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- L’architettura romanica
L’ architettura romanica rappresenta quel periodo dell’architettura compreso tra XI e XII sec. ca., perché gli
esempi variano in base al territorio geografico, e l’architettura gotica dal XII sec. con i primi esempi in
Francia al XIV sec. con architetture che verranno edificate con lo stesso stile in Italia, però due secoli dopo.
La data d'inizio del Medioevo si pone convenzionalmente al 476 d.C. in corrispondenza con la caduta
dell’Impero Romano d'Occidente.
Il linguaggio classico dell'Architettura ormai si disgrega, anche se di tanto in tanto, almeno per alcuni suoi
aspetti, tende a riemergere in luoghi come Roma e Firenze. Roma è caratterizzata dalla presenza dei ruderi
dell'antichità, che offrono spunto per una rivalutazione del linguaggio classico, mentre Firenze vanta una
pretesa discendenza da Roma e dunque a quel linguaggio tende a richiamarsi, tanto che il Battistero è
considerato un edificio tardo-antico.
Vi sono poi circostanze politiche che favoriscono una rivalutazione dell'antichità classica: gli Ottoni. Carlo
Magno si considera eredi dell’Impero Romano e cerca di attuare un programmatico ritorno all'antichità,
senza sentirsene però veramente distanziato, come sarà invece per l'Umanesimo, che, registrando e
sentendo tutto il peso e il valore della distanza temporale e culturale dall'Antico, cercherà di comprendere
e ricostruire, per riappropriarsene, il linguaggio dell'Impero, cioè, secondo l'ottica umanistica, il linguaggio
classico dell'Architettura.
Costantino è una figura chiave per il passaggio all'Età del medioevo. Pur essendo di Roma, egli non ama
questa città e sposta la sua capitale a Costantinopoli. La classe dirigente dell'Impero è legata alla cultura
pagana e al classicismo; a questo ambito va ricondotta la realizzazione di opere come l'Arco di Costantino;
ma una nuova classe, che si riconosce nel culto cristiano, va emergendo e Costantino vi si allea,
riconoscendo tale culto ed anzi rendendolo ufficiale e adottandolo egli stesso. Le prime chiese a Roma sono
costruite sui suoi terreni, come il Laterano, e sono disposte fuori città; le prime basiliche cristiane adottano
un linguaggio classico, anche se già è in evidente trasformazione.
-Se i due bracci del transetto sono più corti delle navate, la basilica
si dice a croce latina, tipologia diffusa soprattutto in Occidente,
-Se sono uguali e si innestano al centro delle navate, si parla di
edificio a croce greca, secondo una consuetudine diffusa
soprattutto nell’Oriente cristiano.
-Se nella croce, il transetto è posto a circa 2/3 del corpo
longitudinale, si parla di croce immissa (dal latino immittere, cioè
inserita all’interno)
-Se è in fondo, di croce commissa (dal latino committere, mettere
insieme) o di pianta a «T».
La Basilica di San Pietro fu edificata sul luogo della sepoltura dell’Apostolo Pietro. La costruzione, voluta
dall’imperatore Costantino attorno al 324, fu completata nel 329, anno della consacrazione.
La basilica di S. Pietro, nonostante la diversa forma, fu fondata, come abbiamo detto da Costantino,
principalmente come cimitero coperto e aula funeraria, destinata soprattutto alle sepolture, ai banchetti
commemorativi e al culto del martire e apostolo Pietro. I banchetti funebri erano abituali in quel periodo,
ne parla ancora S. Agostino nel 400; la basilica aveva il pavimento cosparso di tombe e intorno alle sue
mura sorgevano numerosi mausolei, uno dei quali, più antico della basilica stessa, è sopravvissuto fino al
Settecento col nome di S. Maria della febbre.
La grande chiesa fu eretta in una tenuta imperiale fuori città, dove la pendice del colle Vaticano declinava
verso gli orti di Nerone; è probabile che, come la cattedrale Lateranense e le aule funerarie di S. Lorenzo e
di S. Agnese, fosse circondata da piantagioni e vigneti.
L’edificio, iniziato fra il 319 e il 322 e terminato nel 329, fu fondato su un grande terrapieno ottenuto con la
colmata della necropoli pagana e del piccolo centro cultuale cristiano in essa esistente; solo la parte
superiore dell’edicola che indicava la tomba di S. Pietro rimase sopra il livello del pavimento della basilica
costantiniana.
In sintesi si trattava di un edificio preceduto da un quadriportico, al quale si accedeva dopo aver
oltrepassato una costruzione con tre portali posta alla sommità di un’ampia scalinata. L’interno era diviso in
cinque navate, una centrale più ampia e quattro laterali più piccole e di uguale dimensione. Un transetto,
collocato trasversalmente le navate, precedeva l’ampia abside semicilindrica. Le dimensioni dell’edificio era
grandissime: largo 63 metri, lungo 119 (abside compresa) e alto 37 metri.
Nel transetto è ospitata la tomba di San Pietro protetta da un baldacchino formato da quattro colonne
tortili e oggetto di venerazione da parte di innumerevoli fedeli e pellegrini.
Le colonne trabeate della navata centrale erano tutte di spoglio, con capitelli corinzi o compositi e con fusti
di diametro variabile e di diverse specie di marmi dai differenti colori. Sulle colonne separatrici delle navate
laterali, più basse delle precedenti, invece, si impostavano archi a tutto sesto.
Della Basilica di San Pietro vista nella ricostruzione grafica nella sua versione costantiniana non si conserva
praticamente nulla poiché distrutta nel XVI secolo. Il disegno è stato possibile grazie ad una ricostruzione
che si basa soprattutto su documenti grafici e pittorici del Cinquecento.
Come è possibile osservare nell’immagine, il sacrario (memoria) dell’apostolo non sorgeva però in una
catacomba nei pressi, come a S. Lorenzo e a S. Agnese, ma costituiva il centro stesso della basilica, e ciò
obbligò gli architetti imperiali ad adottare una disposizione diversa. Nonostante le trasformazioni che
hanno portato nei secoli alla grandiosa chiesa odierna, l’edificio del IV secolo è noto quasi in ogni
particolare sin dai risultati degli scavi, sia da descrizioni, dipinti e disegni eseguiti prima e durante la sua
demolizione. Un disegno di Heemskerck, eseguito quando gran parte dell’antica fabbrica aveva già ceduto il
posto alla nuova, può darci un’idea sia pure approssimativa delle dimensioni dell’edificio originario. Come
la basilica lateranense, esso aveva una navata centrale e doppie navate laterali, tutte con colonnati
provenienti da costruzioni antiche; ma, a differenza della cattedrale fra la navata e l’abside era interposto
un lungo transetto, un po’ meno alto della navata stessa. Al confine fra il confine tra il transetto e l’abside
era situato il sacrario dell’apostolo, sormontato a un ciborio con due passaggi laterali trabeati, il tutto su
colonne laterali di marmo decorate a viticci; queste colonne erano state donate dall’imperatore e alcune di
esse sopravvivono nell’attuale chiesa, dove le guide continuano ad indicarle come provenienti dal tempio di
Salomone. La basilica era preceduta da un atrio con al centro un’enorme pigna di bronzo antica, sotto
un’edicola anch’essa composta da materiali di spoglio. Nell’alta facciata, leggermente modificata nel
Duecento, che si ergeva sull’atrio e nelle pareti della navata centrale, in cui si aprivano numerose e grandi
finestre, si rinnovava il contrasto tipico delle chiese costantiniane fra la semplicità delle superfici esterne e
la fastosità dell’interno. L’immensità dell’edificio, più grande di ogni altra aula funeraria e della stessa
cattedrale lateranense, dimostra che era previsto all’afflusso di grandi masse di romani e di pellegrini.
A tali elementi si aggiunge poi un presbiterio rialzato dovuto al fatto che spesso la cripta con le ossa del
santo si trova immediatamente sotto l’area absidale.
Degno di nota è poi il matroneo che abbiamo visto impiegato
anche in altri edifici paleocristiani, bizantini e altomedievali.
Esso consiste in una galleria coperta spesso a botte collocata
sopra le volte delle navate laterali che si affaccia sulle navate
centrali mediante archi a tutto sesto o con aperture a bifora,
trifora o quadrifora.
Il termine matroneo venne scelto poiché tale spazio era al
principio riservati alle sole donne (matrona in latina significa
infatti signora). Oltre a ad essere uno spazio ad uso esclusivo
delle donne il matroneo divenne in seguito un elemento
autonomo con la funzione di innalzare la navata centrale e di
contribuire ad irrigidire l’intero edificio.
La pianta
La pianta longitudinale, in genere, è a forma di croce latina con tre navate: una centrale più alta, due
laterali più strette, intersecate dal transetto.
La pianta si compone di cinque spazi fondamentali:
• Le navate: tre o cinque destinate ai fedeli, di cui quella principale lunga ed ampia.
Le navate laterali sostengono delle gallerie affacciate sulla navata centrale: spazi anticamente destinati alle
donne e per questo detti matronei.
• Il transetto: una parte intermedia tra le navate e la zona riservata all’altare ed al coro.
La pianta si articola in alzato su quattro livelli: quello delle navate con il presbiterio (che si presenta rialzato
su gradini), quello dei matronei che sovrastano le navate, le aperture nel livello superiore (cleristorio) e
quello della cripta, (che si trova sotto il presbiterio).
La luce proviene da poche finestre “strmbate” e provoca sulle superfici murarie un netto contrasto tra luce
e ombra.
Fra le innovazioni tecniche e le caratteristiche architettoniche più significative del Romanico ricordiamo
comunque:
- le campate (scomposizione della navata in una successione di unità spaziali)
- la volta a crociera, che sostituisce le capriate in legno e le pesanti volte a botte in muratura;
- Il pilastro, che sostituisce o si affianca alla colonna;
- il contrafforte esterno, che contrasta le spinte provenienti dalle volte a crociera;
- Il grande spessore delle murature perimetrali, che conferisce alle costruzioni la necessaria solidità.
Caratteristiche architettoniche
Gli elementi innovativi dell’architettura romanica sono:
•le campate (scomposizione della navata in una successione di unità spaziali)
•i pilastri compositi che supportano archi a tutto sesto
•la volta a crociera composta dai quattro spicchi supportati dalle costolature
•i contrafforti
•un solido spessore delle murature
La volta a crociera: il sistema voltato romanico prende spunto da quella che era l’architettura antica, ma
cambia i principi sostanziali alla base della edificazione di queste volte. In effetti è il sistema di copertura
formato da due volte a botte uguali che si intersecano perpendicolarmente è rialzato in chiave per scaricare
meglio le proprie forze, rispetto a quella che era l’antica volta romana che invece era realizzata senza
questo rialzo in chiave della volta. Oltre a questo piccolo artifizio vengono introdotti poi gli scheletri in
pietra che supportano le volte, cioè le nervature e i costoloni. Lo spazio coperto da ciascuna crociera
prende il nome di campata ed è delimitata ai quattro vertici da quattro robusti pilastri in muratura. Le
quattro porzioni di volta risultanti dall’intersezione delle due volte a botte sono dette vele.
La differenza sostanziale tra una volta a botte e una volta a crociera è che mentre nella volta a botte le
forze agiscono lungo le due pareti continue che sorreggono i due muri e quindi non si possono aprire
finestre molto ampie. Con la volta a crociera il problema viene evitato convogliando le forze che agiscono
nella volta lungo le due direttrici diagonali permettendo così di scaricare le forze sui quattro pilastri della
campata, permettendo l’inserimento di finestre molte ampie che danno maggior luce. Alcune volte per
ovviare alle spinte delle volte delle navate minori che esercitano verso l’esterno si costruiscono i
contrafforti esterni, specie di setti murari addossati alle pareti esterne in corrispondenza dei pilastri interni
cioè nei punti dove le spinte generate dalle volte a crociera sono maggiori.
Il lavoro degli operai medievali a mano a mano si fa sempre più articolato e complesso e verrà diretto
sempre più dall’architetto definito nelle fonti con diversi vocaboli: architectus e architectarius, oppure
cementarius o latomus.
Le facciate e i portali
In epoca romanica possiamo individuare due importanti tipologie di facciate:
• La facciata a salienti si ha quando la facciata si sviluppa a diverse altezze, secondo le differenti altezze
della navata centrale e di quelle laterali.
• La facciata a capanna è invece concepita come uno schermo indipendente dalla struttura spaziale della
chiesa; la sua forma è autonoma e non rispetta i contorni dell’edificio, impedendoci di vedere come sono
articolate le altezze delle navate retrostanti. Non si riesce a concepire la definizione dello spazio interno.
• Facciata turrita: delimitata da due torri simmetriche, che segnano la grandezza di questo edificio.
Il portale centrale delle cattedrali romaniche è molto decorato, soprattutto nella lunetta, e può essere a
strombo o con un protiro – una struttura costituita da un arco poggiante su due colonne rette dai leoni
stilofori. In quest’ultimo caso la copertura è un piccolo tetto a doppio spiovente.
Sia per i portali che per le facciate gli elementi architettonici e decorativi, non si dispongono mai in modo
simile, e ciò determina quelle differenti modulazioni luminose e quei diversi valori chiaroscurali che
contribuiscono a dare a ogni chiesa un particolare senso di leggerezza, di compattezza o di equilibrio.
Duomo di Pisa
È noto che l’occasione che determinò la costruzione della Cattedrale di Pisa fu la vittoria riportata sugli
Arabi a Palermo nel 1064 con il conseguente arricchimento della città ormai diventata potenza marittima di
prim’ordine. A ciò si deve aggiungere anche la presenza sulla cattedra pisana di un vescovo dalla forte
personalità come il Pavese Guido, ricordato in una lapide della
facciata curiosamente incastrata in quella più alta che reca le
imprese marinare della città, ma soprattutto l’opera di un
architetto come Buscheto, la cui fama raggiunse un livello tale
da essere paragonato al mitico Dedalo. A Buscheto si deve la
progettazione di un edificio di Niveo marmo che trova
paragone in nessun altro esempio e possiamo aggiungere
anche la creazione del romanico pisano. Certo è che nessuna
costruzione dell’epoca era paragonabile al Duomo di Pisa per
grandiosità di impianto, non solo per dimensioni di pianta ma
anche per alzato e per lo sviluppo della cupola che raggiungeva i 48 m di altezza. La costruzione della nuova
cattedrale si pone sostanzialmente nella seconda metà del XI sec., in un periodo di forte espansione di Pisa
nel Mediterraneo. L’impegno delle energie cittadine dovette essere notevole ed è significativo l’episodio
della scomunica del 1095: l’arcivescovo lanciò contro coloro che distoglievano i fabbri dai lavori della
maggiore chiesa cittadina. Questa doveva essere appena terminata o almeno a buon punto nel 1118
quando fu benedetta da Papa Gelasio II, inoltre sappiamo che nel 1136 vi fu tenuto un concilio, onde da
ritenere essere già terminato con l’attuale facciata. In un primo tempo la chiesa ebbe la fronte più arretrata
rispetto a quella che vediamo oggi e non è da escludere che ciò fosse stato condizionato dalla preesistenza
di un edificio, forse l’antica dimora vescovile. Gli scavi, infatti, non hanno riportato alla luce strutture
riferibili alla precedente Santa Maria che con ogni probabilità doveva essere collocata sotto la nuova
costruzione. Il prolungamento della cattedrale verso la facciata, con l’aggiunta di tre campate, è stato
determinato da una preesistenza molto probabilmente alto medievale in un primo tempo non demolita
oppure consigliato da motivi di proporzione nella lunghezza della navata, dovette avvenire nei primi
decenni del XII secolo. L’operazione si concluse con la facciata attuale ad opera di Rainaldo, ma non è da
escludere che l’edificio nelle sue proporzioni definitive fosse già stato previsto da Buscheto la cui figura è
del resto celebrata proprio nella facciata. Il ricordato incendio della fine del XVI sec. all’interno della
cattedrale che si propagò verso la facciata produsse danni più consistenti di quanto possa sembrare, infatti,
oltre alle ante dei portali, andò distrutta la copertura lignea originale che fu sostituita da un soffitto a
cassettoni seguito dagli atticciati di Firenze, ma anche molti marmi rimasero ‘cotti’, fu necessario il
rifacimento di capitelli, cornici, architravi che seppur riprodotti fedelmente hanno compromesso la lettura
dei caratteri originari della facciata. Ancora intorno alla metà del secolo scorso si provvedeva al restauro
delle decorazioni, naturalmente con criteri integrativi quali
imponeva l’epoca il modo di vedere certe operazioni di restauro.
La pianta della cattedrale prevede cinque navate come nelle più
grandiose basiliche paleocristiane di Roma, vedi San Pietro, ma con
transetto sporgente a tre navate, matronei corrono sopra tutte le
navate minori ed una cupola ottagonale sormonta l’intersezione tra
i due corpi della chiesa. Una grande abside conclude la navata
centrale ed analoga terminazione absidata presentano i due bracci
del transetto. La copertura originale distrutta nell’incendio nel 1595
doveva quasi certamente presentare le capriate in vista. Le alte
colonne della navata centrale si susseguono con perfetta simmetria
interrotte soltanto dai quattro robusti pilastri, due per parte, che
sorreggono il tamburo della cupola, che mediante pennacchi
angolari, assume la forma ottagona su cui quest’ultima si imposta. I
matronei si aprono nella navata con aperture a forma di ampie
bifore di ricordo bizantino, soluzione che dà vita ad una ritmica alternanza di colonnette e di pilastri. I
transetti non determinano un effetto spaziale in quanto le pareti della navata centrale proseguono sotto la
cupola mascherando quasi l’accesso e la presenza dei bracci laterali. Per minore altezza e per diversa
impostazione spaziale (tre navate al posto di cinque), i transetti assumono l’aspetto di chiese assestanti
anche perché i loro matronei sono separati dallo spazio della cupola. Luminosa è la parte interna, resa viva
oltre che dai giochi chiaroscurali generati dalla complessa articolazione spaziale, dalla vivace decorazione
policroma sia a bande alterne orizzontali sia in incrostazioni presenti nelle pareti come nel pavimento.
Classica è la decorazione dei capitelli all’epoca di Buscheto che si rifà a moduli corinzi e compositi e si ripete
nei capitelli delle navate minori sormontati da archi su alti piedritti. Si diversifica, invece, la decorazione dei
capitelli relativi al prolungamento all’inizio del XII sec. con la decisa comparsa di figurazioni più complesse
nella parte alta della facciata. Il Duomo di Pisa si pone chiaramente come massima espressione del
romanico pisano, ove per merito di Buscheto si fondono elementi della tradizione classica permeate
attraverso le esperienze paleocristiane con motivi lombardi e bizantini, ma soprattutto con quanto poteva
essere pervenuto a Pisa dai suoi contatti con il mondo arabo e normanno. Archeggiature a sesto rialzato o a
sesto acuto, archi impostati su alti piedritti, il vivace cromatismo ci riconducono all’oriente, sì che la città si
colloca in quel periodo come uno dei punti più privilegiati dell’incontro tra le varie civiltà del Mediterraneo.
I materiali usati per questa grandissima costruzione erano tra i più vari: marmo pisano e calcare della
Verruca per le grandi superfici e per le poche sculture, granito dell’Elba, del Giglio e della Sardegna per le
colonne grandi e piccole eccetto che per quelle di spoglio, il tufo di Livorno per i riempimenti, nel marmo
bianco si inseriscono i vari marmi colorati delle tarsie sia nelle pareti che nel pavimento. Ma occorre
mettere in evidenza come Niveo, marmore templum, si riveste di un materiale da secoli non più usato sulle
rive del Mediterraneo dal tempo dei grandi monumenti romani. A Pisa, come ha fatto notare un grande
studioso, ritorna il marmo: matrice della più grande architettura antica.
La cattedrale di Salerno
I lavori della cattedrale dedicata a San Matteo protettore della
città, iniziarono nel 1080, quando era arcivescovo Alfano.
A volere l’edificio fu Roberto il Guiscardo, della famiglia
normanna di Hauteville che conquistò la città liberandola dai
Longobardi. La chiesa fu inaugurata nel 1084 da papa Gregorio
VII e i lavori terminarono nel 1085. L’edificazione della
struttura fu velocissima, già nel 1081 era pronto il primo nucleo
con la Cripta dove vennero sistemate le spoglie del Santo
evangelista e dei Santi Martiri salernitani.
Purtroppo a causa di alcuni terremoti ai quali fu soggetta la
zona della cattedrale, e forse anche a causa della fretta nel realizzarla, subì alcune necessarie
ristrutturazioni nel tempo.
La cattedrale di Trani
Dopo San Nicola di Bari, la cattedrale eretta a Trani in onore di San
Nicola Pellegrino è senz’altro la più celebrata costruzione romanica
della Puglia. Iniziata nel 1099, la chiesa fu edificata su un altro edificio
più vecchio dedicato a Santa Maria della Scala risalente al IV secolo,
come evidenziato da recenti scavi archeologici. In seguito venne
costruita la chiesa di Santa Maria, all'interno della quale venne
scavato un sacello per ospitare le
reliquie di San Leucio. Le reliquie
di San Nicola sarebbero state
sistemate nella parte inferiore
della chiesa. La cattedrale fu poi
consacrata prima ancora del
completamento.
La fase decisiva della costruzione
si ebbe presumibilmente tra il 1159 e il 1186, mentre verso il 1200 il
completamento era da considerarsi raggiunto, eccezione fatta per il
campanile.
La costruzione, importante dal punto di vista urbanistico, vanta una
posizione relativamente isolata rispetto agli edifici circostanti e si trova
nelle immediate vicinanze della costa, con l'effetto di creare un chiaro
punto di riferimento sia a chi la guardi dalla città sia a chi la guardi dal mare.
• Vi si accede tramite una doppia rampa di scale che conduce al portale, dato che il pianterreno si trova in
posizione leggermente rialzata, a 5 metri dall'attuale livello stradale.
• Tramite la doppia rampa si accede a un ballatoio situato davanti alla facciata, dove al centro di un’arcata
cieca si trova un portale romanico accuratamente ornato. La porta centrale di bronzo è opera di Barisano di
Bari e fu realizzata nel 1175: si tratta peraltro di uno dei più interessanti esempi del genere nell'Italia
meridionale.
• Entrando all’interno della cattedrale notiamo subito a vasta aula divisa in tre navate suddivise da un
doppio filare di 6 colonne abbinate ciascuna, collegate tra loro da archi lunati a doppia ghiera sormontati
con scansione regolare e perfetta dalle trifore dei matronei sovrastate da un piano di monofore. I matronei
sono sorretti da volte a crociera delimitate da arcate trasverse a
sesto lievemente rialzato che scaricano sui filari di colonne rivolte
verso le navatelle e su semicolonne addossate alle pareti delle
stesse. Il perfetto allineamento delle colonne binate e delle
semicolonne laterali rende fortemente regolare l’andamento delle
crociere e il profilo degli archi trasversi con indubbia stabilità sulla
struttura.
• Interno della cripta con la tipica impostazione romanica «a selva
di pilastri». La cripta è collocata sotto il livello di calpestio delle navate della cattedrale che per questo
motivo si trova rialzata.
• Tre finestre e un piccolo rosone sulla navata centrale decorano la facciata, con le loro aperture ornate da
figure zoomorfe, che le conferiscono una certa plasticità. Come suggerisce la forma della facciata, la chiesa
segue lo schema architettonico della basilica a tre navate. Inoltre, il fatto che l'entrata sia rialzata
suggerisce l'idea della presenza di una cripta di una certa importanza. Dalla parte posteriore, l'edificio è
invece delimitato da un massiccio transetto rivolto verso il mare e dotato di tre absidi. È questo senz'altro
uno dei maggiori elementi di originalità della chiesa. Anche questa parte della costruzione è decorata da
arcate cieche in stile romanico. Al di sopra di queste, le facciate laterali sono decorate, a sud da due bifore
e da un rosone, e a nord da due bifore e una quadrifora.
• L'elegante torre campanaria accanto alla facciata fu eretta soltanto in seguito, essenzialmente tra il 1230
e il 1239, ma il completamento, con la costruzione dei piani superiori al secondo, si ebbe poco dopo la metà
del Trecento. Tipicamente romanico è l'alleggerirsi della massa procedendo verso l'alto, ottenuto con
l'accorgimento architettonico delle aperture che diventano sempre più ampie salendo in alto: dalla finestra
bifora si passa a quella trifora, ecc.
• Sotto il campanile, un ampio arco a sesto acuto crea un effetto architettonico piuttosto insolito, dato che
dematerializza sensibilmente la base su cui si scarica la massa sovrastante della torre. La torre (alta 59 m)
finì del resto per diventare pericolante e fu interessata da un intervento di anastilosi (tutti i conci di pietra
furono smontati e numerati, quindi rimontati pezzo per pezzo) a cura di un restauro degli anni Cinquanta
del XX secolo.
- L’architettura gotica
Uno stile architettonico va circa dal 1130, con l’esempio di Saint-Denis, all’inizio del XV secolo, uno spazio
temporale abbastanza grande che varia a seconda dei Paesi origine dell’affermazione del gotico. Con il
termine Gotico ci riferiamo allo stile artistico e architettonico dalla metà del XII secolo fino agli inizi del XV
secolo.
I secoli che vedono l’affermazione del Gotico sono caratterizzati da eventi storici che contribuirono a
formare lo scenario che caratterizzerà l’età moderna. In Europa assistiamo al consolidamento delle
monarchie nazionali in particolare in Francia e Inghilterra. Più difficile e variegata è invece la situazione
italiana: al Nord e al Centro i liberi comuni, una volta conquistata la loro autonomia, accentrano il potere
nelle mani di un “signore” e di un’intera casata.
Dal Comune quindi si passerà alla Signoria, ovviamente non senza ripercussioni in termini di lotte interne e
guerre per espandere o definire i propri confini. Al Sud invece di notevole importanza anche e soprattutto
per lo sviluppo delle arti e per la gestione della sua corte, è la presenza di Federico II di Svevia, lungimirante
sovrano.
Un ruolo fondamentale in questo periodo storico è da attribuire alla nascita e allo sviluppo degli ordini
monastici mendicanti in particolare ai Francescani e ai Domenicani in Italia che, sull’esempio dei Cistercensi
(dall’abbazia di Citeaux in Francia) nati nell’ambito del rinnovamento dettato dalla regola Cluniacense
(dall’abbazia francese di Cluny da dove prese avvio il movimento), si fecero portavoce di rinnovamento
religioso ma anche culturale.
Le tecniche costruttive
Le vetrate
La volta a crociera ha consentito ai costruttori gotici di aprire ampie aperture chiuse da vetrate, che
lasciano passare la luce, filtrandola attraverso la pasta di vetro densa e colorata delle vetrate; vi sono
disegnate immagini divine di santi, profeti, simboli e storie delle Sacre Scritture. Le vetrate istoriate
avevano la funzione di illustrare alla gente semplice e analfabete testi sacri. Le vetrate colorate creavano
all’interno un’atmosfera calda e radiosa, resa ancora più preziosa dalle decorazioni pittoriche. L’impatto
emotivo prodotto dalla cattedrale sul pellegrino era notevole: la prima cosa che i visitatori percepivano
prima di comprendere la struttura della chiesa era sicuramente la sensazione di trovarsi davanti ad una
manifestazione del divino.
La presenza di tutte queste strutture capaci di dare sostegno all’intera costruzione rende superflua
l’esigenza di spesse mura, ed è per questo motivo che le cattedrali gotiche hanno pareti di spessore non
eccessivo, che sono anche forate, per vaste estensioni, da vetrate.
La porzione di parete occupata dalle vetrate generalmente coincide con quell’unica parte della navata
centrale che, superando in altezza le coperture delle navate laterali, può accogliere ampie finestre, per
quanto alla luminosità dell’ambiente concorrano in modo non secondario anche le aperture nelle pareti del
coro, nei muri perimetrali, nelle testate dei transetti e nelle facciate.
Un esempio emblematico di vetrata gotica è rappresentato dalla vetrata della Sainte Chapelle di Parigi,
ovviamente costruita per volere dei re di Francia verso la metà del XIII secolo, nella quale il tessuto murario
è quasi del tutto assente e sostituito da ampi vetrate separate solo da piccoli pilastri. Il risultato è
incredibilmente suggestivo anche per il fatto che dimostra la capacità dell’architetto gotico nel gestire le
forze e i pesi delle strutture murarie.
Poche epoche della storia dell’architettura hanno dato origine a tante interpretazioni di uno stile quanto il
gotico. Questa singolare fioritura di genialità poetica e costruttiva apparentemente lontana dagli elementi
classicheggianti della tradizione romanica a cui pose fine viene interpretata come l’espressione del
cattolicesimo, della filosofia scolastica e così via. Per quanto nelle singole interpretazioni siano contenute
intuizioni valide, esse prese insieme non si annullano necessariamente l’un l’altra. Oggi è ampiamente
accettato che lo stile gotico nacque nella regione di Parigi, l’Ile de France, nel quarto decennio del XII secolo
e che, pur essendo alcuni elementi caratteristici come la volta a costoloni e l’arco acuto, già presenti sia
nell’architettura islamica che in quella romanica dell’ultima fase, il gotico rappresentò una rottura con il
passato. L’aspetto determinante questa rottura è caratterizzato in termini estetici dall’eliminazione della
massiccia struttura muraria e della frontalità delle chiese romaniche in favore di una struttura più leggera e
diafana che valorizza maggiormente le linee e le vedute diagonali. A questo nuovo senso dello spazio si
unisce la suddivisione degli interni in una successione di celle nervate, così che gli edifici gotici, grandi o
piccoli, religiosi o civili, risultano articolati in modo analogo, uguali nello scheletro. Quest’articolazione è
senza precedenti nell’architettura antica o nell’ Alto Medioevo. Nuovo è anche l’accentuato verticalismo in
cui le orizzontali risultano annullate, mentre tutte le linee svettano verso il cielo, sfidando apparentemente
la legge di gravità. A questo senso dell’ultraterreno contribuisce la luce che, suffusa in ricchi colori delle
vetrate splendenti nell’oscurità, sembra emanare da una fonte soprannaturale. Anche se tutti gli edifici
gotici hanno in comune per tutto il Medioevo almeno alcune di queste caratteristiche, il gotico si sviluppò
cronologicamente dal primo stile francese del XII in una versione più elaborata nota come gotico
Rayonnant (radiante, raggiante) nel secolo successivo, cioè a partire dal XIII secolo. A essa seguì in Francia
una variante più ricca detto gotico Flamboyant (fiammeggiante) diffusosi in molte parti d’Europa, ma non in
Inghilterra dove la progressione dal semplice stile archiacuto del XII secolo al più elaborato decorated style
(stile ornato) si concluse nel perpendicular style (stile perpendicolare) che perdurando fino al XVI secolo è
rimasto privo di riscontri nell’Europa continentale. Questa nuova architettura si sviluppò mentre la stessa
Europa entrava dopo il 1100 in una nuova fase di stabilità e di prosperità, esprimendo la propria sicurezza
nelle crociate rivolte a strappare la Terra Santa all’Islam. Ai monasteri, ai castelli, ai villaggi isolati del
mondo romanico subentrarono a poco a poco come centri di sviluppo economico e culturale le grandi e le
piccole città. Pur essendo ancora unita dall’internazionalità del cristianesimo, l’Europa vide in questo
periodo la nascita di idea di stato-nazionale in Inghilterra, in Francia e in Spagna.
Cattedrale di Chartres
(Il 5 settembre 1134) Il 10 giugno 1194 un incendio distrusse il portico e la torre antistante la cattedrale
romanica dell’XI secolo fatta costruire dal vescovo Fulberto. Poco dopo, sul lato Nord, in posizione avanzata
rispetto alla precedente si dette inizio alla costruzione di una nuova torre intorno al 1150, ne fu aggiunta
una seconda a Sud e tra le due venne eretta una fronte con tre portali collegata alla chiesa di Fulberto da
un nartece. Nella notte tra il 10 e l’11 giugno del 1194 un nuovo incendio devastò la vecchia cattedrale
coperta a capriate lignee, risparmiando solo la cripta, le due torri e la facciata protetta dalle volte del
nartece. La ricostruzione iniziata subito dopo sulle fondazioni esistenti fu piuttosto
rapida consentendo la ripresa del culto nella navata nel 1210. I canonici presero
possesso del coro nel 1221, la consacrazione avvenne il 24 ottobre 1260. Nel 1316
si resero necessari restauri alla volta, quella posta all’incrocio del transetto, ma
dopo questa data la cattedrale ha subito soltanto poche ricostruzioni e rifacimenti,
tra il 1324 e il 1349 fu aggiunta la sala capitolare con la soprastante cappella di
Saint Piat. Nel 1417 venne aperta sul lato Sud della navata la cappella de Vendome
su disegno del maestro dell’opera Jouffroy Sevestre. La guglia della torre Nord già
accresciuta di un piano nel XIII secolo fu eretta tra il 1507 e il 1513, dallo stesso
costruttore che realizzò anche la recinzione del coro. Infine nel 1836 un nuovo
incendio distrusse la carpenteria delle coperture che venne sostituita con l’attuale
struttura metallica, ma senza compromettere la stabilità delle volte sottostanti.
Lo sviluppo della costruzione in senso longitudinale fu condizionato dalla necessità
di adeguarsi alle preesistenti strutture della cripta e della facciata. Il corpo della fabbrica fino al transetto,
sette campate, delle quali le prime più strette più altre due corrispondenti al nartece tra le torri, è a tre
navate. Il coro di tre campate è a cinque navate e un doppio ambulacro con cappelle. Perciò allo scopo di
raccordare i due corpi con ampiezza diversa fu previsto il grande transetto sporgente di sette campate per
tre navate, concluso a Nord e a Sud da due fronti con portico e torri laterali rimaste però incompiute.
Poiché altre due torri vennero impostate all’inizio del deambulatorio ed una era prevista sull’incrocio, la
cattedrale avrebbe avuto sette torri più le due di facciata.
Opinioni discordanti riguardo alle discontinuità visibili facilmente nella struttura muraria: forse la fabbrica è
stata condotta da diversi gruppi itineranti senza la soprintendenza di un
vero e proprio architetto.
Essa conteneva un’importante reliquia, La Tunica della vergine, donata alla Chiesa da Carlo il Calvo nel IX
secolo. La tradizione voleva che la reliquia fosse l’abito indossato da Maria al momento della nascita di
Gesù e a essa si attribuivano numerosissimi. Per tale ragione la cattedrale di Chartres era meta di grandi
pellegrinaggi: la sua ricostruzione per questo motivo si imponeva in modo pressante.
I lavori iniziarono subito e dettero vita alla più nota delle chiese gotiche di Francia. Quello di Chartres,
infatti, viene definito Gotico classico perché vi sono presenti, e portati all’estremo grado di perfezione, tutti
i caratteri specifici dell’architettura gotica.
L’edificio è a tre navate, quella maggiore ha dimensioni maggiori delle laterali con transetto anch’esso a tre
navate terminante sulle testate con due enormi pareti vetrate. Il presbiterio, ampio e profondo, introduce
al coro caratterizzato da un doppio ambulacro, che si dilata a sua volta in cinque cappelle radiali. L’interno
mostra un forte verticalismo. La navata centrale, alta 36,50 metri e coperta da crociere a sesto acuto ha le
pareti divise orizzontalmente in tre fasce. Quella inferiore comprende le arcate sorrette da pilastri polistili
(si alternano pilastri cilindrici con addossate colonnine a sezione ottagonale a pilastri ottagonali con
addossate colonnine cilindriche); quella mediana è occupata dal triforio, mentre quella superiore
costituisce il claristorio. L’altezza delle arcate è pari a quella delle finestre, che poterono essere molto
grandi perché, contrariamente a quanto avveniva nella cattedrale di Parigi, a Chartres si eliminò dalla
progettazione il matroneo. I fianchi della cattedrale e l’abside si caratterizzano per la fitta serie di spessi
contrafforti a gradoni e di archi rampanti. In tal modo l’aspetto dell’edificio, nonostante l’altezza esprime
una grande potenza e un deciso senso di stabilità. Delle nove torri previste dal progetto, solo due furono
realizzate, e precisamente quelle che serrano anteriormente la facciata. Di questa, la parte inferiore, che
ospita il Portale dei Re dalle triplici aperture, appartiene alla primitiva cattedrale e fu realizzata nel 1134-
1150 circa. A essa, in seguito alla ricostruzione iniziata nel 1194, furono sovrapposti un grande rosone e un
coronamento a logge che ospita diverse sculture.
L’edificio è lungo 130 metri e largo 64 m in corrispondenza del transetto e l’altezza delle volte raggiunge i
37 metri.
Il Duomo di Siena
La ghibellina Siena, fin XIII secolo, la maggiore rivale politica ed
economica di Firenze, con la quale si scontrò militarmente più
volte. Dopo la definitiva sconfitta del 1269 nella battaglia di Colle di
Val d’Elsa, però il potere passò alle maggiori famiglie guelfe che lo
esercitarono con pacatezza e competenza attraverso il Consiglio dei
Nove (1287-1355), un organo elettivo molto autorevole che
assicurò alla città un settantennio di prosperità, riforme e buon
governo. La fierezza delle civitas senese e del resto in linea con il
suo stretto legame culturale e artistico con Roma tanto da
adottarne anch’essa come simbolo la lupa e da rappresentarsi
sempre come una città orgogliosamente murata e militarmente
inviolabile. Il duomo di Santa Maria Assunta presenta una facciata che riflette in modo evidente il gusto di
derivazione gotica per la decorazione pittorica e scultorea. La vicenda costruttiva dell’edificio e assai
complessa e tormentata. Il grandioso cantiere, infatti, si aprì intorno alla metà del XII secolo e si protrasse
almeno fino agli ultimi decenni del Trecento. Il primo nucleo della costruzione fu sicuramente di stile
romanico. Esso si articola attorno ad una pianta a croce latina immissa, con tre navate scompartite da
poderosi 11 pilastri polistili sorreggenti arconi a tutto sesto. L’intersezione del corpo longitudinale con il
transetto a due navate è sottolineata da una cupola esagonale retta
da sei grandi pilastri costruita intorno 1264. All’incirca fra il 1285 e il
1297 la direzione dei lavori passò al magister Giovanni Pisano, che si
incaricò di realizzare la parte inferiore della facciata. Sua è infatti
l’idea dei tre portali molto strombati, secondo un uso tipicamente
francese, così come quella della ricca ornamentazione scultorea.
Sempre a Giovanni Pisano e alla sua fiorente bottega viene attribuita
anche buona parte della statua di profeti, filosofi, santi e sibille
inserite originariamente nella facciata e che oggi, sostituite da copie,
sono in massa parte esposte al vicino museo dell’Opera del duomo.
Nel 1339, infine, venne intrapresa la realizzazione del Duomo nuovo
o Grande cattedrale. In esso l’attuale corpo longitudinale avrebbe dovuto costituire il transetto di un
edificio ancora più grandioso, del quale non fu realizzato che parte dei muri perimetrali, oggi ridotti a ruderi
o inglobati in altri edifici circostanti. Si nota molto bene dalla fotografia aerea quello che doveva essere il
primitivo impianto della cattedrale che presentava una navata lunghissima con un transetto altrettanto
grande, come potete vedere solamente la parte del transetto fu completata e inaugurata come cattedrale.
Il progetto, probabilmente commissionato dall’architetto, orafo e scultore senese Lando di Pietro (circa
1280-1340), prevedeva la costruzione di un immenso corpo longitudinale a tre navate (in luogo dell’attuale
piazza laterale), orientato perpendicolarmente alla cattedrale preesistente. La porzione superstite di quella
che avrebbe dovuto essere la nuova facciata svetta ancora sopra i tetti cittadini, e mostra un’alta apertura
terminante con un arco a tutto sesto, il cui intradosso cassettonato rimanda all’architettura romana
imperale. Questo sogno ambizioso si dimostrò comunque irrealizzabile
sia a causa della economica e demografica conseguente alla pestilenza
del 1348 sia per insormontabili difficoltà tecniche sorte nel frattempo.
Nel 1355, dunque, si optò per un definitivo e più fattibile
ammodernamento della cattedrale preesistente. Questi ultimi lavori
compresero il rialzamento delle navate, l’ultima azione della parte
superiore della facciata (1377) e il compimento dell’abside (1382). E
proprio nella grande facciata principale che il nuovo spirito gotico
trova modo di esprimersi ai più alti livelli. Anche se non vi è alcuna
coerenza tra la parte inferiore, dovuta a Giovanni Pisano, e quella
superiore, in parte ispirata al decorativismo del duomo di Orvieto, l’insieme assume una sua convincente
unitarietà, dovuta soprattutto alla ricchezza dell’ornamentazione (statue, modanature, rilievi, cuspidi) e alla
varietà cromatica dei marmi (bianco, rosso di Siena, giallo antico o broccatello, verde di Prato o serpentino).
Ciò fa interpretare la facciata più come una grandiosa opera scultorea che come un semplice elemento
architettonico. Particolarmente singolare, a tale riguardo, è l’incongruenza per cui i due alti pinnacoli che
incorniciano la parte centrale della facciata non giungono, come apparirebbe logico, fino a terra. Essi,
infatti, facendo parte della successiva sopraelevazione trecentesca, seguono logiche costruttive proprie e,
contro ogni regola della statica, assumono come base di appoggio la lunga cornice aggettante che corre in
corrispondenza dei vertici delle tre preesistenti ghimberghe sottostanti.
Il Duomo di Orvieto
Un altro esempio di architettura gotica è rappresentato dal Duomo di Orvieto di Santa Maria Assunta ad
Orvieto.
La potente città umbra, nonostante si fosse costituita in libero comune fin
dal 1137, rimase sempre molto vicina al potere papale, alleandosi anche
alla guelfa Firenze contro la ghibellina Siena. Dal 1250 il governo fu
affidato ad un capitano del popolo, eletto tra le famiglie più in vista e a
sua volta coadiuvato dal Consiglio del popolo, composto dai
rappresentanti delle Sette Arti maggiori. Il massimo sviluppo urbanistico
del Comune si ebbe tra la fine del XIII e la prima metà del XIV secolo, con
la costruzione del grandioso duomo di Santa Maria Assunta e l’aggiunta
della torre campanaria al palazzo del popolo. Il gusto per la decorazione
delle facciate conosce il suo massimo splendore nel duomo. La costruzione, inizia nel 1290 secondo i
principi dell’architettura romanica, presenta una severa pianta basilicale a tre navate di cui la mediana con
larghezza più che doppia rispetto alle laterali. In seguito, però, tale struttura venne goticizzata
dall’intervento dell’architetto e scultore senese Lorenzo Maitani, che intorno al 1310 è nominato
universalis caput magister, cioè soprintendente generale dell'Opera, e che, insieme ai propri aiuti,
concentra l’attenzione sul coro e, soprattutto, sulla facciata. In essa i temi dell’architettura gotica europea
non sono ripresi con funzione direttamente strutturale, ma con intenti prevalentemente decorativi. Ecco
allora che pilastri, ghimberghe, guglie, trafori e archi (a tutto sesto nelle
strombature del portale centrale e a sesto acuto in quelle laterali) sono
trattati in modo scultoreo e pittorico più che nella loro effettiva funzione
di veri e propri elementi architettonici. Il Maitani, infatti, vede la facciata
del duomo alla stregua di un’enorme pala di altare e come tale la
realizza, anche se in proporzioni straordinariamente maggiori. Il segno di
questa sua impostazione, del resto, è così forte che permane anche nei
secoli successivi. Decorazioni scultoree, a intarsio e a mosaico, dunque,
continuano ad essere integrate, aggiunte e sovrapposte, almeno fino al
Settecento. Il risultato finale è quello di una grandiosa e raffinata
scultura gotica che sembra appoggiata quasi casualmente alla struttura
preesistente romanica della chiesa, come per mascherarne, almeno nella
facciata, la scarsa slanciatezza. Il nuovo gusto transalpino, dunque, viene
qui accettato qui più per le straordinarie possibilità ornamentali che
offre, e non già come tecnica di costruzione innovativa e autonoma. Le
abili maestranze locali, del resto, sarebbero estremamente restie ad
abbandonare la tradizione e l’affidabilità delle tipologie costruttive
romaniche e tardo antiche per riconvertirsi completamente all’architettura gotica, con tutti i problemi
statici che ciò avrebbe necessariamente comportato.
Chiesa di S.Fortunato a Todi
Passiamo ora a descrivere un altro stile di Gotico italiano,
quello degli ordini mendicanti prendendo come esempio
il San Fortunato a Todi. La chiesa francescana di S.
Fortunato a Todi, con annesso convento e chiostro,
occupa grande rilievo nella città ed è realizzata per
iniziativa del cardinale Matteo d’Acquasparta
(francescano formatosi nel clima cosmopolita
dell’Università di Parigi) sul luogo di una precedente
chiesa, in relazione ad un generale riassetto urbano.
Edificata in più fasi su un progetto unitario, è completata
in circa due secoli. I lavori, iniziati nel 1292, procedono
senza interruzioni fino al 1303 e più lentamente nei due 13 decenni successivi, con la costruzione del corpo
absidale al posto dell’antica chiesa vallombrosana e del coro. Nel 1323 è presente in cantiere il magister
Laurentius e agli anni successivi risalgono la costruzione del campanile (1327-1328) e le prime sistemazioni
esterne (1339); tre anni dopo termina la metà posteriore della chiesa (comprendente due campate e mezzo
e otto cappelle), coperta a tetto su archi e pilastri. Dopo una lunga sospensione, i lavori riprendono all’inizio
del Quattrocento: l’ultimo ampliamento, iniziato nel 1405-1407 per volere del vescovo Guglielmo de’ Calvi,
riguarda l’inizio di costruzione del nuovo muro di facciata e poi di quelli laterali (tra 1405 e 1458 collabora
alla fabbrica Giovanni di Santuccio). Nel 1453 è completata la terza campata, mentre la quarta si può
considerare conclusa al momento della demolizione del muro provvisorio (1461). Alla stessa fase
costruttiva risalgono nuovi lavori alla facciata principale con l’inserimento dei tre
portali (1420- 1436), probabilmente rispettando un progetto precedente, creduto
del Maitani, ma secondo recenti studi non a lui attribuibile, data la sua limitata
presenza in cantiere. Nel 1418 Iacopo della Quercia è consulente per alcune
decisioni riguardanti la facciata. Tra il 1457 e il 1465 (dirige il cantiere Bartolomeo
di Mattiolo da Torgiano) sono realizzati ulteriori lavori alle strutture periferiche e
di sostituzione del tetto con le crociere costolonate, a sesto rialzato e poggiate su
pilastri polistili. Alla facciata si lavora ancora nel XVI secolo (completamente in
stile con uso di materiale di spoglio d’età romanica), quando si portano avanti le
sistemazioni esterne, terminate nel XIX secolo, mentre i progetti per la facciata
proposti nel XX secolo non avranno esito. L’impianto chiesiastico è a sala
(Hallenkirche), unico episodio francescano di questo tipo nell’Italia centrale, con
tre navate (la centrale doppia delle laterali) di quattro campate ciascuna, senza transetto. Le dimensioni
dell’edificio raggiungono i cinquantotto metri di lunghezza, compresa l’abside, e i 25,2 di larghezza per il
corpo delle tre navate, escluse le cappelle (due per ogni campata) poste tra i contrafforti dei fianchi di
quelle laterali. In alcune soluzioni architettoniche è stata vista una affinità con la coeva chiesa francescana
di Gualdo Tadino, mentre analogie nel sistema di coperture sono riscontrabili con la chiesa domenicana il
duomo di Perugia. Un complesso polimorfismo proporzionale sembra legare l’intero sistema architettonico.
La sostanziale identità fra struttura muraria e forma architettonica, tipica dell’edilizia mendicante del
centro-Italia determina chiarezza spaziale e unitarietà dello spazio interno, ottenute con l’uniformità delle
volte a crociera a sesto acuto (tutte di uguale altezza: 22 metri) e la continuità di queste con quella
absidale, ed esaltare sia dal particolare rapporto spazio-luce che si stabilisce all’interno, sia
dall’approfondimento prospettico ottenuto con i diversi accorgimenti visivi. La committenza, legata a
correnti internazionali della cultura europea ed alla corte papale, sembra incidere sulla generale concezione
spaziale, che è stata messa in relazione a modelli architettonici della Francia occidentale, ma che richiama
piuttosto all’edilizia mendicante dell’area Umbra e centro-italiana soprattutto nella particolare ideazione di
uno spazio semplice ma rarefatto, che si dilata in più direzioni, a dare soluzione alle esigenze ed alle
aspirazioni francescane. I tempi lunghi di costruzione sembrano non tradire le istanze dell’originario
progetto due-trecentesco, né nello spazio interno né nella definizione architettonica esterna. Anche se
nell’interrotto impaginato di 14 facciata, che rispecchia l’esterno la spazialità interna, con i tre portali dal
contenuto iconografico complesso di suggestione orvietana, le paraste a duplice specchiatura e l’architrave,
sono riscontrabili nuove declinazioni figurative.
Duomo di S.Ambrogio a Milano
L’attuale edificio sorge al posto della basilica martyrum,
consacrata dal vescovo Ambrogio nel 386, cui
appartengono diversi elementi di reimpiego come le
colonne del ciborio. Nel 784 l’arcivescovo Pietro fondò un
nuovo cenobio benedettino e nel 789 ottenne
l’affidamento della basilica. Il Capitolo, conservò i diritti
sulla chiesa, continuò ad occuparsi della fabbrica:
l’arcivescovo Angilberto (824-859) commissionò all’orafo
Wolvinius la realizzazione dell’altare in argento cesellato,
ancora esistente, e il suo successore Ansperto (868-881)
costruì un atrio ormai scomparso ma testimoniato da
un’epigrafe dell’881. L’ingresso dei benedettini determinò presumibilmente la ricostruzione del presbiterio,
completata nell’VIII-IX secolo con la disposizione dell’altare e la ripresa dei mosaici absidali. Le murature
originarie vennero arretrate e la quota pavimentale fu innalzata per creare una cripta. Le navate
dell’edificio paleocristiano, ancora in uso nel 1067, vennero sostituite probabilmente a partire dal 1080; le
nuove strutture già in parte edificate nel 1093, furono coperte con volte dopo il 1117. Fra l’XI e il XII secolo
si costruì l’atrio (circa 1093-1128) e il campanile dei Canonici (tra il secondo e il terzo quarto del 1100), a
nord della facciata, in posizione simmetrica rispetto al campanile dei monaci del IX secolo. Nel 1196 la volta
dell’ultima campata della navata centrale crollò, danneggiando la zona presbiteriale; seguirono il
consolidamento delle arcate e la ricostruzione di due nuove volte a crociera al posto di quella quadrata
precedente. La chiesa ha tre ampie campate quadrate nella navata centrale e
sei campate nelle navatelle e nelle tribune superiori; di conseguenza, i sostegni
sono alternati. I pilastri maggiori si innalzano fino a congiungersi, alla quota dei
matronei, alle nervature delle volte a crociera della navata centrale, mentre gli
archi di imposta delle volte circoscrivono la duplice arcatura longitudinale delle
navatelle e delle gallerie. Le ampie superfici intonacate delle coperture,
spartite da pesanti nervature in pietra, accentuano il senso di dilatazione
dell’ambiente centrale; tale interpretazione che, per tale aspetto, risente
ancora della matrice paleocristiana condizionerà diversi edifici romanici
dell’Alta Italia come, ad esempio il S. Sigismondo a Rivolta d’Adda. La presenza
di matronei alti quanto la navata ha impedito l’apertura di un cleristorio;
l’illuminazione degli ambienti viene così demandata alle finestre dell’abside,
del tiburio e della facciata. La zona presbiteriale è coperta da una cupola a otto
specchi su pennacchio a tromba; la somiglianza dei pilastri di sostegno con
quelli del resto della navata fa ritenere che il progetto iniziale prevedesse una chiusura con volta a crociera,
sostituita da una copertura lignea durante la costruzione e poi sopraelevata. La compresenza di materiali
diversi, tipicamente lombarda, adempie ad una funzione decorativa assieme ai capitelli e alle basi dei
pilastri, al mosaico absidale e agli intonaci affrescati. Conci di grande dimensione, di un granito denominato
serizzo, di calcare bianco d’Angera e di marmo di recupero appaiono nei fusti dei pilastri 15 maggiori e negli
arconi; le murature e i pilastri delle gallerie superiori sono per lo più in mattoni rossi. La facciata ha un
profilo a capanna, perforato su due livelli da cinque arcate su pilastri, e affiancato alle due estremità dai
due campanili; il suo disegno ha “schermo”, inciso in profondità dalle arcate su pilastri e disegnato in
superficie da semicolonnine su paraste e da cornici ad archetti, è all’origine del tipo lombardo più diffuso
fino al XIV-XV secolo. La partizione dell’ordine inferiore scandisce anche gli altri tre bracci che racchiudono
un atrio rettangolare allungato, d’ispirazione paleocristiana. I fianchi, il tiburio, il presbiterio in mattoni
hanno un coronamento “lombardo” a doppie arcatelle, ripartite in gruppi di tre da lesene verticali
nell’abside.