la nascita della ritrattistica.

Assisi basilica inferiore: Gentile Partino da Montefiore era il cardinale della basilica dei Santi
Silvestro e Martino ai Monti a Roma. Un documento del marzo 1312 testimonia lo
stanziamento da parte del cardinale di 600 fiorini d'oro per costruire ed affrescare una
cappella nella basilica inferiore di San Francesco. Nella primavera dello stesso anno il cardinale
è documentato a Siena, in viaggio per Avignone in quanto incaricato di trasferire il tesoro
pontificio presso la nuova sede francese. A Siena probabilmente si accordò con Simone Martini
per l'affrescatura della cappella. Nell'ottobre dello stesso anno, il cardinale morì a Lucca, prima
di raggiungere Avignone. Simone Martini lavorò nella cappella in almeno tre fasi. Iniziò i lavori
nel 1312-1313, lasciando sospesa la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena a cui stava lavorando.
In questa prima fase realizzò ad Assisi i disegni per le vetrate e forse iniziò gli affreschi. Tornò a
Siena intorno al 1314 per ultimare la Maestà, per poi tornare di nuovo ad Assisi dopo il giugno
del 1315. Qui iniziò la seconda fase con la realizzazione di tutti gli affreschi della cappella. Nel
1317 fu chiamato da Roberto d'Angiò a Napoli, ma subito dopo tornò ad Assisi, per ultimare (e
in alcuni casi rifare) gli affreschi di santi a figura intera sotto l'arcone di ingresso. I lavori furono
compiuti probabilmente entro il 1318.

Le pareti laterali della cappella riportano un ciclo di dieci affreschi sulla vita di san Martino,
vescovo di Tours. Il ciclo si legge dal basso verso l'alto partendo dal primo affresco in basso a
sinistra. Le scene rappresentate sono le seguenti:

San Martino divide il mantello con il povero

Apparizione di Cristo e angeli in sogno a san Martino

Investitura di san Martino a cavaliere

Rinuncia di san Martino alle armi

Visita all'imperatore il cui trono si incendiò

Resurrezione di un fanciullo

Messa miracolosa in cui angeli coprirono le braccia del santo sprovviste di mantello (donato a
un povero)

Sogno di sant'Ambrogio durante la messa in concomitanza con la morte di san Martino

Morte di san Martino

Funerali di san Martino

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Sopra l'arco di ingresso è rappresentato la dedicazione del cardinale a san Martino, mentre
sulla parete di fondo, negli sguanci delle tre finestre, sono riportati busti di Santi cavalieri (a
sinistra), di Santi vescovi o pontefici (al centro) e di Santi eremiti o fondatori di ordini (a
destra). Gli otto santi a figura intera che si trovano a coppie sotto l'arcone di ingresso sono
Santa Maria Maddalena e santa Caterina d'Alessandria (in basso a destra), Sant'Antonio di
Padova e san Francesco (in alto a destra), Santa Chiara e sant'Elisabetta d'Ungheria (in basso a
sinistra), San Luigi di Francia e san Ludovico di Tolosa (in alto a sinistra).

Simone Martini, San Ludovico di Tolosa incorona re Roberto d’Angiò, 1317. Napoli, Museo di
Capodimonte. San Ludovico di Tolosa di Simone Martini rappresenta l’incoronazione di
Roberto d’Angiò da parte del fratello canonizzato. San Ludovico di Tolosa è rappresentato al
centro della Pala, in posizione superiore e seduto su di un trono. Invece, in basso, al suo fianco
si trova il fratello, Roberto d’Angiò. In alto poi due angeli reggono la corona sopra il capo del
Santo. San Ludovico indossa un piviale vescovile, impugna il pastorale con la mano destra,
indossa una mitra sul capo e al dito mostra l’anello episcopale. Con la mano sinistra poi porge
la corona regale sul capo del fratello. Il futuro re Roberto d’Angiò invece è inginocchiato sulla
destra del dipinto con le mani giunte alzate. Indossa un abito semplice e scuro, decorato in oro
e guarda verso il fratello, in alto. L’opera di Simone Martini è un importante documento
storico. Infatti celebra l’incoronazione di Roberto d’Angiò da parte di Ludovico di Tolosa, suo
fratello maggiore. Nel 1296 Ludovico di Tolosa, figlio di Carlo II d’Angiò, aveva abdicato al
trono per aderire all’ordine francescano. Roberto, suo fratello minore, era subentrato a lui nel
titolo. La tavola dipinta da Simone Martini costituisce quindi uno strumento di propaganda
politica del nuovo re. La tavola che riproduce la scena dell’incoronazione di Roberto d’Angiò fu
eseguita da Simone Martini nel 1317 circa. Lo stile che si riconosce nella rappresentazione
delle figure è tipico di un dipinto bizantino. I colori presenti sulla figura di San Ludovico di
Tolosa sono caldi. Invece Roberto d’Angiò è caratterizzato da tinte fredde. Inoltre il fondo è in
oro. Lo spazio dell’immagine è bidimensionale. Infatti le figure si stagliano nette contro il fondo
dorato.

Pietro Lorenzetti, Ultima cena, 1315-1319. Assisi, Basilica inferioreTra le scene più celebri del
ciclo, mostra la scena dell'Ultima Cena in un originale padiglione esagonale, dove gli apostoli
sono seduti in circolo attorno a Gesù, entro una prospettiva ribaltata e dilatata. Il fulcro sono
Cristo e Giovanni, appoggiato alla sua spalla, che sono stati paragonati a "una perla fra le valve
di una conchiglia semiaperta" (Frugoni, p. 260). Ben studiata è la disposizione degli apostoli,
così come il digradare delle travi nel soffitto, illuminate dal basso su uno sfondo notturno (si
vede un sottilissimo spicchio di luna in alto a sinistra). Lorenzetti fu uno dei primi artisti (forse il
primo in assoluto) a richiamare l'attenzione dello spettatore sul variare del tempo atmosferico
nello scorerre delle ore. Nella scena seguente, la Cattura di Cristo, la luna è infatti al tramonto,
dietro uno sperone roccioso. A sinistra poi si apre un celebre scorcio di cucina, in cui un uomo
ben vestito, forse il padrone della locanda, si rivolge a un servitore con un gesto colloquiale,
poggiandogli una mano sulla spalla e indicando col pollice dell'altra la destra, come a dirgli di
affrettarsi a servire gli ospiti. Con tale gesto lega di fatto le due parti. L'uomo inginocchiato sta
infatti pulendo i piatti davanti al camino col fuoco scoppiettante, dove un cagnetto sta
leccando gli avanzi e un gatto riposa accucciato. Si tratta di uno spaccato di vita quotidiana
veramente innovativo per l'epoca, che mai si trova, ad esempio, nelle composizioni "classiche"
di Giotto e dei suoi seguaci più stretti. Alcuni hanno provato anche a spiegare la scena in
termini simbolici ed esegetici, giungendo a possibili soluzioni, sebbene non conclusive. Ad
esempio si è posto l'accento sulla luce che sprigiona il falò generando le ombre di tutta la
scena (a partire da quella del vicino cagnolino e del gatto), che alluderebbe al sacrificio del

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fuoco dell'Antico Testamento, che si rinnova nell'eucaristia e nell'imminente crocifissione. Il
cagnolino può ricordare un passo di san Bonaventura in cui si oparla, a proposito della Cena
del Signore, di coloro che sono esclusi dal banchetto eucaristico perché vogliono la carne reale
dell'agnello sacrificale come i cani, a differenza di quelli che cercano la carne spirituale. Strano
sarebbe però che il cane simboleggi i peccatori, mentre il vicino gatto niente. Inoltre appare
forzata la lettura dell'asciugamano con cui si puliscono i piatti con gli scialli liturgici del
sacrificio, anche perché gli stessi ricompaiono identici nella pala della Natività della Vergine a
coprire i cesti delle vivande portate a sant'Anna: si tratta semplicemente di oggetti di uso
comune tratti dalla quotidianità di allora. Un pezzo di virtuosistica bravura è anche la stanzetta
in sé, con la cappa del camino scorciata obliquamente, nonché la presenza di mensole sulle
quali il pittore creò delle piccole "nature morte", care al suo fare artistico. Le statue di putti con
cornucopie sotto i pinnacoli del padiglione sono più vive che mai, secondo una tecnica bizzarra
e fantasiosa che si ritrova anche in altre scene, in particolar modo nella Flagellazione.

Pietro Lorenzetti, Entrata a Gerusalemme, 1315-1319. Assisi, Basilica inferiore, transetto


meridionale. L'Entrata di Cristo a Gerusalemme è la prima scena del ciclo e si trova sulla volta a
botte. L'artista la rappresentò partendo da un'iconografia tradizionale (Cristo che avanza da
sinistra verso destra seguito dagli Apostoli, con la gente di Gerusalemme che gli si fa incontro
uscendo dalla città sul lato opposto), rinnovandola però con alcune invenzioni di grande
effetto. I due gruppi di figure in incastrano infatti lungo i bordi del dipinto generando un angolo
ottuso molto divaricato, che ha il vertice nella figura di Cristo, in primo piano vicino allo
spettatore. Egli incede sull'asinello entro un sontuoso mantello blu bordato d'oro, e avanza
benedicendo la folla, la quale al suo passaggio lancia rami di ulivo (come i due fanciulli sulla
terrazza rocciosa a sinistra, uno dei quali si sta arrampicando su un albero) e stende drappi
sulla via. In questo angolo di figure se ne incunea un secondo, dai lati paralleli, formato dalle
mura di Gerusalemme, dalla porta urbica e dagli edifici monumentali che sporgono con scorci
arditi, prospetticamente validi ma non raccordati a un unico punto di fuga. L'effetto
compositivo è quello di una tridimensionalità spaziale estremamente dilatata. Tutta la scena è
ricca di dettagli minuti e preziosi. Ad esempio le forme e le decorazioni degli edifici (la rotonda
con archetti rampanti, il palazzo con i medaglioni, i portafiaccole, gli scudi araldici appesi, il
balcone con la pertica su cui è steso un asciugamano, e la scaletta lignea interna, la porta
cittadina con intarsi comsateschi, volta stellata a crociera e un finto mosaico con due figure a
monocromo su fondo oro), dove spesso i trafori mostrano sottili stralci di cielo, oppure le pose
sinuose e le vesti eleganti del gruppo di cittadini a destra, che in alcuni dettagli anticipano
lavori di Ambrogio Lorenzetti che da qui trasse ispirazione, come negli Effetti del Buon
Governo. Se questa metà è sostanzialmente gotica, nel fluire delle linee, in quella sinistra le
linee sono più sobrie e le figure degli apostoli sono modellate attraverso i volumi dei panneggi,
finemente chiaroscurati in tonalità più intense: evidente è la derivazione dal modello di Giotto.
Gli apostoli sono colti ciascuno nella propria individualità: in primo piano si riconosce Giuda
Iscariota, già senza aureola, vicino a san Pietro col quale scambia uno sguardo. Dietro di loro
un altro, forse Giacomo il maggiore, è distratto dai bambini che lanciano l'ulivo, e ruota
vistosamente la testa. Un altro particolare realistico e affettuoso è quello del bambino
rossovestito che, dall'altro lato, fa capolito tra due ragazzi con vesti azzurre, affaciiandosi da
una sorta di sipario come dipingerà poi Ambrogio Lorenzetti nel figlio del calzolaio, sempre nel
Buon Governo. Splendida è in tutta la scena la ricchezza cromatica, mai scontata, intonata su
colori tenui e su una gamma di bruni che, con il cielo azzurro in blu oltremarino, fanno
particolarmente risaltare i dettagli in oro, testimonianza della sontuosità raggiunta dalla
decorazione della basilica in quel periodo.

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Lavanda dei piedi e deposizione.. La difficoltà costituita dalla presenza dell'arcata della porta
nel riquadro destinato alla Lavanda dei piedi venne brillantemente risolto dall'artista
dipingendo una balaustra sulla destra, alla quale stanno appoggiati con disinvoltura alcuni
apostoli, discorrendo in attesa del loro turno. La scena della lavanda vera e propria si svolge a
sinistra, dove Gesù sta inginocchiato davanti a Pietro, che, come nella scena del Vangelo
secondo Giovanni (13,1-15 «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!»), si porta
una mano sul capo per chiedere a Gesù che gli si lavi la testa oltre ai piedi, mentre con l'altra
regge la gamba col piede scalzo. Una diagonale attraversa il braccio dell'apostolo e passa per la
testa di Cristo, fino alla spalla di quello seduto di schiena; su questa linea si trova anche il
sandalo nero a mezz'aria dell'apostolo che si sta preparando a spogliarsi. L'apostolo vestito di
rosa vicino al pilastrino di mezzo porta al mento un dito, con un gesto desunto dalla
quotidianità che è presente anche nella vicina Crocifissione, nel gesto del cavaliere vicino al
Buon Ladrone: tale osservazione, assieme ad altre, conferma la vicinanza cronologica delle
storie dell'intera volta, a differenza di quanto sostenuto da Enzo Carli. La delicata architettura
della stanza è caratterizzata da volte costolonate con gli spicchi dipinti come un cielo stellato.
Varie bifore si aprono nelle lunette, separate da una cornice rosata e mosaici cosmateschi, che
evidenziano anche gli angoli, ai lati di colonnine, nonché la balaustra in primo piano. Nei
pennacchi esterni si trovano rappresentazioni del pellicano, uccello che simboleggia il sacrificio
di Cristo.

(deposizione) La scena è la prima sulla parete di fondo è una delle più celebri del ciclo, geniale
nell'impostare un composizione asimmetrica, che spinge tutti i personaggi verso sinistra, in una
sorta di piramide inclinata, e che lascia a destra la croce nuda. La folla della Crocifissione si è
diradata e solo i personaggi più vicini a Gesù presenziano al suo distacco dalla croce,
improvvisando un intenso compianto. A destra Nicodemo, con le tenaglie, è ancora impegnato
nello staccare il chiodo dai piedi di Gesù, assistito da Giovanni apostolo che regge le gambe del
Cristo. La Maddalena bacia i piedi insanguinati inginocchiandosi a terra e formando col
mantello rosso una figura solida e compatta, di stampo particolarmente giottesco. Nuovo è
invece il realismo con cui è trattato il corpo di Gesù, scarno e disarticolato dal supplizio, che
viene come trascinato via dai dolenti, in un fluido movimento di corpi. Quasi "stirato", viene
presentato ricorrendo a linee spezzate. Giuseppe d'Arimatea, da una scala, lo tiene per la vita e
la bellissima testa è retta da Maria, che carezza i capelli biondi del figlio fluttuanti in una
morbida cascata, assistita da due delle Marie: una bacia una mano di Gesù e l'altra avvicina le
mani al viso in un gesto di viva disperazione. Gli occhi della Madonna si assottigliano nel fissare
quelli chiusi del figlio, posti alla medesima altezza in una studiata corrispondenza. Il dolore e
l'affetto verso il Cristo appaiono concatenati nei gesti e negli sguardi dei vari personaggi. La
cura realistica dei dettagli si manifesta nelle macchie di sangue raggrumato sulla croce e sulla
nuda roccia, in corrispondenza di dove gocciolava dalle ferite nelle mani e nei piedi. Si tratta di
una precisa indicazione dello svolgersi temporale degli eventi cara al pittore, utilizzata anche in
altre scene del ciclo.

Crocifissione La scena è la più grande del ciclo e occupa lo spazio di quattro riquadri normali,
alla base della volta sulla parete sinistra. Come tipico dell'iconografia, la scena è divisa in due
metà: quella superiore e celeste, dominata dal blu del cielo su cui si staglia la croce di Gesù al
centro e quelle dei ladroni ai lati; quella inferiore e terrestre, in cui si assiepa la folla. Lorenzetti
sfruttò l'ambientazione collinosa del Calvario per distribuire i personaggi come se arrivassero
gradualmente da più lati, a piedi e a cavallo. Con tali accorgimenti nell'orchestrazione della

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folla, ogni sottogruppo e ogni personaggio riesce e mantenere una propria individualità: «qui la
moltitudine ha volto», scrisse Cesare Brandi. Ad esempio le teste delle file più lontane, invece
di creare una massa scura coperta da chi sta più avanti, sono perfettamente visibili poiché più
alte, con un effetto che è stato definito "a ventaglio". Varie sono le pose e gli sguardi, che si
intrecciano in colloqui di grande intensità, paragonabili a quelli che Pietro aveva inventato
nelle scene della Madonna col Bambino e santi. Perfino i cavalli accostano i musi e si guardano
reciprocamente. Tra i personaggi riconoscibili Longino, a destra del buon ladrone, con l'aureola
e la lancia che ha appena ferito Cristo. In basso a sinistra, su un cavallo bianco, il centurione
con l'aureola che si porta la mano al petto: è il pagano che riconosce Cristo come Dio, come
ricordato da Vangeli. Il suo cavallo, come altre figure, è tagliato fuori dalla cornice, a suggerire
uno spazio che si dilata oltre il dipinto. Poco lontano Maria sta svenendo mentre le Marie le
reggono la testa e la vita. Davanti a lei Maria Maddalena, di rosso vestita, porta le mani al
petto esprimendo tutta la sua costernazione. Poco lontano l'altro personaggio con l'aureola e
la veste rosa è san Giovanni apostolo. La folla di soldati è particolarmente caotica a destra,
sotto il cattivo ladrone, compiendo gesti violenti accentuati dall'uso di linee si forza spezzate.

Pietro Lorenzetti, Madonna con il Bambino, particolare del Polittico Tarlati, 1320-1324.
Arezzo, Pieve di Santa Maria. Al centro si trova la Madonna col Bambino a mezza figura (come
tutti gli altri santi), che attrae immediatamente l'attenzione per il velo sontuoso, di un
raffinatissimo broccato d'oro con motivi blu, in cui i quadrilobi si susseguono deformandosi per
effetto delle pieghe; esso è foderato di pelliccia di scoiattolo grigio dalla tipica forma a vaio con
code di visone attaccate. Maria guarda il figlio con tenerezza mentre egli, con una tranquilla
confidenza, le poggia una mano sulla spalla e le afferra un lembo del velo. Il gioco degli sguardi,
tenero e realistico, lega tra loro le figure instaurando un dialogo muto e intenso, secondo
quella che è una delle componenti fondamentali dell'arte di Pietro. Le spalle di Maria si
avvitano elegantemente per bilanciare il peso del figlio, ricreando un effetto tipico delle
sculture di Giovanni Pisano.

Ambrogio Lorenzetti, Madonna di Vico l’Abate, 1319. San Casciano in Val di Pesa, Museo di
Arte Sacra. Al centro del dipinto si trova la Vergine seduta su un trono ligneo riccamente
intarsiato. La figura è rigidamente frontale e fissa, di grande monumentalità, con una presenza
statuaria e possente, che echeggia anche le statue di Arnolfo di Cambio (Madonna col
Bambino già sulla facciata del Duomo, oggi nel Museo dell'Opera del Duomo) e di Nicola
Pisano (il Bambino simile a quello della Presentazione al Tempio nel pulpito del Duomo di
Siena). Il manto della Madonna è reso con un colore compatto e con scarsa caratterizzazione a
pieghe del panneggio. Il solido e spigoloso trono ligneo, riccamente intarsiato, irrigidisce
ancora maggiormente la ferma presa di Maria sul figlio, e l'unica concessione fuori schema è il
vivace bambino, dalla figura quasi erculea coi capelli ricciuti, che si agita e scalcia come un vero
infante. La sua espressione conferisce un elemento dinamico in un dipinto dominato dalla
figura ieratica della Vergine. Tali caratteristiche, così "giottesche", derivano sicuramente da un
profondo contatto con l'arte fiorentina, tanto da risultare estranee nella rarefatta scena
artistica senese, dominata allora dai modi di Simone Martini. Non a caso l'artista visse a lungo
nella sua fase giovanile a Firenze, dove lasciò alcune opere via via più dolci, abbandonando la
rigidità scultorea di questa prima prova.

Pietro Lorenzetti, Pala del Carmine, 1329. Siena, Pinacoteca nazionaleLa pala si presenta con
un grande scomparto centrale (169x148 cm) con la Madonna col Bambino in Maestà, con
quattro angeli e i santi Nicola a sinistra (patrono della chiesa) ed Elia a destra, il quale dispiega
un cartiglio con un versetto tratto dal primo libro dei Re (18, 19), legato proprio alla sfida che

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Elia lanciò a re Acab facendo radunare tutti i sacerdoti di Baal sul monte Carmelo[4]. Il
Bambino, non a caso, si rivolge al profeta e gli rivolge un gesto di approvazione e la stessa
Madonna, con le dita affusolate della destra, accenna a un segno di benedizione. La figura di
Maria spicca regale e scultorea, seduta sul trono eccezionalmente ampio, coperto da un
sontuoso drappo su cui la luce si posa in maniera diversa a seconda del lato: illuminato a
destra, in ombra a sinistra. La Madonna ricorda le sculture dell'amico Tino di Camaino, ad
esempio la Fede che un tempo decorava la sommità di una delle porte del Battistero di Firenze
e che oggi si trova nel locale Museo dell'Opera del Duomo: del tutto analoga è la posa frontale,
la corona posata sopra il velo e i lembi di quest'ultimo che si avvolgono sulle spalle; il trono
inoltre disegna una sorta di ampia nicchia, che accentua la monumentalità della figura, proprio
come nella cornice originale delle statue. Dettagli che conferiscono eleganza all'insieme sono
la ricca veste della Madonna, con le trine sul velo e con il manto di prezioso blu oltremare
foderato di pelliccia, oppure il rapporto confidenziale col figlio, che le appoggia un piede sul
polso.A destra si trova San Giovanni Battista (126,4x46,7 cm, a Pasadena), che spesso è
indicato come il "secondo Elia", per il suo ascetismo, quindi la sua presenza è particolarmente
calzante: Malachia infatti aveva predetto che la venuta del Messia sarebbe stata preceduta dal
ritorno di Elia per preparargli la via, che gli esegeti cristiani interpretarono con la figura del
Precursore, ovvero il Battista stesso. Nel primo pannello di sinistra si trova poi Eliseo (125,7x47
cm, pure a Pasadena), vestito dell'abito bianco carmelitano e reggente un cartiglio con le
parole del secondo libro dei Re (2, 11-12) legate al rapimento celeste di Elia sul carro
infuocato. Gli altri pannelli esterni mostrano le sante Agnese e Caterina d'Alessandria: alla
prima era dedicata la cappella dell'Arte della Lana senese, essendo essa per assonanza
etimologica protettrice degli agnelli, come quello che tiene in braccio; la seconda invece era
patrona dei cardatori, inoltre proveniva dall'Oriente, come i fondatori dei Carmelitani. Eleganti
sono gli angeli a coppie simmetriche che riempiono gli spicchi tra gli archi, scioltamente
disposti con un gomito appoggiato all'estradosso e con le ali che creano un ritmo fluido e
continuo, come già l'artista aveva usato nel Polittico della pieve di Arezzo . La scena sotto la
Madonna è di dimensioni più grandi (37x1545 cm) ed è più affollata. Vi è rappresentato un
lungo corteo che assiste alla consegna della Regola a san Brocardo, primo priore dei
Carmelitani, da parte di Alberto di Gerusalemme, il patriarca latino della città santa. Appare
voluto il contrasto tra le lisce pareti rocciose, in cui vari frati vivono la dura esistenza tra le
belve, e l'addensarsi della processione su due lati, così variata in profondità e nelle tipologie
dei personaggi, ora a cavallo, ora a piedi, con una ricchezza straordinaria di fisionomia, gesti e
atteggiamenti sempre diversi. La città sulla sinistra, dalle mura dipinte di rosso, rappresenta
San Giovanni d'Acri, mentre a destra si vede la chiesa madre fondata dai Carmelitani sul monte
Carmelo, vicina alla fonte di Elia che ricompare identica alla seconda scena. Si tratta quindi una
scena fondamentale, che lega l'ordine agli avvenimenti narrati nell'Antico Testamento,
facendone un ponte tra l'era antica e quella contemporanea.

Simone Martini, Polittico di Pisa, 1319-1320. Pisa, Museo di San MatteoLa prima cosa che
colpisce di questo polittico è la sua complessa articolazione. Sono presenti, dal basso verso
l'alto, una predella con 15 figure, 7 pannelli principali, una fascia superiore con altre 14 figure e
7 cuspidi con altrettante figure. In totale il polittico conta ben 43 figure. Al centro troviamo la
Madonna col Bambino. I santi dei restanti 6 pannelli principali sono, da sinistra a destra,
Domenico, Giovanni Evangelista, Maria Maddalena, Caterina d'Alessandria, Giovanni Battista e
Pietro Martire[2]. Tutte queste figure sono racchiuse in archi trilobati. Nella predella in basso
troviamo il Cristo nel sepolcro affiancato dalla Madonna e san Marco. Le restanti figure sono
santi disposti a coppie e sono, sempre da sinistra a destra, Gregorio e Luca, Stefano e

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Apollonia, Girolamo e Lucia, Agnese e Ambrogio, Tommaso d'Aquino e Agostino, Orsola e
LorenzoIl polittico presenta per la prima volta sette pannelli indipendenti, aggiungendo quindi
complessità al polittico a cinque scomparti indipendenti introdotto da Duccio di Buoninsegna
nel 1300-1305 (Polittico n. 28 conservato nella Pinacoteca Nazionale di Siena) e poi reiterato
dallo stesso artista e da altri negli anni successivi. Inoltre, la presenza di una predella, di una
galleria di apostoli e di cuspidi aggiunge ulteriore complessità, creando un'opera solenne e
imponente. Sono inoltre presenti archi a tutto sesto trilobi al di sopra delle 7 figure principali,
sostituendo i precedenti archi a tutto sesto senza trilobatura di impronta duccesca. Questo
tipo di arco rappresenta una transizione verso l'arco a sesto acuto trilobo che lo stesso Simone
Martini introdurrà con i successivi 3 polittici di Orvieto (1320-1324).Rispetto alla Maestà del
Palazzo Pubblico di Siena dipinta nel 1312-1315, ma anche al Polittico di San Gimignano dipinto
solo pochissimi anni prima, sono evidenti una maggiore raffinatezza cortese delle figure, con i
volti gentili e delicati, le sagome allungate e il tocco delicato delle mani. Alcuni volti spiccano
anche per il loro vivo naturalismo, oltre che per la loro raffinatezza, come quello di San Pietro
Martire. I chiaroscuri per la resa dei volti e delle vesti sono migliori di quelli della Maestà del
Palazzo Pubblico di Siena (1312-1315) e dello stesso livello del Polittico di San Gimignano
(1315-1319), un'evoluzione che fu dovuta al contatto di Simone Martini con Giotto qualche
anno prima ad Assisi. A tal proposito si può notare la veste bianca sotto il mantello scuro di San
Pietro Martire, in cui si nota come le pieghe verticali siano volumetriche e come la luce sfumi
da destra verso sinistra, secondo un'unica fonte di luce. Si noti ancora la gradazione della veste
rossa di Santa Maria Maddalena, che passa da un rosso molto luminoso a sinistra ad un rosso
scurito a destra. O infine si osservino le pieghe del mantello di Santa Caterina d'Alessandria,
che sembrano incresparsi e scurirsi in punti precisi. Nella stessa figura di Santa Caterina
d'Alessandria spicca un mantello con una dettagliatissima fantasia decorativa, con una grossa
spilla sul petto ricca di pietre preziose, con bordature anch'esse incastonate di pietre preziose.
Persino i polsini della Santa sono decorati. E ovviamente le aureole sono punzonate in maniera
sistematica. È la grande capacità di orafo di Simone Martini messa al servizio della sua arte
pittorica, una capacità che è ammirabile anche nella precedente Maestà del Palazzo Pubblico
di Siena (1312-1315).

Simone Martini, Polittico di Santa Maria dei Servi a Orvieto, 1320-1322. Boston, Isabella
Steward Gardner Museum. Il polittico reca cinque scomparti raffiguranti, da sinistra a destra,
San Pietro (con le chiavi del paradiso), Santa Maria Maddalena (con il vaso di oli profumati), la
Madonna col Bambino, San Paolo (con la spada con cui fu decapitato e le sue epistole) e San
Domenico (con i gigli simboli di castità). Il dedicante del polittico, che una cronaca trecentesca
del convento di san Domenico ci dice essere il vescovo di Sovana Trasmondo Monaldeschi) è
raffigurato nello scomparto di Maria Maddalena, inginocchiato con il piviale, la mitria e il
pastorale vescovili e raffigurato su piccola scala come era consuetudine in quel periodo per un
dedicante. Il vescovo era notoriamente devoto alla Maddalena, spiegando la presenza della
santa nel polittico e la scelta del vescovo di farsi raffigurare proprio in quello scomparto. In
origine il polittico recava 7 scomparti. Sulla base delle regole di simmetria (che voleva figure
affini nelle posizioni corrispondenti sui due lati), del lato verso cui i santi sono rivolti e
dell'importanza dei vari santi per l'ordine domenicano del tempo, è stato possibile ricostruire
la successione degli scomparti da sinistra a destra: San Domenico, San Pietro, Santa Maria
Maddalena, Madonna e Bambino, Santa Caterina d'Alessandria, San Paolo, San Tommaso
d'Aquino. Al pari degli altri due polittici orvietani dell'artista senese, le figure sono collocate
sotto archi a sesto acuto trilobati, un'evoluzione rispetto agli archi a tutto sesto adottati da
tutti gli artisti per gli scomparti di polittico fino alla fine degli anni dieci. Nel contesto dell'arte

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trecentesca il polittico è caratterizzato dal tipico stile di Simone Martini, con figure eleganti e
cortesi, aristocratiche nelle posture, negli sguardi e nel tocco delle mani. I volti sono
particolareggiati in tutti i dettagli anatomici rivelando la grande capacità del pittore senese,
ineguagliata in quegli anni, di dipingere volti realistici, addirittura ritratti. Colpisce l'intensità
degli sguardi dei vari personaggi rappresentati. I chiaroscuri dei volti e dei panneggi e le pieghe
volumetriche di questi ultimi rivelano l'influenza di Giotto, influenza che Simone cominciò a
subire in seguito all'incontro con il pittore fiorentino ad Assisi, nel 1313-1318 circa. Nel
contesto dell'evoluzione stilistica di Simone Martini nel corso della sua carriera, questo
polittico denota lo stile maturo del maestro, influenzato anche da possibili collaboratori quali
Lippo Memmi, che potrebbero aver impresso una facies severa nei volti dei personaggi. A tal
riguardo è utile effettuare un confronto con il polittico dipinto per la chiesa di Santa Maria dei
Servi ad Orvieto e conservato oggi all'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (1320-1322
circa) e con un'altra Madonna col Bambino che è lo scomparto centrale di un polittico in
origine realizzato per la chiesa di San Francesco ad Orvieto e conservato anch'esso nel Museo
dell'Opera del Duomo di Orvieto (1322-1323 circa). Questi due polittici orvietani precedenti
avevano volti più sereni, quasi un cenno di sorriso. Il polittico domenicano vede anche un
minor uso di ornamentazioni a livello delle vesti dei personaggi. Sono infatti scomparse le spille
che sovente apparivano sul petto delle figure femminili. Compaiono invece nuovi motivi
decorativi, come il doppio giro di archi acuti sui bordi esterni delle aureole e un nuovo punzone
esfoliato a sette buchi. Quest'ultimo era stato utilizzato anche nel polittico francescano, ma
solo nell'aureola del bambino. Tutti questi nuovi elementi ricorreranno anche in opere
successive di Simone Martini, evidenziando come questo polittico orvietano dipinto per i
domenicani sia un'opera di svolta nell'arte del maestro senese.

Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano e l’assedio di Montemassi, 1330. Siena, Palazzo


Pubblico. L'opera mostra il comandante delle truppe senesi, Guido Ricci o Guidoriccio da
Fogliano di Reggio Emilia, a cavallo, di profilo, mentre va all'assalto del Castello di Montemassi
in Maremma, nel 1328. Sullo sfondo, un paesaggio piuttosto realistico con montagne, un
accampamento e le località teatro dei fatti.

Simone Martini e Lippo Memmi, Annunciazione, 1333 (dall’altare di Sant’Ansano). Firenze,


UffiziDal punto di vista formale, il dipinto risulta essere diviso in tre piani: il fondo dorato che
suggerisce un'indeterminatezza dello spazio; il piano intermedio del vaso di gigli e dello Spirito
Santo in alto; e il primo piano dei due personaggi della rappresentazione, diviso dagli altri non
tanto dalla tonalità cromatica, quanto dall'estrema nettezza dei contorni. L'intera
rappresentazione inoltre è impregnata di un eccezionale dinamismo: l'arcangelo ha appena
toccato terra, come evidenzia la predominanza di linee verticali generate dalle ali ancora
spiegate e dal lembo del mantello non ancora richiamato dalla forza di gravità; la Madonna
invece è caratterizzata da una forte torsione della sua esile figura, sottolineata dalla posizione
delle braccia e dall'inclinazione della testa, contrapposta alla rigida geometria del trono su cui
è seduta. Con questi elementi, Simone Martini riesce a costruire una realtà nuova e diversa,
calibratissima nella distribuzione delle figure e nell'equilibrio di vuoti e pieni, impregnata di un
supremo ideale di bellezza, eleganza e armonia. Grazie all'incredibile espressività della linea,
l'angelo mantiene la sua forma nonostante l'immaterialità del suo corpo, quasi trasparente,
sovrapponendo l'oro delle sue vesti con l'oro dello sfondo, creando straordinari effetti di
rifrazione, immergendo così l'osservatore in un'estasi di luce e ricchezza, raffinatissima, che
mai sconfina in opulenza. Contrapposta, sta la figura della Vergine, del tutto terrena,
sottolineata dalla chiarezza e semplicità delle vesti, marcatamente scure. Importante
sottolineare come l'artista voglia suggerire una precisa spazialità della scena, scostandosi dagli

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schemi dell'adimensionalità bizantina e inserendo dettagli prospettici come il pavimento
marmoreo, i panneggi, i volti, il vaso di gigli, le olive, il trono in tralice e il libro, caratterizzati da
un grande realismo. Da notare anche i raffinati merletti dorati della veste di Maria, che
contribuiscono a dare un tocco di regalità alla sua figura, altrimenti eccessivamente cupa
davanti allo splendore angelico. Il racconto biblico narra dell'improvvisa apparizione
dell'arcangelo Gabriele nella casa di Maria Vergine a Nazareth per annunciarle il mistero della
Incarnazione di Gesù Cristo. Nel Medioevo l'annunciazione fu considerata l'inizio del tempo
cristiano. L'episodio sacro mostra il momento dell'irrompere dell'arcangelo Gabriele nella casa
di Maria per annunciarle la sua futura maternità. Egli porge con una mano un rametto d'ulivo
(simbolo della pace), mentre con l'altra indica la colomba dello Spirito Santo che scende dal
cielo in un cerchio di otto angeli. La Vergine, seduta su un trono, interrompe la lettura
all'improvvisa apparizione angelica e si ritrae spaventata, volgendo uno sguardo umile e pudico
al messaggero celeste. Ai lati, compaiono i due santi patroni della chiesa, che risultano
completamente estranei alla scena centrale, formalmente separati da due colonne tortili
ornamentali. Sul fondo, completamente dorato, compare un vaso di gigli estremamente
realistico. La scena centrale mostra a sinistra l'angelo appena atterrato, con il mantello ancora
svolazzante in un raffinato arabesco e le ali, dalla finissima trama delle piume dorate, ancora
spiegate. La Madonna, seduta in un trono dalla spazialità incerta (un po' in prospettiva e un po'
in assonometria), è sorpresa durante la lettura (il libro è anche un richiamo all'avverarsi delle
profezie delle Sacre Scritture) e istintivamente ha un gesto di ritrosia, chiudendosi il mantello
con la mano e stringendo le spalle, a metà strada tra la paurosa castità e l'altera ritrosia. La sua
espressione, con la boccuccia stretta e gli occhi sottili, è di straordinaria grazia aristocratica ma
anche un po' altera. La sua veste è composta secondo falcate ritmiche che hanno la finezza di
un arabesco e che ne smaterializzano il corpo, rendendolo una pura linea decorativa: le gambe
sono infatti appiattite e astratte, appena intuibili dall'andamento nervoso del bordo della
veste. I personaggi, tra l'altro, hanno la stessa fisionomia, dovuta all'uso di modelli (patroni)
per ottenere la forma delle figure, senza alcun interesse alla rappresentazione individuale.
Dalla bocca dell'angelo escono le lettere dorate delle sue parole, come in un vero antesignano
del fumetto. Completano l'ambiente un pavimento di marmo screziato (spazialmente non
coerente con quello dei pannelli laterali) su cui al centro si trova un prezioso vaso dorato con
alcuni gigli, fiore mariano simbolo di purezza; in alto si trova la colomba dello Spirito Santo
contornata da uno stormo di cherubini in cerchio. Lo sfondo è un'abbagliante distesa d'oro,
che dà alla scena un'apparenza astratta ma anche straordinariamente spirituale. Il tutto è
evidenziato ancora maggiormente dalle dorature delle vesti e di altri dettagli, secondo alcune
tecniche che Simone potrebbe aver inventato proprio per quest'opera.

Ambrogio Lorenzetti, Maestà, 1335 circa. Massa Marittima, Museo di Arte SacraAl centro
siede la Madonna in trono col Bambino in braccio. Ai lati dei gradini del trono sono presenti sei
angeli (tre per parte) con strumenti musicali e incensieri. Ai lati del trono stesso ci sono altri
quattro angeli, due che reggono i cuscini del trono e altri due che lanciano fiori. Come in altri
dipinti di Ambrogio Lorenzetti, nella Madonna con il Bambino è sottolineato il rapporto umano
tra madre e figlio, con la consueta presa energica del figlio da parte di Maria, con un contatto
guancia a guancia e uno scambio di sguardi ravvicinato tra le due figure. Del trono si vedono
solo i gradini, mentre è apparentemente assente il seggio e lo schienale: il trono diventa quindi
costituito dai soli cuscini sorretti dagli angeli. In primo piano infine si trovano le
personificazioni delle Virtù teologali. Tutti gli altri personaggi in piedi sono uno stuolo di
profeti, santi e patriarchi. A sinistra, dietro i tre angeli inginocchiati, troviamo una fila di
quattro santi riconoscibili come san Basilio, san Nicola di Bari, san Francesco d'Assisi e santa

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Caterina d'Alessandria. Ancora più dietro, troviamo san Giovanni evangelista, san Pietro, san
Paolo e due sante non identificate. In piedi, dietro agli angeli musicanti, sono presenti san
Benedetto, sant'Antonio abate, sant'Agostino e san Cerbone (santo patrono di Massa
Marittima, al quale è dedicato il Duomo), riconoscibile per le oche ai suoi piedi. Dietro
troviamo gli evangelisti Matteo, Marco e Luca, con due sante non identificate. Dietro ai santi
dai volti visibili si intravedono le aureole di altre figure e sotto gli archi a sesto acuto molte
altre figure, riconducibili ad apostoli, profeti e patriarchi. Tale sovraffollamento di personaggi
fa sì che tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa siano presenti all'evento della
nascita di Gesù Cristo. Ai piedi del trono sono inoltre presenti le personificazioni delle tre virtù
teologali, dal gradino più basso a quello più alto, la Fede, la Speranza e la Carità, come indicato
dalle iscrizioni sui gradini. La Fede è vestita di bianco e tiene in mano un dipinto con una
rappresentazione della Trinità (la colomba dello Spirito Santo non è oggi più visibile); la
Speranza ha una veste verde e guarda in alto, verso Dio, secondo il suo gesto più tipico,
reggendo in mano un alto modellino di torre che simboleggia la Chiesa; la Carità infine si trova
al centro ed è tipicamente vestita di rosso (in realtà un idilliaco rosa tenue), con in mano il
fuoco dell'amore divino e una freccia con cui sembra anche dirigere il concerto angelico. La
loro disposizione segue un preciso significato allegorico: secondo la definizione di Pietro
Cantore[1] la Fede costruisce le fondamenta dell'edificio ecclesiale, e infatti siede sul gradino
che forma la base del trono, la Speranza eleva la Chiesa fino al cielo, simboleggiata dalla
pesante torre che regge, mentre la Carità concretizza l'atto della Chiesa e attraverso l'amore
per Dio Padre dà amore anche al prossimo. La veste trasparente e la bellezza con cui è
raffigurata, il cuore che regge con la mano sinistra e la freccia che regge con la mano destra
sono attributi ereditati dall'arte classica, propri delle raffigurazioni di Venere: lo stesso
sant'Agostino impiega proprio l'immagine della freccia e di un cuore fiammeggiante per
indicare la Carità divina, la quale, secondo Gilberto di Hoyland, “arriva fino all'amore di Dio, lo
penetra come una saetta, trafigge il suo cuore”.

L'opera è tutt'altro che una Maestà tradizionale. Il sovraffollamento dei personaggi intorno al
trono carica l'evento della nascita di Gesù Cristo di una portata epocale, essendo tale evento
assistito da tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa. Inoltre la presenza, iconografia e
collocamento delle tre virtù teologali accrescono il valore allegorico dell'opera. Proprio intorno
al 1335 si registra una transizione dello stile di Ambrogio Lorenzetti. Alle figure già
volumetriche ben collocate nello spazio e rese già con un ottimo uso dei chiaroscuri, ma
ancora forse un po' troppo statiche ed ingessate dei primi anni trenta del secolo (come si
riscontra nel trittico di San Procolo del 1332 che si trova alla Galleria degli Uffizi di Firenze), si
passa a figure con una postura più sciolta e naturale, anche laddove le figure non sono in
movimento. Questo si riscontra per le tre virtù teologali sedute sui gradini del trono, per quelle
degli angeli e per quella di san Francesco, mentre altre figure rimangono ancora statiche e
irrigidite nella loro posizione. La coesistenza di queste due caratteristiche stilistiche nell'opera,
che sarà persa definitivamente nelle opere senesi della seconda metà degli anni trenta e degli
anni quaranta del secolo, indica la transizione in atto nello stile dell'artista in questi anni. I volti
delle figure rivelano le fisionomie tipiche di Lorenzetti, contribuendo quindi, insieme al carico
allegorico del dipinto, a non suscitare dubbi sulla paternità dell'opera. Delicatissimi sono poi gli
accordi cromatici, intonati a toni pastello perfettamente armonizzati nel preponderante oro
dello sfondo e delle numerose aureole.

Pietro Lorenzetti, Natività della Vergine, 1335-1342 (dall’altare di San Savino). Siena, Museo
dell’Opera del Duomo L'opera è un trittico, ma la superficie pittorica è trattata in modo
straordinariamente originale per quell'epoca, come se si trattasse di un'unica scena senza

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soluzione di continuità, ambientata in una stanza coperta da volte che ricalcano la forma della
pala, con due pilastri che altro non sono che i bordi di separazione dei tre pannelli. La scena è
così divisa in tre ambienti illusionisticamente contigui, due dei quali appartenenti alla stanza
principale e uno, a sinistra, dove aspetta trepidante Gioacchino, il padre di Maria, con un
anziano ed un bambino. Qui inoltre la presenza di un arco e di una lunetta aperti permettono
di vedere oltre, dove si trova un cortile porticato di uno stupendo palazzo gotico. Lo spazio è
composto in maniera prospettica, con un preciso sistema di piani ortogonali, anche profondi,
che sfruttano più punti di vista, raccordandosi in maniera ardita. La parte destra soprattutto
tende ad aprirsi in profondità, invece di ridursi, secondo un effetto "a ventaglio", che assicura
maggiore spazio alle figure laterali. Lo scomparto sinistro invece spicca per la profondità
maggiore rispetto alla stanza al centro, con un arco sulla parete di fondo oltre il quale si
intravedono, in un vero sfoggio di virtuosismo, gli archi e le bifore di un cortile intonacato di un
rosa delicato. L'interno domestico però non si riduce ad una fredda struttura architettonica,
anzi le figure vi si muovono a proprio agio ed i dettagli di mobilio e suppellettili sono
curatissimi, dalle mattonelle del pavimento alle stelline dipinte sulle volte a crociera, dagli
asciugamani ricamati, alle decorazioni dipinte sugli oggetti. Sant'Anna è sdraiata sul letto, un
tipico letto a cassone medievale con lenzuola bianche e una coperta a scacchi, davanti ad una
tenda bianca, mentre due donne l'assistono e altre due stanno lavando la bambina, in primo
piano. Una dama vestita di rosso, tagliata in due dal finto pilastro, parla con la donna distesa e
tiene in mano un ventaglio di paglia bianca e nera, finemente intrecciato. Le figure, isolate e
ben definite nel volume grazie alle sfumature delle luci sui panni colorati che le avvolgono,
hanno la solennità delle opere di Giotto, ma la minuta attenzione al dettaglio e l'atmosfera
quotidiana richiamano più le miniature transalpine. Secondo Enzo Carli, la sant'Anna
ricorderebbe la Madonna della Natività di Arnolfo di Cambio già in una lunetta della facciata di
Santa Maria del Fiore: innegabile è comunque una certa presenza scultorea della santa
sdraiata, soprattutto nelle gambe, sopra le quali si tende elastica la veste, generando pieghe in
cui si affossano le ombre. A Giotto farebbe invece pensare la figura naturale della levatrice che
versa l'acqua con la brocca, ruotata di tre quarti offrendo le spalle.

Ambrogio Lorenzetti, Presentazione al Tempio, 1337-1342 (dall’altare di San Crescenzio).


Firenze, Uffizi. Il dipinto è realizzato secondo lo stile dell'ultimo Ambrogio Lorenzetti, quello
della maturità artistica degli anni senesi (dopo il 1335). La piastrellatura del pavimento e lo
sviluppo in profondità delle navate della chiesa mostrano infatti un'acquisita familiarità nella
resa prospettica ereditata dalla scuola di Giotto, reiterando le indubbie capacità del Lorenzetti
di dipingere le complesse prospettive già evidenti nelle Storie di san Nicola del 1332 circa (oggi
alla Galleria degli Uffizi di Firenze). Tuttavia, non si può ancora parlare di prospettiva
matematica, invenzione del Rinascimento del XV secolo: se il pavimento ha infatti un unico
punto di fuga, esso è diverso da quello dei muri perimetrali o da quello della linea d'imposta
degli archi. In questo dipinto la scena è inoltre ambientata nelle tre navate di una chiesa, in
uno spazio che, scurendosi via via che ci si allontana, crea un effetto di profondità inedita per
la pittura toscana, che sembra anticipare le conquiste dei fiamminghi, come la Madonna in una
chiesa gotica di Jan van Eyck (Erwin Panofsky, 1927). Anche i chiaroscuri dei volti e del
panneggio mostrano le influenze giottesche che Ambrogio Lorenzetti aveva acquisito negli anni
di permanenza a Firenze (prima del 1332). Le figure sono dipinte come masse compatte, con le
vesti in colori brillanti sfumati in base al diverso cadere della luce, dando così uno straordinario
senso di plasticità e volume. I volti sono invece resi secondo le inconfondibili fisionomie di
quest'artista. Così come "lorenzettiana" è la raffigurazione del Bambino, con i piedini irrequieti
e con il dito in bocca a sottolinearne l'umanità.

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Simone Martini, Allegoria virgiliana, 1338-1340. Milano, Biblioteca Ambrosiana Sull’opera:
“Allegoria virgiliana” è un frontespizio miniato che decora un codice contenente le opere di
Virgilio annotate da Servio, suo celebre commentatore. Il dipinto è autografo di Simone
Martini. In questo “piccolo” capolavoro che appartenne al grande Petrarca, il poeta latino della
Divina Commedia è in meditazione nel bosco delle Muse. L’opera, che è un’allegoria prelevata
dal mondo classico, ha un fresco cromatismo steso alla maniera gotica che richiama lo spirito
ellenistico. I personaggi sono la personificazione delle tre opere di Virgilio.

Descrizione de Effetti del Buon Governo in città di Ambrogio Lorenzetti 1338-1339 palazzo
pubblico siena

Nell’affresco intitolato Effetti del Buon Governo in città si osserva una cittadina medievale. Vi
sono piazze e stradine sulle quali si affacciano le botteghe ricavate nei piani terra dei palazzi. I
cittadini si affollano sotto i grandi portici costruiti con archi a tutto sesto. A sinistra, poi, un
grande palazzo presenta una serie di sottili bifore. In alto, il tetto è decorato con una
merlatura. Il cornicione, invece, è sostenuto da mensole sagomate. Verso destra, in alto, è
possibile osservare alcuni muratori al lavoro su un tetto piano. Tra le case sono rappresentati
diversi gruppi di cittadini al lavoro. Inoltre, sono presenti scene di vita quotidiana come la
giovane a cavallo con una corona in testa, a sinistra. Il suo abbigliamento suggerisce che si stia
preparando per il matrimonio. A destra, infine, le mura di scorcio lasciano il posto alla
campagna. La sua figura, molto luminosa ed appariscente, si staglia in uno sfondo di un’intensa
tonalità azzurra. L’affresco del Lorenzetti, come gli altri che lo affiancano furono realizzati per
ispirare il lavoro dei cittadini riuniti nella Sala dei Nove. Quindi, il loro significato è didascalico e
ammonitivo. Infatti, confrontando i due affreschi Effetti del Buon Governo ed Effetti del Cattivo
Governo, si valutano le conseguenze di diversi orientamenti amministrativi. La città raffigurata
negli affreschi è Siena. Inoltre, le scene non furono ispirate a soggetti religiosi e il loro tono è
decisamente laico, politico e filosofico. Il principio filosofico che guidò Lorenzetti nella
realizzazione del ciclo deriva da San Tommaso d’Aquino. In sintesi, l’autorevolezza della buona
politica genera effetti positivi sulla società.

L’affresco di Ambrogio Lorenzetti presenta una dominante leggermente fredda. Infatti il colore
presente in quantità maggiore è il grigio di alcune abitazioni. Comunque, i toni sono equilibrati
con colori caldi quali l’ocra del suolo, i rosa e le terre rosse di altri edifici. Nell’insieme le tinte
sono poi delicate e trasparenti. Forti contrasti di luminosità si individuano solamente sulle
facciate. Infatti, dalle finestre risalta il nero degli interni. La luce ambientale è diffusa e le
ombre si producono sotto i loggiati e su alcuni prospetti dei palazzi.La città medievale è
costruita attraverso una prospettiva intuitiva a più punti di vista. Quindi, gli edifici assumono
una decisa consistenza volumetrica. La progressiva diminuzione delle dimensioni dei palazzi in
lontananza è poi un altro indicatore spaziale che contribuisce a suggerire la profondità. Anche i
gruppi di cittadini contribuiscono all’organizzazione dello spazio per dimensioni diverse e
sovrapposizione. Infine, il punto di vista è alto e l’osservatore ha la possibilità di osservare
nell’insieme la vita cittadina.Tre alberi collocati sullo stesso piano sembrano ben dettagliati, ma
danno la sensazione di un’irreale apparizione. Alla sinistra di Virgilio stanno Enea ed il suo
commentatore Servio, mentre sotto sono collocati un contadino ed un pastore che accudisce
le sue pecore.

Descrizione dell’affresco Effetti del Buon Governo in campagna di Ambrogio Lorenzetti

A sinistra l’affresco è collegato con Effetti del Buon Governo in città. Infatti, sono evidenti le
mura con la porta dalla quale escono ed entrano i cittadini e i contadini. Un gruppo di

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cacciatori a cavallo esce dalla città avviandosi verso la campagna. Invece, sulla strada che sale
verso Siena, giungono in città alcuni contadini con sacchi di granaglie. In primo piano, a sinistra
si osservano dei contadini al lavoro tra i campi. Giovani cittadini cacciano con la balestra tra viti
ed ulivi. In alto, tra le colline lontane e vicine sono dipinte case coloniche e borghi. In alto a
destra una figura nuda alata mostra un cartiglio aperto. La figura nuda e alata è la Sicurezza
che ammonisce i coloro che trasgrediscono e mettono in pericolo la serenità di città e
campagna. La Sicurezza inoltre rappresenta uno dei primi esempi di utilizzo positivo del corpo
nudo. Infatti, nel medioevo tale rappresentazione era riservata alle figure dei dannati.
Lorenzetti dipinse attività agricole che si svolgono in diversi momenti dell’anno. La loro
presenza nella stessa scena non è, quindi, realistica. L’artista volle, piuttosto, simboleggiare la
floridezza della campagna governata da una buona amministrazione. La presenza di ricchi
cittadini, borghesi, contadini e poveri mendicanti segnala l’intenzione del Buon Governo di
permettere la convivenza pacifica di ogni componente sociale del luogo.

Lorenzetti descrive il paesaggio con attenzione ai dettagli. Le forme delle colline sono
circoscritte da una linea di contorno ma rafforzate anche da un minimo di chiaroscuro. I
contadini al lavoro e i cacciatori sono poi descritti con posture realistiche. In questo affresco,
Lorenzetti dipinse un primo esempio paesaggio concepito come soggetto principale. Infatti,
prima di tale scelta il fondo delle scene religiose era realizzato in oro o con pochi dettagli
naturali. Effetti del buon Governo in campagna è un affresco, quindi realizzato con tinte stese a
velatura su intonaco fresco. L’opera di Ambrogio Lorenzetti è dipinta con colori caldi.
Prevalgono, infatti, l’ocra chiaro e scuro e il verde-grigio. Il colore usato crea un deciso stacco
con l’affresco di sinistra intitolato Effetti del Buon Governo in città. Non vi sono forti contrasti
di luminosità. Esiste un netto contrasto, invece, tra il blu del cielo e il colore del paesaggio
collinare. L’illuminazione naturale è diffusa e non sono evidenti ombre sul terreno. Lorenzetti
nel paesaggio utilizzò i principali indicatori di profondità per suggerire uno spazio convincente.
Le colline si sovrappongono in lontananza e su di esse la vegetazione e le figure umane variano
le loro dimensioni. Inoltre il paesaggio lontano è posizionato in alto, verso il bordo superiore
dell’affresco. La scena è osservata dall’alto e lo spettatore ha la possibilità di osservare un
panorama esteso fino alle colline lontane.

Simone Martini, Ritrovamento di Gesù nel Tempio, 1342. Liverpool, Walker Art Gallery

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